ateatro 121.9
Manifesto per un nuovo teatro popolare
Comunicato numero 1
di Paolo Rossi, Carolina De La Calle Casanova, Giorgio Finamore e Massimo Canepa
 

Premessa

La COMPAGNIA DEL TEATRO POPOLARE nasce dal Laboratorio “Cantiere per un Nuovo Teatro Popolare” nel 2007 presso il Teatro Verdi di Muggia (Trieste). Il Laboratorio è stato tenuto da Paolo Rossi e la Compagnia BabyGang, assieme alla Compagnia Pupkin Cabarett di Trieste ed altri artisti e cari compagni di viaggio.

La COMPAGNIA DE TEATRO POPOLARE si costituisce nel 2009 a Milano per volere del capocomico e maestro Paolo Rossi e Carolina De La Calle Casanova, Federico Bonaconza e Valentina Scuderi, principali componenti della Compagnia BabyGang di Milano.

Gli altri principali e attuali componenti della COMPAGNIA DEL TEATRO POPOLARE sono (in ordine alfabetico): Renato Avallone, Elisa Bottiglieri, Massimo Canepa, Giorgio Finamore, Paola Galli, Massimiliano Loizzi, Josephine Magliozzi, Ginevra Notarbartolo, Fabrizio Pagella, Silvia Paoli, Marco Ripoldi, Giulia Scudelletti, Guia Tabaz, Vincenzo Zampa, Marta Zoboli e i musicisti Francesco Arcuri, Orazio Attanasio, Marco Casari, Stefano Fascioli e Giovanni Melucci.

Le regole, definizioni, condizioni e modalità contenute in questo primo comunicato del Manifesto per un Nuovo Teatro Popolare sono e saranno sempre in divenire, sia perché gli artisti stessi continuano a mettere i discussione le risposte che trovano strada facendo, sia perché questo tipo di teatro si adatta e cresce in base al tempo, le persone e le storie che attraversa.

In pieno possesso delle nostre facoltà mentali e fisiche, consapevoli di ciò che diciamo e facciamo, a nostro rischio e pericolo, declamiamo quanto segue.

Avvertenza per coloro che non hanno mai perso la retta via: questo Manifesto non è da imitare o seguire. Solo facendo propria la regola, essa ha senso di esistere.


MANIFESTO PER UN NUOVO TEATRO POPOLARE – comunicato n. 1

Le persone che compongono la COMPAGNIA DEL TEATRO POPOLARE
sono artisti abbastanza colti da poter / non poter
stare con gli intellettuali
e abbastanza ignoranti da poter / non poter
stare con gli ignoranti.
Quel poco che sanno però lo dicono.


I. COS’E’?

Il Teatro Popolare è fatto da persone-vive-che-fingono per persone-vive-che-credono. Racconta storie credibili e incredibili di tutti i tempi. Si consuma nel buio di una sera, ogni sera in un modo diverso. Capita in teatro, ma anche in piazza, nel deserto, in barca… Fa apparire ora una casa, ora una battaglia, ora un re, ora un fantasma. Parte da quello che c’è e di quello che c’è non manca nulla.

È un mestiere.
È un’arte.
È una continua scoperta.

Non è un teatro commerciale.
Non è un teatro sperimentale.
Non è un teatro intellettuale.
Non cerca un pubblico specifico.

È un teatro colto, ma comprensibile a tutti.

È un teatro d’emergenza, perché l’emergenza porta all’aiuto, all’ascolto, al buon senso.

Gioca sull’equivoco ma non è mai equivoco.
Si basa su situazioni primarie, riconoscibili, universali.
Vuole andare all’essenza d’ogni storia.
Niente orpelli, fronzoli, divagazioni.

È come il jazz: o funziona il gruppo, oppure la musica non viene fuori.

Mescola i generi e gli stili. Sfrutta i cambi di registro, dal comico al tragico e viceversa.
Cerca il rispetto e la leggerezza, ma vuole sempre schierarsi.
Non è mai neutrale. Mostra sempre il suo punto di vista.

Può scegliere di rappresentare situazioni forti, violente, di descrivere personaggi emarginati.

Non si fa prendere dall’abitudine. Tutto deve accadere come se fosse la prima volta.

È sempre qui e ora: rifiuta il concetto di replica, mette tutto in discussione, non accetta niente di prestabilito e imposto.

Nasce nell’improvvisazione e muore nell’improvvisazione.

