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Indice

Allegato 1

 

Il Patalogo - Annuario dello spettacolo:

schedatura ragionata


il Patalogo 1

Stagione 1977 - 1978

 

Alla sua prima edizione, il Patalogo presenta alcune sezioni che compariranno in ciascun numero dell'Annuario. Si tratta del vero e proprio "scheletro" della pubblicazione, le parti cioè che più specificamente informano e forniscono i dati sulla stagione.

1. Gli spettacoli in Italia (p.177), che dal secondo numero prenderà la denominazione definitiva di "Repertorio di un anno". E' l'elenco degli spettacoli rappresentati in Italia nel periodo di volta in volta considerato. Nel primo Patalogo le rappresentazioni sono ordinate cronologicamente dal 1 luglio 1977 al 30 giugno 1978 (l'Annuario viene stampato nel febbraio 1979). Per ciascuna di esse viene fornita la locandina, che la maggior parte delle volte - oltre al il titolo della pièce - comprende il nome di autore, regista, scenografo, interpreti, il luogo e la data del debutto. Nel corso degli anni la periodizzazione del "Repertorio" subirà delle modifiche. Dopo il numero doppio del Patalogo 5/6 la distanza tra stagione considerata e uscita nelle librerie dell'Annuario si riduce: nel Patalogo 7, stampato nel novembre del 1984, il periodo del "Repertorio" va dal 1 giugno 1983 al 30 giugno 1984. Negli ultimi volumi gli estremi all'interno dei quali è compresa la stagione si attestano stabilmente tra il 16 giugno e il 15 giugno dell'anno successivo. Anche il criterio ordinativo cambia dal Patalogo 2: per facilitare la consultazione gli spettacoli vengono accorpati per compagnie [1] e si segue l'ordine alfabetico. Il "Repertorio"subisce nel tempo alcune altre modifiche: gli interventi di critica e le dichiarazioni di poetica che accompagnano certi spettacoli nel Patalogo 1 e nei successivi in alcune annate scompaiono,[2] rendendo più schematico l'elenco delle rappresentazioni. Altri minori cambiamenti saranno eventualmente segnalati uno per uno procedendo nell'analisi.

2. I festival. Altro appuntamento fisso, il catalogo dei festival e delle manifestazioni di carattere teatrale subisce un progressivo aggiustamento. Nel Patalogo 1 non vengono fatte distinzioni tra Italia ed estero, e il criterio seguito è quello cronologico (gli estremi sono giugno 1977 - luglio 1978): nel Patalogo 3 la rubrica è ripresa, differenziando le manifestazioni italiane da quelle che si tengono all'estero, sempre secondo un ordine cronologico.[3] Per ciascun festival è indicato il nome e il periodo,[4] seguono una breve scheda di presentazione, in cui sono messi in evidenza gli appuntamenti di maggior rilievo, e alcuni inserti di commento ad alcuni spettacoli opsitati all'interno dei vari festival, che variano dalle dichiarazioni di regia alle notazioni degli interpreti alle recensioni critiche.

3. Vetrina di una stagione. Questa sezione comprende l'elenco dei convegni, delle mostre, dei premi di carattere teatrale, i libri sul o di teatro pubblicati nel corso della stagione. La denominazione "Vetrina di una stagione" compare sono nel Patalogo 3: prima i quattro argomenti non sono accorpati, e quindi vengono a formare 4 brevi sezioni distinte.[5]

4. Referendum Ubu. E' la pubblicazione delle votazioni dei critici che partecipano ai Premi Ubu. In ordine alfabetico sono pubblicate le preferenze di ciascun votante per ognuna delle voci cui è chiamato ad esprimere il voto. Le voci dei Premi Ubu subiscono alcune modificazioni nel corso degli anni, che verranno segnalate successivamente nel corso dell'analisi. Nel Patalogo 1 (quando il nome "Referendum Ubu" non è ancora presente, comparendo nel Patalogo 2) esse sono: Miglior spettacolo, Miglior regia, Miglior scenografia, Migliori costumi, Miglior novità, Miglior attore, Miglior attrice, Miglior attore non protagonista, Miglior attrice non protagonista, Gruppo sperimentale dell'anno). Al Referendum segue l'elenco dei premiati, accompagnato dalle immagini di ciascuno di loro.

5. Fin de partie. Sezione dedicata agli artisti scomparsi nel corso della stagione, ha come sottotitolo "I morti dell'anno". In ordine alfabetico viene fornita una scheda di ciascun defunto: non sono menzionati solamente uomini di teatro, ma anche le personalità che con il mondo della scena hanno avuto un qualche tipo di rapporto, come architetti, pittori, poeti, oppure quelle che hanno dato un contributo determinante per il teatro in ambito culturale (saggisti, critici, organizzatori...). Talvolta, ai personaggi di maggior rilievo, è dedicato uno spazio più ampio al di fuori della sezione.

 

Oltre alle sezioni ricorrenti, ciascun Patalogo include alcune altre parti diverse di volta in volta. Si potrebbero considerare "approfondimenti" degli aspetti e degli eventi che hanno maggiormente caratterizzato la stagione che viene raccontata. I contributi specifici sono poi impaginati in modo da fornire delle "aree", delle zone, degli snodi narrativi che formino una chiave di lettura e un tracciato narrativo. E' perciò a queste sezioni "speciali" che soprattutto si rivolge qui l'attenzione nell'analisi. Nel loro svolgersi ed impaginarsi costituiscono infatti le "stazioni" drammaturgiche della stagione teatrale che ogni Patalogo racconta. Gli argomenti trattati e la loro collocazione ed impaginazione restituiscono infatti l'idea delle linee emergenti della stagione secondo gli autori del Patalogo.

 

Nel Patalogo 1 si possono individuare quattro macrozone, una dedicata all'attore, la seconda alle forme di teatro popolare italiano, la terza sulle varie accezioni del "ritorno al naturalismo" e l'ultima sul concetto di "spazio" teatrale. Queste quattro parti nell'impaginazione sono comprese in un unico asse, indicato in costa alle pagine, dove si legge "Teatro/Tendenze".

 

1) Il saggio di Elena De Angeli ("Il Grande Capocomico chiede il sorpasso", p. 275) sviluppa un'analisi sulle figure di "grandattore" che occupano la scena nel corso della stagione, attraverso una serie di exempla, che vanno da Luigi Proietti con il suo A me gli occhi, please al Carmelo Bene di Riccardo III e S.A.D.E., dall'Affabulazione pasoliniana nella versione di Vittorio Gassman al Carlo Cecchi nei panni del Borghese gentiluomo e di Don Giovanni, passando per Leo de Berardinis e Dario Fo. L'analisi tende a dimostrare come l'attore di fama si costruisca lo spettacolo su misura, insofferente delle indicazioni registiche, e forte del successo di pubblico che ottiene. In questa cornice si sottolinea l'importanza che assume il monologo come forma privilegiata di recitazione, e come luogo in cui la bravura del grandattore si esprime al massimo livello. Ai lati delle pagine si ritrovano alcune dichiarazioni degli attori citati nel saggio.

 

2) "Per un teatro naïf", il saggio di Rita Cirio (p. 285), analizza un'altra area del teatro italiano che ha un particolare risalto nella stagione: la sceneggiata napoletana. Il genere, sorpassati i confini regionali, gode di ottimo successo nelle grandi città italiane, ottenendo il tutto esaurito a Milano e a Roma. Partendo da queste premesse, l'autrice mette in evidenza le caratteristiche peculiari della sceneggiata, sviscerandone ruoli, pratiche, tematiche e rapporto con il pubblico. Il discorso poi, dalla sceneggiata, si apre ad altre forme di teatro popolare, come il dramma sacro. Le pagine, ai lati, ospitano una serie di materiali con informazioni aggiuntive sul genere teatrale (attraverso schede sintetiche, brani di recensioni e dichiarazioni degli artisti del teatro popolare partenopeo ci si può fare un'idea precisa del fenomeno). Questi materiali si alternano alle immagini delle locandine degli spettacoli.

 

3) Franco Quadri, in "Naturale, nuovo naturale, iperrealista, reale..." (p. 295), analizza il recupero del "naturalismo", bandito da tutti gli anni '60 e parte dei '70, e riemergente nelle sue varie declinazioni nel corso della stagione. Attraverso la lettura di alcuni spettacoli, l'autore mette in evidenza i modi in cui sembra manifestarsi una rinnovata tendenza al "realismo". Due sono gli autori - secondo il critico - che maggiormente si possono citare in relazione a una pratica teatrale "neo-realista", o più specificamente a una pratica teatrale caratterizzata da quello che Quadri chiama "realismo critico": August Strinberg e Henrik Ibsen. In quest'ottica sono esaminate le messinscene di Signorina Giulia secondo Werner Schroeter, Spettri per la regia di Luc Bondy, L'anitra selvatica diretta da Luca Ronconi. Ma ampio riferimento è fatto al lavoro di Peter Stein in Come vi piace di William Shakespeare e nella Trilogia del rivedersi di Botho Strauss, o all'edizione di Claus Peymann per l'Ifigenia in Tauride di Goethe. Menzionati sono anche l'Amleto shakespeariano diretto da Peter Zadek e Winterreise dall'Hyperion di Hölderlin per la regia di Klaus Michael Grüber. Per concludere la carrellata, è analizzato Pig, Child, Fire! dello Squat Theatre, spettacolo tenuto all'interno di un negozio di New York.

 

4) Il cuore degli interventi del Patalogo 1 riguarda comunque il problema dello spazio teatrale. La riflessione - che entra cospicuamente a far parte anche del discorso sul "naturalismo" di ritorno - è sviluppata in più sottosezioni. Introduce l'argomento una lunga intervista di Franco Quadri a Gae Aulenti (definita in costa "Il personaggio dell'anno"), a proposito del Laboratorio di Prato, realizzato da Luca Ronconi in collaborazione con la scenografa/architetto (p. 317). Sin dal titolo "Nello spazio dell'ambiguità", il tema è presente in modo centrale. La Aulenti racconta l'esperienza di Prato, con particolare attenzione al luogo realizzato e utilizzato per La torre di Hugo von Hofmannsthal. Lo spazio teatrale qui viene considerato come un elemento fondante della drammaturgia. Si può parlare in questa accezione di "spazio drammaturgico". La Aulenti racconta l'elaborazione del lavoro per La torre, quali fossero le proposte e in che modo il luogo (una stanza barocca all'interno dello spazio industriale del Fabbricone di Prato) è stato scelto e costruito. Il luogo - in questo caso - è stato uno degli assi costitutivi dello spettacolo.

A quest'intervista apripista - cui segue un brano di Jean Genet in cui visionariamente l'autore individua nel cimitero il luogo unico in cui possa svolgersi un evento teatrale - si lega una lunga serie di interventi che analizzano diverse proposte di un nuovo rapporto tra il teatro nel suo farsi e lo spazio urbano, metropolitano. Sono descritti dalla viva voce dei protagonisti i vari tentativi di individuazione di luoghi "cittadini" da trasformare, adibire, rimodellare, "teatralizzare". E viene messo in risalto il tentativo - attuato grazie al teatro - di riappropriazione della città da parte dei suoi abitanti. Ecco dunque ancora Gae Aulenti parlare del complessivo esperimento del Laboratorio di Prato, visto come una "riscrittura" di zone della città in termini teatrali, e del successivo recupero delle stesse (come appunto l'area industriale dismessa del Fabbricone). Il progetto per Winterreise di Klaus Michael Grüber racconta l'utilizzo di uno stadio di calcio, in pieno inverno, come spazio drammaturgico in cui inserire volontariamente la storia di Iperione. Le iniziative di ii, rassegna di manifestazioni in vari luoghi "non-teatrali" di Roma sono descritte dagli stessi organizzatori. Un'altro possibile riutilizzo del territorio in ottica teatrale è quello raccontato dal gruppo Cfr. di Firenze, che con il suo teatro invisibile occupa sei diversi luoghi della città, tra cui un dormitorio, un acquedotto, i bagni comunali, per allestirvi sei diverse rappresentazioni. L'itinerario di Giuliano Scabia tra Bologna e zone rurali è un altro esempio di spazio che si fa teatrale. Nei suoi "Viaggi" l'artista segue il corso delle stagioni, esce dal tessuto urbano per rientrarvi successivamente, secondo un preciso sviluppo drammaturgico dell'azione teatrale.

E dentro e fuori la città, o per meglio dire - attraverso - si muove anche il treno di John Cage, che nei suoi tre giorni di happening ferroviario parte da Bologna per poi ritornarvi. L'azione in questo caso si svolge in itinere all'interno del treno e nelle varie stazioni in cui il convoglio fa sosta.

Due gruppi che hanno fatto dell'utilizzo dello spazio un tema cardine del loro lavoro concludono la carrellata: Il Carrozzone descrive quadro per quadro l'ambiente realizzato e utilizzato per Rapporto confidenziale, mentre lo Squat Theatre si interroga su nuove ipotesi di spazio teatrale dopo l'esperienza di teatro "da vetrina" in una strada di New York.

 

 

Il Patalogo 2

Stagione 1979 - 1979

 

All'interno del Patalogo 2 si possono individuare tre grandi macro-aree, tre "fili conduttori": la prima si riferisce ancora alla figura dell'attore, questa volta declinata al femminile, la seconda indaga gli aspetti spettacolari della poesia, la terza coglie una tendenza, la sempre più determinante presenza dell'elemento sonoro all'interno del teatro, e sfocia poi in un'analisi delle forme di teatro "musicale" all'interno della stagione.

 

1) Il tema del "teatro al femminile" è introdotto da un saggio di Elena De Angeli ("Le mostre sacre", p. 57), in cui si analizza la figura della "primattrice", della grande donna di teatro, passandone alcune in rassegna, e descrivendone il temperamento e la personalità: da Pupella Maggio a Sarah Ferrati, da Lilla Brignone a Paola Borboni. A lato della pagina, affiancano il saggio una serie di ritratti d'attrice di Jean Cocteau tratti dal libro Mes montres sacres: Edwige Feuillère, Marlene Dietrich, Jacqueline Kennedy, Sarah Bernhardt. A conclusione del saggio, una serie di "confessioni": Sarah Ferrati, Pupella Maggio, Lilla Brignone e Paola Borboni raccontano la loro esperienza artistica, rievocando gli inizi e gli incontri importanti della loro carriera.

Di teatro al femminile si parla anche più oltre. "L'anno della donna", un breve saggio di Monica Gazzo (p. 72), seleziona alcune esperienze significative del teatro fatto esclusivamente da donne: The a tre del Gruppo Maddalena, Respiro sospeso di Rossella Or, Giorni felici di Vita Accardi da Samuel Beckett, Marcata a vita di Terra di Benedetto, Biancaneve di Daniela Morelli e Due donne di provincia di Dacia Maraini.

