ateatro 38.4
 
Symphonie Videofantastique
Berlioz e la Fura dels Baus
di Andrea Balzola
 
Prima mondiale al Teatro di Verdura a Palermo (28 e 29 giugno 2002)
 

Foto Studio Camera.
 
Scheda tecnica dello spettacolo:
Regista Pep Gatell, Direttore musicale del palcoscenico: Jaume Cumplido; Produzione esecutiva: Roberto Villalon; Preproduzione: Nadala Fernandez; Direzione tecnica e scenografica: Lluis Monteagudo; Realizzatore video: Jordi Joachim Recort; Light designer: Jaime Llerins; Coreografo: Pere Jané; Scene e costumi: Mabel Gutiérrez; Tecnico luci: Lluis Marti; Tecnici video: Joan Rodòn e David Larrull (BAF); Audio consulting: Marc Sardà; Trapezista Fura: Pilar Cervera; Attori: Vidi Vidal, Ramòn Tarés, Tatin, Ivan Altimira, Neus Quimansò, Gloria Ràmia e Pirana; Comparse del Teatro Massimo; Direttori artistici della Fura: Pep Gatell, Miki Espuma, Jurgen Muller, Alex Ollé, Carlos Padrissa, e Pera Tantinà; Orchestra del Teatro Massimo, diretta da Jean Claude Casadeus.

 
 

Foto Studio Camera.
 
Hector Berlioz innamorato, e da tale amore reso poi furioso, incontra la Fura dels Baus in una delle sinfonie più visionarie della storia della musica. L’incontro è avvenuto in anteprima mondiale nello splendido scenario di fontane e alberi del Teatro di Verdura a Palermo, nell’ambito della stagione estiva del Teatro Massimo, con fuochi d’artificio finali. Un incontro favorito dalle imminenti celebrazioni del musicista francese e doppiamente inedito: per l’idea di associare alla sua opera più nota la dimensione visiva di un’azione teatrale combinata al video, e perché questo allestimento apre un nuovo percorso della Fura in un territorio molto più composto e tradizionale come quello del teatro musicale. Una Fura quindi per la prima volta contenuta - e trattenuta - in una canonica scatola scenica, per di più occupata dall’orchestra diretta da Jean Claude Casadeus, e particolarmente attenta a non prevaricare sulla musica. Anche l’inserimento del video sotto forma di un fondale con un grande schermo che campeggia alle spalle dell’orchestra, non sembra a prima vista discostarsi da una pratica ormai consolidata di concepire il video come scenografia. Poi il fantasioso uso delle cantinelle per calare a sorpresa trapezisti, oggetti scenici, e schermi, reinventa una tridimensionalità della scena che avvolge la musica senza mai oscurarla. Si realizza così una sorta di incontro del destino, dove l’immaginario cyberbarocco della Fura catalana, con il video e un ensemble di trapezisti e attori, dà immagine e corpo alla fantasia oppiacea - oggi diremmo psichedelica - del compositore francese. In effetti, tra i principali riferimenti letterari di Berlioz si trovano proprio le celebri “Confessioni di un oppiomane” di Thomas de Quincy, e l’intento tematico appare dichiarato fin dal sottotitolo della sinfonia: “Episodi della vita di un artista”, cioè quello di raccontare musicalmente il viaggio di un artista nell’oscuro territorio onirico dei dannati dell’amore. Un viaggio permeato da una visione romantica e simbolista dove la musica - non meno della poesia - è l’atanor alchemico che trasforma la follia in ispirazione, esplorazione dell’abisso e dell’estremo per nutrire di verità e di forza espressiva l’anemia delle arti. Nel programma di sala che accompagnava il debutto della sua sinfonia, avvenuto il 5 dicembre 1830, Berlioz titolava in modo significativo i cinque movimenti che la componevano: Reveries, passions; Un bal; Scene aux champs; Marche au supplice; Songe d’une nuit du Sabbat. Ed è da questi motivi tematici che scaturiscono le sequenze spettacolari ideate dalla Fura, dense di riferimenti pittorici, cinematografici e letterari, venati da un’irriverente ironia, non sempre raccolta dal pubblico talvolta troppo posato delle platee musicali. Il nucleo visivo conduttore del video vede contrapporsi il compositore stesso, che ha un aspetto angosciato, iperteso e stralunato (un po’ alla Marty Feldman), e l’icona edulcorata e irraggiungibile della sua bella.
 

Foto Studio Camera.
 
