olivieropdp
Ministero per i Beni
e le Attività Culturali
Associazione
Teatri 90 Festival
con la collaborazione
organizzativa del
Comune di Milano
Settore Cultura e Musei Settore Spettacolo
Dipartimento dello Spettacolo olivieropdp    

Maratona di Milano

Rocco D'Onghia
Un continuo movimento,
uno strano equilibrio

Regia di Daniele Abbado
con Ruggero Dondi, Danilo Nigrelli, Bruna Rossi



 

Personaggi
Dafne
Roman
Un Vecchio signore

Scena
Un deposito di tram alla periferia di Milano. Un enorme capannone in ferro e vetrate, binari, tram, fosse di lavaggio e riparazione, scale, ringhiere, ballatoi, porte che immettono in altre rimesse, nei box dei custodi e in un circolo dopolavoristico.

Dalle tre alle quattro di una notte d’estate.
 
 
 

LA NOTTE E’ CHIARA, PIU’ NESSUNO PER STRADA
(Dalle 3 alle 3,05’)

1. Dafne e Roman, due addetti alle pulizie, si muovono dentro e intorno ai tram, utilizzano scale, lunghi tubi per l’acqua, secchi e un gran numero di attrezzi. E’ l’ultima ora del loro turno. Dafne ha trent’anni mal portati, è allampanata, secca e macilenta, indossa indumenti da lavoro di alcune misure più grandi. Si muove sgraziatamente, in modo piuttosto goffo, con scimmieschi balzi passa da un tram all’altro, è energica, attiva e lavora con lena. Roman fa un uso piuttosto personale degli stessi indumenti da lavoro, con il risultato di assomigliare più a un bagnino che a un addetto alle pulizie. Ha una quarantina d’anni, è provvisto di una lentezza minuziosa e di uno sguardo accorto e strafottente. Alla cintola tiene legato un enorme mazzo di chiavi con cui apre tutte le porte. Più che faticare, si limita a offrire una blanda assistenza alla sua collega, è interessato a perlustrare i mezzi in cerca di oggetti dimenticati da viaggiatori distratti. All’interno del deposito, un signore dai capelli bianchi, distinto, vestito con estrema cura, cammina in fretta, senza sosta, in modo ossessivo, percorre lunghi e sinuosi tratti e poi torna indietro, sale e scende, più volte, caparbiamente, su tutti i tram, s’inerpica sulle scale di ferro, s’avventura lungo i ballatoi. La sua presenza è incombente e ingombrante, ma lui è assolutamente tranquillo. E’ assorto nei propri pensieri, di tanto in tanto si ferma spaurito, estrae dalle tasche della giacca un numero incredibile di taccuini pieni di fogli e fotografie e li osserva, nel riporli in tasca, a volte, li perde. Poi, in fretta, riprende il suo misterioso viaggio notturno.

DAFNE (Con un balzo è fuori da un tram, cerca il collega) Dov’è? Dov’è andato adesso? Roman!

Roman è salito su un ballatoio e dalle vetrate guarda all’esterno.

ROMAN Sto qui…

DAFNE Che fai là?

ROMAN Vengo, vengo…

Scende.

DAFNE Aspetti qualcuno? Non ho ancora capito che hai da stare tutto il tempo là…

ROMAN Non l’hai ancora capito…

DAFNE Ti aggiri come una volpe, annusi l’aria…

ROMAN Mi gusto la notte chiara…

DAFNE Il tuo lavoro è qua… Cambiami l’acqua nel secchio. Prendi altri stracci…

ROMAN Ordini, ordini… Ti piace darne… Il tuo uomo, pure, lo comandi a bacchetta?

DAFNE Non do ordini a nessuno e, quante volte te lo devo dire, uomini non ne ho…

ROMAN Allora sono io l’unico…

DAFNE Tu non sei un uomo… Sei una fiera che s’aggira intorno ai pollai…

ROMAN Ah sì! E dove sarebbero i polli?