 

2) Il tema della poesia spettacolare, o dello spettacolo di poesia (già accennato nel Patalogo 1 da Elena De Angeli[6]) è oggetto di vari interventi. L'ossatura è costituita dal lungo saggio di Oliviero Ponte di Pino e Gianfranco Capitta, "Il poeta in scena" (p. 109): qui viene analizzato l'interesse che riscuote in quegli anni la poesia, e si procede ad una storia dei rapporti tra poesia e scena (quindi declamazioni pubbliche, readings, happening). L'avvicinamento della poesia alle forme spettacolari è indagata partendo dagli esperimenti del Gruppo '63 e approdando alla grande manifestazione poetica tenutasi nel 1979 a Castelporziano. Sono presi in considerazione i protagonisti, sia singolarmente che come gruppi o tendenze. A lato compaiono gli interventi scherzosi che Stefano Benni scriveva in quel periodo a proposito del tema per "il manifesto".

Il saggio è seguito da una serie di dichiarazioni di poeti e performer, che esprimono le loro idee sulle possibilità insite nella poesia di divenire un evento pubblico, e sul rapporto tra poesia, musica e spettacolo. Tra gli altri, parlano Allen Ginsberg, Julien Blaine, Adriano Spatola, Roberto Roversi, Cesare Viviani.

I giorni di Castelporziano sono raccontati da Franco Cordelli, sponsor dell'iniziativa e curatore di un'antologia dal titolo emblematico, Il pubblico della poesia. Michelangelo Coviello, Antonio Porta, Paolo Bessegato, Valeria Falcinelli e Silvano Piccardi, esponenti di punta del movimento della "sex poetry", fanno poi un bilancio dell'esperienza.

La sezione dedicata alla poesia si conclude con una mappa dei convegni, delle rassegne e degli incontri dedicati all'argomento.

 

3) Come nel Patalogo 1 il nucleo centrale consisteva nella definizione e nell'analisi del concetto di "spazio teatrale", nel secondo anno l'Annuario concentra una serie di interventi su un determinato e specifico argomento. In questo caso, si tratta della tendenza in corso nella stagione considerata a privilegiare l'elemento sonoro, fino a vedere l'opera teatrale come una "partitura". Franco Quadri, per intitolare il suo saggio, utilizza un gioco di parole, distorcendo il titolo di un famoso lavoro di Robert Wilson, Lo sguardo del sordo, che diviene "L'orecchio del cieco". Proprio partendo da Wilson, l'autore ripercorre le varie tappe che segnano il passaggio da un teatro prevalentemente "visuale" ad uno marcatamente "sonoro". Si introduce il concetto di "opera" a caratterizzare lo spettacolo, e si analizzano gli artisti che incarnano questa tendenza, dalla voce-spartito di Carmelo Bene alla voce-opera di Meredith Monk, da Leo de Berardinis al Carrozzone-Magazzini Criminali.

Eugenio Barba ("Lo strumento addormentato nel bosco", p. 130) svolge un excursus storico attraverso gli spettacoli dell'Odin Teatret, e descrive il modo in cui il suo gruppo utilizza la musica e gli strumenti musicali.

La voce di Carmelo Bene, con le sue dissonanze e i suoi artifici è l'oggetto del breve saggio di Jean-Paul Manganaro sull'attore. Vengono presi in considerazione Otello. Romeo e Giulietta e Riccardo III riscritti in "partiture" da Carmelo (p. 132).

Il rapporto tra suono e teatro, tra elemento sonoro e scena viene affrontato poi da un attore e da un musicista: Sandro Lombardi traccia un excursus a tappe sul contrappunto sonoro e sull'importanza della musica nel lavoro del Carrozzone (p. 133), mentre Sylvano Bussotti, il musicista con cui collabora il regista Pier'Alli, sviluppa una riflessione sul rapporto tra teatro e musicalità della voce, con riferimento particolare al lavoro congiunto di regista e musicista per il loro beckettiano Winnie dello sguardo (p. 136).

Questa sezione dedicata come si è visto ai rapporti tra teatro e musica, nelle loro diverse espressioni, è seguita da due interventi che hanno come argomento il teatro musicale per antonomasia, cioè il musical. Rita Cirio racconta la storia della ditta Garinei & Giovannini, mettendo in evidenza l'universo valoriale cui il musical italiano targato G & G fa riferimento e analizzando ciascuna opera singolarmente e in relazione alle altre.[7] Sono indagati temi e ruoli della commedia musicale italiana e si accenna al sorgere di avversari, nella stagione in corso, al monopolio della G & G, come ad esempio il Luigi Proietti del Gaetanaccio. Alberto Arbasino invece ("Il musical dei Settanta secondo Arbasino", p. 151) accosta il musical americano alla commedia musicale italiana, e apre un confronto tra i due generi. Segue una cronistoria del musical americano degli anni '70, attraverso gli articoli scritti dallo stesso Arbasino per "la Repubblica" in quel periodo.

Completano questa ampia parte sul teatro musicale una scheda sui musical targati Usa di maggior successo (p. 171), i brevi saggi di Giovanni Buttafava sui tentativi sovietici di imitazione (a sfondo nazionalistico) del musical americano (p. 172), e di Colette Godard sui cambiamenti (ideologici e tematici) dell'Opera di Pechino (p. 173).

Da notare che, in un'edizione dell'Annuario dedicata in gran parte ai rapporti tra mondo teatrale e mondo musicale, tra le voci del Referendum Ubu è inserita anche quella di "Miglior spettacolo con musiche".

 

In aggiunta al "Repertorio di un anno", nel Patalogo 2 è offerta una selezione di spettacoli (I 20 spettacoli dell'anno, p. 79) di cui è fornita una serie di materiali, dalle recensioni alle dichiarazioni dei protagonisti.

 

 

il Patalogo 3

Stagione 1980 - 1981

 

Nel Patalogo 3 per la prima volta compare una ripartizione "alfabetica": gli argomenti emergenti all'interno della stagione vengono "rubricati" secondo le lettere dell'alfabeto. Questa ripartizione tornerà più volte nei numeri successivi. L'approccio "alfabetico" sembra rendere la suddivisione in aree omogenee più difficoltosa. Tuttavia è possibile anche qui enucleare alcuni "fili conduttori", che emergono con evidenza all'interno della molteplicità dei temi trattati. Un primo filone di argomenti riguarda la massiccia presenza in Italia di artisti stranieri; il secondo gruppo pone al centro la figura dell'autore e il rapporto tra scrittura e scena. Le scuole di teatro sono al centro della terza serie di interventi. La quarta zona privilegiata riguarda alcune figure politico-istituzionali legate al mondo del teatro.

 

1) L'invasione di teatro straniero cui l'Italia fa da palcoscenico è raccontata in un articolo di Roberto Agostini (p. 87) in cui vengono passati in rassegna tutti i gruppi e le personalità che hanno lavorato in Italia durante la stagione: attori, registi, maestri che trovano nel Belpaese un terreno fertile. Sono citati tra gli altri gli americani Robert Wilson, Meredith Monk, Richard Foreman, Squat Theatre, Winston Tong, Stuart Sherman e Teatro Campesino; gli orientali (Opera di Pechino, Progetto Bali del Piccolo Teatro di Pontedera), il Terzo Teatro (Cesar Brie, Eugenio Barba). Oltre al passaggio occasionale, viene messa in evidenza la tendenza di alcuni stranieri ad insediarsi in Italia per lavorare con compagnie ed attori italiani: tra loro Peter Lotschak, Susan Sontag e Tadeusz Kantor.

Lo specifico del lavoro di Richard Foreman è raccontato da Fabio Mauri, che ha lavorato con l'artista americano in Luogo + Bersaglio (p. 89), mentre Brunella Eruli dà il resoconto del soggiorno di Kantor a Firenze e fornisce il diario di lavorazione di Wielopole - Wielopole (p. 90).

Giuseppe Bartolucci (p. 91) commenta brevemente "la calata degli stranieri" in Italia, criticandone gli eccessi e chiedendo agli organizzatori teatrali e ai politici di ambito culturale di sviluppare oltre ad un forse eccessivo import di stranieri, anche l'esportazione all'estero del teatro italiano.

A quest'ottica "girovaga" e itinerante del teatro internazionale può ricondursi anche il saggio di Franco Quadri ("Nomadismo", p. 148), in cui viene analizzata, in forma di diario la tendenza di gruppi ed artisti a ricercare il proprio spazio teatrale in luoghi decentrati, lontani dalla propria esperienza d'origine. A questo peregrinare del teatro corrisponde il "nomadismo" del critico che viene spinto a muoversi per il mondo, inseguendo gli spettacoli anche in zone impervie ed inesplorate. Al "desiderio di sradicamento del teatrante", al suo "peregrinare" corrisponde lo sradicamento "di chi ne segue il lavoro e che del teatrante pretende di registrare un riflesso" (p. 151), cioè - appunto - il critico. Nel corso dell'esposizione sono citati molti esempi di abbandono della metropoli e dei grandi centri a favore di luoghi sperduti nel mondo, in cui riformulare le proprie esperienze espressive.

 

2) La figura dell'autore collega tra loro tre interventi molto diversi. Il primo è il resoconto, a cura di Elena De Angeli (p. 63), di una giornata (24 maggio 1980) al Salone Pierlombardo in occasione degli 80 anni di Eduardo, attorno alla cui figura si sono raccolti gli interventi di registi (Giorgio Strehler, Franco Zeffirelli, Dario Fo, Andrée Ruth Shammah, Leo de Berardinis, Carmelo Bene), attori (Luca De Filippo, Pupella Maggio, Franco Parenti, Sergio Selli, Franca Valeri, Bruno Cirino, Paolo Stoppa, Giorgio Albertazzi), critici (Alberto Abruzzese, Roberto De Monticelli, Italo Moscati, Franco Quadri, Renzo Tian). Eduardo negli stessi giorni rilascia un'intervista in cui risponde a tutti.

Maria Grazia Gregori dedica un lungo articolo ai numerosissimi allestimenti pirandelliani della stagione (p. 71). Al termine, seguono le dichiarazioni di intellettuali del passato e del presente su Pirandello, tra cui Filippo Tommaso Marinetti, Antonio Gramsci, Leonardo Sciascia, Alberto Moravia, Susan Sontag, Massimo Castri, Mario Missiroli.

Gianfranco Capitta infine analizza la situazione di crisi in cui versa la nuova drammaturgia italiana (p. 73). L'attenzione si sposta dal testo drammatico a quella che è definita la "scrittura scenica". A questo proposito è portata ad esempio l'elaborazione di Crollo nervoso dei Magazzini Criminali (Crollo nervoso è citato anche a p. 120, dove si trova una recensione di Franco Quadri, e a p. 129, dove Federico Tiezzi spiega la dinamica dei movimenti coreografici dello spettacolo).

 

3) L'esigenza di una formazione professionale dell'attore è al centro dell'intervento di Roberto Agostini (p. 160). Viene tracciata la mappa delle nuove Scuole e dei nuovi Corsi di teatro: La Bottega Teatrale di Firenze di Vittorio Gassman, Il Centro di Avviamento all'Espressione di Orazio Costa, lo Studio di Alessandro Fersen. Interventi sull'argomento di Walter Le Moli, Luca Ronconi, Carlo Cecchi.

 

4) Con il titolo "Gli assessori d'assalto" (p. 80) Gianfranco Capitta e Gianni Manzella passano in rassegna le figure politiche che promuovono (o che fanno) teatro: si susseguono interviste e dichiarazioni che analizzano la situazione di alcune grandi città italiane e pongono l'accento sull'attivismo di alcune personalità, come Renato Nicolini a Roma, a Firenze Franco Camarlinghi, Novella Sansoni a Milano. Viene segnalata inoltre l'assenza di una politica teatrale a Bologna.

 

Il Patalogo 3 è attraversato anche da alcuni "ritorni" a tematiche affrontate nei due numeri precedenti. Si segnala qui il saggio di Franco Quadri ("Un'altra fine secolo", p. 74) che riprende la questione del naturalismo teatrale (vedi il Patalogo 1). Sono presi in considerazione tra gli altri Rosmersholm nella regia di Massimo Castri, Temporale di Strindberg per la regia di Giorgio Strehler, L'uccellino azzurro di Maeterlinck per la regia di Luca Ronconi. Anche il tema del musical italiano, stretto tra il monopolio della ditta Garinei & Giovannini e i tentativi di alternativa, trattato nel Patalogo 2, viene ripreso da Gianni Manzella nel breve saggio "C'era una volta il musical", p. 78. Anche lo spazio teatrale ritorna in primo piano, attraverso un'analisi dei progetti (e le realizzazioni) di nuovi teatri in tutta Italia: I due recinti di via Sabotino a Roma, progetto di Franco Purini; Il Teatro del Mondo a Venezia, progetto di Aldo Rossi; Uno spazio per Strindberg a Roma, progetto di Enrico Job; il Nuovo Piccolo Teatro a Milano, progetto di Marco Zanuso; il teatro al Castello in onore di Leonardo a Milano, progetto di Roberto Guiducci.

 

Anche in quest'Annuario vengono descritti attraverso commenti critici e recensioni i "20 spettacoli dell'anno".

 

Infine, al di fuori dei "Fin de partie", vengono ricordati: Romolo Valli con un suo pezzo autografo; Macario, descritto da Umberto Simonetta; Peppino De Filippo con un intervento dell'attore stesso in cui esprime la sua difficoltà a parlare "sul" teatro.

 

 

Il Patalogo 4

Stagione 1981 - 1982

 

Anche il Patalogo 4 è articolato secondo un criterio "alfabetico". Questo numero sembra più eterogeneo, nella sua composizione, dei tre precedenti. L'"Alfabeto" raccoglie infatti al suo interno i più svariati elementi della stagione. L'accorpamento in "macroaree" in questo caso appare più difficoltoso. Gli argomenti inseriti danno informazioni frammentarie, che vanno dalla curiosità (ad esempio i commenti al recupero dei Bronzi di Riace, o la "zoofilia" di Olivier Perrier, p. 257) al rapporto tra teatro e emarginazione, come la sezione "Handicappato (L'anno del)", p. 219, alla carrellata sugli uomini di teatro con cariche politiche (p. 239), alla scenografia secondo Emanuele Luzzati (p. 246). Quello che sembra mancare comunque è un filo conduttore tramite il quale leggere la stagione teatrale. Tuttavia, anche in questa mescolanza di temi e argomenti, emergono alcuni punti "forti" ed alcuni "ritorni", cioè argomenti toccati dai numeri precedenti che vengono ripresi e ridiscussi.

Un primo filone tematico può essere individuato nel rapporto tra teatro e storia. Un secondo quello che lega mondo della scena e sfera della sessualità.[8] Un ampio spazio viene poi dedicato a due spettacoli "storici", il Peer Gynt di Ibsen diretto da Patrice Chéreau e l'Orestea di Eschilo secondo Peter Stein.

