ateatro 85.15
Il Fatzer Fragment di Bertolt Brecht
Appunti per una interpretazione
di Nevio Gàmbula
 

Tutto il teatro di Brecht potrebbe essere citato come esempio di ricerca di itinerari creativi diversi da quelli consueti. Le nuove invenzioni – ed in particolare il concetto di straniamento – non servono a Brecht per un semplice arricchimento di possibilità teatrali: sono lo strumento per il manifestarsi di un pensiero che tende ad ampliare le capacità critiche dei soggetti che partecipano, da attori o da spettatori, allo spettacolo.
Tale concezione si esprime in modo radicale nel dramma frammentario La rovina dell’egoista Johan Fatzer, ancora inedito in Italia. Brecht lavorò al Fatzer tra il 1927 e il 1932, scrivendo oltre 500 pagine di appunti che comprendono alcune scene complete, parti del coro, note teoriche e frasi appena decifrabili. I quaderni e i fogli sparsi non hanno una unitarietà e sembra fossero stati concepiti da Brecht come una palestra di scrittura, piena di cancellature, aggiustamenti, frammenti non risolti. Al di là di ogni preoccupazione di giungere ad un prodotto finito, Brecht cerca qui di sviluppare una nuova drammaturgia in cui agisce uno sguardo insieme stupefatto e conflittuale; il risultato è altamente esplosivo. A scorrere questa grande abbondanza di appunti si coglie una lingua lucida, anche atroce, che uccide una volta per tutte la vuota fraseologia letteraria e teatrale e che mira a mettere in moto un meccanismo percettivo da “lama avvelenata di gelido dolore”. Il “tono” degrada la letterarietà e scende negli inferi di una semplicità spiazzante, definitivamente abbandonando le illusioni di una teatralità pacificata.

KOCH
Non sparate più. L’uomo non può
Nuotare sopra all’acqua del mare.
E chi nuota lo uccidono ancora
Le vostre navi da guerra. L’uomo non può
Volare da solo nel cielo, ma deve portarsi appresso la morte. Dove potrebbe fuggire lì uno!
Dappertutto
È l’uomo!

BÜSCHING
L’uomo è il nemico e deve cessare.

È stato Heiner Müller che per primo ha cercato di trarre “da una materia così grezza uno spettacolo rappresentabile”. Rinunciando ad una narrazione lineare e basata sulla evoluzione temporale della vicenda, Müller ha montato alcuni dei frammenti di Brecht per rispondere all’esigenza di elaborare una sorta di lunga suite della rivoluzione necessaria e impossibile, rovesciando uno dei grandi temi dell'umanesimo: la fiducia nei riguardi delle “magnifiche sorti e progressive” della società. Solo che l’umanesimo non è rovesciato nel suo contrario (il disincanto), bensì in una nuova consapevolezza della catastrofe presente: il comportamento dei protagonisti del dramma ha infatti, come esito finale, la disfatta.

CORO
Tutto questo è l’affare del tempo
Chi costruisce argini al fiume, vede, se solo vive
Abbastanza, l’argine cadere a pezzi o
Il fiume che resta fuori.

CONTROCORO
Vedete, il materiale fin qui è sufficiente
Mettetevi un ordine, ne resta abbastanza.
Portate acqua nei deserti, resta
Pur sempre sabbia. Non abbiate paura:
La fine non è raggiungibile!

