ateatro 78.10
13/12/2004 
Il sangue vero: in scena La belle époque della Banda Bonnot da Boris Vian
Il disco e lo spettacolo di Giangilberto Monti
di Oliviero Ponte di Pino
 

Si replica con successo in questi giorni al Teatro Arsenale di Milano La belle époque della Banda Bonnot, spettacolo di e con Giangilberto Monti, tratto dal musical che Boris Vian ha dedicato al bandito anarchico (repliche fino a domenica 19 dicembre).
Dallo spettacolo (o meglio dalla sua prima versione) lo stesso Monti ha tratto uno sceneggiato radiofonico per la Radio Svizzera e un doppio cd.



Qui di seguito, la presentazione del CD, che è anche la storia di questo strano spettacolo.


SANGUE VERO

I.

Jules Bonnot (1876-1912). Operaio, autista, anarchico e poi bandito. Siamo nel cuore della Belle Époque, poco prima che inizi la terribile mattanza della Grande Guerra, in una società dove è troppo difficile ottenere giustizia e rispetto. In tutta Europa gli anarchici hanno lanciato bombe contro tribunali e parlamenti, ucciso re, principi e presidenti. Il principe Kropotkin spiega che l’azione violenta è «la propaganda del fatto». Bum!
L’anarchico «illegalista» Bonnot si mette a capo di una banda che compie una serie di colpi clamorosi. Si scatena una feroce caccia all’uomo, la latitanza dura diversi mesi. Bonnot è un abile meccanico, la gang ruba auto di lusso con cui compiere azioni sempre più audaci. Ben presto il cerchio si stringe, uno dopo l’altro i suoi compagni vengono catturati o ammazzati dalle forze dell’ordine. Bonnot si nasconde presso amici e comunità anarchiche. Per fermarlo, davanti a ventimila parigini accorsi per godersi l’assalto finale, tra giornalisti e fotografi, arriveranno cinquecento soldati. A finirlo, dopo le fucilate e la dinamite dei poliziotti, saranno le sassate della folla.
Anche se lascia dietro di sé una scia di omicidi e rapine, questo fuorilegge idealista e feroce, violento e romantico, entra subito nella leggenda: ha depredato gli esattori delle tasse e terrorizzato i possidenti, è stato protagonista della prima rapina di una banca con l’automobile, ma anche del primo inseguimento di banditi in auto. Non è facile, nel suo caso, districare la politica dalla criminalità, la ribellione dal furto, la lotta contro l’ingiustizia dall’istantaneo e violento miglioramento della propria situazione personale.
Jules Bonnot ha lavorato per sir Arthur Conan Doyle, il creatore del più celebre detective letterario, Sherlock Holmes.

Boris Vian (1920-1959). Ingegnere, romanziere e poeta, musicista, giornalista, critico letterario e musicale, sceneggiatore, autore di almeno 478 canzoni, esperto di fantascienza e pornografia, discografico, e molto altro... Scrive noir firmandosi con lo pseudonimo di Vernon Sullivan ma anche romanzi rabbiosi e struggenti, attirando scandali e processi. Nella Parigi del dopoguerra è il re delle caves di Saint Germain des Prés dove esplode il movimento esistenzialista, tra Jean-Paul Sartre (che prende in giro nei suoi libri, ribattezzandolo Jean-Sol Partre) e Juliette Gréco. Canta «Amo l’amore che fa bum!». Irriverente e provocatorio, ai tempi della Guerra d’Indocina è l’autore del Disertore, una canzone che diventerà un inno – ma le radio preferiscono non trasmetterla. E’ malato di cuore, sa che non sopravviverà a lungo e dunque vive con una velocità e un’intensità che tolgono il fiato. E’ amico di Henry Salvador e di Miles Davis, e come lui suona la tromba, finché gli reggono polmoni. Inventa il rock & roll francese, lui è Fredo Minablo e il suo gruppo si chiama la Pizza Musicale.
Nel 1954 Henry-François Rey, che dall’epopea feroce di Bonnot aveva tratto una commedia, gli chiede aiuto: con Jimmy Walter, compositore e pianista, Vian scrive diciannove canzoni, ma lo spettacolo – forse anche per una forma di sottile censura – resta in cartellone solo per un paio di settimane. Il materiale viene disperso e alcuni spartiti scompaiono. Nel 1970 un amico di Vian, il fisarmonicista Louis Bessières, rimonta questo materiale, musicando gli spartiti perduti e modificando alcuni testi, per uno spettacolo che nel 1975 diventerà anche un disco.
Vian muore poco dopo l’inizio dell’anteprima del film tratto dal suo capolavoro, il romanzo J’irai cracher sur vos tombes. Andrò a sputare sulle vostre tombe.
Una delle sue ultime poesie si intitola Je ne voudrais pas crever – Non vorrei crepare...

