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PROFETA AL TRUCCO
di Emilio Tadini

(c) Emilio Tadini & Maratona di Milano 2001
 
Questo testo è stato rappresentato per la prima volta il 9 luglio 2001, nell'ambito della Maratona di Milano, regia di Monica Conti, interprete Roberto Trifirò.

 
Un tavolino da trucco con sopra un piccolo specchio, vasetti vari, un vaso di crema di colore nero - per truccarsi da «negro» - una barba bianca vistosamente finta e un naso finto, rosso, rotondo, da clown. Il tavolino è posto in modo che l'attore che vi sta seduto sia rivolto, di faccia, verso il pubblico. Per terra, accanto al tavolino, un fez, un cappello di feltro grigio, un cilindro - che dovranno essere fatti in modo da entrare uno nell'altro, perché l'attore, alla fine, li indosserà uno sopra l'altro - il cilindro, con sopra il cappello di feltro, con sopra il fez. L'attore entra in scena. E' vestito con un vestito nero dalla giacca piuttosto stretta con un fazzoletto colorato nel taschino e una camicia bianca di quelle senza collo. Sottobraccio tiene il fascio di fogli del copione. Si siede al tavolino. Posa il copione sul piano del tavolino, e voltando i fogli si mette a ripassarlo, incominciando a truccarsi. L'operazione del trucco durerà fin tanto che il monologo sarà finito. L'attore userà (fondamentalmente, è naturale) tre toni di voce e tre espressioni: per ripassare sbrigativamente il copione, per sperimentarne la recitazione fino a declamare, e, infine, per commentarlo. A volte, leggerà in fretta, sorvolando - in modo tale che si capirà soltanto qualche parola. Se lo vuole, l'attore potrà anche alzarsi, ogni tanto, e recitare certi brani in piedi. In questo testo, la parte dell'attore che legge il copione truccandosi è scritta in carattere normale, la parte che l'attore sta ripassando, apprestandosi a recitarla, è scritta in neretto, le didascalie sono scritte in corsivo.

Dunque, vediamo...

«Milanesi!»

Già nell'attacco devo stare attento. Un bel rischio. Se sbaglio il tono va tutto a puttane ancora prima di incominciare...

«Milanesi, da quanto tempo non la sentivate più, la voce di un profeta?»

Il tono, il tono giusto... Perché questa specie di pazzoide... conciato come un ladro... Un profeta, figuriamoci! Bisogna tenere un tono abbastanza alto... anche proprio alto... declamare... Eppure... Il fatto è che il suono del trombone... qualcosa di volgare... bisogna pure farlo sentire, il trombone... qualcosa di comico... Dunque...

«Da quanto tempo» eccetera... «Ehi, milanesi, quanti secoli sono che non tirate su la testa e non vi sturate le orecchie dal cerume antico per sentire una voce capace di svegliarvi, cani decrepiti che non siete altro, lì, a guardia della vostra brava solitudine, un pisolino via l'altro?»

Dico poco. Insomma, devo farlo sentire, che è matto, partito, completamente andato - però devo anche... "Fallo sentire ridicolo e spaventoso... tutto insieme" Già, bravo. La fa facile, l'autore. "Un poveraccio con un fulmine, ma vero, in ogni mano con le unghie sporche, e nessuna istruzione per l'uso..." Una parola! Vediamo...

«E' un po' troppo, per voi - vero, milanesi? "Andiamo in piazza a berci il solito Zucca?" E, poi, appena usciti dalla metropolitana, a mezzogiorno in punto, di colpo, vi esplode sulla testa questa voce - questa specie di tuono che viene dalla Loggia dei Mercanti e tanto è forte che fa decollare tutti insieme i piccioni... fffrrrammm!...»

Devo far sentire di più le erre... frrrrammm! Dunque...