 

1) Il rapporto tra teatro e storia recente è analizzato in ambito tedesco: viene colta la tendenza in atto in Germania a mettere in scena ambienti e tematiche che riguardano il periodo nazista (p. 228). Da una fase di silenzio "colpevole" si è passati ad un'altra, in cui gli orrori del nazismo sono rappresentati per denunciarli. In questo excursus vengono descritte le varie rappresentazioni tedesche che riprendono a trattare criticamente le tematiche, i costumi, le architetture e il pensiero del periodo nazista. Come esempio paradigmatico è citato Ognuno muore solo da Hans Fallada per la regia di Peter Zadek.

In questa cornice si inseriscono anche tre brani di Gustav Gründgens, attore del regime hitleriano, che parla del lavoro dell'attore in Germania. A suggello di questa sezione è inserito lo spietato "dramoletto" di Thomas Bernhard, Il pranzo tedesco.

Ma anche la discussione su uno spettacolo italiano, Fascino (p. 213), che ha al centro due attori uccisi dai partigiani durante la Liberazione, può entrare a pieno titolo in questo "filone" che guarda al teatro come serbatoio di memoria storica. Sui personaggi di Luisa Ferida e Osvaldo Valenti si susseguono gli interventi di Jean Baudrillard, Giorgio Bocca e del regista dello spettacolo, Gian Marco Montesano. Conclude un brano di Alessandro Blasetti che traccia la personalità dei due attori.

 

2) Teatro ed elemento sessuale emergono con evidenza all'interno di questo Patalogo. Le esperienze di tre gruppi anglosassoni di "Sex Theatre", il Project, Belle de Jour e Bizzarre Theatre vengono esaminate e descritte da Catherine Burgheart e Sam Blazer (p. 241). Si esplorano i confini tra rappresentazioni teatrali e "sesso spettacolarizzato", in una stagione che vede il fiorire di queste iniziative, sull'onda dei club per adulti sorti un po' dappertutto negli Stati Uniti. Si toccano tutti gli elementi peculiari di queste sexiazioni spettacolari: dalla partecipazione attiva degli spettatori ai fenomeni di voyeurismo.

Con il sesso ha a che fare anche l'articolo di Bernard Weiner a proposito di The Romans in Britain di Howard Benton, messa in scena dal National Theatre di Londra. Il pezzo analizza le reazioni alla scena di sodomia che la pièce contiene e che ha fatto scandalizzare la critica inglese.

 

3) Uniti dalla definizione "I due spettacoli dell'anno" (p. 190), il Peer Gynt di Enrik Ibsen diretto da Patrice Chéreau e l'Orestea di Eschilo nella versione di Peter Stein sono ampiamente trattati all'interno del Patalogo 4. Il regista francese racconta in un'intervista le differenze tra il suo Peer Gynt e quello di Stein alla Schaubühne nel 1971; descrive il suo rapporto con il testo e il suo procedimento di lavoro. Segue un'analisi critica dello spettacolo a cura di Franco Quadri. Di Peer Gynt è anche fornita un'analisi di François Régnault (p. 221), che mette in evidenza - all'interno del dramma ibseniano - il nodo cruciale della definizione dell'identità.

Anche l'Orestea di Peter Stein è introdotta da un lungo articolo di Franco Quadri (p. 197), in cui vengono esaminate tutte e tre le tappe della trilogia (Agamennone, Coefore ed Eumenidi). Attraverso le dichiarazioni rilasciate da Stein a Milano in un confronto con Luca Ronconi è esplicitata l'idea complessiva che ha il regista dello spettacolo e, soprattutto, quale funzione deve svolgere il coro. Stein poi stabilisce un confronto, mettendo in luce le differenze, con l'Orestea di Luca Ronconi del 1972.

 

Nel Patalogo 4 alcune tematiche già affrontate in precedenza ritornano in altre accezioni e cornici. Segnaliamo qui le due più evidenti.

Il rapporto tra poesia e teatro (vedi il Patalogo 2) è affrontato da Elena De Angeli, che svolge un excursus sulle lecturae Danctis "teatrali" della stagione (p. 210), da quella di Carmelo Bene a Bologna a quella di Giorgio Albertazzi al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini.

Le politiche culturali (e le loro realizzazioni spettacolari) dell'Estate Romana, curata dall'assessore alla Cultura di Roma Renato Nicolini (vedi il Patalogo 3), sono al centro della vis polemica di Alberto Arbasino (p. 207), che in numerosi articoli per "la Repubblica" e per "l'Espresso", raccolti in sequenza nel Patalogo, definisce "circenses" gli addetti ai lavori.

L'utilizzo di autobus e torpedoni in senso teatrale (p. 248), vero e proprio "teatro in pulmann", tra Firenze e Roma, riporta alla riflessione sullo spazio "teatrabile", e soprattutto al concetto di "riappropriazione" del territorio urbano (Vedi il Patalogo 1). Sono analizzati gli spettacoli all'interno e all'esterno dei mezzi di trasporto, le fermate intermedie, i capolinea e l'itinerario seguito.

 

Separati dall'elenco dei "Fin de partie" sono i ricordi di Paolo Grassi (attraverso la lettera scritta da Giorgio Strehler per la sua morte e letta al Piccolo Teatro il giorno della scomparsa), Tino Buazzelli (con le parole di Roberto De Monticelli) e Giorgio De Lullo (grazie ad un'intervista all'attore stesso in cui egli esprime la sua idea di teatro e l'attore che vorrebbe).

 

 

il Patalogo 5/6

Stagioni 1981 - 1982 e 1982 - 1983

 

Il Patalogo 5/6, numero doppio che contiene al suo interno due stagioni, sembra individuare due "macro zone" legate tra loro: la prima focalizza la sua attenzione sull'Autore drammatico; la seconda indaga il ritorno dei gruppi teatrali alla "parola", e conseguentemente al testo e alla scrittura.

 

1) La figura dell'autore appare centrale nel Patalogo 5/6. Già il fatto che la parola "autore" introduca la rassegna alfabetica dei principali argomenti della stagione può essere un indizio della sua preminenza in questa edizione dell'Annuario. L'intervista ad Heiner Müller (p. 126) contiene molti spunti per l'analisi di questa figura: vengono infatti toccate tutte le tematiche proprie del drammaturgo, dal tipo di scrittura al rapporto con gli altri componenti del mondo teatrale.

Anche il collage di citazioni di Samuel Beckett (p. 128) fornisce delle indicazioni del rapporto ambivalente che lo scrittore drammatico mantiene con le scene. Beckett - celebrato nel corso dell'anno in ogni parte del mondo, e divenuto ormai un "classico" - esprime le sue preferenze e denuncia i suoi sospetti nei confronti degli uomini di teatro.

Ma il Patalogo 5/6 dedica spazio ad un altro autore che, come Beckett, è considerato un "classico contemporaneo": Genet. Vengono passati in rassegna i testi dell'autore francese rappresentati nella stagione: Les Nègres nella versione di Peter Stein (con una proposta di Genet per il finale allo spettacolo, e un'intervista di Franco Quadri a Peter Stein, in cui il regista racconta la genesi dello spettacolo, p. 145), e Les paravents per la regia di Patrice Chéreau (con un'analisi del testo di Genet da parte di François Regnault, collaboratore di Chéreau nell'allestimento, p.150).

 

2) Intrecciata alla prima "area" tematica è anche la seconda, che ha come oggetto gli esponenti italiani del "terzo teatro", secondo la definizione coniata da Eugenio Barba. Nel suo saggio, "Ritorno del rimosso" (p. 171), Renata Molinari traccia l'analisi delle pratiche teatrali dei gruppi italiani, individuando nel ritorno alla parola una via d'uscita all'impasse in cui si trovano una volta sperimentate tutte le accezioni dell'"arte spontanea". E proprio nella letteratura, nella parola, nel "rimosso" - dice l'autrice - le nuove realtà teatrali trovano un rifugio. In questo senso si parla dell'attore come "drammaturgo di se stesso".

 

 

il Patalogo 7

Stagione 1983 - 1984

 

Il Patalogo 7 ruota attorno ad alcuni "snodi" tematici, individuabili con grande chiarezza e immediatezza. Un primo nucleo - ricorrente nei precedenti volumi - indaga il rapporto tra teatro e poesia. Il secondo filone di interventi si incentra su un autore, Anton Cechov, molto presente all'interno della stagione. Il terzo "snodo" passa in rassegna il profilo di alcuni giovani registi. La quarta area infine si occupa degli aspetti legislativi che regolamentano la produzione teatrale di prosa in Italia.

In questo numero dell'Annuario le categorie sono immediatamente riconoscibili, perché sono già rubricate nell'indice. La stagione 1983-1984 è già divisa per macrotemi, all'interno dei quali si inseriscono numerosi interventi. In questa sede si intendono mettere in evidenza le tre "zone" che hanno all'interno del Patalogo una maggiore ampiezza e che sembrano dare una lettura articolata della stagione.

 

1) La poesia a teatro è trattata da Renata Molinari (p. 129) in un saggio che passa in rassegna le personalità che praticano un "teatro di poesia", uno per tutti Carmelo Bene. Vengono poi esaminate le forme in cui il mondo della poesia si incontra con lo specifico teatrale: ecco dunque il recital come forma privilegiata. Il verso è analizzato come metro dell'azione teatrale, elemento drammatico e "lingua universale", anche attraverso la citazione di alcune autorità come Jean Louis Barrault e Vsevolod E. Mejerchol'd. Ma il cuore del saggio è il discorso sulla drammaturgia del "teatro in versi".

A questo saggio è collegata una serie di altri interventi, in cui le recensioni critiche si alternano alle dichiarazioni degli stessi protagonisti del teatro di poesia che ha caratterizzato la stagione. Sono tutti esempi del lavoro su testi poetici - drammatici e non -: si va da Carmelo Bene con il suo Adelchi da Alessandro Manzoni alla traduzione napoletana della Tempesta shakespeariana ad opera di Eduardo De Filippo; da brani dell'Orestea tradotta in siciliano da Emilio Isgrò a parti dei Promessi Sposi alla Prova di Giovanni Testori; dall'adattamento di Cherif di Angeli dalla gelida fronte di Georg Trakl alla traduzione di Giovanni Raboni della Fedra di Racine.

 

2) Anton Cechov è l'autore dell'anno, sia in Italia che all'estero. In questa sezione sono descritte varie messinscene cechoviane: Manfred Karge commenta in un articolo il suo lavoro sul Giardino dei ciliegi diretto insieme a Matthias Langhoff a Ginevra (p. 139). Dello stesso spettacolo è pubblicata anche una recensione di Urs Jenny presa dal catalogo dei "Theatertreffen" del 1982 (p. 140).

Cechov è protagonista anche (e soprattutto) in Germania, dove a Berlino sono in cartellone due testi d'eccezione: Tre sorelle per la regia di Peter Stein, e Sulla strada maestra, per la regia di Klaus Michael Grüber. Cesare Lievi ripercorre le tappe dell'elaborazione dei due spettacoli e ne individua le caratteristiche essenziali (p. 141).

In Italia Tre sorelle è messo in scena da Otomar Krejca per il Teatro Stabile di Genova. Nelle "Note" raccolte da Karel Kraus (p. 144) il regista compie un'attenta analisi dei caratteri dei personaggi di Cechov e fornisce la sua chiave di lettura della realtà per come viene descritta dall'autore russo.

Dal programma di sala dello spettacolo sono raccolte le osservazioni di Helmut Schäfer, dramaturg del Theater an der Ruhr che ha lavorato al testo cechoviano per l'edizione diretta da Roberto Ciulli per quel teatro (p. 147).

Il Gabbiano realizzato da Antoine Vitez è infine al centro dei due interventi successivi: Georges Banu analizza il testo di Cechov come "pièce sull'arte" e lo rapporta agli altri lavori di Vitez (p. 147); lo stesso regista spiega come ha proceduto per tradurre il testo dal russo, quali siano stati i criteri e quali le infedeltà alla lettera cechoviano (p. 148).

 

3) La terza area privilegiata nel Patalogo 7 ha come centro di interesse la figura del regista. Più precisamente, sotto il titolo "Under 33. I giovani registi in Italia" Rodolfo Di Giammarco e Oliviero Ponte di Pino (p. 172) riuniscono una serie di giovani registi (appunto "under 33"): Giorgio Barberio Corsetti, Marco Bernardi, Giancarlo Cauteruccio, Cherif, Guido De Monticelli, Gianni Fiori, Nanni Garella, Cesare Lievi, Mario Martone, Marco Mattolini, Massimo Navone, Walter Pagliaro, Cesare Pergola, Franco Però, Pino Quartullo, Annibale Ruccello, Roberto Ruggieri, Marco Sciaccaluga, Giampiero Solari, Italo Spinelli, Antonio Syxty, Federico Tiezzi. Ciascuno di essi traccia una breve autobiografia, raccontando il proprio percorso e la propria poetica. Per ognuno è poi compilata la teatrografia.

 

Si segnala una zona tematica in cui ritorna il legame tra teatro e musica, già trattato ampiamente nel Patalogo 2. Qui l'argomento compare in relazione al lavoro di alcuni artisti attorno alla personalità e all'opera di Wagner (p. 151): il progetto per Parsifal di Robert Wilson, Il potere della follia teatrale, kolossal su Wagner di Jan Fabre e Die Nacht, monologo sul teorico dell'opera totale diretto da Hans Jürgen Syberberg ed interpretato da Edith Clever.

 

 

il Patalogo 8

Stagione 1984 - 1985

 

L'impaginazione alfabetica della stagione ritorna nel Patalogo 8. Anche in questa annata comunque si riescono ad individuare tre "snodi". Il "blocco" di maggior rilievo si rivolge alla drammaturgia, alla scrittura teatrale e ai cosiddetti "nuovi autori". Ma all'interno non mancano i riferimenti ad autori passati particolarmente rappresentati nel corso della stagione. Un successivo - e limitrofo - filone riguarda più specificamente le "lingue teatrali". E' analizzata infine la tendenza emergente che spinge molti artisti della scena verso il teatro barocco.

 

1) Dopo un periodo in cui la parola scritta era stata accantonata per favorire il corpo prima e lo sguardo poi, essa sembra ritornata ad essere un elemento chiave del teatro europeo e anche italiano. Partendo da questo assunto di base viene proposta una mappa di centri culturali, manifestazioni, rassegne che si occupano di drammaturgia in Italia, una scheda dei corsi di formazione per aspiranti drammaturghi e una ricognizione delle rappresentazioni di testi di autori esordienti (p. 124).