Giangilberto Monti (1952). Ingegnere, cantautore, drammaturgo, scrittore, regista, oltre che autore di un fondamentale Dizionario dei cantautori. Si è formato nella Milano della strage di piazza Fontana e degli attentati delle Brigate Rosse. Bum!
Ha una vera passione per Boris Vian: alle sue canzoni ha già dedicato uno spettacolo, un libro e un bel disco. Così si mette sulle tracce della sua Banda Bonnot, raccoglie i testi originali e li adatta in italiano, recupera tutti gli spartiti su cui riesce a mettere le mani e reinventa i tasselli che mancano. Mixa gli ingredienti muovendosi tra jazz e folk, con la direzione musicale di Carlo Cialdo Capelli. Si procura tutto quello che trova su Bonnot: il fumetto di Clavé e Godard La bande à Bonnot (Glénat, 1982), il libro di Pino Cacucci In ogni caso nessun rimorso (Longanesi, 1994, Feltrinelli, 2001), il film di Philippe Fourastié con Annie Girardot e e Jacques Brel (1964), la canzone di Joe Dassin. Nel 2001 crea uno spettacolo dove le diciannove canzoni di Vian ritrovano l’ordine originale e vengono inserite in un racconto affettuoso e scanzonato. Due anni dopo lo spettacolo diventa uno sceneggiato per la Radio Svizzera. Oltre ai due narratori (lo stesso Monti e Alessandra Falletti) e ai musicisti (Roberto Carlotti, fisarmonica, Caroline Tallone, violino, organetto e ghironda, Renata Mezenov, voce e chitarra, Marco Mistrangelo, contrabbasso), La Belle Époque della Banda Bonnot impegna per gli episodi chiave anche una decina d’attori, a cominciare da Luca Sandri che dà voce al protagonista. Dopo essere andata in onda tra l’8 e il 12 marzo 2004, con regia di Claudio Laiso e la regia musicale di Lara Persia, la trasmissione vince il Prix Suisse, l’Oscar della radiofonia elvetica.
Quando parla del suo spettacolo, Giangilberto Monti ama citare un contemporaneo di Bonnot, l’inventore della medicina legale in Francia, il professor Alexandre Lacassagne: «Les sociétés ont les criminels qu'elles méritent» – «Ogni società ha i criminali che si merita».



II.

Jules Bonnot era senz’altro un cattivo ragazzo. O forse lo avevano trasformato in un pessimo soggetto, a furia di botte, sfruttamento, galera, tradimenti e ingiustizia.
Invece Giangilberto Monti – lo si capisce subito – è un bravo ragazzo. E dunque come noi – che siamo tutti bravi ragazzi – è affascinato dalle cattive compagnie e vuole capire il segreto del loro memorabile destino. Della loro energia, delle loro ingenuità, della loro incoscienza.
Per fortuna il genio di Boris Vian -– l’incazzato che sapeva come divertirsi – ha permesso a questo bravo ragazzo di trafficare con un «individuo dalle tendenze antisociali» senza scottarsi. Anzi, a furia di frequentare la strana coppia Bonnot-Vian, Giangilberto ha potuto riflettere sul destino dei cattivi ragazzi, sulla giustizia e sull’ingiustizia, sulla violenza e sulla non violenza, sulla politica e sul terrorismo. Su un terrorismo che appare quasi ingenuo rispetto agli orrori dei giorni nostri – anche se ai tempi di Bonnot l’eroe era un bandito violento e imprendibile come Fantômas: i romanzi di Pierre Souvestre e Marcel Allain vennero pubblicati con enorme successo proprio tra il 1911 e il 1913 e subito grazie a Louis Feuillade diventarono film di enorme successo.
Quella in cui viveva Jules Bonnot era una società ingiusta e violenta, che criminalizzava le pulsioni libertarie se non riusciva a trasformarle in moda o in merce. Insomma, più o meno come accade oggi, quando diventa sempre più difficile vedere la differenza tra un rivoluzionario e un bandito.

La Belle Époque della Banda Bonnot è un disco insieme colto e popolare, raffinato e immediato. Anzi, sono due dischi. Nel primo ci sono i brani di Vian-Monti dedicati al bandito Bonnot. Sono belle canzoni, spesso intense e divertite e divertenti, interpretate con perfido garbo. Sono di quelle canzoni che ci riscopriamo a canticchiare senza neppure pensarci, come l’irresistibile Tango del macellai: perché hanno dentro l’umorismo perfido e graffiante di Vian, e perché lo scarto tra il desiderio e la realtà, tra il sogno e la miseria di ogni giorno, tra la tenerezza e l’odore del sangue può diventare facilmente una bella canzone. Sembrano canzonette, arrivano al cuore come un fucilata, esplodono come un candelotto di dinamite. Ma con dolcezza, e facendoti sorridere.
Il secondo cd contiene la registrazione della radiocommedia musicale: una forma di spettacolo in cui si intrecciano canzoni, narrazione e teatro. Monti è un cantastorie raffinato, che conosce Jarry (Vian era anche un patafisico) e Brecht. Ha trovato un tono e uno stile di racconto appropriati ed efficaci. Una avventura in cui s’intrecciano cronaca nera ed epopea metropolitana, rabbia e sentimento, storia e politica, viene ripercorsa mescolando musica e parole, teatro e canzone, ironia e cronaca, didascalie e humour noir.

Giangilberto Monti guarda Bonnot e sceglie di non giudicare. Vuole solo raccontarci una vicenda che gli è piaciuta, un’epopea di incazzati sognatori dove ha sentito risuonare qualche corda che lo affascina e lo incuriosisce. Attraverso Bonnot e i suoi compari vuole raccontare un’epoca, un momento storico in cui tutto in apparenza sembra andare bene, seguendo un ordine che possiamo decifrare. Anche se sappiamo che è ipocrita. Anche se non sappiamo cosa ci sarà dietro il prossimo angolo della storia. Anche se ci sentiamo inquieti senza sapere il perché. Bum!
Giangilberto Monti ha imparato a raccontare le sue storie con spensierata leggerezza, ma forse neanche lui è davvero un bravo ragazzo.


 
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