ateatro 41.8
Riciclare l'ordine. Expo.02
Regione dei Tre Laghi - Neuchâtel-Morat-Bienne (fino al 20 ottobre 2002)
di Francesco Niccolini
 
Svizzera, territorio miracoloso e miracolato in fragile equilibrio fra natura e tecnologia. Dove tutto è in ordine ed ogni indigeno sa dove parcheggiare la propria auto, gettare la bottiglia verde e quella trasparente: storica incarnazione della neutralità assoluta (solo quest’anno la maggioranza dei suoi abitanti ha deciso di aderire all’ONU), potrebbe essere il terreno ideale per un’ampia riflessione sullo sviluppo sostenibile e su tutto quello che in qualche modo riguarda il destino dell’umanità e del pianeta. E’ proprio questo l’ambizioso tema scelto per l’ Expo 2002, visitabile fino al 20 ottobre prossimo nella zona dei tre laghi: Neuchâtel, Bienne (Biel, per gli svizzero-tedeschi), Morat (Murten) ed Yverdon-les-Bains. Considerando la concomitanza con il summit di Johannesburg, questo contraltare neutrale e popolare, adatto ad accogliere centinaia di migliaia di visitatori (3 milioni fino ad ora, di cui 400.000 stranieri) è indubbiamente una scelta condivisibile.
Splendida la cornice (vivamente consigliato il battello per spostarsi da un sede all’altra), splendidi i paesi, a partire da quella piccola Praga svizzera che è Neuchâtel, forse non a caso scelta per il suo ‘esilio’ da una scrittrice straordinariamente kafkiana come l’ungherese Agotha Kristof. Per tre giorni provo a muovermi tra le quarto Arteplage predisposte: Arteplage, arte e spiaggia, spiagge dedicate all’arte. Le quattro città, amabilmente appoggiate al lungo lago, uniformano esteticamente gli spazi espositivi offrendo le proprie incantevoli ‘discese a mare’ alle installazioni. L’impatto è sorprendente quanto suggestivo: acqua e terra, palafitte tecnologiche, torri, ponti, passerelle, addirittura una gigantesca nuvola artificiale (ad Yverdon, vento permettendo) ed un monolito gigantesco (Morat). Tutto sull’acqua, tutto estremamente moderno e contemporaneo, eppure con una strana sensazione di preesistenza e di antico. Ferro, legno e materiali sintetici si mescolano di continuo, secondo l’assioma di un recupero della materia naturale, ecologica e riciclabile che però non vuole sbattere la porta in faccia alla materia artificiale cui non si può più rinunciare. Con consapevolezza e misura, però. E se un limite si può riscontrare in tutto questo approccio è proprio nello straordinario buon senso che si respira in tutti questi spazi e nel cortese comportamento di tutti, dal sorridente personale di ogni singolo spazio all’ordinatissimo pubblico che fa code orarie per entrare dappertutto, allietato dagli artisti di strada e dai piccoli doni dell’Expo (verdissime mele biologiche imperversano per tutta Neuchâtel).
A Morat il tema portante è il Tempo, a Neuchâtel l’Artificio, Yverdon riflette sull’Universo, mentre Bienne è il luogo del Potere e della Libertà. Fatalmente il simbolo di quest’ultima sono tre torri che fra i tanti significati proposti dall’Expo, ad un anno esatto dall’11 settembre 2001 forse ne assume uno più inquietante: diventano infatti una gigantesca torre di Babele intorno alla quale è difficile capirsi e distinguere concetti fondamentali: prezzo, valore, immagine reale e pubblicitaria.
All’ingresso dell’Arteplage di Neuchâtel un gigantesco geode in legno (rigorosamente riciclato dall’Expo di Hannover di due anni fa e già pronto per un nuovo uso...) sintetizza disgrazie e contraddizioni del pianeta, per poi proporre gli estratti della dichiarazione dei diritti dell’uomo. L’accostamento risulta una delle più perverse e feroci forme di ironia (volontaria?) che il cronista cisaplino possa immaginare, a conferma delle contraddizioni di un pianeta dove predicare bene e razzolare sporco è regola applicata ben oltre il buon senso dei ricchi e dei potenti.
Impossibile restituire l’innumerevole vastità e varietà delle installazioni e delle tematiche: tutto è sensuale e sensoriale, la scelta (eccezion fatta per parte delle installazioni di Morat) è antimetafisica. D’altra parte, nell’immenso spazio di tutto ciò che è universo sensibile, la proposta è praticamente infinita: a Yverdon prevalgono amore, dolori, sogni (migliaia quelli raccolti in tutta Europa da bambini tra i 5 ed i 13 anni), salute, sport. Neuchâtel è il regno dell’Intelligenza Artificiale, dunque di Pinocchio, dell’acqua e dell’energia elettrica, della robotica e dei cataclismi naturali. A Bienne si guarda e si discute di frontiere, di lingue, di industrie, soldi e valore, di felicità e territori immaginari, tutti temi particolarmente cari alla Svizzera (in questo, Bienne è sicuramente la sezione più folkoloristica dell’Expo: assolutamente imperdibile la visita, dentro un carrello della spesa, di tutte le bellezze ed i valori d’Oltralpe, Heidi, esercito e lingotti d’oro compresi, all’interno di un padiglione-luna park-museo delle cere e degli orrori insieme sponsorizzato da una grande catena di supermercati svizzeri...).
Infine, nella bella Morat si inseguono i segni del tempo, dell’istante e dell’eternità, tra la nostalgia di mondi perduti per sempre ed i rischi della guerra e della violenza (assolutamente da non perdere è la visita in battello verso il Monolito, all’interno del quale ammirare il restaurato Panorama della Battaglia di Morat, dipinto circolare di fine Ottocento di centoundici metri di circonferenza), la cecità (altra esperienza eccezionale e realmente dolorosa la visita al Blindekuh, dove si entra solo su appuntamento e dove, nel buio più assoluto, si viene accompagnati da personale cieco a fare esperienza quotidiana della vita senza vista, in un incubo alla Saramago), e la fantasia inarrivabile e sfolgorante del nostro amico e maestro, Antonio Catalano da Asti, che ha potuto esporre quadri, pietre, piume ed armadi (‘sensibili’, giustappunto) in un teatro costruito appositamente per l’Expo sotto una pietraia.
E sicuramente la visita di Morat è quella poeticamente più affascinante agli occhi del visitatore in cerca di arte: messe da parte le grandi strutture tecnologiche e ipermoderne, qui domina la ruggine. Città ed Expo non sono separate da cancelli di ingresso, ma una vive dentro l’altra con segnaletiche uniformate che rendono davvero indistinguibili le installazione fatte ad hoc dalle strutture preesistenti. Una lunga via crucis di edicole rugginose (come in una sacra rappresentazione cinquecentesca) ai bordi del lago aggiunge una inquietudine metafisica che le certezze della tecnologia avevano fatto rimpiangere al più incallito dei cronisti atei. Negli spazi antichi, teatrali e bui di Morat, finalmente troviamo anche noi un prato dove addormentarci e sognare mondi migliori.

 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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