Il dramma è ambientato in un periodo di grandi rivolgimenti. Siamo nel terzo anno della prima guerra mondiale e la Germania è attraversata da tumulti e scioperi generali. Nel novembre del 1918 i consigli degli operai e dei soldati, riuniti in assemblea, elessero un governo repubblicano, formato in maggior parte da socialisti. Sembrava realizzarsi il sogno di un’intera generazione: il potere nelle mani del popolo. Ma il movimento socialista fu duramente represso e non riuscì ad evitare la sconfitta. Queste circostanze storiche fanno lo sfondo entro il quale si svolge la vicenda di quattro disertori, i quali, abbandonato il proprio panzer dentro una buca, giungono in una città industriale della Germania, ora in preda al caos a causa della guerra e del malcontento.
Brecht coglie l’importanza di questo grande ciclo storico. Da una parte, come dimostra ad esempio la figura di Galileo, la crisi sociale lo spinge a scoprire nuovi valori e fiducia in “una nuova umanità”; dall’altra, come appunto scrive nel Fatzer, dalla Grande Guerra “sputò fuori una generazione / coperta di lebbra / che durò poco e che / rovinando si trascinò nella rovina / il mondo invecchiato”.
Emblematico è il coesistere, nello stesso autore e in personaggi contigui, di tematiche e di retroterra all’apparenza distanti, in realtà accomunate da l'evidenziazione di contraddizioni vitali, capaci cioè di scatenare trasformazione. La tipicizzazione del personaggio Fatzer segue le orme di un altro personaggio di Brecht: l’asociale Baal, il quale vaga senza meta e senza regole sino alla morte in solitudine. Però, nel frattempo, Brecht ha cominciato a studiare Marx, Engels e Lenin, ed ecco che a differenza che nel suo primo dramma (che è del 1922), nel Fatzer il comportamento anarchico e ribelle viene messo in relazione con le istanze pratiche del marxismo; ed anche la funzione del dramma cambia.
È di questo periodo la precisazione dei canoni estetici che caratterizzeranno da qui in avanti tutta la sua produzione, e in particolare al suo concetto di teatro epico. Il teatro contemporaneo – afferma Brecht – non è più in grado di esprimere le contraddizioni del reale, c’è bisogno di nuovi registri formali. Il più importante risultato delle sue teorizzazioni è sicuramente il passaggio da una adesione dello spettatore per empatia (commozione del pubblico fatta scattare dall’immedesimazione dell’attore nel personaggio), ad una adesione distaccata, che permetta al pubblico di tenere vigile la mente e di giudicare i diversi comportamenti che l’attore propone attraverso una recitazione “resa strana” (straniata). Le novità riguardano ogni aspetto della scena: da un utilizzo della musica non più come sottofondo, ma capace di aprire un discorso a sé stante; al rendere evidenti gli strumenti utilizzati (ad esempio i fari) allo scopo di rompere l’illusione di trovarsi nella realtà piuttosto che in teatro; alla gestualità incisiva; alla giustapposizione di episodi contrastanti; all’uso sapiente di un montaggio non lineare. Questa strada non poteva che condurre Brecht anche ad un lavoro di scavo del linguaggio. L’insieme dei fogli di appunti relativi al Fatzer fa infatti capire che, in quel periodo, Brecht stava conducendo delle prove di scrittura in relazione ad una visione marxista della storia.
La lingua del dramma non è ambigua, per lo meno nel senso che la sua “duttilità semantica”, piuttosto che oscurare i riferimenti extra-teatrali, e soprattutto ideologici, ne permette il riconoscimento. Proprio perché vive nella chiarezza di senso, la lingua del Fatzer richiede una comprensione particolare: PER ADESIONE CONFLITTUALE; il lettore (lo spettatore) deve essere posto in grado di valutare i comportamenti cui la lingua rinvia, deve scegliere tra due concretezze diverse; ma la scelta evoca l’interpretazione e la comprensione, dunque presuppone una attivazione razionale delle facoltà di pensiero. NEL FATZER L’ENIGMA NON È NELLE PAROLE, MA NEI COMPORTAMENTI. Le parole sono esplicite nel loro senso. Nel gioco dei rinvii da parola a parola, i riferimenti sono univoci: nel personaggio Fatzer si esprime l’egoismo anarcoide, di colui che antepone i propri interessi di singolo a quelli della classe cui appartiene, mentre il personaggio di Koch è funzione di una razionalizzazione dell’agire di tipo leninista. Nel tradurre queste “classi semantiche diverse” il lettore chiarisce a se stesso la direzionalità dei diversi agenti, ed è portato ad accettare o rifiutare, e comunque a valutare l’orientamento pratico dei personaggi: il testo richiede una presa di posizione critica rispetto a quanto enunciato. La non identificazione, tipico procedimento del teatro brechtiano, avviene dunque ad un livello di “direzioni ideologiche” presentate come alternative. Mentre nei drammi didattici composti nello stesso periodo del Fatzer l’antagonismo evidenziato è tra un comportamento ritenuto eticamente valido e devianza, nel dramma in questione, che pure in parte risente della rigidità degli stessi drammi didattici, le contraddizioni sono svolte su “piani inclinati”, sono sfuggevoli, quasi che ogni comportamento abbia come risultato la catastrofe. Qui la formazione (l’elemento educativo dei drammi) tradisce la speranza e l’atteggiamento positivista: la presa di posizione assunta, qualsiasi essa sia, conduce al fallimento. Ora, qui è evidente che la storia irrompe con forza nel dramma, e non solo come sfondo o come materia da elaborare. Il periodo è nettamente controrivoluzionario, a tutti i livelli. Se ci si asproccia ad una analisi della fase in corso nel periodo in cui Brecht sta elaborando il suo Fatzer (che è poi quella post il tentativo fallito dell’insurrezione spartachista), non si potrà non notare l’estrema difficoltà di intravedere uscite positive da una situazione che ha già fatto esplodere la democrazia nel suo risultato più estremo, il fascismo in Italia e il nazismo in Germania (che proprio in quel periodo sta accingendosi a prendere il potere); a fronte, per di più, di una involuzione del regime sovietico in senso autoritario. È un periodo, insomma, dove le speranze di realizzare “quella semplice cosa così difficile da realizzare” (il comunismo) sono ridotte a quasi zero e torna a battere alla porta “la marcia possente delle armate” controrivoluzionarie. È il personaggio Koch a palesare questa posizione di diffidenza, come anticipando la sconfitta:

