NOVITA'
 
oliviero 
ponte di pino
HOMEPAGE
CERCA NEL SITO
 MATERIALI 
NUOVO TEATRO
TEATRO LINKS
ENCICLOPEDIA PERSONALE
TRAX

 
 
Lo sguardo e il tempo

Conversazione tra Claudio Morganti e Oliviero Ponte di Pino
a proposito dello spettacolo Tre atti per contrabbasso
di e con Fernando Grillo, Claudio Morganti e Maurizio Saiu
Milano, Teatro dell'Arte, 12 gennaio 1998.
 
 
 

Ponte di Pino Come vi siete incontrati tu, Fernando e Maurizio?

Morganti Maurizio Saiu l’ho conosciuto a Cagliari alcuni anni fa. Ci siamo incontrati spesso, avevamo parlato a lungo in diverse occasioni, ma le sue coreografie le ho viste solo dopo aver deciso di lavorare con lui.

Ponte di Pino Saiu aveva già visto alcuni tuoi lavori?

Morganti Sì. Invece Fernando Grillo l’ho conosciuto a Foligno, in occasione di un festival dove avevo visto una sua cosa. Ma anche in questo caso la voglia di lavorare con lui mi è venuta quasi esclusivamente in base alla conoscenza personale. Io volevo allontanarmi almeno per qualche tempo da Shakespeare (anche se poi non ci sono riuscito, perché sto lavorando in parallelo al Giulio Cesare). E mi interessava riprendere la collaborazione con un musicista, un’esperienza che avevo già fatto con Giovanni Tamborrino, coinvolgendo magari qualche altro artista. Il pretesto per agganciare Fernando è stato Il contrabbasso, anche se poi mi sono accorto che il lavoro di Suskind era solo un pretesto per avvicinarmi allo strumento di Grillo, che è appunto il contrabbasso. Il testo di Suskind è una lettura gradevole, ma non mi interessava più di tanto: è stata solo l’occasione per incontrarmi con Fernando, perché mi insegnasse alcuni rudimenti della tecnica musicale…

Ponte di Pino …quel tanto che basta per interpretare credibilmente Il contrabbasso… Dopo di che però il tuo rapporto con Grillo ha preso un’altra direzione...

Morganti Ha preso subito un’altra direzione, perché lavorare intorno al Contrabbasso con un musicista come Fernando ma anche con un danzatore come Maurizio implicava già in partenza una diversa direzione, cioè approfondire la questione dei linguaggi e il tentativo di fonderli. L’idea mi era venuta in mente quasi subito. Avrei potuto tenere Il contrabbasso come un esercizio, ma Suskind non è Shakespeare... Volevo allontanarmi da Shakespeare, ma come ti allontani vai in minore, per forza di cose, a meno che non sia Beckett.

Ponte di Pino E invece di fare Il contrabbasso di Suskind, avete deciso di fare un altro tipo di lavoro in comune, un danzatore-coreografo, un attore-regista e un musicista-compositore.

Morganti Tre compositori.

Ponte di Pino E avete deciso di sperimentare come i loro linguaggi specifici potessero interagire all’interno di uno spazio comune. Il progetto di lavoro era semplicemente questo, o era più preciso e definito?

Morganti No, l’unica cosa definita era che il pretesto teatrale, estetico, sonoro eccetera dovesse essere il contrabbasso.

Ponte di Pino Come oggetto e come strumento musicale.

Morganti È l’unica cosa che è rimasta del testo di Suskind. Tutto il resto se n’è andato.

Ponte di Pino Perché, al di là del testo di Suskind, il contrabbasso ti affascina?

Morganti Mi affascinano tutti gli strumenti musicali, soprattutto quelli che conosco meno. Per me il contrabbasso era un mistero. Poi, quando ho sentito Fernando Grillo suonare, mi sono detto: "È veramente uno strumento musicale, non è un affare che sta lì e non si capisce che fa". Certo, se avessimo fatto Tre atti per un ottavino, il risultato sarebbe stato diverso, perché il contrabbasso ha comunque una presenza potente e affascinante, come oggetto. È uno degli strumenti più grandi che ci siano. Ci sarebbe anche il pianoforte, che però è brutto e pesante, è un cassone informe. C’è la batteria, che però è uno strumento composto di tanti piccoli strumenti. Poi ci sono il basso tuba e l’arpa... Anche l’arpa è uno strumento meraviglioso. Ma finché senti suonare un arpista classico e non vedi qualcuno che traffica con le corde, che cerca di tirarne fuori, come fa Fernando con il suo strumento, suoni differenti, non ti scatta nulla. Ammiri la bravura dell’esecuzione e basta. Peggio ancora quando poi ti trovi di fronte a dei musicisti che vogliono fare teatro con il loro strumento. Ma quando invece un musicista si comporta con il suo strumento in maniera anomala ma trattandolo sempre da strumento, ed è costretto, nel tentativo di farlo cantare in maniera diversa, a muoversi in un altro modo, allora fa teatro. Così, automaticamente.

