ateatro 60.30
Un teatro a cavallo del '68
Margherita Becchetti, Il teatro del conflitto. La compagnia del Collettivo nella stagione dei movimenti. 1968-1976, Edizioni Odradek, 2003
di Carla Pagliero
 

Il bel libro di Margherita Becchetti, giovane ed entusiasta studiosa parmense, ricostruisce in maniera fresca e immediata un piccolo pezzo di storia del teatro italiano che ben rappresenta le vicende di una generazione, quella uscita dai movimenti sociali degli anni Settanta profondamente trasformata sia nei rapporti sociali e umani che negli strumenti professionali e teatrali.
Le vicende raccontate prendono il via dagli anni Cinquanta, quando Parma era l’unica sede italiana che ospitava i festival internazionali di teatro universitario e dalla singolare esperienza del Centro Universitario Teatrale che, attraverso varie trasformazioni, conflitti interni, spaccature e cambiamenti di rotta approderà nel 1971 alla nascita della Compagnia del Collettivo e alla fine degli anni Settanta alla gestione di uno spazio teatrale ­– Teatro Due – che oggi costituisce una realtà di assoluto rilievo.
Il libro dà ampio spazio alle effervescenze sessantottine quando anche Parma viene toccata da quel processo di politicizzazione e sperimentalismo che, nella seconda metà degli anni Sessanta, si impose in tutto il mondo teatrale costituendo la premessa per il superamento delle scelte esistenziali e generazionali della cultura beat.
Spulciando i programmi del Festival internazionale del Teatro Universitario, in appendice al testo, che si tiene continuativamente a Parma negli anni che vanno dal 1953 al 1971 si scoprono passaggi interessanti di compagnie che in questo momento stanno portando avanti un preciso discorso artistico che, come nota Becchetti nel testo, conduce ad “un uso politico del teatro” improntato su caratteristiche tipiche delle avanguardie e che si riflette nei modi della produzione, della comunicazione, nell’abbattimento dei rapporti gerarchici fra registi, attori, produttori. Nel 1967 il Living Theatre porta a Parma una delle opere più prestigiose del proprio repertorio: L’Antigone di Brecht, mentre nel 1968 Jean Jacques Lebel, uno dei protagonisti dell’occupazione dell’Odeon di Parigi, presenta un happening, forma di comunicazione artistica importata dall’America, che mette in scena la contestazione.
Tra 1967 e 1968 vengono allestite opere emblematiche che riflettono lo spirito dell’epoca, si toccano temi scottanti e attuali quali il Vietnam, il terzo mondo, la morte del Che, la rivoluzione culturale cinese, lo sfruttamento del lavoro in fabbrica. Uno degli autori più ripresi è, non a caso, Bertolt Brecht.
Anche i modi della ribellione e dell’azione uniscono le vicende parmensi a quelle internazionali: il 5 marzo 1968 l’Associazione Universitaria viene esautorata dal movimento e sostituita dall’assemblea generale di ateneo. Vengono occupati l’università e il Teatro Regio, nell’ospedale psichiatrico di Colorno, viene allestito uno spettacolo in solidarietà con la lotta degli studenti di medicina e degli infermieri, nel dicembre si contesta l’inizio della stagione lirica, sull’esempio delle contestazione della Scala di Milano, della Biennale di Venezia, “se un teatro vuole essere rivoluzionario deve rivolgersi al Proletariato… ogni opera teatrale è una proposta rivolta all’uomo sociale… per un discorso di classe… l’arte è funzionale ai fini di interessi politici” si legge nel Documento del Centro Universitario Teatrale di Parma, dell’aprile del 1968. Anche i circuiti in cui portare l’azione teatrale diventano alternativi: fabbriche, ospedali psichiatrici… nel 1970 viene ideato un progetto che coinvolge uno dei quartieri popolari della periferia, Montanara: Quartiere aperto ’70. Decentramento culturale. Quartiere Montanara, undici serate con proiezioni, canti popolari, dibattiti, dove il pubblico è invitato a partecipare gratuitamente, viene coinvolto nei dibattiti e nello spettacolo.
