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H a n s U l r i c h O b r i s t
Intervista a Tiravanija

It's a Museum in Progress Production

 

From the touring exhibition Cities on the Move - that brought together East Asia, France and Austria - here comes an interview between two of the most famous nomads of contemporary art: Hans Ulrich Obrists - superstar curator of the Nineties, Berliln Biennal included, and Rirkrit Tiravanija, mostly known for having served thai food in a famous New York art gallery.

© Museum in Progress

Due nomadi professionisti, due viaggiatori instancabili: Hans Ulrich Obrist, tra i curatori più brillanti degli anni Novanta – irrequieto organizzatore di mostre da Berlino a Vienna, fondatore di un museo itinerante dedicato a un illustre passeggiatore, Robert Walser, nonché regular contributor to Art Orbit, la nuova scommessa online dell’arte svedese – e Rirkrit Tiravanija, l’artista di origine thai che ha attirato le attenzioni del mondo dell’arte servendo cibo orientale a una mostra di New York, o ancora attraversando gli Stati Uniti a bordo di una roulotte, oppure intasando il traffico viennese con un Tuk Tuk, il tipico taxi-apecar thailandese. A pochi mesi dalla chiusura di Cities on the Move, la mostra itinerante dedicata alla architettura dell’Oriente, presentiamo l’intervista di Obrist a Tiravanija, registrata in occasione della performance tenutasi alla Secessione di Vienna, nel 1997, prima tappa di Cities on the Move. Alla conversazione partecipano anche Hou Hanru, curatore e critico d’arte, e Navin Rawanchaikul, l’artista thai che aveva invitato a esporre sui taxi nel traffico di Bangkok. L’articolo è illustrato da cartelloni cinematografici thailandesi, esposti a Vienna e Lione in occasione del progetto di Tiravanija.

 

Hans-Ulrich Obrist - Iniziamo dal principio: la prima volta che ho sentito parlare del progetto è stato verso la fine dell’anno scorso o all’inizio di quest’anno quando ho ricevuto una cartolina piuttosto strana, impersonale e molto originale allo stesso tempo, firmata da un perfetto estraneo. Come è nato il progetto? Vorrei che mi parlaste di come avete organizzato il lavoro a Vienna, di come vi siete conosciuti, di come avete lavorato insieme. Entrambi, in fondo, avevate già avviato una serie di collaborazioni con diversi artisti.

Rirkrit Tiravanija - Navin e io ci siamo incontrati dopo che lui mi ha telefonato a New York: era di passaggio, stava andando ad Atlanta per una mostra sui giochi olimpici e in quel periodo aveva già avuto l’idea di fare mostre nei taxi. Voleva invitarmi ad esporre in un taxi e allora è venuto a New York, mi ha parlato e io ho accettato. Sono partito per Bangkok alla fine di settembre del 1996: è lì che si svolgeva il progetto taxi. Ma Navin lavorava anche in una piccola città di provincia, a Chiang May, dove aveva organizzato una specie di dimostrazione con una sfilata di Tuk Tuk – i motorini che trasportano i turisti in tutta la Thailandia: aveva coinvolto una compagnia di Tuk Tuk che prestano servizio tra la stazione e la città. Il gruppo era composto da circa venti Tuk Tuk e Navin li aveva invitati a partecipare pensando di esporre qualche lavoro nei motorini.

Era una specie di scultura sociale?

Rirkrit Tiravanija - Sì, era parte di un progetto di scultura sociale chiamato "Chiang May installazione sociale". Il sottotitolo era "Una settimana di sofferenza collettiva", più o meno una performance della durata di una settimana.

Dimmi qualcosa di più sulla galleria/taxi. Quando è cominciato il progetto? La mostra di Rirkrit non era la prima, vero?

Navin Rawanchaikul - No, il progetto è iniziato con una mia mostra, perché mi interessavo già da un po’ al problema di come l’arte si collega alla vita quotidiana, soprattutto a Bangkok con tutto quel traffico infernale; quindi volevo spostare l’arte negli spazi pubblici e studiare le reazioni della gente. Non si trattava di una vera e propria mostra, ma della vita quotidiana della gente. Più o meno un centinaio di estranei, gente che non avevo mai visto prima, hanno aperto la portiera del taxi e si sono ritrovati faccia a faccia con un opera d’arte o con un progetto. E ho cercato di costruire una relazione particolare tra passeggeri e autista. Quindi ho cominciato con il mio progetto e in seguito ho deciso di trasformarlo in una specie di galleria. La seconda mostra, chiamiamola così, l’ho affidata a un artista giapponese e la terza a Rirkrit. Adesso facciamo una mostra all’anno e altri progetti più brevi.