Ponte di Pino Come avete lavorato? Avete proceduto per improvvisazioni o per numeri strutturati a priori che venivano poi eseguiti?

Morganti Per improvvisazioni, sempre intorno a un tema stabilito, ma non molto strutturate: per esempio, che tipo di movimenti si possono fare intorno a un contrabbasso che si muove.

Ponte di Pino Avevi un progetto, o avete discusso del lavoro?

Morganti Avevo due o tre idee, ma piuttosto vaghe: per esempio l’immagine di un contrabbasso appeso, una danza al buio... Quando ci siamo incontrati, abbiamo buttato giù una scaletta un po’ più precisa.

Ponte di Pino Una scaletta di immagini o una sequenza di esperimenti ed esercizi?

Morganti Tutte e due le cose. La prima scaletta era così composta: inizio, solo di Fernando, ballo, solo di Maurizio, trio, eccetera.

Ponte di Pino È una struttura di impronta jazzistica, con i pezzi corali dell’intero gruppo e gli assoli dei tre compositori in scena.

Morganti L’intento era fare tutti e tre la stessa cosa, agire insieme attorno alla stessa questione. Che fosse la danza, che fosse la musica o il teatro.

Ponte di Pino Il musicista e il danzatore dovevano fare quello che fai tu, cioè recitare; tu e il danzatore dovevate fare le stesse cose che fa Grillo, cioè suonare uno strumento; e tu e Grillo dovevate danzare, che è la cosa che fa Saiu.

Morganti Però poi mi sono reso conto che tre musicisti, tre danzatori o tre attori che lavorano insieme sulla scena sono una cosa diversa. Naturalmente addentrandosi, anche con leggerezza e con la necessaria autoironia, nei campi altrui, là dove ci sono delle tecniche consolidate, si finisce inevitabilmente per abbassare il livello. Resta il piacere di giocare insieme. Ma per dare più forza al nostro di discorso era necessaria l’affermazione precisa della provenienza di ciascuno di noi.

Ponte di Pino Era cioè necessario che si capissero quali erano le storie, le tradizioni da cui provenivano i tre artisti in scena.

Morganti Fernando doveva suonare, Maurizio danzare e io recitare. E da soli.

Ponte di Pino Questa è la ragione per cui lo spettacolo è scandito dai pezzi dei tre solisti.

Morganti Anche perché corrisponde alle nostre personali storie. Di solito Maurizio danza da solo, Fernando suona da solo, io recito da solo.

Ponte di Pino Che cosa cercavate in questo rapporto tra le diverse arti? Hai già accennato a un primo problema, quello dell’abbassamento del livello tecnico per chi si avventura fuori dal suo terreno specifico...

Morganti In linea generale, sono convito che sia possibile, in tutti i campi, attraverso l’attività del laboratorio, rendere partecipe una persona che non ha mai usato una determinata tecnica di alcuni punti fondamentali interni al lavoro, alle singole tecniche. Questi punti in realtà sono concetti: per esempio la dinamica, il timbro, il colore, oppure elementi specifici: lo sguardo, i tempi.

Ponte di Pino Il lavoro sullo sguardo è una tecnica che tu, in quanto attore e regista, insegni al musicista. Il colore è un concetto musicale che il musicista insegna all’attore. C’è un denominatore comune a tutte queste discipline?