DAFNE Ti credi furbo e a me mi prendi per scema… Se si solleva il capo e si guarda, oltre il muraglione, i grattacieli della metropoli e la luminosa dolcezza della luna è facile credere al silenzio e alla tranquillità della notte. Nessuno per strada, tutti nel letto, a casa, a fare sogni quieti… Ma le strade della città brulicano di occhi svegli e cuori sanguinanti che rincorrono illusioni feroci… Vieni qui adesso e fa quel che devi…
 

Dafne sale su una scala.
 
 

QUESTO E’ IL NOSTRO TEMPO
(Dalle 3,05’ alle 3,10’)

2. Dafne si accanisce contro una macchia su un parabrezza. Roman le sta da presso.

DAFNE Mi fa dannare questo spruzzo di merda qua!

ROMAN Non è schifezza che disturba.

DAFNE Non mi va di darla vinta al luridume.

ROMAN Sta lì da molto più tempo di te… Certe volte pulire tutto non si può.

DAFNE Parla per te…

ROMAN Quando ci metti le mani tu, nessuno deve dire che non ci sai fare con il sudiciume…

S’infila dentro un tram.

DAFNE Qualsiasi caposquadra può venire a controllare… Mi girano le balle, se prendono a scuotere la testa e a sentenziare: ma qui, ma là… (Si volta e non vede più Roman) Dove è andato, adesso?
 
 

Roman mette fuori la testa.

ROMAN Sono in ricognizione… (Rientra)

DAFNE Quando arriviamo qui sei più secco di me, ma quando ce ne andiamo sei diventato grasso come la mortadella che sta sul palo della cuccagna.
 
 

Roman scende dal tram tenendo tra le mani una borsetta, vi fruga dentro.

ROMAN Un taschino e un altro taschino e sotto un taschino ancora…

DAFNE C’è un mucchio di roba là dentro, c’è anche tanto denaro… Devi consegnarla quella borsa… Non voglio guai.

ROMAN (S’infila la borsa all’interno della tuta) Quanto tempo pensi di stare ancora attaccata a quel vetro?

DAFNE E’ ancora tutto pieno di macchie.

ROMAN Puntini, fesserie… Non manca molto alla fine del turno. Questo è il nostro tempo, lo spazio di poche luride ore d’una livida notte e per fortuna stiamo per sbaraccare…

DAFNE C’è ancora tanto da fare.

ROMAN Datti una mossa… Smuovi quel piccolo culo storto… Conta l’impressione generale… Null’altro.

DAFNE La mia impressione è che tutto sia brutto e disumano.

ROMAN Cosa vuoi da me? Non sono altro che un pulitore.

DAFNE Già! Da dove passi tu non resta più niente… Per la proprietaria di quella borsa nessuna speranza di ritrovare ciò che ha perduto.
 
 

Roman armeggia con le chiavi, apre la porta del circolo del dopolavoro.

ROMAN Che si può perdere ogni cosa, ciascuno lo sa…

DAFNE Mi sto pentendo d’averti preso con me… Tu e i tuoi affari sporchi…

ROMAN Sono stato io a scegliere te… E poi parli proprio tu che non fai altro che sguazzare nella melma…

DAFNE (Scende dalla scala, reggendo il secchio) Dove vai? Non svuotare il frigo, non berti tutta la birra.

ROMAN Non sai quante cose la gente è disposta a dimenticare …

Roman entra nel circolo del dopolavoro e si chiude la porta alle spalle.
 
 

UBRIACA SENZA BERE UN SORSO
(Dalle 3,10’ alle 3,15’)

3. Dafne è sulla scala, dà di gomito a lavare un finestrino. Di tanto in tanto scende dalla scala e sale sul tram per pulire la parte interna dello stesso finestrino, poi riprende il suo posto sulla scala.

