Enigmas del Living Theatre

Dedicato a Julian Beck (1925-1985)

di Carola Savoia

 

© copyright Carola Savoia-ateatro, 2005

 

 

 

Il seguente studio tenta di ricostruire le fasi di creazione e elaborazione dell’ultima produzione teatrale realizzata dal Living Theatre nell’estate 2003 e intitolata Enigmas.

Il lavoro di ricerca qui presentato è strutturato in quattro momenti principali, scanditi dai diversi capitoli: nel primo capitolo si è cercato di delineare la figura del fondatore del Living Theatre, Julian Beck, il quale ha avuto nel corso della storia del gruppo un ruolo di primaria importanza (insieme con Judith Malina) e che ancora oggi, a venti anni dalla sua morte, continua a fornire, attraverso i suoi scritti, le sue opere pittoriche, le tracce che ha lasciato negli animi di coloro che hanno lavorato e vissuto con lui, spunti di riflessione, progetti e idee per nuovi spettacoli, per nuove esperienze. E proprio questo è accaduto per Enigmas, nato da un nucleo di appunti scritti da Beck poco prima di morire. Successivamente si è tentato di esporre i fondamenti di una tematica, o per meglio dire, di un principio che ha sempre accompagnato e ispirato il Living nella realizzazione di numerosi spettacoli e che in Enigmas, più che mai, torna ad avere un’importanza di prim’ ordine: il concetto di rituale.

Nel secondo capitolo si è cercato, invece, di ricostruire con la maggior precisione possibile, nonostante le difficoltà di carattere pratico dovute alla non ottima qualità del documento video su cui lo studio è basato, il testo e le azioni dello spettacolo affinchè il lettore possa avvicinarsi adeguatamente al suo contenuto.

Il terzo capitolo prende in esame da un punto di vista critico i momenti che, a giudizio dell’autrice, possono essere considerati di maggiore interesse, anche in rapporto alle esperienze e agli spettacoli realizzati dal Living nel corso dei suoi cinquanta anni di attività.

L’appendice posta al termine della trattazione, invece, raccoglie una variegata documentazione circa l’ultima produzione del gruppo: l’intervista a Judith Malina e Hanon Reznikov realizzata in in collaborazione con la studiosa del Living Theatre Anna Maria Monteverdi; di seguito viene poi presentata la versione originaria del copione di Enigmas formalizzata da Hanon Reznikov, ma successivamente modificata, in maniera assai consistente, nel corso della fase di creazione collettiva, avvenuta nella sede italiana del gruppo di Palazzo Spinola a Rocchetta Ligure; interessante, a tale proposito, è il diario di lavoro o diario delle prove proposto di seguito nell’ultimo capitolo: in esso si percepisce vivo e presente lo spirito creativo del gruppo, il senso di collettività, l’impronta personale e unica di ogni attore, l’esperienza registica di Judith Malina, il genio letterario di Hanon Reznikov. Infine, l’ultima sezione di questo studio presenta una consistente appendice fotografica sullo spettacolo. La qualità delle immagini può essere discutibile, ma si tenga presente che le fotografie sono state realizzate da fermi immagine del filmato stesso.

 

 

JULIAN BECK, SACERDOTE DI UN RITO

 

 

…E quando Julian Beck, a seguito dell’incontro con Judith, si convinse a fare teatro, ci arrivò da pittore; e i suoi interessi si orientarono, in un primo momento, soprattutto sulla scenografia, come egli stesso affermava: “ anni per abbellire l’immagine”.

La curiosità lo trascinò alla fabbrica di illusioni di Broadway; andava a vedere tutto e in teatro ci entrava con lo stesso spirito con cui entrava in sinagoga; anzi per sua ammissione “vado in teatro invece che alla sinagoga. Non per venerare ma per scoprire la via alla salvezza. Potrei trovare l’esperienza della mia vita.”[1] E una molla che lo spingeva era sempre “ il genio del popolo ebreo (non come nazione) che riconosce il bisogno di santificare la vita attraverso il rituale, il costante ricreare la santità, il genio di desiderare ardentemente l’unità, evocando la presenza di Dio”.

Ma come soddisfare tali esigenze nel mare artificioso e asettico di Broadway? Così Judith e Julian abdicarono al ruolo di spettatori ansiosi ma non soddisfatti, tanto da pensare di promuovere loro stessi il teatro diverso in cui credevano. “Che può fare il teatro? Scendere in Egitto. Dagli schiavi.” Scriveva Beck, che scelse così di rivestire i panni di un teatrante-sacerdote e di predicare l’Anarchia come sua religione; egli ne recuperò le formule note, i rituali e ne adottò il linguaggio. E con i toni e il vocabolario di un profeta, con gli accenti ineluttabili dell’oracolo, il patriarca del Living dissertava; il suo fraseggiare conosceva il lirismo, le iterazioni, l’enfasi, l’eccessività, il procedere ellittico, l’ oscurità dei salmi.

L’investitura di Beck a interprete sacrale ritorna anche negli spettacoli e come egli stesso scriveva: “Io, noi andiamo a teatro, come facciamo quasi di certo, per cercare salvezza, proprio come una congregazione religiosa che si raduna in templi, chiese, moschee. L’attore svolge la funzione del sacerdote e deve quindi guidarci in una cerimonia che conduce verso il successivo evolversi dell’umanità, e non sempre più in fondo, entro i metodi fallimentari di una civiltà in fallimento.”[2]

Il rituale diventa quindi, per il Living, un mezzo attraverso cui percorrere la via della trascendenza; la ripetizione (ma non solo) di un’ azione, di un gesto, di un canto permette all’anima di staccarsi dalla realtà, di volare via e raggiungere una qualche superiore forma di comprensione. Si verifica, insomma, una sorta di trance che non è da intendere come un oscuramento delle facoltà intellettive, ma al contrario, un’ illuminazione della mente sulla conoscenza superiore. Il rituale permette di aumentare il proprio grado di consapevolezza nella ricerca della verità.

E in Enigmas proprio la ricerca della verità, il tentativo di raggiungere un grado superiore di conoscenza, verso la salvezza (l’obbiettivo è, infatti, ottenere risposte agli enigmi che la vita ci pone), è il filo che si snoda nel corso dell’intero spettacolo, sotto la guida della figura dell’attore-sacerdote che impersona Julian Beck. Potremmo dunque sottolineare come l’ultima produzione del Living metta in pratica più che mai, sebbene seguendo, con ogni evidenza, la scia di creazioni passate, il rituale come mezzo di esperienza collettiva che conduce alla verità.

Il rituale, come accennato poc’ anzi, ha molto a che fare con la ripetizione, ma non sempre si limita ad essa: ci sono rituali, ad esempio, che consistono in una singola azione che possiede un certo livello di astrazione dato dal ritmo, o dalle implicazioni dell’azione poetica stessa, o dal modo in cui gli attori ed eventualmente gli spettatori vi prendono parte, o da altri mezzi quali le luci e la musica. E attraversare questa rappresentazione astratta induce trance che, afferma Judith Malina, “non significa chiudere gli occhi e non sapere più dove ci si trova, ma piuttosto aprire gli occhi e comprendere finalmente dove ci si trova”[3].

Nei Mysteries[4], ad esempio, vediamo Beck starsene seduto sul palco con le gambe intrecciate all’indiana a scandire ieraticamente i versi-slogan-orazioni degli street-song di McLow, ritmicamente ripetuti dal coro degli altri attori e del pubblico, alla maniera di una liturgia cristiana o di un mantra; e nella scena successiva è ancora lui che riunisce gli attori in cerchio per liberarsi religiosamente in un altro unisono monodico. E la medesima scena dell’accordo armonico ritorna nell’ultimissima parte di Enigmas, dove l’attore che impersona Julian Beck (che diventa, durante lo spettacolo, presenza viva e polo magnetico attorno al quale il Living si muove e agisce) assurge a officiante del rito colletivo. Egli è dunque il sacerdote che conduce compagni e spettatori attraverso l’impervio sentiero dell’“enigmatico viaggio”.

“Non potrei mai negare - afferma Judith Malina - che tutto il nostro teatro sia rituale. In Paradise Now la forma rituale era visibile molto chiaramente. Ma anche Metodo Zero è un rituale dall’inizio alla fine. Questo perché usa costantemente simboli e segni che si riferiscono alla realtà, ma per rappresentarla attraverso delle azioni che sono più emblematiche che realistiche. In questo consiste la forma rituale.”[5] Evidente è dunque il rapporto che lega l’ultima produzione del Living con numerosi spettacoli precedenti (dove forte era la presenza del rituale); in modo particolare sono assai numerose le analogie con Mysteries and Smaller Pieces, in cui delle azioni ripetitive, ritualistiche, piene di simboli evocativi non del tutto comprensibili, non contengono una storia da raccontare, ma sono il tentativo, attraverso il rituale drammatico, di trovare una qualità redentrice della nostra vita. In Mysteries è chiaro il riferimento ai misteri medievali e ancora prima a quelli delfici e greci. “Si tratta di forme molto differenti, che contengono però molti elementi simili, individuabili a partire dall’etimo della parola: misteri. Gli uni e gli altri hanno a che fare in realtà con la redenzione. I primi si svolgevano in una piazza, la pubblica piazza medievale: con il cielo da un lato, l’inferno dall’altro e la terra nel mezzo, e quindi le peregrinazioni dell’anima verso i pericoli dell’inferno o la redenzione del paradiso. E nei misteri greci c’erano le sacerdotesse officianti sui tripodi, che inalavano i vapori esalati dalla civiltà terrestre e davano sentenze visionarie, poetiche, soprannaturali; oppure si traevano gli oracoli dalle viscere di animali immolati. Anche in questo caso si trattava di un percorso verso la redenzione e la trascendenza, anche se il concetto di paradiso e di inferno ancora non esisteva, perché l’Olimpo e il regno di Persefone non erano certo la stessa cosa. Ma dove sta allora la somiglianza? Sta nel raggiungimento della redenzione attraverso i misteri e attraverso pratiche solo parzialmente esplicabili, attraverso un’ attività drammatica che prevede l’incontro di qualcuno con il mistero, con l’ insondabile e l’ignoto, il desiderio e la paura…”[6]

Sia in Mysteries sia in Enigmas, dunque, non è la trama a strutturare il percorso, ma un collage di formule e riti tesi al raggiungimento di un livello superiore di consapevolezza; la mente si apre a uno stato di trance (al quale si arriva, come descritto, sia mediante la ripetizione di formule e gesti, sia attraverso un processo di astrazione della realtà) e intraprende un viaggio verso la salvezza.

E in Enigmas, forse più che in qualunque altro spettacolo realizzato dal gruppo, appare evidente da subito l’incontro con l’insondabile e con l’ignoto; e solo attraverso pratiche misteriose e domande insolute si verifica la possibilità della redenzione. E a tale proposito Julian Beck scriveva: “Il teatro fa paura perché ha a che fare con i misteri e le domande misteriose. Per secoli il teatro ha chiesto: chi siamo da dove veniamo dove andiamo.Ora domanda: che cos’è dove sta andando cosa si può fare cosa sto facendo con la mia vita in questo momento in cui il genio collettivo dell’umanità deve rispondere alla domanda: come può soppravvivere il nostro pianeta?”[7]

E potremmo concludere osservando come il Living Theatre, con la sua ultima produzione, abbia cercato di portare a conclusione un percorso intrapreso dal gruppo cinquant’anni fa e teso verso il raggiungimento della salvezza, prediligendo l’unica pratica possibile, il rito per l’appunto, nel tentativo di staccarsi dalla piccolezza a cui la quotidianità costringe ognuno di noi e avvicinarsi alla soglia della verità. Significative appaiono dunque le parole dello stesso Beck: “Crediamo in un teatro come luogo di un’esperienza intensa tra sogno e rituale, nel corso della quale lo spettatore arriva a una comprensione intima di se stesso, che vada al di là del conscio e dell’inconscio fino alla comprensione della natura delle cose. E ci sembra che solo il linguaggio della poesia possa arrivare a questo: solo la poesia o un linguaggio carico di simboli e molto distante dal nostro linguaggio quotidiano può condurci al di là del presente che non ha la chiave della conoscenza di questi regni”.[8]

 

 

II. RICOSTRUZIONE DELLO SPETTACOLO

 

Enigmas” è una creazione collettiva di Christian Vollmer, Craig Peritz, Debora Mattiello, Gary Brackett, Hanon Reznikov, Ilaria Lorusso, Johnson Antony, Judith Malina, Maria Nora, Mark Pujol, Mattias Kraemer, Pina Ascione, Stefano Striano, Paola Della Ratta, Tom Walker.[9]

 

 

PROLOGO. JULIAN AFFRONTA L’ENIGMA.

 

Gli attori sono sul palcoscenico e, nel buio totale della sala, emettono dei suoni inarticolati; sono suoni vocalici e consonantici, dapprima quasi sussurrati e distinti temporalmente l’uno dall’altro, poi emessi con un tono di voce sempre più alto. La durata di tale azione è di circa tre minuti e mezzo. Allo scadere del terzo minuto, incomincia ad alzarsi una luce dal fondo che aumenta a mano amano di intensità. La luce, dapprima debole e verdastra, diventa sempre piu forte e, illuminando gli attori dal fondo della scena, ne disegna le sagome scure. Essi sono seduti sul palco, inginocchiati ed accovacciati, con lo sguardo rivolto verso il pubblico in sala; sempre immobili nelle loro posizioni, aumentano progressivamente la frequenza ed il volume delle emissioni vocaliche, fino al raggiungimento di un apice sonoro costituito da un urlo collettivo. Poi è silenzio ed il palcoscenico e la sala tornano nel buio totale per qualche secondo.

Intorno al quarto minuto e mezzo di spettacolo, gli attori riprendono ad emettere suoni, questa volta , però, di tipo gutturale. Ancora una volta i suoni aumentano di frequenza e di volume; viene raggiunto nuovamente un climax, durante il quale ogni elemento del gruppo produce, attraverso la voce, rumori di tipo diverso: c’è chi sibila, chi grida, chi accenna un canto, chi si lamenta. Successivamente, a partire da questo apice sonoro, si genera un accordo vocalico della durata di qualche minuto. Intanto la luce dal fondo diveta nuovamente più forte e più chiara.

Allo scadere dell’ottavo minuto circa, un attore, completamente coperto da un mantello nero, procede lentamente dal fondo della platea verso il palcoscenico, lungo il corridoio centrale, mentre gli altri attori, ancora fermi nella posizione iniziale, lo accompagnano con l’accordo vocalico.