Morganti Il lavoro sullo sguardo, per esempio, veniva fatto da parte mia in termini musicali, usando concetti come la sospensione, la pausa, la fuga. La dinamica e la tecnica abituali del teatro sono state così lavorate e processate con tecniche di un’altra disciplina e viceversa. Ovviamente non ho preteso con questo - per fare un esempio - di impadronirmi del segreto del timbro. Si affronta il concetto, se ne parla e lo si usa come metafora per muovere altre cose soltanto in quel caso specifico, in quel momento. Però una persona intelligente è in grado di trarre profitto da questa esperienza, fare le sue considerazioni e poi usarle in altre circostanze.

Ponte di Pino Come avete conciliato la salvaguardia di questo bagaglio tecnico e la necessità di metterlo a disposizione di chi non lo possedeva affatto?

Morganti Posso dare le mie impressioni personali, ma penso che Fernando e Maurizio potrebbero dire la stessa cosa. Riprendiamo la questione dello sguardo. Per esempio, in un certo istante senti che qui è bello che il suono si interrompa, perché prima è successa una certa cosa, ed è consequenziale che là ci sia uno sguardo. A volte però questo sguardo non funziona, perché Fernando è troppo concentrato nel suo suonare, fa così con lo sguardo e suona, ma non funziona. A un attore non devi dire "Conta fino a cinque" per indicargli quanto deve durare lo sguardo. È un lavoro diverso, basato sulle suggestioni, perché se il tempo se lo immagina il regista e chiede all’attore di riprodurlo, il risultato è un tempo sbagliato. Se quel che sente il regista lo sente anche l’attore, e viene fuori da lui, quel tempo sarà suo e sarà quello; potrà essere più lungo o più corto di quello immaginato dal regista, non importa, ma sarà quello, e sarà giusto. Nel caso di Fernando le indicazioni dovevano andare su un altro piano, dovevano appartenere al linguaggio musicale. Mi rendo conto che è presuntuoso, perché io il linguaggio musicale lo conosco fino a un certo punto. Però sui fondamenti, sulle cose elementari, si può comunicare. Non posso certo dire a Fernando "Conta fino a cinque", perché non è un bambino di sei anni, ma posso parlargli del pezzo che sta suonando in quel momento, per dirgli come il suo sguardo deve entrare là dentro, come contrappunto o come rinforzo di un gesto che lui fa mentre suona. Si è costretti a guardare la questione dal punto di vista di chi lo fa. Come si dovrebbe fare sempre con gli attori, anche se a volte non funziona così, perché hai in mente una cosa e ti incaponisci perché venga fuori esattamente in quel modo. Invece bisognerebbe sempre considerare l’attore come un pittore o un musicista.

Ponte di Pino Mi chiedo se sia possibile usare un metodo di questo genere anche in teatro. Certo, qui lo slittamento tra le varie discipline era talmente forte che obbligava a scoprirsi. Ma questo metodo lo si potrebbe applicare anche all’interno di una singola disciplina.

Morganti Credo che sia difficile farlo con altri teatranti, se non in occasione di incontri particolari. Con Alfonso Santagata si lavorava un po’ così. Tuttavia in genere si tende a pensare che quello dell’attore sia un lavoro dipendente e subordinato, oppure, quando non è così, che sia un lavoro presuntuoso, distaccato, che non ha la possibilità di conciliarsi con altri. Con un musicista invece il problema si pone in termini assolutamente diversi.

Ponte di Pino Il problema forse è anche legato alla figura di un regista che si pone in modo diverso con gli attori perché necessariamente impone la sua visione, anche se l’attore viene usato criticamente e non come manichino.

Morganti Qui il livello di proposizione era altissimo, anche nella libertà di dire una sciocchezza. Non c’era timore di perdere dei punti di fronte agli altri, di fare delle brutte figure. Con l’attore, il problema è che il suo punto di vista differisce troppo poco dal mio, e allora diventa faticoso spostarsi. Invece con questa grande distanza, provi con umiltà a metterti dall’altra parte. La stessa cosa ha fatto Maurizio per organizzare questi movimenti, questa danza. Se avesse dovuto lavorare con ballerini professionisti, avrebbe certamente usato tutta un’altra terminologia.

Ponte di Pino Facendo un lavoro del genere, chi sale in scena si espone molto: è chiaro che la tecnica e la professionalità sono una formidabile difesa, mentre questo è un lavoro in cui i tre artisti si mettono in discussione, disposti a confrontare il loro sapere con quello altrui e in certi casi ad accantonarlo e a rischiare brutte figure. Grillo non ha sicuramente il fisico di Martha Graham, né tu hai il suo virtuosismo musicale, né Saiu è abituato a parlare. È chiaro dunque che in questo tipo di lavoro ti scopri sia professionalmente che umanamente, perché sveli i tuoi punti deboli, quelli dove sei magari normale o più goffo della media.

