ateatro

numero 12 - 2 giugno 2001
a cura di Oliviero Ponte di Pino
 

INDICE

Ancora sul "teatro di guerra"
Il video Dove si rompe l'onda
a cura di Teatroaperto

Ardore e disincanto
Sguardi sugli anni Novanta dei nuovi gruppi
in preparazione dell'incontro a "Opera Prima" di Rovigo
di Antonio Calbi

Coming too close
Appunti per il progetto di web theatre Connessioni remote di Giacomo Verde
di Anna Maria Monteverdi

Blue Stories
di Roberto Paci Dalò

Un paio di  ingenue provocazioni su teatro e web
di Oliviero Ponte di Pino

Comunicazioni di servizio

Ritorna la Maratona di Milano: ora tocca alle 12 ore del Giorno

E' sempre in libreria il paperback del mio Chi non legge questo libro è un imbecille: lo pubblica sempre Garzanti, costa solo 19.000 lire,  se non lo compri, 6 1...

Forse è davvero lui: l'hanno trovato in Canada, il quadro è dell'epoca giusta, forse l'ha portato oltre Atlantico un attore che ha recitato nella sua compagnia, forse è l'unico ritratto che gli abbiano fatto mentre era in vita (avrebbe avuto 39 anni, gli altri glieli hanno fatti quando era morto...). Ma forse è una bufala... (Insomma, nel CD Tutto Shakespeare non ci poteva essere, forse in una delle prossime edizioni...).

Prosegue implacabile la serie di appuntamenti della Carta d’Intenti per il teatro ragazzi a cura di Marco Baliani e del Teatro delle Briciole (i precedenti sui precedenti "ateatro"). Il prossimo incontro è fissato per venerdì 8 giugno alle ore 14.30 al Teatro al Parco, per un confronto con le nuove generazioni che fanno esperienza professionale di teatro per l’infanzia e la gioventù. Chi è interessato a partecipare, può provare a contattare raffailari@tin.it oppure fax 0521992048. La giornata conclusiva della Carta d’Intenti si svolgerà invece al Teatro al Parco lunedì 25 giugno dalle 10.30 alle 19.

Howard Barker è uno dei più interessanti drammaturghi inglesi: ha alle spalle una lunga carriera con oltre 50 testi, nel 1988 ha fondato la Wrestling School, la Scuola di Lotta, una compagnia che lavora soprattutto sui suoi testi. L'ottimo theatre-contemporain.net ha dedicato un nutrito speciale al suo "teatro della catastrofe" (numerosi file audio in francese).

Forse non lo sapete, ma sul vostro cellulare grazie al wap potete leggere le trame di oltre 600 capolavori della letteratura di tutti i tempi e tutti i paesi. Può essere utile: se andate a Quiz Show, se in un qualche incubo dovete rifare l'esame di maturità, se Roversi vi invita a Per un pugno di libri... Ulteriori informazioni sul sito Garzanti Libri


Imperdibile: Chi non legge questo libro è un imbecille. I misteri della stupidità attraverso 565 citazioni, Garzanti, Milano, 1999.

Chi non legge questo libro è un imbecille



 

Ancora "teatro di guerra"
Il video Dove si rompe l'onda
a cura di Teatroaperto

Dal 13 al 16 marzo 2001 si è svolta una serie di incontri al C.S.Leoncavallo, organizzata dal Centro e da Teatro Aperto dal titolo "Fare un teatro di guerra". Da quegli incontri e da interviste che Renzo Martinelli, regista di Teatro Aperto, ha realizzato nei mesi successivi è nato un video documentativo, che verrà presentato in anteprima mercoledì 6 giugno 2001 alle ore 21.00 presso il C.S.Leoncavallo.
Alleghiamo una piccolissima parte degli interventi che rispetta l'ordine di montaggio.
Le altre persone intervistate, che non compaiono di seguito, sono: Maria Luisa Abate (attrice), Antonio Caronia (studioso indipendente), Elio De Capitani (regista teatrale), Gigi Gherzi (regista teatrale), Massimo Munaro (regista teatrale), Oliviero Ponte di Pino (studioso e critico), Paolo Rosa (video artista e regista cinematografico), Lorenza Zambon (attrice).
Materiali sul "teatro di guerra" nel sito e nei predecenti numeri di "ateatro".

ANTONIO MORESCO (scrittore) -A me interessano i buchi. Io ho sempre lavorato in un buco. Ho sempre lavorato incendiando piccolissimi buchi, piccoli come spilli. Mi piacerebbe un teatro così, che sa anche creare piccoli buchi e incendiarli.

UN TEATRO POLITICO?

Dove scompare l'idea della guerra, c'è identificazione con l'aggressore.
Carla Benedetti

FRANCO QUADRI (studioso e critico teatrale) - C'è stato la fine degli anni Sessanta, anche prima del '68, un momento in cui il teatro ha avuto un'esplosione politica molto importante. Nel '67 in America il teatro era il mezzo più forte e più efficace di manifestare certe idee contro il potere, come si è visto. Era il momento della guerra del Vietnam, era il momento di Johnson; il movimento che è cominciato a Berkeley è continuato a New York attraverso il teatro, era l'esplosione del Living che durava già da qualche anno, c'era l'Open Theatre, c'era il Bread and Puppet, il teatro scendeva nelle strade, e poi non solo lì, ma anche in Germania c'era Rudi Dutschke, il teatro di guerriglia si diffondeva, dopo abbiamo avuto Dario Fo ne parlavo già prima. C'è stato questo momento trainante del teatro. E' un fatto che il teatro diventa più importante o lo diventava, adesso bisogna vedere cosa succede perché è molto cambiato ci sono altri mezzi di informazione e di diffusione diretti, ma è sempre stato un luogo forte nei momenti di crisi, di crisi e di oppressione e di repressione.