L’attore coperto dal mentello nero rappresenta (in questo momento dello spettacolo) Julian Beck. Egli, giunto in prossimità del palco, si ferma rivolto verso i compagni, che rappresentano il coro. Essi, ancora seduti ed inginocchiati sulla scena uno accanto all’altro, ma protesi con il corpo e con lo sguardo verso lo spirito di Julian, domandano:

 

CORO: “Qual è il senso?”

 

A questo punto l’attore-Beck risponde loro, indicando con la mano il pubblico:

 

BECK: “La chiave sono loro!”

 

Gli attori che rappresentano il coro, con gli occhi rivolti verso la platea e un’ espressione di stupore e di sorpresa, lentamente si alzano e scendono in sala, tra il pubblico. Nel frattempo l’accordo vocalico, che fino ad allora è stato mantenuto vivo da alcuni attori accompagnando l’azione, termina improvvisamente.

 

JULIAN: “Il sogno è nella magia della sua forma, nel teatro, nella luce.”

 

CORO: “It’s a cancer. Julian after sixty years sees the dark.”

“E’ un cancro. Julian dopo sessanta anni vede il buio.”

 

JULIAN: “The light, yes, yes,..”

 

Buio.

 

Luce.

 

JULIAN: “To be or not to be?”

 

CORO: “Essere…”

 

Buio.

 

CORO: “O non essere?”

 

Luce.

 

JULIAN: “The light, la luce, sì, sì…

Essere o non essere?”

 

Buio.

 

CORO: “Julian morì.”

 

La luce aumenta progressivamente. Lo spirito di Julian Beck è scomparso.

 

CORO: “ Ci ha lasciato qualcosa!

Ma cosa ci ha lasciato?”

 

Gli attori che rappresentano il coro velocemente salgono sul palcoscenico e si dirigono verso il fondo della scena dove un telo nero è adagiato a terra. Due attori lo raccolgono, mentre gli altri si dispongono uniformemente in posizioni statiche tutt’ attorno, protesi e incuriositi verso il telo nero. Ognuno di essi pronuncia parte dell’ultima battuta del quadro, mentre lo striscione viene lentamente aperto verso il pubblico; una scritta a grandi lettere di colore rosso si rende evidente, mentre gli attori si rivolgono, pronunciando tutti insieme la parola “enigma” verso il pubblico. Poi è buio totale in sala e sul palco.

 

CORO: “ Before our light goes out

Prima che la nostra luce svanisca

For the last time

Per l’ultima volta

To find out

Per capire…

…Enigma!”

 

 

 

 

L’ENIGMA DEL PUNTO O L’UNITA’: TEMPO- SPAZIO

 

 

Un attore, nella zona destra del palcoscenico, viene illuminato dall’alto da una luce bianca. E’ in piedi con il braccio destro teso verso l’alto e lo sguardo fisso. Molto lentamente, con gesti quasi impercettibili, inizia a spostare il peso del corpo in avanti. Sempre lentamente, mentre il braccio destro scende rigido perpendicolare al corpo, egli piega le ginocchia abbassandosi fino a toccare terra; dapprima, raggiunto il suolo, si gira con il viso verso l’alto inarcando la schiena e poi si dagia sul fianco sinistro in posizione fetale. L’azione della caduta dura circa cinque minuti.

Gli altri attori, intanto,sono inginocchiati nella parte buia del palcoscenico, rivolti verso l’uomo che cade. Essi nell’oscurità sperimentano l’uso della voce creando suoni che non rientrano nell’usuale gamma sonora. Principalmente emettono suoni acuti e continui. Non appena l’attore-che-cade si rannicchia a terra in posizione fetale, la luce diventa forte e bianca, ad illuminare tutto il palcoscenico, e inizia un canto molto ritmato (costituito da quattro movimenti) che scandisce il tempo. Durante il primo movimento, il più lento, gli attori-coro si alzano da terra e, distribuendosi uniformemente sul palco, prendono una posizione (in piedi) che mantengono per qualche istante (freeze), mentre pronunciano la seguente battuta:

 

CORO: “The starting point is always a point

Il punto di partenza è sempre un punto

A single point in time and space

Un singolo punto nel tempo e nello spazio

The point is here and now

Il punto è qui e ora

Here and now”

 

Riprende il canto ritmato che scandisce il tempo (che viene tenuto dagli attori battendo i piedi a terra). Il tempo più lento vede gli attori ancora immobili, ma al ritmo del secondo, del terzo, del quarto movimento (che sono progressivamente più veloci) tre attori lentamente cadono a terra. La luce si abbassa e si colora di verde e di blu. Riprende nuovamente il canto: durante il primo tempo gli attori sono fermi, ma il secondo movimento li vede ancora una volta prendere nuove posizioni: durante il freeze (acuni istanti di immobilità) recitano ancora:

 

CORO: “The starting point is always a point

Il punto di partenza è sempre un punto

A single point in time and space

Un singolo punto nel tempo e nello spazio

The point is here and now

Il punto è qui e ora

Here and now”

 

Riprende il canto ritmato. Il secondo, il terzo, il quarto movimento scandiscono delle azioni violente che alcuni attori esercitano sui compagni. Questi ultimi, aggrediti, cadono a terra privi di vita. Il canto rallenta nuovamente il ritmo, ma le uccisioni, le cadute, le morti continuano ad essere eseguite sul palcoscenico, finchè, raggiunta l’immobilità, alcuni attori rimasti in piedi pronunciano le loro battute (che sono i loro enigmi), poi muoiono e cadono anch’ essi a terra.

 

 

CORO: “Perché voi, perché noi, perché qui?”

Is it true that the black and white are fighting colours? Why are they fighting? Fighting colours!”

Posso considerarmi responsabile per te e non perdere la mia autonomia?

Come è possibile essere intelligenti e ricorrere sempre alla guerre?

Dove è il punto?”

 

Un attore inginocchiato a terra sul palco con il braccio destro teso verso l’alto (è il medesimo attore protagonista, all’inzio del II quadro, della scena della caduta) inizia a compiere dei gesti con le braccia e con le mani, con i quali sembra voler tirare fouri dalle proprie viscere, dalla propria bocca qualcosa e porgerlo agli altri attori seduti e inginocchiati immobili sul palco. Questi ultimi accolgono il messaggio lanciato loro e, animandosi, rispondono fisicamente allo stimolo. Essi sembrano voler afferrare, ingoiare, stringere tra le mani quello spirito, quell’alito vitale che è uscito dal corpo del compagno, verso di loro. Poi si contorcono, si agitano, si lamentano, ridono, gridano, producono con la bocca un sibilo continuo, sempre con lo sguardo rivolto verso l’attore che ha generato la comunicazione, come incantati da quest’ ultimo. Alcuni si alzano, camminano sul palcoscenico, cercando un contatto (anche fisico) con i compagni ed emettendo con la voce suoni di vario genere (lamenti, sussurri, gemiti, sibili, risate…).

La luce si abbassa e diventa verde. Gli attori sul palco continuano a contorcersi, a ballare, ad interagire gli uni con gli altri e, muovendosi liberi da schemi, legano i loro corpi gli uni agli altri, in flusso continuo ed omogeneo. Uno di essi, intanto, inizia a suonare un’armonica e a provocare, con tale strumento, un suono ininterrotto. Non c’è alcuna melodia. Gli altri attori continuano l’azione sul palco, finché, ad uno ad uno, scendono in platea e, chi con la voce, chi con l’armonica, intonano un accordo sonoro della durata di circa sei/sette minuti. Esso raggiunge poi un apice di intensità durante il quale gli attori, che si muovono nel buio della sala, avolgono con la musica, coinvolgendolo, il pubblico. Successivamente un attore, appostato sotto il palcoscenico, debolmente illuminato da una luce bluastra, pronuncia una battuta in inglese; gli fa eco un’attrice che, dal lato opposto del palco, ripete le medesime battute in italiano.

 

CORO: “In the morning movement is linear, in the afternoon circular, in the evening

pendular, at night it slides backwards and in the grey dawn briefly at 5:03

for a second it becomes a point, motionless.

Al mattino il movimento è lineare, nel pomeriggio circolare, la sera

pendolare, di notte procede a ritroso e nell’alba grigia brevemente alle 5:03

per un secondo diventa un punto immobile.”

 

Altri due attori, nascosti nella penombra della platea, recitano la loro battuta, sempre nelle due diverse lingue.

 

CORO: “E’ questo il punto.

This is the point

 

Art is radiant, death is an imaginary point that vanishes into a line at 5:04

L’arte è radiante, la morte è un punto immaginario che si dissolve in una

linea alle 5:04.”

 

 

L’ENIGMA DELLA LINEA O DUALITA’: IL SIGNIFICATO E IL NULLA.

 

Buio totale, in sala e sul palco. Dopo qualche istante delle deboli luci rossastre illuminano gli attori, uniformemente distribuiti nei vari settori della platea. Essi, per qualche minuto, eseguono il medesimo gesto: l’attore che parla sembra voler tirare fuori dal proprio corpo una corda immaginaria e la porge ad un compagno; quest' ultimo accoglie il messaggio tirando verso di sè la fune immaginaria, mentre continua la battuta iniziata dal compagno. L’azione viene ripetuta finchè tutti gli attori, coinvolti a due a due, vengono animati dal movimento. Si crea così una catena di comunicazione.

 

CORO: “Bene,

allora

di che cosa

si tratta

è dentro

o fuori

e quando

saremo rinati

come

saremo diversi?

Bene

allora

di che cosa

si tratta

è fuori

o dentro

e quando

saremo rinati

come

saremo diversi?

 

Dopo qualche istante la luce si fa progressivamente più chiara e gli attori, che si trovano ancora sparsi in mezzo al pubblico, iniziano a pronunciare (tutti contemporaneamente) dei monologhi tratti da testi di varia natura (romanzi, raccolte poetiche, testi teatrali, elaborati personali, canzoni popolari…) e ad agire ricercando il contatto, il coinvolgimento fisico del pubblico. L’azione, inoltre, prevede dei momenti in cui tutte le voci degli attori si sovrappongono (si raggiungono, infatti, nel corso della scena, vari picchi sonori), disorientando così l’attenzione degli spettatori, e dei momenti in cui viene lasciato lo spazio, ad ogni singolo attore, di recitare il proprio pezzo, la propria battuta chiave (i compagni parlano sottovoce, rallentano il ritmo di azione). Molto è lasciato all’improvvisazione. Questa fase dello spettacolo ha una durata di circa dieci minuti.

 

Johnson: “despite the fact that millions of you wonderful viewers throughout the nation

are listening to this wonderful broadcast, I thank you for your concern and

sympaty in our hour of peril. I primarily want to concentrate my attention

and address those remarks solely for the benefit or our departed near friends

who may be listening to the sound of my voice.”[10]

 

Debora: “ Dove sei? Non ti sei mai accorta che ti svegliavi ogni mattina, ogni giorno

perché te ne sei andato lontano per smaltire un carico di macerie…”

 

Mattias: “Absolute energy, allora, arte, amore, ascoltiamo, aspettiamo, azione,

arrivederci…”

 

Pina: “Bonjour madame, io mi chiedevo, come dire…siete onesta voi? Vi ho chiesto se

siete onesta. E bella?”

 

Ilaria: “Ascolta. Come un frutto di parole che soffia dalla pelle, come un sogno le cui

fragili vesti cadono dal corpo della morte e alla fine arriva la resurrezione

Mr Shuzle!”

 

Tom: “This evening I destroyed many of my paintings and drawings, over fifty of

Them. I feel clean and a little startled. This is the first time in my life that I have

Ever been able to destroy my own work… I think now that I shall be able to

Destroy more that I’m not now able to destroy and that in the future I shall be

Able to destroy what is no good.[11]

 

Un attore canta una canzone popolare spagnola. Tutti insieme. Apice sonoro.

 

Paola: “Il generale ci ha detto, col dito nel buco del culo…”

 

Gary: “Sono Dio, il vero Dio…”

 

Paola: “…il nemico è di là, andate!”

 

Gary: “…sono un fan di Dio, sono Apis[12]

 

Paola: “…era per la patria…noi siamo partiti”

 

Gary: “…sono un egiziano, sono una pellerossa”

 

Paola: “…la patria l’abbiamo incontrata, con il dito nel buco del culo!”

 

Gary: “…sono un negro, sono un uomo cinese, sono un giapponese”

 

Paola: “ …ci ha detto morite o salvatemi, col dito nel buco del culo!”

 

Gary: “ …sono uno straniero, sono un inconoscibile”

 

Paola: “…col dito nel buco del culo!”

 

Apice sonoro. Tutti insieme.

 

Gary: “ …sono un uccello del mare, sono un uccello della terra!”

 

Pina (cantando): “ Come è bello il vino…rosso, rosso, rosso! Come nel mattino, come

dentro un fosso!”

 

Stefano: “ ma io che sono colui che sta parlando, cosa sarò domani, il misterioso, il

morto, l’abitatore di un magico e deserto mondo, senza prima, né dopo, né

quando, chiedo di bere il tuo cristallino oblio. Essere, però non essere mai

stato.”

 

Debora: “ l’ho vista io! L’ho amata in inverno e ho pianto. Il suo corpo è freddo.

Tua figlia Fonestrena è morta, sì…”

 

Apice sonoro. Tutti insieme.

 

Johnson: “ A bird flies. Slavery is abolished. The word is teeming: anything can happen.

Sound movement. The telephone rings. Each person is in the best sit. War

begins at any moment.”[13]

 

Mattias: “ Down direction, d’ oro…”

 

Ilaria: “Io voglio lavorare a uno di quei treni, non voglio concludere false automobili e

non voglio nemmeno vendere vestiti!”

 

Un attore canta una canzone popolare spagnola. Apice sonoro.

 

Paola: “…abbiamo comprato le case col dito nel buco del culo!”

Debora: “ Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale ed ora il nostro tempo

è vuoto.”

 

Mattias: “ Italia, Ilaria, isola, incompleta, immaginazione, Inter- Milan, Inzaghi,

importante…”

 

Craig: “ It’s dark out, Jack! The stations out there don’t identify themselves.”

 

Johnson: “[…]”

 

Apice sonoro. Gli attori parlano tutti insieme mantenendo un volume di voce molto alto. Uno di essi canta una canzone spagnola. L’intensità delle emissioni vocaliche si abbassa muovamente per permettere ad alcuni attori di recitare le proprie battute.

 

Debora: “ Dicono basta! I muri non sentono, pochi bambini hanno le orecchie premute

contro le lamiere.”

 

Stefano: “ ma io che sono colui che sta parlando, che cosa sarò domani, il misterioso, il

morto, l’abitatore di un magico e deserto mondo senza prima né dopo né

quando, chiedo di bere il tuo cristallino oblio. Essere, però non essere mai

stato.