Nel primo movimento, la prima folgorante visione di Hariette sorge dai fumi dell’oppio, con divertite citazioni teatrali e cinematografiche di Frankestein e Dracula, figure mitiche della corruzione romantica dell’anima e del corpo divenute qui efficaci maschere ironiche di un desiderio ossessivo, vorace e morboso che diventa infine mostruoso. Nel secondo movimento, lo sguardo voyeuristico di Berlioz, che intravede l’amata danzare in una festa, si moltiplica in una serie di schermi mobili e sospesi che si sovrappongono fra loro, creando un contrappunto visivo tra immagine della percezione, immagine del desiderio e immagine della memoria. Una spirale visiva che culmina in un acrobatico e spassoso duetto di trapezisti, con Berlioz che tenta invano di afferrare in volo la sua amata. Nel terzo movimento, il più complesso di riferimenti, s’intrecciano più livelli visivi e simbolici. Siamo immersi nel mito romantico della natura, una natura che vediamo sullo schermo magicamente animata dalla musica, capace con la sua passionalità di smuovere le pietre e la terra. La natura diventa rifugio proiettivo della memoria e dell’immaginario, crepuscolo contemplativo che si concentra e si perde nel misterioso Angelus dipinto da Millet, che la Fura fa rivivere sullo schermo elaborando una stratificazione allegorica di visioni: l’immagine originale, la reinterpretazione di Salvador Dalì, e l’animazione teatrale del dipinto, dove Berlioz seppellisce insieme alla sua bella nel campo di Millet un neonato bambolotto, simbolo grottesco di un amore nato morto. Nel quarto movimento la febbre immaginifica di Berlioz sale, e qui la Fura si diverte nel gioco del contrasto, mescolando sulla traccia musicale le scenette quotidiane e rassicuranti di Hariette che fa un picnic o che guarda la televisione, con le sequenze dionisiache di un impetuoso assalto carnale. Finché l’ossessione erotica spazza ogni impossibile pace dei sensi e il sogno muta in incubo: la gelosia arma la mano dell’artista che uccide l’amante di Hariette e lo condanna al supplizio della ghigliottina. Una ghigliottina che la Fura porta in scena sotto forma di un macabro talamo nuziale. Il quinto movimento è il seguito grandguignolesco di quest’incubo, l’artista ritrova Hariette al suo funerale ma è trasfigurata, gli appare come una volgare prostituta in mezzo a un corteo diabolico di mostri e streghe che danzano intorno alla sua bara. A questo punto l’orrore trabocca dallo schermo per riversarsi sulla scena: all’ombra di una cattedrale gotica oscilla appesa a una corda la discinta Hariette trapezista, suonando con il peso del suo corpo la campana a morto, mentre le note del Dies irae si levano dagli spiriti infernali annunciando l’inevitabile dannazione dell’artista. L’azione teatrale si fa vera e propria coreografia, con una folla di comparse che creano una passerella umana per la sfilata e il trionfo di procaci streghe, protagoniste di un grottesco sabba che ricorda certi balletti del varietà televisivo. Ammucchiata di corpi che esaltano il climax finale della sinfonia, che esplode poi - a insaputa di Berlioz - nel botto spettacolare di un fuoco d’artificio. Spettacolo insolito per il pubblico palermitano che applaude un po’ disorientato. La sinfonia videofantastica di Berlioz e della Fura è generosa di invenzioni ma procede nell’ardito e precario equilibrio del trapezista sul filo, da una parte il rischio è quello di ridurre l’astrazione della musica a un’eccessiva concretezza dell’interpretazione visiva, ulteriormente fissata dalla Fura in una chiave prevalentemente ironica, dall’altra parte il rischio è quello di ancorare troppo allo spartito la dirompente fantasia del gruppo catalano, come una fiera in gabbia e con lo smoking. Si capisce che la scommessa mira a far entrare la Fura nel circuito molto più vasto e ricco del teatro musicale, distillando innovazione tecnoteatrale e invenzione scenica - di cui senza dubbio la Fura resta uno dei principali artefici di questi anni - su una scena più istituzionale e dal mercato più certo. Impresa legittima e forse anche utile per bucare una quarta parete particolarmente resistente alla sperimentazione - in Italia da tempo ci si prova con alterne fortune, da Ronconi a Corsetti, Studio Azzurro e Raffaello Sanzio - ma che deve essere intrapresa con molta attenzione per evitare che la soluzione scenica multimediale entri dalla porta spalancata della moda e dell’effetto speciale, una porta affacciata su un destino manierista, ma piuttosto penetri tra le maglie strette del senso e della sinestesia che apparenta i linguaggi. Questa è la scommessa più difficile e più vera che dovrebbe interessare la Fura e non solo.
 

Foto Studio Camera.

 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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