ateatro 95.4
Il ministro Buttiglione detta le regole per la nuova stagione
Considerazioni a margine
di Franco D’Ippolito
 

Sabato 4 febbraio scorso è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il D.M. del 21 dicembre 2005 con il quale il Ministro Bottiglione ha emanato le regole per l’assegnazione delle sovvenzioni al teatro di prosa per il 2006 e per gli anni a venire, in attesa della legge di indirizzo generale che fissi i criteri e gli ambiti di competenza dello Stato, delle regioni e delle autonomie locali in materia di spettacolo.
Va subito detto che il Decreto ricalca sostanzialmente la normativa precedente (D.M. 27.02.2003) pur introducendo alcune novità che vorremmo evidenziare, cercando di interpretare il pensiero programmatico che le ha determinate. Tali modifiche sono state concordate con le categorie (con i rappresentanti delle associazioni del teatro in seno all’Agis).

Le novità che riguardano tutti i soggetti sono:
- (art.3, comma 9) per gli spettacoli di nuova produzione, venendo meno la previsione di attività triennale, il nuovo decreto prevede che almeno la metà deve essere programmata nell’anno per un minimo di 20 giornate recitative, anziché 30 come era fino al 2005. E’ una delle modifiche che prende atto delle difficoltà del settore e che lo fa nei confronti di tutti i soggetti (e non solo nei confronti di qualcuno, come vedremo per gli stabili pubblici).
- (art.4, comma 2) il nuovo termine per la presentazione delle domande è fissato al 31 ottobre dell’anno antecedente il periodo per il quale si chiede il contributo, con possibilità di integrazione entro il 31 gennaio successivo. Si fa così giustizia di un termine (quel 15 settembre di cui al D.M. 27.02.2003) che tanti problemi aveva creato a molti, vista la vicinanza con la pausa estiva, e si consentono integrazioni e modifiche (che a quanto si sa non hanno limiti sul piano del progetto artistico, ma possono essere solo in diminuzione sul piano delle quantità dell’attività).
- (art.4, comma 3) condizione di ammissibilità al contributo ministeriale resta l’aver svolto attività per almeno tre anni, non più però genericamente ma con i requisiti minimi previsti dalla disciplina di riferimento, mentre non è più equiparata al triennio di attività l’ipotesi di aver come direttore artistico od organizzativo chi avesse ricoperto per almeno due anni tale carica in altri organismi ammessi al contributo. La modifica entrerà in vigore però soltanto dal 1° gennaio 2007 (forse c’è qualche soggetto che nel 2006 sarà riconosciuto in virtù della propria direzione ed indipendentemente dai tre anni di attività svolta). Appare evidente la volontà politica di una maggiore rigidità in entrata dei soggetti ammessi al contributo, che presuppone perciò ancora maggiore rigidità in uscita.
- (art.5, comma 5) le recite prese in considerazione per la quantificazione dei costi di produzione e di ospitalità, oltre a quelle a percentuale, sono quelle il cui compenso fisso non sia superiore non più al cosiddetto foglio paga ministeriale (calcolato sulle paghe e le diarie degli scritturato impegnati) ma a 4.000 euro per le recite in cui sia previsto l’impiego di sei elementi, maggiorato di 600 euro per ogni attore o tecnico impiegato in più e del 15 per cento per ogni singolo debutto. In ogni caso il compenso fisso non può superare 12.000 euro. La modifica, non essendo ricompresa nelle disposizioni transitorie, è di fatto retroattiva ed opera dal 1° gennaio 2006. Peccato che tutto il teatro italiano abbia sottoscritto contratto di ospitalità e tournée per il primo semestre 2006 fin da giugno/settembre scorso e lo abbia fatto affidandosi alle disposizioni del precedente decreto. Perché una simile modifica, che incide in maniera sostanziale su tutti i soggetti finanziati, la si è resa addirittura retroattiva nei fatti, a differenza di altre che invece sono state dichiarate efficaci dal 1° gennaio 2007? Quale è la logica delle disposizioni transitorie? A chi giova un cambio delle regole sostanziali mentre i giocatori e l’arbitro sono già in campo? Sarebbe interessante capire se i rappresentanti delle categorie Agis hanno avallato tale modifica o l’hanno subita inaspettatamente.
- (art.5, comma 6) i costi di ospitalità ai fini della quantificazione del contributo possono nei limiti e con le modalità di cui al comma 5 riferirsi per il 30 per cento (nella precedente normativa il limite era del 25%) anche alle recite di compagnie non sovvenzionate dallo Stato o dalle regione, alle recite di compagnia di danza sovvenzionate ed alle compagnie teatrali e di danza straniere. Mi piacerebbe sapere con quale criterio sia stato esteso anche alle compagnie non sovvenzionate (che non sono tenute a rispettare i parametri quantitativi della normativa ministeriale), ma soprattutto alle compagnie straniere e di danza il limite dei 4.000 euro e via dicendo per l’ammissibilità dei costi di ospitalità. Chiunque faccia teatro ed abbia ospitato una compagnia straniera sa bene che costa di più (non peraltro che per i costi di viaggio, trasporto e di alloggio). Sarà mica questa una malcelata forma di protezionismo teatrale? Basta dirlo, ne prenderemmo atto e ce ne ricorderemmo tutte le volte che si richiederà al teatro italiano di essere europeo ed internazionale. Rispetto al D.M. 27.02.2003 poi si considerano valutabili per la prima volta anche i costi per la gestione della sala e per la promozione e la formazione del pubblico. Ecco il classico “da una tasca te li tolgo e nell’altra te li restituisco”, ma il tutto sembra più rispondere ad una logica particulare che ad una precisa scelta di indirizzo. Non è che si vogliono indurre i circuiti regionali a gestire direttamente le sale?
- (art.6, comma 1, lettera a) si introduce tra gli elementi della valutazione qualitativa la regolarità gestionale-amministrativa, quasi che questa sia un optional della gestione di imprese che ricevono dallo Stato (e dalle regioni e dalle autonomie locali) dal 50 al 60 per cento (e oltre) delle proprie entrate.
- (art.7, comma 7) riconosce la possibilità di una riduzione dell’attività, rispetto al progetto preventivo presentato, non superiore al 15 per cento invece del 10 per cento previsto dalla precedente normativa: un modo per compensare il taglio del FUS per il 2006 e anni seguenti?

