ateatro 127.25
Antichi e nuovi riti, tra antropologia e tecnologia
La scrittura sulle immagini di TeatroCinema al Napoli Teatro Festival
di Filomena Spolaor
 

En ese instántaneo cruce del tiempo y el espacio en que Filippo viaja mentalmente por las posibles existencias de los personajes, con el caótico desplaziamento que podría trazar una mariposa en vuelo, y con su tenue batir de alas que incide en los cursos de las vidas de cada uno de ellos.

In quell’istantaneo incrocio del tempo e dello spazio in cui Filippo viaggia con la mente per le possibili esistenze dei personaggi, con il caotico spostamento che potrebbe disegnare una farfalla in volo, e con il suo tenue battito d’ali che incide nei corsi della vita di ciascuno di essi.




El Hombre que daba de beber a las mariposas della compagnia cilena TeatroCinema ha debuttato alla fine di giugno all’interno del Napoli Teatro Festival (25, 26, 27 al Teatro San Ferdinando), co-prodotto dalla stessa direzione artistica della manifestazione con Scène National de Sète et du Bassin du Thau, il Centro Dramático Le Manège-Mons e il Festival Internazionale di Edimburgo. L’opera è la seconda parte di una trilogia concepita come una riflessione personale sulla nostra epoca e società, e iniziata con Sin sangre (Senza sangue, 2007), e la seconda co-produzione che la compagnia realizza con la Fondazione Teatro a Mil, FITAM di Santiago del Cile.
Nel 1987 Laura Pizarro e Juan Carlos Zagal fondarono insieme ad altri attori la compagnia La Troppa, costituendo un gruppo teatrale che si è sviluppato come un solido collettivo con importanti montaggi come El santo patrono, El rap del Quijote, Lobo, Salmón Vudú, Viaje al centro de la tierra, Pinocchio, Jesús Betz y Gemelos, con stagioni di successo in Cile e tournées attraverso paesi dell’ America, Europa, Asia. Nel 2006 hanno fondato la compagnia TeatroCinema, la cui caratteristica è l’innovazione del linguaggio generato nella composizione delle tecniche e delle forme narrative del teatro e del cinema.



Nell’ultimo istante della sua vita, Filippo sente la necessità di compiere un rito ancestrale che gli era stato trasmesso dall’ultimo sopravissuto di un antico popolo dimenticato: dare da bere alle farfalle che stavano uscendo dalla loro crisalide per orientarle nella loro migrazione. Nell’istante magico in cui la vita finisce e comincia allo stesso tempo, Filippo incontra per caso Juan, un direttore di cinema la cui fidanzata è costretta in un letto d’ospedale con un coma cerebrale. Inoltre lui lavora con Franco e Elisa, attori di traiettoria classica, con cui gira un film basato sul riferimento alla statua di un cavaliere e della sua dama, che rappresentano le basi della storia e della memoria di un amore epico. Si tratta di tre storie parallele e simultanee che gravitano intorno a un nucleo costituito dai pensieri che sorgono nella mente di un uomo che dava da bere alle farfalle. Questi universi paralleli si fondono in una edizione dal vivo della storia, utilizzando molteplici linguaggi narrativi. Si usano sfondi e composizioni digitali, filmati e animazioni 2D e 3D, che si mescolano con elementi tradizionali della messa in scena. Questa fusione consente allo spettatore di connettersi con la poesia visiva delle immagini.



Un “prologo in terra” viene espresso da quattro attori che si presentano tra alcuni alberi posizionati in scena, spossessati e disumanizzati dai frammenti anatomici che indossano, dettagli di un volto che fungono da addendi, quali un naso plastificato mezzo strappato e il calco di una maschera di cera tolta da un viso ermafrodita in attesa di sviluppo, embrione di una psicotecnica che invita la tecnologia a sviscerare stati di coscienza libera. Essi si dichiarano segni delle esperienze immersive e sobillano sull’avvento di uno spettacolo che li farà uscire da uno stato di coscienza limitata a un altro di libertà assoluta con i personaggi reali e fantastici delle tre storie. La compagnia si lancia all’avventura di esplorare il paradosso del tempo e dello spazio; l’istantaneità del racconto e del pensiero; la ricerca della felicità e dell’amore; il conflitto dentro il mondo interiore dei protagonisti e i mondi reali e tangibili che in questi si dissolvono. Filippo appare in scena indossando la veste bianca di uno stregone e cammina con leggerezza aerea sul palcoscenico, fermandosi tra due grandi schermi paralleli su cui sono proiettati video ad alta definizione, manipolati per mezzo di un processo di post-produzione digitale elaborato presso il Centro Rai di Napoli.