PIPPO DELBONO (regista teatrale) - Se ti brucia, ti brucia tanto e ti brucia tanto non puoi più fare un'ideologia. Ti brucia e basta. Allora a quel punto c'è solo un'azione che ha un senso. Cioè le persone che sono in un campo di trincea e a un certo punto ti stanno sparando addosso… forse un semplice gesto che tu fai di coprire una persona vicino a te, che sta rischiando come te di morire, è un gesto sincero, perché un'azione concreta ti fa fare questo gesto. Tante volte io diffido di stare seduti in poltrona a fare grandi disquisizioni sull'importanza di questo gesto. E anche nel teatro, anche nell'arte. Tante volte sembra che i politici siano diventati artisti, comunque attori, non nel senso che intendo io, però sicuramente che debbano sempre recitare dei ruoli. Gli artisti che… per forza devi essere politico. Non entrando mai in questa dimensione mi sono trovato con gli anni a vedere che senza voler fare un teatro di guerra per un'idea “ah voglio fare un teatro di guerra”, in effetti la nostra esperienza è diventata un'esperienza fortemente di guerra. Perché l'azione concreta è stata un'azione rivoluzionaria.

DANIELE FARINA (portavoce del C.S.Leoncavallo) - Normalmente il teatro come tutte le espressioni artistiche ha a che vedere con i simboli, intendendo come simboli, i simboli nella loro più completa espressione, quindi ha a che vedere con il linguaggio. In questa definizione di “teatro di guerra” c'è un aspetto singolare che sembra apparentemente in contraddizione, “il teatro” e “la guerra”. Qui sembra invece che ci sia un'operazione a mio modo di vedere interessante, perché fuoriesce un po' dal rapporto tra la politica e la cultura che ci arriva da una vecchia tradizione da un dibattito morto quarant' anni fa ma che fu molto vivo in una parte della sinistra italiana, quella del partito comunista in particolare. Guardava al primato della cultura o della politica e dentro questo c'era l'idea che la cultura fosse l'ancella della politica. Mi sembra che sotto un profilo c'è un tentativo di saltare questa divisione, cioè di rendere il processo culturale direttamente politico e quindi capace di interferire sul mondo.

JENS HILLJE (Dramaturg alla Schaubuehne di Berlino) – Il teatro è il mezzo ideale, perché è l'unico spazio e luogo dove la gente si incontra, come gruppo, è l'inizio della democrazia dove le persone si incontrano come gruppo e pensano alla stessa cosa, che può essere una storia, che può essere un'idea, che può essere qualsiasi cosa. E parlano di questo, ne fanno un'esperienza comune e questo è una sorta di nucleo sociale, un autentico inizio, l'inizio della politica.

CARLA BENEDETTI (critico letterario) - La metafora della guerra è una cosa che a me sembra molto importante raccogliere, perché credo che l'idea della guerra, l'idea del conflitto, non tanto la guerra di cui si parla, ma la guerra che si fa, anche facendo teatro o facendo letteratura o agendo nel mondo o anche descrivendo il mondo sia un'idea che ci è stata tolta. Mai come oggi viviamo in un mondo pieno di guerre, mai come oggi l'idea della guerra è stata rimossa, io credo da una serie di descrizioni del mondo, Ci ripetono che viviamo in un mondo che non ha più conflitti nè lacerazioni al suo interno, un mondo orizzontale senza crepe, smaterializzato, una trappola perfetta in cui non è più possibile fare niente.

JENS HILLJE – Avere una vita migliore è diventato un problema individuale, al 100%, per ognuno. E' il tuo problema individuale se tu non riesci a migliorare la tua vita. Arrivi a immaginare che è colpa tua, che è un tuo errore. Ti deprimi, hai bisogno di antidepressivi. Ecco perché da una società di oppressione siamo passati a una società di depressione.

CARLA BENEDETTI – Quando ci si mette in testa che forse anche attraverso il teatro si può fare qualcosa e lo si pratica come qualcosa di vivo e di radicale allora si creano spaccature e conflitti e allora anche la cultura non appare più quella cosa così monolitica dove tutti sono affratellati nel difendere la propria roccaforte umanistica contro qualcosa che, di volta in volta, si può chiamare il mercato, la cultura dei media. Questa è una storiella che ci raccontano da tempo. Ovviamente c'è anche questo, ma c'è anche secondo me il fatto che quando il teatro fa qualcosa il mondo della cultura si divide e allora si rivela a questo punto attraversato dal potere.

GIANNI CANOVA (critico cinematografico) - Il cinema italiano ha perennemente esorcizzato il tragico, a favore ovviamente del comico, che è invece un ordine di discorso che va verso l'integrazione del diverso, la conciliazione dell'opposto, dove tutto alla fine si ricompone, dove tutto si attenua, dove tutto in qualche modo trova un punto di compromesso o di negoziazione. In questo la forma del comico è una forma molto italiana io trovo, laddove la forma del tragico non lo è. Siamo uno dei pochi popoli che nella nostra storia… come dire… non abbiamo mai tagliato la testa al re, non abbiamo mai fatto una vera rivoluzione, non abbiamo mai avuto neppure una borghesia che abbia conquistato nel conflitto e forse col sangue il diritto di essere classe dominante o classe dirigente.

MARIO MARTONE (regista teatrale e cinematografico) - Strato su strato la società italiana si compone sempre di qualcosa che cuce sopra le ferite, che cuce sopra le ferite, le ferite vengono mai rimarginate, ma sempre coperte.