DAFNE Pulisco. Muovo lo straccio e la mano in modo molto veloce. Così non mi addormento. Starsene nel deposito di notte è meglio che rinchiudersi tra quattro pareti bollenti. Qui dormirei, sopporterei il puzzo e dormirei a lungo, non mi sveglierei più. Se sto a casa di notte io non dormo, resto sveglia, sempre con gli occhi sbarrati. Se dormo c’è sempre qualcuno che mi entra nei sogni e mi afferra alla gola e si mette a strozzarmi. E io urlo, e sono scossa dai brividi per tutto il corpo, e mentre urlo comprendo ogni cosa, lo schifo che mi circonda, la desolata vita mia. Perciò salto tutti i turni di riposo. Preferisco lavorare. Mi aiuta a tenere gli occhi spalancati. Non penso. Muovo lo straccio e la mano senza sapere dove vanno i miei giorni. Ma che importa? Purché la notte sia lunga e dura abbastanza, così che quando si fa giorno io barcollando possa andare, ubriaca senza aver bevuto un sorso, incontro alle brutte cose dell’esistenza e sopportarle senza battere ciglio.
 
 

Il Vecchio signore nel suo perenne errare notturno giunge alle spalle di Dafne e si arresta perplesso. E’ un uomo, molto in là con gli anni, che in gioventù doveva essere pieno di fascino e di energie. Ha ancora una sua imponenza, ma dai suoi occhi si percepisce che vive in un altro mondo. Dafne si volta e lo scorge.

DAFNE Buona notte, signore.

Roman viene fuori dal circolo portando in grembo alcune bottiglie di birra gelata.
 
 

FARFALLE
(Dalle 3,15’ alle 3,20’)

4. Il Vecchio signore è piuttosto agitato. Dafne scende dalla scala e gli si avvicina.

Roman osserva la scena bevendo la birra.

DAFNE Allora?… Non si riesce proprio a dormire?

VECCHIO SIGNORE Buon giorno, signorina, mi scusi… Che città è questa?

DAFNE Come?

VECCHIO SIGNORE Viaggiavo su di un treno e mi hanno costretto a scendere in fretta… Nella mia vita devo aver visitato tante città… Ma basta lasciar passare un po’ di tempo senza tornarci e non ci si raccapezza più… Le cose mutano in fretta…

DAFNE Questa… Questa città è…

VECCHIO SIGNORE Io abito a Milano, ci sono nato e ho sempre vissuto lì… Se per qualche ragione devo allontanarmene mi prende lo sconforto… Mi dica come fare per tornare a casa…

DAFNE Aspetti, vado a chiamare un sorvegliante…

VECCHIO SIGNORE D’altronde anche da lontano trovo sempre il modo di restare vicino… Porto sempre con me qualcosa che mi rammenti il mio mondo… Mi infonde una sensazione di serenità pensarmi attraverso le piccole cose legato alle grandi… (Si fruga nelle tasche, estrae un taccuino, delle lettere, una fotografia) Devo andare… (Mostra la fotografia) Questa è la via dove abito… Il nome della via non lo ricordo, devo averlo scritto da qualche parte… Ma casa mia qui non si vede, c’è un giardinetto con un platano gigantesco, alla base del tronco ci ha fatto il nido una famiglia di moscardini… Di giorno l’aria è ingombra di farfalle… Soprattutto quando ci viene a passeggiare una ragazza… Quella ragazza ha una luce di tristezza dentro gli occhi, ma quando le volano intorno le farfalle sorride e il suo sorriso è molto bello… Il profumo di quella ragazza attira le macaone e le licenidi… Anche le cedronelle ho veduto accarezzarle i capelli… Ma dov’è adesso quella ragazza?… Sono confuso… La testa mi gira… Non capisco…

DAFNE La cosa migliore per lei è farsi accompagnare a casa da qualcuno che conosce.

L’uomo fa per rimettere in tasca il taccuino, le lettere e la fotografia, ma tutto, senza che se ne accorga, gli cade per terra. Si volta e s’incammina.

DAFNE Aspetti, venga qui, riprenda la sua roba.

VECCHIO SIGNORE (Allontanandosi) Il fascino della ragazza… Il corpo bianco sotto le vesti, la sua grazia… L’eleganza, la delicatezza delle farfalle…
 
 

Riprende a camminare in fretta.

ROMAN (Sghignazza) Che città è questa? Che città è questa?… Che uomo! Che magnifico esemplare! L’alcool e le notti bianche fanno diventare matta la gente.

