ateatro 66.11
18/03/2004 
Il convegno sul teatro alla Camera dei Deputati
Quali politiche per il teatro, 15 marzo 2004
di Mimma Gallina
 

Quali politiche per il teatro
Sostegno, promozione, diffusione
Tra Enti locali, Regioni e Stato


Lunedì 15 marzo mattina l’aeroporto di Fiumicino era chiuso per nebbia. Un segno del destino? Era il caso di non insistere ad arrivare con il primo volo possibile a un convegno che Gianfranco Capitta sul «manifesto» ha definito «deprimente»?
Lo era, ma una discussione fra amministratori, operatori e politici in quella sede (DS) poteva essere davvero un’occasione importante. Ci sembrava in qualche modo connessa anche con le denunce e i malumori raccolti da ateatro e con il dossier di «Hystrio». Esserci sembrava opportuno e utile (e il senso del dovere ha ancora una volta prevalso).
Il collegamento – se c’era – non è stato ricordato (non che ce lo aspettassimo). E’ solo emerso, sottinteso, nell’intervento del presidente dell’ETI Domenico Galdieri, che ha lamentato gli attacchi all’ente, che per la verità in quella sede nessuno aveva fatto, anzi (l’ente è necessario, nessuno lo vuole chiudere etc.). Galdieri è simpatico e mi è sembrato del tutto in buona fede nella inconsapevole comicità della sua difesa d’ufficio, quando ad esempio ha raccontato che l’Ente diventerà un «progettificio», che farà grandi cose anche se ora non c’è una lira (ma prossimamente vedremo i bilanci sul «Giornale dello Spettacolo»: potremmo chiederli anche per il sito), che non privilegia nessuna compagnia (anche se è ovvio che i grandi teatri dell’Ente – almeno Galdieri lo ha finalmente detto in maniera esplicita – sono funzionali a garantire spazi al teatro privato, emarginato dagli scambi sistematici degli stabili).
Di significativo, abbiamo saputo che una sede (il Valle?) sarà dedicata alla scrittura contemporanea, con di tutto di più: ragazzi/giovani, ricerca, laboratori etc. (non oso immaginare oltre), mentre qualche presente si è finalmente scaldato e risentito quando – a proposito di Europa – è stata fatta l’incauta affermazione che se il teatro italiano va all’estero è perché lo si paga da Roma. Su questo stesso fronte, va registrata la candida Luciana Libero, la consigliera di amministrazione che l’ETI ha delegato per il sud, che ha parlato del progetto aree disagiate (e del fatto che nella sostanza si rifarà) con generoso entusiasmo, quasi come se lo avesse inventato lei.
Ma andiamo con ordine. Il convegno, previsto dalle 9,30 alle 14,30 (come dire: «Se state fuori Roma non venite»), si presentava con due blocchi di testimonianze: amministratori e operatori (con la presenza/testimonianza di qualche politico), così numerosi che alla fine di tutto e nonostante non poche autorevoli defezioni (Forlenza, Rummo, Melandri, Zoppi e molti altri: assenti o silenti) non tutti hanno parlato. La struttura non è stata mantenuta, si sono rimescolate le carte – e fin qui niente di male, se non fosse che l’assenza totale di una struttura nella discussione rendeva molto arduo individuare, seguire e sviluppare nuclei tematici e problematici precisi. Così, doppiato il traguardo di mezzogiorno, e senza intervalli, ciascuno ascoltava se stesso o poco più: non so se alle riunioni di partito accada lo stesso, ma l’incontro era un manuale su come non si organizza un convegno (siccome continuo a pensare e sperare che ciò che è rimasto del partito di Gramsci, Togliatti e Berlinguer sia una «cosa» organizzata, preferisco dedurne che non ci si credeva troppo).
Gli operatori sono stati quasi tutti scelti in quando «rappresentativi» (o rappresentanti di associazioni di categoria): non sfiora il dubbio, temo, a Roma, che il teatro sia anche fuori. Qualunque intervento esterno – diverso da quelli elencati – non era né previsto, né possibile (per quanto ovviamente non proibito): infatti non ce ne sono stati.
Ultima notazione: ho contato sulle dita di una mano fra i presenti (abbastanza numerosi) gli under 45 (nessuno fra i relatori). Spero che ci si rifletta: non ho niente ovviamente contro una generazione che è la mia, ma come si può pensare di discutere di cambiamento senza quelli che dovrebbero esserne destinatari e protagonisti?
Ho perso la relazione introduttiva – per via dell’aeroporto chiuso – della responsabile culturale DS, Chiaromonte (né sono riuscita ad averla via e-mail). Da quello che mi è stato riferito e dalle conclusioni, il punto centrale è stato il rilancio (convinto) della politica legislativa. Da un lato è stato sottolineato il passaggio di competenze alle regioni (che resta la questione che più preoccupa gli operatori/ rappresentanti di categoria: Fiorenzo Grassi, Fioravante Cozzaglio), o più precisamente l’interpretazione ormai acquisita che lo spettacolo costituisce materia di legislazione concorrente (fra Stato e Regioni): i problemi sussistono, ma si è messo in guardia (in più interventi) da atteggiamenti vagamente nostalgici, tipo «stavamo meglio quando stavamo peggio». Dall’altro il progetto di legge (quadro) è stato rilanciato come momento di sintesi e discussione. Peccato che il testo di riferimento continui ad essere quel Veltroni/Melandri (Forlenza), che neppure gli operatori più ossequiosi (ai tempi) sarebbero disposti (oggi) ad appoggiare (come qualcuno ha educatamente cercato di suggerire: la mia impressione è che ne siano tutti consapevoli, ma che per qualche ragione, che mi resta oscura, debba restare una bandiera). Nel finale l’onorevole Chiaromonte ha espresso una convinzione un po’ stonata, per un partito che è pur sempre all’opposizione, sulle funzioni dell’ETI (che pure qualche aggiustamento operativo lo richiede etc.).