 

Mattias: “Napoli, Nora, non nasconderti, Nagasaki…”

 

Ilaria: “ Mr Johnson!”

 

Apice sonoro. La voce di un attore che canta una canzone popolare spagnola spicca sulle altre.

 

Paola: “ Chi è morto la sotto? Bismarck col dito nel buco del culo!”

 

Christian: “ La morte è il non poter comunicare!”

 

Apice sonoro. Tutti insieme.

 

Tom: “ Still can’t adjust to a lifetime’s lack of time.”

 

Gary: “ Why not, dear? Già l’uccello terrificante così scuro e silente…”

 

La luce si abbassa gradatamente. Buio in sala e sul palco. Un attore, nascosto nell’ombra della platea, recita alternativamente in italiano ed in inglese frammenti dell’Amleto di Shakespeare. Il palcoscenico, intanto, viene illuminato da un occhio di bue solo nella zona centrale, dove è stato eretto un telo nero (tenuto teso da due attori mediante asticelle di legno); gli attori (che sono nascosti nella parte buia del palco) entrano a turno nel cerchio di luce e mimano azioni di vario genere (ossia: ridere, ballare, aggredire, uccidere, pregare, meravigliarsi, scappare, correre, trascinare, cantare, salutare, baciarsi, arrabbiarsi, chiedere aiuto, sorreggere,…). La luce delimita il raggio di azione. Il rumore di una pellicola, che scorre a vuoto in un vecchio proiettore, accompagna il carosello, mentre l’attore- narratore continua a pronunciare il suo monologo. L’azione dura circa cinque minuti.

 

CORO: “Ci vuole qualcosa di più di una fantasia, tempo, illusione, parlami, parlami,

oh! E’ tempo che parli!

Allora, ditemi voi, chi fabbrica più forte del muratore, del carpentiere o del

falegname? Il becchino! Le case che fa lui durano fino al giorno del Giudizio.

Tutto ciò che vive deve morire, passando dalla natura all’eternità. Le

circostanze inquinano, io scoprirò dove è nascosta la verità , fosse anche

nascosta nel centro della terra.

How noble in reason, how infinite in faculties. In form and moving, how

espress and admirable. In action how like an angel, in apprehension, how like a

god.

Cos’è un uomo se deve impiegare tutto il suo tempo solo a dormire e a

nutrirsi? Una bestia, nient’ altro! Certo colui che ci fece con un’ indolenza così

vasta, capace di guardare il prima e il dopo, non ci chiede cosa hai fatto, e

libera la gioia perché ammuffisse in noi senza essere usata, certo il senso che

non è, è un mezzo per farci vedere il movimento, certo questi sensi sono

paralizzati: occhi senza tatto, tatto senza vista, orecchie senza mani e gli occhi

impolverati senza niente. E ora sono brame di inno alla gioia che come dolce

campagna rompe gli acri, strisce fuori tempo e quella forma impareggiabile,

quel ritratto di gioventù fiorente alla ricerca di non appassire, qualcosa nella sua

anima su cui siede covando la sua malattia.

[…]

Così la faccenda ci rende tutti importanti. Io non penso niente, non ho visto

niente, niente!

Sono parole che non appartengono a te, manterrai sempre le promesse. C’è

molta musica, una voce eccellente in questo piccolo organo, parole, parole.

Mi sono perso dentro e chiuso nella memoria e tu stesso ritroverai la chiave

e riecco lui stesso faccia quello che può.

Il gatto miagolerà, e il cane avrà il suo giorno.”

 

L’attore che impersona Julian Beck, con il capo coperto da un mantello nero, entra nel cerchio di luce e, volgendo le spalle al pubblico, con il braccio destro abbassa il telo nero che fungeva da sfondo durante l’azione e dietro scopre dei corpi distesi a terra, privi di vita. Una ragazza grida l’ultima battuta dell’Amleto (atto V, scena II. La battuta è pronunciata, nel testo di Shakespeare, da Fortebraccio):

 

CORO: “Sollevate quei corpi! Uno spettacolo come questo si addice ad un campo di

Battaglia, ma qui è del tutto improprio. Avanti, che i soldati sparino!”

 

Nel frattempo alcuni attori sollevano e portano in processione, fino al limite del palcoscenico, il corpo di un compagno morto, poi lo ripongono nuovamente a terra. Si sente uno squillo di tromba. Buio totale in sala e sul palco.

 

 

 

 

L’ENIGMA DEL PIANO O TRINITA’: PRIMA, ORA E DOPO.

 

 

Si sente il suono cupo di strumenti australiani chiamati “digeridoo”. Tom Walker, l’attore che in alcuni momenti dello spettacolo ha impersonato Julian Beck, ora rappresenta Picasso intento alla creazione di un’ opera. Essa è viva ed esce prepotentemente dalla testa del pittore; nel buio si sentono dei lamenti, dei versi quasi inumani. Una debole luce di colore blu illumina il palco e scopre l’attore- artista modellare i corpi dei suoi compagni in posizioni plastiche. Il tableau vivant, attraverso i gesti di Picasso, prende progressivamente forma. Egli, contemporaneamente, pronuncia le sue battute:

 

PICASSO-BECK: “ Di cobalto, sì…

Bianco d’ argento, silver light

Poi, un colore della terra, un uomo distrutto, mostro di guerra,

carbonato di piombo,

una donna, madre, sorella, figlia, terra, donna naturale,

tristezza, sofferenza…soldato!

Morte lì, morte! Lacca, scià di Persia, donne innocenti,

vedo bruciare, all’ultimo momento, l’alba di cromo aranciato,

yellow, red, fire!…ma…non è finito?

 

La luce si fa via via più forte e colora il fondo di verde e di rosso. Alcuni attori (che si trovavano in platea) salgono sul palcoscenico portando con sé persone del pubblico a cui è stato chiesto quali elementi debbano essere aggiunti alla composizione di Picasso perché possa essere considerata completa; alcuni propongono di comprendere nel tableau la disperazione della solitudine, altri il metallo, altri le pietre e le macerie, altri le energie, altri ancora il sangue, ed infine alcuni propongono al pittore di non dimenticare la buona speranza. Guidati, anzi plasmati dall’attore- Picasso attori e pubblico prendono posizione nella grande opera vivente, che si sviluppa occupando quasi tutto il palcoscenico. Essa ha anche una componente sonora. Gli attori che vi prendono parte, infatti, accompagnano la creazione con rumori provocati mediante la voce.

 

CORO: “No! Non è finito! Manca la disperazione della solitudine!”

 

PICASSO-BECK: “Manca la disperazione, la disperazione della solitudine… è vero!

Bianco, oro, argento…”

 

CORO: “Manca il metallo!”

 

PICASSO-BECK: “Metallo, sì… nero d’amore, più bianco, silver light, rosso… sì!”

 

CORO: “Mancano le pietre e le macerie!”

 

PICASSO-BECK: “ Mancano le pietre e le macerie… grigio, bianco e nero… blu di Prussia…”

 

CORO: “ Mancano le energie!”

 

PICASSO-BECK: “Energie… rosso, vermiglione cinabro…”

 

CORO: “ Maestro, manca il sangue!”

 

PICASSO-BECK: “ Il sangue, sì… il sangue…”

 

CORO: “ Manca la buona speranza!”

 

PICASSO-BECK: “ La buona speranza, sì… Bianco, nero, grigio…

Una goccia di luce verso l’orizzonte… più celeste, verde…il giallo di Napoli, sì, si…

Sì! Ora è completo!”

 

 

L’operazione di composizione dura circa cinque minuti. Poi alcuni attori, sempre immobili nelle loro posizioni, pronunciano le loro battute, mentre i suoni inarticolati ripetuti ritmicamente dai compagni continuano ad accompagnare l’immagine del tableau.

 

CORO: “ La vita è un sogno che continuamente svanisce nel tempo.

Sappiamo che non abbiamo molto tempo prima di doverci confrontare con la

Sfinge. Lei ci porrà la domanda. Dobbiamo conoscere la risposta. Ma non

Possiamo conoscerla fino a quando non sapremo qual è la domanda!”

 

Improvvisamente gli attori tacciono, ponendo fine al suono che (provocato dalle loro voci) accompagna il tableau vivant. L’attore-totem della composizione pronuncia una battuta a cui fa eco il coro:

 

CORO: “Queste sono tre cose silenziose: la neve che cade, l’ora prima dell’alba, la bocca aperta di qualcuno appena morto.

Quando saremo rinati, come saremo diversi?”

 

 

 

 

L’ENIGMA DEL CAMPO O IL QUADRUPLO:

LA PERFEZIONE = DUALITA’ QUADRATO

 

 

Il tableau si scioglie. Gli attori scendono in paltea. In pochi istanti si distribuiscono uniformemente in tutta la sala, che, dapprima immersa nel buio, viene progressivamente illuminata da una luce lievemente rossastra. Gli attori, per mezzo di lunghi nastri di raso rosso, dividono la platea in settori, creando una griglia cartesiana appena sopra le teste degli spettatori.

 

CORO: “ Il vaso di Pandora.

La cosa misteriosa che continua a riapparire

avvolta e legata, ma respira

come Proteo capace di cambiare forma, ma sempre legata e avvolta.”

 

Gli attori, tenendo strette in mano le cime dei nastri, si muovono ripetutamente da destra a sinistra, lungo i quattro corridoi che circondano la platea, elencando una serie di enigmi. La griglia cartesiana si muove sopra le teste degli spettatori.

 

CORO: “ L’enigma del teatro

L’enigma degli agenti investigatori di Rouen

L’enigma di Eva

L’enigma dell’inerzia segreta

L’enigma della musica elettrica

L’enigma della pace

L’enigma della vita e della morte

L’enigma di Dido sul rogo

L’enigma del lato sinistro del corpo

L’enigma della forma e della sostanza.

 

Gli attori si fermano. Inizia un sibilo continuo, provocato con la bocca da alcuni di essi. Un’ attrice pronuncia la battuta:

 

CORO: “ Se le bombe non possono incendiare, come può farlo il teatro?”

 

Un attore incomincia un conto alla rovescia. Contemporaneamente i compagni camminano velocemente in platea, in mezzo al pubblico, lungo il percorso perpendicolare e parallelo tracciato dal nastro rosso. Si crea un clima di allarme, di emergenza.

 

CORO: “Quarantacinque, quarantaquattro, quarantatrè, quarantadue, …

Emergenza! I cavalieri caricano su di noi! Ci stiamo consumando.

Deperimento.

Trentanove, trentotto, trentasette, trentasei,…

Questa è la vita quotidiana: applichiamo la parola emergenza quando si

accelera.

Trentuno, trenta, ventinove, ventotto…

Duemilatre: non è ciò che non sappiamo, è ciò che non tentiamo

Ventisette, ventisei, venticinque…

L’unico teatro possibile è il teatro di emergenza

Ventiquattro, ventitrè, ventidue, ventuno, venti…

Teatro del cambiamento, dell’emergenza, della sollevazione…

Diciannove, diciotto, diciassette…

Quando sentiamo l’emergenza, la sentiremo davvero.

Quando sentiamo l’emergenza, agiremo

Quando agiremo cambieremo il mondo

Tredici, dodici, undici,…

Un teatro di reazione

Dieci, nove, otto…

Il teatro dell’emergenza, vera menzogna e gli spettatori sono morti.

Sette, sei…

Lo spettatore, l’ideatore

Il teatro diventa vita

L’emergenza è la verità

Cinque, quattro, trè, due, due, due, due…

E’ dentro o fuori?

E’ dentro o fuori?

E’ dentro o fuori?

E’ dentro o fuori?

E’ dentro o fuori?

 

Quattro attori, con il nastro rosso, danno forma ad un quadrato attorno al settore anteriore sinistro della platea, e, al ritmo delle voci degli altri attori, pronunciano una serie di affermazioni che vedono la contrapposizione tra ciò che avviene dentro e ciò che avviene fuori. I compagni riprendono le posizioni fisse lungo i corridoi della platea mentre continuano a trattenere le cime dei nastri che disegnano la griglia.

 

CORO: “ E’ dentro o fuori?

E’ dentro o fuori?

Dentro è il terrore di notte nella città, fuori c’è la chiave

Dentro c’è il lavoro, fuori una grande miseria

Dentro c’è lo sporco, fuori il resto ti sporca

Dentro si mangia bene, fuori si mangia la spazzatura

Dentro è l’estremo della rivoluzione esteriore, fuori sono io che devo liberarmi

Dentro c’è la storia, fuori solo il tempo

Dentro siamo tutti uguali, fuori c’è la mafia

Dentro c’è la mafia, fuori c’è un’ altra voce

Dentro il mondo inginocchiato dalla crisi economica, fuori lo spettro della

marcia razzista nutre la bestia umana

Dentro c’è la resistenza, fuori la rivoluzione

Dentro c’è la jiad, fuori i […] israeliani

Dentro c’è lo spazio, fuori c’è la luce

Dentro c’è la speranza anarchica, fuori il teatro della vita

E’ dentro o fuori?

E’ dentro o fuori?

E’ dentro o fuori?”

 

Gli attori cambiano posizione. Quattro di essi si pongono agli angoli di un quadrato formato nella zona posteriore destra della platea. Ancora una volta, entrando ed uscendo con il corpo dalla figura geometrica delineata dal nastro, gli attori enunciano una serie di domande enigmatiche. La parte restante della sala, per tutta l’azione, rimane divisa in sezioni dalla griglia cartesiana; il nastro rosso, infatti, continua ad essere tenuto teso da alcuni attori situati lungo i corridoi laterali.

 

CORO: “ E’ dentro o fuori?

E’ dentro o fuori?

Qui e ora altri americani sono morti….

Questa lotta politica cannibalizzata e sempre sopra i toni ha stancato gli

Italiani?

La guerra è giusta, ma ha commesso tanti errori

Via libera alle riforme!

You, stupid white reject, fuck you!

Questa figura nera cosa fa qui in questo teatro tutto bianco?

Fuck you!

Perché non ritorni in Africa subito?

Cosa nasconde una risata? Cosa nasconde una battaglia? Cosa nasconde il

Silenzio dell’universo?

Perché c’è la vita?

Qualcuno può dirmi perché alcuni pensano che io vivo una vita bianca, altri

invece una vita nera e io sto solo lottando per vivere una vita mia?

Qual è il significato di questa sofferenza?

Now what colour are you, because nobody mixed me to you anyway…giusto?

Un enigma è un labirinto! Siamo infatti creature in un labirinto!

Per quanto tempo possiamo continuare a vagabondare?