DAFNE Basta ridere! Forse è solo un sonnambulo che pensa ad alta voce.

Dafne raccoglie la roba del vecchio e se la infila nelle tasche della tuta.

ROMAN C’è qualcosa in quell’uomo che attrae… Deve essere il suo portamento.

DAFNE Deve essere quello.

ROMAN Tutte le notti macina chilometri su chilometri… Qui al deposito lo lasciano entrare senza neppure chiedergli di mostrare il tesserino… Qualcuno dei custodi più anziani fa l’inchino al suo passaggio… Devo chiedere, deve essere stato uno che conta al tempo dei tempi. Forse qualcuno ancora se ne ricorda… Benestante, certamente, lo è… Chissà come arriva fin qui, forse, all’ingresso, c’è un auto, con dentro un’autista, che lo attende per riportarlo a casa? Chissà dove vive uno così, di giorno riescono a tenerlo, di notte gli prende la smania di camminare…
 
 

BATTITO DEL CUORE
(Dalle3,20’ alle 3,25’)

5. Dafne controlla lo stato di pulizia di altri finestrini, si muove rapidamente tenendo in una mano uno spruzzatore e nell’altra uno straccio. Roman le ronza intorno continuando a bere.

DAFNE Gli sono andata vicino abbastanza per sentire il battito del suo cuore… Un cuore agitato, un cuore in preda al panico… Qualcosa lo ossessiona e non gli dà pace. Eppure guardandolo, ascoltando il suono gentile della sua voce, non si può non immaginarla bella la sua vita passata…Non è poco poter dire d’avere alle spalle una bella esistenza, anche se la vecchiaia ti riserva notti inquiete… La maggior parte delle persone che conosco si ammucchiano e si rotolano, inutilmente, l’uno sull’altro bramosi di denaro, carne e sangue… Stupidi dispensatori di dolore…

ROMAN L’immaginazione fa brutti scherzi… Anche io quando ero lontano me l’immaginavo diversa la mia vita qui.

DAFNE Diversa come? L’immaginazione mi piace adoperarla su gli altri, posso immaginare quel che immaginavi… Per quel che mi riguarda non mi affido a lei. Fa lo stesso tu. Accontentati di quel che hai. Un lavoro vale l’altro e questo, per quel poco che fai, è il meglio che ti poteva capitare… Adesso basta bere… Smettila di fare l’avvoltoio della steppa, di rubare a man bassa, sei fra la gente civile ora… Aiutami, riavvolgi il tubo, prendi questi cazzi di secchi e svuotali… Mi sono stancata di fare tutto da sola…

ROMAN Perché hai sempre quell’aria di anima in pena… Non devi avere la coscienza in pace, la tua faccia cupa non la racconta tutta… Credi d’essere una persona perbene perché ti rompi la schiena come una dannata… Non sai niente di me, sei una idiota, una povera idiota.
 
 

Dafne continua a lavorare imperterrita, Roman afferra un secchio e lo svuota in una fossa.
 
 

NESSUNA ESITAZIONE
(Dalle 3,25’ alle 3,30’)

6. Roman svuota gli altri secchi. Dafne lavora e non si cura di lui.

ROMAN Dici che un lavoro vale l’altro. Ti ho osservata a lungo in questi mesi e anche tu devi aver badato a me. Dentro questa tuta, dentro gli abiti modesti, si nasconde una persona distinta…

DAFNE (Ironica) Beato te che hai conosciuto tempi migliori…

ROMAN La vita è strana. Basta poco, qualcosa di imponderabile, e ti trovi spostato senza che neppure te ne accorgi in un’altra parte del mondo… Tutto quello che conoscevi non esiste più. Devi fare i conti con un’altra realtà. Devi fare affidamento su una parte di te stesso che non credevi esistesse. Questa nuova identità è l’unico capo della fune della tua sopravvivenza e ti ci aggrappi, senza nessuna esitazione, disposto a qualsiasi cosa pur di non lasciarti cancellare.