Morganti Infatti la discussione si è mossa su questi due binari. C’era questa necessità di dire: "Va bene, mi metto a ballare il mambo, faccio questa grande figura di merda, però poi devo fare una cosa che so fare". È stata questa la dinamica dei rapporti. Ed è stata una bella esperienza, anche perché ho avuto il modo di vedere due artisti al lavoro nell’atto creativo.

Ponte di Pino Abbiamo già identificato diversi livelli di scambio tra le varie storie e le tecniche. C’è però un ulteriore livello che potrebbe definire un terreno comune alle varie esperienze: attraverso questo lavoro emerge qualche elemento condiviso che sottende tutte e tre le esperienze?

Morganti Credo di sì. È la gestione dei tempi. Perché il resto - dinamica, timbro, colore - sono per così dire delle ramificazioni. La padronanza del tempo narrativo è l’elemento che accomuna teatro, musica e danza, ma anche la letteratura, il racconto... Su questo terreno è stato possibile verificare la possibilità di una creazione comune.

Ponte di Pino Lavorando insieme, al di là degli interscambi di vario genere sulle diverse tecniche e maestrie, avete dunque trovato un terreno comune. Immagino che questo riguardi sia i singoli frammenti e brani del lavoro, sia i rapporti tra i tre artefici, sia poi l’architettura complessiva del lavoro.

Morganti Ci siamo occupati del tempo e delle sue dinamiche momento per momento. Ma da lì, credo, tende a costruirsi anche una sorta di respiro. Questo corrisponde anche al mio modo di lavorate. Io non sono un regista critico, non lavoro su un tema. A me della lettura globale dell’opera, della visione complessiva, non mi importa più di tanto: io devo comunicare passo dopo passo, devo esplorare e frequentare l’opera. Il tempo si costituisce da sé. Anche questo è un lavoro dal respiro corto, tre quarti d’ora al massimo. E la struttura complessiva è una conseguenza dei singoli momenti. La questione è possedere il tempo. Certe volte ascolti un brano musicale o vedi uno spettacolo, e a un certo punto ti senti affaticato, annoiato. Gran parte di questa noia - al di là del fatto che quello che sta in scena ti sta antipatico - è dovuta spesso alla cattiva gestione dei tempi drammatici. Una danza ha i suoi tempi drammatici, un’esecuzione musicale ha i suoi tempi drammatici. Perché non "devi portare" ma "farti portare" da un pezzo musicale, o da una pièce teatrale, è necessario che ci sia un intuito particolare dei tempi. Poi i tempi sono relazionati alla durata generale. È per questo che puoi vedere uno spettacolo di otto ore, e non ti annoi, e un altro di mezz’ora e ti rompi le palle dopo cinque minuti. La gestione dei tempi interni è fondamentale. E su questo piano le tre discipline - teatro musica danza - parlano la stessa e identica lingua.

Ponte di Pino È come se ci fosse un’organicità autonoma che emerge dal lavoro e si struttura secondo tempi e ritmi più stretti o più dilatati.

Morganti È un’organicità umana, perché è l’individuo che sente se quel tempo è giusto... Basta un secondo in più e già molte cose cambiano di segno. Se poi a quel secondo ne aggiungi un altro, e un altro, e un altro ancora, nell’arco di un’ora e mezza hai venti minuti di niente, e allora la cosa pesa. Nel corso del nostro lavoro alcuni momenti si presentavano, come dire, velati: era difficile per tutti e tre capire come lavorare il tempo. Mentre in altri casi i ritmi sono quasi naturali, non ci pensi... In altri casi c’erano decisioni importanti da prendere.

Ponte di Pino Immagino che il problema abbia riguardato soprattutto i raccordi tra un pezzo e l’altro.