Il teatro assomiglia ad un laborinto perché assomiglia alla vita!

Is there or is there not a way how […] this labour?”

 

Terminata l’azione, l’attore che impersona Julian Beck, coperto nuovamente da un lungo mantello scuro e illuminato da una luce blu, pronuncia dal palco un breve monologo[14] e propone ai compagni di cercare la soluzione degli enigmi enunciati durante il corso dello spettacolo nel pubblico. Quest’ultimo diventa la chiave di volta dell’intera rappresentazione.

 

BECK: “Dove sono adesso, da quale parte dell’universale verità? Quando questa poesia sarà finita, questo accordo, specificherò la sua portata graduale nel tempo e nello spazio, come Napoli, 5 Ottobre 1976.

Dove sono io? Sono un punto scarsamente visibile nel pointinismo, sono un saracco elettrico nel grande arazzo di pietra, il quanto di tempo, sono l’inbita forza della libertà nelle protuberanze, nel sacco avvolto.

Se potrò liberarmi saprò dove sono.

Dov’è la chiave? Domanda a loro! Domanda a loro!”

 

Gli altri attori si trovano in platea. Invitati dall’attore- Beck, essi si rivolgono dunque al pubblico e iniziano, dedicandosi ognuno ad un diverso settore della platea (che è ancora divisa in sezioni dalla griglia cartesiana delineata dal nastro), a discutere con esso riguardo una possibile soluzione agli enigmi proposti. Ogni persona può dare il proprio contributo allo sviluppo dello spettacolo, proponendo la propria personale risposta alle domande insolute. Il tempo che viene dedicato a questa esperienza di discussione colletiva è di circa quindici minuti. Dopodichè gli attori invitano le persone ad alzarsi dalle loro poltrone e a pertecipare, riunite in gruppi, al movimento della grande ruota. Essa prevede la realizzazione di un movimento rotatorio all’interno della sala, sulle note di un sound piece. La ruota gira. Ognuno è libero di proporre un gesto che viene prontamente accolto e ripetuto dal proprio gruppo. Il suono stridulo di un sassofono e il suono cupo di strumenti africani accompagnano l’azione finale (che dura circa cinque minuti).

Poi la ruota si ferma, ma il canto di pace, sebbene ad un volume basso, continua ad accompagnare l’ultima battuta dell’attore- Beck, che si trova ora in piedi sul palco.

 

BECK: “Spirito, luce scivolosa, la luce scivolosa dispersa nell’amarico, nel capitale

errante, scivolando dentro due buoni cuori…

… ti invoco, come un amante, rendici liberi!

Dobbiamo veleggiare oltre la gravità, oltre il genio della quiete medievale,

oltre le collettività armoniose e l’accordo anarchico-comunista.

Spirito, duetto d’amore,

quella luce scivolosa che è solo visibile…

solvente di strutture, di tensione, di schegge armonizzate e di masse senza

radici.

Ci stiamo perdendo in un terreno di polvere, poi ci irrigidiamo senza

transizione… Suscita la luce scivolosa e solo per amore, solo per amore…

Mi sento la mente inaridita!”[15]

 

L’attore-Beck intona un accordo vocale a cui partecipano gli attori ed il pubblico. Buio in sala.

 

 

OSSERVAZIONI CRITICHE

 

ORIGINE DELLO SPETTACOLO

 

In Enigmas il Living Theatre attinge, per la creazione dello spettacolo, ad una raccolta di scritti lasciati da Julian Beck, fondatore del gruppo nel 1947[16], insieme con Judith Malina. Tali appunti elaborano, infatti, un progetto per una rappresentazione sul tema dell’enigma, della domanda insoluta a cui ognuno di noi si trova di fronte nel corso della vita stessa. Un consistente nucleo di riflessioni circa questo argomento è raccolto nel testamento artistico che Julian portò a compimento pochi mesi prima di morire[17]: Theandric. Quest’ultimo documento è il risultato di anni e anni in cui Beck rimuginò, purificò, ridefinì ciò che aveva consumato la sua intera esistenza: il Teatro. Da quando, nel marzo del 1983 in Francia[18] gli fu diagnosticato un cancro incurabile, i suoi ultimi anni furono una continua lotta per combattere la malattia. Era convinto di non poter morire, secondo la concezione artaudiana che la gente non muore ma viene spinta al suicidio dalla società. Quegli ultimi due anni e mezzo furono per lui anni di cambiamento, dovette concentrarsi sul suo corpo utilizzando tutta la sua forza di volontà per sconfiggere la malattia, stabilendo sempre nuovi inizi ogni volta che temeva di perdere la presa. “Theandric è la testimonianza di una lotta tra la Morte e il Poeta”, dice Judith Malina; “Come in Shelley e Cocteau, il tema orfico di Beck risuona con l’asserzione del rifiuto della Morte da parte dell’artista grazie all’immortalità dell’opera d’arte. In questa immagine orfica egli vede se stesso nell’atto di allontanarsi da noi, lasciandoci però frammenti di sé che abbiamo il compito di ricomporre, come quell’antico Orfeo, Osiride, riplasmato dall’amore della sua sorella/sposa.” E ancora: “ Theandric è un libro difficile: ci esorta ad assumere una posizione che ci sconcerta. Ci mette faccia a faccia con l’enigma delle nostre vite”.[19]

La ricerca del divino e l’enigma del mistero della vita sono dunque temi che ritroviamo costantemente nelle opere dell’ultimo Beck; egli avverte la mancanza di tempo, avverte l’avvicinarsi della fine e sente l’esigenza di avere le risposte a quelle domande che lo hanno tormentato nel corso della sua esistenza, a quegli enigmi, insomma, che minano la serenità di ogni essere umano dotato di coscienza. E non a caso la struttura stessa di Theandric è oscura, quasi enigmatica: “oscura non per amore di confusione”, dice Judith Malina “ ma per far sì che il lettore risolva ciascun enigma e sciolga ogni contraddizione lungo il sentiero che conduce dall’ oscurità all’illuminazione. Dal buco nero dell’auditorium teatrale all’esplosione di luce sulla scena. Dagli oscuri miasmi della mente inibita all’ascesa sublime del Verticalista”[20]. Beck continua a lavorare, a scrivere anche sul letto di morte al Mount Sinai Hospital; fino all’ultimo lavora alla messa a punto di L’Archeologia del Sonno e si dedica alla stesura degli appunti per un nuovo spettacolo[21]. E riguardo i progetti per un nuovo spettacolo, in una nota a se stesso datata 13 marzo 1984, Beck dice: “Idealmente ora mi piacerebbe trovare un nuovo stile di recitazione. Mi piace quello che abbiamo, quello che abbiamo sviluppato. Nessuno lo ascolta più, nessuno lo può vedere. E’ stato accettato, come lo stile di un poeta, ma la persistenza di uno stile in teatro non è possibile per tutto il periodo prolungato di una vita di rappresentazione. Il pubblico vuole la novità, si nutre di novità, lo facciamo tutti – ciascuno di noi, lo sappiamo, e nel lavoro abbiamo procurato la varietà della forma, nella struttura, nell’invenzione, non abbastanza però nello stile della recitazione. Lo stile che abbiamo inventato fu una novità; adesso però dobbiamo andare oltre… Propongo di tentare di farlo in questo nuovo lavoro… Ma non ha nulla a che vedere con un semplice trucco.”[22] Egli, dunque, scrive, discute con i compagni, lavora e medita intensamente, spinto dai limiti che la vita gli impone; si fa avanti la necessità di capire, di affrontare il mistero della vita e della morte: “Voi che dormite, svegliatevi! E’ stato a lungo il grido. Ma io grido Dormite, dormite! Tuffatevi nella notte, percorrete a grandi passi il labirinto della mente, trovate il minotauro e procuratevi la risposta, confondete la sfinge, liberate la città dall’angelo sterminatore e confondete la morte.”[23] E ancora: “Bisogna dire tutto in dieci minuti. Alla fine di questo tempo verrà posta la domanda e noi… Abbiamo solo pochi minuti per trovare la risposta. Sappiamo già che non c’è abbastanza tempo, non c’è tempo abbastanza per considerare attentamente tutti i fatti e verificare tutti i calcoli, per meditare e rimeditare. C’è dunque solo la speranza che, puntando un riflettore sulla mente, vi getteremo luce. E tratterremo la conoscenza. Tratterremo? Tratterremo, perché ci svegliamo ogni mattina dopo averla incontrata durante il sonno, ma la dimentichiamo. Come se esserne consapevoli fosse per noi insostenibile. Cosicchè allo stesso tempo conosciamo la risposta e non la conosciamo. Infatti l’abbiamo conosciuta ma abbiamo scelto di non trattenerne la conoscenza. Concepire il teatro come un mezzo per ricatturarla. Allora avremo la risposta e sconfiggeremo la sfinge e potremo continuare.”[24]

Unico mezzo attraverso cui arrivare alla verità, alle risposte è ovviamente il teatro; il rifiuto della Morte è il tema, il Teatro il sentiero prescelto: “Il teatro, come l’oracolo di Delfi, è una sacerdotessa in trance che dà la risposta”,[25] scrive Beck. E proprio questo percorso hanno tentato di praticare i compagni di Beck con la realizzazione dei suoi ultimi progetti, di quello spettacolo che egli stesso aveva con tenacia immaginato e programmato. Enigmas è infatti un viaggio attraverso gli abissi della mente, un groviglio di domande di carattere metafisico, un tentativo di ricerca verso la conoscenza della verità sul tema della vita e della morte.

Il seguente nucleo di enigmi in forma poetica proposti da Beck costituisce il fondamento da cui parte la riflessione del gruppo:

 

“L’enigma del lato destro del cuore

l’enigma della caduta delle statue

l’enigma della musica elettrica

l’enigma dell’acqua della giovinezza

l’enigma di Sara, il serpente

l’enigma della domenica pomeriggio

l’enigma della follia totale

l’enigma di Dido sul rogo

l’enigma della connessione mancata

l’enigma dell’inerzia segreta

l’enigma dell’opera d’ arte

l’enigma degli agenti investigativi di Rouen.”

 

L’enigma della fortuna sceglie gli enigmi della rappresentazione, tra le dodici possibilità. Il pubblico fa la parte dell’investigatore che risolve il problema e scopre le risposte.

Anche in Enigmas, infatti, il Living adotta l’ormai noto metodo del free theatre: il coinvolgimento e la partecipazione del pubblico rappresentano il punto focale dell’intero spettacolo, poiché nel pubblico stesso è riposta la speranza della soluzione agli enigmi proposti. Solo l’intervento e la libertà d’azione di quest’ultimo permettono allo spettacolo di giungere a una conclusione: la chiave di volta del complesso intreccio di domande insolute è contenuta nel vissuto, nell’esperienza, nella conoscenza e nella volontà di comunicare del pubblico. Significativo, a questo proposito, è ricordare un pensiero poetico di Beck che troviamo tra le pagine di La vita del teatro:

 

“L’Elettricità Statica:

Chiavi. Fare chiavi è il compito dell’artista.

Nascondere le chiavi è il compito dei carcerieri. Aprire

le porte - solo il popolo può aprirle.”[26]

 

E il compito degli attori in Enigmas è proprio questo: proporre gli enigmi e sollecitare la partecipazione del pubblico all’enigmatico viaggio; questa è l’unica via di salvezza, l’unica possibilità di conoscere la risposta.

Questa sera si recita a soggetto (1955) fu il primo dramma, dopo Faustina (1952) che mirò chiaramente a coinvolgere il pubblico, seppure attraverso l’espediente del teatro nel teatro. Anche in Many Loves e in The Connection (entrambi del 1959) il gruppo abbatteva la quarta parete e stimolava la partecipazione diretta del pubblico mediante questo trucco drammaturgico. Ma il Living non scelse quegli spettacoli perché si avvalevano di simili espedienti; il messaggio fu sempre quello di coinvolgere, toccare, impegnare il pubblico, senza limitarsi a mostragli qualcosa. La missione era ed è ancora oggi quella di spingere il pubblico ad uno stato di consapevolezza, mescolando gli attori con gli spettatori nell’intento di eguagliare, unificare, avvicinare maggiormente tutti alla vita.

Anche negli spettacoli realizzati dal Living nel periodo successivo, in modo particolare Paradise Now, ma anche in Mysteries (durante il quale il gruppo si era cimentato, per la prima volta, in un esperimento di free theatre, a Parigi nel clamoroso happening per il ventennio della rivista Sipario) emergeva sempre più prepotentemente l’esigenza della partecipazione del pubblico all’evento teatrale. Gli spettacoli, ormai elaborati sulla base dell’equazione recitazione-vita, implicavano la necessità di raggiungere gli spettatori, muoverli, chiedere la loro partecipazione. E a tale proposito Beck scrive: “Osservare soltanto e non agire: essere ridotti a meno che vita: naturalmente la società della lettura lineare tende in questa direzione. E’ tempo di muoversi.”[27]

Il concetto di coinvolgimento del pubblico nell’azione teatrale è stato adottato dal Living grazie al contributo teorico, in tale senso, di Artaud “Noi sopprimiamo la scena e la sala, sostituendole con una sorta di luogo unico, senza divisioni né barriere di alcun genere, che diventerà il teatro stesso dell’azione. Sarà ristabilita una comunicazione diretta tra spettatore e spettacolo, tra spettatore e attore, perché lo spettatore, situato al centro dell’azione, sarà da esso circondato e in essa coinvolto.”[28]

 

LA MESSINSCENA

 

L’ultima produzione del Living, Enigmas, è stata messa in scena in occasione della mostra organizzata dalla Fondazione Morra dedicata all’attività del Living Theatre[29], realizzata presso l’incantevole scenario di Castel Sant’ Elmo, nella città di Napoli. Il forte trecentesco ha ospitato la prima mondiale dello spettacolo il 27 Settembre 2003 (è stata realizzata una sola replica, il giorno successivo).