KOCH
“ … la nostra causa è finita. E
In quest’ora che i suoni della vittoria
Annunciano la grande era del nostro nemico mortale
Rimandando la sua caduta ad un tempo indeterminato
Di cui solo questo è sicuro, che sarà molto tempo dopo
La nostra morte
”.

Questo punto è di capitale importanza. Non è certo un caso che Heiner Müller punti proprio sui frammenti del Fatzer per elaborare una scrittura “il cui vero piacere sia quello della catastrofe”. Alla fine della vicenda di Fatzer, scrive Müller, “c’è il nulla”. È un passaggio che in fondo ci riguarda, che riguarda la nostra epoca: finita la “speranza”, crollate le “illusioni rivoluzionarie”, resta la controrivoluzione.

KOCH
Troppo deboli per difenderci, noi passiamo All’attacco. (…)

CORO
Alzati, Keuner, e vai
Per la città e
Verifica se
Non ci sia qualcosa di meglio che
La vostra causa, che il Fatzer.
Osserva tutti quelli che incontri ed
Esamina ognuno! Senti i discorsi
E tasta la stoffa di cui
Son fatti le loro giacche e i loro pensieri
Se sono sazi o affamati
Se sopportano a stento ma
Se sono pronti a portare fatiche ancora più grandi per
Eliminare ogni fatica.
Perché ce ne fossero soltanto cinque
Nell’intera città
Che sono pronti e capaci
A sovvertire,
Unisciti subito a loro
Lascia stare ciò che è vecchio e
Decidi subito per il nuovo
Ossia: il rovesciamento totale. (…)

FATZER
Ma di tutte le imprese rimane
Solo questa: vivere.
Impresa di massimo rischio, quasi senza prospettive
Possibile solo attraverso la rapina, ma di ora in ora:
Ogni etto di carne fresca è una vittoria
Costruirsi questo tetto sulla testa di nuovo ogni ora
E il nostro unico trionfo, che forse non potremo mai vivere:
in margine a questi anni
esserci ancora.


(La traduzione – inedita – è a cura di Milena Massalongo)


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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