Morganti Ma anche come chiudere un pezzo. Per esempio volevamo far ascoltare un brano di musica classica al buio, dare la possibilità al buio di ascoltarlo. Ma a un certo punto abbiamo dovuto decidere - dato il brano musicale che avevamo scelto, che ha il suo respiro, e che non si può tagliare e mortificare - se lasciare la gente al buio cinque minuti ad ascoltarselo tutto o no. Nel corso del lavoro comune, sul momento in cui entrare, chiudere, cambiare, uscire, tagliare, spostare, non c’è mai stato bisogno di discutere tra noi tre. Erano scelte naturali. Questo dipende dalla lunga pratica che Fernando ha delle partiture musicali, e che Maurizio ha della costruzione di un’opera - un’opera dove la gente si muove e basta, oltretutto.

Ponte di Pino Al di là di questo scambio di tecniche sia artistiche sia di comunicazione, credo che un lavoro di questo genere possa spingere verso una zona estremamente profonda dell’arte e forse dell’essere umano, strettamente legata alla scoperta di quel senso del tempo cui accennavi prima. Tuttavia fare uno spettacolo significa anche costruire un discorso, a partire da questo momento originario. Come siete riusciti a conciliare questo viaggio verso il profondo, verso zone che sono percepibili a un livello intuitivo, quasi organico, con la costruzione del percorso di uno spettacolo? Questo senso del tempo è un dato che viene acquisito sin dal primo momento, o è un obiettivo cui si arriva progressivamente nel corso del lavoro?

Morganti È una constatazione che è stato possibile fare solo alla fine. Se uno di noi tre non avesse posseduto naturalmente il senso del tempo drammatico, il lavoro non avrebbe potuto funzionare. Nessuno di noi dipendeva dagli altri.

Ponte di Pino In che senso è possibile possedere "naturalmente" il senso del tempo?

Morganti Non voglio dire che è innato, ma che si determina attraverso gli anni di lavoro, la pratica, l’esistenza.

Ponte di Pino Dunque nessuno di voi tre poteva imporre agli altri il suo tempo, il suo ritmo.

Morganti E se una delle tre sfere non avesse funzionato a dovere, il meccanismo si sarebbe inceppato subito, fin dal secondo giorno. Bisogna dire subito che questa è un po’ una scoperta dell’acqua calda. È una piccola scoperta. Ma ci sono cose che sai già, e poi hai la sensazione di saperle di più, di comprenderle, perché le hai toccate con un livello di conoscenza, non dico superiore, ma quanto meno diverso. Perché sapere una cosa non è un dato assoluto, una cosa la si può sapere bene o male…

Ponte di Pino …a livelli diversi di profondità.

Morganti Andare a ritoccare il tuo sapere con un altro sguardo, con un compagno con cui guardarlo, lo cambia: ti entra di più, e stranamente più ti entra e meno riesci a spiegarlo.

Ponte di Pino Il vostro lavoro ripercorre in qualche modo progressivamente la storia di questa scoperta? C’è un plot, un racconto, o semplicemente la struttura astratta di un pezzo musicale?

Morganti Ha la struttura astratta di un pezzo musicale, o di un testo teatrale. Anche un testo teatrale ha una struttura astratta: in fondo sono delle parole scritte su un foglio di carta. Il teatro invece è un’altra cosa: non racconta nulla, non descrive nulla. Il nostro spettacolo dovrebbe soltanto raccontare la storia di questo incontro, e spero che lo faccia con naturalezza. Non ci siamo posti il problema di dare una struttura narrativa, o di far capire qualcosa... Della questione del capire a me non me ne è mai importato nulla, a Fernando neanche e a Maurizio neanche. Un musicista di fronte a un brano musicale non dice mai: "Io non ho capito". Potrebbe dirlo solo uno che fino a ieri ha ascoltato solo Verdi e Bach e improvvisamente gli fai ascoltare Stockhausen. Di fronte al teatro invece c’è sempre questo problema del capire: "Non l’ho capita, quella cosa...", "Ma cosa ha voluto dire?". Ma quando ascolti un quartetto di Beethoven, non dici: "Quel passaggio non l’ho capito". Se sei Abbado, puoi dire: "Quel passaggio non mi torna". Anche di fronte a un quadro, chi è abituato a vedere Fattori e poi si trova davanti Picasso, può irritarsi perché non capisce. Ma di fronte a una composizione musicale o a uno spettacolo di danza, che cosa c’è da capire? Devi godere... Invece a teatro, siccome c’è la parola...

Ponte di Pino A proposito, che testi avete usato?