I tredici interpreti che vi hanno partecipato appartengono in parte allo storico nucleo del Living Theatre, in parte si tratta di ragazzi molto giovani alla prima esperienza con il gruppo.[30] Lo spettacolo è una creazione collettiva, metodo di lavoro adottato per la prima volta dal Living in Mysteries and Smaller Pieces (1964) e poi messo a punto a partire dal periodo del cosiddetto nomadismo europeo; periodo che vide la nascita dell’ensamble Living, ispirato ai principi comunitari e di attivismo creativo del filosofo anarchico americano Paul Goodman[31] e a quelli di mutuo appoggio, solidarietà e autorganizzazione di Kropoktin[32]. Collettivizzazione delle funzioni ed eliminazione delle gerarchie e dei ruoli dentro e fuori il teatro, lasciando uno spazio di espressione alle capacità creative di tutti i componenti del gruppo. Tra le pagine de La vita del teatro troviamo le riflessioni di Julian Beck sulla maniera di “inventare” un nuovo teatro che dia spazio a tutte le menti di un collettivo:

“Creazione collettiva: un gruppo di persone che viene insieme. Non c’è l’autore su cui adagiarsi che ti strappa l’impulso creativo. Distruzione delle sovrastrutture della mente. Così arriva la realtà. Seduti in circolo a parlare per mesi, assorbendo, rigettando, creando un’atmosfera in cui non solo ci ispiriamo a vicenda ma dove ogni singolo si sente libero di dire qualunque cosa voglia. Enorme palude giungla, un paesaggio di concetti, anime, suoni, movimenti, teorie, fronde di poesie, stato selvaggio, deserto vagare. Quindi raccogli e riordini. Nel corso del procedimento si presenterà una forma. La persona che parla di meno può essere quella che ispira chi parla di più. Alla fine nessuno sa più chi in realtà sia responsabile di che cosa, l’io individuale scivola nell’oscurità, ognuno è soddisfatto, ognuno prova una soddisfazione personale maggiore del piacere solitario dell’“Io”. Una volta che l’hai provato – il procedimento di creazione artistica in collettivo –  il ritorno al vecchio ordine sembra una retrocessione”. E ancora: “Allo stesso tempo il processo è tedioso, noioso, un lavoro duro. Devi penetrare attraverso la noia. Crea la difficoltà. Creiamo uno spazo in cui diventare così pazzi da dover trovare la porta, la via d’ uscita. Questa è una tecnica.”[33]

Il metodo di creazione collettiva, come accennato poc’anzi, viene per la prima volta sperimentato dal Living per lo spettacolo messo in scena nel 1964 a Parigi presso il “Centro per gli studenti e artisti americani”: Mysteries and smaller pieces. La medesima tecnica è stata impiegata anche per la creazione del Frankestein (1965, I versione), di Paradise Now (1968), per il ciclo di spettacoli L’eredità di Caino (1970-1978), Prometheus at the winter palace (1978), The body of God (1990), Tumult, or clearing the streets (1990), e poi, in tempi più recenti, Not in my name (1994) e Resistance, spettacolo messo in scena dal Living nel luglio 2001 a Genova, in occasione delle manifestazioni pacifiste anti G8 (summit delle otto grandi potenze economiche mondiali).

E anche Enigmas viene realizzato dal gruppo secondo la tecnica della creazione collettiva. Judith Malina, a tale proposito ricorda:

“Lo spettacolo è nato da un nucleo di appunti che Julian ci ha lasciato. Julian ed io parlammo a lungo di questo progetto, forse per più di un anno. Purtroppo Julian non riuscì a vedere realizzato questo nuovo spettacolo, perché di lì a poco, era il 1985, ci lasciò. Il Living, però, ha deciso di riprendere in mano questi appunti e di realizzare l’ultimo progetto di Julian. Nel marzo del 2003 abbiamo incominciato a discutere, lavorando collettivamente, su questa nuova messinscena; ora stiamo ancora cercando di definire la struttura dello spettacolo.”[34]

Le idee nate dal gruppo sono state formalizzate poi da Hanon Reznikov[35], che ha fornito l’adeguata cornice strutturale e concettuale dello spettacolo; esso è organizzato in cinque quadri, ognuno dei quali, a parte il prologo, affronta un determinato enigma.

Reznikov tuttavia è stato autore solo di una prima provvisoria redazione del testo (la struttura e il testo stesso sono stati modificati dagli attori e dalla regista nel corso della preparazione dello spettacolo).[36]

La regia dello spettaccolo è di Judith Malina.

La sala teatrale in cui è avvenuta la messinscena di Enigmas è situata all’interno del trecentesco forte angioino di Castel Sant’Elmo; si tratta di una sala all’italiana abbastanza capiente (duecento posti circa). La scenografia prevista dal gruppo per la messinscena dello spettacolo è nulla; il palcoscenico spoglio fa mostra di sé per tutta la durata dell’evento teatrale, mentre il fondale bianco si colora alternativamente di blu, di verde, di rosso. Unici oggetti scenografici utilizzati dagli attori nel corso dello spettacolo sono uno striscione nero e un nastro di raso rosso. La scelta di non preparare una scenografia per lo spettacolo, come è noto, non è nuova per il Living. Il gruppo ha mirato alla realizzazione dei suoi spettacoli non avvalendosi di alcun elemento superfluo o decorativo; la scena da sempre viene utilizzata come pura scultura, libera dalle convenzioni artificiali, perché “la scenografia è interessante solo quando è il doppio di ciò che sta accadendo”.[37] Da Mysteries and smaller pieces (con l’eccezione di Frankestein e di Les Bonnes) la scenografia intesa come uso di un involucro costituito, ma anche di attrezzi e accessori, scompare dagli spettacoli del Living, per ridursi ai semplici corpi degli attori, un intrico di gesti e di architetture fisiche, in un ritorno ai puzzle di Jackson Pollock. E lo stesso Beck, ne La vita del teatro afferma: “La scenografia. Una volta mi sembrava molto importante. Inchiodato ad essa ho consumato anni della mia vita.” E ancora: “L’obiettivo era sempre evitare di usare denaro, trasformare objets trouvés – vecchio legname, aquiloni di carta, ruote di biciclette, vetro, parti di automobili, qualunque cosa- in qualcosa di utile, perlomeno fino al punto in cui divenissero elementi magici della scena. Cose abbandonate divenivano nuovamente utili. Resurrezione. Credevo fosse una reale battaglia per la verità, per frantumare l’attitudine del teatro commerciale a cui piace abbagliare il pubblico con stravaganze, non dell’immaginazione ma delle spese. Così il pubblico può essere sicuro di aver ottenuto l’equivalente del suo denaro. Mi feci a pezzi il corpo, con piacere. Perché lo spettatore potesse guardare il palcoscenico e imparare che non era necessario spendere un sacco di soldi per creare uno spettacolo.”[38]

Il Living accoglie così la teoria postulata da Craig, regista e teorico inglese degli inizi del Novecento, il quale nella sua idea di rinnovamento del teatro, propone una drastica eliminazione del superfluo (realismo, scenografia dipinta, recitazione manieristica), una chiara separazine dei ruoli di regista e drammaturgo ed infine una scena semplificata in cui tutti gli elementi della rappresentazione devono essere subordinati a un’unica legge dinamica compositiva: il movimento. Scena semplificata, movimento, supermarionetta: la teorizzazione di Craig (definito da Artaud “liberatore del teatro”) sembra quindi anticipare alcuni dei temi del nuovo teatro di Artaud. E anche nella realizzazione dell’ultimo spettacolo il gruppo ha scelto di portare avanti il metodo di lavoro intrapreso molti anni addietro, tenendo presenti, a tale proposito, le parole di Beck: “Se la scenografia non può dire allo spettatore qualcosa che la scena nuda può dire meglio, non farla: l’ornamento superfluo distoglie la concentrazione dal centro, la maggior parte dei manierismi e dei principi morali del ceto medio sono ornamenti destinati a distogliere la concentrazione dal centro delle cose.”[39]

Per quanto riguarda l’illuminotecnica[40], Enigmas è uno spettacolo caratterizzato da un significativo uso simbolico delle luci. Esse sottolineano i momenti di raccordo tra una scena e l’altra creando continuità, ma non solo: suggeriscono al pubblico la chiave interpretativa di talune scene. Una luce blu, ad esempio, accompagna le epifanie dello spirito di Beck, sottolineando in tale modo, la natura divina e mistica dell’apparizione. Nei momenti di maggiore concitazione, di ritmo serrato d’azione, la luce è di colore rosso, emblema, in questo caso, della creatività e della vita che prende forma; la luce verde sottolinea i momenti di passaggio diventando simbolo di cambiamento.

Analogamente in Paradise Now l’unico artificio di cui il gruppo fece uso fu l’alternarsi dei colori delle luci (blu pieno, verde pieno, arancio pieno, etc…) per ciascuno dei gradini percorsi, effetto non solo di grande suggestione, ma significativo nel sostenere le intenzioni della compagnia: la ricerca dei colori cambiava infatti il senso della prospettiva e rifrangendosi sui corpi ne mutava la temperatura. Per gli attori significava una proposta di struttura del corpo continuamente rinnovantesi come modello per l’architettura del paradiso futuro. Anche in The Brig la luce assumeva un ruolo assai significativo: in quel caso era una luce elettrica bianca e fortissima. Tutta l’azione soggiaceva a questa luce e Julian Beck, a tale proposito scriveva: “La luce è parte integrante della messa in scena (di The Brig), proprio come è parte integrante del Dottor Faustus. Potrei menzionare la lampadina elettrica che pende al centro della scena in The Connection….[41].

L’accompagnamento sonoro in Enigmas, come in gran parte degli spettacoli realizzati dal Living, è affidato quasi esclusivamente all’espressione vocale degli attori (e degli spettatori, che partecipano al sound piece e all’accordo finale). Già in Antigone, in Frankestein e soprattutto in Paradise Now il contesto musicale si alimentava dell’uso della percussione delle mani sui corpi, come della percussione palatale, della inspirazione, della semplice emissione dei fiati. In Paradise Now, per esprimere il raggiungimento dell’armonia, il mezzo più usato diventava il coro senza parole, già asceso a simbolo dell’accordo universale in una scena dei Mysteries. E lo stesso accade anche in Enigmas: la scena finale, infatti, prevede la realizzazione della grande ruota, durante la quale il pubblico e gli attori insieme intonano un canto ripetitivo (un mantra), un canto di pace, che esprime la gioia dell’esito positivo raggiunto dalla performance, prima di concludere con un intenso e coinvolgente accordo vocalico. Il puro suono[42] è riproposto in Enigmas, così come veniva già utilizzato in in Paradise Now, come esperienza e come mezzo di identificazione psicologica. Tutto Paradise Now, infatti, può essere letto come una partitura musicale; soppressi ormai i dialoghi, le scarne parti parlate si riducono all’enunciazione di formule per cambiare il mondo, o all’accorato richiamo al pubblico, o a domande-risposte di puro carattere rituale; tutte ugualmente ritmate e riducibili a meri valori musicali. Appare dunque evidente la non estraneità della teoria indiana della possibilità di spiritualizzazione dell’energia (Mahamantra) attraverso la trascendentale vibrazione del suono; alla massima purificazione del suono nel raggiungimento dell’armonia totale, corrisponderebbe cioè un tipo di vibrazione particolare che si identifica con il mantram della divinità e che servirebbe a mettere in moto le comunicazioni psichiche trascendentali.

In Enigmas, i suoni che non nascono da un uso estremo delle voci degli attori e dalla percussione dei loro corpi, ma che vengono generati da strumenti musicali, accompagnano rari frammenti dello spettacolo. Il suono malinconico delle armoniche a bocca sottolinea il momento di passaggio tra L’enigma della linea, o dualità: il significato e il nulla e L’enigma del piano, o trinità: prima, ora e dopo, mentre il suono cupo di strumenti di origine australiana (digeridoo) accompagna la creazione del tableau vivant (ne L’enigma del piano o trinità: prima, ora e dopo). La grande ruota accoglie nel suo movimento circolare anche le note di un sassofono suonato però, in maniera particolare: il musicista, infatti, non dà origine ad alcuna melodia, ma provoca, soffiando all’interno dell’oggetto musicale, un suono stridulo e continuo[43].

Il curatore delle musiche di Enigmas è lo statunitense Alvin Curran, una delle figure più interessanti della musica contemporanea. La sua curiosità l’ha portato sempre a sperimentare le più varie possibilità di produzione musicale, senza mai credere a suggestioni spettacolari o divistiche, ma al contrario creando la sua affascinante musica in un’ atmosfera rilassata e collaborativa. Nato nel 1938, Curran fa musica dall’età di cinque anni, quando iniziò a prendere lezioni di piano, per passare ben presto al jazz; ha studiato musica alla Brown University e poi a Yale con Elliott Carter, che riconoscendone il talento lo porta con sé a Berlino come assistente. Insofferente dell’ambiente accademico, Curran gira l’Europa e si stabilisce poi in Italia. Tra il 1965 e il 1980 ha risieduto a Roma e nel Lazio, dove ha collaborato con eminenti musicisti europei e americani in formazione di libera improvvisazione che hanno svolto uno storico ruolo di raccordo tra la musica composta, le cui avanguardie si orientavano verso forme stocastische, e le esperienze di derivazione etnica e jazzistica. In particolare Musica Elettronica Viva con Richard Teitelbaum, Steve Lacy, Franco Cataldi, Fredric Rzewsky, fondato nel 1966 ed esistito in varie incarnazioni fino agli anni Settanta, ha costituito una sorta di laboratorio permanente in cui i più avventurosi musicisti delle varie estrazioni sperimentavano le composizioni di Cage, Lucier, Behrman, Kosugi, ed eseguivano le proprie; nel suo soggiorno romano Curran ha coltivato importanti amicizie come quella con Ennio Morricone e Giacinto Scelsi, senza mai perdere l’occasione di suonare con i più qualificati esponenti dell’improvvisazione contemporanea, da Antony Braxton a Evan Parker.

Il suo stile parte spesso da elementi minimi, oggetti sonori trovati nel corso dei suoi viaggi, per costruire paesaggi musicali di grande respiro, con un uso naturale e non feticistico delle risorse elettroniche, sempre usate con uno scopo preciso, non casualmente sperando che le loro grandi potenzialità producano qualcosa di accattivante o interessante. In un montaggio sonoro che lentamente trascolora dall’una all’altra atmosfera arpe eoliche, tubi di plastica, campanacci di mucca, voci di bambini si succedono producendo risonanze e suggestioni. Egli stesso ha così descritto questo processo: “Il suono può apparire nella mia testa, o nelle mani, piedi, gola stomaco o fuori dalla mia finestra, magari ogni giorno alla stessa ora. Un accordo, qualche nota, un treno che passa, un sogno, una premonizione, una vecchia armonica. Spesso c’è più di un suono e quelli nuovi possono rianimare quelli vecchi, immagazzinati per essere usati in un altro momento. Così in genere ci sono varie e diverse ossessioni che abitano tutte inseme negli affollati e disordinati appartamenti del mio cervello, aspettando che io riesca a trovare il lievito giusto per farli crescere e diventare un essere musicale completamente nuovo.”

