ateatro 85.26
L'esoterismo della crudeltà
Da "Macerata I-Mode Visions 2005" dedicata ad Antonin Artaud
di Alessandro Forlani
 

Nel 1937, rimpatriato da quel viaggio in Messico “alla ricerca di un’esperienza decisiva”, sulle tracce delle tribù indiane Tarahumaras dedite all’uso e al culto del fungo peytol, Artaud si interessa all’astrologia, al linguaggio dei tarocchi, le conoscenze esoteriche. Ne testimonia Les nouvelles révélations de l’etre, pubblicato in quell’anno con lo pseudonimo “Le Révélé”.
Certa aneddotica o agiografia pretende, ancora, che Artaud attribuisse in quel periodo un particolare potere magico-profetico ad un bastone regalatogli da René Thomas; che sosteneva appartenuto a San Patrizio e gli ispirò il progetto di un pellegrinaggio in Irlanda. Viaggio conclusosi con l’arresto e l’internamento di Artaud, allo sbarco a Le Havre, in manicomio in camicia di forza.
Nella Premessa alla traduzione/rifacimento de Il Monaco di Gregory Lewis (1931), capolavoro del romanzo gotico, Artaud afferma:

“Un libro come questo mi dà la sensazione della vita profonda molto più di tutti i sondaggi psicologici, filosofici o psicanalitici dell’inconscio; e, per conto mio, trovo sorprendente che cartomanti, tiratori di tarocchi, fattucchieri, dervisci, maghi, negromanti e altri reincarnati siano da molto tempo divenuti meri personaggi di favole e romanzi; e che uno dei lati più superficiali dello spirito moderno voglia che l’ingenuo sia colui che si dà ai ciarlatani. Io mi do ai ciarlatani, ai guaritori, ai maghi, agli stregoni e ai chiromanti, perché tutte queste cose sono.”

Un interesse per le scienze occulte, quello di Artaud, che alla luce della vicenda personale saremmo tentati di considerare bizzarria; peggio ancora lo scaltro espediente o la disperata risorsa di un guitto in condizioni di necessità. Ma ecco, se consideriamo la civiltà artistica dei primi decenni del XX secolo, che scopriamo che Artaud, in questo “delirio”, non è solo.

L’esoterismo influenza l’opera di William Butler Yeats, che in un verso di A prayer for my son (1928) si dichiara convinto, come Artaud, che “Such devilish things exists”. Gli “stregoni” popolano il trentennio, in modo particolare il famigerato Aleister Crowley, che ispira a W. Somerset Maugham il romanzo The Magus. C’è una sottile, curiosa affinità fra il “Fa ciò che vuoi. Ogni atto intenzionale è un atto magico” (Magick, 1904) e quel celebre passo del Il Teatro e la Crudeltà (1933):

“Al punto di logoramento in cui è giunta la nostra sensibilità è evidente che abbiamo soprattutto bisogno di un teatro che ci risvegli: nervi e cuore (…) Tutto ciò che agisce è crudeltà.”

Breton sperimenta la scrittura automatica, affine per metodo alla psicoscrittura degli spiritisti. Mac Gregor Mathers pubblica nel ’26, appena due anni dopo il Manifesto del Surrealismo, un’antologia di testi mistici ebraici con il titolo di The Kabbalah Unveiled. E Artaud, nel suo primo Manifesto:

“IL PROGRAMMA: Rappresenteremo, senza tener conto del testo (…) un frammento da Zohar: la storia di rabbi Shimeon, che ha il vigore e la violenza indomabili di un incendio.”

Ancora alla Cabala Mistica si dedica Violet Mary Firth (alias Dion Fortune); allieva del Carl Gustav Jung della Psicologia della Religione (1940) e Psicologia e Alchimia (1944). Ne The Burial of the Dead, primo canto di The Waste Land (1922) Thomas Sterne Eliot, con l’invenzione del personaggio di “Madame Sosostris, famosa cartomante”, usa la simbologia dei Tarocchi e delle leggende medioevali sul Santo Graal. Gustav Meyrink, forse lo scrittore–iniziato per eccellenza, avverte ne Il Volto Verde (1916):

“Di nulla l’uomo è tanto certo come di essere sveglio; in realtà è catturato da una rete di sonno e sogni che lui stesso ha tessuto. Più fitta è la rete, più potente domina il sonno; quelli che vi restano imprigionati sono i dormienti, che attraversano la vita come un branco di animali diretti al macello. Restare svegli è tutto.”

Antonin Artaud, ne Il Teatro e la Cultura, pare giungere alla medesima conclusione:

“E’ duro quando tutto ci induce a dormire, guardando con occhi fissi e coscienti, svegliarci e guardare come in un sogno, con occhi che non conoscono più la loro funzione e il cui sguardo è rivolto verso l’interno”.