II. CHI E’?

Il Teatro Popolare è fatto da una compagnia numerosa gestita da un capocomico. I componenti della compagnia – attori, drammaturghi, tecnici, etc. - hanno diversa età ed esperienza, ma insieme seguono un percorso artistico condiviso oltre che discusso.

All’interno della COMPAGNIA DI TEATRO POPOLARE lavorano insieme attori, regista, drammaturghi e musicisti. Il lavoro nasce insieme ed è condiviso da tutti. Ognuno è co-autore di ciò che si vive sul palco, nel rispetto dei singoli ruoli e competenze.

Insieme costruiscono un patrimonio comune di storie, sketch, canovacci, barzellette, esercizi, canzoni che trasmettono a chi arriva per ultimo… dal quale a loro volta rubano tutto ciò che possono. Gli artisti del Teatro Popolare sono prima di tutti ladri molto rispettabili.

I ruoli sono interscambiabili ed insieme costituiscono un coro. Il coro è fatto d’individualità, ognuna al servizio del gruppo: come in una famiglia allargata.

Il Teatro Popolare valorizza il repertorio del singolo per migliorarlo e metterlo al servizio del gruppo: - Cosa sai fare? Lo puoi fare? Fallo subito! Dopo lo trasformiamo…

L’attore deve essere anche autore. Il Teatro Popolare vuole coltivare nell’attore la responsabilità autoriale di ciò che fa, dice e racconta in scena. Questa responsabilità autoriale consente all’attore di creare - assieme all’autore, al drammaturgo di compagnia e al capocomico - il progetto o lo spettacolo durante il corso delle prove o del laboratorio.

Il Teatro Popolare vuole condurre i propri attori verso una consapevolezza improvvisativa: questo significa liberarsi dai vincoli imposti dal particolare personaggio che si va a rappresentare ed essere sempre pronti a reagire a quello che succede in scena. Bisogna essere sempre al servizio della storia che viene raccontata sul palco. Non bisogna permettere mai che il proprio personaggio diventi più importante dell’azione.
L’attore deve sempre tenere a mente l’arcata drammatica: solo così resta al servizio del gruppo e della situazione.

Recitare è sempre e innanzitutto un mestiere: all’inizio si acquisiscono gli strumenti, poi gli strumenti diventano appoggi con cui inventare giochi sempre differenti. Solo quando gli strumenti diventano appoggi si può aggiungere l’anima, il contenuto, la riflessione.

L’attore non deve pensare di recitare. Deve recitare e basta. Altrimenti si giudica, si controlla e finisce che fa sempre la solita parte.

L’attore è sempre serio, crede fino in fondo a quello che fa. In scena bisogna essere sempre credibili. Si può fare una scelta stilistica, ma bisogna portarla fino in fondo. La scelta deve risultare visibile, altrimenti si cade nei cliché.

Il mestiere dell’attore si impara in ogni momento della giornata. Lo spettacolo non finisce mai con lo spettacolo.

L’attore del Teatro Popolare prima di andare in scena non si dice: speriamo che vada tutto bene. Si dice: speriamo che succeda qualcosa.
È a partire da errori e incidenti che nascono le idee migliori. Se c’è un errore in scena, non bisogna fare finta di niente. Bisogna sfruttarlo, ripeterlo, ribaltarlo a proprio favore, mostrando al pubblico che tutto era voluto.

Il drammaturgo deve creare per gli attori e a partire dagli attori: non deve chiudersi nella sua testa ma osservare quello che succede in scena. Deve attingere ai giochi che nascono tra gli attori.

Infine, ma non per ultimo, c’è colui che dubita, elemento fondamentale nella COMPAGNIA DI TEATRO POPOLARE. Perché non bisogna mai andare troppo d’accordo, pur essendo in accordo.

III. COSA FA?

Il Teatro Popolare vuole raccontare storie, vuole creare un metodo di lavoro che faccia sognare, che faccia ridere, piangere e pensare chi lo vede e ascolta. E che dia da mangiare a chi lo fa.

Il Teatro Popolare parla delle cose che ci stanno a cuore. La storia che raccontiamo deve essere comprensibile anche ad un pubblico che non è abituato ad andare a teatro.

Contamina generi diversi, dal più basso al più alto, mettendo lo stile e la bellezza al servizio della storia. E’ pop: mischia le lingue, usa i dialetti, inventa un linguaggio nuovo e diretto.