Come ha scritto Tim Page, Alvin Curran esplora i misteriosi confini tra suono e musica attraverso una combinazione di determinazione yankee e temperamento lirico mediterraneo. Alvin Curran ora è titolare della prestigiosa cattedra di composizione del Mills College, creata dopo il soggiorno americano di Darius Milhaud e a lui intitolata. La sua capacità di combinare tensione di ricerca, equilibrio con la natura e memoria della storia è fondata su una profonda empatia con le profonde necessità dell’animo umano.

Per quanto riguarda il Living Theatre, è significativo ricordare che Curran è legato da rapporti professionali e di amicizia al gruppo. Nel 1984, l’anno prima della sua morte, Beck lavora a fianco di Curran alla realizzazione di una registrazione audio in cui le musiche dell’artista statunitense accompagnano testo e voce di Beck. Tale componimento è intitolato Julian. E’ evidente come quest’ opera appaia, già nel titolo, come una sorta di memoriale in onore di Julian Beck. E non a caso il gruppo ha scelto Alvin Curran affinchè curasse le musiche di Enigmas che può essere interpretato come una sorta di omaggio reso dal Living Theatre al suo fondatore.

 

APPARE LO SPIRITO

 

Durante il primo quadro dello spettacolo (Prologo, Julian affronta l’enigma), al termine della scena in cui gli attori, nel buio, pronunciano suoni inarticolati, appare, muovendosi dal fondo della platea verso il palcoscenico, una figura coperta da un mantello nero: è lo spirito di Julian Beck[44]. Esso è illuminato (e lo sarà per la maggior parte delle apparizioni che avverranno durante lo spettacolo) da una tenue luce blu-azzurra. La scelta di avvolgere la figura dello spirito con questo colore, assume chiaramente un valore simbolico:

 

“Azzurro è il colore che gli uomini chiamano divino

è la luce della verità che spunta sull’ignoranza

è il colore santo

è la corrente che guida gli uomini al Polo

è la luce della luna che illumina i cospiratori sulle colline

è la chiarezza della destinazione

è il sangue delle vene sulla via del cuore

è il freddo

è il lamento e il magnete

è l’inspirazione dell’aria.”[45]

 

Così il Living, in Paradise Now, interpretava il colore azzurro[46]. E in Enigmas la luce azzurra diventa l’espediente per rendere l’idea di incorporeità dello spirito. La figura di Julian Beck è avvolta così da un’aura di misticismo; egli non è più corpo, ma spirito, immerso nella conoscenza della verità. Egli appare, invocato, agli amici, ai compagni, al pubblico per suggerire il viaggio da intraprendere verso la conoscenza; egli rappresenta appunto “la luce della verità che spunta sull’ignoranza”[47], è “la chiarezza della destinazione”. Egli, avendo oltrepassato la soglia della vita materiale, possiede ora le risposte alle domande, agli enigmi che tormentano l’esistenza di ogni essere vivente; perciò Beck assurge, in questo spettacolo, a guida, a sacerdote del rito per il raggiungimento della liberazione dalla schiavitù del non conoscere. Egli propone ai compagni di aprire il vaso di Pandora perché intuisce che in esso è la liberazione, la risposta.[48]

E lo stesso Beck, a proposito della comunicazione con gli spiriti ne La vita del teatro scrive: “…comunicazione con gli spiriti che elargiscono il coraggio e la forza per sopravvivere, per aggrapparsi un po’ più a lungo a una vita crudele”. E infatti lo spirito di Julian, materializzandosi in teatro, esorta, o meglio, guida i compagni e il pubbico alla ricerca delle soluzioni agli enigmi che la vita continuamente pone davanti a ognuno di noi, alla ricerca del senso dell’esistenza; questo è lo scopo dell’“enigmatico viaggio”[49] che gli attori, insieme con il pubblico intraprendono.

Non a caso le prime parole, le prime frasi di senso compiuto che riecheggiano in teatro sono pronunciate dallo spirito di Beck; solo lo spirito può, in questo momento dell’esperienza collettiva ossia all’inizio dell’enigmatico viaggio, quando ancora nulla è stato compreso, nessuna domanda ha avuto risposta, parlare di ciò che è oscuro e inconoscibile. Egli ha superato il limite terreno della vita e forse, spirito, ha trovato le risposte che da sempre, in vita ha tentato invano di raggiungere. Ma i compagni, il pubblico brancolano nel limbo dell’inconoscibile, nell’incertezza, nel mare di enigmi che insidiano la capacità di pensiero, rendendo così impossibile la comprensione del mondo, dei fatti, della vita stessa. Egli stesso invita gli attori a ricercare la verità, a trovare la chiave.

Interessante è osservare la forte analogia che lega l’ epifania di Julian Beck con l’apparizione di un altro spirito, forse il più noto nella storia della drammaturgia teatrale: lo spirito del padre nell’Amleto di Shakespeare. La ricerca della verità (sebbene nel dramma shakespeariano sia guidata dal desiderio di vendetta) è la strada che entrambe le figure esortano i posteri a percorrere. Essi sono spiriti e giungono dall’aldilà per permettere, a chi è rimasto, di trovare una via di uscita dalla soffocante consapevolezza del non conoscere. E i parallelismi tra Enigmas e il dramma shakespeariano sono tutt’ altro che ipotetici: il testo dell’Amleto viene adottato, opportunamente rielaborato, dal Living per la realizzazione di alcune parti dello spettacolo. Sin dall’inizio, Shakespeare è presente nelle battute pronunciate dallo spirito, il quale, infatti, ripete più volte “ To be or not to be?”; con questa domanda, enigmatica per eccellenza, immediato e automatico è il rimando del pubblico al dramma di Amleto. Ma perché il gruppo ha scelto di ispirarsi, in alcuni passaggi dello spettacolo, all’opera di Shakespeare? E’ possibile trovare una risposta tra le pagine di Theandric: “La tragedia di Amleto” scrive Julian Beck, “è la tragedia dell’intelletto. Tutte le ellissi della mente, i suoi improvvisi abissi. E’ il fallimento dell’intelletto che non riesce ad evitare la tragedia. Il tragico fallimento dell’intelletto nel tentativo di capire. Ed è la grande giustificazione dei crimini per vendetta”.[50]

E anche Enigmas vuole essere un viaggio attraverso gli abissi, i labirinti della mente umana alla ricerca di una risposta; in Enigmas il tentativo, lo sforzo collettivo di attori e pubblico è quello capire, di superare il limite, la barriera che ci allontana dalla conoscenza pura; ed è proprio questo limite umano oltre al quale è difficilissimo (se non impossibile) andare che rappresenta la “tragedia dell’intelletto”. E Beck, nelle sue Domande (1963)[51], ancora riguardo Amleto, scrive:

“Le domande di amleto sono la sua gloria o la sua tragedia?”. E’ giusto dunque inseguire la chimera della verità, della conoscenza, delle risposte al mistero della vita o si rischia di sprofondare, invischiati tra i labirinti della mente, tra gli abissi dell’io, nel mare della follia? E osserviamo come Enigmas con le sue domande, con la sua speranza, sia il tentativo di oltrepassare la banalità del quotidiano, di uscire dalla cecità dell’esistenza per scuotere le coscienze, mettendo a repentaglio la finta serenità di ognuno di noi. La tragedia di Amleto è simbolo di viaggio interiore attraverso le profondità, i labirinti della mente. E il Living, appoggiandosi sui significati simbolici che la figura di Amleto porta con sé, seppure a livello inconscio, avvicina il pubblico all’ idea della ricerca interiore, di analisi intima dell’io. L’obiettivo è di trovare la chiave che aprirà la porta della conoscenza, che permetterà di capire il significato dell’esistenza stessa. E Beck, comparendo come spirito nel Prologo, invita i suoi compagni a intraprendere questo viaggio proprio guardando alla comunicazione con il pubblico; “La chiave sono loro!” afferma indicando la platea (egli ripeterà questa battuta nuovamente nella parte finale dello spettacolo[52], che si rivela quindi organizzato secondo una struttura circolare, ad anello.) Da questo momento in poi, fino alla fine dello spettacolo,infatti, il pubblico rappresenterà la sorgente a cui attingere, nel tentativo di conoscere la verità, nel tentativo di capire.

Poi lo spirito scompare, lasciando sul palcoscenico il mantello nero che poco prima indossava, sul quale è scritta, con i colori della bandiera anarchica[53], la parola “enigma” e che rappresenta, simbolicamente (è infatti una parte di sé che affida ai compagni), l’eredità spirituale lasciata dal fondatore del Living Theatre al gruppo e a tutta l’umanità.[54] Prima che lo spiraglio di luce generato dall’epifania di Beck svanisca, prima che l’ultima possibilità di capire vada perduta, attori e pubblico sono invitati a spingersi oltre, a intraprendere il viaggio della rivelazione. E concludendo, si potrebbe affermare che Enigmas raccoglie, a circa venti anni dalla morte di Beck, le potenzialità contenute nel testamento artistico del fondatore, nel tentativo non solo di rendere omaggio al compagno, al marito, all’uomo, ma anche nella speranza di portare a un compimento positivo il percorso artistico e spirituale intrapreso da Julian negli ultimi anni della sua vita e bruscamente interrotto dalla morte.

 

 

APPENDICE: DOCUMENTAZIONE

 

 

INTERVISTA A JUDITH MALINA E HANON REZNIKOV

 

Porto Venere, 1° agosto 2003[55]

 

Domanda: "Sappiamo che state lavorando ad un nuovo spettacolo. Di che cosa si tratta?"

 

Judith: "Si, lo spettacolo a cui stiamo lavorando è basato su un nucleo di appunti che Julian ci ha lasciato; parlammo molto di questo progetto Julian ed io, forse per più di un anno discutemmo riguardo alla realizzazione di uno spettacolo. Poi Julian morì.

Per lungo tempo ho desiderato riprendere i suoi appunti, creare quello spettacolo di cui avevamo molto discusso. Da marzo di quest'anno stiamo lavorando  collettivamente proprio su questo nucleo di appunti.”

 

D.: "Quale tema affronta il nuovo spettacolo?"

 

Judith: "Il nucleo attorno a cui nasce lo spettacolo è l’enigma. Ma bisogna distinguere bene tra ciò che è enigma, puzzle, riddle: la domanda che pone la Sfinge, quello è un enigma! L’enigma è profondo, è una sfida, è una domanda a cui spesso non c'è soluzione. Julian ci ha lasciato poco materiale scritto; gli appunti su cui si basa il nostro lavoro comprendono dodici enigmi, che sono anche frasi molto poetiche. Per esempio Julian cita l'enigma del lato destro del cuore, l’enigma della domenica pomeriggio.

Ognuno di noi ha un suo enigma; ogni attore ha un diverso vissuto, diverse idee, diversi enigmi. Hanon ha, come sempre, la funzione di unire le varie parti dello spettacolo, in questo caso legare i vari enigmi.

In questo momento, comunque stiamo ancora cercando di dare una forma, una struttura allo spettacolo."

 

D.:"Che ruolo, che importanza ha ricoperto e continua ad avere per il Living il teatro politico?"

 

Hanon: “Il teatro politico ha avuto sempre, durante tutta la storia del Living, un ruolo di primo piano. Prendiamo per esempio l’Antigone: ogni volta che lo spettacolo è stato ripreso e rappresentato dal gruppo è stato estremamente significativo ed opportuno. Come quando lo rappresentammo in Polonia nel periodo in cui era attivo il movimento politico allora clandestino di Solidarnosc: rappresentammo Antigone una domenica mattina in una birreria, nella più assoluta clandestinità.

Il pubblico che assistette alla rappresentazione è l’attuale governo della Repubblica Ceca. Era molto pertinente l’Antigone in quell’occasione, sembrava scritta per loro. Altrettanto significativo fu rappresentare l’Antigone nel 1982 durante l'invasione del Libano. Anche in quell'occasione lo spettacolo fu vissuto come una lettura del presente. L'obbiettivo del Living è sempre stato e continua ad essere quello di voler cambiare insieme con il flusso dei cambiamenti storici.

Vogliamo rimanere living, viventi. Con tutti i problemi del mondo, non c’è motivo di perdere la speranza. Questa nostra intenzione ci ha guidati anche durante la creazione di Resistance.

E’ uno spettacolo creato senza parole, è una sequenza di scene, di azioni nelle quali è solamente indicato il tipo di testi a cui fare riferimento. Si tratta delle testimonianze dei partigiani di Rocchetta. I testi sono stati inseriti tardi nello sviluppo dello spettacolo. Speriamo di poter continuare a portare in giro questo spettacolo, anche in Italia."

 

D. "Anche in Enigmas sarà coinvolto il pubblico? In che modo?"

 

Judith: "Anche in Enigmas, come in ogni nostro spettacolo, ci sarà il coinvolgimento del pubblico. Gli spettatori saranno invitati a risolvere gli enigmi proposti dagli attori, ma anche i propri enigmi. Stiamo però ancora cercando una struttura dinamica, un intreccio che ci permetta questa operazione. Probabilmente in Enigmas ci sarà anche il protagonista della domanda enigmatica per eccellenza: Amleto. Egli è portatore dell'enigma più conosciuto della storia del teatro.”

 

D." Sappiamo che avete avuto problemi per quanto riguarda la vostra sede a Rocchetta. Come credete che evolverà la situazione?"

 

Hanon:" La nostra condizione è problematica: abbiamo un’ intimazione di sfratto e non abbiamo risorse. La situazione non è chiara. La provincia di Alessandria ha tempo fa approvato un protocollo in cui era previsto un aiuto economico per il sostentamento del nostro gruppo, ma il tutto si è arenato per opera del Comune.

Secondo la giunta comunale il Living costituisce un peso economico insostenibile per la piccola comunità. Molto probabilmente la risposta a questa

dura opposizione sta nei cambiamenti di tipo politico che hanno interessato il piccolo centro... Non siamo desiderati. Speriamo comunque, se la nostra "resistenza" a Rocchetta non dovesse andare buon fine, di avere la possibilità di mantenere una sede in Italia. Vorremmo continuare a mantenere i due poli Usa-Italia. Come ama dire spesso Judith: "L'Italia ci ama , ma l'America ha bisogno di noi". La nostra partenza per gli Stati Uniti è prevista per Ottobre. Rimarremo negli Stati Uniti per otto mesi l’anno e quattro in Italia, al contrario di come abbiamo fatto finora. E poi Abbiamo comprato un terreno per costruire un nuovo teatro, avrà duecento posti. I lavori sono già cominciati. Lo inaugureremo tra marzo e maggio prossimo. E’ a Manhattan sulla 49°,  nel cuore di New York a pochi passi da Broadway. I soldi li abbiamo avuti da sovvenzioni, ma soprattutto da un’ eredità dei genitori di Julian. Vi aspettiamo!”