«...tutti insieme i piccioni... frrrrammm!... un fruscio della Madonna...

potrei dire un fruscio della Madonnina - ma se poi non ridono? E poi, mi pare di sentirlo, l'autore... "Niente effetti facili, per carità!".. Meglio di no...

un fruscio della Madonna, enorme, che voi quasi ci restate secchi. Mai nessun comiziante ha gridato così forte, in piazza del Duomo - vero? - mai nessuno, per capaci che fossero i suoi polmoni e potenti i suoi altoparlanti. Ci voleva un profeta!»

Non è una parte facile, devo dire. Un profeta, figurarsi! E miserando, poi... strepelato... un profeta da far ridere i polli, compresi quelli d'allevamento ...La faccia tinta di nero, la barba bianca, il naso da clown... D'altra parte, contento l'autore... "Se fa ridere, meglio! Così possiamo permetterci di fargli dire qualsiasi enormità"..

«Sapete, ho passato ore a domandarmelo - come faranno a capire che io sono il loro profeta? Finché la notte scorsa... I segni, prima di tutto. I profeti si riconoscono ai segni, sapete. Segni come questa barba qui, questa barba bianca che mi è cresciuta in una notte... Perché ve lo giuro, ieri sono andato a letto con la testa come una palla da biliardo e guance da bambino, e ho sognato sogni da glabro, - e stamattina mi tocco la faccia e le dita mi si impigliano in un massa di pelo... L'ho capito subito, che era arrivato il giorno. Dio, che emozione! E come se non bastasse la barba, c'era il naso. Questa sferetta rossa, smagliante, piovuta sul mio comodino... (senza alzare gli occhi dal copione, l'attore prende tra le dita il naso finto come se volesse mostrarlo a qualcuno) questo segno divino, che certo lo avevano anche i profeti di una volta... anche loro... piedi sporchi, sabbia nei capelli... Ma i segni non basterebbero a farlo riconoscere, il profeta, dalla sua gente, dai suoi milanesi. Ci vuole la parola, naturalmente. La parola che immagina e vede e sente e tocca e annusa e assapora e tutto... Perché i profeti, loro, per vedere, loro personalmente, dico, non vedono un tubo...»

«Tubo» non lo dice più nessuno, andiamo. Va bene che l'autore non è più un ragazzo, ma insomma... «Tubo», come parola, è finita almeno trent'anni fa. «Non vedono un tubo»! No, no, io ci metto «Non vedono un cazzo». Vedrai che sarà d'accordo...

«Perché i profeti... eccetera... non vedono un tubo... un cazzo. Me lo dite voi come farebbero, i profeti, a vedere qualcosa che non c'è ancora? No, i profeti non vedono. Immaginano e basta. Guardando indietro. Non il futuro... che del futuro usano soltanto i verbi, per darsi importanza... Insomma, lo sentite o no? Io sto immaginando com'è la realtà - la più evidente, dico, la più semplice, topini miei spaventati... Avanti, fatele andare quelle zampette, fatele andare più in fretta che potete! Qui! Di corsa! Alla Loggia dei Mercanti! Qui, a sentire il vostro profeta! Sapete, vi aspetta qualcosa che il vostro spavento di adesso vi sembrerà, al confronto, un paradiso di serenità. E state tranquilli, niente buio o campane a morto, niente tigri nei giardini di via Mozart. Macché. Una luce! Ma una luce talmente forte... Da farle saltare per aria tutte quante, le vetrate della banca. Sbriciolate! Da far rimbombare la città da tutte le bocche dei tombini. Il rutto più grande del mondo! Lasciate fare alla Madre Terra, lasciate fare a lei, alla Grande Vedova. Lei lo sa, come farsi sentire, quando occorre...».

Bisogna che stia attento a buttarle via, le battute importanti - quando ci sono dentro le parole grosse. Come Madre Terra, per esempio. Potrei ridere, o fare qualche smorfia... Del resto, lo dice anche l'autore: "Appena senti puzza di sublime, cala, ti prego, cala... Fa il clown, piuttosto di niente. E soprattutto, ti prego, se proprio non puoi farne a meno, chiedilo, l'applauso, come si chiede l'elemosina..."