Il ritorno alla tradizione esoterica, non già in virtù di certo oscuro fascino che tanti conquistò nell’età del Romanticismo quanto piuttosto come fondamento di poesia e d’indagine dell’animo umano, è diffuso. L’approccio dominante è quello antropologico, psicanalitico, estetico; interessa mano la dimensione del sacro. Ne deriva che l’esperienza mistica si riduce a dato culturale: interessante, utile, originale; mai tuttavia “perturbante” davvero. Jung e la Firth, da una prospettiva scientifica fosse pure non-convenzionale, si interessano soprattutto alla “connessione fra certi stati psicosomatici e gli quelli descritti dai ritualisti tantrici orientali e dalla tradizione cabalistica occidentale”; Eliot ammette:

“Non conosco esattamente la composizione del mazzo dei tarocchi, da cui mi sono allontanato, come si vede, per servirmene al mio scopo.”

Yeats, dalle altezze liriche di The Winding Stair e The Tower, facilmente scade in ben più di un’occasione, in un esoterismo post-romantico, “di maniera”, qual è quello di The Celtic Twilight e Rosa Alchemica. La mistica di Crowley è manifesto di scandalo ove non, addirittura, raggiro; il suo mazzo di tarocchi (disegnato da Frieda Harris) acquista valore più come prodotto di design che non come strumento divinatorio.
La singolarità dell’esperienza di Artaud sta al contrario nell’autentico tentativo di sintesi fra approccio moderno alla tradizione esoterica e comprensione profonda di quanto in essa sia di sacro. Essenzialmente nell’ambito della ricerca teatrale:

“Questo modo poetico e attivo di considerare l’espressione sulla scena ci porta sotto tutti i riguardi ad abbandonare l’accezione umana, attuale e psicologica del teatro, per ritrovare l’accezione religiosa e mistica di cui il nostro teatro ha smarrito completamente il senso. Che se poi basta che qualcuno pronunci le parole religioso o mistico perché lo si scambi per un sacrestano o per qualche bonzo profondamente illetterato ed estrinseco di un tempio buddista, buono tutt’al più per manovrare una sonagliera fisica di preghiere, questo denuncia soltanto la nostra incapacità di trarre da una parola tutte le sue conseguenze, e la nostra profonda ignoranza dello spirito di sintesi e di analogia.

Per quanto vasto, questo programma non va oltre il teatro, che a nostro parere si identifica in sostanza con le forza dell’antica magia.”


Si insiste più volte sull’identità Magia-Teatro nel Manifesto per un teatro abortito (1927) e Teatro Alfred Jarry Stagione 1928:

“Concepiamo il teatro come una vera operazione di magia.”

“Il Teatro Jarry non bara con la vita, non la scimmiotta, non la illustra, tende a continuarla, ad essere una specie di operazione magica suscettibile di qualsiasi sviluppo. Obbedisce in ciò ad un’esigenza dello spirito che lo spettatore sente nascosta nel suo intimo. Non è il momento di fare un corso di magia attuale o pratica, ma si tratta proprio di magia.”


Che il recupero di certa funzione dell’occulto debba avvenire nelle forme dell’occulto – il tempio, il rito, il mago che l’officia – è soprattutto evidente nei capitoli del Primo Manifesto del Teatro della Crudeltà dedicati allo Spettacolo:

“Grida, lamenti, apparizioni, sorprese, colpi di scena d’ogni genere, magica bellezza dei costumi ispirati a certi modelli rituali.”

alla Regia:

“Intorno alla regia, intesa (…) come punto di partenza di qualsiasi creazione teatrale, si costituirà il linguaggio tipico del teatro (…) Scomparirà l’antico dualismo fra autore e regista, sostituiti da una sorta di Creatore unico.”

Alla Scena e la Sala:

“Abbandonando i teatri attualmente esistenti, prenderemo un capannone o un granaio qualsiasi, che faremo ricostruire secondo i procedimenti utilizzati nell’architettura di certe chiese o luoghi sacri in genere, e di certi templi dell’Alto Tibet.”

Questi segni non si allontanano dall’origine per servire, come in Eliot, ad altri scopi. Non intendono essere volgarizzati e tradotti, perché, di conseguenza, resterebbero sconsacrati. Al rifiuto poetico della parola e del testo per rigenerare linguaggio, espressione e contenuto; al rifiuto programmatico del teatro borghese per rigenerare una civiltà del teatro, corrisponde il rifiuto di categorie della sensibilità diverse dalla mistica per ritrovare, integri, l’esoterico e il sacro. I tentativi di Yeats, di Fenollosa o di Ezra Pound di raccontare in Teatro No i poemi celtici medioevali sono per Artaud tentativi falliti in partenza:

“L’antico totemismo degli animali, delle pietre, degli oggetti stregati dal fulmine, degli abiti impregnati di bestia, insomma tutto ciò che serve a captare, a dirigere e a stornare forze, è per noi cosa morta, dalla quale sappiamo trarre soltanto un beneficio immobile ed estetico, un beneficio da spettatori e non da attori.”