 

 

 

 

DAL DIARIO DELLE PROVE:

 

Rocchetta Ligure, 27 Agosto 2003

 

ORE 10.00: DISCUSSIONE COLLETTIVA

Il gruppo fissa l’obiettivo del lavoro della giornata: impostare le due scene finali (contenute in: L’enigma del piano o trinità: prima, ora, dopo; e in L’enigma del campo, o il quadruplo: la perfezione= dualità quadrato)[56] dello spettacolo.

Judith ricorda agli attori: “ Uno dei nostri più grandi enigmi è: “perché facciamo la guerra? Perché la gente è buona e fa la guerra?” È una grande contraddizione. Quando cadiamo sotto l’enigma del male che non possiamo risolvere, cadiamo e troviamo le domande, gli enigmi. Ognuno domanda il suo enigma cercando poi di portarlo attraverso tutto lo spettacolo. E’ l’impegno di ognuno di noi. Possiamo anche decidere di cambiare l’enigma, se non siamo convinti: ricordate che nulla è mai definitivo. Possiamo cambiare idea anche dopo tre o quattro repliche. La domanda deve essere qualcosa che deve seguirci, è la nostra figura che contiene il nostro carattere nascosto. Cadiamo perché siamo combattivi.”

Poi il gruppo discute riguardo la scena del carosello (contenuta in: L’enigma della linea o dualità: il significato e il nulla); si cerca di trovare delle soluzioni al problema delle luci, dello screen e degli effetti visivi che si creano tra luci e ombre.

Poi il gruppo discute della scena della caduta delle statue (in: L’enigma del punto o l’unità: tempo- spazio), tentando di tenere presente che l’ambiente in cui verrà realizzato lo spettacolo è molto grande: lo spazio a disposizione in cui il gruppo potrà agire sarà notevolmente superiore a quello della sala prove di Rocchetta. Ognuno degli attori, a turno, espone i propri dubbi, le proprie perplessità sulla scena.

Gli attori decidono infine di discutere e lavorare sul terzo quadro dello spettacolo: (L’enigma del piano, o trinità: prima, ora e dopo).

Ancora una volta l’obiettivo è proporre una riflessione sul tema della guerra; come gruppo politico il Living da sempre ha lavorato su questa problematica.

Hanon propone che la scena contenga macchine militari in movimento; l’azione di guerra potrebbe terminare con la creazione di un tableau ispirato a Picasso. Il nucleo centrale è costituito da una sorta di triangolo in cui l’elemento superiore è il mostro, la bestia (ossia la violenza), l’elemento in basso rappresenta l’uomo, la figura di profilo a media altezza è una donna che urla.

Gli attori insieme con Judith e Hanon esaminano brevemente le soluzioni proposte per l’ultima scena; essa rappresenta la liberazione, l’estasi finale.

Judith ricorda agli attori che le macchine da guerra si trasformano, nella scena successiva, in un quadro ispirato a Picasso; bisogna dunque mantenere, in entrambe le scene, uno spirito combattivo. Il quadro è ispirato a Guernica, ma non deve essere Guernica. Ciò che conta è lo spirito del quadro, che deve essere colto e trasmesso dagli attori al pubblico.

Mattias Kraemer propone che in questa scena si faccia uso di una lingua inventata, che rappresenta la lingua della violenza; è una lingua incomprensibile, che inoltre è in forte contrasto con la perfezione della lingua inglese presente nella scena precedente, durante la lettura di parti dell’Hamlet di Shakespeare. Questa lingua potrebbe diventare Italiano nel momento in cui la composizione è completa.

Si valuta la possibilità di inserire elementi del pubblico all’interno del tableau vivant.

Judith chiede agli attori di riflettere sul significato di questa scena: “Cosa vogliamo dire con questa scena?”.

Il gruppo inizia poi una lunga discussione sulla possibilità di fare cenno, durante lo svolgimento dello spettacolo, nella scena immediatamente precedente il tableau ispirato a Picasso, della questione cecena e dell’episodio dell’occupazione del Teatro di Mosca da parte dei terroristi[57]. I punti di vista degli attori sono molteplici e complessi; la discussione si accende. Alcuni sostengono che potrebbe essere significativo accennare alla questione cecena, altri si dichiarano contrari sostenedo che non si può parlare di quell’evento senza contestualizzarlo in maniera corretta e precisa, solo dopo aver studiato a fondo tutti gli aspetti storici, religiosi, politici. La scelta di rappresentare un’ azione facendo riferimento a quel fatto potrebbe rivelarsi estremamente superficiale. Sarebbe un epediente, un trucco, un inganno nei confronti degli spettatori e soprattutto un insulto per la gente coinvolta in quel conflitto. E’ sbagliato schierarsi a priori contro l’operato dei terroristi ceceni; le motivazioni di un simile gesto sono profonde e complesse; non si può pensare di esprimere un giudizio così semplicistico e superficiale. Non si può avere la presunzione di porsi come giudici di una tale complessa situazione.

Judith esprime la sua opinione: “Dobbiamo considerare che noi siamo potenzialmente anche dalla parte dei terroristi. Abbiamo comprensione di quelli che fanno l’orrore, anche se non vogliamo l’orrore. E’ più sottile, a mio giudizio, fare riferimento, nella scena, a questa nostra comprensione per ogni posizione, piuttosto che schierarci apertamente contro, nell’atteggiamento di giudici.”

Gary propone di fare riferimento ad un altro conflitto attuale, come è accaduto in Paradise Now[58]; sarebbe interessante, in questa scena, cercare il coinvolgimento del pubblico.

Paola chiede se sia giusto usare l’evento del Teatro di Mosca come simbolo.

Judith risponde che si tratta di tragedie umane. Non significa, forse, facendo uso di eventi simili come simboli, denigrare la tragedia umana di chi li vive in prima persona? Non è una storia astratta, ma è realtà. Dunque o si studia in maniera molto approfondita la questione oppure non la si sfiora neppure. Judith ribadisce la sua posizione contraria all’utilizzo, all’interno dello spettacolo, dell’episodio al Teatro di Mosca. L’idea del passaggio dalla violenza alla creazione artistica può essere realizzata in altro modo. Non è necessario fare riferimenti all’evento di Mosca.

Mattias legge Peter Brooke.

Gary propone di creare una sorta di collage leggendo (mentre ognuno degli attori, scendendo in platea cerca il coinvolgimento, nel tableau, di singoli elementi del pubblico) dei frammenti di articoli tratti dai quotidiani del giorno in cui avverrà la rappresentazione. Suggerisce, inoltre, che il quadro, crescendo nel numero di individui coinvolti, si espanda e vada ad avvolgere il pubblico stesso.

 

ORE 14.00 PROVE IN PIEDI.

Gli attori discutono la realizzazione, in senso concreto, della figura triangolare formata dai corpi di tre attori (Mattias, Ilaria, Stefano), che costituisce il nucleo base del tableau vivant. Gli attori provano varie soluzioni di combinazione, di intreccio dei loro corpi.

Mattias propone che le tre figure, che nascono dalla creatività dell’artista (Tom Walker), diano l’impressione di uscire concretamente dalla sua testa; poi il pittore inizia la composizione dell’opera.

Gli attori provano l’azione, vagliando varie possibilità di realizzazione.

Si discute, successivamente, della possibilità di legare direttamente la scena del tableau con la scena del carosello (contenuta in: L’enigma della linea o dualità: il significato e il nulla), rappresentando l’ultima scena dell’Amleto di Shakespeare; è una scena cruda.Tutti i morti sono distesi a terra.

Craig legge la fine dell’Amleto di Shakespeare.

Il gruppo discute il problema del sottofondo musicale per il tableau. Vengono vagliate varie proposte:

1.                  il tableau può essere accompagnato da un canto di pace (Mark);

2.                  il tableau prende vita mentre gli attori leggono frammenti di notizie dai quotidiani (Gary);

3.                  il tableau si forma mentre si continua la lettura in Inglese di parti dell’Amleto, creando così una sorta di continuità con la scena precedente (Craig);

4.                  si può fare uso, durante la realizzazione dell’opera, di un linguaggio inventato (Mattias).

 

 

CONCLUSIONI

 

Enigmas rappresenta l’ultimo traguardo raggiunto dal Living; portatore, nella sua complessità, di una lunga eredità artistica, esso sembra malinconicamente concludere un ciclo, un percorso lungo più di cinquant’ anni.

L’ispirazione al passato è infatti fortissima e costantemente presente nelle tecniche di lavoro adottate dal gruppo per la realizzazione dello spettacolo; come si è potuto valutare nel corso dell’analisi critica presentata, esse delineano un metodo di lavoro che può essere definito, sebbene in ossimoro con la natura stessa del Living, storico. Ritornano infatti in Enigmas la creazione collettiva, il coinvolgimento del pubblico, il rituale, l’assenza di una struttura narrativa, le composizioni di corpi, gli esercizi di biomeccanica. L’eco di spettacoli passati è indiscutibile: in modo particolare, come sottolineato poc’anzi, un ruolo di primaria importanza spetta a Mysteries and Smaller Pieces. Da questa esperienza il Living ha tratto sia la struttura complessiva (priva di un assetto narrativo e costituita da quadri apparentemente slegati gli uni dagli altri) sia una serie di immagini e scene significative che ne caratterizzano l’impostazione ritualistica.

E mentre Mysteries and Smaller Pieces ha rappresentato per il Living Theatre un importante punto di svolta, poiché ad esso è riconducibile tutto quello che è stato successivamente realizzato dal gruppo[59], Enigmas, testimone della ricerca artistica e delle esperienze teatrali passate, segna un punto di arrivo per il gruppo e sancisce , in qualche modo, la conclusione di un percorso.

Anche Paradise Now assume un ruolo di rilievo nella creazione di Enigmas; come già osservato, esso è fortemente presente nell’ultima produzione sia per quanto riguarda il costante e analogo ricorso a formule e riti, sia per l’uso particolare e simbolico delle luci, sia per l’uso inconsueto dei corpi e delle voci degli attori.

Il rituale, presente nella maggior parte delle produzioni del Living, rappresenta, com’è noto, il mezzo attraverso cui percorrere la via della trascendenza e raggiungere la salvezza. Anche in Enigmas, dunque, l’incontro con l’insondabile e l’ignoto segna i momenti cruciali e da subito, attraverso il rito e le pratiche misteriose, appare evidente la possibilità della redenzione per tutti i partecipanti all’esperienza collettiva.

Concludendo, è importante ricordare ancora una volta il ruolo di primaria importanza che, nel corso di quest’ultima produzione, la figura di Julian Beck riveste: egli, in qualità di spirito evocato dai compagni, rappresenta una guida ultraterrena, una sorta di Virgilio che accompagna il pubblico e il gruppo attraverso le insidie di un viaggio enigmatico e misterioso. Egli è la luce guida, è il faro che permette ai compagni di non perdersi nel mare di dubbi e domande insolute, e di trovare quindi la via per la salvezza.

L’illuminante presenza di Beck è riscontrabile, come si è già osservato nel corso della precedente analisi critica, in maniera assai evidente anche nel testo dello spettacolo, costellato di frammenti di suoi scritti, di sue poesie, di suoi pensieri e meditazioni. Si è infatti ampiamente dimostrato, nella precedente analisi, come il gruppo si sia soprattutto ispirato all’ultima opera del fondatore: Theandric. In esso, che è unanimamente considerato come il suo testamento artistico e spirituale, sono riscontrabili continue riflessioni sul tema della morte e della presenza del divino nell’umano; scrive a tale proposito Judith Malina: “...E con un arabesco finale intitolò il suo ultimo libro Theandric perché voleva suggerirci l’idea del divino che è dentro di noi. Come Prometeo con la sua canna carica di fuoco, Julian ci mostra come possiamo dare nuova forma alla terra e rafforzare con la nostra energia innata la spinta disinibita verso i nostri sogni più folli che spezzeranno il fardello che portiamo sulle spalle.”[60]

E, con ogni probabilità, l’obiettivo che ha guidato la compagnia nella creazione di Enigmas è stato proprio quello di portare a compimento un percorso filosofico- spirituale intrapreso da Beck nell’ultimo periodo della sua vita e bruscamente interrotto dalla morte. Non si dimentichi, inoltre, come quest’ ultima produzione abbia rappresentato, in qualche modo, un mezzo attraverso cui ricordare la figura geniale dell’uomo, del compagno, del maestro, dell’artista Julian Beck.

Appare suggestivo ricordare, infine, un pensiero che troviamo tra le pagine di Theandric e con il quale ci sembra di poter identificare, oggi, lo stesso Beck: “La figura che possiede la risposta si allontana ancora e ancora o muore lasciando solo tracce, frammenti che noi dobbiamo ricomporre come archeologi che tentano di ricostruire il segreto del passato.”[61]


LE IMMAGINI

 

 

 

Prologo: Julian affronta l’enigma. “ Che cosa ci ha lasciato?”

 

 

 

 

L’enigma del punto o l’unità: tempo- spazio. L’enigma della linea o dualità. Azioni violente

La caduta delle statue

 

 

 

L’enigma della linea, o dualità: il significato e il nulla. “ Sollevate quei corpi! Uno spettacolo come questo si addice a un campo di battaglia!”

 

 

 

 

 

L’enigma del piano o trinità: prima, ora e dopo. Picasso compone la sua opera, coinvolgendo elementi del pubblico.

 

 

 

 

L’enigma del piano, o trinità: prima, ora e dopo. Il tableau vivant.

 

 

 

 

 

L’enigma del campo, o il quadruplo: la perfezione= dualità quadrato. L’enigma del teatro.

 

L’enigma del campo o il quadruplo: la perfezione = dualità quadrato. Lo spirito di Beck esorta gli attori a cercare la risposta nel pubblico.

 

 

 

 

 

L’enigma del campo o il quadruplo: la perfezione = dualità quadrato. Il pubblico prende parte alla grande ruota.

 

 

 

 

 

L’enigma del campo o il quadruplo: la perfezione= dualità quadrato. L’accordo vocalico.

 

 

 

Gli attori ringraziano il pubblico al termine dello spettacolo.

 

 



[1] J. Beck, La vita del teatro, Torino, Einaudi, 1975. Pag. 8.

[2] J. Beck, Teatro e Rivoluzione contenuto in Il Lavoro del Living Theatre (materiali 1952-1969), a cura di F. Quadri, Milano, Ubulibri, 1982.

[3] C. Valenti, Conversazioni con Judith Malina, Milano, Elèuthera, 1995. Pag.103.