L’unico intervento considerato da tutti di grande respiro e che ha in qualche misura dato un senso ideale al convegno lo si deve a Giovanna Marinelli (già direttore dell’ETI, oggi al Comune di Roma): contiamo di poterlo presto mettere sul sito. In sintesi, consentendosi per una volta di non parlare di «cose concrete», Marinelli ha lanciato un grido d’allarme sulla condizione generale della cultura in Europa, sull’«anti-intellettualismo» di Stato, di cui si parla molto in Francia e che certo non è meno preoccupante in Italia, sulla tendenza a ricondurre la produzione artistica o meglio la creatività a una dimensione monetizzabile, mentre «gli artisti sono indispensabili in una società che pensa al proprio futuro e che rispetta la propria storia». Se la crisi del sistema di proprietà intellettuale e l’esaurimento di alcune importanti esperienze artistiche pongono precisi problemi di identità e ricambio, l’abolizione degli steccati fra i generi, il dialogo interculturale, il meticciato sono le nuove strade su cui esercitare la creatività artistica (e organizzativa). Da operatore interno alle istituzioni (ma sensibile alle problematiche degli operatori), Marinelli ne ha richiamato la responsabilità nel rilancio di una politica culturale caratterizzata da una visione complessiva e strategica, dal rifiuto della logica dell’emergenza permanente, da competenza, da attenzione al ricambio generazionale.
Gli interventi della rappresentante del comune di Torino nonché responsabile culturale DS in quella città, Angela Napoli (che si è soffermata in particolare sulla politica torinese verso le compagnie, filtrata da un’unica centrale tecnica insediata presso il teatro stabile), e dell’assessore Gianni Borgna di Roma (incentrato sul pubblico, sull’accesso alla cultura e sulle periferie) sono stati indicativi delle diverse politiche che sul campo può mettere in atto il centro sinistra (vedi in proposito anche l’articolo di Gianfranco Capitta sul «manifesto»).
Altri amministratori hanno sottolineato specifici problemi operativi senza centrare, a mio parere, i problemi veri del rapporto fra enti locali e operatori che pure erano il tema del convegno (i criteri di scelta, le gestioni etc.: del resto la conduzione del dibattito non li sollecitava in questo senso) e solo in corner il rappresentante dell’ATER ha sollevato qualche preoccupazione su ARCUS SPA.
Mi scuserete se non riferisco nel dettaglio degli accenni alla «vertenza spettacolo» dell’AGIS, una piattaforma seria sul piano dei contenuti e che elenca i problemi sul tappeto, di cui ateatro ha riferito (ma attenzione: si dice vertenza, ma non è proprio una «vertenza», nel senso che non è contro nessuno, tanto meno contro il governo) e degli interventi degli «operatori», tendenzialmente deludenti (quasi intimiditi, di basso profilo, peggio del solito insomma: ma perché?). Fra questi Maurizio Scaparro, operativo come sempre, fra Europa e nuovi linguaggi, ha indicato un obiettivo concreto: l’insegnamento del teatro nelle scuole, da rilanciare secondo vecchi protocolli mai attuati (obiettivo importante, certo, ma significativo di quali battaglie si ritiene possa condurre il gruppo DS).
Più (D’Andrea) o meno (Pistone) preparati e deludenti, i politici mi sono sembrati nella sostanza ignari dei problemi veri del teatro italiano, per quanto probabilmente disponibili ad ascoltarli. Anche se non so cosa abbiamo appreso in questa sede. Fra gli assenti politici Giovanna Grignaffini, che doveva anzi introdurre la sezione «La funzione pubblica del teatro: quali soggetti, quali istituzioni?» (quella più mirata agli operatori). La Grignaffini era stata ospite al Festival di Santarcangelo l’estate scorsa, per assistere tra l’altro a un’estrema propaggine di Nuovo teatro vecchie istituzioni e aveva ascoltato con sensibilità: forse avrebbe dato almeno la sensazione di una maggiore attenzione per il nuovo teatro, appunto..
In questo quadro, fra politici, operatori e amministratori, unico a fianco di Marinelli, svettava l’economista Michele Trimarchi, che con lucidità e ottimismo ha ricordato le assurdità dei parametri e della cristallizzazione del FUS, puntato il dito contro i dinosauri del sistema (esemplificando con la Scala) e invitato i presenti a considerare comunque positivi i cambiamenti che la gestione regionale dei fondi potrà determinare. Rimescolare le acque non può che essere positivo. Che un po’ di ossigeno ci arrivi dai professori?


 
© copyright ateatro 2001, 2010

 
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