ateatro 62.81
04/01/2003 
Oltre l'"italiese"
Teatri delle lingue, quarta edizione
di Angela Felice
 

"Italiese" pareva a Italo Calvino l’italiano da dizione pettinatissima praticato da molto teatro di routine. Lì una sorta di sindrome della Crusca scenica inclinava (e in molti casi inclina ancora) al museo della parola pregiudizialmente perfetta, perciò da preservare dalle impurità del parlato. A questa comunicazione artificiale, mortuaria e certo autoreferenziale, ha però reagito dagli anni Ottanta molta parte del più vitale teatro giovane di ricerca, che invece proprio nella sporcizia o nella verità dell’uso, anche dialettale, ha voluto mettere le mani, recuperandovi suoni, colori, vita. Sono allora riaffiorate lingue sporche, dalla cintola in giù, compromesse con il corpo, il sudore, la saliva; lingue della memoria, non della nostalgia; lingue private degli affetti, della cucina, del lavoro, non del patetismo oleografico; lingue dei nonni con cui i nipoti attori-autori giocano al gioco delle generazioni; lingue tagliate, assediate oggi da un montante anglocrazia o dalla tentazione di gerghi giovanili anoressici, nel minimalismo post-pinteriano di una scena da sms; lingue anche perdute nella pienezza dei loro suoni, ma recuperabili come partiture su cui inventare echi proustiani di remote sensibilità. Un vistoso e frastagliato fenomeno, dunque, da vera devolution della lingua teatrale, su cui dal 1999 indaga il Convegno Nazionale "Teatro delle lingue", promosso su idea di chi scrive e di Mario Brandolin dal Teatro Club e dall’Ert, con una fitta cordata di partner locali e nazionali, impegnati a sostenere una manifestazione che nel tempo ha fatto di Udine la sede di un appuntamento annuale davvero privilegiato e unico nel settore.
Dopo le prime tre edizioni, la quarta, da poco conclusa, ha inteso perciò tirare le fila dei risultati fin qui raccolti e discutere insieme agli amici della prima ora, studiosi e critici, se e in quale direzione proseguire. Questo spirito da seminario senza paracadute ha animato presso la "Nico Pepe" una vivace tavola rotonda, cui hanno partecipato Paolo Puppa, che ha disegnato la vitalità sempre attuale della scena dialettale, sullo sfondo di quell’autentico laboratorio di metamorfosi linguistica che è stata ed è ancora la pluristratificata comunicazione italiana; Antonio Calbi, puntuale osservatore delle esperienze più recenti del teatro di ricerca; Nico Garrone, attento a cogliere le fertili contaminazioni tra le lingue popolari e il teatro d’avanguardia; Renata Molinari, Dramaturg e guida sensibile di attori, invitati sempre a coniugare verità di sentimenti, ricchezza di parola, organicità della performance; Paolo Patui, che con passione da polemista ha tracciato i rischi di strumentalizzazione del teatro in friulano, se sovvenzionato e garantito, a fronte della prospettiva più vitale di una più urgente compromissione con i temi e le lingue dell’oggi; Elio Bartolini, incantevole esploratore delle suggestioni implicite già nel titolo del Giardino dei ciliegi, entro una concezione della lingua che anche a teatro serve a riconfigurare una cultura, non a consolidare o a irrigidire una identità.
Da tutti, inoltre, un forte invito a tenere aperto l’osservatorio udinese, in cui continuare a sondare il senso profondo della scena attuale. Non uno stop, dunque, ma – come suonava il motto di questa edizione 2003 all’insegna dei lavori in corso – il "punto e a capo" di un quaderno di appunti sempre aperto a un permanente aggiornamento.


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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