Tra gli episodi che attraversano la vita del Collettivo viene sottolineata l’importanza dell’incontro con Gianni Bosio, Cesare Bermani e il gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano, che segna l’avvicinamento alla tradizione canora popolare italiana e anche ad una posizione estremamente critica nei confronti del PCI e dei sindacati accusati di operare una mediazione al ribasso fra istituzioni e classe operaia. La collaborazione con Bosio e Il NCI si concretizza con l’allestimento de La grande paura, sull’occupazione delle fabbriche del 1920, che metteva in scena quel teatro di classe, viva voce della cultura proletaria urbana tanto cara a Bosio. Il dissidio con il Pci fu vivacissimo e proseguì con virulenza anche maggiore durante l’allestimento di 1921: Arditi del popolo, messo in scena in occasione del cinquantenario delle barricate di Parma, che ribadì la critica viscerale nei confronti della politica del Pci e sancì la rottura con l’Arci che monopolizzava i circuiti alternativi di sinistra in quegli anni.
Alla fine degli anni Sessanta l’esperienza teatrale universitaria è oramai ampiamente superata, «restano», scrive Flavio Ambrosini, «i gruppi teatrali che hanno vissuto questa autodistruzione e che stanno faticosamente raggiungendo una loro definizione artistica, culturale, politica e sociale a un tempo». Molti abbandonano l’esperienza teatrale, altri scelgono il teatro come professione andando a costituire “la Compagnia del Collettivo” dove le consuete gerarchie vengono sostituite da una gestione assembleare. Il panorama italiano si presenta vivacemente articolato e ricco, proliferano le cooperative. Sorgono nuove sale teatrali.
Per la compagnia parmense sono gli anni in cui vengono recuperate le forme della satira politica e i generi popolari come la farsa e la canzone. Nel 1973 si propone La colpa è sempre del diavolo di Dario Fo, prima opera del futuro premio Nobel messa in scena da un’altra compagnia. E’ poi la volta de Le piaghe della santa repubblica, allestimento farsesco della storia d’Italia, e Il Figlio di Pulcinella dove l’opera del grande Edoardo viene riletta facendo emergere alcuni temi dibattuti quali il divorzio, la corruzione politica, le figure grottesche di certi uomini politici molto bersagliati dalla letteratura satirica dell’epoca, la lezione di Bosio appare superata e i modelli popolari diventano l’oggetto e non più il soggetto della produzione teatrale del gruppo.
La fase successiva è caratterizzata dal ritorno ad una ricerca più professionale e meno politica: l’occasione è data dalla trasformazione dello stabile dell’ex-Enal di viale Basetti, inaugurato il 16 novembre 1975. Il Comune affida lo spazio a un comitato dove sono presenti l’Arci e la Compagnia del Collettivo: il progetto prende il nome di Teatro Due: si organizzano incontri, corsi di recitazione, spettacoli. L’esigenza di dare una stabilità a questa esperienza porta alla firma di una convenzione con il Comune. Nel 1980 Teatro Due diviene il primo esempio di sala teatrale pubblica gestita da una compagnia privata. La compagnia non è più composta da giovani universitari, il teatro è diventato una professione vera e propria, anche il modo di lavorare non è più quello autogestito del collettivo e il rapporto fra politica e teatro diventa recupero dell’impegno civile e intellettuale, i dissidi con la sinistra storica si stemperano. Sono gli anni del riflusso e del recupero della professionalità che segnano senza interruzione di continuità il passaggio dall’esperienza esistenziale sessantottarda a nuove forme artistiche ma anche a nuovi atteggiamenti morali e culturali nell’esercizio della professione.

Margherita Becchetti, Il teatro del conflitto. La compagnia del Collettivo nella stagione dei movimenti. 1968-1976, Edizioni Odradek, 2003, pagg.187, € 12.


 
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