ateatro 86.12
Le recensioni di ateatro: La crociata dei bambini
I Sacchi di Sabbia a Castiglioncello
di Erica Magris
 

Nella locandina del lavoro presentato al Festival Inequilibrio 2005 il 7 e l’8 luglio a Castiglioncello, I Sacchi di Sabbia scrivono che si tratta di “una tappa anomala del nostro percorso artistico, quasi la necessità di un allontanamento "da noi", dalle nostre modalità produttive.” La crociata dei bambini presenta in effetti diverse “anomalie” che lo rendono allo stesso tempo particolarmente interessante ma difficilmente descrivibile.
Innanzitutto il formato del lavoro è spiazzante: non si tratta di uno spettacolo unico di durata “standard”, ma di tre microspettacoli di venti minuti ciascuno, concepiti non come tessere di un mosaico più ampio, ma come frammenti completamente autonomi e a sé stanti. Hanno infatti la stessa macrostruttura spaziale e drammaturgica, ma si differenziano per i materiali testuali pronunciati, per il trattamento ritmico-sonoro del tessuto verbale e per la combinazione degli attori. Ogni gruppo di dodici spettatori ammesso ad ogni sessione assiste solo ad uno dei tre microspettacoli. Le esperienze e i ricordi di questo evento teatrale a tre facce saranno quindi simili e allo stesso tempo diversi. D’altra parte, anche il genere non è facilmente definibile, come traspare anche dall’ambigua definizione scelta per la locandina: “concerto-studio per visioni e suoni”. Racconto? Oratorio? Performance? Ognuno di questi termini risponde parzialmente alle caratteristiche del lavoro, ma non lo comprende interamente. Infine, non si tratta propriamente di una produzione della compagnia, ma del risultato di un laboratorio tenuto da Giulia Gallo e Giovanni Guerrieri insieme al musicista Bruce Borrini con gli allievi della scuola del Teatro Sant’Andrea a Pisa, a partire dal testo di Marcel Schwob La crociata dei bambini, pubblicato la prima volta nel 1895. Il lavoro è quindi sostenuto da attori non professionisti, che hanno compiuto un lungo percorso di studio del testo; all’inizio del laboratorio non era prevista la realizzazione di uno spettacolo da presentare al pubblico, ma man mano che si proseguiva nell’esplorazione del testo di Schowb, l’entusiasmo per il lavoro ha imposto di suggellarlo con l’incontro con gli spettatori.
Il testo di Marcel Schowb, dedicatario dell’Ubu Roi di Alfred Jarry, sembra allontanarsi dai temi prediletti dalla compagnia e dalla sua particolare ricerca sul linguaggio comico. Il libro tratta di un fatto oscuro ed inquietante, accaduto nell’Europa cristiana del tredicesimo secolo, quando trentamila ragazzini provenienti dalla Francia e dalla Germania, di età compresa fra i 4 ai 12 anni, formarono una sorta di improbabile esercito e si misero in marcia per raggiungere la Terra Santa e liberare il Sacro Sepolcro dagli Infedeli. Convinti che il mare si sarebbe aperto davanti a loro per lasciarli avanzare, molti, giunti al porto di Genova, si buttarono nelle acque e annegarono; altri si imbarcarono e furono venduti come schiavi, altri ancora proseguirono a piedi via terra e perirono di stenti lungo il viaggio. In realtà, La crociata affascinava i Sacchi di Sabbia, in particolare Giovanni Guerrieri, già da molto tempo ed era stato utilizzato in forma di frammento irriconoscibile in diverse creazioni, in particolare in occasione del Teatrino di San Ranieri a Pisa. L’argomento, così fosco e apparentemente lontano dal nostro presente, è ricco di suggestioni: in generale suggerisce una riflessione profonda sul futuro che si uccide, ed in particolare richiama alla mente tragiche vicende e peripezie cui sono condannati anche oggi i bambini nati nella miseria e nella guerra.