TEATRO DI GUERRA / EVENTI TEATRALI AL LEONCAVALLO
DOVE SI ROMPE L'ONDA
Mercoledì 6 giugno 2001
ore 21.00
C.S.Leoncavallo via Watteau, 7 Milano

CONFRONTO TRA GRUPPI, ARTISTI, OPERATORI, CRITICI SUL LAVORO CULTURALE SVOLTO IN QUESTA STAGIONE
…e
FARE UN TEATRO DI GUERRA
APPUNTI VIDEO DI TEATRO APERTO

Come riallacciare il legame tra produzione culturale e società?
Fare un teatro di guerra. Così titolava la nostra programmazione di quest'anno. Al di là delle poetiche e delle specificità artistiche ci interessava riflettere sul ruolo sociale di quello che noi consideriamo un teatro di guerra, non solo il teatro, ma tutto quell'ostinarsi a fare cultura nonostante, a fare cultura per…modalità che spesso corre parallela alle istituzioni e alla politica senza trovare un terreno d'incontro. Oppure, come nel caso della direzione artistica di Mario Martone al Teatro di Roma, tenta all'interno dell'istituzione una politica innovativa continuativamente osteggiata e considerata infine inaccettabile, come spesso accade nel nostro paese.
Abbiamo chiesto di intervenire su questi argomenti a chi di cultura si occupa da anni, facendola, seppur con diverse modalità e confrontandosi con questi problemi. Abbiamo privilegiato eventi che potessero creare una rete di esperienze, che fossero in contatto con le altre tematiche affrontate dal Centro nell'intento di costruire un percorso di lavoro preciso.
I materiali raccolti nelle giornate di incontro, quest'anno numerose e con ospiti di rilievo come Mario Martone, Pippo Delbono, Mariangela Gualtieri e le interviste, che ci hanno spinto fino a Berlino da un nostro coetaneo direttore artistico della Schaubuehne, sono confluiti in un libro e ora in un video.
Abbiamo teso fili che mettessero a confronto le varie voci su temi ricorrenti: la politica, la guerra, la relazione.
Attraverso la visione del video vorremmo rilanciare anche a voi queste domande per continuare a costruire insieme il destino culturale della nostra città e del nostro paese.
L'adesione di quelli che ci saranno, la loro presenza al C.S.Leoncavallo, è già un segno che qualcosa continua nonostante tutto ad accadere, che la città che noi vogliamo può avere la forma delle cose che facciamo.


Ardore e disincato
Sguardi sugli anni Novanta dei nuovi gruppi
di Antonio Calbi

Questo testo prepara l'incontro che si terra a Rovigo, nel corso di "Opera Prima. Martino Ferrari", la rassegna generosamente organizzata dal Teatro del Lemming che si terrà a Rovigo dal 14 al 17 giugno. Per il programma della rassegna, vedi il forum segnalazioni. Per altri materiali sui nuovi gruppi (la "terza onda"?), vedi l'ampia sezione in Materiali sul nuovo teatro e i predecenti numeri di "ateatro".

Nella prima metà degli anni Novanta una nuova generazione teatrale emerge alla ribalta. Il teatro italiano registra la ciclica crisi degli stabili, la perdita di progettualità e di finalità dei centri di ricerca, l'esaurimento creativo o le metamorfosi dei protagonisti della sperimentazione che ha vivacizzato gli anni a cavallo fra i Settanta e gli Ottanta. Sorprende sempre Ronconi con i suoi spettacoli kolossal (da Kraus al Lingotto di Torino al Gadda per il Teatro di Roma), impreziosisce il “vuoto” qualche perla di Leo De Berardinis e di Carmelo Bene; è in piena debacle, e non solo creativa, Strehler. I giovani? Invisibili. Così si autoetichettano le centinaia di gruppi di un underground teatrale che cova da un decennio, dalla fine degli Ottanta, e di cui non v'è traccia nel sistema ufficiale, impegnato com’è nella difesa delle proprie postazioni e per la disattenzione, o disaffezione di critici, operatori e studiosi, e naturalmente dei media, proni davanti al vuoto catodico e complici della fuffa dilagante.
La teatralità di questa nuova generazione è una pratica diffusa che deflagra nelle autoconvocazioni, nelle rassegne e nei festival, nei progretti ad essa totalmente dedicati: in ordine di apparizione, Opera Prima a Rovigo (dal 1994), Invisibili a San Benedetto del Tronto, Extraordinario a Roma, Scena Prima e Teatri 90 a Milano, Crisalide a Bertinoro.

Il carattere eccentrico del fenomeno è immediatamente evidente: il lavoro dei nuovi gruppi evidenzia una contiguità con le prassi e i pensieri delle arti figurative piuttosto che con il mondo del teatro; sono artisti prima che attori e registi; creativi della scena, compongono opere piuttosto che spettacoli; non didascalizzano il reale, portano in scena le implosioni del presente; sui palcoscenici, spesso totalmente ridefiniti in ambienti, architetture, macchine sceniche, non fingono, provocatoriamente sono.
Sono artisti che alterano i codici della rappresentazione, hanno formazioni non ortodosse, abitano centri sociali, luoghi occupati, alcuni respirono le aure di fratelli maggiori (soprattutto nella cosiddetta "Romagna felix"), si mettono alla prova nelle discoteche, immaginano eventi unici, extrateatrali e nei luoghi più insoliti, coinvolgono un pubblico nuovo, fedele e insieme mutevole.
Hanno dai venti ai trent'anni, qualcuno va verso i quaranta ma appartiene in parte a un'altra generazione, intermedia fra i Martone, i Tiezzi, i Castellucci, e questi ultimi: una generazione in parte invisibile anch'essa, che lamenta gli effetti di una vera e propria rimozione.

