ateatro 91.25
Gli spazi e l'identità di un teatro meticcio
Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi
di Gigi Cristoforetti
 

Vorrei rapidamente esaminare il tema del metissage dei linguaggi, della mescolanza delle forme nella scena contemporanea, da tre punti di vista. Quello degli artisti, quello del pubblico, e quello dei programmatori.

L’apertura ai nuovi linguaggi è avvenuta: il circo, il video, l’elaborazione computerizzata del movimento e delle immagini (e quant’altro) nutrono da anni una buona parte degli spettacoli delle nuove generazioni. E’ una mixità artistica che è avvenuta prima di quando è stata teorizzata. E non ha lasciato spazio a discussioni. C’è. Il problema “tecnico” se sia una moda, o se sia necessaria è irrilevante. Irricevibile, si potrebbe dire. Le radici di questo metissage sono sempre le solite: necessità di esplorare ogni dimensione dell’espressione contemporanea, ma anche fuga dai limiti, sentiti come vincolanti, del singolo linguaggio. In particolare, del teatro e della danza.
Il problema vero di cui occuparsi, ormai da anni, è soltanto come organizzare una lettura limpida del fenomeno, e come portarlo al pubblico.

Sul piano della risposta di pubblico, è una questione che non si può porre se non si chiarisce il ruolo del singolo programmatore, del singolo teatro o festival. Il pubblico ha oggi in mano il telecomando, quando è “libero”. Cioè quando non è bloccato in una frequentazione di tipo socializzante , come succede ancora nei teatri di provincia, o quando è organizzato, come avviene con le scuole.
Se è libero sceglie in base all’identità di un luogo o di un programmatore, o di un festival.
La scelta avviene così, ancor prima che per la consapevolezza di voler assistere ad un “linguaggio rinnovato”.
In secondo luogo, il publico è aperto e disponibile, ed ha meno problemi del programmatore ad assistere a qualcosa di curioso, di non codificato. Anzi, ne ha bisogno.
Il successo di pubblico della Festa del Circo di Brescia si deve all’identità nitida della manifestazione, e poi alla curiosità delle forme presentate. A nessuno è importato molto se si assisteva a qualcosa <> o <>. Il Festival Uovo a Milano, o Equilibrio a Roma coprono un vuoto di identità che hanno gli spazi e i teatri tradizionali. Ancor prima che valutare la proposta artistica, dobbiamo renderci conto di questo. Per il pubblico di oggi il teatro non ha più nulla di sacrale in sé. E così, “il teatro” deve conquistarsi la propria identità, e deve farlo confrontandosi con il livello della comunicazione e lo standard dei servizi che appartengono alla contemporaneità.

Ed ecco il terzo punto. Sono troppo pochi, per ora, i luoghi e le istituzioni “teatrali” che hanno assunto questa sfida. Cioè programmare , consapevolmente, la confusione delle arti, il gran calderone senza un’etichetta che è la scena contemporanea. C’è chi lo fa come una bandiera del proprio festival, come scelta poetica, e fa bene, nel vuoto generale. Ma la sfida è diversa. Mancano i luoghi della “normalità”, della “quotidianità” per questi spettacoli.
I Teatri Stabili, i teatri municipali , all’estero fanno anche questo. Da noi la programmazione di uno spettacolo internazionale è quasi riservata al festival ( e quindi con capienze e numero di repliche irrisorie). Il metissage è fumo negli occhi di chi ha comunque qualche risorsa, ma deve difendere il proprio linguaggio istituzionale.
Ed allora, ecco il vero problema. È la forma organizzativa che manca. E’ lo spazio fisico dedicato, la sala teatrale. E quando si apre uno spazio, è come se ci si levasse il pensiero, incastonando lo spettacolo in una stagione che si occupa di tutt’altro.
Senza identità, e senza cercare il pubblico giusto.
La nostra sfida è quindi politica, ancora una volta, prima che artistica. Penso che i vari tasselli siano al posto giusto, ma non faremo il salto di qualità se non ci porremo l’obiettivo consapevole di uscire dalle nicchie. Faccio l’esempio di Brescia, per concludere: non avremo fatto un vero passo avanti finché non passeremo dallo chapiteau (luogo della libertà, ma anche della precarietà), ad un vero teatro, dove ricostruire un’identità stabile dello spettacolo contemporaneo.

Un saluto a tutti


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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