«Perché... Andiamo, chiedetemelo. Dovete chiedermi: ma in che cosa consiste la tua profezia? Calma, lupacchiotti miei, calma, calma. Adesso fate i bravi, e tirate giù il labbro sui dentini e tenetela ferma, quella benedetta coda. Lo mangerete, il vostro profeta, state tranquilli. Lo taglierete a pezzettini e ve lo papperete in due bocconi. Ma tra un po'. Subito no. Prima deve parlare. Dunque... Non è mica come dirlo, sapete, riassumere una profezia. Se sapeste che fatica - il senso, il senso...

"Qui è l'unica volta che devi far sentire di essere un po' sbalestrato, persino tu, il profeta..." La fa facile, l'autore. Non posso mica prendermi la testa fra le mani, andare su e giù per il palcoscenico... Cioè, e se lo facessi? Se facessi per un momento proprio il guitto vecchio stile? 'Vedo il senso, il senso..." con un bel vibrato... un po' catarroso, che sarebbe il massimo... "Il seeenso, il seeenso..." Poi mi riprendo - e via con il profeta in piena forma... Se mi viene, lo faccio. Vediamo... Dov'ero rimasto? Ecco, qui: «Avete sempre fame...»

Avete sempre fame - vero? Dipende dal patetico, sapete. Perché non sazia mai, il patetico. Macché. Più ne mangi più hai fame. E voi, quante spanciate ne avete fatte, di patetico... Ma bisogna capirvi. Avete da sistemare tanti di quei peccati! Ne avete il bagagliaio strapieno, di peccati, e più o meno lo sapete - vero? Così, per mettervi a posto la coscienza... Perché continua a ruggire - o a squittire, come volete - insomma, continua a farsi sentire, lei, quella cosa che si chiama coscienza, giù, in fondo in fondo. Anche in fondo al mafioso ammazzabambini. Ecco perché il patetico torna e ritorna a ore fisse, una apparizione via l'altra - trombe e campane, campane e violini. Così, voi, quattro lacrime, una sera dopo l'altra, e vi sentite a posto. Perché non è per loro, che vi commuovete, non vi commuovete per la mammina, per la vecchina, per il bambino, per i fidanzatini, per la donnina con il suo bravo coltellino piantato in gola, già perdonante perdonata. E' per voi!

Qui dovrei fare il profeta severo... Qualche durezza... Tutto il contrario del patetico, è evidente. «Saltagli addosso, al pubblico. Devono sentirsi tirati in ballo, in questa specie di condanna, devono sentire che sei contro...» Non vorrei esagerare, però... Non vorrei che si mettessero loro, contro di me...

Per come siete buoni, vi commuovete. Per come siete buonissimi. Tanto è vero che avete gli occhi pieni di lacrime - no? Anzi, di lacrimucce. E dunque l'avete pagato, il vostro debito al mostro dell'Etica (che poi vi spiego, anzi no),

Secondo me, qualche spiegazione sarebbe meglio darla. Non so, la Morale che naturalmente è esigentissima... che pretende... E noi che della Morale ce ne freghiamo - ma intanto però il pensiero della Morale... tutte le sue pretese sacrosante... continua a darci fastidio, a farci stare in ansia, a esigere tutto quello che non abbiamo la minima intenzione di sacrificare... non so... quella spina nel cuore... Niente. Non vuole dare nessuna spiegazione, l'autore. «Lascia tutto in sospeso, che è meglio. Ci arriveranno da soli...» Speriamo...