[4] Judith Malina a proposito di Mysteries and Smaller Pieces afferma: “E’ una serie di rituali integrati che conduce a una sorta di misterioso appello per un nuovo rapporto tra attore e spettatore.” C. Valenti, Conversazioni con Judith Malina Milano, Elèuthera, 1995.

[5] C. Valenti, Conversazioni con Judith Malina , Milano, Elèuthera, 1995. Pag 106.

[6] C. Valenti Conversazioni con Judith Malina, Milano, Elèuthera, 1995. Pag.145.

[7] J. Beck La vita del teatro, Torino, Einaudi, 1975.

[8] P. Biner, Il Living Theatre , Bari, De Donato,1968. Pag.11.

[9] La seguente ricostruzione si riferisce alle riprese effettuate da Carola Savoia durante la seconda replica dello spettacolo (28 settembre 2003), presso Castel Sant’ Elmo a Napoli. Il testo non corrisponde alla versione originaria del copione (si veda appendice). Esso è stato modificato nel corso della costruzione dello spettacolo stesso.

A causa della non ottima qualità dell’audiovisivo alcune battute risultano incompresnsibili, e vengono indicatenella seguente ricostruzione con: […]. Le frasi in corsivo sono una descrizione della scena a cura dell’autrice.

I titoli che scandiscono i vari quadri dello spettacolo appartengono alla suddivisione proposta dallo stesso Living Theatre.

[10] Il testo a cui Johnson fa riferimento è tratto da “The day of absence” di Douglas Turner Ward.

[11] Il testo di Tom è tratto dal diario di Julian Beck: 15 settembre 1952.

[12] Apis era una divinità dell’Antico Egitto. Animale simbolo era il toro.

[13] Le parole pronunciate da Johnson sono state scritte da Christian Vollmer.

[14] Canzone della rivoluzione #139 di Julian Beck.

[15] Il testo finale recitato dall’ attore-Beck è La Canzone della Rivoluzione #116 di Julian Beck.

[16] L’atto di costituzione venne ufficializzato davanti a un notaio il 26 aprile 1948.

[17] Theandric è stato scritto in gran parte tra il 1975 (c’è un’annotazione del 1974) e il 1985.

[18] I Beck vennero a conoscenza della terribile diagnosi durante le prove di L’Archeologia del Sonno.

[19] J. Malina, Un quaderno di esplosioni, introduzione a Theandric di Julian Beck, Roma, Edizioni Socrates, 1994.

[20] J. Malina, Un quaderno di esplosioni introduzione a Theandric di J. Beck, Roma, Edizioni Socrates. Pag.15.

[21] “…dal suo letto di morte al Mount Sinai Hospital ha scritto le sue ultime poesie, raccogliendo attorno gli amici, facendo progetti, facendo progetti anche per il futuro. Non ha mai rinunciato al futuro finchè non è morto. E’ stato sempre un guerriero, ed è morto combattendo per la sua vita e per la vita.” C. Valenti, Conversazioni con Judith Malina , Milano, Elèuthera, 1995. Pag. 263.

[22] J. Beck, Theandric, Introduzione di E. Bilder, Roma, Edizioni Socrates,1994. Pagg.19-20.

[23] J. Beck,Theandric, Roma, Edizioni Socrates,1994. Pag. 199.

[24] J. Beck,Theandric, Roma, Edizioni Socrates, 1994. Pag. 207.

[25] J. Beck, Theandric, Roma, Edizioni Socrates, 1994. Pag. 212.

[26] J. Beck, La vita del teatro, Torino, Einaudi, 1975. Pag.103.

[27] J. Beck, La vita del teatro, Torino, Einaudi, 1975. Pag 67.

[28] A. Artaud, Il teatro della crudeltà, Primo manifesto contenuto in Il teatro e il suo doppio, Torino, Einaudi, 2000. Pag 211.

[29] La mostra, intitolata Labirinti dell’ immaginario (Napoli, Castel Sant’ Elmo, 3 luglio-28 settembre 2003) ospitava un consistente nucleo di documenti relativi all’attività del Living: fotografie, registrazioni video di spettacoli, documentari, locandine, scenografie, appunti, lettere di Judith Malina e Julian Beck; una sezione della mostra era interamente dedicata alle opere pittoriche di Julian Beck. L’evento comprendeva anche installazioni di artisti contemporanei che, in qualche modo, sono stati artisticamente influenzati dall’ opera del Living.

[30]“ Quando qualcuno viene da noi e ci dice che desidera unirsi al Living Theatre, noi gli assegnamo un compito: deve farci capire in qualche modo che noi abbiamo bisogno di lavorare con lui, che lui ha tanto da mostrarci e da darci che non vogliamo vivere senza di lui e siamo pronti a passare i prossimi dieci o venti anni insieme.E questo compito consiste nell’ esprimere il più chiaramente possibile il ruolo che l’ artista può svolgere nella lotta del popolo…questo non significa che debba avere già un lungo retroterra di esperienze. Si può trattare di ragazzi di diciassette, diciotto anni: persone molto giovani che hanno già intuito però che è possibile realizzare gli ideali di libertà e di pace e una migliore organizzazione dell’ esistenza…” afferma Judith Malina: C. Valenti, Conversazioni con Judith Malina, Milano, Eulèuthera, 1995. Pag. 230.

[31] Il riferimento è al libro di P. e P. Goodman Communitas, Bologna, Il Mulino, 1970. Paul Goodman nel corso degli anni Sessanta è stato un punto di riferimento del movimento di protesta giovanile. Tra i temi indagati dal filosofo anarchico americano: lavoro e vita comunitaria in una ridefinizione su base neofunzionalista e un’ ottica decentrata degli spazi urbani, descolarizzazione della società (Cfr. P. Goodman, Individuo e comunità, a cura di P. Adamo, Milano, Elèuthera, 1995).

[32] “Né il potere schiacciante dello Stato centralizzato, né gli insegnamenti dell’ odio reciproco e di lotta spietata che dettero, ornandoli degli attributi della Scienza, dei gentili filosofi e sociologi, non hanno potuto distruggere il sentimento della solidarietà umana, profondamente radicato nell’ intelletto e nel cuore dell’ uomo, e fortificato da un’ evoluzione anteriore. Ciò che è il prodotto del progresso dai suoi primi periodi non potrebbe essere dominato da uno degli aspetti di questo stesso progresso. E il bisogno di reciproco aiuto e di mutuo appoggio che aveva trovato un ultimo asilo nello stretto cerchio della famiglia, o tra i vicini dei quartieri poveri delle grandi città, nei villaggi, o nelle associazioni segrete degli operai, s’ afferma di nuovo nella stessa nostra società moderna, e rivendica il suo diritto di essere, come è sempre stato, il fattore principale del progresso. P. Kropotkin, Il mutuo appoggio ai nostri giorni, Roma, p.104. Il concetto di “mutuo appoggio”, analizzato secondo una prospettiva storica ed evoluzionistica, è elaborato da Kropotkin nel 1890 e pubblicato in forma di articoli raccolti nel 1902 nel volume Il mutuo appoggio: un fattore di evoluzione.

[33] J. Beck, La vita del teatro, Torino, Einaudi, 1975. Pag. 96.

[34] Intervista a Judith Malina e Hanon Reznikov, Porto Venere (La Spezia), 1 agosto 2003. L’intervista è stata realizzata da Annamaria Monteverdi e Carola Savoia. Si veda l’appendice.

[35] “Fin dalla sua entrata nel gruppo, Reznikov diventa lo scrittore, reinterpretando il metodo di composizione collettiva del Living. Da subito i suoi testi nascono da un periodo di discussione e di confronto sugli argomenti tra tutto l’ ensemble, durante il quale Reznikov cerca di ottenere il massimo dei contributi prima di passare al momento solitario della creazione testuale. E’ un processo cosciente e razionale di scrittura colletiva che permette di superare, attraverso la figura di un “ostetrico” che segue il parto nelle sue fasi più difficili, i confini e i limiti del soggetto-individuo creatore.” Introduzione a cura di E. Risso e S. Tavella a: H. Reznikov, Quattro spettacoli del living Theatre. Il Metodo zero – Anarchia – Utopia – Il complesso capitale, Lecce, Manni, 2000. Pag. 6.

[36] Non esiste, infatti, una redazione definitiva del testo realizata dal gruppo. L’unica redazione esistente è quella che viene presentata in questa tesi di laurea, nel capitolo II. Essa è stata redatta dall’autrice a partire da una registrazione video effettuata durante la seconda serata (28 settembre 2003) di spettacolo.

[37] J. Beck, La vita del teatro, Torino, Einaudi, 1975. Pag. 82.

[38] J.Beck, La vita del teatro, Torino, Einaudi, 1975. Pag 81.

[39] J. Beck, La vita del teatro,Torino, Einaudi, 1975. Pag. 82.

[40] In Enigmas le luci sono state curate da Gary Brackett.

[41] J. Beck, Addosso alle barricate contenuto in: K. H. Brown, La prigione, Torino, Einaudi, 1967. Pag. 12.

[42] Concetto elaborato dal musicista John Cage e successiavamente adottatto dal Living.

[43] Il canto che accompagna la grande ruota è di Alvin Curran e si intitola “The crossing”. E’ un ritornello composto nel 1970.

[44] E’ impersonato da Tom Walker.

[45] Tratto dal testo di Paradise Now, a cura di F. Quadri, Torino, Einaudi, 1970. Pag. 143.

[46] Paradise Now è un viaggio spirituale e un viaggio politico, un viaggio interiore e un viaggio esteriore. Il viaggio è un’ ascesa verticale verso la rivoluzione permanente (La Bella Rivoluzione Anarchica Permanente). Il viaggio è fissato in un diagramma, che rappresenta una scala di otto Gradini. Ogni Gradino consiste di un Rito, una Visione, un’Azione che conducono alla realizzazione di un aspetto della Rivoluzione. Ogni Gradino è soffuso di una speciale illuminazione in uno specifico colore. I colori sono le luci designate per unificare la consapevolezza e le associazioni di tutti i presenti.

[47] Lo spirito di Julian rappresenta infatti la luce, la speranza della conoscenza della verità, del senso dell’ esistenza. Si noti, a tale proposito, la battuta pronunciata dal coro al termine del prologo: “ Prima che la nostra luce svanisca, per l’ultima volta, per capire… Enigma!”.

[48] “La cosa misteriosa che continua a riapparire. Avvolta e legata, ma respira, come Proteo capace di cambiare forma ma sempre legata e avvolta. Il vaso di Pandora” da: J. Beck, Theandric, Roma, Edizioni Socrates, 1994. Pag. 139. Questo pensiero viene ripreso e ripetuto dal coro in Enigmas, L’enigma del campo o il quadruplo: la perfezione=dualità quadrato (cap II pag.19).

[49] Così è stato definito da Judith Malina lo spettacolo Enigmas.

[50] J. Beck, Theandric, Roma, Edizioni Socrates, 1994. Pag. 278.

[51] J. Beck, La vita del teatro, Torino, Einaudi, 1975. Pag 21.

[52] Sarà infatti ripetuta nella parte finale dello spettacolo, prima della discussione collettiva tra attori e pubblico (si veda Cap. II, pag. 16 e pag 38).

[53] Il rosso e il nero. A proposito di questi due colori Beck scriveva (seppure riferendosi alla cerimonia di possessione praticata dalle popolazioni brasiliane chiamata Kimbanda, dove Exù è Satana): “Exù è il rosso. I suoi colori sono il rosso e il nero. E’ il grido della gente per lo spirito della rivoluzione. E’ l’ invocazione delle forze oscure antioppressione, è la cerimonia in cui si convoca Satana, capo della rivolta nel cielo della classe dominante. Nasce dal riconoscimento del male sfrenato e dalla decisione di trionfarvi sopra per aiutare a liberare la gente dalla miseria eterna, invocazione al genio maligno di Belzebub per riordinare il mondo, è la rappresentazione di un’ antimoralità liberata, una morale in cerca di una realtà più solida di quella prevalente, che ci asservisce tutti…e’ la cerimonia del popolo represso. E’ la mappa della loro rivoluzione. E’ la vera espressione di un sogno popolare: teatro disperato pieno di speranza…” J. Beck, La vita del teatro, Torino, Einaudi, 1975.

[54] La battuta che gli attori del coro affermano e infatti: “Ci ha lasciato qualcosa! Ma cosa ci ha lasciato?” Si veda cap II pag.17.

[55] L’intervista è stata realizzata da Annamaria Monteverdi e Carola Savoia, presso l’Hotel Belvedere di Porto Venere in provincia di La Spezia.

[56] Si veda cap. II pag. 33 e seguenti.

[57] Il teatro Dubrovka di Mosca il 23 ottobre 2002 fu occupato da terroristi ceceni. Poco dopo l’ inizio del secondo atto del musical  Nord-Ost novecentoventidue persone furono prese e tenute in ostaggio per cinquantasette ore. I terroristi (il commando di cinquanta persone era costituito da uomini armati di kalashnikov e di bombe a mano e da diciotto donne) chiedevano che la guerra in Cecenia fosse immediatamente fermata; se ciò non fosse accaduto entro una settimana tutti gli ostaggi sarebbero stati uccisi. Le richieste degli ostaggi non furono accolte e la situazione si diresse verso un punto di non ritorno. L’Alpha Force, la squadra antiterrorismo russa, si introdusse nei sotterranei del teatro e mezz’ora prima dell’assalto, dopo avere realizzato un buco in un muro del teatro, iniziarono a pompare gas soporifero per mettere fuori gioco i terrosristi. Disorientati dal gas e dall’improvviso attacco i ribelli non riuscirono a dare l’ordine alle donne di far saltare in aria l’edificio. Succesivamente si verificò una sparatoria che causò l’uccisione di tutti i cinquanta ceceni e la morte di centoventinove ostaggi.

[58] In Paradise Now il Living faceva riferimento alla guerra in Vietnam.

[59] Afferma Judith Malina: “…quel momento ha segnato per noi l’inizio del teatro non di finzione, del teatro in cui l’attore interpreta l’attore, allo stesso modo in cui Kandinskij capì, guardando i pagliai di Manet, che il quadro non aveva come soggetto i pagliai, ma la pittura. Così, la cosa importante per noi non fu più la finzione o la storia da rappresentare, ma la nostra presenza, il fatto che eravamo là e quello che stavamo facendo e comunicando.” C. Valenti, Conversazioni con Judith Malina, Milano, Elèuthera, 1994. Pag.144.

[60] J. Malina, Un quaderno di esplosioni, introduzione a J. Beck, Theandric, Roma, Edizioni Socrates, 1994. Pag. 14.

[61] J. Beck, Theandric, Roma, Edizioni Socrates, 1994. Pag. 192.