Il discorso sulla "nuova drammaturgia" si apre poi ad una panoramica sui giovani autori che hanno influenzato e rinnovato la scena europea: è proposto l'inizio di La notte è madre del giorno di Lars Norén (p. 126), Botho Strauss è raccontato da Elio De Capitani, che ha portato in scena nella stagione il suo Visi noti, sentimenti confusi (p. 127), Saverio Vertone analizza la lingua di Bernard-Marie Koltès (p. 129), Heiner Müller in un'intervista parla del suo metodo compositivo (p. 129), mentre Patrice Chereau racconta la gestazione della sua messinscena di Quartett di Müller, nel 1984. Di Botho Strauss parla anche Franco Quadri (p. 135) a proposito dello scandalo (e della stroncatura) del suo Der Park, riscrittura in chiave contemporanea del Sogno di mezza estate shakespeariano.

Pier Paolo Pasolini occupa un posto di rilievo: la stagione è infatti molto prolifica di rappresentazioni pasoliniane, sia di testi teatrali che tratte da romanzi, poesie e opere cinematografiche. Giovanni Raboni commenta Orgia (p. 157); Laura Betti in un'intervista parla di Pasolini come di prodotto di consumo, come tutto il resto nella civiltà - appunto - dei consumi (p. 158); Ninetto Davoli ricorda l'amicizia e il lavoro con Pasolini, soprattutto in Uccellacci Uccellini, che viene nel 1984 messo in scena dal Collettivo di Parma con protagonista lo stesso Davoli (p. 158).

Due produzioni teatrali italiane, infine, riportano in primo piano la figura di Arthur Schnitzler: Commedia della seduzione, diretta da Luca Ronconi per il Teatro Regionale Toscano, e Terra sconosciuta, con la regia di Otomar Krejca per Il Teatro Stabile di Genova. I due registi parlano ciascuno del proprio allestimento e degli aggiustamenti apportati al testo di Schnitzler (p. 120).

 

2) Il tema delle "lingue teatrali" è sviluppato in un saggio di Oliviero Ponte di Pino ("Saggio di linguistica ipotetica e applicata", p. 140): si indagano i diversi tentativi di inventare una "lingua impossibile" teatrale, cioè una lingua franca, incomprensibile da tutti e per ciò stesso da tutti comprensibile (tra gli esempi l'Orghast, la lingua inventata da Peter Brook, il multilinguismo programmatico di Ferai dell'Odin Theatret, la lingua mista di greco e di latino di Piante del Padiglione Italia, il grammelot di Dario Fo, la "lingua universale dei morti" di Genet a Tangeri dei Magazzini Criminali). Segue una raccolta di dichiarazioni dei numerosi artisti che in tempi e modi diversi si sono cimentati nella scoperta di una lingua teatrale "nuova": Andrei Serban, Peter Brook, Alexandr Tairov, Victor Garcia, Anne-Françoise Benhamou, Claudio Bacilieri, Dario Fo, Gilles Aillaud, Società Raffaello Sanzio, Federico Tiezzi, Eugenio Barba, Antonin Artaud.

 

3) La tendenza italiana a scegliere testi e ambientazioni del teatro barocco è analizzata da Renata Molinari (p. 105) grazie alla raccolta di interviste, interventi critici e dichiarazioni degli artisti rilasciati sull'argomento nel corso della stagione. Gli spettacoli "barocchi" sono: Le due commedie in commedia di Giovan Battista Andreini, regia di Luca Ronconi, Bérénice di Racine, regia di Claus Michael Grüber, l'Illusion di Corneille, regia di Giorgio Strehler, El Cid di Corneille come prova d'attore di Giorgio Albertazzi.

 

La morte di Eduardo De Filippo ha un ampio risalto all'interno dell'Annuario: alla lettera E dell'alfabeto, Federico Fellini e Dario Fo ricordano l'attore scomparso (p. 116). Seguono un brano dello stesso Eduardo, in cui parla del suo teatro, dei suoi personaggi e del rapporto con la tradizione (p. 117), ma anche del suo personale senso della vita. Chiude la sezione Giorgio Strehler che racconta la sua scelta di mettere in scena La grande magia di Eduardo (p. 120).

 

Si segnala qui un altro intervento che anticipa uno dei temi centrali dei numeri del Patalogo degli anni '90, l'"ondata" di nuovi gruppi teatrali (p. 175). Renata Molinari, nella sua analisi corredata da dichiarazioni di poetica e indagini critiche, afferma la difficoltà di organizzare e "catalogare" le nuove realtà teatrali in categorie e movimenti predefiniti. Si parla di "un frammentario mosaico di teorie, nomi, luoghi". Omar Calabrese riunisce i nuovi gruppi teatrali in base alla scelta del nome (p. 178).

 

Un'ampia appendice del Patalogo 8 è dedicata al Mahabharata di Peter Brook, definito "lo spettacolo degli anni Ottanta". Franco Quadri ricostruisce il percorso artistico che ha portato il regista a questo storico spettacolo (p. 183). Seguono due interviste a cura di Georges Banu: una allo stesso Brook in cui egli racconta il perché della sua scelta e come ha lavorato sul testo (p. 184), e l'altra a Jean-Claude Carrière, autore dell'adattamento per la scena che spiega il modo in cui è intervenuto sul testo, i tagli e le scelte di partenza (p. 187).

 

il Patalogo 9

Stagione 1985 - 1986

 

Il Patalogo 9 prosegue la scansione alfabetica della stagione teatrale. Ma più che al teatro in senso stretto, cioè in relazione alle pratiche teatrali (scrittura, regia, recitazione eccetera) quest'edizione dell'Annuario sembra rivolta ai fenomeni legati al teatro in senso meno diretto. Emerge infatti con forza il contesto politico-istituzionale. Da un lato sono messi in evidenza i rapporti che intercorrono tra il teatro e le istituzioni pubbliche, con i conseguenti corollari legislativi. Dall'altro il rapporto che lega il mondo della scena alla società intesa in senso esteso, rapporto che condiziona la direzione delle scelte di alcuni operatori teatrali.

 

1) Il rapporto tra teatro di prosa e Stato italiano, già discusso nel Patalogo 7, è descritto attraverso la pubblicazione della Circolare ministeriale del 30 luglio 1986, che regola l'attività teatrale della stagione in corso (p. 180). Nell'introduzione al testo legislativo, si fa riferimento alla mancanza di una vera e propria legge costruita ad hoc per la prosa, al di là dei numerosi progetti proposti in Parlamento e mai approvati.

Le difficoltà in cui versano i teatri stabili a gestione pubblica sono raccontate grazie ad un exemplum: la controversa designazione (e le ripetute dimissioni) di Ugo Gregoretti a direttore artistico del Teatro Stabile di Torino. Attraverso la raccolta di interviste e dichiarazioni rilasciate durante l'anno dallo stesso Gregoretti, dai suoi sostenitori e avversari viene ricostruita la storia della gestione di quel teatro pubblico.

Il controllo dello Stato sul lavoro teatrale è infine argomentato passando in rassegna, attraverso le cronache giornalistiche, alcuni casi eclatanti di censura in Italia e in Europa: tra gli altri in Germania la proibizione della pièce di Rainer Werner Fassbinder L'immondizia, la città e la morte, accusata di antisemitismo (p. 246) e in Italia la tentata censura per oscenità alla Cintura di Alberto Moravia, diretta da Roberto Guicciardini (p. 247) e a Una notte di Casanova di Franco Cuomo per la regia di Massimo De Rossi (p. 248).

 

2) Il rapporto tra teatro e società si declina nelle sue varie accezioni.

Prima di tutto compaiono i media. Ferdinando Taviani in un lungo scritto (p. 217) ricostruisce meticolosamente, passo passo, la vicenda del cavallo "squartato" dai Magazzini Criminali durante la rappresentazione di Genet a Tangeri al festival di Santarcangelo. Attraverso la giustapposizione di tutti gli articoli usciti sull'argomento nel corso dell'anno, l'autore intende sottolineare le mistificazioni, le inesattezze, la malafede che hanno contraddistinto a suo parere le cronache giornalistiche. Nel procedere della lettura è possibile ravvisare le tappe attraverso le quali un fatto, un evento teatrale si trasformi in una "notizia".

Marisa Rusconi svolge una lunga panoramica sulla storia della sfilata di moda e sulla sua progressiva spettacolarizzazione, mettendo in risalto le collaborazioni sempre più frequenti tra stilisti e registi (p. 194). Sullo stesso tema interviene anche Gianfranco Capitta, con il suo breve saggio dal titolo "Una cultura di stoffa" (p. 205). Concludono la sezione dedicata alla moda gli interventi di due stilisti: Nicola Trussardi che racconta l'esperienza di scenografo per Bestia da stile di Pier Paolo Pasolini e Krizia che spiega quali siano stati gli spunti da cui è partita per vestire Suzanna Andler (p. 206).

Pier Giacomo Cirella, nel suo articolo sulle varie forme in cui la sindrome dell'Aids diviene protagonista della scena americana (p. 249), mette in evidenza quanto i riflessi della realtà sociale si ripercuotano sul teatro che ne fa materia drammatica, come dimostrano i casi di As is di William H. Hoffman, e The Normal Heart di Larry Kramer.

Il rapporto tra il teatro e il suo pubblico è indagato da Luca Ronconi, che nel suo intervento (p. 215) si augura un radicale cambiamento della situazione, grazie al quale il pubblico possa tornare a riconoscersi e a trarre piacere da quello che egli definisce un "vero teatro contemporaneo".

Un altro risvolto in cui si esplica il rapporto tra teatro e società è caratterizzato dall'editoria. Gianandrea Piccioli, nel suo saggio, analizza capillarmente la situazione in cui versa nel 1986 l'editoria teatrale, si allarga alle riviste e fornisce alcuni dati sui libri a tema teatrale di maggior successo.

Infine, la pubblicità. Con una lunga serie di immagini vengono messi in evidenza da una parte i debiti che la macchina pubblicitaria ha nei confronti del teatro, in quanto "magazzino inesauribile" di materiali, dall'altra i molti volti della scena italiana inseriti negli spot.

 

Tra le sezioni di più specifico argomento "teatrale" una appare interessante e densa di sviluppi: la radiografia della Romagna, a cura di Renata Molinari (p. 236), come polo di espansione di un teatro giovane e innovativo. L'intervento è seguito dalle lettere di alcuni gruppi romagnoli, in cui vengono evidenziate le loro caratteristiche "regionali": Società Raffaello Sanzio, Giardini Pensili, Teatro delle Albe.

 

Per le tematiche che periodicamente "ritornano" trasversalmente all'interno dei vari numeri del Patalogo, segnaliamo qui il ritorno del problema dello spazio teatrale. Partendo dalla constatazione che gli anni '80 segnano l'apertura (o la riapertura) di molti cantieri, Gianni Manzella compie una riflessione a ritroso nel tempo sulle varie forme in cui il teatro si è presentato dal punto di vista architettonico (p. 165). Il saggio è seguito dalle schede di ciascuno dei 29 teatri italiani progettati, restaurati, costruiti o in corso d'opera (p. 168). Gae Aulenti, in una conversazione con Franco Quadri (p. 174), si esprime sulla situazione ambientale dei teatri e commenta i lavori in corso.

 

 

il Patalogo 10

Stagione 1986 - 1987

 

Due sono i filoni cui si dedica il Patalogo 10. Da una parte punta l'interesse sul nascente videoteatro e, più in generale, sui rapporti che intercorrono tra scena e videotecniche. Dall'altra, dopo dieci anni di attività, l'Annuario cerca di fare il punto della situazione sul tempo trascorso.

 

1) Il tema del videoteatro è introdotto da un'intervista a Jim Lewis, il videoperatore che ha realizzato la maggior parte delle produzioni televisive di Samuel Beckett (p. 155). Lewis spiega il rapporto tra il grande drammaturgo e il mondo del video, racconta le prassi di ripresa utilizzate da Beckett, dalla posizione della telecamera alla disposizione delle luci, dalle musiche alla scelta del bianco e nero, prendendo ad esempio videopièce come He, Joe, Night and Dreams, Quoi où, Quad. Tom Bishop poi racconta la genesi di Quoi où, pièce pensata per il teatro e solo successivamente divenuta un videodramma (p. 160).

L'intervento successivo racconta l'approccio al video da parte di un uomo di teatro come Mario Martone (p. 161), che spiega la sua esperienza e fornisce opinioni sulla videoripresa di spettacoli teatrali. Al contrario un gruppo che si occupa di videoinstallazioni, come lo Studio Azzurro di Paolo Rosa, narra il suo avvicinamento al teatro dovuto all'incontro con Giorgio Barberio Corsetti (p. 163).

Il video all'interno dello spettacolo teatrale è il tema della breve scheda di Oliviero Ponte di Pino su Girotondo, lo spettacolo allestito da Massimo Castri in cui gli spettatori possono seguire l'azione esclusivamente attraverso dei monitor (p. 164).

Franco Quadri infine racconta la nascita e la breve storia del "Riccione Ttv", festival (e premio) di videoteatro e la sempre più precisa specificazione di questo genere artistico (p. 165).

 

2) Nell'edizione del decennale, il Patalogo in un certo modo "tira le somme" degli anni passati. E lo fa chiedendo a 107 protagonisti della scena teatrale italiana - uomini di teatro, ma anche critici, studiosi, teorici e storici[9] - di scegliere gli eventi o i personaggi che introdurrebbero in un'ipotetica Storia del Teatro degli ultimi dieci anni..

 

La situazione dei Teatri Stabili, già toccata in precedenza (vedi il Patalogo 7 e 9), ritorna come tema anche nel Patalogo 10. Ettore Capriolo in un breve saggio (p. 144) traccia caso per caso la situazione in cui versano i teatri pubblici italiani.

 

Gianni Manzella riprende il tema delle "architetture teatrali" (p. 149), fornendo, a un anno di distanza dal saggio precedente, aggiornamenti sulla situazione dei teatri da ricostruire o da costruire, tra lungaggini e burocrazie.

 

 

il Patalogo 11

Stagione 1987 - 1988

 

Il Patalogo 11 sviluppa un racconto della stagione in tutte le sue sfaccettature, servendosi di "casi esemplari". Ogni aspetto della vita teatrale dell'anno è trattato scegliendo una (o più) figure, una o più tematiche. Già l'indice fornisce in questo caso tutti gli elementi che si ritrovano all'interno. Dentro la macrocornice intitolata: "Le persone, i pensieri, le polemiche di un anno" sono racchiusi uno o più interventi per ciascun aspetto rilevante della stagione.

La figura dell'autore di teatro è tracciata attraverso la storia, l'opera e le idee di Heiner Müller (p. 162) e di Enzo Moscato (p. 170), attraverso le loro stesse parole. Al tema della scrittura si lega anche una raccolta di pezzi tratti dai giornali dell'anno, in cui è focalizzato il problema della lingua teatrale e sono indagati i diversi modi di utilizzo del dialetto e delle sue potenzialità espressive.