DAFNE (Rabbiosa) Tu sei un gran figlio di puttana…Da quanto tempo sei arrivato qui? Qualche anno? E ti sei fatto già il tuo giro? Forse è vero che sono una povera idiota, ma non sono cieca… So quel che fai, stronzo, lo so!

ROMAN Tu mi offendi… E io mi infastidisco se uno mi offende, anche se chi mi offende è una povera donnetta che non capisce niente.
 
 

Ne approfitta per lasciar perdere i secchi.

DAFNE (Urlandogli dietro) Io… io… io sono ancora fuori da tutto!

Roman sparisce dentro una rimessa.

DAFNE Sono venuta a Milano che non avevo ancora compiuto cinque anni. Sono cresciuta su queste strade, all’ombra di questi giganteschi palazzi… Ero piccola, ma mi pareva di poter urlare forte… Urlavo, nessuno mi stava a sentire… Davanti a i miei occhi tutti allungavano le mani dentro il cuore della città e afferravano, con una facilità inaudita, quel che desideravano. Io avrei voluto essere uguale a tutti gli altri, fare le stesse cose… Le cose della vita, per me, si sono rivelate, presto, molto complicate… Non c’erano mai soldi, solo umiliazioni… Ho sempre lavorato, ho sempre avuto la volontà di lavorare, ma le disgrazie hanno avuto più volontà di me a starmi appresso. I miei desideri sono tutti morti affogati dentro i secchi dell’acqua sporca, i miei sogni sono sputi su i vetri… Il mio sguardo è opaco… Io appartengo interamente a questa città, lei non è stata mai mia…
 
 

MERDA A VALANGA
(Dalle 3,30’ alle 3, 35’)

7. Dafne fa il lavoro lasciato a metà da Roman.

DAFNE Il mio corpo è tutto duro e storto perché non ho passato un giorno della mia esistenza senza aver preso pugni in faccia… Non conosco il sapore dei baci, solo quello dei morsi. Gli uomini non mi hanno mai accarezzato, soltanto presa a botte… La prima volta che ho fatto l’amore non avevo neppure quattordici anni e lui era più vecchio di mio padre. Mi ha messo una mano sulla bocca, mi ha tirato per i capelli dentro un garage, quando ho provato a gridare mi ha tramortita di schiaffi e pugni… E poi è andata ancora peggio: dolore e schifo… Secchiate di merda sulla mia testa, merda a valanga su di me… Tutto è andato storto, tutto quello che ho toccato si è tramutato in malora.
 
 

Roman esce dalla rimessa, stringe nelle mani un binocolo.

ROMAN (A muso duro contro Dafne) Matta, sei tutta matta!

S’arrampica sulle scale e raggiunge il ballatoio dalla parte opposta a quella in cui era salito prima.

DAFNE Non voglio che le mie dita sfiorino più alcuna cosa… Questa dannata solitudine mi è congeniale, mi è congeniale un lavoro da disperati nel nero della notte… Ma, ormai, è giorno… Devo resistere, resistere, finché qualcuno non sputi sul sole e non lo spenga.
 
 

ELISA RODRIGUEZ
(Dalle 3,35’ alle 3,40’)

8. Roman è a una delle vetrate e scruta all’esterno con il binocolo. Dafne apre un rubinetto dell’acqua e lava i secchi. Piegandosi fa cadere il taccuino del Vecchio signore. Il taccuino si è aperto. La donna lo raccoglie e non riesce a fare a meno di leggere.

DAFNE Mi chiamo Elisa Rodriguez, ho venticinque anni e adesso vivo qui… Sono al riparo ora, le vie di fuga non sono chiuse, ma i giorni senza scampo forse sono lontani… L’uomo che mi spia nutre i suoi occhi dei miei capelli e delle mie mani… Vivo con lui adesso in questa sua città, entrambi m’hanno accolta fra le loro braccia… Dormo nel suo stesso letto, la sua testa sta così vicino alla mia che il suo fiato passando per le mie orecchie lo fa entrare nei miei sogni e anche nei miei sogni se ne sta lì con quei suoi occhi e mi guarda…
 
 

Da uno dei tram viene fuori il Vecchio signore. Guarda Dafne, ma non la vede, vede un’altra donna, più giovane, quasi una ragazza.