e dunque l'avete pagato il vostro debito eccetera a quel mostro lì, esigente, ferocissimo. L'avete pagato oscenamente. Vezzeggiativi, diminutivi, tutto. Pentiti e redenti, voi. E perdonanti. Una sera dopo l'altra. Una cerimonia dopo l'altra - un po' di commozione rafferma... e voi avete la sensazione che tutti i vostri peccati vi siano rimessi. Tutti. Persino i peccati del mafioso ammazzabambini, quello che i bambini li strangola mentre due soci gli tengono le braccia, al bambino in tensione. Persino i peccati dello sfruttatore del lavoro dei bambini non strangolati.
Una redenzione che non finisce mai! E' vero o no? Re-den-zio-ne! Tutto un trionfo! Rosa e azzurro! Redenzione! E perdàno! Con mamme che riabbracciano i figli e fratelli i fratelli e amici gli amici - che meraviglia! - intanto che, già perdonàti, perdonàti, perdonàti, i due fidanzatini, eternamente, li fanno a pezzettini, la mammina e il fratellino... stringono nelle manine il loro bravo coltellino... una spruzzatina di macchioline di sangue sulle piastrelline del bagnetto. E voi, una, due, tre lacrimucce...

Qui, devo essere poeticissimo. Strapoetico. Provare e far venire a tutti gli spettatori la purissima Nausea Poetica. Effettivamente ha ragione. «I fidanzatini» lo hanno scritto tutti i giornali, lo hanno detto e ripetuto alla televisione. E' abbastanza schifoso, è vero, è vero. Devo fare schifo io stesso, mentre lo dico...

Ecco che cosa vi tiene insieme. Quelle lacrime! Altro che le classi di una volta! Categorie dell'immaginazione, e basta! Proprio: a tenervi insieme non è tanto il lavoro che fate o i soldi che avete o non avete in banca. No. A tenervi insieme è tutto quello che vi si dà da sentire, da vedere. Quel poco o tanto che vi si dà da immaginare. A fin di bene, naturalmente! E allora, beati voi, obesi di spirito, perché vostro è il regno della terra. Beati, voi, nei vostri allevamenti, a ingozzarvi di patetico! Beati!
Bèh, voi, beati, voialtri grassoni sospesi per aria, sapete che cosa vi dico?

Qui, devo cambiare tono. Staccare le frasi una dall'altra. Il famoso annuncio...

Sveglia, vi dico! E' ora che diate un'occhiata qui intorno, oltre la cinta del dazio, verso la campagna.
Che cosa c'è, adesso? Non prendetemi alla lettera, andiamo! Buoni! Che cosa vi salta in mente? Non vorrete mica precipitarvi in massa in cima al Duomo o sulla Torre Velasca, non so, sulla Terrazza Martini... Gli ascensori non basterebbero, è poco ma sicuro. E farle a piedi, tutte quelle scale, non ve le consiglio. Oltre a tutto, ho idea che si intaserebbero di infartati in cinque minuti, miei piccoli rinoceronti. Una strage! Buoni, buoni! Del resto, posso dirvelo io chi sta arrivando a Milano. Per cosa credete che sia venuto qui, io - a urlare la mia profezia nelle vostre orecchiucce addormentate?
Ho già visto tutto senza muovermi dal mio letto, sapete. Stanotte. Non ho avuto bisogno di infilarmi le pantofole, di scavalcare i miei dodici compagni addormentati sul pavimento a bocca aperta, non ho avuto bisogno di aprire il finestrone. Mi sono tirato la coperta sugli occhi, e lì sotto, sveglio come un grillo, alle tre e mezza di notte... Una bella occhiata panoramica, vi assicuro! A trecentottanta gradi, giuro! Dai laghi al Ticino! Su tutte le autostrade! E ho visto. Ho visto tutto. D'accordo, sentiamo, chi è l'idiota che dirà: «Ma se non c'era neanche un po' di luna...»? Come ho fatto a vedere? Il fatto è che non ho visto qualcosa, povero idiota! Ho visto il Niente! Chi è l'idiota che dirà: «Tutto questo casino per niente?» C'è l'articolo, idiota! Ho detto «il» Niente. La capisci, la differenza? Il Niente! Bisogna farci attenzione, alle parole.

