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F r u i t C h a n
Made in Hong Kong

 

Nato nel 1959 in Cina, Fruit Chan ha dieci anni quando la sua famiglia emigra a Honk Kong. Dopo avere frequentato l'Hong Kong Film Center, Chan entra in un grande studio, dove lavora come aiutoregista, collaborando tra gli altri con Jackie Chan. Nel 1991 realizza la sua opera prima, Finale in Blood. Questo horror psicologico evoca l'ambiente equivoco degli anni Venti, dominato dall'omicidio, dal ricatto e dall'adulterio. Il film ottiene un notevole successo di critica, ma fallisce al box-office. Nel 1994 Fruit Chan recupera la propria indipendenza mettendo insieme spezzoni di pellicola non utilizzata e raccogliendo soldi tra gli amici. Con un budget e una troupe ridotti inizia la lavorazione di Xianggang Zhizao (Made in Hong Kong), reclutando gli attori per la strada.
Il testo pubblicato qui di seguito è la trascrizione dell'incontro tra la redazione di Trax, Fuit Chan e Sam Lee, l'attore protagonista.

Il film racconta la vita di Mi-Aout. Il ragazzo ha smesso di studiare e vive di espedienti, riscuotendo soldi per un boss mafioso, in compagnia dell'amico ritardato Jackie, che protegge dalle vessazioni delle bande di liceali. Durante uno dei suoi giri conosce Ping, un'adolesente che soffre di un male incurabile. Provengono entrambi da famiglie sfaldate. S'innamorano. Un giorno una ragazza si suicida lasciando dietro di sé due lettere insanguinate. Ossessionato dalla sua immagine, Mi-Aout decide di cercare, insieme a Jackie e Ping, i destinatari delle lettere. Cerca nel frattempo di trovare i soldi per salvare Ping. Già abbandonato dal padre, il ragazzo viene lasciato anche dalla madre quando questa scopre che il figlio le ha rubato tutti i suoi risparmi, duemila dollari. Tenta di improvvisarsi killer su commissione per raccogliere un po' di soldi, ma non riesce a portare a termine la sua missione. Dopo qualche tempo viene accoltellato da un altro giovane delinquente. Sopravvive. Mentre si trovava in ospedale Jackie è stato ucciso e Ping si è lasciata morire accanto al suo letto d'ospedale, mentre lui era privo di conoscenza.

© Trax

Il mio film è pieno di difetti. Non bisogna dimenticare che è un film indipendente, realizzato a Hong Kong con un budget assolutamente ridicolo, meno di 80.000 dollari. Avevo scritto la sceneggiatura già tre anni fa, l'avevo fatta vedere a diversi produttori commerciali (a Hong Kong ormai esistono solo questi) e tutti mi hanno detto "Sì, l'idea è interessante, si può fare... ma sai... dovresti accentuare qualche aspetto qui e là... le scene di violenza devono essere più stilizzate... tipo John Woo... bisogna togliere anche un po' di denuncia sociale perché sai...".
A quel punto ho capito che dovevo farmelo da solo, questo film.

Io lavoravo da tempo come aiutoregista per il cinema commerciale, ho collaborato anche con Jackie Chan, e ho dovuto girare Made in Hong Kong con gli scarti di pellicola vergine inutilizzata dei film commerciali ai quali lavoravo. La troupe di Made in Hong Kong era composta da cinque persone, metà delle quali erano anche attori. Le musiche, per esempio, non sono state scritte da un compositore professionista, ma da uno degli attori che sapeva suonare qualche strumento. E anche per quanto riguarda il direttore della fotografia, non mi potevo certo permettere un professionista, l'ha fatto un amico che ha imparato a girare facendo il film, e infatti si nota che col progredire della storia migliorano anche le riprese. Addirittura quando dovevamo andare a girare non avevamo un automobile per caricare la troupe e il materiale, e allora mi sono fatto prestare una macchina sulla quale piazzavamo tutte le attrezzature, e noi arrivavamo sui set - che ovviamente erano in location reali - in metropolitana. Ci siamo tutti improvvisati cameramen, tecnici del suono, montatori (anche la moviola è stata prestata da un amico, e il taglio dei negativi è stato fatto letteralmente a mano, con forbici e taglierina), si cercava di ricoprire tutti i ruoli, pur di riuscire a realizzare il film. Se mi si chiedesse se sono soddisfatto dei risultati che abbiamo ottenuto, non potrei che rispondere di no. I limiti imposti da un budget tanto limitato sono fortissimi, e anche umanamente non puoi lamentarti, per esempio, con un attore che sta recitando male o con un cameraman che non si presenta sul set, se per questo lavoro non vede nemmeno un dollaro.