Per i soggetti teatrali stabili, le modifiche introdotte riguardano:
- (art.10, comma 2, lettera h) i minimi di recite prodotte richiesti ai teatri stabili (pubblici, privati e di innovazione) in sedi direttamente gestite: almeno il 20 per cento delle recite prodotte per i teatri operanti in città con non più di 250.000 abitanti; almeno il 25 per cento in città fino a 700.000 abitanti; almeno il 35 per cento in città con più di 700.000 abitanti. Si intende certamente rafforzare la nozione di “stabilità”, riferendola però soltanto alla città in cui ha sede il teatro stabile e non più, come era con la precedente normativa, “almeno il 60 per cento dei minimi recitativi previsti in ambito cittadino e regionale”. Questa scelta urbanocentrica mi pare abbia il fiato corto, considerato il calo costante di pubblico e la vitalità invece dei territori (città e paesi d’intorno). I nuovi minimi in sede si applicano però solo dal 1° gennaio 2007, perché in questo caso il Ministro si rende conto che non si possono cambiare le regole mentre si sta giocando la partita (le programmazioni dei teatri). E allora perché non vale lo stesso criterio per il detto art.5, comma 5?
- (art. 10, comma 2, lettera i) nella vecchia normativa a tutti i teatri stabili (pubblici, privati e di innovazione) era riconosciuta una maggiorazione se gli spettacoli di nuovo allestimento prodotti o coprodotti venivano rappresentati in sede per un minimo di 12 giornate recitative a spettacolo, elevate a 24 per i teatri operanti in città con più di 1milione di abitanti. Questo decreto abolisce la maggiorazione ed inserisce fra le caratteristiche della stabilità quei limiti, ma solo per le attività dei teatri stabili pubblici e privati. Da un vantaggio che un teatro stabile poteva decidere di utilizzare o meno, ad una caratteristica necessaria della stabilità. Condivido l’esclusione degli stabili di innovazione da questa norma, ma avrei, coerentemente con l’indirizzo di rafforzare la nozione di “stabilità”, applicato a questi stabili un numero minimo di recite di propria produzione da rappresentare nel proprio territorio provinciale o regionale.
- (art.11, lettera f) vengono ridotti i requisiti minimi recitativi per gli stabili pubblici ad almeno 120 giornate recitative di spettacoli direttamente prodotti e ad almeno 90 per i teatri stabili di minoranze linguistiche o di confine. Se per gli stabili pubblici si tiene in qualche modo conto della “crisi”, perché non lo si è fatto anche per gli stabili privati e di innovazione, (ma anche per le compagnie di giro e per i circuiti) come se per questi la crisi fosse diversa ed avesse diverse conseguenze sul piano produttivo e distributivo?
- (art.11, lettera g) non sono più richieste agli stabili pubblici per l’opera di autore italiano vivente almeno 30 giornate recitative per gli spettacoli prodotti ed almeno 18 per le ospitalità. Diventa sempre più arduo sostenere la nuova drammaturgia italiana se non si impone almeno agli stabili pubblici di farlo concretamente e con una certa rilevanza. Non è detto che il numero minimo di recite sia il modo più giusto, ma sicuramente non lo è un imprecisato ed incondizionato obbligo di produrre o presentare un’opera contemporanea italiana. Mi sorge un dubbio: basterà programmare una serata con una mise en espace per assolvere l’obbligo di sostenere e promuovere la nuova drammaturgia italiana?