Stai lavorando sul traffico e gli ingorghi? Mi hanno detto che a Bangkok la situazione è così drammatica che alcuni hanno veri e propri uffici in auto, con posta elettronica, fax e tutto il resto. Pare che si passino qualcosa come cinque, sei ore al giorno intrappolati nel traffico.

Navin Rawanchaikul - A dire il vero ho cominciato quasi per gioco, semplicemente perché mi annoiava l’idea di esporre nelle gallerie dove nessuno ti chiede niente. E poi per mettere insieme una mostra dovevo passare almeno due ore intrappolato nel traffico prima di poter installare il mio lavoro. E allora ho deciso di scegliermi uno spazio intermedio, di piazzarmi a metà strada tra la gente e il traffico. E a Bangkok il traffico è un inferno. Naturalmente uso un solo taxi.

È stato il tuo primo viaggio a Bangkok?

Rirkrit Tiravanija - No, è ormai da sei anni che torno regolarmente in Thailandia.

Ma è stata la tua prima mostra?

Rirkrit Tiravanija - Sì, è stato il primo contatto, senza dubbio.

Navin Rawanchaikul - È strano perché Rirkrit è abbastanza famoso in Thailandia grazie agli articoli che escono su di lui, ma quella sul taxi è stata la sua prima mostra.

Hou Hanru - Credi che il pubblico europeo reagisca in modo diverso al vostro progetto? Il contesto è piuttosto distante da quello thailandese.

Rirkrit Tiravanija - Sì, il contesto è diverso ma credo che la differenza più importante – naturalmente parto dalle mie impressioni, da quello che ho visto girando con il Tuk Tuk per strada – sia lo spazio e l’effetto che ti fa il Tuk Tuk quando lo vedi in movimento. Veder passare il motorino è una specie di frattura, di straniamento che ti colpisce quando questo veicolo ti passa accanto e trasporta degli stranieri, quindi un tipo ben particolare di persone. E naturalmente gli altri autisti e la gente che ti passa vicino in macchina, in moto o a piedi si avvicina e ti parla, cerca di scoprire cosa stai facendo. Ed è piuttosto strano perché la gente in effetti riconosce il Tuk Tuk. Siamo andati in un’officina qualche giorno fa per gonfiare i pneumatici e il tizio mi fa: "Ehi, ma questo è un Tuk Tuk, vero?". Ecco, quindi credo che c’è come un ribaltamento delle immagini, le ho selezionate in un posto e all’improvviso compaiono in un altro. Qui c’è un diverso livello di percezione, forse più interessante e quando ci fermiamo, magari in un posto che attira l’attenzione, allora la gente si avvicina ed è come se attirassimo il pubblico in un nuovo spazio, nello spazio di partenza delle immagini. Quindi c’è un diverso livello di coinvolgimento che credo aiuti molto il progetto. Oltre ai video che abbiamo montato sul Tuk Tuk e oltre alle cartoline, credo che un ruolo fondamentale spetti anche all’autista: è un elemento centrale della struttura.

Ho sentito che Niki Lauda guiderà il Tuk Tuk settimana prossima. Navin mi ha mandato un email quando aveva scoperto che la Lauda Air avrebbe trasportato il mezzo e mi aveva detto che avrebbe cercato di convincere Lauda. In effetti è perfetto, il Tuk Tuk è un mezzo molto veloce, no?

Rirkrit Tiravanija - Sì, è una scheggia e si può cappottare facilmente.

Hou Hanru - Il progetto del Tuk Tuk è anche collegato a un video, a una specie di road movie. Come è nata l’idea? State indagando una particolare relazione tra gli asiatici e Vienna?

Rirkrit Tiravanija - Per me questo road movie è semplicemente la registrazione del tempo e dello spazio. E penso al video come una semplice rappresentazione, un ricordo che viene registrato. Ma naturalmente con il progredire del progetto anche il video si è arricchito di nuove prospettive. Mi piace pensare che sia come una terza finestra che si spalanca su questo spazio, che è di per sé già espanso, aperto. È come se ci fosse un altro strato architettonico, creato dal video.

Ma allo stesso tempo avete discusso una specie di sceneggiatura per questo film: è la storia di un ragazzo che guida da Chiang May a Bangkok fino a Vienna.

Navin Rawanchaikul - Volevamo solo collegare il movimento da uno spazio all’altro, collegare i due ambienti. Il Tuk Tuk è un veicolo tipicamente thai. E quando abbiamo iniziato a pensare al cartellone cinematografico, al dipinto diciamo, abbiamo deciso di inventare una storia collegata a Vienna. Abbiamo scritto una storia che include la gente di qui, il mondo dell’arte e la gente in Thailandia: un ragazzo thai viene a Vienna per guidare in giro e conoscere nuove persone; quindi la storia è un semplice collegamento tra due spazi.