I gruppi nati negli anni Novanta pongono interrogativi e disorientano critici, osservatori, studiosi. Eterogenei e plurali più che mai, hanno metabolizzato gli anni Ottanta nei corpi e nelle anime: fumetto, bit, tv, video, computer, clip, discoteche, pubblicità, moda, sport, letteratura radicale, cyber, musica, design... Valicano ogni frontiera, onnivori di tutto, si annidano nei limbi fra le discipline. Hanno il disincanto e la rabbia di una generazione "post-tutto". Amano la vertigine dell'iperbole ma anche la bellezza del vuoto: il minimalismo poetico e l’interrogativo  filosofico, l'iperbole della macchineria e l'intangibilità del virtuale, qualche volta la scrittura e abbattono o giocano con la quarta parete. La relazione con lo spettatore è alterata, reinventata, come i loro corpi, vissuti o praticati in mille modi. Sbeffeggiato il sistema, i linguaggi, le mode in un mix che non disdegna l'ironia e il paradosso.

L’incontro di Rovigo vuole provare a fare un primo bilancio del decennio appena trascorso, di questo fenomeno di finemillenio, che ancora una volta ci identifica come una delle scene più vitali d'Europa, ora che alcune delle formazioni bandiera di questa nuova ondata valicano i confini italiani. Rovigo, insieme a Milano, ha rappresentato un vero e proprio osservatorio di scoperte e svelamenti, analisi e approfondimenti. L’incontro dà la parola ai gruppi stessi, che porteranno i loro pensieri aggiornati, i loro manifesti estetici e di pensiero, che condensando gli anni passati del proprio operare immaginano le prospettive future.
Alla polifonia delle voci dei gruppi fa da controcanto quella di studiosi, critici e osservatori di questa "terza ondata" della ricerca teatrale italiana: si tratta di sguardi, plurali quanto le pratiche dei gruppi, su un processo ancora in corso e fra i più significativi di questo decennio teatrale. Un momento di riflessione che vuole ripercorrere gli ardimenti, ma pure i disincanti sopraggiunti, di una generazione e dei suoi complici. Un momento di confronto che si rende necessario non soltanto perché un ciclo si è consluso, ma perché è tempo di disegnare percorsi meno precari e instabili in un panorama – estetico, legislativo, economico, istituzionale – in rapida trasformazione.


Coming too close*
Appunti per il progetto di web theatre Connessioni remote di Giacomo Verde
di Anna Maria Monteverdi

A Prato, nel corso di "Contemporanea", è andata in scena (o in onda?) la prima performance di webcamthateatre (ne era stata data notizia in "ateatro 11"). Quelli che seguono sono alcuni spunti bibliografico-teorici per una più approfondita riflessione sul tema, ripreso dalla newsletter tecnoteatro.

A teatro la distanza serve a rassicurare il pubblico che la rappresentazione che sta avvenendo davanti a lui, comodamente seduto, e la storia narrata, inconsapevole e incurante del suo sguardo, non lo riguardano. Lo spettatore è fuori pericolo.
Dice Sartre “A teatro l'Altro non mi guarda mai o se per caso mi guarda, scompare l'attore, scompare Amleto o Volpone, è Barrault o Dullin che sta guardandomi e l''errore' di apostrofare il pubblico fa scomparire il personaggio immaginario per rendere presente l'uomo reale”.
Quando l'attore, con uno sguardo diretto al pubblico mette in crisi questa sicurezza, coinvolgendo chi ha davanti con tutta la sua umanità (e le sue argomentazioni), abolendo ogni confine, lo fa penetrare nel senso più profondamente teatrale, ovvero nel principio da cui nasce il teatro stesso, quello del “dramma sociale”.

*Il web mostra con tutta la sua forza ed efficacia questa capacità esplosiva della comunicazione che si è sempre configurata come un movimento in una sola direzione, dal centro alla periferia: la Rete smentisce, cioè, il mito rassicurativo di una realtà “solida, unitaria, stabile e autorevole” e la convinzione che tutto debba essere riportato necessariamente ad un “modello centrale” di riferimento e di comunicazione. Vattimo ricorda come la “vera fine della modernità” si ha proprio in questa messa in crisi della struttura centrale del soggetto umano nella nascita di una pluralità strutturata nella forma di “un sistema di rimandi senza centro”.
Vattimo sottolinea che le molte Weltanschauung (o visioni del mondo) rese possibili dai mass media smentiscono paradossalmente l'ideale di una “società trasparente”:
“Che senso avrebbe la libertà di informazione, o anche solo l'esistenza di più canali di radio e di televisione, in un mondo in cui la norma fosse la riproduzione esatta della realtà, la perfetta obiettività, la totale identificazione della mappa col territorio? (…) Si attua, forse, nel mondo dei mass media, una 'profezia di Nietzsche: il mondo vero, alla fine, diventa favola'”.

*Giacomo Verde riflette da tempo sulla possibilità di fondere la tecnologia con la ricerca e la sperimentazione artistica, l'esperienza estetica con la pratica comunicativa dell'arte in un'ottica di “decentramento produttivo”: attraverso l'arte tecnologica esplorare i modi di “fare mondo” e “creare comunità” (richiamo alla Teoria dell'agire comunicativo di Habermas).

* Internet web: il mondo come palcoscenico che porta a ridefinire il concetto di “presenza” dello spettatore.

*Il valore dell'oper-azione artistica del progetto Webcam Teatro proposto per “Contemporanea” al Museo Pecci di Prato, sta proprio nel ricreare – attraverso una nuova evoluzione del Teleracconto (il Tell Tele-Tale) ridefinito sulla base delle nuove frontiere digitali e della rete - una situazione condivisa.