Morganti Le prime due strofe di "My Funny Valentine". E basta. Nel mio solo non ci sono parole: soltanto ridere e piangere. È una sorta di archetipo del teatro. Non so se riesco a reggere, fino a che punto riesco a tenere: anche qui, la questione riguarda il senso del tempo, nell’atto. Il testo di "My Funny Valentine" è la chiusa. Volevamo fare un omaggio a Chet Baker, che in apparenza non c’entra niente, ma era un angelo musicale di presenza. "My Funny Valentine" viene detta e poi suonata in un modo molto strano, con una formazione strana: un sassofono, un contrabbasso e la voce, ed è la fine dello spettacolo. Per il resto non ci sono testi, solo questo "Oh" che torna, un puro fonema.

Ponte di Pino Tu pensi che andando avanti nel lavoro avrebbe potuto emergere anche un testo?

Morganti Credo che sia concluso così.

Ponte di Pino La presenza del pubblico in sala può alterare in qualche modo il senso del tempo che è emerso dal vostro lavoro? Oppure il ritmo e il respiro sono già dati e poi restano immutabili?

Morganti Sono numerosi gli elementi che possono determinare una variazione dei tempi. Questo succede sempre. Ma lo spazio è più importante del pubblico, purtroppo, perché lo spazio deve essere atto a contenere insieme te e un pubblico. Se uno spazio ti divide dal pubblico, il pubblico tu non lo senti più e tu devi andare avanti da solo.

Ponte di Pino Hai descritto con grande chiarezza quello che questo lavoro ha dato a voi tre mentre lo facevate. Che necessità avete di farlo vedere a qualcun altro?

Morganti L’ideale sarebbe un pubblico che assiste al processo di lavoro. Ma non è possibile, perché a quel punto tu non sei più solo e la solitudine è l’elemento principale per la creazione. È fondamentale, la solitudine.

Ponte di Pino O per lo meno, è necessaria una qualche separazione nello spazio e/o nel tempo tra chi crea e fa, e chi poi vede, sente o usa queste creazioni.

Morganti Avremmo potuto sistemare delle piccole telecamere e poi dimenticarcele... Ma da un certo punto di vista mostrare il lavoro è importante, perché è una verifica ulteriore. L’ideale sarebbe partire senza impegni: siamo qui, lavoriamo, proviamo; e se alla fine pensiamo che sia utile per noi e per chi ci vede mostrare il risultato finale, lo si fa. In quel caso si potrebbe partire anche senza una scaletta. Ma in realtà poi si parte sempre con una scaletta, perché si sa che ci sono venti giorni di prove e poi bisogna mostrare qualcosa... Questo può anche essere giusto, perché se hai una scadenza e un impegno probabilmente ti perdi meno, hai una regola, una disciplina. Però di fronte all’obbiettivo primario di questo tipo di lavoro, la dimostrazione al pubblico diventa secondaria.

Ponte di Pino Che cosa pensi che possa arrivare al pubblico di un lavoro di questo genere, così come lo mostrate voi?

Morganti Banalmente direi che verrebbe a vedere tre artisti che lavorano. Mi rendo conto che è una formula valida per qualsiasi cosa. Del resto non intendiamo fare niente più di questo...

Ponte di Pino Rispetto alla media degli spettacoli, in questo caso si tratta di un lavoro che parla con maggior consapevolezza e più esplicitamente dell’arte, del processo artistico, del lavoro creativo. Non si tratta, che so, di fare Shakespeare per il puro piacere di farlo.

Morganti Ma proprio perché questa volta alle nostre spalle non c’è Shakespeare, e quindi non ci sono concetti e riflessioni sull’esistenza, vorrei semplicemente che venissero fuori la sapienza e la maestria artistica, artigianale delle diverse discipline e dei diversi linguaggi. Il nostro è uno spettacolo dove si vedono artisti al lavoro, alle prese con la loro disciplina in modo anche virtuosistico, e alle prese con le altrui discipline in un gioco teatrale. E mi piace ricordare che il nucleo centrale del nostro lavoro è il rapporto umano.

(Milano, Teatro dell’Arte, dicembre 1997)
 


 
CERCA NEL SITO
TORNA IN TESTA ALLA PAGINA
TEATRO LINKS
ENCICLOPEDIA PERSONALE
TRAX
NOVITA'
 
oliviero
ponte di pino
HOMEPAGE