Anche qui, santo cielo, non sarebbe meglio spiegare? Che cos'è questo Niente che arriva?... Cento volte, ho provato a dirglielo. «Non sarebbe meglio sfumare un po'?» Accidenti, piomba giù come una mannaia, in teatro, questa parola, questo «Niente!» Che cosa vuol dire, che arriva il Niente? Forse... capisco che non è facile... ma forse... a spiegare un po'...non so... il nichilismo... Dire qualcosa sul fatto che la gente non ha più niente in cui credere... che è a quel non credere in niente che si affida... Macché! «Più è rozzo, meglio è! Altro che sfumature, o concetti! Dovresti far venire in mente agli spettatori quelle pitture dei cantastorie di una volta, quelle figurine... Il Niente come il Feroce Saladino...» Per me, qui sbaglia - ma insomma, il testo è suo. Allora, dov'ero rimasto? «Bisogna farci attenzione, alle parole!»

Adesso non chiedetemi se il famoso Niente veniva giù da Alpi e Prealpi, o fuori dal mare, verso la Riviera. Veniva e basta. E poi, veniva... Viene. Sta arrivando. Non lo vedete? Ma pensateci! E' fatto di aria, pura aria, il Niente. Aria e luce. E sono sicuro di non aver mai visto un'aria più nitida, più limpida, una luce più abbagliante. Tirateli fuori, gli occhiali da sole, che ne avrete bisogno!
Tante di quelle cose, si vedevano, alla luce del Niente! Il Duomo di Cremona e San Michele Maggiore, si vedeva, il Seminario a Bergamo alta, la Barriera di Milano... Come se il Niente fosse, appunto. E attenzione all'articolo. Iiilll! Il Niente! Capito, idiota - tu e la tua luna?
Adesso non abbiate troppa paura, rannocchiette mie. Un po' sì, un po' di paura ci vuole. Ma senza esagerare. Il Niente non è poi questo mostro. E' solo che dovete prepararvi. E ve lo dirà io, come dovete fare. Prendete nota, voi, anime di poca fede, corpi di poco senso. Dunque, siete pronti? Primo, lustratevi gli occhi. Secondo, pulitevi le orecchie. Terzo, soffiatevi il naso. Quarto, fregate i polpastrelli uno contro l'altro. Quinto, succhiate in dentro la saliva nella bocca. Semplice, no? Ma dovrete farlo cinque volte al giorno. Non importa che vi inginocchiate o no. Solo, dovrete voltarvi dalla parte del mondo. Perché prima o poi... Ve lo assicuro, un giorno o l'altro... Un miracolo!
Guardate che sarà una bella martellata, sulle vostre testoline vuote. Perché io, che non sono nessuno, io che sono soltanto un ometto con tre cappelli sulla testa, io annuncio soltanto la venuta del Niente. Ma lui, il Niente... Sette anni di raffreddori, e poi sette anni di insolazioni, d'accordo, e finalmente, al posto del dessert, sette anni di vertigini. Sette, settecento, settemila... Insomma, un bel mucchio di tempo. Ma poi... Perché, sapete, il Niente viene a annunciare la venuta... dico poco... lui, il Niente, viene... Giovanni Battista gigante, lui... cosmo echeggiante con piedi e mani da uomo... il Niente, dicevo - dicevo! - il Niente viene qui in pompa magna a annunciarvi le venuta... dico poco... cioè... Ma poi, insomma, io non devo vergognarmi a dirlo e voi non dovete vergognarvi a sentirmelo dire... perché il Niente, lui, viene a annunciare la venuta del Tutto. Tutto!