E’ la magia lo strumento del “risveglio”: nella prima, pura e semplice accezione del termine che ricorre nel Il teatro e il suo doppio. Ma la seduzione spesso ridicola del “primitivo” ideale e irreale, del misterioso esotico, di un occulto letterario nella migliore delle ipotesi, ideologico nella peggiore, non tocca Artaud: ed in questo senso il suo è un approccio autentico e moderno. Il teatro e il suo doppio, pur se arriva ed invocare “la mitragliatrice”, o “bombe da mettere in qualche posto” non vagheggia antistoriche o indifferenti-alla-Storia o pericolosamente contrarie-alla-Storia identità celtiche o ariane.
Già nel Teatro Alfred Jarry nel 1930 è vigorosamente annunciata questa presa di posizione, in un passo che altrimenti inteso contraddirebbe da solo le precedenti asserzioni:

“Il Teatro Alfred Jarry rinuncerà a tutti i mezzi che hanno a che fare da vicino o da lontano con le superstizioni, come: sentimenti religiosi, patriottici, occulti, poetici ecc. se non per denunciarli o per combatterli. Non si ammetterà che la poesia di fatto, il meraviglioso umano, cioè svincolato da ogni aggancio religioso, mitologico o fiabesco, e l’umoristica, unico atteggiamento compatibile con la dignità dell’uomo per cui il tragico e il comico siano divenuti una falsa alternativa.”

E’ pur vero che, ancora nel Manifesto per un teatro abortito, Artaud risponde alla Rivoluzione Surrealista, “di poltroni”, con toni che sanno di fascinazione Romantica; di un esoterismo alla Fulcanelli del Mistero delle Cattedrali (1925):

“La Rivoluzione più urgente fare è in una specie di regressione nel tempo. Torniamo alla mentalità, oppure semplicemente, alle abitudini di vita del Medioevo, ma veramente, e per una specie di metamorfosi nelle essenze, e mi convincerò allora che avremo fatto la sola Rivoluzione di cui valga la pena parlare.”

Ma la sede è ancora quella del pamphlet: occorre riferirsi agli scritti più maturi e soprattutto teoricamente più strutturati, ove l’occulto si spoglia d’ogni attributo letterario, pittorico, storico, accidentale e viene inteso in senso assoluto come “via” per ridestarsi da un torpore universale, che non può conoscere soluzione razionale. Si converrà che Il Teatro e il suo doppio - e il Manifesto del Teatro della Crudeltà - nascono dunque da una condizione dell’individuo che è propria ed esasperata di un secolo, “punto di logoramento cui è giunta la nostra sensibilità”. Il torpore della civiltà occidentale.

Alessandro Forlani, Macerata, 18.05.2005

NOTE

1 Traggo queste notizie (e i brani da Il Teatro e la Cultura; La messa in scena e la Metafisica, il Primo Manifesto del Teatro della Crudeltà citati di qui in avanti) da Antonin Artaud; Il teatro e il suo doppio; Einaudi, Torino, 2003.
2 M.Gregory Lewis – Antonin Artaud; Il Monaco; Bompiani Tascabili, Milano, 1989.
3 The Tower - A prayer for My Son, v. 11; in W.B. Yeats, Collected Poems, Vintage, London, 1992.
4 Lo Zohar, il “Libro dello Splendore”, è un’opera cabbalistica monumentale autorevole quanto la Bibbia e il Talmud, di origine medioevale (si data al 1305), per lo più in forma di dialogo o parabola. Impossibile stabilire qui con precisione a quale “storia di Rabbi Shimeon” Artaud si riferisca.
5 Più estesamente: “Non solo il titolo, ma il disegno e gran parte dei particolari simbolici di questo poema sono stati suggeriti dal volume di Miss Jessie L. Weston sulla leggenda del Graal, From Ritual to Romance. Devo tanto a codesto libro che esso chiarirà le difficoltà del poema meglio delle mie note; e io lo raccomando (indipendentemente dal grande interesse che presenta di per sé stesso) a chiunque giudicherà che il poema valga la pena di venire illustrato. Ho anche un debito di carattere generale verso un’altra opera di antropologia che ha avuto un profondo influsso sulla nostra generazione, cioè The Golden Bough del Frazer; mi son servito specialmente dei due volumi Adonis, Attis, Osiris. Chiunque è familiare con queste opere riconoscerà immediatamente nel poema certi riferimenti a riti di vegetazione.” T.S. Eliot, note a La Terra Desolata; Einaudi, Torino, 1994. Il Ramo d’Oro della Magia e la Religione e l’opera tutta di James G. Frazer, come in queste note indicato, rappresentarono un fondamentale punto di riferimento per gli intellettuali dei primi decenni del Novecento che si interessarono di Esoterismo e Scienze Occulte.
6 Dion Fortune, La Cabala Mistica; Astrolabio, Roma, 1973.


 
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