ateatro 97.72
Le recensioni di ateatro: The Cryonic Chants. Canti e poemi oggettivi tratti da un impassibile animale
La Societas Raffaello Sanzio e Scott Gibbon
di Andrea Lanini
 



Il miraggio di Antonin Artaud - la realizzazione totalizzante di una relazione completa con il corpo, l’utopia di una creazione espressiva in grado di elevarsi a perfetta fisicità – si incarna nel concerto nato dalla collaborazione tra la Socìetas Raffaello Sanzio e Scott Gibbons attraverso il corpo di un capro. L’animale, creatura-simbolo della nascita del teatro ed eroe eponimo della tragedia, comunica con noi direttamente dalle sue viscere, attraverso un linguaggio oscuro ma esatto, inintelligibile ma perfettamente logico, enigmatico eppure estremamente preciso e reale. Come un oracolo, è depositario di infallibile saggezza: attraverso le sue manifestazioni potremmo di nuovo ascoltare la voce degli dei, ma al concerto-rito ci è dato di partecipare solo attraverso la nostra inettitudine a comprendere: la nostra adesione a quel mistero è filtrata attraverso la consapevolezza di aver (irrimediabilmente?) perduto la sensibilità che un tempo ci faceva cogliere ciò che è supremamente oggettivo e naturale.
L’animale-demiurgo ci fa arrivare echi di verità a cui riusciamo ad aderire solo attraverso contatti emozionali: capiamo che dietro quelle incomprensibili formule liturgiche si cela qualcosa di grandioso, ma siamo costretti a sfiorarle con lo sguardo come se le osservassimo attraverso uno specchio rotto. I poeti ci hanno abituati a pascerci di visioni artificiali e soggettive, di voli della fantasia che si insinuano in una lingua prostituita al compromesso: il capro-oracolo è tornato per riprendersi ciò che è suo, a scacciare le chimere dei letterati con l’incontestabile validità di un messaggio puro, scolpito nella biologia che regola le sue funzioni vitali, dettato attraverso lettere che si abbinano ad aminoacidi, attraverso aminoacidi che formano proteine, attraverso proteine che regolano la respirazione cellulare, la crescita delle corna, la putrefazione del corpo.
Tutto è governato da un’incrollabile logica in cui non c’è spazio per la poesia. Quattro cantrici-aruspici nerovestite (Claudia Castellucci, Monica Demuru, Chiara Guidi e Teodora Castellucci) ci permettono di ascoltare ciò che il capro ha composto attraverso il suo procedere casuale su tre tappeti di lettere (gli stessi che caratterizzarono l’Episodio di Avignone della Tragedia Endogonidia, quello da cui il concerto ha preso vita diventando poi una forma autonoma): tre microcosmi fatti di segni che attraverso le quattro voci diventano fonemi, e che tramite la volontà del capro diventano enunciati. Tre come le fasi della vita da cui tutto nasce.
The Cryonic Chants. Canti e poemi oggettivi tratti da un impassibile animale (in scena a La Città del Teatro di Cascina domenica 26 marzo) è il concerto che Chiara Guidi e Scott Gibbons hanno creato elaborando una parte dei materiali in precedenza usati per i suoni della Tragedia Endogonidia: dall’enorme quantità di elementi nati dal multiforme laboratorio della Tragedia, alcune cose si sono staccate per cristallizzarsi in immagini, suoni, vibrazioni vocali, canto. Sul palco, Scott Gibbons è come racchiuso in una dimensione parallela che affianca il fulcro del rito, la zona dove le voci e le danze delle donne celebrano la presenza di un contatto sovrannaturale, di una manifestazione divina che diventa palpabile nei momenti di maggiore parossismo acustico-visivo. Se in molti spettacoli della Socìetas l’animale appariva quale valido e insostituibile deuteragonista in grado di bilanciare la performance dell’attore, nel concerto è il capro il motore primo dell’azione: protagonista assoluto di un ingranaggio di immagini e suoni che amplifica il significato della sua presenza e celebra la superba vitalità della sua natura enigmatica. In un primo momento le immagini video ci mostrano il capro visto dall’alto (così come avveniva ad Avignone), il muso-puntatore intento ad infilare una dopo l’altra le lettere che sprigioneranno l’oracolo e il tessuto testuale su cui Gibbons incastonerà i suoi suoni: armonie materiche, percussive, urlanti quando strattonate dagli effetti di distorsione, lineari ed eleganti quando adagiate sulle perfette simmetrie di una polifonia che si confonde tra richiami medievali e contrappunti da mottetto fiammingo, dilatate e come perse nella navata di una cattedrale quando ingigantite dal riverbero. Il muso del capro-Poeta scrive le sue parole: attraverso le voci e il filtro della sperimentazione elettronica esse arrivano alla platea come parti dissotterrate di una lingua morta, dissepolta per un momento e sottratta alla polvere dei secoli. L’occhio della telecamera indaga l’animale con primi e primissimi piani, come volesse trovare nell’osservazione minuziosa di quel corpo-idolo la chiave per aprire la mente alla ricezione del suo messaggio. L’esecuzione musicale è sempre rigorosa, precisa, attenta: tutto nel concerto è ossimoro e contrasto, a melodie di gusto occidentale e di chiara ascendenza tonale si contrappongono improvvisamente parentesi sonore in cui le voci vengono usate come tamburi, come scalpelli per tracciare accenti e delimitare pause: come avveniva con lingua Generalissima che il gruppo creò nel 1984, il pubblico non afferra il “cosa” si dice ma il “come” lo si dice: la prima qualità resta inafferrabile, perduta, lontana; la seconda è potentemente concreta, vibrante, imperniata su una partecipazione totale di quattro cantrici che, come sacerdotesse, recitano le formule attraverso cui il mistero si rinnova. Intanto i suoni, anch’essi fondati su una sorgente organica, accompagnano i movimenti del corpo del capro: sono le sue zampe ora a creare i suoni. Ogni volta che i suoi zoccoli colpiscono o sfiorano il terreno, le casse dell’impianto rispondono con un’ondata di vibrazioni, picchi sonori che punteggiano le pieghe della volontà dell’animale. Poi, attraverso l’elaborazione video, i movimenti di quelle zampe sono accelerati in una spirale vorticosa che dipinge sullo schermo tracce scure, contrasti luminosi che stanno tra gli esperimenti futuristi sul dinamismo e le deformità grottesche degli informali. La divinazione procede, il rito si compie: il capro ha assolto sua funzione di intermediario, gli dei hanno parlato attraverso il suo corpo. Le loro verità parlano di noi e per noi, ma il nostro mondo è ormai troppo lontano dal loro. Non possiamo far altro che partecipare con i sensi a una comunicazione che il nostro intelletto percepisce solo come informe cumulo di macerie.


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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