ateatro 110.23
Mass media e media personalizzati
Un’intervista al Big Art Group
di Anna Maria Monteverdi
 

Dopo il successo di Flicker e House of No More a INTEATRO FESTIVAL edizione 2007 il Big Art Group di Caden Manson e Jemma Nelson ha presentato il nuovo spettacolo The People.
Si tratta di una produzione del Festival realizzata dopo 65 giorni di residenza del gruppo newyorchese a Polverigi. Ancora un real time film (o un living cinema) questa volta ispirato all'Orestiade. Il paese è diventato per alcuni giorni il set di un reality in un mix di realtà e finzione, azione live e proiezione, telegiornale, film, improvvisazione e azione teatrale.
Hanno partecipato al lavoro teatrale, insieme agli attori del Big Art Group, due musicisti post-punk newyorkesi, l’ex LunaChicks Theo Kogan, e Sean Pierce della band Theo and the Skyscrapers.

Pubblichiamo per l'occasione una breve intervista inedita a Caden Manson e Jemma Nelson realizzata in occasione del tour di House of No More.




A.M.M. Puoi raccontare quale è la tua formazione, come è nato il gruppo e quando avete cominciato a usare il video in scena?

CADEN MANSON Quando ho fondato il Big Art Group, nel 1999, l’ho fatto perché volevo creare un linguaggio contemporaneo per la performance, per il palcoscenico, che incorporasse l’uso dell’immagine in movimento, che mostrasse come si crea l’immagine, come ci presentiamo attraverso le immagini e come le immagini di riflesso, mostrano noi a noi stessi. Ho una formazione teatrale generale, ho un bachelor in teatro e ho studiato Performance Art. Non ho esperienza nell’ambito di film, video o multimediale.
Uso il teatro perché penso sia una forma d’arte incrinata, rotta, che non funziona più e questo mi piace. Uso il video perché voglio usare il linguaggio che tutti usano. Tutti noi “parliamo per immagini”. Le immagini non hanno bisogno di essere tradotte in nessuna altra lingua. Sono solo immagini. Le immagini sono pervasive, sono dappertutto, per questo voglio usarle nel mio lavoro.



A.M.M. Che differenza c’è tra performance live e performance mediatizzata e perché state lavorando su questo confine?

CADEN MANSON C’è un grosso gap tra performance dal vivo e performance con immagine proiettata, ed è proprio in questo gap, in questo spazio che il pubblico deve collocarsi: la platea deve riempire il tessuto connettivo che le separa. Spesso lo fanno in maniera non seria, si prendono in giro da soli, fanno in modo di crederci assumendo un ruolo. L’atto di vedere uno dei nostri spettacoli implica anche il fatto che il pubblico cominci a capire quali ruoli stanno facendo credere a loro stessi di interpretare e questo dura fino alla fine dello spettacolo.
Non credo ci siamo domandati abbastanza perché siamo rappresentati attraverso le immagini, perché ci viene chiesto di assomigliare a qualcuno alla TV o in una rivista; questo è abbastanza ovvio quando si pensa alla pubblicità. E’ un’immagine diversa, strana, è fatta per vendere e penso che questo processo avvenga anche nel giornalismo televisivo, le immagini che vedi nei telegiornali sono realizzate per vendere, per venderti la notizia. Sono informazioni per vendere informazioni.
Penso che questo sia molto importante e non se ne parla mai abbastanza, non educhiamo noi stessi sufficientemente a essere attenti quando guardiamo. Guardare per noi è un istinto e non ci poniamo mai delle domande.

A.M.M. La vostra è una critica alla società mass mediatica?

CADEN MANSON Il problema dei mass media è che la maggior parte di noi crede che mass media significhi “la moltitudine laggiù”, mentre invece mass media siamo noi stessi. Tu sei la massa, tu sei la persona. E tu prendi ciò che vuoi dai media.

JEMMA NELSON Nella trilogia parliamo non solo di mass media ma di media personalizzati nella misura in cui stiamo tutti convergendo a usare immagini in modo individuale con altri individui, nella misura in cui filtriamo le immagini in modo personale, nel modo in cui usiamo le immagini prendendole dal cinema o dalla cultura pop o dalla cultura letteraria. Cambiamo noi stessi per adattarci a queste immagini e cambiamo queste immagini per adattarle a noi stessi. Quindi mass media può essere un media molto individuale e se ne può avere un uso molto personalizzato e individuale, siamo tutti molto bravi a farlo. Ci muoviamo tutti all’interno di questo mondo ed è di questo che parla la trilogia.



A.M.M Parliamo di House of no More, dove usate una tipica tecnologia del cinema e della televisione...

CADEN MANSON Usiamo effettivamente la tecnologia green screen che è una tecnologia che si vede spesso al cinema e che si vede in televisione durante il Meteo, nei telegiornali. E’ una tecnologia molto vecchia, noi la usiamo perché i nostri personaggi stanno creando i loro mondi; e noi vogliamo renderlo chiaro, palese, palpabile proprio nella descrizione di questi mondi, di come sono realizzati artificialmente. Questi mondi infatti non sono proprio lì fisicamente, è una specie di trucco. La tecnologia che usiamo è fatta da tre vecchi Panasonic 20, mixer analogici che permettono il chromakee, poi c’è una grande quantità di cavi e interruttori di uso comune e un sistema di video wall... Tutto molto basico.

JEMMA NELSON Diciamo che l’idea di usare una consumer technology che ognuno può avere in casa e che può usare, è parte dell’estetica del gruppo.

CADEN MANSON Il cervello della tecnologia sono i tre mixer, le tre persone che sul palco azionano il mixer attraverso il computer e fanno tutto in scena ben visibili.


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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