Dall'autore all'artista: così è definito Tadeusz Kantor (p. 180), di cui è inserito un brano dal programma di sala del suo Qui non ci torno più.

Un'altra delle sezioni è dedicata al rapporto tra teatro contemporaneo e classici: da una parte (p. 182) è considerato l'utilizzo di miti e personaggi della tragedia greca da parte di giovani registi (come nel caso di Filottete per Martone e delle Troiane per Thierry Salmon), dall'altra è raccolta una serie di dichiarazioni di tutti gli artisti - registi, attori, scenografi - che nel corso della stagione hanno portato in scena le opere di Vittorio Alfieri (ad esempio Luca Ronconi nella sua versione della Mirra, p. 185).

Il lavoro del regista è analizzato attraverso due interviste a Anatolij Vassil'ev: il regista russo parla del rapporto tra teatro e istituzioni, della situazione del teatro in Russia e del suo modo di lavorare (pp. 187, 189).

La scenografia - in rapporto alle altre pratiche che distinguono l'elaborazione teatrale - è indagata attraverso le parole di Yannis Kokkos, architetto e scenografo (p. 192). Il lavoro di Kokkos è poi analizzato criticamente da Georges Banu soprattutto in relazione ai registi Jacques Lassalle e a Antoine Vitez (p. 194), mentre lo stesso Vitez racconta la collaborazione con lo scenografo greco (p. 199).

Dalla scenografia all'attore: la storia di David Warrilow è raccontata dallo stesso attore, che sottolinea soprattutto il suo lavoro su Beckett (p. 200).

Jerzy Grotowski e Eugenio Barba sono i due maestri di cui si occupa questo Patalogo, entrambi in Italia in quell'anno, rendono noto il proprio metodo di lavoro rispettivamente a Pontedera e a Modena. Renata Molinari racconta, per avervi partecipato, le sedute di lavoro italiane dei due maestri (p. 207). Federico Tiezzi narra un incontro tra reale ed onirico con Grotowski (p. 210).

Anche le teorie trovano la loro collocazione nell'Annuario: Eugenio Barba parla del corpo dell'attore e delle varie situazioni in cui esso agisce (p. 214), mentre Virgilio Sieni espone la sua poetica di coreografo, che si basa sulla definizione di "canto sillabico" e di gesto "sillabico, pittorico, poetico e sciamano" (p. 217).

Come rappresentante dei gruppi teatrali è prescelta una particolare compagnia: il Katona Jòzsef Theatre, il cui lavoro è raccontato da uno dei componenti e attraverso l'analisi critica di Franco Quadri a due spettacoli del gruppo: Tre sorelle di Anton Cechov e L'ispettore generale di Nikolaj Gogol' (pp. 221, 223).

Anche l'aspetto relativo alla critica trova spazio all'interno del Patalogo 11. Ettore Capriolo traccia un profilo del critico teatrale contemporaneo, ne analizza la figura, la formazione che gli sta dietro, il suo reale (potere p. 231). Di seguito al saggio una "Piccola antologia della critica di stagione", una raccolta di dichiarazioni di artisti avvelenate contro i critici e di critici che difendono il loro lavoro.

La realtà istituzionale, la situazione legislativa e politica in Italia e in Europa sono descritte attraverso tre interventi diversi: un'intervista a Klaus Peymann in veste di direttore del Burgtheater, l'analisi della circolare proposta dal ministro Franco Carraro per regolamentare l'attività del teatro di prosa italiano (p. 254, sul tema vedi anche il Patalogo 9) e una raccolta di interventi tratti dai giornali del periodo, che dibattono pro e contro l'alto budget di spesa per I dialoghi delle carmelitane di Georges Bernanos diretti da Luca Ronconi (p. 256).

Infine c'è spazio anche per il resoconto del convegno "Ivrea 87", a vent'anni dallo storico convegno di Ivrea degli anni '60, che ridisegnò la mappa del teatro italiano a cavallo tra gli anni '60 e i '70.

 

 

il Patalogo 12

Stagione 1988 - 1989

 

 

Un'unica grande area attraversa tutto il Patalogo 12: è lo speciale dedicato al teatro russo, diviso in due sezioni distinte. Dapprima è indagata la situazione teatrale sovietica "in patria". In seconda battuta si analizzano gli spettacoli e i personaggi russi di passaggio in Europa. Queste due aree dello stesso macrotema sono seguite dall'analisi di uno spettacolo cechoviano messo in scena dall'occidentale Peter Stein e da un'intervista a Fausto Malcovati su Konstantin S. Stanislavskij.

 

1) La situazione dell'Unione Sovietica nell'era di Gorbaciov è analizzata capillarmente da Anatolij Smelianskij (p. 207): si tratta di un lungo reportage sulla Russia del 1989 (alla vigilia del crollo dell'Unione Sovietica), in cui realtà teatrali e sconvolgimenti sociali si intrecciano. E' individuata una "terza forza" teatrale, al di fuori degli apparati del Partito, che si avvale del nuovo vento della Perestrojka. Parallelamente all'apertura del regime sovietico alle varie forme di opposizione culturale, vengono recuperati autori prima irrapresentabili. Rifiorisce l'astro di Dostoevskij e Cechov. Smelianskij fa particolare riferimento a tre maestri non allineati del teatro russo, il contestato Jurij Ljubimov, Lev Dodin e Anatolij Vasil'ev. Tra gli autori, sono citati Alexander Galin e Ljudmila Petrusevskaja. Tra gli artisti scomparsi è ricordato Aleksandrovic Tovstonogov.

 

2) Franco Quadri amalgama in un lungo saggio tutte le maggiori rappresentazioni di provenienza sovietica ospitate in Occidente (p. 224). Gli spettacoli vengono analizzati criticamente, vengono esplicitate le diverse chiavi di lettura attraverso le quali gli artisti dell'Est comunista costruiscono il proprio lavoro in un contesto culturale e sociale assai diverso dal loro abituale. Gli spettacoli presi in considerazione sono: Sei personaggi in cerca d'autore di Luigi Pirandello, regia di Anatolij Vasil'ev, Fratelli e sorelle di Fjodor Abramov, regia di Lev Dodin, Cerceau, diretto ancora da Vasil'ev, Zio Vanja di Anton Cechov e Pirosmani Pirosmani, regia di Eimuntas Nekrosius, Memorie dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskij, regia di Kame Ginkas.

 

3) Il giardino dei ciliegi di Cechov nella versione di Peter Stein alla Schaubühne (p. 232) è analizzato in un collage di articoli da "la Repubblica" che vanno dall'11 giugno 1988 al 21 giugno 1989: la costruzione dello spettacolo è quindi vista nel suo divenire nel corso di un intero anno. L'attenzione si focalizza sul lavoro fatto da Stein per caratterizzare i personaggi, votati ad una superficialità che li aiuta a sfuggire dal dramma. Con questa leggerezza - si afferma - concordano anche le scene di Christophe Schubiger.

 

4) In occasione della pubblicazione del Lavoro dell'attore sul personaggio di Konstantin Stanislavskij, il curatore Fausto Malcovati traccia la storia delle versioni italiane dell'opera del maestro russo, e pone alcuni problemi relativi alla terminologia da usare nelle traduzioni, che in alcuni casi risente di un certo "invecchiamento" e necessita di una revisione. Malcovati poi analizza gli ambiti in cui Stanislavskij è stato maggiormente utilizzato nel panorama italiano: quasi assente nel lavoro registico, l'influsso delle sue teorie ha profondamente influenzato la pedagogia (p. 234).

 

Tra le tematiche emergenti, da segnalare anche il rapporto tra uomini di teatro che divengono direttori di Teatri Stabili e le istituzioni che li accolgono (o respingono). Oliviero Ponte di Pino traccia - sulla base delle dichiarazioni rilasciate alla stampa dagli stessi direttori artistici, da politici e da intellettuali - un "vademecum" scherzoso, un "corso di sopravvivenza" per gli aspiranti direttori di Stabili (p. 187).

 

 

il Patalogo 13

Stagione 1989 - 1990

 

Il Patalogo 13 sembra concentrarsi particolarmente sugli spettacoli. Dei numeri fin qui analizzati è certamente quello che concede maggior spazio alla descrizione delle messinscene della stagione. Una seconda zona emergente è quella dedicata agli avvenimenti storici del periodo cui l'Annuario si riferisce.

 

1) Gli spettacoli sono i protagonisti di questa edizione. Oltre al consueto "Repertorio di un anno" ritorna infatti la sezione dedicata agli "Spettacoli dell'anno" (p. 117): 12 spettacoli della scena italiana vengono prescelti e raccontati diffusamente attraverso le dichiarazioni di registi, interpreti, traduttori e le recensioni raccolte dai giornali nel corso dell'anno.

Oltre agli spettacoli italiani, un'ampia parte del Patalogo è dedicata alle rappresentazioni europee (p. 199). Franco Quadri raccoglie una serie di recensioni - oltre alle sue, di Gianni Manzella, Gianfranco Capitta, Michel Cournot e Georges Banu - che riguardano alcune messinscene particolarmente significative dell'Europa continentale, lungo l'asse Berlino-Parigi.

 

2) Particolare e suggestivo è il centone che Oliviero Ponte di Pino compone per celebrare il 1989. Intitolato "Quel meraviglioso '89" (e con il sottotitolo "Appunti per la messinscena di un Amleto cinico e estremista", p. 215) il lungo pezzo raccoglie citazioni della più svariata natura e del più diverso argomento, da The Wall dei Pink Floyd cantato a Berlino a muro abbattuto alle dichiarazioni di Victor Havel, e ricostruisce in una sorta di racconto drammaturgico in 15 "pannelli", con tanto di indicazioni di scena, le rivoluzioni avvenute nel corso dell'anno, mettendone in evidenza gli elementi spettacolari. L'anno che ha sconvolto gli equilibri e le credenze di mezzo mondo come grande, aperto e attivo palcoscenico.

 

Quattro personaggi sono ricordati al di fuori dell'elenco dei "Fin de partie". Samuel Beckett, Laurence Olivier e Antoine Vitez, ricordati rispettivamente da Franco Quadri (p. 180), Anthony Burgess (p. 181) e Georges Banu (p. 184). Sempre Franco Quadri scrive il ricordo di Gianni Buttafava, cofondatore del Patalogo e mente della sezione Cinema (p. 194). Segue un breve saggio di Buttafava sul cinema di Carmelo Bene (p. 196).[10]

 

 

il Patalogo 14

Stagione 1990 - 1991

 

Due sembrano essere gli "snodi" tematici di questa stagione. Il primo è un tema ricorrente, quasi "abitudinario" per il Patalogo, cioè il rapporto tra teatro e poesia. Il secondo è invece incentrato su un nuovo progetto di "scuola teatrale", l'Ecole des Maîtres. Tuttavia grosso spazio occupano anche in quest'edizione gli spettacoli della stagione presi in sé e raccontati attraverso dichiarazioni e recensioni.

 

1) Renata Molinari ritorna con nuovi spunti ad un tema già trattato in precedenza, quello del legame tra teatro e poesia. Il suo saggio, intitolato "Il poeta in scena" (p. 284) indaga le varie declinazioni del connubio tra le due arti: dal ritorno a teatro del personaggio-poeta Orfeo al "teatro di poesia" di stampo pasoliniano promosso da Federico Tiezzi, dalla poesia portata in teatro come nel caso di Enzo Moscato e Franco Scaldati, all'utilizzo massiccio delle liriche di Rimbaud sulle scene italiane e straniere, dal recupero in grande stile di Hölderlin, alla riscrittura per la scena della Divina Commedia dantesca ad opera di Edoardo Sanguineti, Mario Luzi e Giovanni Giudici per i Magazzini diretti da Tiezzi.

 

2) L'esperienza dell'Ecole des Maîtres, la "scuola dei Maestri", è al centro di una serie di interventi: a un anno dalla sua nascita, Franco Quadri ne analizza i risultati (p. 303). Gianfranco Capitta traccia un profilo della manifestazione, mentre Monique Borie, una dei partecipanti, fa la cronaca delle giornate, in cui si sono susseguiti gli interventi di Luca Ronconi, Jacques Delcuvellerie, Jerzy Grotowski, Anatolij Vasil'ev e Jacques Lassalle.

 

3) Come nel Patalogo 13, anche qui è stilata la selezione degli "spettacoli dell'anno", raccontati attraverso fotografie, recensioni, dichiarazioni dei protagonisti e cronache giornalistiche. Al di fuori dell'Italia sono scelti altri 12 spettacoli, riuniti secondo il filo conduttore della ricerca di identità.

 

Oliviero Ponte di Pino raccoglie le polemiche contro Luca Ronconi (e la sua autodifesa), a proposito del dispendioso allestimento degli Ultimi giorni dell'umanità di Karl Kraus, al Lingotto per il Teatro Stabile di Torino.

 

Con particolare risalto vengono ricordati nell'anno della loro morte Tadeusz Kantor (p. 313), Friedrich Dürrenmatt (p. 313), Max Frisch (p. 314), Salvo Randone (p. 314), Renato Rascel (p. 314), Ugo Tognazzi (p. 315) e Lina Volonghi (p. 315).

 

 

il Patalogo 15

Stagione 1991 - 1992

 

Al di là delle curiosità isolate[11], o dell'elenco anche qui presente degli "spettacoli dell'anno", due sono le zone più interessanti di questo Patalogo. La prima è quella che si riferisce al concetto di "ricerca" in ambito teatrale. La seconda affronta un fenomeno emergente, quello dei cosiddetti "nuovi comici".

 

1) Per indagare le ragioni e l'attualità del "teatro di ricerca", i due curatori della sezione, Renata Molinari e Oliviero Ponte di Pino, utilizzano lo strumento dell'inchiesta: ai principali esponenti del teatro italiano viene posta una serie di domande: "La ricerca teatrale è morta? Questo fenomeno riguarda solo il nostro paese o si manifesta, con ovvie differenze, anche nel contesto internazionale? Si è semplicemente esaurito un ciclo, oppure qualcuno ha, per così dire, commesso un assassinio? O invece la ricerca è solo diventata meno individuabile? Oppure, a voler essere più radicali, non è mai esistita? Come ti collochi in questa dimensione e come vivi l'attuale, problematico momento? E quali sono le prospettive per il futuro?". Le risposte variano, ovviamente, da persona a persona. Tuttavia alcune linee sembrano ricorrenti: l'esigenza di un contesto legislativo e istituzionale dove poter praticare serenamente il teatro di ricerca; la ricomposizione tra la ricerca teatrale e il pubblico che sembra averla abbandonata; il riconoscimento (e il conseguente allontanamento) dagli schemi rigidi del teatro di ricerca degli anni '60 e '70; l'individuazione dell'ambito della "scrittura" come nuova sponda della ricerca.