*Attraverso la rete possiamo partecipare giocando,leggendo, guardando immagini, scrivendo.
Il sito web che è alla base della netperformance (http://www.webcamtheatre.org) è costruito sulla possibilità per chi, a distanza, vuole seguire l'azione che ha un luogo fisico di rappresentazione, di “esserci” e di mettere in moto la macchina che, senza di lui, non può “avere luogo”.
Anne Marie Duguet a proposito delle tipologie delle performance installattive interattive: “L'installazione è realizzata per essere esplorata dal visitatore che, facendo ciò, non solo ne costruisce progressivamente la percezione, ma anche mette in gioco quella degli altri visitatori. L'esistenza stessa di certe opere, e in particolare delle installazioni interattive, esige un'attività particolare da parte del visitatore per potersi manifestare pienamente. Questi esegue dunque una performance che diviene spettacolo per gli altri. Bisogna insistere sulla temporalità specifica di queste opere che sono innanzitutto dei processi, che esistono solamente nella durata della loro esperienza, nel qui e ora della loro attualizzazione… Il malfunzionamento, la panne, finiscono per essere attesi, ci si meraviglia quando tutto funziona. L'incidente, l'interruzione del funzionamento è un possibile permanente, un dato delle macchine stesse l'inversione logica del funzionamento che dovrebbe in effetti tanto irritare… L'artista è l'autore della proposizione, della concezione dell'opera, del suo dispositivo, del suo contesto, della sua manifestazione. Il visitatore esercita, mette in pratica questa proposizione, la interpreta. Ne è il performer, l'attore”.

*Attraverso la chat lo spettatore a distanza può comunicare realmente e in tempo reale con le persone che partecipano all'evento come spett-attori (chiunque può leggere quello che scrivono) dando feedback in tempo reale (il “non mi piace quello che stai facendo” o gli insulti o le richieste entrano a fare parte di questa situazione costruita).

*Gli spettatori reali, fisicamente presenti, hanno davanti a loro lo scarto temporale: l'azione e il suo ritardo di segnale proiettato nel mondo della rete e catturato da “non si sa quali sguardi”.
Sguardi che ci fanno paura proprio perché invisibili (quanti sono, chi sono, cosa stanno facendo?)

*L'arte entra attraverso la nuova “finestra sul mondo” che è lo schermo del nostro computer.

*La narrazione per immagini – un nuovo “teatro di figura” secondo Infante - nei 10' di performance utilizza un pallone da bimbi come mappamondo (Chaplin nel Grande dittatore?) che mostra non più terre e confini ma il volto di Topolino; un quaderno bianco le cui pagine si animano col soffio; mani che si muovono; poi la web cam si sposta verso il pubblico (“personaggi in cerca di…?”);

*Che strana sensazione quando la webcam ti riprende mentre sei seduto per terra nell'“arena teatrale”! E per finire a casa di chissà chi, che sicuramente non avrà le reazioni e il comportamento educato e composto di quelli seduti nella poltrona teatrale, ma che può dare liberamente sfogo alle proprie considerazioni anche più infami a voce alta, senza preoccuparsi dell'arrivo della “maschera” che lo caccia dal luogo di quei “silenzi devozionali” che è il teatro.

*La performance come “questione sociale”: ci piace definire questo teatro (secondo la definizione di Turner) di “tipo antropologico”, luogo della communitas, del “processo sociale quotidiano” (Goffmann) dove la creatività solidarizza con qualcuno.

*Interattività: “L'interattività attiva oggi questo spostamento radicale dell'attenzione verso l'esperienza dell'opera e gli artisti non si interessano più tanto alla produzione di immagini sorprendenti, quanto all'invenzione di nuovi modi di chiamarle e di esplorare i mondi virtuali. Così l'interattività non è più un genere, ma una modalità di esistenza di certe opere di cui essa stessa è un parametro costitutivo. Che si tratti di un semplice principio che faccia scattare qualcosa, o dell'esplorazione infinita di una banca dati complessa, essa trasforma lo spettatore in operatore e cambia i dati abituali della concezione e della produzione dell'opera”. (A. M. Duguet)

Si è soliti designare un'offesa al proprio onore con l'espressione “farsi troppo vicino”: “è come se il raggio di questa sfera segnasse la distanza che altri non possono varcare senza ledere l'onore di un soggetto” (Simmel).

*Abolire la distanza è uno dei temi del web


Blue Stories
di Roberto Paci Dalò

Antefatti
I had just removed from my studio all earlier works. The result - an empty studio. All that I could physically do was to remain in my empty studio and the pictorial immaterial states of creation marvellously unfolded.
Yves Klein, dal Manifesto Chelsea Hotel

Quando il regista cinematografico Derek Jarman (Caravaggio, The Last of England, Blue e altri film) ha scoperto nel 1986 di essere HIV-positivo, ha deciso di costruire un giardino nel suo cottage - una casa di pescatori - sulla costa di Dungeness, Kent, vicino a una centrale nucleare. Jarman ha creato cerchi di pietre, sculture fatte di vecchi attrezzi e legname e un giardino basato su piante locali e altri fiori che potevano sopravvivere in un ambiente così inospitale. Jarman ha iniziato a raccogliere pietre dalla spiaggia organizzandole in cerchi. Ha poi aggiunto oggetti lasciati dalle mareggiate, vecchi attrezzi e oggetti trovati collocando tutto questo tra arbusti e fiori. Il giardino completato evoca un senso di serenità e piacere ed è stato coltivato dal 1986 al 1994, anno della sua scomparsa.

Cosa significa 'live cinema'?
Live Cinema è un ulteriore passo verso il futuro del cinema. Questo significa che, attraverso l'uso di tecnologie digitali, è ora possibile non solo lavorare su produzioni a basso costo, ma anche ripensare al cinema come performing arts. Ritrovando l'emozione del cinema degli albori attraverso le tecnologie più innovative e creando un set dove l'azione accade dal vivo di fronte al pubblico. Il desiderio di molti: essere sul set di un film. Blue Stories è tutto questo.

