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BP2010 La responsabilità sociale di impresa a sostegno della funzione pubblica del teatro
Sponsorshp e Partnership
di Roberto Calari
 

La crisi della finanza pubblica, i tagli sistematici e colpevoli del Fus da parte del Governo accompagnano una crisi mondiale dove le regole, i principi e i valori dell’etica, della responsabilità individuale, dell’interesse e del bene comune paiono essere stati improvvisamente rimossi e relegati nella cantina dei “ricordi”.
Eppure il movimento di opinione e la crescita della coscienza collettiva, a partire dagli anni ’90, aveva messo fortemente in discussione un approccio “economicistico” e “privatistico” del fare impresa, cosi’ come la disinvoltura di un fare politica per “fare affari privati”, anziché il “bene comune”.
In tutti questi processi il fare teatro e, più in generale, il produrre cultura ha dovuto e potuto far i conti con una nuova necessità di reperire risorse e di motivare una diversa disponibilità ad intervenire da parte di soggetti privati, mentre cresceva la domanda sul senso del fare teatro, sull’autonomia indispensabile della produzione culturale, sulla necessità di contenere o arginare le spinte “economiciste”, ispirate, anche quando senza colpe soggettive, sempre più all’idea della “commerciabilità” e del “possibile successo” e, quindi, del ritorno economico delle produzioni prima che al loro ruolo “sociale”, di “ stimolo culturale”, di “ricerca di senso”, di “rottura”, di “provocazione”.
In questo difficile percorso la produzione culturale ha incontrato due ben distinti tipi di interlocutori, ben diversamente collegati a queste riflessioni e problematiche e, quindi, con impatti ben differenti sulle scelte artistiche e produttive, se non sull’effettiva autonomia artistica: gli sponsor e i partner.
a) Gli interventi di sponsorizzazione, tipicamente orientati ad avere un ritorno in termine di immagine istituzionale o, più frequentemente, di prodotto privilegiano produzioni di maggior capacità attrattiva sul pubblico e di maggiore “garanzia” di successo sul pubblico. Molto spesso lo sponsor preferisce spostare l’asse dell’orizzonte comunicativo che lo riguarda più che sul legame con il prodotto culturale realizzato, sui servizi o prodotti propri che potranno essere veicolati in modo autonomo e parallelo al pubblico di quel prodotto culturale: scarso o nullo coinvolgimento di “responsabilizzazione” sul prodotto culturale ed enfasi , invece, sulla capacità di comunicare in un contesto e rispetto ad un target ben definito di pubblico il proprio messaggio promozionale e pubblicitario. L’autonomia artistica di cosa produrre da parte del gruppo, associazione o compagnia, anche in questo caso, non è direttamente messa in discussione: ma è vero che più indirettamente queste realtà produttive saranno condizionate nelle scelte del cosa produrre dalla maggiore o minore “appetibilità” del prodotto per gli sponsor e per le loro logiche di ritorno comunicativo e pubblicitario.
b) Le Partnership, ovvero, le condivisioni “ragionate” di un progetto artistico pluriennale.
In questo caso siamo di fronte ad imprese che fanno un investimento di medio periodo sulla qualità di un progetto culturale e che tendono a legare parte della loro immagine, del valore “emotivo e simbolico” del proprio marchio anche a questa capacità, volontà di essere coprotagonisti di produzioni culturali e di spettacolo di particolare qualità e innovazione, posizionandosi su una sfera non di “ritorno di immagine diretta” o di “convenienza del costo investito per ogni “contatto” di pubblico, per la propria impresa, quanto sulla dimensione sociale del “sostegno alla autonoma produzione culturale innovativa” e “di qualità”, dove la qualità sta per la credibilità acquisita, il radicamento territoriale, i curricula professionali dei gruppi o realtà titolari dei progetti.
E’ a partire da questa seconda modalità di intervento che è nata e si è sviluppata una forma di relazione “virtuosa” tra imprese private e alcune realtà dello spettacolo: una formula che connette la scelta dell’impresa privata di praticare e rendere conto della propria “responsabilità sociale” verso i propri principali interlocutori o portatori di interessi con la disponibilità- volontà dell’impresa di produzione culturale di affermare e praticare contestualmente il proprio schema valoriale e la missione condivisa della propria progettualità, a servizio della collettività e del territorio in cui essa opera; di riaffermare nelle proprie scelte e nei propri comportamenti artistici, di uso delle risorse, di rapporto con i pubblici, con le amministrazioni locali e con gli altri operatori e produttori culturali “la funzione sociale del proprio agire teatrale o nella produzione culturale”
Le principali imprese italiane sono, intanto, andate verso la predisposizione e presentazione annuale di un Bilancio di responsabilità sociale o di sostenibilità , secondo standard sempre più affinati e condivisi, che costringono a “rendere conto” all’opinione pubblica ed ai principali stakeholders dell’impresa della dimensione, non “obbligata dalle leggi vigenti”, ma perseguita e scelta tenacemente, delle proprie azioni di responsabilità sociale.