 

2) Oliviero Ponte di Pino analizza il successo dei "nuovi comici" (p. 283), ne individua una delle ragioni determinanti nel loro background televisivo, che funziona da richiamo anche in teatro. Inoltre sottolinea il carattere "regionale" di questi artisti della risata: ciascuno si incarna in un "tipo" ben localizzabile, dalla "fiorentinità" di Benigni agli acri "milanesismi" di Paolo Rossi. Il saggio prosegue con una classificazione del fenomeno in aree distinte: dalla comicità surreale fatta esclusivamente di parola di Alessandro Bergonzoni ai comici "politici", a partire dai capostipiti Dario Fo e Franca Rame, per arrivare a Sabina Guzzanti e Lella Costa; dalla malinconia del cantastorie Davide Riondino alla visionarietà profetica e aggressiva di Beppe Grillo.

 

Anche in questo numero è presente una lista di "spettacoli dell'anno.

 

 

il Patalogo 16
Stagione 1992 - 1993

 

Non sembrano esserci - all'interno del Patalogo 16 - categorie o "aree" particolarmente evidenziate. Tuttavia si ravvisano alcuni "snodi" che - se pur non fortemente caratterizzati - possono fornire una chiave di lettura della stagione considerata. Il primo riguarda i festeggiamenti per il bicentenario goldoniano; il secondo raggruppa una serie di esperienze artistiche che hanno in comune il riferimento alla violenza; Il terzo analizza un esempio paradigmatico delle difficoltà di rapporto tra uomini di teatro e istituzioni pubbliche.

 

1) Il bicentenario di Carlo Goldoni è descritto attraverso le dichiarazioni di tutti coloro che si sono prodigati nelle celebrazioni. Il pezzo curato di Roberto Canziani (p. 220) raccoglie in forma di centone tutte le frasi pronunciate sull'autore veneziano, dalla recensione critica di uno dei tanti spettacoli goldoniani programmati nella stagione fino alle dichiarazioni di Margherita Boniver, passando per le parole di Lino Toffolo. L'intento - dichiarato nell'introduzione - è smascherare coloro che - con la scusa di celebrare Goldoni - intendono celebrare se stessi.

 

2) La sezione Intitolata "Crudeltà '90" comprende alcuni artisti riconducibili alle tematiche della crudeltà artaudiana: si susseguono un'intervista a Reza Abdoh sugli elementi di morte presenti nel suo spettacolo La legge dei resti (p. 234), un pezzo di Romeo Castellucci sul suo Masoch (p. 236) e un intervento critico di Hans-Thies Lehmann sul teatro di Jan Fabre (p. 237). Questa sezione dedicata alla "crudeltà" sembra anticipare quella, più ampia, del Patalogo 20.

 

3) Ritorna il tema del rapporto tra uomini di teatro e istituzioni. Oliviero Ponte di Pino nel suo pezzo intitolato "Il Regista con la Valigia" (p. 245) racconta la polemica che ha visto opporsi Giorgio Strehler e l'amministrazione comunale di Milano. La ricostruzione dell'annosa vicenda si basa sulle dichiarazioni rilasciate alla stampa da ciascuna delle due parti in causa. Il caso della "nuova sede" del Piccolo Teatro, sempre promessa e mai realizzata, si intreccia con gli atteggiamenti da primadonna del regista, che viene definito ironicamente "euroregista". Il cattivo rapporto tra Strehler e le istituzioni cittadine è inquadrato, nel dipanarsi della storia, all'interno di un sistema di potere che è sul punto di essere spazzato via (se non lo è già stato).

 

Anche il Patalogo 16 presenta la selezione degli "Spettacoli dell'anno". Come nei casi precedenti, anche qui vengono raccolti articoli di critica che si alternano a dichiarazioni dei protagonisti.

 

Si segnala qui anche la sezione dedicata ai "Progetti": attraverso le dichiarazioni di compagnie, registi, attori, drammaturghi vengono messi in risalto non dei singoli spettacoli, ma dei percorsi progettuali: il lavoro su Kafka della Compagnia Giorgio Barberio Corsetti (America, p. 147), il progetto Dostoevskij di Thierry Salmon (Des Passions, p. 149), le rappresentazioni pseudo-sacre di Andrea Taddei (Gloria e Le tentazioni di Toni, p. 152), la trilogia pasoliniana di Luca Ronconi (Affabulazione, Pilade e Calderon, p. 154), le "lezioni di regia" di Anatolij Vasil'ev su un testo di Pirandello (Ciascuno a suo modo, p. 158).

 

il Patalogo 17

Stagione 1993 - 1994

 

Il Patalogo 17 è ricchissimo di "snodi" narrativi, si divide in macrosezioni tematiche che racchiudono al loro interno numerosi interventi. Se ne individuano qui sei. La prima lega insieme diverse "idee" di teatro, dai grandi maestri alle realtà emergenti; la seconda analizza la molteplicità di "lingue" della scena italiana; la terza si incentra sul lavoro del regista russo Lev Dodin; la quarta sulle numerosissime rappresentazioni shakespeariane della stagione; la quinta esamina il fenomeno di Angels in America, pièce americana dalle tematiche scabrose che ha riscosso un enorme successo anche al di qua dell'Oceano; l'ultima infine riguarda le diverse messinscene dei Giganti della montagna di Pirandello.

 

1) Sotto la dicitura "Un'idea di teatro..." sono raccolte le riflessioni di diversi protagonisti del mondo della scena, che esprimono le proprie considerazioni sul senso del teatro, e sul rapporto che deve intercorrere tra esso e il pubblico cui obbligatoriamente si riferisce. Tutti gli interventi che seguono hanno questo denominatore comune: che cos'è e a cosa serve il teatro.

Il primo inserto consiste in una serie di domande di Julian Beck sul senso (del teatro e della stessa esistenza), che sono servite da viatico al Living Theatre, e che sono state riproposte ad un convegno organizzato dall'Odin Teatret a Holstebro nel 1994 (p. 104).

Seguono alcune dichiarazioni di Jerzy Grotowski rilasciate a Franco Quadri (p. 109), attraverso le quali il maestro ripercorre le tappe che l'hanno condotto in Italia, esprime le sue opinioni su altri grandi del teatro del '900, da Bertolt Brecht a Peter Brook, dal Living Theatre a Eugenio Barba, da Tadeusz Kantor a Konstantin Stanislavskij, e racconta infine il funzionamento del suo Workcenter di Pontedera.

Eugenio Barba (p. 113), nei suoi due interventi, traccia una genealogia dei fondatori delle varie tradizioni teatrali, difende il proprio metodo detto della "commistione antropologica" raccontando il lavoro di Antropologia Teatrale dell'Ista, in cui si mettono a confronto le tradizioni teatrali d'Oriente e d'Occidente.

Luca Ronconi (p. 123) analizza la situazione del teatro italiano, e individua il punto nevralgico nel perduto rapporto tra teatro e pubblico. Ma questa perdita di intesa tra scena e spettatore risale - afferma - alla perdita di senso delle stesse istituzioni teatrali, che abbandonata la ricerca di una "rilevanza culturale" del teatro, sono divenute o "organismi di produzione" o "organismi di distribuzione".

Attorno alla ristrutturazione e e alla ricollocazione culturale del teatro pubblico (oltre che ad una nuova formazione dell'attore) ruotano anche le considerazioni di Massimo Castri (p. 128).

Il rinnovamento del teatro pubblico è auspicato anche nel manifesto prodotto dagli organizzatori di vari festival teatrali (Asti Teatro, Festival di Santarcangelo, Festival di Polverigi, Volterra Teatro, Toscana delle Culture), riunitisi per proporre "Una nuova idea di teatro pubblico" (p. 131). Su questo tema Leo de Berardinis è intervistato da Ugo Volli come direttore del Festival di Santarcangelo (p. 133).

Chiude questa sezione l'appello rivolto dalla Societas Raffaello Sanzio contro la decisione della Commissione per la Prosa del Dipartimento dello Spettacolo di escluderla dai finanziamenti pubblici (p. 138).

 

2) "L'Italia delle drammaturgie" è la seconda macrosezione. Le diverse lingue teatrali che attraversano l'Italia costituiscono il tema del lungo saggio di Renata Molinari (p. 141), che nel suo excursus denso di citazioni si muove tra le molte lingue del teatro italiano, dalle autorità come Testori, Pasolini e Gadda al dialetto di Antonio Tarantino all'operazione linguistica di Ruggero Cappuccio, al vernacolo di Raffaello Baldini... La diversificazione delle lingue viene analizzata come esaltazione delle differenze. L'utilizzo di una lingua piuttosto che un'altra fa emergere anche il "genere" cui essa si riferisce e che essa incarna. Tra i tanti aspetti trattati, quello del monologo come luogo privilegiato della sperimentazione linguistica e il problema della traduzione, di cui vengono forniti due esempi: Intrigo e amore di Friedrich Schiller tradotto da Aldo Busi e Alla greca di Steven Berkoff tradotto da Giuseppe Manfridi e Carlotta Clerici.

Gli interventi successivi riguardano casi specifici: Giuseppe Bertolucci, Franco Quadri, Giovanni Raboni e Renata Molinari parlano del Pratone del Casilino, la pièce che Giuseppe Bertolucci ha tratto da Petrolio di Pier Paolo Pasolini (p. 164); Elena De Angeli analizza la lingua di Antonio Tarantino attraverso i suoi testi, dallo Stabat Mater alla Passione secondo Giovanni al Vespro delle Beata Vergine (p. 169). Conclude la sezione il testo di Embargos di Enzo Moscato.

 

3) Lev Dodin, definito "regista dell'anno", è il personaggio centrale di quest'area tematica dedicata al teatro russo. Dopo un excursus di Anatolij Smelianskij sul teatro russo (p. 183), in cui vengono messi in evidenza i mutamenti e le trasformazioni della macchina teatrale post-sovietiva, si susseguono gli interventi sul lavoro del regista russo: nella conversazione con Nicole Zand (p. 189) Dodin parla del suo Fratelli e sorelle, e del rapporto con l'autore del testo, Fëdor Abramov; Marie-Christine Autant-Mathieu (p. 192) svolge una panoramica sulle produzioni del regista; nell'intervista con Emmanuel Daydé Dodin parla del rapporto con i suoi autori preferiti, Cechov e Abramov, e spiega il suo lavoro al Giardino dei ciliegi; in quella con Jean-Pierre Han (p. 197) spiega come sceglie i testi da rappresentare e parla degli spettacoli portati a Parigi

Sempre in ambito russo, Béatrice Picon-Vallin (p. 198) fa un'analisi della pedagogia teatrale nell'ex Unione Sovietica, che ruota attorno alle figure di Pëtr Fomenko, Ivan Popovskij Anatolij Vasil'ev.

Infine Peter Stein nell'intervista con Barbara Lehmann parla della sua Orestea tradotta in russo e in Russia rappresentata: il regista sottolinea gli sforzi per rendere tutto - oggetti e situazioni - naturalmente "russo".

 

4) Shakespeare è il filo conduttore della terza serie di interventi, che si intitola, appunto, "Dossier Shakespeare".

Nel suo saggio intitolato "Il bardo alla nuova italiana" (p. 215), Oliviero Ponte di Pino divide i nuovi gruppi e registi che si avvicinano a Shakespeare in "alla Carmelo (Bene)" e in "alla Leo (de Berardinis)": tra i menzionati Pippo Delbono (Enrico V), Giorgio Barberio Corsetti (La dodicesima notte), Teatridithalia (Amleto), Alfonso Santagata (Macbeth), Antonio Syxty (Molto rumore per nulla). Seguono le schede di tutti gli spettacoli shakespeariani della stagione.

Franco Quadri compara due messinscene differenti dello stesso testo shakespeariano, Racconto d'inverno: quella di Ingmar Bergman e quella di Stéphane Braunschweig (p. 224). In un'intervista di Anne-Françoise Benhamou Braunschweig spiega il suo percorso nella lettura del testo shakespeariano e racconta l'elaborazione dello spettacolo (p. 229).

La sezione shakespeariana continua con le recensioni di tre spettacoli di Sam Mendes: Troilo e Cressida, Riccardo III, La tempesta (p. 245), e si conclude con un altro confronto tra due grandi registi alle prese con la stessa opera: Franco Quadri compara l'Antonio e Cleopatra di Peter Zadek e Peter Stein (p. 250).

 

5) Angels in America, la pièce-scandalo di Tony Kushner che ha come temi l'Aids, l'omosessualità e l'integralismo religioso dei mormoni, è il tema unificante di questa quarta area

L'autore parla della composizione e delle tematiche della sua opera, divisa in due parti, specifica la personalità di Roy Conn, il personaggio principale, e analizza la situazione politica americana: lo fa in un'intervista di Patrick Pacheco (p. 255) e rispondendo in un dibattito al National Theatre di Londra (p. 257).

Segue un brano tratto da Angels in America ("Parte prima, atto terzo, scena sesta: Roy Cohn e Ethel Rosemberg", p. 262) e una recensione di John Peter alla pièce (p. 265).

Franz Wille (p. 267) traccia un excursus sulle messinscene tedesche di Angels in America, vero e proprio spettacolo-boom della stagione in Germania.

Concludono questa parte un'intervista al performer Ron Wawter, che - come Tony Kushner - ha scelto come personaggio Roy Conn per una performance (p. 274)e una "Cronistoria del teatro-aids" di Mario Cervio Gualersi (p. 279): viaggio tra i testi teatrali e le messinscene che hanno come tema l'Aids, tema già introdotto nel Patalogo 9.

 

6) L'ultima delle "zone" tematiche del Patalogo 17 si incentra sui Giganti della montagna di Pirandello. Nel suo saggio "Un 'mito' per l'Europa alla fine di un millennio" (p. 305) Franco Quadri analizza tutte le messinscene del testo incompiuto di Pirandello: quella di Giorgio Strehler, di Leo de Berardinis, di Bernard Sobel, di William Gaskill, di Cesare Lievi, di Luca Ronconi, di Charles Wood.

Gli altri interventi si concentrano sul controverso finale dell'opera: è inserito il nuovo finale per l'allestimento di Charles Wood (p. 317), una dichiarazione di Strehler sulla scelta di mettere in scena questo testo per la terza volta (p. 320), e il brano di un'intervista a Luca Ronconi (p.320).

 

Nel Patalogo 17, 18 e 19 scompaiono il "Catalogo dei festival" italiani e stranieri, i "Fin de partie" e la "Vetrina di una stagione", che vengono riassunte in un'unica ampia rubrica (chiamata "Annozero" e curata da Oliviero Ponte di Pino nel 17, "Lunario delle nostre stagioni" nel 18, "Patacalendario" nel 19): mese per mese da agosto ad agosto sono registrati gli eventi, i personaggi, le polemiche le scomparse, utilizzando delle voci ricorrenti come "Profezie", "Purghe", "Il Nuovo che avanza", "Attrici", "Fin de partie", "Censure", "Compleanni", "Gente che va gente che viene", "Resistenza anni '90", "L'Europa delle culture"... Anche il "Repertorio di un anno" viene "asciugato", limitandosi a riferire i dati sugli spettacoli, senza interventi critici e dichiarazioni di poetica.