VECCHIO SIGNORE Ce l’hai nel sangue l’irrequietudine, fin da bambina non riuscivi a immaginarti ferma in un posto…La città dove sei nata era un indumento troppo stretto, te ne sei andata via presto…Nel tuo cuore c’era un vento che soffiava forte e ti spingeva lontano… Non riuscivi a tenere un lavoro più di un mese, non riuscivi a legarti a nessuno… Sei giunta perfino a pensare che la tua curiosità, la tua disponibilità, la tua gentilezza fossero soltanto freddezza, aridità di cuore… Dappertutto stavi bene, ma non eri felice da nessuna parte… Non immaginavi che potesse accadere di riconoscerti negli occhi di qualcuno… Nessun vento ti spinge, la tua mente non sogna più altri luoghi dove andare…

DAFNE Io sono… Dafne… Lavoro qui… Lavo i tram…

VECCHIO SIGNORE Ah, ottima cosa, ottima cosa…Mi scusi, signorina… Che città è questa? Io abito a Milano, ci sono nato e ho sempre vissuto lì… Se per qualche ragione devo allontanarmene mi prende lo sconforto…

DAFNE Non c’è ragione che si faccia prendere dallo sconforto… Si sta bene qui… E’ tutto così tranquillo… Diciamo che stiamo viaggiando, presto, senza accorgersene nemmeno, vedrà, si troverà nuovamente a Milano… (Gli porge il taccuino) Questo taccuino è suo…
 
 

Ma il signore è risalito sul tram e ha ripreso la sua inarrestabile passeggiata. Ora il riprendere i taccuini e il riporseli in tasca è diventato più frenetico e alcuni taccuini cadono. Si spargono per terra fogli e vecchie fotografie. Mentre Roman abbandona il ballatoio e ridiscende, Dafne sfoglia ancora le pagine del taccuino, è curiosa, legge ancora.

DAFNE Ti ricordi quando è stato? Come è accaduto? Tu venivi sempre nel ristorante dove lavoravo io… Prima di vederti ho sentito la tua voce, tra tutti coloro che conversavano urlando ho sentito te che parlavi con un filo di voce… Le tue parole si sentivano, ma si vedevano anche… Prima di sapere chi eri, prima di vederti, mi sono innamorata della tua voce… Poi una sera mi sono decisa e ho seguito le tracce lasciate dai tuoi bisbigli, sono entrata nella sala da dove provenivano… Non ho più sentito la tua voce. Un uomo bello e maturo, gli occhi luminosi e inquieti, stava seduto in un punto in cui poteva vedermi senza che me ne accorgessi, ho capito che eri tu…
 
 

Roman irrompe con il binocolo posto sugli occhi.

ROMAN Critichi, critichi, ma sei tale e quale a me: pure a te piace ficcare il naso negli affari degli altri.
 
 
 

LA FORZA DI CANTARE
(Dalle 3, 40’ alle 3,45’)

9. Dafne lava i secchi. Roman si sistema il binocolo a tracolla e, d’un tratto diventa solerte, raccoglie tutti gli attrezzi sparsi intorno ai tram.

DAFNE Com’è che ti prende la voglia di lavorare soltanto alla fine del turno?

ROMAN I tramvieri stanno per cominciare la loro giornata e le puttane si preparano ad andare a dormire.

DAFNE Devi correre dalle tue puttane.

ROMAN Sono già tutte e cinque lì che mi aspettano sotto la pensilina dell’ospedale, io passo con il mio furgoncino e le carico su, così rendo lieve il loro ritorno a casa… Sono belle e brave ragazze, molto dolci… Io mi faccio carico di renderle meno tristi…

DAFNE Chissà come?

ROMAN Se tu accettassi un mio passaggio te le farei conoscere…

DAFNE (Sghignazzando) Già! Toglitelo dalla testa.