Semplificare va bene, ma adesso anche il Tutto, mi tira in ballo! Come faccio a farne una figura da racconto popolare? Sembra un libro di cattiva filosofia... la filosofia sentimentale... Il Niente, il Tutto... Speriamo bene... «Luoghi comuni, d'accordo, ma che siano luoghi comuni enormi, sfacciatissimi! Hai capito? Fallo sentire! Sfacciatissimi, hai capito? Ma, attenzione, subito dopo devi farmeli sentire trasparenti, leggeri leggeri... roba che ci convince proprio perché possiamo farla sparire con un dito... con uno sbadiglio...» Come no? - un bel giochetto di prestigio, facile facile... Ma lui, l'autore è così. Che persino, quando gli ho detto «Potrei dire Niente e Tutto facendo subito dopo una smorfia come se mi chiedessi "Ma che cosa cazzo mi fanno dire?» lui mi ha gridato: «Perfetto! Basso che più basso non si può! Sotto le suole! Perché c'è poco da fare, è lì, sotto le suole, che dovrebbe incominciare il paradiso o qualsiasi altra cosa del genere!» Alle volte ho l'impressione che per lui ci voleva un comico... ma proprio da varietà di quart'ordine... sarebbe stato l'ideale... No, no, è così. E va bene! Gli daremo il suo bravo comicaccio, come passo d'addio, se è proprio questo che vuole...

A partire da questo punto e fino a Formica schiacciata. Ma adesso..., l'attore, provando la recitazione, a tratti e ostentatamente usa toni da comico di varietà di quart'ordine, appunto. Alza la voce, declama, con qualche trivialità, sopra le righe, da imbonitore - finge, esagerando, smodate inquietudini...

Lo capite o no, scimmiette mie adorate? La venuta del Tutto! Del Tut-to, finalmente! Spazzati via scene e scenari! Sgonfiate le interpretazioni! Smontate le visioni del mondo! Una volta per tutte! E' solo lì, che puoi dargli un'occhiata al famoso Tutto. Senza trucco, lui! In assenza di ogni cosmesi! Caduta ogni maschera! Il Tutto! Nel vuoto del vero! Cosmo eccetera. Naso finto. Eccetera. Formica schiacciata. Ma adesso...

O, finalmente qui cade dal suo pulpito immaginario, grazie al cielo, il profeta, qui finalmente la sua profezia va a puttane... E qui lo sento di più, il personaggio. Devo far vedere che va in pezzi di colpo, che si sfascia come un puzzle... Si guarda intorno, non capisce, vede che la gente incomincia a andare via e si impressiona, si spaventa... Anche l'autore, del resto, è andato giù con l'accetta...

Cos'è, qualcuno che gridava, per caso, dalla parte del Cordusio? Ascoltatemi... Perché io, adesso...
Ma non è possibile! Chi è quell'idiota che ha fatto ripartire un tram in via Orefici?
Attenti, scarafaggini adorati. Che cosa fate, voi, sotto i portici?
Attenzione! Perché, ve lo assicuro, chi va via adesso sarà dannato. Escluso. Mangiato vivo da qualche diavolo stanco e senza il minimo appetito, non so se mi spiego.
Fermi, vi dico! Guardate che non vi ho ancora detto niente. Il bello viene adesso. Sapete che...
Ma che cosa diavolo state facendo? Dove andate? Fermi, voi! Fermatevi! Aspettate! Sentite quello che ho da dirvi! Vi scongiuro!
Cos'è, distribuiscono per caso campioncini gratis, in San Babila, in piazza Cairoli, da qualche maledetta parte? Dio santo, con che cosa la state scambiando, la parola che vi avrebbe salvato? Con quale miseria di comunione? Con un paio di panini raffermi, sentiamo, con un goccio di vino bianco inacidito sul fondo di silenziosi bicchieri di plastica?
Ma come?
Vi prego, vi prego...
Schiene. Non vedo altro. Che cos'è, una recita?
E' così che lo trattate, il vostro profeta?
Va bene. Ho capito.
Andate, andate pure. Non cercherà di tenervi qui. Peggio per voi. Chi arriverà, neanche lo vedrete. Anche se lui vi vedrà, eccome - per piccoli che vi facciate.
Il bianco diventerà nero, il nero, bianco, e voi continuerete a vedere soltanto grigio, ratti da fogna che non siete altro! Peggio per voi.
Oh, non ne è rimasto uno che è uno!
Vox clamans in deserto mercantorum...
Bèh, e adesso?
Che cosa faccio? Voglio dire, a chi parlo?
Li capisco, adesso, quelli che vanno in giro a parlare da soli.
Potrei mettermi a scrivere per terra - come quello dalle parti del Castello Sforzesco, con il cassone del triciclo a pedali pieno di cani, che scriveva sul marciapiede «la chiesa uccide coll'onda»... non «con l'onda», «coll'onda», due elle apostrofo... profetico... profetico anche lui... scriveva con una vernice bianca... colore angelico... bei caratteri... precisi... in ordine... «Coll'onda»... Dev'essere morto... non l'ho più visto, in giro... ucciso anche lui dalla chiesa, probabilmente... già, coll'onda... - che, a proposito, se Dio c'è, allora... Non si discute: tutti morti assassinati, c'è poco da fare... coll'onda, tutti... da che mondo è mondo...