Il linguaggio con cui Filippo narra l’iniziazione a questo rito, interrogandosi sulla persistente esistenza della vita, unisce un’oralità e corporalità sapienziali alla grammatica virtuale delle infinite vite possibili create attraverso le variazioni ed estensioni figurative delle immagini video proiettate su i due schermi. Sullo sfondo si compongono paesaggi naturali della Land Art, come un deserto o il paradiso perduto di un lago circondato da larghe foglie verdi, poeticamente svuotandosi dei rapporti abituali di scala. Su questo virtual environment sono operate simultaneamente delle sovraimpressioni e proiezioni tridimensionali di Filippo, ripreso nell’atto di volare nel cielo inseguendo delle farfalle bianche, interagendo con i toni della natura, la cui luminosità cromatica è elaborata con effetti psichedelici, e originando fotogrammi in cui il corpo reale di Filippo si compone con quello dell’immagine, immergendosi in un insieme di percezioni visive e tattili, metafore di un viaggio nelle possibilità della mente, e svelando al pubblico la sottile distanza che separa l’atmosfera vissuta sopra una scala guardando le farfalle volare, dall’esotismo interiore vivisezionato dalla propria figura prospettata nello spazio del proprio sogno. Nella mimesi visuale di luoghi geografici (testi visivi) in cui sperimentare il proprio corredo grafico, la compagnia TeatroCinema ha concertato anche la sceneggiatura videotecnica relativa al racconto epico del cavaliere e della dama, narrato attraverso un video montato in sequenze di un setting d’animazione, un castello fantastico il cui sfondo è continuamente smembrato in tunnel infuocati, valli, cave, luoghi segreti. Interagendo attraverso di esso da apparati scenografici oggettivi come una finestra medioevale ad acute inferriate incastonata scenograficamente all’interno del flusso spiraliforme del castello animato nel video (da cui la dama lamentava con pena la lontananza del compagno in battaglia), Franco e Elisa, attori incaricati da Juan di interpretare in costumi d’epoca i personaggi del cavaliere e della dama dell’epica spagnola, hanno costruito un dialogo favolistico, mixando la recitazione melodrammatica a quella epica (risultato prodotto dall’intervento registico dello stesso Juan, che si inserisce nel plot per dare indicazioni di interpretazione, con la funzione sarcastica di spezzare l’illusione di realtà). Gli attori hanno incorporato la tecnologia applicata in modo istantaneo, cavalcando il drago di video-makers che hanno lavorato intervenendo sulle immagini in fase di post-produzione, attraverso flashback e flashforward, ellissi, pannelli, tagli diretti, vedute dello zenit, piani contrapposti, cambi improvvisi nell’asse della camera, per narrare in novanta minuti una storia di molti secoli e distante da quella contemporanea.
Si tratta di una rievocazione dell’epica spagnola, che nel periodo medioevale dell’invasione araba fu descritta dalle imprese del famoso hidalgo castigliano Rodrigo Diaz de Bivar, detto El Cid Campeador, alfiere della fede elevato a simbolo del nazionalismo spagnolo per aver strappato Valencia ai musulmani nel 1094, patriota fervente e spregiudicato mercenario, figura immortalata dai poemi ed opere letterarie (a partire da El Cantar de Mio Cid del XII secolo). La letteratura teatrale costituisce, per Teatro Cinema, una risorsa immaginativa e creativa che li ha condotti a interfacciare i corpi e gli sfondi digitali.
Alla narrazione fanta-scientifica della tradizione epica si è giustapposto il codice realistico tradotto nella storia di Juan, regista cinematografico la cui fattualità è attraversata dall’ambivalenza emotiva con cui assiste la moglie traumatizzata da un incidente in ospedale e dirige con spirito creativo le riprese del film con i due attori di taglio classico, Franco e Elisa. Il minimalismo scenografico del letto d’ospedale in cui è ricoverata la moglie, stravolge la densità della regia digitale virtuale delle altre due storie incorniciate dalle metamorfosi di pattern visivi, per concentrare un sentimento tutto umano nel ristretto percorso spaziale di una stanza, o le sensazioni comunicative della parola in uno studio cinematografico: una dialettica che ha rievocato lo stile di Lepage (in Lipsynch, presentato sempre al Napoli Teatro Festival, la voce è stata scarnificata nel suo congiungere significanti e significati all’interno del contesto postmoderno del rapporto tra teatro e cinema, labirinto frattale di citazioni in divenire). Le tre storie si sono intrecciate strutturando una temporalità multipla e una simultaneità di azioni, oltre le quali il video si è firmato come autore di una drammaturgia visuale nella sua qualità di dispositivo dell’erranza, calcolatore di una popolazione proliferante di luoghi, scrittura per immagini, delle immagini, sulle immagini.



TeatroCinema afferma l’unione del lavoro attoriale e drammatico con la prospettiva del compromesso con la poesia dell’azione, con la poesia delle immagini e con le storie che contengono significati profondi vincolati all’intensità della vita e dell’ essere, viaggi d’iniziazione che elevano i personaggi a livelli superiori di coscienza. La regia di quest’opera originale (non tratta da un libro preesistente) è firmata da un team di professionisti, composto da collaboratori con precise responsabilità nell’ambito dell’arte che definisce un video-maker: accanto agli autori della sceneggiatura, compaiono i responsabili del Diseño Integral (C. Mayorga, V. Meschi, L. Alcaide), della Dirección Multimedia (M. Petrovic), da cui si distingue l’Operador Multimedia (L. González), lo Story Board (A. Elizondo), il responsabile della Modelación Digital y Post Producción (Spondylus, E. González) e della Dirección de grabaciones (registrazione) en video (D. Tótoro, J. C. Zagal): la macchina tende al valore antropologico, vive di un’orchestrazione sintetica delle arti, con l’opera rinuncia all’idea di un’unica e omogenea modalità di rappresentazione (e di conoscenza), perseguendo in quell’avanguardistica operazione di rinnovamento tecnologico che ha caratterizzato la “riteatralizzazione” del Novecento teatrale “manipolando e frantumando il linguaggio e lo spazio-tempo del dramma secondo i punti di vista mutevoli della coscienza umana” (Anna Maria Monteverdi, Il laboratorio teatrale delle avanguardie, in A. Balzola – A.M. Monteverdi, Le arti multimediali digitali, Garzanti, p. 74).



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