ROMAN Jasna è esile come un giunco, ma ha una voce profonda e potente, sulla via del ritorno, nonostante le notti travagliate, tutte le mattine, trova la forza di cantare… Se tu potessi sentire, non comprenderesti una parola, ma proveresti le nostre stesse emozioni… Quelle belle e profumate ragazze sono le mie bambine, siamo una poco perfetta famiglia, ma ci accomuna la malinconia per una terra lontana e ferita, per volti che non vedremo più, per quello che sarebbe potuto essere e non è stato… Ma non si può essere tristi tutto il tempo, io dico fanfaronate e le ragazze ridono… Quella che ride di più è Nastia, ride così forte che si scuote interamente e il piccolo cigno azzurro che le hanno tatuato sul collo sembra che da un momento all’altro debba spiccare il volo…

DAFNE Mi dispiace per quelle ragazze…

ROMAN A me fai pena tu… Parlo spesso di te…

DAFNE Ah, sì! E cosa dici?

ROMAN Che sei una donna avvilita… Ti sei gettata nelle fogne, giù nelle fogne, da sola.
 
 
 

UNA LUCE PROFUMATA
(DALLE 3,45’ alle 3,50’)

10. Dafne s’infila nelle tasche della tuta degli stracci puliti e passa a dare una controllata finale a tutti i tram, dà ancora qualche rude strofinata qui e là. Roman ha aperto le porte di una delle rimesse e vi ripone le scale e tutti gli attrezzi da lavoro. Il Vecchio signore cammina accanto ai tram tenendo un paio di taccuini nelle mani.

VECCHIO SIGNORE La mia vita è dentro questi taccuini… Il mio mondo…Certe volte mi sorprendo a domandarmi se sia davvero esistito. Non è una mia fantasticheria, un sogno, la mia giovinezza. L’ho vissuta… Era qualcosa che si poteva toccare… Attraverso queste pagine, le vecchie fotografie i cui volti pure confondo, la luce della mia giovinezza arriva fino a me… E’ una luce profumata… Il profumo della ragazza che attraversava i viali del giardinetto… Quella ragazza c’è… Per me c’è sempre e ci sono anche le farfalle…In questa notte… Questa notte lunga… Questa notte interminabile… Quanti ricordi sono stati sepolti… Lei è ancora qui con me… Questo essere sotto torchio è la mia condizione naturale, il mio modo d’essere, sono indifferente al dolore e felice…Lì soltanto, in quel piccolo punto nel tempo, dove si può esserlo…
 
 

Presto altri fogli sono per terra, Dafne si piega a raccoglierli. Ma dopo averlo fatto si accorge che sparsi sul pavimento ce ne sono altri. E anche fotografie e qualche taccuino. Di buona lena si mette a raccoglierli tutti.
 
 

MILANO E’ ANCORA MEZZO ADDORMENTATA
(DALLE 3,50’ alle 3,55’)

11. Roman esce dalla rimessa e osserva Dafne che sta ancora raccogliendo le carte del Vecchio signore.

ROMAN Che fai?

DAFNE Il pavimento è tutto pieno di fogli.

ROMAN Devi proprio perdere tempo a raccoglierli?

DAFNE Quanti ricordi… Ombre… Persone morte da tempo… Ma le loro emozioni sono ancora vive, tra queste pagine… Aiutami…

ROMAN E’ tardi, devo cambiarmi.

Perplesso si piega a prendere alcune fotografie e le porge a Dafne.

DAFNE E’ la memoria, la memoria…

Il VECCHIO SIGNORE s’avvicina. Dafne sistema alla meglio i taccuini e li tiene uniti con degli elastici.

VECCHIO SIGNORE (A Roman) Mi scusi, signore… Che città è questa?… Io abito a Milano, ci sono nato e ho sempre vissuto lì… Se per qualche ragione devo allontanarmene mi prende lo sconforto…

Roman gli fruga nei vestiti.

DAFNE Che fai?

ROMAN (Mostrando a Dafne la carta d’identità del vecchio) Ecco dove abita.

DAFNE E’ sulla mia strada.

Roman prende per mano il vecchio che si lascia guidare docilmente. Lo fa salire su un tram e lo mette a sedere.