Si spiega in questo modo il passaggio dalla precarietà ed occasionalità di un intervento principalmente “comunicativo” da parte delle imprese, alla nuova dimensione progettuale e di coinvolgimento ex-ante, nel momento della predisposizione dei budget da parte delle stesse, che non può che essere la condizione per interventi importanti sul piano economico, programmati nel tempo, misurabili nei risultati o negli scostamenti da quanto dichiarato. Il Bilancio di responsabilità sociale di Ugf Banca, di Coop, di Manutencoop, di Camst, di Granlatte spa, di Cadiai, di Ansaloni o di Murri, solo per restare ad alcune grandi cooperative presenti e radicate nel territorio bolognese, comprende,in modo discusso e partecipato con i soci e con gli interlocutori principali, le azioni rivolte a dare strumenti ed alimentare un sostegno diretto alla produzione culturale e alla sua autonomia. Una scelta a rafforzare, sostenere l’autonoma produzione culturale come fattore indispensabile di ricchezza e di futuro per il territorio in cui l’impresa opera. In questo, poi, in particolare la logica insita nella cooperazione, rispetto alle realtà private, di essere ostile alla delocalizzazione in quanto, come suo valore distintivo, prevalente espressione, unitamente alla propria base sociale, di uno specifico territorio favorisce la “trasparenza”, “tracciabilità”, “verifica di coerenza” delle azioni intraprese, oltre ad una diversa stabilità di relazione con i soggetti della cultura.
Analogamente la “best practice”, di sicuro valore internazionale, della presenza di oltre 1,400.000.000 euro di capitale di rischio-capitale sociale da parte di soci sovventori, cooperative e privati, all’interno della cooperativa Nuova Scena, Arena del Sole, Teatro Stabile di Bologna, ci da conto della qualità dei risultati prodotti e della stabilità e serietà delle relazioni costruite con il territorio da parte di questa esperienza a supporto della propria straordinaria attività di produzione culturale e di programmazione. In questo modello, quello cooperativo con la presenza nella compagine sociale di soci sovventori, la governance dell’impresa non è scalfita e resta pienamente nelle facoltà dei soci ordinari. Nel contempo ogni disavanzo dell’impresa va ripianato e fa capo direttamente ai soci che devono , quindi, sviluppare una funzione “sociale”, di teatro stabile di iniziativa privata di “interesse pubblico”, con l’assoluta capacità di far convivere qualità produttiva e di distribuzione ed “equilibrio” di un conto economico annuale che, altrimenti, necessiterebbe di un immediato e doloroso ripiano da parte di tutti i soci.
La scelta dichiarata e consapevole di molte grandi imprese private e cooperative di dare conto ai propri stakeholders di un sostegno alla cultura come fattore di civiltà e di sviluppo delle comunità in cui le imprese operano fa, paradossalmente, emergere una debolezza-arretratezza del settore culturale nel definire in termini di valori e comportamenti, in tutta trasparenza, la propria missione ed il proprio uso sia delle risorse “private” o “proprie”, sia di quelle pubbliche: manca, cioè, proprio nella cultura e nel teatro, che parrebbero invece i più vicini unitamente alla cooperazione sociale e alle onlus, a poter recepire questi indirizzi, una scelta ed una pratica coerente e consapevole di “comunicazione sociale” del proprio Bilancio, che si affianchi a quello per il Ministero e civilistico. Manca la scelta consapevole ed organica di avviare una grande stagione di trasparenza e di confronto, per dare conto ai propri stakeholders delle proprie scelte, delle proprie azioni, delle proprie finalità all’interno di uno schema valoriale dichiarato e pubblico: mancano, eccetto poche e pregevoli eccezioni,quale quella encomiabile della Compagnia dell’argine e del Teatro che ci ospita, i Bilanci di responsabilità sociale delle imprese, associazioni, Fondazioni che operano nello spettacolo... Eppure potrebbe o “dovrebbe” emergere da questa capacità di uscire dalla autoreferenzialità per confrontare giudizi, e dar conto di risultati, di azioni e comportamenti misurabili e valutabili in base a parametri quantitativi e qualitativi, quella “funzione sociale” “utilità sociale” dell’impresa-associazione dello spettacolo, sempre più urgente anche per incontrare “virtuosamente” nuove disponibilità private a sostenerne le progettualità nell’interesse delle comunità locali.


 
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