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N e a l C a s s a d y
Avventure auto/erotiche

 

Neal Cassady, indimenticabile compagno di viaggio di Jack Kerouac, è scomparso più di trent'anni fa, il quattro febbraio del 1968. Pochi sanno che il re del furto d'auto - l'autista indiavolato e imbottito di benzedrina che guidava per giorni e giorni accanto a Kerouac - è stato anche uno scrittore discontinuo quanto sincero e viscerale. Le sue storie si possono leggere nell'autobiografia incompleta The First Third, pubblicata da City Lights e ancora inedita in Italia, dalla quale abbiamo tratto questo capitolo dedicato allo sport preferito di Cassady: il furto d'auto.

Neal Cassady died more than thirty years ago, on the forth of February 1968. He was mostly known as Jack Kerouac's travelling buddy in On the Road. But Neal Cassady tried being a writer himself: with a dizzy and tentacular prose Cassady told his life story in The First Third, from which Trax has chosen the pages dedicated to car theft, Cassady's favorite pastime.

© the Estate of Neal Cassady & City Lights

Ho fregato la mia prima auto a quattordici anni, nel 1940. Nel ‘47, quando ormai avevo solennemente deciso di rinunciare ai piaceri più emozionanti per celebrare il mio ingresso nell’età adulta, ero arrivato a possedere illegalmente circa cinquecento macchine, contando sia quelle che avevo fregato per un rapido giro e restituito al legittimo proprietario prima del suo ritorno (tipo nei parcheggi), sia quelle rubate e camuffate per poterci scorrazzare per intere settimane.

L’emozione vergine che ti prende al primo furto d’auto – specialmente se non sei nemmeno capace di farla funzionare, e quindi ti ci vuole un bel po’ di tempo prima di telare – ha ovviamente delle terribili conseguenze sul sistema nervoso, sensazione che io in realtà trovavo davvero eccitante. Fu un incontro casuale con un bullo di paese, un mio compagno di scuola, a iniziarmi a questa pratica particolarmente esilarante (benché innegabilmente e tremendamente stupida). Incappammo in una Olds Sedan del ’38 parcheggiata davanti all’ingresso tutto illuminato di un palazzo. Dunque, dovete sapere che quel modello di Olds è una specie di versione imbastardita, diciamo – le Olds erano il modello sperimentale della General Motor: l’accensione, le luci, la radio ecc. non si trovano sul cruscotto – che è invece ricoperto da strani quadranti a forma di corna di toro; e naturalmente queste novità non facevano che aumentare il panico di John e allora tutti i suoi sforzi per accendere l’auto sembravano davvero ridicoli, soprattutto dal mio punto di vista, al sicuro dietro il bagagliaio. Aveva acceso la radio, le luci, tutto praticamente, tranne il motore; comunque, era così nervoso che a un certo punto ti suona il clacson e schizza fuori dall’auto senza nemmeno chiudere la portiera. Quindi fu davvero con una paura genuina – una strizza così forte da farmi credere di essere, insomma, davvero coraggioso – che decidemmo di sgattaiolare di nuovo nell’abitacolo per un secondo tentativo. John non solo sminuì la propria paura, ma mi assicurò che sarebbe stato un gioco da ragazzi e fu solo grazie a lui (e al fatto che, nascosti dietro un grosso albero, aspettammo qualche minuto, assicurandoci che nessuno si facesse vivo per controllare l’auto) che misi assieme il coraggio per schizzare nell’auto e portarla via.

La lasciammo nei paraggi di una caserma nella zona sud della città, dopo aver fuso il motore in un’inversione a U e due soldati ci avevano aiutati a spingerla e il motore aveva tossicchiato un paio di volte ma alla fin fine la batteria era morta davvero e allora abbiamo fatto l’autostop per tornare a casa e siamo arrivati praticamente all’alba, scatenando non ti dico che scenate dei nostri genitori, ma che sembravano niente dopo una bravata come quella di quella notte lì – alla quale avrei ripensato per giorni e giorni finché una mattina, dopo aver servito messa come al solito, avevo adocchiato un bel modello di Mercury, parcheggiata con le chiavi nel cruscotto. Ovviamente, non avendo mai guidato una macchina così potente, percorsi metà isolato sgommando e lasciando giù chissà quanti copertoni prima di capire come tenerla a bada. E, anche se ero un pilota da quattro soldi, so benissimo che non riuscivo a farla smettere di sgommare perché, nonostante lasciassi andare l’acceleratore (a poco a poco, un centimetro alla volta), l’auto era così potente che non bastava decelerare per diminuirne la potenza – ehi, al diavolo, forse ero in quinta, adesso che ci ripenso.

Comunque, la natura erotica del mio incontro con quella Mercury include naturalmente l’esplorazione anatomica della ragazzina, una compagna di scuola, che avevo rimorchiato grazie alla quattroruote: e non credo di aver conservato un ricordo più chiaro, lucido e inebriante dei momenti in cui l’auto schizzava via, meglio: avanzava a balzi passando un semaforo e lasciandosi alle spalle il primo isolato…

 

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