Ho usato l'esempio dell'attore che non funziona, anche se la recitazione è l'elemento di Made in Hong Kong di cui sono più soddisfatto. Per gli attori il discorso infatti è un po' diverso. Mentre per la pellicola la qualità di ciò che ottieni è sempre direttamente proporzionale a quanto puoi spendere, il risultato del lavoro degli attori non dipende quasi per niente dal budget. In Made in Hong Kong gli attori sono tutti presi dalla strada, ma non solo per problemi di soldi. Avevo provato a contattare alcuni attori professionisti, e ne avevo trovati alcuni disposti a lavorare a questo film senza essere pagati subito, con una partecipazione agli eventuali incassi. Ma non funzionavano. Nel raccontare questa storia non riuscivano a dare quel contributo di verità che solo chi quella vita l'ha vissuta sulla propria pelle poteva regalare al film. A quel punto ho dovuto iniziare a girare per i quartieri, le periferie, i sobborghi malfamati, a cercarmi da solo gli attori, persone che una vita del genere l'avevano fatta, e tra questi ho trovato anche il mio protagonista, Sam Lee, che apparteneva proprio a quel mondo di delinquenti giovanili ritratto in Made in Hong Kong, un giovane gangster famoso nel suo quartiere per essere un grande skater che ho preso letteralmente dalla strada. Cominciammo le riprese del film nell'estate del 1996, ma già dall'inizio l'idea era quella di ritrarre il sottoproletariato di Hong Kong nel fragile momento in cui avveniva il ritorno nell'abbraccio pericoloso della madrepatria, o meglio della patria matrigna. E una cosa che scoprii subito era che invece alla gente di cui il film parlava non gliene fregava proprio niente del ritorno di Hong Kong alla Cina. "Cosa vuoi che cambi per noi, nella merda siamo adesso e nella merda rimarremo", mi dicevano.

Interviene Sam Lee
È vero quello che dice Fruit Chan, io prima di Made in Hong Kong ero un poco di buono, facevo la stessa vita del mio personaggio nel film. Certe volte credo che il cinema serva anche a vedere meglio le cose, non solo per chi guarda un film, ma anche per chi lo fa, ed è facendo Made in Hong Kong che io ho capito dov'ero, che posizione occupavo, che tipo di vita stavo facendo. Senza questo film non avrei mai cambiato nulla. Quando Fruit Chan è venuto a propormi di fare questo film, non riuscivo a capire perché il passaggio alla Cina avrebbe dovuto interessare qualcuno. Cosa sarebbe cambiato? Niente, pensavo io. Adesso invece qualcosa è cambiato, almeno per me: grazie a questo film sono tornato a scuola e sto imparando a leggere e scrivere.

Ancora Fruit Chan
Il nostro film non è ancora stato distribuito a Hong Kong, ora dovremmo riuscirci grazie all'interessamento del regista-produttore Shu Kei e alla Golden Harvest, la principale casa di produzione di Hong Kong, ma il grosso problema da affrontare è quello della censura del mercato. Nella Cina continentale invece Made in Hong Kong non potrà mai essere distribuito: sono state poste dal governo centrale di Pechino delle condizioni specifiche perché film prodotti a Hong Kong possano essere visti nel resto del paese. Devono innanzitutto essere delle coproduzioni, e poi le autorità di Pechino devono autorizzare la sceneggiatura, imponendo tagli e cambiamenti, per non parlare di quello che succede una volta che il film è finito e deve passare il visto di censura. Con il taglio che ho voluto dare al mio film, è assolutamente impossibile che un burocrate ne autorizzi la distribuzione. È più facile che vengano distribuiti sul continente i film commerciali prodotti a Hong Kong, ma Made in Hong Kong è molto differente da questi, innanzitutto per quanto riguarda il soggetto, che non affronta come fanno i film commerciali (e in particolare le gangster-story alle quali qualcuno ha associato Made in Hong Kong) un singolo aspetto della vita di Hong Kong, ma piuttosto cerca di analizzare - in un contesto popolare - la questione del passaggio alla Cina dell'ex colonia, cerca di andare oltre - e anche più in profondità - del ritratto dell'underworld criminale. Non bisogna poi dimenticare un altro elemento: sono soprattutto le condizioni produttive a determinare la natura di un film, e quel genere di film è prodotto dalle major su progetti molto strutturati, pensati anche per il mercato popolare cinese, mentre il mio film è il risultato di un mio desiderio, forte e anche un po' incosciente: volevo a tutti i costi fare Made in Hong Kong e l'ho fatto con i mezzi che avevo a disposizione, pochissimi. È vero anche che nel mio film, come nelle gangster-story, c'è molto senso della morte. Oltre ovviamente alle scene di morte e di suicidio, ci sono alcune sequenze chiave girate in un immenso cimitero, nel quale sono sepolti realmente tutti i morti di Hong Kong, è una specie di libro di storia architettonico e umano sulla colonia, e in questo senso la morte si può leggere ovviamente come un desiderio metaforico dei protagonisti di reagire alla morte "individuale", alla quale tutti e quattro i protagonisti (prima tra tutte la ragazza che si vede solo in flashback) sono destinati, ma anche come la volontà di reagire alla morte sociale e politica di Hong Kong, al ritorno nel soffocante abbraccio cinese.
Per la mia generazione questa restituzione di Hong Kong alla Cina aveva il suono di un rintocco funebre, segnava la fine di un'epoca storica. Il male incurabile di cui soffre Ping, la sensazione di essere privato del proprio futuro provata da Mi-Aout, che lo porterà all'autodistruzione, possono essere interpretate in quest'ottica. La disgregazione delle famiglie di Ping e Mi-Aout - come la dissoluzione del codice morale tradizionale - è provocata dal comportamento dei rispettivi padri, che si sono sistemati con le loro amanti venute dal continente. Questa redistribuzione delle carte è un effetto secondario delle riforme economiche applicate in Cina. La visione che ho del presente è cupa, ma la condivido con i miei contemporanei. Ed è proprio quest'assenza di speranza che mi ha spinto a girare il film.

 

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