ateatro 68.20
Un incontro per fabbricanti di sogni
E' possibile costruire un nuovo mercato per il nuovo teatro?
di Franco D’Ippolito
 

No, non è che tutto il teatro che discute (almeno così mi pare) si stia lamentando della politica istituzionale in quanto strumento del cambiamento. No, è che noi siamo attoniti di fronte a questa politica istituzionale, sconcertati di fronte al convegno ds del 15 marzo (per gli invitati e soprattutto per il livello del confronto), scandalizzati all’esame delle posizioni del gruppo ds della Regione Puglia espresse nell’incontro del 3 aprile al Festival Meridionale dell’Unità di Taranto, negativamente meravigliati al racconto dell’incontro del 16 aprile al Teatro Vascello su "il teatro e il suo Sud". E non veniteci a dire che criticare tutto ciò significhi impedire una politica del cambiamento!
La politica istituzionale faccia i conti con la realtà del teatro italiano, con quanto Mimma Gallina sta raccontando fassbinderianamente su «Hystrio» ed accetti la sfida di Giovanna Marinelli a governare la cultura anziché occuparla per gestirne gli interessi! (Avere come unico interesse gli italiani è talmente eccezionale che, come le "mani pulite" del ‘75, è divenuto lo slogan elettorale del vice presidente del consiglio.)
Gli ultimi grandi cambiamenti che il teatro italiano ha prodotto sono, a mia memoria e percezione, il movimento dell’avanguardia teatrale (per dirla con un titolo di un famoso libro di Franco Quadri) e quello del teatro ragazzi. In tutti e due i casi "il nuovo che avanza" ha costruito un mercato in cui sperimentarsi, confrontarsi ed affermarsi: le cantine ed il decentramento il primo, il pubblico delle scuole il secondo. Senza quelle nuove modalità di produzione e di distribuzione, in mancanza di quelle nuove relazioni fra artisti ed organizzatori, ma anche fra spettacoli e nuovi spazi e un nuovo pubblico, forse anche quei cambiamenti sarebbero abortiti, sicuramente non sarebbero mai stati riconosciuti dalle istituzioni.
L’Eti di Bruno d’Alessandro, Oreste Lombardi e Alfonso Spadoni sancì quel "nuovo" con le rassegne Ricerca 1 (21 compagnie a Firenze nel ‘72) , Ricerca 2 e Ricerca 3 (33 compagnie in 14 città nel ’73 e nel ‘74). Nel 1975 Ricerca 4 si articolò in una rassegna per 12 compagnie in 6 città del nord, un Progetto Toscana in collaborazione con il TRT e una Sezione Speciale a Salerno, mentre al Sud nacque Proposta per un decentramento pugliese (13 compagnie in 15 città) che si ripeté l’anno dopo con Proposta Due per un decentramento pugliese (18 compagnie in 18 città). Organizzando queste due ultime rassegne ricordo bene quante difficoltà ed ostacoli incontrammo, ma anche quali risultati la forza del progetto artistico ed organizzativo seppe produrre in termini di affermazione del nuovo teatro e di insediamento di nuovo pubblico in nuovi spazi che si aprirono per la prima volta al teatro. E la stessa Eti qualche anno dopo in Umbria sancì istituzionalmente con Giovanna Marinelli il riconoscimento del teatro ragazzi che porterà poi allo Stregatto. E sempre in quegli anni l’esperienza del Teatro Regionale Toscano e dell’ATER aprirono al nuovo teatro spazi abbandonati e costituirono il modello a cui si riferirono i circuiti regionali che andavano nascendo in Abruzzo, in Puglia, in Toscana, in Calabria, intrecciando inedite relazioni fra produzione e distribuzione.
Il nuovo teatro ha bisogno di questo Ente Teatrale Italiano (ma anche di quello del Progetto Teatri a Sud nel triennio 1999/2001); di quella capacità dei circuiti regionali di farsi nuovo mercato e nuovo pubblico che può garantire spazi alla libertà delle nuove generazioni del teatro. Non certo dell’ente "inutile" per la gestione di tipo privatistico dei teatri Quirino, Valle, Pergola e Duse o dei compratori di repliche e ragionieri degli incassi al botteghino che sono oggi la maggior parte dei circuiti regionali.

Forse mi ripeto, ma sono sempre più convinto che il teatro debba produrre da sé il proprio cambiamento e poi, forte di questo, rivendicare una nuova politica della cultura che sancisca il diritto alla libertà degli artisti (dal mercato dei biglietti venduti) e degli organizzatori (dalla intromissione della politica nella gestione delle attività). Cosa impedisce oggi al teatro di produrre il proprio cambiamento così da permettergli di confrontarsi da una posizione di forza con le istituzioni? Non mancano gli artisti, né i progetti culturali, ci sono gli spazi ed il pubblico, ma sono ahimé marginali (se non addirittura estranei) al sistema teatrale italiano, al teatro dei decreti ministeriali, al teatro degli stabili pubblici, privati e di una parte di quelli di innovazione, al teatro dei circuiti regionali, al teatro dell’ente teatrale italiano.
Credo che la consapevolezza del nuovo teatro italiano debba farsi largo fra le lamentele e le difese dei piccoli orticelli: dobbiamo saper gestire ed amministrare le imprese teatrali affinché non sia monetizzabile l’attività bensì finanziata la creatività. Occorre prendere atto con coraggio e con ragionevole presunzione che alcune esperienze artistiche non possono più dire né dare nulla e che la difesa a priori di tutti blocca il sistema, impedisce il ricambio, marginalizza i nuovi talenti e le nuove professionalità, fatti salvi quei "prodotti di successo" spinti al consumo bulimico e poi abbandonati dagli stessi critici e dagli stessi programmatori che li hanno usati in ogni dove e per ogni quando.
La possibilità che ateatro sta offrendo al teatro italiano di confrontarsi, di interrogarsi, di polemizzare con e fra teatranti deve essere colta anche oltre il web. Chiedo a tutti di incontrarci e parlarci, riconoscendoci oltre la firma elettronica, per sperimentare insieme concretamente fin dalla prossima stagione 04.05 la possibilità di essere noi un altro mercato che consenta e tuteli, promovendo spettacoli e spettatori, il rischio dell’arte teatrale, che sostituisca il marketing del pubblico con il marketing della curiosità per i nuovi artisti, per la nuova drammaturgia, per i nuovi linguaggi dello spettacolo dal vivo. Senza organizzatori che scelgono l’arte del teatro piuttosto che il teatro del botteghino e così rinnovano il pubblico, non c’è futuro per nessuno.
ateatro si faccia luogo fisico e per questo un teatro (forse uno stabile d’innovazione?) organizzi un incontro prima della stagione dei festival in cui costruire "un nuovo mercato per il nuovo teatro". Voglio vedere poi se le istituzioni non faranno i conti con il cambiamento che avremo determinato e realizzato.
Non stiamo fermi ad aspettare che la politica istituzionale faccia per noi: quando il Potere dorme tocca a noi teatranti fabbricare i sogni di cui siamo fatti, come diceva Strehler.


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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