ateatro 87.9
Nel paradiso delle marionette
Il festival “Marionette e burattini nelle Valli del Natisone”
di Fernando Marchiori
 

A parlarne si ha quasi timore di rompere l’incantesimo, ma non si può fare a meno di segnalare la magia di un festival che ogni estate trasforma un lembo estremo del Friuli ai confini con la Slovenia in un palcoscenico naturale dove burattini e marionette, sagome e ombre fanno incontrare i pochi abitanti di paesini abbarbicati alle rocce o distesi su imprevisti pianori con un pubblico di infaticabili appassionati del teatro di figura, di escursionisti solitari e soprattutto di bambini e famiglie.



Dal 1994, prima come settore “Marionette” del “Mittelfest” poi in forma autonoma, il festival “Marionette e burattini nelle Valli del Natisone” sparpaglia le sue proposte internazionali (oltre che dall’Italia gli artisti provengono soprattutto da Slovenia, Croazia, Austria e dai Paesi dell’Europa centrale e orientale) in fienili, piazzette, sagrati, sotto una pergola o dentro una legnaia. Qualche panca, le sedie portate fuori dalle case e la sorpresa degli spettatori che salgono anche con la pioggia, che non mancano un appuntamento, che ritornano anno dopo anno.
Si arriva inerpicandosi per stradine nei boschi, lungo il fiume, attraversando minuscoli borghi silenziosi nel verde, fermi in un tempo altro che il teatro ha saputo riconoscere e rispettare. È la Slavia italiana, manciate di case intorno a campanili che sbucano tra il verde folto, “le felci come un viso che si impara dietro il muro del paese”, ha scritto il poeta di Nimis Mario Benedetti (Umana gloria, Mondadori 2004). I suggestivi toponimi hanno suggerito a Carlo Podrecca – linguista e padre del grande Vittorio, nato in queste valli – fantasiose escursioni etimologiche e negli accostamenti sonori di Alfonso Cipolla, curatore del bel volume Marionette Burattini nelle Valli del Natisone – Oltre i confini di un festival (pubblicato dall’Ente Regionale Teatrale del Friuli Venezia Giulia) “diventano quasi una formula arcaica per varcare una soglia aperta sull’immaginazione”:

Merso, Mersino, Biacis, Postregna,
Pulfero, Drenchia, Savogna, Stregna,
Cras, Masarolis, Rodda, Crostù,
Oborza, Togliano, Terpenica, Dus.

Cialla, Clastra, Clenia, Cosizza,
Picig, Paciuch, Cepletischis, Podpolizza,
Plataz, Podlach, Picon, Postacco,
Tribil, Zamir, Seuza, Grimacco.




Questi luoghi, e altri dispersi anche oltre confine, non solo hanno accolto con favore gli insoliti pellegrinaggi al seguito di fantocci e teste di legno, offrendo ospitalità a un festival itinerante che ha nella discrezione il suo carattere migliore, ma si sono decisamente appropriati della manifestazione fin dalle sue prime edizioni, come racconta il direttore Roberto Piaggio. L’erba appena tagliata sul prato o il pane e salame offerto alla fine di uno spettacolo sono per i paesi delle valli un modo per vivere il festival da protagonisti, “per mettere in mostra se stessi col pretesto dei burattini”, scrive Cipolla. La complicità tra residenti, artisti e spettatori consente di risolvere problemi tecnici e imprevisti meteorologici. Ricordano gli organizzatori che a Pulfero una volta, sotto un improvviso temporale, pubblico e compagnia trovarono rifugio in un ristorante e lo spettacolo andò in scena nella sala da pranzo, spostando tavoli e clienti. Un’altra volta a Topolò si fece uno spettacolo dentro una stanza al pianterreno con gli spettatori che guardavano dalle finestre con gli ombrelli aperti.
Radicamento e vocazione transfrontaliera, informalità e competenza non si escludono dunque in questa realtà unica nel panorama dei festival teatrali, dove l’ingresso a tutti gli spettacoli è gratuito (quest’anno erano ben 42) e il premio all’opera migliore (la Marionetta d’oro) viene assegnato secondo il giudizio espresso dal pubblico, oltre che da una commissione di esperti.



Paolo Papparotto con La casa stregata è il vincitore dell’edizione 2005. Il burattinaio di Treviso ha messo in scena a Stregna un’ulteriore versione della favola veneta nota come Giovannin senza paura (o Butta butta). Pantalone speculatore immobiliare ha comprato a prezzo stracciato una casa stregata. A combattere i fantasmi manda però Arlecchino e Brighella, pronti all’avventura in cambio di un pollastro. Papparotto prosegue dunque il suo lavoro di recupero al linguaggio burattinesco della grande tradizione delle maschere veneziane, con le quali ha già affrontato Goldoni, Gozzi, Ruzante. Ma nelle Valli del Natisone è tornata quest’anno anche la tradizione toscana con La storia di Baccellino della compagnia Pupi di Stac e quella napoletana con le guarattelle di Michele Roscica (Le farse di Pulcinella); sono passate le teste di legno di Michele Polo (Dighe de sì, testo e regia di Gigio Brunello) e la bella storia di Jacopo e i pirati mammalucchi messa in scena da Ortoteatro di Pordenone; dalla Slovenia sono arrivati Carta sasso forbici della compagnia Papilu Gledalisce e La casa della tartaruga Morgan del Teatro Matita; dalla Croazia l’Accademia di Osijek con Il pupazzo-uomo o l’uomo-pupazzo.
Forse l’appuntamento più suggestivo si è rivelato però quello articolato in quattro tempi, per quattro pomeriggi, dentro la grotta affrescata di San Giovanni d’Antro. In macchina fino al paesino omonimo, poi a piedi lungo una mulattiera, infine la salita di un centinaio di gradini nella roccia che portano all’eremo. Qui un pubblico attentissimo ha seguito La storia di Guerrino detto il Meschino che Giovanni Moretti ha raccontato utilizzando vecchi copioni ottocenteschi e del primo Novecento, alcuni anche materialmente sfogliati in scena, e muovendosi tra le marionette e i burattini storici per i quali quei copioni furono scritti. Conservati nell’Istituto per i Beni Marionettistici e il Teatro Popolare di Torino, i fantocci sono stati rianimati insieme ai fondali originali. In alcuni casi si trattava di materiali appartenuti alle stesse compagnie proprietarie dei copioni (Aimino, Cuccoli, Lupi). Naturalmente non siamo di fronte a un’operazione archeologica. Moretti è cultore da quasi mezzo secolo di una materia che nelle sue mani e nella sua voce diventa commossa presenza di un mondo perduto e sempre ritrovato. Solo a soffiarne via la polvere, queste marionette regalano bagliori di passioni eterne, frammenti di storie entrate nel canone occidentale. Ma la polvere torna a posarsi sul Meschino e sul bel volto di Alcina, come sul Tannhäuser di Wagner che esce gracchiando dal grammofono. Non era il mondo cavalleresco che stavamo guardando, ma l’immagine di esso che l’Ottocento ci ha lasciato. Non era uno spettacolo di burattini e marionette, ma l’evocazione di un modo di concepire il teatro e il gesto di trasmetterne la memoria. “È successo proprio così, vero? È tutto giusto?”, chiede Moretti alla bambina in prima fila che ha seguito tutte le puntate e conosce il Meschino per averlo incontrato in un suo libretto colorato. “Sì, è proprio così”, risponde la piccola spettatrice.


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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