Per le compagnie sono introdotte queste novità:
- (art.14, comma 3) le imprese di teatro di innovazione che dispongono, anche temporaneamente di una sede idonea per lo svolgimento di attività di laboratorio possono computare ai fini del raggiungimento dei minimi delle 90 giornate recitative fino a 25 giornate di attività di laboratorio. Nella precedente normativa le giornate di laboratorio valutabili erano 20.
- (art. 14, comma 5) è l’articolo più innovativo del Decreto e prevede la possibilità per le imprese teatrali di innovazione al termine di tre anni consecutivi di attività destinataria di contributo di effettuare solo per un anno il 10% dei minimi recitativi e lavorativi sostituendo la restante parte con attività di laboratorio, scientifica, seminariale e di studio. In questo caso il contributo relativo all’anno di studio è individuato nella misura massima del 50% del contributo assegnato all’impresa il precedente anno. Condivido questa possibilità data alle nuove compagnie di non dover necessariamente ogni anno produrre spettacoli ed effettuare recite soltanto per raggiungere i minimi ministeriali, specie se non la si limiterà ad una sola volta e se sarà finalizzata al riconoscimento ministeriale di nuovi soggetti. Poiché le attività delle compagnie sono già programmate, anche questa norma entrerà in vigore dal 1° gennaio 2007. Chiedo scusa se mi ripeto, ma perché non vale lo stesso criterio per il detto art.5, comma 5 (limite del compenso fisso a recita)?

Una importante modifica è stata introdotta anche per i circuiti regionali (Organismi di promozione e formazione del pubblico):
-
(art.16, comma 2, lettera g) tra i requisiti per l’ammissione al contributo è stato inserito l’obbligo di certificare dal 2006 l’avvenuto pagamento dei compensi alle compagnie ospitate nell’anno precedente che sottoscriveranno dichiarazione liberatoria. Encomiabile preoccupazione a tutela delle compagnie che troppe volte sono costrette dai circuiti ad attendere mesi se non anni il pagamento delle proprie spettanze. Ma, senza voler giustificare alcuni colpevoli ed irragionevoli comportamenti di certi circuiti (non solo meridionali, vista la delicata situazione del neo Circuito Teatrale Piemontese attualmente commissariato dopo poco più di un anno di attività!), chi tutelerà i circuiti? So per esperienza personale che il contributo ministeriale è destinato per intero al pagamento delle spettanze compagnie, mentre le quote dei soci vanno a coprire i costi di gestione dell’ente. Ora se il Ministero pretende che alla data della domanda 2006 le compagnie del 2005 siano state interamente saldate e rilascino regolare liberatoria, è presumibile che si impegni altrettanto affinché per quella data i circuiti abbiano ricevuto l’intero contributo 2005 (o perlomeno l’80 per cento). Purtroppo la realtà è ben diversa, tanto da far pensare ad una norma a dir poco vessatoria (oltre che impossibile praticamente da rispettare) per i circuiti che si vedrebbero costretti, e costringerebbero anche le compagnie, ad accordi “sommersi” e poco trasparenti, pena l’inammissibilità della domanda!

Per quanto riguarda l’ETI vi è la novità (art.20, comma 6) che l’Ente potrà ricevere dal 2006 contributi a titolo di rimborso per le spese relative ai viaggi ed ai trasporti sostenuti dalle compagnie per la promozione di spettacoli italiani all’estero, subentrando così allo stesso Ministero che finora ha concesso direttamente alle compagnie tale sostegno.

In generale, infine, va evidenziato che è del tutto scomparsa anche quella specie di triennalità annuale che era stata salvata (e difesa dalle categorie del teatro italiano non senza errori e contraddizioni) nel 2003, portando a compimento indolore (o non mi sono accorto io di battaglie e di proteste da parte del teatro italiano?) il processo di smantellamento definitivo di quel che si era riuscito ad innovare concretamente con il Regolamento Forlenza (applicato dal 2000 al 2002). La triennalità aveva i suoi limiti, poteva e doveva essere corretta, ma almeno assicurava ai soggetti finanziati di conoscere in ritardo l’entità del proprio contributo (per i tempi della commissione) una volta ogni tre anni e non ogni anno. Oltre al vantaggio (accordo di Basilea permettendo, oggi) di poter farsi anticipare dalle banche il 50 (per qualcuno l’80 e finanche il 100%) all’inizio del secondo e del terzo anno del triennio.
E’ stata invece confermata una norma che ritengo inaccettabile da parte di tutto il teatro italiano: la possibilità per la commissione prosa di azzerare o raddoppiare i costi ammessi a contributo. In poche parole di fare il cavolo che gli pare indipendentemente dall’attività progettata e dalle quantità preventivate (ma allora, in dipendenza di quali requisiti del tutto discrezionali?). Penso che il teatro italiano non possa consegnarsi mani e piedi legati ad una commissione di nomina politica, senza correre il rischio di essere sempre più “al servizio di qualcuno”.

Bisognerebbe fare subito qualcosa per salvare il settore, i lavoratori del teatro, la libertà degli artisti, degli organizzatori e, soprattutto, del pubblico.


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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