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M a r i n e l l a G u a t t e r i n i
La danza off limits e il corpo morto di Kazuo Ohno

 

© Marinella Guatterini & Trax

Si può danzare professionalmente oltre i cinquant'anni? Sino a oggi lo hanno fatto molte illustri stelle del balletto classico, suscitando entusiasmi e perplessità perché il luogo comune vuole che la danza sia un'arte destinata a corpi giovani, nel turgore della forza e dell'energia. Ma qualcosa sta cambiando. Sono infatti nate compagnie per interpreti "maturi", ma ancora in grado di sostenere un repertorio di novità create per loro - ed è il caso della singolare e mutevole équipe del Nederlands Dans Theater 3 che ha sede all'Aja - mentre più rari, ma emblematici esempi di attempati performer dimostrano ulteriormente che la danza, quando vissuta come un'esperienza totale, cioè fisica, psicofisica o interiore, può non avere soglie anagrafiche invalicabili.
Se infatti Carla Fracci continua a misurarsi autorevolmente con la scena a sessant'anni (ma nel balletto classico la "longevità" femminile non è mai stata un tabù) e Merce Cunningham solca il palcoscenico a settantacinque anni per "firmare", con il lungo corpo dinoccolato ed espressivo, le sue prodigiose coreografie astratte, Kazuo Ohno, un artista giapponese di novant'anni appan passato in Italia (dal Teatro Comunale di Ferrara e dal Novelli di Rimini), ma atteso nel prossimo luglio per una nuova tournée con il figlio Yoshito Ohno (anche lui comunque over fifty), è forse l'esempio più stupefacente ed emblematico di un'inversione di tendenza che segna il mutare delle prospettive artistiche per la danza del nostro tempo.
Vero è che Ohno, padre della nuova danza giapponese e pioniere del Butoh (movimento teatrale ideologico e impegnato, nato in Giappone negli anni Sessanta, a ricordo della tragedia di Hiroshima) è un artista orientale; le definizioni troppo rigide gli vanno strette. È infatti un mimo e insieme un danzatore che ha fatto tesoro proprio della decadenza del suo corpo "vecchio" per elaborare una poetica e un'estetica della danza poggianti sul concetto di "corpo morto": un corpo sottratto per necessità anagrafiche alle pulsioni e tentazioni della gioventù, non distratto dalle emozioni a fior di pelle. Un corpo neutro, adatto a mettere a fuoco la dialettica dei contrasti più eclatanti come vita e morte, bellezza e bruttezza o, appunto, vecchiaia e gioventù.
Performer che si traveste da bambino e da donna, secondo la tradizione giapponese del teatro Kabuki e dei suoi interpreti en travesti (gli "onnagata"), Ohno ha iniziato la sua carriera artistica quando aveva già superato i quarant'anni. Si era lasciato alle spalle una precedente esperienza di insegnante di educazione fisica in una missione cattolica, la guerra in Cina e in Nuova Guinea e la prigionia in Australia. L'incontro decisivo della sua vita fu con Tatsumi Hijikata, l'altro grande padre della nuova danza giapponese e del Butoh, con il quale mise a fuoco, soprattutto tra il 1960 e il 1966, un linguaggio teatrale a metà tra la danza e il dramma silenzioso che si distinse subito per la brillantezza immaginifica, per il segno irrazionale e la giustapposizione inaspettata degli eventi. Successivamente il Butoh di Hijikata (la parola Butoh è un composto di BU, ovvero parte superiore del corpo, quindi elevazione, e TO, parte inferiore, cioè dalle viscere ai piedi) e quello di Ohno presero strade divergenti.
La danza di tenebra (nota, nelle sue espressioni più radicali, come Ankoku-buto), fatta da corpi discinti, imbrattati di biacca, da larve umane dalle teste rasate che si muovono con esasperante lentezza, in estrema tensione e concentrazione, da zombi inquietanti spogliati della loro umanità, decisi a torturare la propria carne, nel ricordo della devastante tragedia suscitata dall'atomica e a negare il corpo ma per svelarne la bellezza spirituale ed erotica (questo il Butoh di Hijikata) si trasformò con Kazuo Ohno in danza di luce e di rinascita. Tanto è vero che il suo primo successo internazionale, Admiring l'Argentina, del 1977 (debuttò tre anni dopo al festival di Nancy), era dedicato a una grande danzatrice spagnola d'inizio secolo - Antonia Merce, detta "l'Argentina" - che aveva ammirato, diciottenne, dai palchi del teatro imperiale di Tokyo. A distanza di cinquant'anni da quella folgorante visione della sua gioventù, Ohno volle riporporne l'estasi e la malia. Da allora non ha smesso di sviluppare la sua poetica "del corpo morto", né di stupire con la sua maschera di candore e di perfidia, con i suoi piccoli gesti languidi e di trattenuta aggressività (nella sua formazione, solidamente espressionista, spiccano gli studi con una allieva giapponese di Mary Wigman), con gli stupori di virginale fanciulla in amore che potrebbe, però, essere già stata consumata proprio dalle più torbide e devastanti esperienze dell'eros.
Ultima trasformazione di Ohno, in Tenko Chido (The Road in Heaven - The Road in Earth, lo spettacolo che torna in estate): un demone dall'abnorme volto femminile ove si intravvedono i contrasti e i rilievi dell'universo. In questa performance di estatica bellezza quattro aiku giapponesi (brevi poemetti) divengono altrettanti ritratti gestuali simbolici. Kazuo Ohno - demone, geisha e fanciulla liberty con un mazzo di iris - è l'elemento dionisiaco, perturbante, melò ed erotico, Yoshito Ohno è invece incarnazione di un perfetto Apollo orientale che vibra nello spazio e a esso si accorda come un diapason. Il dialogo tra i due artisti è intenso: richiede capacità di concentrazione e di abbandono. Quando si verifica tutto ciò (come al debutto di Ferrara o a Rimini, nel marzo scorso) si ammira facilmente la particolare bellezza della vecchiaia danzante: più bella, nel caso di Ohno e del figlio Yoshito, di molti insipienti gioventù.

"Se vuoi danzare un fiore, puoi mimarlo: sarà un fiore qualunque, banale e per nulla interessante. Ma se poni alla base della tua ricerca la bellezza di quel fiore e le emozioni che evoca nel tuo corpo morto, allora il fiore che crei attraverso la danza sarà vero e unico, e il pubblico sentirà la tua emozione." (Kazuo Ohno)

 

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