 

 

il Patalogo 18

Stagione 1994 - 1995

 

Anche il Patalogo 18 si presenta ricco di approfondimenti tematici. Seguendo l'indice, si possono individuare cinque linee direttive. La prima tratta il problema della critica teatrale, le sue ragioni di fondo; la seconda indaga ampiamente il rapporto tra teatro e spazio; la terza pone al centro la figura dell'attore; la quarta si occupa delle rappresentazioni shakespeariane in Italia; la quinta collega tra loro una serie di spettacoli di tematiche "apocalittiche".

 

1) La prima area tematica è un'altra inchiesta, come quella sul senso della ricerca. La domanda questa volta è: "E' estinta la funzione della critica?". Le risposte - al di là di un generato coro di "no", non sembrano però in questo caso produrre linee convergenti.

2) Nel saggio di Renata Molinari ("Luoghi e spazi del teatro", p. 125) ritorna ancora la riflessione sullo spazio teatrale, attualizzata agli anni '90. Sono molti gli aspetti del problema che vengono toccati. Si parla dello spazio urbano, in cui si assiste ad una regolamentazione dell'accesso rispetto agli "spazi aperti e imprevisti" degli anni '70, ma anche dell'appropriazione da parte dei teatri degli spazi multisala. Il rapporto tra città e teatro è indagato a partire dalla mancanza del secondo: l'esempio è il Centro Servizi e Spettacoli di Udine che, in mancanza di un proprio teatro, appresta una stagione "nomade". A partire dal Laboratorio di Prato di Luca Ronconi viene svolta un'analisi dello "spazio drammaturgico", uno spazio cioè inteso come elemento costitutivo dello spettacolo in rapporto alla drammaturgia e al lavoro dell'attore. Partendo dall'esperienza di Giuliano Scabia è descritto "lo spazio della narrazione". Sono passati in rassegna alcuni nuovi teatri e si prendono in considerazione anche gli spazi "alternativi" e multimediali, come il Link di Bologna; infine si analizza la situazione di alcune realtà urbane, tra cui Roma e Milano.

3) La figura dell'attore le sue trasformazioni "tecnologiche" sono al centro del saggio di Oliviero Ponte di Pino ("L'attore nell'epoca della sua riproducibilità tecnica" p. 147): se da una parte i supporti tecnologici consentono la riproduzione elettronica dell'attore (la "Super Marionetta"), dall'altro è in grande trasformazione e ridefinizione il rapporto tra attore e pubblico. Seguono una serie di conversazioni con attori, ciascuna delle quali definisce un aspetto particolare della recitazione: Sandro Lombardi parla dei rapporti del Carrozzone (e poi dei Magazzini) con la body art, e spiega le conseguenze di questo rapporto nella propria formazione; Romeo Castellucci indirizza la discussione sull'essenza stessa dell'attore, riferendosi alla sua versione dell'Orestea, in cui sono inseriti elementi difficilmente riconducibili all'attore (puppazzetti meccanici, animali); Moni Ovadia racconta il suo modo di utilizzare la voce (si considera "un folksinger che fa teatro") e parla del suo multilinguismo come possibilità di ampliare la propria "tavolozza" vocale; Marco Baliani individua la figura del narratore teatrale, e analizza i rapporti tra voce narrante e personaggi; Marco Paolini definisce l'autobiografia come elemento peculiare dell'attore in carne e ossa.

4) Mentre nel Patalogo 17 erano considerate le messinscene shakespeariane in generale, qui il campo si restringe alla realtà italiana. Franco Quadri svolge un excursus critico attraverso adattamenti e rappresentazioni italiane dei testi di Shakespeare (p. 165). Seguono le schede, spettacolo per spettacolo con recensioni, pezzi di testo e dichiarazioni degli protagonisti di questo ritorno a Shakespeare: Elio De Capitani (Amleto), Benno Besson (Hamlet), Cesare Ronconi (Re Lear), Gabriele Lavia (Otello), Water Pagliaro (Timone d'Atene), Gigi Dall'Aglio - Antonio Syxty (Molto rumore per nulla), Giancarlo Nanni (Come vi piace), Franco Branciaroli (La dodicesima notte).

Gianni Manzella (p. 178) analizza in un breve saggio la continuità della presenza shakespeariana (e ancora più specificamente di spettacoli che si rifanno alla storia di Amleto) all'interno del festival di Santarcangelo.

Ruggero Cappuccio (p. 179) parla delle rielaborazioni shakespeariane in ambito partenopeo, e racconta la genesi del suo ShakespeaRe di Napoli.

Segue una parentesi su tre Shakespeare stranieri: sono raccolte recensioni, critiche e dichiarazioni dei registi a proposito di The Merchant of Venice diretto da Peter Sellars (p. 180), Gloucester Time. Matériau-Shakespeare/Richard III di Mattias Langhoff (p. 181) e Hamlet, a Monologue, adattamento e regia di Robert Wilson (di cui sono riprodotti i disegni per lo spettacolo, p. 184).

Oliviero Ponte di Pino infine segnala alcune storie delle messinscene shakespeariane, sia in versione libro che su Cd-Rom (p. 186).

5) Il titolo di questa sezione, "Apocalisse 2000", suggerisce il tema che funge da leit-motiv. Si tratta di spettacoli che oscillano tra il demoniaco e il post-atomico, di visioni devastate e apocalittiche del futuro.

In questa cornice si inseriscono agevolmente i vari adattamenti del Faust di Goethe che si sono susseguiti nel corso della stagione (p. 206): Faustae Tabulae per la regia di Thierry Salmon, Faust e Mefistofele diretti da Giorgio Barberio Corsetti, il Faust del Teatro del Lemming, il Mefistofele di Boito alla Scala con la regia di Pier'Alli.

Seguono recensioni e dichiarazioni dei protagonisti di una serie di spettacoli che hanno al centro l'idea di un ordine fasullo e artificiale creato da una situazione di sopraffazione e violenza (p. 210): Mondo nuovo di Remondi e Caporossi, Coccodrilli di Giorgio Gallione (Teatro dell'Archivolto), Checkpoint Papa di Maurizio Donadoni e 2005 ultimo atto di Gianfelice Imparato.

A questo gruppo si affianca l'Orestea della Societas Raffaello Sanzio (p. 212): brani di Romeo Castellucci sull'Orestea, "favola dei morti", si alternano alla recensione di Franco Quadri.

L'oppressione "burocratica" è al centro del testo del poema di Yu Jian, utilizzato per lo spettacolo Fascicolo zero della compagnia cinese Xi Ju Che Jan (p. 214).

Ad un'atmosfera post-atomica e opprimente riconducono naturalmente le pièce di Samuel Beckett (p. 219): sono introdotte le recensioni di Franco Quadri agli allestimenti di Carlo Cecchi per Finale di partita e di Peter Brook per Ho les beaux jours.

Chiudono la sezione una dichiarazione di Giorgio Strehler sulla sua lettura dell'Isola degli schiavi di Marivaux e la recensione di Franco Quadri a Il ritorno di Scaramouche di Jean Baptiste Poquelin e Léon de Berardin di Leo de Berardinis (p. 222).

 

 

il Patalogo 19

Stagione 1995 - 1996

 

Il Patalogo 19 individua 4 "macrozone", la prima dedicata ad autori da tempo assenti dalle scene, ed ora "recuperati"; la seconda focalizza la sua attenzione sul personaggio di Amleto, la terza analizza le rappresentazioni cechoviane della stagione, la quarta fornisce la mappa del "nuovo teatro".

 

1) Carlo Emilio Gadda, Bertolt Brecht, Eugene O' Neill, Jean Genet: questi autori sono accomunati nella sezione "I ritorni", perché ritornano in scena dopo un periodo di silenzio.

La sezione inizia con le immagini di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana nella versione di Luca Ronconi per il Teatro di Roma (p. 134), intervallate da brani del testo di Gadda. Seguono dichiarazioni e recensioni per un altro ritorno alle scene, quello di Marcello Mastroianni, alle prese con Le ultime lune di Furio Bordon, sotto la direzione di Giulio Bosetti (p. 142). In sequenza le cronache della seconda tappa di Massimo Castri nella Trilogia della villeggiatura di Carlo Goldoni (p. 146).

Largo spazio è dedicato a Bertolt Brecht (p. 149), molto rappresentato nel corso della stagione sia in Germania che in Italia, dove il Piccolo Teatro gli ha dedicato un intero festival. Si alternano dichiarazioni e articoli di critica degli spettacoli brechtiani: Milva canta un nuovo Brecht, regia di Strehler, L'eccezione e la regola, Quanto costa il ferro, Scene da terrore e miseria del III Reich, regia di Giorgio Strehler, Lux in tenebris, regia di Carlo Battistoni, Le nozze dei piccoli borghesi, regia di Carlo Battistoni, L'anima buona di Sezuan, regia di Strehler, La resistibile ascesa di Arturo Ui, regia di Heiner Müller, Madre coraggio di Sarajevo, drammaturgia e regia di Strehler, Ballata di fine millennio di Moni Ovadia.

Oliviero Ponte di Pino, nel suo saggio dal titolo "Per un teatro politico?" (p. 156), registra un ritorno all'impegno politico in molte proposte della stagione teatrale, tra le quali - oltre al festival brechtiano del Piccolo - alcuni nuovi comici, il lavoro dei Centri Sociali come il Leoncavallo (ad opera di Gigi Gherzi e Roberto Corona), il ritorno a teatro della storia (Vajont) e della cronaca. Ma soprattutto l'impegno è inteso come fierezza della diversità: è il caso di Ravenna Teatro, Oiseau-Mouche, Compagnia della Fortezza.

Un altro ritorno sulle scene è quello di Eugene O' Neill, con i suoi Drammi marini: Franco Quadri nel suo saggio (p. 165) analizza criticamente lo spettacolo diretto da Cherif su traduzione e adattamento di Enzo Moscato e con le scene di Arnaldo Pomodoro. Il titolo Drammi marini comprende La luna ai Caraibi, Zona guerra, Olio, Non arrivare in tempo a Cardiff, Il lungo viaggio di ritorno. Seguono le dichiarazioni degli artefici dello spettacolo.

Le recensioni e le dichiarazioni di Armando Punzo a proposito dell'allestimento dei Negri di Jean Genet da parte della Compagnia della Fortezza chiudono la sezione.

 

2) Shakespeare torna per la terza annata consecutiva ad essere tra gli argomenti principali del Patalogo. Questa volta grazie al personaggio di Amleto per come è trattato dai grandi maestri: con brani di testo, recensioni e dichiarazioni si racconta ciascuno dei seguenti spettacoli "amletici": Qui est là di Peter Brook, Hamlet Suite di Carmelo Bene, Hamlet a Monologue di Bob Wilson, Elseneur di Robert Lepage, Amleto di Carlo Cecchi.

 

3) Anton Cechov, per il numero di testi rappresentati all'interno della stagione, è eletto autore dell'anno: sono raccolte recensioni e dichiarazioni degli interpreti cechoviani (p. 188). Questi gli spettacoli prescelti: Zia Vanja, regia di Peter Brook, Il giardino dei ciliegi, regia di Gabriele Lavia, Il giardino dei ciliegi, regia di Attilio Corsini, Ivanov, regia di Marco Sciaccaluga, Tre sorelle, regia di Eimuntas Nekrosius. A questi materiali si affiancano le immagini di due spettacoli tedeschi: Il gabbiano diretto da Andrea Breth e Il giardino dei ciliegi nella versione di Peter Zadek.

 

4) Paolo Ruffini e Cristina Ventrucci nel loro saggio ("I gruppi 90", p. 200) analizzano capillarmente il fenomeno dei "nuovi gruppi" teatrali: ne individuano i prodromi, ne tratteggiano le tendenze e le aree di provenienza. Successivamente li catalogano accorpandoli per somiglianze, infine forniscono una scheda per ciascun gruppo, di cui sviscerano tematiche, storia, caratteristiche essenziali. Si tratta di un vero e proprio monitoraggio all'interno delle compagnie teatrali di recente (o recentissima) formazione. Di seguito, a cura degli stessi autori, una parentesi sul giovane teatro danza (p. 224) e il "manifesto poetico" dei romagnoli Motus (p. 224).

Dal discorso generale conseguono altri interventi a carattere più "locale": Antonio Calbi redige la mappa dei gruppi dell'hinterland milanese (p. 225), Roberto Incerti definisce la situazione nel fiorentino (p. 226).

Conclude la sezione un'intervista di Oliviero Ponte di Pino a Luigi De Angelis della Teddy Bear Company, in cui l'artista racconta le sue performance da discoteca e le stupite reazioni del pubblico (p. 228).

 

Grande risalto ha il ricordo di Giuseppe Bartolucci, per il quale si raccolgono gli interventi di Franco Quadri, Ettore Capriolo, Giorgio Sebastiano Brizio e Claudia Castellucci, e alla cui memoria viene intitolato un premio destinato alle nuove realtà teatrali.

il Patalogo 20

Stagione 1996 - 1997

 

Il numero del ventennale sviluppa al suo interno 4 aree principali di approfondimento. La prima e più corposa sviscera il tema della violenza a teatro; la seconda analizza il rapporto tra le pratiche teatrali e i territori dell'emarginazione e della diversità; la terza si occupa del massiccio recupero dei testi dell'antica Grecia all'interno della stagione; la quarta infine, è un'analisi "autoreferenziale" sul Patalogo e sulla sua storia.

 

1) Il primo nucleo individuabile è quello del "Teatro della Crudeltà". Sono qui raggruppate sotto la citazione artaudiana alcune esperienze teatrali che hanno caratterizzato la stagione per il loro comune riferimento alla violenza, al sangue, alla malattia... Si tratta di un "teatro della carne", con riferimenti continui alla mutilazione, alla sofferenza fisica, all'infezione.

In questa sezione sono inserite le dichiarazioni di Romeo Castellucci in relazione al Giulio Cesare della sua Societas Raffaello Sanzio (p. 135). Sullo spettacolo sono poi raccolte le recensioni di Franco Quadri e Gianni Manzella.

Enzo Moscato (p. 137) parla di Artaud come modello cui riferirsi continuamente nel suo lavoro, e spiega le tematiche affrontate in Lingua, Carne, Soffio, riferendosi ai suoi "ibridi-contaminati alfabeti di teatro" che ha tratto "dalla crudeltà, dalla malattia, dall'esagerazione come forme naturali di vita, d'espressione". Seguono le recensioni di Enrico Fiore e Franco Quadri allo stesso Lingua, carne, soffio.