Blue Stories Background
Yves Klein e Derek Jarman mi guidano nel mondo del blu, della visione e dell'ascolto. Insieme a loro il fondamentale lavoro di Dziga Vertov con il suo Kinoglaz. Una riflessione a tutto tondo sul cinema che ricollega il cinema degli albori con le nuove tecnologie digitali per arrivare a evocare  un particolare  artigianato – nuovo e antico allo stesso tempo – dell'arte cinematografica. Dove tra expanded cinema e nuovi formati si può pensare a un cinema come arte del tempo.
Attraverso la creazione di una serie di moduli acustici e visivi sviluppo una serie di performance "released" ogni volta in maniera più o meno diversa. Stanze e edifici sono abitati dal cinema che è prodotto in tempo reale, in performance, di fronte a un pubblico. Elettronica innovativa, città, paesaggi sonori, campionamento come pratiche di lavoro.
Il progetto procede accumulando materiali e combinando fiction con documentario insieme a esplorazioni urbane e architettoniche. Nella performance tutti i materiali sono mixati dal vivo creando un cinema da vivo che riporta all'emozione del pre-cinema realizzato attraverso camere oscure e lanterne magiche.
Gioco in Blue Stories con la terminologia e il linguaggio dei programmatori e in particolare del mondo Linux (release, open source) e allo stesso tempo della musica (version, remix).

Un esempio della costruzione di Blue Stories
Nei giorni precedenti alla performance - in certi casi persino il giorno stesso - viaggio attraverso la città dove la performance sarà presentata. Nel corso della mia esplorazione registro digitalmente immagine e suono. Materiali che poi monterò attraverso computer portatili che fanno parte della mia attrezzatura.I materiali montati fanno poi parte della performance insieme ad altri materiali realizzati precedentemente che costruiscono la struttura della performance stessa. Registrare sul posto significa chiaramente avere a che fare non solo con edifici e strade ma anche con gli abitanti.

Il luogo di performance diventa così un vero e proprio piccolo set cinematografico con luci, camere, regie. La struttura narrativa del progetto proviene da una sceneggiatura anch'essa pensata come work-in-progress. Dove quindi ogni presentazione prevede nuove stesure, modifiche, tagli. Differentemente a modalità consuete, anche la sceneggiatura è pensata come luogo pubblico. È infatti possibile seguire su Internet (nel sito appositamente creato) lo sviluppo dello script fatto anche – come nella migliore tradizione – di story board disegnati.

Il video digitale mi permette anche di giocare con le sue possibilità ricreando in certi casi la qualità e la texture del film in super-8. Questo grazie all'utilizzo del video sfruttando allo stesso tempo le sue più alte e più "basse" qualità. Nella performance lavoro mixando le immagini ed eseguendo la musica basata su elettronica innovativa e campionamento. Da suoni ambientali fino a veloci beat dove il suono gioca anche sull'utilizzo di frequenze particolare molto gravi e molto acute. Un'elettronica minimale dove molto spazio è dato al puro suono e alla sua relazione con lo spazio. Insieme alle immagini - provenienti dagli hard disk dei computer -, utilizzo micro telecamere a infrarossi collocate nello spazio di spettacolo. Software specifici sono utilizzati per controllare tutti i parametri visivi e acustici.

La prospettiva è di lavorare per un anno creando molte e diverse presentazioni di Blue Stories in tutto il mondo e creando un archivio di ampie dimensioni di materiali video e suono. Tutto questo per poi andare  in moviola e montare un film fatto di storie inevitabilmente molto particolari.

Dove
Blue Stories è un evento e progetto che si presenta in spazi pubblici, festival cinematografici, gallerie d'arte, musei, teatri, club e in luoghi quali spazi industriali riconvertiti in centri culturali. In particolari circostanze può essere presentato all'aperto e sul luogo nel quale le riprese sono state effettuate.
Dove è possibile, è utilizzata una connessione Internet per permettere il remix di immagini dalla rete consentendo anche il webcasting della performance. Blue Stories permette - parallelamente alla performance - di creare degli ambienti suono/video come installazione.

Tappe
Materiali base di Blue Stories sono stati presentati per la prima volta nel dicembre 2000 alla Fondazione Morra di Napoli.
Poco prima ho realizzato a Catania (Festival Mappe) il primo progetto nel quale ho messo a punto il metodo che sta alla base di Blue Stories. Ho viaggiato dall'alba al tramonto attraverso la città, filmando e registrando e presentando questi materiali in performance la notte stessa. A Roma ho successivamente realizzato Transborder Line con il gruppo di architetti Stalker.
Blue Stories fa parte del progetto Cospirazioni creato insieme a Patrizio Esposito.

— Roberto Paci Dalò, Atene © 2001


Un paio di ingenue provocazioni su teatro e web
di Oliviero Ponte di Pino

L'interazione creativa tra teatro e internet è un tema affascinante, una sfida per gli artisti e per chi riflette sull'arte e sulla comunicazione. Quando un nuovo medium emerge e si impone, in genere succedono alcune cose:

1. il nuovo medium tende a cannibalizzare quelli che lo precedono (il cinema ha cannibalizzato il teatro, la televisione il cinema, e adesso internet sembra destinato a cannibalizzare la televisione);

2. alcuni artisti e operatori dei medium più "antichi" iniziano a sperimentare su quello nuovo: portano la loro esperienza ma anche le loro curiosità, in uno stadio di sviluppo embrionale. E qui si apre un'altra questione: che cosa succede di queste sperimentazioni? Nella loro ingenuità rispetto all'uso del nuovo mezzo hanno un reale valore estetico e/o una reale efficacia nei confronti del pubblico? La funzione critica esercitata nei confronti dei nuovi media ha una reale efficacia? Quando il medium si "assesta" (e l'industria culturale tende a chiudere gli spazi di ricerca), che ne è di quelle esperienze?