ROMAN Stia seduto, non si muova… Tra qualche minuto potrà fare ritorno a Milano.

Roman entra nei locali del circolo. Dafne regge nelle mani tutti i ricordi del vecchio.

DAFNE Quando lascio il deposito, Milano è ancora addormentata, ma si sta svegliando… I miei occhi guardano fuori dal finestrino i campi brulli della periferia, i casermoni di cemento, i muri sbrecciati, la sporcizia, le macerie del tempo… Poi le strade diventano più belle, aprono i primi caffè, s’incomincia a sentire l’odore del pane caldo provenire dai forni, appaiono facciate di palazzi maestosi e i marciapiedi prendono a riempirsi di gente… Gente umile, disperati che cercano un rifugio per il giorno, gente che lavora, che cammina in fretta… Andare di fretta aiuta a non pensare… Il continuo movimento aiuta a sentirsi vivi… Presto tutto si muove in modo molto veloce, così veloce che non si riesce più a vedere quello che c’era prima, così sembra che tutto alle nostre spalle sia morto e quel che conta davvero è quel che ancora deve venire… A volte mi par di scorgere, da lontano, una secca donna sbilenca… Più s’avvicina e più penso: è possibile che mi assomigli così tanto?… Muove i suoi passi con furia, sembra che debba cadere da un momento all’altro, invece riesce a stare in piedi in uno strano equilibrio e continua ad avanzare… Quando il tram la supera, mi volto a guardarla meglio, mi accorgo che è cieca… Cammina, cammina, ma non sa dove va…
 
 
 

LA STAZIONE INESISTENTE
(Dalle 3,55’ alle 4)

12. Dafne e il vecchio signore sono seduti vicini, la donna tiene in grembo i taccuini.

L’uomo si alza, inquieto.

VECCHIO SIGNORE Cos’è questo rumore? Non lo sente anche lei?… Mi pare di udire una musica che non avevo mai sentito prima… Non c’era la musica, c’era solo il rumore dei tram… Mi par di vedere me, giovane, e i tram che mi passavano intorno… Questo mi par di vedere… Mi par di vedere me stesso in una luce che pensavo non si sarebbe mai spenta… Salgo su un tram, il tram parte e io m’accorgo di essere solo… Al posto di guida non c’è nessuno… Il tram corre veloce lungo un viale, le fronde degli alberi toccano i vetri… Guardo fuori… Sul marciapiede, tra gli alberi, c’è qualcuno che mi sorride. Mi chiedo: chi è quella ragazza che mi saluta? Non sono più agitato… Il tram corre più veloce e vibra… Il mio corpo esegue una strana danza, una strana danza nel vuoto… Il mio sguardo rivolto all’indietro vede ancora la ragazza e tutt’intorno a lei la mia città… Tutto è rimasto com’era… Lei così giovane, bella, crudele e meravigliosa e la città viva e brulicante di sogni… Soltanto io non sono più quello che ero… Il tram continua la sua corsa, ma non ci sono più binari, c’è un campo e l’erba è alta, il cielo è scuro… Sono arrivato dove dovevo… All’ultima stazione, alla stazione inesistente… Davanti non c’è più niente.
 
 

Roman esce dai locali del circolo. Sembra un’altra persona, indossa un pacchiano abito fuori moda, un cappello con la visiera, vistosi occhiali da sole, regge nelle mani un mucchio di borse di plastica stracolme di oggetti vari.

ROMAN Quando si comincia il turno sembra che non debba finire mai, ma poi arriva il giorno… Vedo già le sagome dei tramvieri avanzare in una luce soffusa… (Al vecchio) Si calmi. Si sieda. (Il signore si siede) C’è ancora un po’ di tempo… Quella smilza figliola la riaccompagnerà a casa… E’ ombrosa e lunatica, ma è un tipo affidabile, le parli di farfalle, la farà contenta.

Roman guadagna la strada dell’uscita. Il vecchio signore e la donna delle pulizie restano seduti, l’uno accanto all’altra, in paziente attesa.
 

copyright 2000 Rocco D'Onghia & Maratona di Milano
 

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