Qui una pausa... Che lui, l'autore, continuava a dirmi: «Deve parlare da solo... qui... l'ex-profeta... da se stesso a se stesso... da bocca a orecchie... dieci centimetri, non di più... corto circuito...» E va bene. Proveremo anche a fare il corto circuito... Un po' sottotono - ma bisogna anche riuscire a far sentire che rimbomba...

Io, per come mi si sta a sentire, ormai, io potrei benissimo parlare a queste lapidi.
Mi sembra un sogno. Soltanto ieri, ieri sera - prima di tornare a casa, prima di andare a dormire, quando non mi ero ancora trasformato in un vero profeta...
Lapidi, mi sentite?
Adesso vi racconterò una storia. Questa non è una profezia, lapidi, state tranquille - che a questi chiari di luna e scuri di sole non mi sembra che incontrino tanto, a essere sinceri, le profezie... E' una storia vera. Garantisco.

Ecco, io questo racconto che viene adesso non lo capisco assolutamente. L'autore ci tiene, d'accordo, ma... Non era meglio finire con le lapidi e amen? Molto meglio. Lui che parla con le lapidi nella Loggia dei Mercanti... Un finale un po' strambo, d'accordo, ma tutto sommato mica male, siamo sinceri. Anche simbolico, in fondo. Io, francamente... Sarebbe meglio tagliarlo, questo racconto finale. Che non è ancora detta l'ultima parola. E' che non c'entra, non c'entra proprio niente... Davvero, che senso ha, messo lì, senza nessuna ragione? «Vedrai che gli spettatori un senso ce lo trovano...» E' un bel rischio, altro che. E come la racconto? "Fai tu, fai tu..." D'accordo, ma è una bella complicazione. Bisogna cambiare completamente tono. Da profetico a normalissimo. Anzi, noi: minimalista. Che non è come dire. Dov'è? Dunque...