Terza tappa all'interno del "Teatro della Crudeltà" è Nei leoni e nei lupi del Teatro Valdoca (p. 139): vengono raccolti i commenti di lavoro di Mariangela Gualtieri sulla scrittura e sui personaggi. Segue un brano del testo dello spettacolo e la recensione di Franco Quadri.

Si passa poi ad una zona dedicata al teatro inglese, che è particolarmente connotato in quegli anni da elementi di violenza e ribellione. In un'intervista Harold Pinter parla della messinscena della sua Serra, rimasta sulla carta per quarant'anni: l'autore afferma che le trasformazioni della realtà sociale nel corso degli anni in direzione della dittatura e della violenza generalizzata hanno reso attuale il dramma. Queste dichiarazioni lasciano il posto ad un brano di Ceneri alle ceneri. Attraverso articoli giornalistici, dichiarazioni e brani dai testi sono poi tracciati i caratteri della nuova drammaturgia inglese. Sono compresi interventi di Sarah Kane, Edward Bond, Michael Billington, che si alternano ad un durissimo brano da Blasted della stessa Kane.

La sezione prosegue con una serie di performer che raccontano il loro percorso artistico tra mutilazioni, cicatrici e corpo "tecnologico", e di cui è fornita una breve scheda (pp. 146): Franco B., Marcel.li Antunez Roca, Ron Athey, ClareAnnMatz e Corpo sterminato di Krypton.

Concludono tre giovani gruppi romagnoli che sono collegati tra loro per una comune tendenza ad indagare atmosfere cimiteriali e violente (p. 150): Fanny & Alexander, di cui sono raccolte le dichiarazioni di poetica, Motus, che raccontano la costituzione del loro O. F. Orlando Furioso impunemente eseguito da Motus, e Masque teatro che esprimono la loro idea di "teatro della materia".

 

2) L'emarginazione, il nomadismo, la diversità caratterizzano la seconda macro area del Patalogo 20.

Pippo Delbono (p. 175) racconta l'incontro con i suoi "Barboni", che ha dato luogo all'omonimo spettacolo, di cui è compresa un brano della recensione di Franco Quadri.

Lustrini di Antonio Tarantino (p. 176) - la storia di una coppia di barboni omosessuali - rappresenta la seconda tappa della sezione. Sono inseriti due brani del testo, le notazioni dello stesso autore e del regista dello spettacolo, Cherif.

Armando Punzo racconta il lavoro sui Negri di Jean Genet (e i problemi avuti con lo Stato) con gli attori-detenuti della Compagnia della Fortezza (p. 178).

Il tema del viaggio itinerante, del nomadismo è trattato giustapponendo l'esperienza del Milione di Marco Paolini (attraverso le dichiarazioni dell'artista alcune recensioni e un brano del testo, p. 181) e del Progetto Amazzone di Thierry Salmon (grazie agli appunti dello stesso regista e di Renata Molinari, p. 183).

La lingua dei quartieri bassi di Palermo è il tema trattato da Franco Scaldati nel raccontare attraverso due interviste il suo lavoro per La locanda invisibile (p. 184).

La Bosnia è lo scenario su cui si affaccia sia il gruppo Laminarie, che narra l'esperienza di portare uno spettacolo, Poema della forza, a Monstar (p. 186), che Loredana Putignani, che introduce con Rom Stalker il tema dell'identità dei Rom della Ex Jugoslavia (p. 187).

Seguono le quattro recensioni di Olivier Schmitt, René Solis, Franco Quadri e Françoise Gründ a Eclipse, lo spettacolo che Bartabas ha messo in scena con il suo cavallo Zingaro (p. 188).

 

3) Il recupero del teatro greco è il tema dominante della terza parte (pp. 155 - 172). Attraverso dichiarazioni, recensioni e annotazioni dei protagonisti si analizza il ritorno ai miti dell'epoca classica, sottolineando le interpretazioni offerte dai diversi gruppi e artisti italiani e stranieri, in un momento di particolare fertilità soprattutto di due essi: quello della colchide Medea e il ciclo dei Labdacidi, con particolare interesse per il personaggio di Antigone.

 

4) L'ultima sezione riguarda una riflessione sul Patalogo, nel numero del ventennale, a cura degli stessi autori e collaboratori storici, che definiscono la natura dell'Annuario e raccontano il loro lavoro nell'arco di questi vent'anni (p. 218). Segue poi il "metapatalogo", un indice tematico che si sviluppa verticalmente e orizzontalmente, come una matrice algebrica per includere le aree contigue a ciascun Patalogo e facilitarne la consultazione (p. 255).

 

Da segnalare poi il risalto dato a due figure "ribelli" del teatro, Woyzeck e Ubu, che nel corso della stagione sono ripresi e messi in scena un po' dappertutto in Italia e in Europa.

 

 

il Patalogo 21

Stagione 1997 - 1998

 

Il Patalogo 21, impaginando ancora una volta la stagione secondo uno schema "alfabetico", grazie all'"Alfabeto fenomenologico di un anno di teatro e affini" (pp. 178 - 247) incentra la discussione prevalentemente su alcune figure di registi europei. Ma all'interno si trovano anche gli "aggiornamenti" rispetto a tematiche come l'architettura teatrale, il teatro musicale, la situazione politico-istituzionale della scena italiana, che - come si è visto - periodicamente ricorrono.

 

1) Il tema della regia è indagato grazie all'analisi del lavoro di alcuni maestri italiani ed europei. Carlo Cecchi (p. 184) racconta a Franco Quadri la sua rilettura di Shakespeare, nell'anno (1998) in cui si conclude la sua trilogia dedicata al Bardo inglese, comprendente Amleto, Sogno di una notte d'estate e Misura per misura. La conversazione tocca diversi punti dell'attività del regista-attore, a partire dai modelli cui egli si rifà, fino ai rapporti stabiliti con la sua compagnia di attori nella cornice particolare del Teatro Garibaldi di Palermo.

Shakespeare è il filo conduttore che lega tra loro le diverse messinscene di Leo de Berardinis (da King LearN.1 a LearOpera), Federico Tiezzi (Scene di Amleto), Cherif (La tempesta) e Antonio Syxty (La guerra delle due rose).

Ma assume risalto soprattutto il lavoro di Eimuntas Nekrosius per il suo Hamletas, che viene descritto dalle recensioni di Giovanni Raboni, Renato Palazzi, Franco Quadri e Lukasz Drewniak (p. 191).

Il regista dell'anno è Christoph Marthaler, il cui percorso artistico è tracciato da Franco Quadri in un intervento intitolato significativamente "Christoph Marthaler. Un regista per gli anni '90" (p. 212). L'intervista di Gianfranco Capitta mette in luce il rapporto tra musica e teatro nel lavoro di Marthaler, mentre Stunde Null, il polemico spettacolo contro la classe politica tedesca (il sottotitolo è L'arte di servire. Un esercizio per la classe dirigente) è descritto da una recensione ancora di Franco Quadri. Altre tre pièce - Faust di radice quadrata 1 + 2, The Unanswered Question e Katia Kabanova - sono infine analizzate, mettendo in evidenza il rapporto tra il testo scelto e l'elaborazione del regista svizzero, da Franz Wille e Franco Quadri.

Due testi di Dostoevskij, Fratelli Karamazov e Igrok ovvero Il giocatore sono analizzati nelle interpretazioni registiche di Luca Ronconi per il Teatro di Roma e di Anatolij Vasil'ev nel suo lavoro per l'Ecole des Maîtres (p. 188). Dalle dichiarazioni rilasciate dai due registi si comprendono i motivi della scelta del testo. Ronconi spiega i criteri drammaturgici utilizzati, la traduzione prescelta, i problemi di adattamento del romanzo e la definizione dei personaggi. Vasil'ev racconta lo svolgimento delle lezioni tenute a Bruxelles sul Giocatore e parla degli esiti finali, le dimostrazioni di lavoro svoltesi a Fagagna, Roma, Parigi, Bruxelles e Mosca.

A Jurij Ljubimov infine (p. 203) è dedicata una sezione in occasione del libro Ljubimov. La Taganka, in cui Béatrice Picon-Vallin traccia la storia del regista russo e del teatro in cui ha sempre lavorato, La Taganka.

 

2) Per quanto riguarda gli "aggiornamenti" sulle tematiche che più volte ricorrono all'interno del corpus dei volumi del Patalogo si segnala in primo luogo il saggio di Gianni Manzella (p.178), che analizza alcuni casi di ristrutturazione e riapertura di teatri, tra i quali il Teatro Goldoni di Firenze e il Teatro Garibaldi di Palermo.

Maurizio Porro indaga il boom del musical made in Italy, da Grease ad A Chorus Line, da Cantando sotto la pioggia a Sette spose per sette fratelli. L'articolo è seguito dalle interviste a Lorella Cuccarini, protagonista di Grease e a Saverio Marconi, che ha ripreso in quell'anno, con un nuovo cast, l'allestimento di A Chorus Line.

Anche il Patalogo 21 si occupa del rapporto tra teatro e teatranti da una parte e cornice istituzionale dall'altra. Sotto la lettera P (p. 221) è racchiusa infatti la sezione intitolata "Poltrone". All'interno sono inseriti pezzi giornalistici, polemiche e interviste a proposito delle nomine dei direttori di alcuni teatri stabili e festival.

 

Una sezione è dedicata ad un nuovo giovane autore, Martin Mc Donagh (p. 201), che con la sua Trilogia di Leenane simboleggia una nuova generazione di drammaturghi e un'ondata di rinnovamento teatrale che proviene dall'Irlanda.

 

Si segnalano per il particolare spazio che occupano al di fuori della sezione "Fin de partie" i ricordi di Giorgio Strehler e Thierry Salmon.

 

Nel "Repertorio di un anno" ritornano gli spazi dedicati alle dichiarazioni di poetica e alle recensioni critiche per gli spettacoli di maggior rilievo nel corso della stagione. Questi interventi sono invece esclusi dalla sezione nei numeri 17, 18, 19, 20.

 

 

il Patalogo 22

Stagione 1998 - 1999

 

Il Patalogo 22, uscito nel dicembre del 1999, è un po' a se stante e particolare, in quanto - oltre alle consuete sezioni fisse - non si occupa specificamente della stagione teatrale 1998 - 1999, ma svolge un excursus storico-critico sull'intero '900, grazie a schede che analizzano il secolo anno per anno.

La grande sezione intitolata "Quasi un secolo di teatro. Speciale dedicato al Novecento" raggruppa gli avvenimenti e i personaggi italiani e internazionali che hanno caratterizzato cento anni di storia teatrale, concentrandosi di volta in volta su un aspetto specifico. Il mondo della scena contemporanea viene indagato i tutti i suoi ambiti, attraverso un modulo narrativo. Gli autori - Ettore Capriolo, che cura anche l'impianto complessivo, Fausto Malcovati, Renata Molinari, Oliviero Ponte di Pino e Franco Quadri - si dividono le diverse annate: per ciascuna di esse sono selezionati gli eventi più significativi e i protagonisti, che vengono "raccontati" in uno stile "piano", "colloquiale" pur preservando il necessario rigore scientifico. Il teatro del '900 è restituito al lettore grazie alle pagine lasciate dagli spettatori, attraverso carteggi tra artisti, mediante piccole curiosità e immagini d'epoca. Il disegno dello Speciale non mira all'esaustività, ma alla "significanza" di ciascun inserimento. L'obiettivo è "sezionare" il secolo e metterne in evidenza i punti di svolta, i personaggi più rappresentativi dell'evoluzione del teatro in questi cento anni (tra i nomi illustri, autori come Anton Cechov, Enrik Ibsen, August Strindberg, Bertolt Brecht, registi come Max Reinhardt, Constantin Stanislavskij, Vsevolod Mejerchol'd, Jerzy Grotowski, Tadeusz Kantor, Giorgio Strehler, interpreti come Petrolini, Eleonora Duse, Eduardo De Filippo...).

Ma oltre ai protagonisti e agli spettacoli memorabili, il Patalogo 22 mette in risalto l'evoluzione del teatro nel corso del secolo, sottolineando le tendenze che si sono susseguite, individuando i movimenti e le avanguardie teatrali anche in rapporto alle altre arti.

Il racconto si ferma emblematicamente al 1977, anno dal quale inizia l'avventura del Patalogo. Per le stagioni successive si rimanda dunque ai rispettivi numeri dell'Annuario, indirizzando la lettura con la ripubblicazione degli indici del "metapatalogo", aggiornato al 1999.

Alle soglie del 2000 dunque il Patalogo sente l'esigenza di inventariare e ordinare il panorama teatrale del secolo che si chiude, e lo fa organizzando l'immensa mole di materiali in un racconto che si suddivide in "capitoli" (ognuno degli anni dal 1900 al 1977) e in "paragrafi", cioè i due, tre argomenti prescelti per ciascuna annata. Ogni dieci anni, infine, è inserita una grande immagine che non ritrae un episodio teatrale, ma "descrive" per metonimia il periodo culturale e sociale che introduce.


 



[1] Per esempio, sotto "Beat 72" sono elencati 10 spettacoli (cfr. il Patalogo 2, p. 5).

[2] Si veda ad esempio il Patalogo 17, pp. 13 - 47.

[3] Cfr. il Patalogo 3, pp. 93 - 100 per i festival italiani, pp. 101 - 106 per gli stranieri. Nei numeri 17 e 18 non compare la sezione. Nel Patalogo 8 si sostituisce l'ordine alfabetico a quello cronologico, cui si ritorna successivamente.

[4] Negli ultimi anni vengono indicati anche l'indirizzo del festival e il nome del direttore.

[5] Nel Patalogo 1 vengono considerati solamente i libri (Con il titolo "Libri per un anno") e un'appendice sulle pubblicazioni straniere e i premi. I convegni e le mostre compaiono già nel Patalogo 2, e sono riuniti in un'unica sezione. La "Vetrina di una stagione" non è presente nei numeri 17 e 18.

[6]Cfr. Elena De Angeli, "Il Grande Capocomico chiede il sorpasso", il paragrafo dal titolo "Quando il poeta si rappresenta", in: il Patalogo 1, p. 284.

[7] Cfr. Rita Cirio, "G&G: più di trent'anni di bel governo? (Storia di Garinei e Giovannini)", in: il Patalogo 2, p. 143

[8] L'Alfabeto, non casualmente, si intitola "Tendenze e perversioni".

[9]I nomi si ritrovano sull'indice e anche in quarta di copertina.

[10]Da notare anche la diversa classificazione dei festival italiani e stranieri, non più cronologica ma alfabetica.

[11]Si vedano i vari temi trattati all'interno della sezione "Casi e coincidenze", p. 292.


 
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