3. i vecchi media tendono a ridefinire il proprio specifico, in relazione al nuovo (l'esempio più banale è la reinvenzione della pittura dopo l'apparizione della fotografia alla fine dell'Ottocento).

In questo scenario, provo a lanciare un paio di domande ingenue e provocatorie. Riprendono alcune suggestioni dai testi ripresi qui sopra (e dalle esperienze cui si riferiscono), per cercare di capire se può esistere uno "specifico" in questo incrocio di media.

1. Il ring
Come si può fare teatro (o live cinema, o comunque lo si voglia chiamare) su internet senza fare del cattivo (e povero) teatro in televisione?

Insomma, che cosa si può fare in questo ambito, aldilà dell'uso di una o più webcam per riprendere un evento teatrale live? Fermi restando alcuni elementi - alcune banalità di base che possono servire a delimitare il ring.

- il "qui e ora" di internet è diverso da quello del teatro: perché il "qui" è ovunque (e dunque in nessun luogo?); internet può raccogliere una comunità (anche se è diversa da quella che si crea, automaticamente, quasi magicamente, a qualsiasi replica di qualsiasi spettacolo teatrale), perché è una frammentata in un "qui" ubiquo;

- la webcam e internet costano relativamente poco (meglio, possono costare poco) e dunque sono un mezzo assai democratico e popolare, sia per i creatori sia per gli utenti; questo potrebbe aprire uno scenario ingenuamente utopico, per tutti quelli che pensano che l'arte debba essere democratica e che finora non lo sia stata a causa di strettoie nella distribuzione ("Che bello! Da casa potrò vedermi tutti gli spettacoli più belli del mondo!"; e ancor meglio: "Che bello! Tutti potranno vedere il nostro capolavoro, anche in Alaska!"); ma in generale internet permette un uso  "ricco" e creativo di tecnologie povere (come prova anche questo sito, nel suo piccolo) e dunque promette possibilità straordinarie;

- per quanto riguarda il punto di vista, internet offre una gamma di opzioni assai più ampia, per esempio, di cinema e televisione (lo spettatore può scegliere il punto di vista: non è una scelta infinita - come in una performance itinerante - ma il web può offrire molteplici opzioni: le diverse webcam, gli zoom...); di più, nella sua valenza di grande archivio (di testi, suoni, immagini) e nella sua specifica natura di ipertesto, internet consente di far scorrere e interagire con relativa facilità materiali e addirittura media diversi (live o preregistrati), lasciando all'internauta la possibilità di scegliere e assemblare il loro flusso (ma chi gestisce il tempo? il creatore o l'utente? quando sono rigidi i blocchi?);

- (al limite, l'internauta diventa un bricoleur che assembla dal flusso della rete gli elementi del proprio show, e il creatore un e-jay che apparecchia materiali; circola tutta un'etica del bricolage, qui sopra e qui sotto, a cui sono personalmente affezionato: a suo tempo avevo cercato di leggere in questa chiave (Lévi-Strauss, grazie...) le performance degli anni Settanta e Ottanta, ne resta traccia in un vecchio Patalogo...),

- internet, lo dice la parola stessa, è interattiva (come il teatro, a differenza del cinema e moooolto più della televisione); ma nel momento in cui permette e addirittura sollecita una forte (sempre più forte) interazione, l'esito di un evento web non può essere predeterminato, ma si apre all'universo della possibilità (a differenza di quel che accade in genere a teatro, dove qualcuno "sa" come finisce la storia di Edipo);

- internet è una tecnologia (come cinema e televisione, a differenza del teatro che può vivere - almeno in teoria - solo dell'incontro tra due esseri umani); e per di più una tecnologia abbastanza invadente (basti pensare a come ci sediamo davanti a monitor e tastiera, a come guardiamo: una postura più simile a quella del lavoro che a quella dello "svago"): è una rigidità che ci colonizza; ma, come ha detto qualcuno, la tecnologia è ciò di cui ci rendiamo conto - poi, abbastanza in fretta, con l'avvicendarsi delle generazioni l'elemento estraneo diventa parte del paesaggio "naturale", come oggi le automobili o la radio; (forse internet è ancora umana" perché funziona male", perché ama ancora il caso...).

2. Ma che c'entra Il grande fratello?
Al di là del risultato estetico, Il grande fratello (non il talk show condotto da Daria Bignardi, ovviamente, ma la sua versione per il web) può essere un esempio di webtheatre? (Perché sì? Perché no?)

Tenendo presente che non si tratta di un'operazione rozza, ma di una operazione assai colta e consapevole (consapevolmente bastarda, aggiungerà qualcuno), che utilizza vari elementi e tecniche che teatranti e performer ben conoscono. Infatti non è difficile ritrovare precedenti delle "regole" e della prassi del Grande fratello in esperienze artistiche recenti: restare chiuso per giorni in uno spazio delimitato - con o senza coyote (insomma, la delimitazione di uno spazio-tempo e la sua distorsione); interagire a lungo con un gruppo molto ristretto di persone; l'esibizione-ostentazione della privacy in uno spazio pubblico che porta a ridefinire il rapporto tra pubblico e privato; ma poi, andando più indietro, la creazione di ruoli; l'"effetto-verità" (quando in uno spazio fittizio viene fatta irrompere la realtà); gli "a parte" nel confessionale...
 