Fin dall’inizio, nel novembre dello scorso anno, il laboratorio del Teatro Sant’Andrea è stato imperniato sulla prosa poetica ed evocativa di Schowb. Invece di lavorare sulla nozione di personaggio, sul gesto e sull’azione drammatica, Giovanni Guerrieri e Giulia Gallo, hanno condotto gli allievi della scuola in un percorso di lettura del testo, finalizzato ad esplorare le possibilità espressive dello strumento vocale. Supportati dalla presenza di Borrini, che aveva già in precedenza collaborato con I Sacchi di Sabbia, i partecipanti si sono progressivamente appropriati del testo e hanno trovato delle sonorità, delle modulazioni, dei ritmi, che sono stati man mano rielaborati in una partitura in cui la partecipazione individuale è definita da una concertazione corale molto precisa.
La storia dei bambini-crociati è raccontata per frammenti da due differenti tipologie di narratori, ispirate alla struttura dell’edizione italiana del libro (Milano, La biblioteca blu, 1972). Il testo di Schwob si presenta come una raccolta di racconti in prima persona di alcune figure che parteciparono all’esercito dei bambini o che ne ebbero notizia: il goliardo, il lebbroso, papa Innocenzo III, tre bambini, lo scrivano François Longuejoue, il Kalandar, la piccola Allys, papa Gregorio IX. Ogni testimonianza condensa in poche pagine impressioni, reazioni, preghiere, che lasciano al lettore ampio spazio all’immaginazione e alla suggestione. Fra “oscure foreste, e acque, e montagne, e sentieri pieni di rovi”, fino al “cielo liquido” del “mare divoratore orlato di bianco” e alla “terra ardente” dove “tutto è bianco”, si ricompone la tragica avventura dei bambini, minacciati continuamente dalla fame, dagli stenti e da “uomini maligni” che “crepano gli occhi ai piccini e segano loro le gambe per mostrarli e chiedere la carità”. Gli editori italiani hanno poi scelto di racchiudere l’opera fra una prefazione di Jorge Luis Borges e due brani che illustrano la realtà storica della crociata dei bambini, il primo di Steven Runciman, autore della Storia delle crociate edita da Einaudi, il secondo di Alphandéry e Dupront, autori di uno studio sulla cristianità e sull’idea di crociata. Nello spettacolo, una voce narrativa più “storicizzante” e “oggettiva”, costruita a partire da brani di testi di Borges e degli storici, accompagna l’intervento dei personaggi-testimoni. Le due voci sono affidate a due gruppi distinti di sei e quattro attori, che si distinguono per le modalità di resa vocale utilizzate e per la disposizione nello spazio. I due gruppi sono infatti posti l’uno di fronte all’altro; in mezzo ad essi, si trovano gli spettatori seduti su un’unica fila di sedie, coinvolti fisicamente nel responsorio fra i gruppi narranti.

Il rapporto fra gli spettatori e gli attori è uno dei perni su cui si fonda la comunicazione dello spettacolo. Giovanni Guerrieri e Giulia Gallo hanno costruito la posizione dello spettatore con un dispositivo di visione e di coinvolgimento semplice ma di grande efficacia, giocando sulla dialettica fra prossimità e distanza. I dodici spettatori entrano al buio e in silenzio, si accomodano sulle sedie. Lentamente, entra il primo gruppo di attori, che si posiziona in piedi di fronte ad essi al limite del contatto fisico. Si accendono le luci e lo spettatore si ritrova a osservare e ad essere osservato da queste figure vestite di nero. Qualche secondo di silenzio, che pare lunghissimo, e poi inizia un bisbiglio corale, in cui tutti gli attori sussurrano il medesimo testo, ma con tempi sapientemente sfasati: “Un giorno di maggio del 1212 apparve a Saint-Denis, dove re Filippo di Francia teneva la sua corte, un pastorello di circa dodici anni, di nome Stefano, che recava con sé una lettera per il re…” Mentre terminano l’introduzione con le parole “dicono che ne sia rimasta eco nelle tradizioni del Pifferaio Magico”, gli attori capovolgono degli specchi rettangolari che tenevano fra le mani e mostrano agli spettatori lo spazio alle loro spalle. Le luci illuminano progressivamente quattro figure su una pedana immobili come il gruppo scultoreo di un bassorilievo: sono i testimoni, che il pubblico vede solo riflessi in uno specchio, come se fossero gli spettri emersi da quelle acque marine in cui i Genovesi temevano di veder apparire i bambini annegati. Questa volta le voci degli attori compongono una polifonia ricca di contrasti fra toni alti e bassi, fra ritmi distesi e accelerati, fra soli e momenti corali. Nell’alternanza sonora e visiva fra i racconti frammentari e sconnessi dei testimoni e le parole più razionali dei narratori, tra l’immediatezza dello sguardo diretto negli occhi dell’attore e la distanza dell’immagine riflessa, gli spettatori seguono l’esercito dei bambini per la strade d’Europa, fino al porto di Genova dove essi aspettarono invano che il mare si aprisse per farli passare. Il racconto verbale è accompagnato da alcune immagini stilizzate di Giulia Gallo, che stigmatizzano alcuni momenti della vicenda: alle spalle del pubblico vengono fatte scorrere delle silhouette scure che rappresentano i bambini in cammino con le croci e i bastoni da pellegrini, i bambini annegati in mare fra pesci indifferenti, una nave attaccata dai flutti. Quando sulle parole finali dei narratori gli specchi vengono riabbassati e le luci si spengono, gli spettatori restano come ipnotizzati, ancora immersi nell’universo di suoni e visioni che è stato loro costruito intorno utilizzando pochi materiali essenziali – la voce, il corpo, la luce, gli specchi, le silhouette.
L’operazione dei Sacchi di Sabbia è un’esperienza disorientante e coinvolgente, sia per gli spettatori che per gli apprendisti attori coinvolti nel progetto. Come lo spazio intimo della sala del camino del Castello Pasquini si è rivelato suggestivo proprio rispetto a quel Medioevo evocato dallo spettacolo, così altri luoghi raccolti e carichi di passato sarebbero particolarmente indicati ad accogliere questo lavoro. Speriamo che riesca ad essere presentato ancora, nonostante l’anomalia del formato e del gruppo attoriale, innanzitutto nell’affascinante cornice della chiesa sconsacrata di Sant’Andrea a Pisa, sede della compagnia.


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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