ateatro 112.31
06/10/2007 
Il Grotowski Center di Wroclaw
Appunti dalla Moleskine teatrale
di Claudia Provvedini
 

Ho letto con fatica su qualche ateatro fa il protocollo della nascita del Grotowski Institute con i progetti, dagli Ateliers all’Accademia di Antropologia teatrale: non perchè scritto in inglese ma per la rigidità e devota precisione con cui è redatto, come se attorno ci fosse stato un plotone di scribi a immettere appunti dalle carte o di funzionari statali a controllare. Il tutto avvolto da passione.
É la stessa sensazione che ho avuto nel 2005 quando, per la prima volta, ho visitato il centro a Wroclaw in occasione della 14ma sessione dell’Ista, focalizzata da Eugenio Barba sul tema della improvvisazione e primo stadio dell’Eastern Line Programme. Che bomba l’accostamento del tema al luogo! Un uovo covato in un mucchio di paglia che può prendere fuoco...
La paglia però non si è incendiata e l’uovo è nato. E se le due anime, i due genius loci – quello di Wroclaw, punto di partenza con il Laboratory Theatre del magistero di Grotowski, e quello di Pontedera, punto di approdo dall’86 con il Workcenter – ora hanno trovato una strada comune, un sentiero da percorrere insieme, e dunque un futuro (che ha un nome, Horizons, almeno fino al 2009, anniversario del decennale della morte di Jerzy e anno degli eventi in programma), è merito di Eugenio. Gran canalizzatore, manovratore di dighe e costruttore di ponti non solo per l’Odin.
Vorrei allora raccontare qualcosa di quelle giornate, sferzate da una pioggia continua.
Wroclaw è una cittadina graziosa, un girotondo di begli edifici dalle facciate colorate attorno ad una grande piazza. In uno dei vicoli, annunciato da un’arcata, al 27 di Rynek-Ratusz, si pigiano le stanze che hanno ospitato il lavoro di Grotowski dal ’65 all’82 e, fino all’84, il teatro, un certo teatro. C’è ancora la mitica sala di rappresentazione, erede di quella delle 13 file di Opole; l’altra dove si proiettano le registrazioni filmate di Apocalypsis cum figuris e del Principe Costante; gli uffici dove la segretaria ad honorem, simpatica vestale non più giovane ma entusiasta, ti offre un caffè. Bisogna compilare un modulo per vedere i film o consultare l’archivio, ma l’impressione è di essere ammessi a qualcosa di molto di più (uno, quando si trova lì, fa gesti lenti e consapevoli, rispettosi). Questo spazio verrà tutto occupato dall’archivio.
La sessione dell’Ista si teneva in un grande teatro da un’altra parte della città. Gli interventi degli invitati stranieri svolgevano il tema dell’improvvisazione, imprivisazi (sembra dicano così gli oriundi) che è questione di tempo, ritmo, velocità, non di invenzione; che è qualcosa di regolato, matematico, come si usa tra comici o tra jazzisti. Quelli dei docenti polacchi, studiosi, ex collaboratori, di Wroclaw e no, erano interventi accademici, ripercorrevano tappe della vita/fasi di lavoro del Maestro. I relatori del primo tipo indossavano abiti colorati, finto casual; i relatori del secondo tipo completo giacca e cravatta, e il pallore di tante ore distillate a tracciare scansioni cronologiche e approcci teorici. Tra i ricordatori, gli europei occidentali portavano episodi personali; gli orientali, momenti istituzionali. In un’escursione alla foresta Brzezinka, si sono visti gruppi che fanno teatro legato alla terra, alla loro: Bielorussia, Turkmenistan, Azerbajan... filamenti di teatro, tradizioni culturali che creano atti performativi, baratti di canzoni: l’ala dell’Odin è lunga.


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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