Maratona di Milano
ventiquattro scene di una giornata qualsiasi
Teatro, letteratura, poesia, immagini, musica
raccontano la città di oggi
un'idea di Antonio Calbi e Oliviero Ponte di Pino
Milano, Officina ATM di via Teodosio, 7- 14 luglio 2001

Maratona di Milano – ventiquattro scene di una giornata qualsiasi è un evento che, attraverso il teatro, osserva e indaga il tempo metropolitano, raccontando attraverso ventiquattro mini-pièce teatrali una giornata della Milano d'oggi.
E' un racconto a più voci e trans-generazionale che descrive la città nei suoi differenti aspetti, realizzato da scrittori e teatranti che vivono da tempo a Milano. Ventiquattro autori, fra scrittori più giovani e altri già affermati, firmano ciascuno un mini-testo teatrale, ambientato in un luogo e un'ora precisi. Ciascuno di questi testi compone una tessera del mosaico che coprirà il racconto delle ventiquattro ore di una giornata milanese.
I ventiquattro testi, della durata massima di 20 minuti ciascuno, sono delle piccole pièces a due o tre personaggi o monologhi, e sono messi in scena da altrettante realtà teatrali della città, con gli interpreti più significativi di tutte le fasce generazionali.

Il primo capitolo del progetto biennale Maratona di Milano – ventiquattro scene di una giornata qualsiasi, realizzato lo scorso luglio presso l'Officina ATM di via Teodosio 89, ha avuto ottimi risultati, sia sul piano artistico, sia su quello dell'affluenza (quattro serate esaurite) e dell'apprezzamento del pubblico.
Maratona di Milano – La notte ha rappresentato un evento del tutto straordinario rispetto allo manifestazioni culturali che Milano va offrendo nelle ultime stagioni. Nel progetto sono state coinvolte fino a oggi più di cento persone fra autori, registi, attori, tecnici e organizzatori; si sono incontrate generazioni e discipline diverse, si sono attivati numerosi teatri e compagnie della città, a partire dal Piccolo Teatro. L'esperimento si è rivelato assai significativo per tutti coloro che hanno preso parte alla sua realizzazione - sia nella sua preparazione, sia negli esiti - anche perché ha innescato processi di lavoro e risultati artistici inusuali.

Quest'estate Maratona di Milano porta a compimento il proprio progetto: realizzare un ritratto, molteplice e cangiante, della città di oggi attraverso questa forma inedita di spettacolo che nasce dall'incontro fra artisti di discipline e generazioni diverse. Autori, registi, attori, musicisti sono già al lavoro per completare questo “polittico” in ventiquattro tasselli.
Nel luglio 2001 verrà infatti realizzata la seconda parte, quella dedicata alle ore del Giorno, con repliche dal 7 all'11 luglio, dalle ore 19 fin verso l'una della notte.
Il 14 luglio, dalle 17 del pomeriggio fin verso le 6 del mattino dopo, l'evento conclusivo: si “uniranno” fra loro tutti i tasselli del progetto in un vero e proprio happening di teatro, musica, canzoni, scrittura, immagini. Al termine della kermesse, colazione  per i maratoneti che arriveranno al traguardo.

Gli autori del Giorno
Gli autori che hanno scritto per la Maratona del Giorno sono: Remo Binosi, Luca Doninelli, Edoardo Erba, Renato Gabrielli, Vivianne Lamarque, Antonio Moresco, Valerio Peretti Cucchi, Marco Philopat, Giovanni Raboni, Gianpaolo Spinato, Emilio Tadini, Patrizia Valduga & Michelangelo Coviello.

Gli autori della Notte
Ricordiamo che gli autori che hanno scritto le dodici micropièce dedicate alle ore della notte sono stati Paola Capriolo, Piero Colaprico, Vincenzo Consolo, Matteo Curtoni, Rocco D'Onghia, Franco Loi, Alda Merini, Raul Montanari, Aldo Nove, Renato Sarti, Tiziano Scarpa, Roberto Traverso.

La musica
Considerato il successo dello scorso anno Maratona di Milano ha rinnovato l'invito al gruppo milanese La Crus a creare la colonna sonora dell'evento, eseguita dal vivo dallo stesso gruppo.

Le date
Sabato 7, domenica 8, lunedì 9, martedì 10 e mercoledì 11 luglio:
Maratona di Milano – Il Giorno dalle 19.00 – durata 6 ore circa
Giovedì 12 luglio: Maratona di Milano – Il Giorno e la Notte replica riservata all'Atm
Sabato 14 luglio: Maratona di Milano – Il Giorno e la Notte evento unico dalle 17.00 – durata 12 ore circa (fin verso le 5 del mattino, con colazione finale per i maratoneti che arriveranno al traguardo di questo Theatre Rave)

Il luogo
Anche il secondo appuntamento con la Maratona di Milano avrà come location l'Officina Generale Atm di via Teodosio 89.

Organizzazione
E' rinnovata la collaborazione organizzativa con il Piccolo Teatro.

Biglietti
Lire 20.000 per la Maratona dedicata al Giorno
Lire 30.000 per la Maratonadelle Maratone di sabato 14 luglio.

Sito Internet
Un sito Internet seguirà la realizzazione del progetto in tutte le sue fasi. E' già documentata la Maratona dedicata alla Notte (con i testi degli autori, le immagini, le musiche, i commenti degli spettatori e dei critici): l'indirizzo è www.maratonadimilano.it.

Promotori & partner del progetto
Comune di Milano - Cultura e Musei - Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Atm - Il Sole 24 Ore - Piccolo Teatro di Milano - Associazione Teatri 90 festival
 


Appuntamento al prossimo numero.

Se volete scrivere, commentare, rispondere, suggerire eccetera: olivieropdp@libero.it

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