Dunque. E' successo ieri sera.
C'è una coppia, un uomo e una donna, sull'auto ferma al semaforo di porta Venezia, verso Buenos Aires - lui che manda fumo dalla bocca e dal naso a ogni respiro, lei che guarda da un'altra parte e che lo guarda soltanto per vedere se lui la sta guardando. E lui si sporge dal finestrino e mi dice: «Vuoi guadagnare un centomila?»
Una villetta dalle parti di Cologno, una stanza piena zeppa di roba, scatole di cartone chiuse con il nastro di carta adesiva, mucchi di giornali e di riviste, bottiglie vuote, stracci, giocattoli vecchi. Dall'odore, qualcosa dovrebbe star marcendo, nascosta da qualche parte. Poi, in fondo alla stanza, vicino a una porta chiusa... che cosa ti vedo?... una vecchia signora su una sedia a rotelle - molto cromata, mi pare di ricordare - la sedia a rotelle, dico. Ferma, secca. Ogni tanto apre un occhio solo, un po' da pappagallo, fisso, con palpebre elaborate, mi guarda. E intanto che io guardo lei, ipnotizzato da quell'occhio, l'uomo mi dice: «Riempi questi sacchi di plastica, ci butti dentro tutto, ma proprio tutto, poi li porti fuori e li ammucchi in giardino, vicino ai bidoni della spazzatura. D'accordo?» E io, sottovoce, tanto per scherzare un po', perché tutto sommato mi sembra una persona cordiale: «Proprio tutto? Anche la signora, per caso?» «Magari!», mi risponde lui, e con un'aria innocente fa un'altra nuvoletta di fumo e poi esce.
Così, incomincio a lavorare, e i primi quattro o cinque sacchi sono pieni ma il mucchio sembra che non si sia abbassato neanche di un centimetro. Mi fermo un momento per asciugarmi il sudore e sento la vecchia che sospira aspramente, dice: «Sentiamo, quanto le hanno dato, per fare questo lavoro?» «Centomila lire», rispondo. «Se lascia tutto com'è e se ne va via, ma al volo, gliene dà duecentomila». Dice le parole «al volo» proprio come una persona di una certa età che vuole un po' imitare i giovani - sbagliando il tono.
«Veramente...», rispondo. E lei: «Si volti!», con una voce fin troppo imperiosa, fulminandomi con il solito occhio spalancato. Mi volto. Sento che traffica, poi sento che mi dice: «Adesso può voltarsi», e le vedo in mano tre biglietti da centomila tenuti come carte da gioco. «Per trecentomila, d'accordo», dico. E lei: «Però prima li deve vuotare, tutti quei sacchi. Ributti per terra la roba che ci ha messo dentro». E io: «Come?» E lei: «Non mi faccia ripetere le cose, che mi manca il fiato. Sa quanti anni ho?» «Non saprei», dico. «Provi. Dica una cifra». «Novanta». «Troppo buono! Perché non ha detto duecento, già che c'era?", e batte due volte la mano sulla coscia, ossa su ossa.
Sto per uscire dal cancello, in giardino, e sento qualcuno che mi chiama: «Ehi!»
L'uomo è affacciato a una finestra del pianterreno: «Ehi, dico, non ti avevo pagato per fare un lavoro?».
«Ha ragione», dico io, «Perfettamente ragione». E vado sotto la finestra, faccio un bell'inchino, tanto per superare l'imbarazzo, dato che stavo battendomela di nascosto, e gli restituisco le sue centomila.
«Finirà che dovrò farlo io, quel maledetto lavoro», sento che dice mettendosi i soldi nel taschino della camicia.
«Mi dispiace», dico. «Una signora così distinta...»
«Non preoccuparti», dice lui. «Non è la prima volta che succede. Che cosa vuoi, ognuno ha la sua croce».
Ha le mani bene in vista, le fa pendere dal davanzale, e di sigarette neanche l'ombra, ma intanto lui, parlando, butta fumo che è una meraviglia.
Fine.
Capito?
Non c'è niente da capire - vero, lapidi? Vedo che fate progressi.
Lapidi, addio!
Piacere di aver fatto la vostra conoscenza.
Addio, Milano - che i tuoi profeti escono di scena, che i tuoi profeti tornano nell'ombra.
Abbastanza melanconico, come finale. Dovrebbe funzionare. In calando... Tornano nell'ombra... L'ombra...

L'attore ha finito di truccarsi. Si mette il naso finto e i tre cappelli. Si alza. Dà un'ultima occhiata allo specchio.

Che Dio me la mandi buona!

L'attore esce di scena per andare in scena.