Rirkrit Tiravanija - È una storia d’amore: l’autista del Tuk Tuk parte da Chiang Mai, guida fino a Bangkok e da lì parte per Vienna, dove inizia una specie di relazione con una ragazza di Vienna.

Navin Rawanchaikul - All’inizio ha una ragazza anche in Thailandia.

Rirkrit Tiravanija - Sì ma quella è una relazione molto comune: si innamorano e poi litigano. Credo che la narrazione sia semplicemente servita a contestualizzare il nostro lavoro, a spiegare perché il Tuk Tuk parte per Vienna, a giustificarne la presenza in questo spazio.

Hou Hanru - La mostra "Cities on the Move" si sposta in altre località. Farete nuovi progetti? Un nuovo capitolo da aggiungere al film?

Rirkrit Tiravanija - Sì, penso proprio di sì. La narrazione è molto semplice: una storia scarna e naturalmente il protagonista si è imbarcato in una specie di ricerca. Incontra gli altri in un nuovo spazio e gli altri incontrano lui, e con lui un nuovo spazio. È arrivato fino in Europa e vuole guardarsi in giro: ma dove andrà per ritrovare la strada del ritorno? Ecco, credo lavoreremo su questo aspetto.

È una specie di moltiplicazione dei centri, se vuoi.

Rirkrit Tiravanija - Credo che si tratti più che altro di una proliferazione della periferia. Il centro si sposta all’esterno, fuori di te, così almeno la vedo io.

Vorrei chiederti proprio qualcosa a proposito della relazione interno/esterno, soprattutto sull’uso che avete fatto del museo qui a Vienna. Il Tuk Tuk qui diventa una specie di ready made, un ready made aiutato: avete aggiunto monitor, cartoline, scritte e aggeggi vari. Ma allo stesso tempo un altro Tuk Tuk si muove nella vita reale, nelle strade di Vienna e poi ci sono i manifesti, i cartelloni del Museum in progress sparsi per tutta la città. Vorrei mi dicessi qualcosa a proposito di questa relazione con gli spazi extraistituzionali, che ricorda un po’ la rottura delle barriere, un concetto un po’ anni Sessanta e Settanta: la fine delle istituzioni e tutto il resto. Il tuo progetto però, in un certo senso, utilizza almeno in parte l’istituzione. Quando esponi in un museo, fai sempre anche delle operazioni all’esterno, vero?

Rirkrit Tiravanija - È ancora il problema del centro e della periferia, perché tendiamo a pensare all’istituzione Secessione come il vero centro: l’idea prenderebbe corpo nel centro, mentre all’esterno ci sarebbe solo un tentativo, o una forma di impegno. Ma in realtà noi abbiamo lavorato e progettato entrambe le situazioni, cercando di estraniarle entrambe. Abbiamo utilizzato l’istituzione in modo diverso, divertente: invece di portare le cose all’esterno, abbiamo cercato di portare la gente all’interno. Invadiamo la città, cerchiamo di conquistare il pubblico e di riportarlo nell’istituzione. Mi piace credere che noi posizioniamo il nostro lavoro senza creare un vero luogo.

È una specie di oscillazione?

Rirkrit Tiravanija - Sì.

Navin Rawanchaikul - Credo che ci interessi anche trasformare il luogo in una specie di road movie che si snoda tra il nostro lavoro e la città. Ecco perché mettiamo in collegamento l’istituzione e la strada. Durante il giorno giriamo con il Tuk Tuk e la gente ci nota. Quando espongo in un museo cerco sempre di trovare un modo per collegare il pubblico dell’istituzione e la gente comune, quella che affronta la vita quotidiana. Il problema del mio lavoro è sempre stato quello di capire come l’arte si collega alla vita di tutti i giorni. È questo il senso del progetto con il Tuk Tuk o con il taxi. Alcuni credono sia un’idea esotica, invece è solo il tentativo di avvicinare problemi e cose diverse, di collegarle.

Hou Hanru - Fino a che punto credi che si possano mischiare arte e vita? Alan Kaprow parlava di sfuocare il confine tra arte e vita. Credi che ci sia qualche differenza tra le pratiche degli anni Novanta e quelle di Fluxus e simili?

Rirkrit Tiravanija - Direi che noi viviamo in quella zona sfuocata: si muove, ma non puoi vederla, è una zona indefinibile. Viviamo tra due spazi e quindi non puoi distinguerli.