IV. PER CHI LO FA?

Il Teatro Popolare cerca il modo di rianimare il pubblico in un’epoca in cui gli altri mezzi di comunicazione hanno ridotto l’attività del pubblico a zero e hanno abituato il pensiero all’inerzia. Il Pubblico è diventato passivo, privo di spirito critico.

Il Teatro Popolare NON recita al pubblico ma CON il pubblico: è drammaturgia istantanea.

Bisogna dare tutte le coordinate al pubblico, in modo che entri nella storia dall’inizio e si identifichi con i personaggi. Sul palco non esistono gesti casuali, anonimi, inespressivi. Ogni cosa deve avere un senso, deve assumere un significato che arrivi al pubblico. E se ciò non accade, si deve fare in modo che accada.
Il pubblico capisce chi bluffa e chi è sincero. Un gesto che non nasce da dentro è come una stonatura: si distingue perché resta fuori dal gruppo.

Perciò, di seguito, alcuni esempi su come il Teatro Popolare intende rianimare il pubblico in modo che diventi attivo, critico e mutabile:

1. Prima dello spettacolo, gli attori svolgeranno incursioni, azioni, scenette, interazioni con il pubblico in modo da rianimarlo già all’ingresso in teatro e prepararlo alla storia a cui assisterà. Gli attori e la Compagnia creeranno un rapporto intimo e diretto con lo spettatore, in una relazione uno a uno. Queste azioni saranno legate allo spettacolo e permetteranno al pubblico di predisporsi ad uno stato d’attenzione maggiore.
2. Gli attori avranno un doppio ruolo. Oltre al loro personaggio e alla loro presenza in scena in qualità di persone, gli attori assumeranno ciascuno una funzione specifica: il regista in scena, l’“a-parte”, l’animatore, il suggeritore, ecc. Queste funzioni sono volte a mantenere sempre dichiarato il gioco teatrale, mantenendo il rapporto col pubblico come se fosse un gioco a carte scoperte, senza “quarte pareti” o illusionismi ad effetto.
3. Uno o più attori racconteranno l’evoluzione del comportamento del pubblico dal carro di Tespi ad oggi passando per il teatro borghese, il cabaret, il teatro dialettale, il varietà; e si confronterà col pubblico stesso per capire cosa può fare il pubblico oggi per recuperare un ruolo attivo a teatro.
4. Alcune delle regole del Manifesto per un Nuovo Teatro Popolare possono essere inserite all’interno dello spettacolo come parte integrante del racconto teatrale (vedi Goldoni nel Teatro Comico, Moliére nell’Improvvisazione di Versailles, Garcia Lorca ne Il pubblico).
5. Per aiutare a tenere alta l’attenzione del pubblico, si può spezzare la trama con esercizi, giochi, flash, momenti onirici, antefatti, sub-plot, giochi temporali, dibattiti aperti tra la scena e la platea.
6. Gli artisti del Teatro Popolare giocano a comportarsi come se fossero gli attori/autori di una riforma teatrale. Giocano perché non prendono mai se stessi troppo sul serio, ma sul serio prendono quello che fanno. E non potrebbe essere altrimenti, dato che questa riforma nascerà da un gioco. Si gioca a creare/fare e rifare una riforma come se fosse uno scherzo che, però, forse, un giorno, improvvisamente diventa vero. E solo quando il gioco sarà da un bel po’ iniziato (non è ancora l’ora) verrà diramato il secondo comunicato del Manifesto per un Nuovo Teatro Popolare.

Quale spazio è rimasto al linguaggio popolare, stretto tra nazionalpopolare/populistico e volgare? In questo spazio dovrebbe aprirsi la piazza per allestire le scene del teatro popolare. In questo senso, se l’illusione mediatica è collusione delle coscienze, al teatro non resta che prender coscienza di questa delusione, e cercare una nuova illusione che sia allusione ai giochi bastardi del potere, dell’economia, delle decisioni di un impersonale destino. Del resto, se illudere, colludere, deludere sono le forme sviate, nell’uso che se ne fa, del ludere (giocare), allora tanto vale prendersi gioco dei giocatori, mettere loro in faccia la verità, come fanno i protagonisti di El nost Milan di Carlo Bertolazzi, le cui vicende ruotano attorno ai giochi di specchi, inganni, finzioni del circo, alle speranze del lotto, alla scelta di concedersi per non cedere alla fame. Quella povera gente non c’è più, ma la piazza virtuale è piena d’imbonitori e ciarlatani, guitti e truffatori. Meno tragici e meno genuini.


 
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