Navin Rawanchaikul - Sì, siamo in movimento, traslochiamo da un punto all’altro.

Hou Hanru - Fino a che punto credi che il Tuk Tuk rappresenti una certa immagine dell’Asia?

Rirkrit Tiravanija - La immagino come una specie di mutazione. Ci sono colori, suoni e odori che sono molto diversi: ma è una mutazione che funziona meglio all’esterno, credo. E in un certo senso quando torna qui, muta di nuovo. Quando torna qui, non funziona più.

"Qui" dove?

Rirkrit Tiravanija - Qui, nel museo, dove la forma è nata: non funziona più perché smette di essere efficiente nella sua inefficienza, che si oppone a un certo tipo di economia. Direi che questa forma, questo flusso può realizzarsi solo in uno spazio che sia costantemente sfuocato, in bilico tra arte e vita. La forma non si può localizzare nell’oggetto: quindi deve essere inefficiente in un certo senso, per indicare che avrà un sviluppo e un altro ancora.

In che modo questo problema trasforma l’oggetto? Qual è la relazione tra processo e oggetto? Qual è lo statuto dell’oggetto?

Rirkrit Tiravanija - Non mi interessa molto l’oggetto in sé, ecco perché i video funzionano da collegamento, rimandano a quella zona sfuocata, indefinibile, tra arte e vita.

Hou Hanru - Facciamo un esempio: per costruire un’immagine dell’Asia avresti potuto portare una Toyota, ma tu hai scelto il Tuk Tuk invece dell’auto…

Rirkrit Tiravanija - Credo di averlo scelto perché è un veicolo poco efficiente. Era questo che mi interessava: a un certo punto sono stato molto intrigato dall’idea che un Tuk Tuk rischiava di non passare il test di sicurezza, di non poter girare sulle strade europee.

È quasi successo, vero?

Rirkrit Tiravanija - Sì, uno dei Tuk Tuk ha rischiato di non passare la revisione. Quando succederà prenderemo un cavallo e gli faremo trainare il Tuk Tuk. E l’oggetto cambierebbe di nuovo in relazione al contesto. Comunque sia, non so quanto durerà ancora, ha passato il primo test per miracolo.

Navin Rawanchaikul - Ogni giorno c’è un nuovo problema tecnico.

È molto interessante quello che dice Hanru: voglio dire, la scelta, il Tuk Tuk invece della Toyota.

Rirkrit Tiravanija - Vedi, la Toyota, dopo tutto, si basa sulla classica Ford modello T. Sono diversi i dettagli, l’asse, gli interni, forse la forma del volante. Il disegno è diverso, è diverso l’ambiente in cui è costruita. Ma, alla fine, deriva ancora dal modello T: ha quattro ruote, ha il motore davanti. Certo ha qualche caratteristica asiatica, giapponese più che altro, perché muta rispetto all’originale e si ripropone in una forma più efficiente del modello americano.

Ed è molto diffusa, vero? Ma anche i Tuk Tuk si stanno diffondendo. Mi dicevi che ora si usano anche in Cina.

Navin Rawanchaikul - Il Tuk Tuk è molto diverso e interessante. Per scegliere quelli adatti al progetto sono stato in varie officine e garage. E in ogni posto ciascuno costruisce un modello diverso, molto simile agli altri ma allo stesso tempo molto personale. Sembrano uguali, ma sono molto diversi: sono costruiti utilizzando vecchie macchine. Si riutilizza il motore, mentre la carrozzeria è creata ex novo, utilizzando pezzi vecchi o addirittura fondendone dei nuovi. A Bangkok le strade sono strette, ecco perché si usano i Tuk Tuk, sono più maneggevoli.

Rirkrit Tiravanija - Un aspetto che mi interessa molto nella struttura del Tuk Tuk è il manubrio, piazzato al centro dell’abitacolo: si può guidare sia sul lato destro, sia su quello sinistro della strada, non importa in che direzione vai. C’è una percezione molto diversa, una divisione tra chi guida a destra e chi a sinistra. Una divisione che il Tuk Tuk scavalca, e così diventa un veicolo più efficiente per certi aspetti. Avevo pensato di importare macchine con la guida a destra e utilizzarle qui, sul lato opposto della strada.

Forse vale la pena di citare quello che ha detto Chitti Kasemkitvatana a proposito della differenza di contesti di cui parlava Rirkrit. Ha detto che a Bangkok l’autista affronta l’inquinamento, qui se la deve vedere con il vento gelido e il brutto tempo.

Navin Rawanchaikul - Sì, perché il Tuk Tuk è uno spazio aperto.

 

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