INDICE DEL MATERIALE SUL NEO NAZISMO IN SVEZIA

 

 

 

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lettera proveniente dal movimento anarchico che testimonia l’omicidio di un compagno per mano di elementi dell’estrema destra datata 4 novembre 1999

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15/04/2003 - Consiglio d'Europa: sei nuovi rapporti sul razzismo

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LE MONDE diplomatique - Marzo 2000 CRISI SOCIALE, BLOCCHI POLITICI E XENOFOBIA Le estreme destre d'Europa, populiste e "rispettabili"

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Corriere della Sera, 27/4/2000

Il razzismo democratico in svezia

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Uscire dai movimenti neonazisti non è facile ma esiste un'organizzazione che fornisce aiuti

Il progetto "EXIT"

 

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Cinquantamila svastiche su Internet

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nazismo
ombre nere


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CRISI SOCIALE, BLOCCHI POLITICI E XENOFOBIA
Le estreme destre d'Europa, populiste e "rispettabili"

 

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Neo-Nazis' international connections

By Mikael Karlsson

In international neo-Nazism today, there are two major positions, the “first position” and the “third position”.

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dal http://www.adl.org/   la criminalità nazi in svezia

December, 1999

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WHITE PRIDE WORLDWIDE: The Major Players
LA MUSICA E IL NEONAZISMO

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DECISIONE-QUADRO DEL CONSIGLIO  - Bruxelles, 28.11.2001

sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia - ALCUNE CIFRE

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EUMC - European monitoring centre on racism and xenophobia

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Sweden's Nazi menace
By Per-åke Westerlund (edited version published in Socialism Today)

 

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Da: Orizzonti Libertari <orizlib@hotmail.com>
Data: giovedì 4 novembre 1999 18.23
Oggetto: Omicidio anarcosindacalista in Svezia

Svezia: 40.000 contro fascismo e razzismo. No pasaran!

 

lettera da orizzonti libertari datata 4 novembre 1999


Svezia, sabato 23: manifestazioni contro fascismo, nazismo e razzismo Nella notte precedente un attentato dinamitardo contro una sede della SACSabato 23 ottobre, manifestazioni in memoria di Björn Södeberg, il membro del sindacato libertario SAC recentemente assassinato, si sono svolte in tutta la Svezia. Circa 40.000 persone hanno manifestato il loro dolore e la loro rabbia in 20 diverse città. È stata la più grande manifestazione antifascista dallaseconda guerra mondiale. Björn Söderberg è stato ucciso il 12 ottobre dopo aver rivelato che un'attivista fascista si era infiltrato nella L.O. (un'omologa svedese della C.G.I.L.). Nella notte tra venerdì 22 e sabato 23 ottobre intorno all'una di notte una forte esplosione ha scosso la cittadina di Gävle, nella Svezia centrale.
L'obiettivo era la sede locale del SAC. L'edificio colpito, oltre che sede delle federazioni locali e del sindacato industriale della SAC era anche la casa natale dell'agitatore sindacale statunitense Joe Hill, nato in Svezia ed immigrato negli Stati Uniti dove fu attivo nell'IWW-Industrial Workers of the World. Fu assassinato dallo Stato, dopo in processo-farsa per un crimine mai commesso.
L'attentato era ovviamente un tentativo, peraltro fallito, di terrorizzare chi si preparava a partecipare alle manifestazioni del sabato: infatti nella sola Gälve hanno sfilato 2000 persone. A Stoccolma, la manifestazione ha attratto 20.000 partecipanti che si sono accalcati per ascoltare gli interventi della SAC e di altre tre organizzazioni sindacali. Un coro anarco-femminista ha intonato canzoni antifasciste di lotta; è inoltre intervenuto un rappresentante della Rete contro il razzismo. Bandiere rosse e nere e striscioni libertari hanno dominato il palco. A Göteborg, la manifestazione ha
coinvolto 8.000 partecipanti; è intervenuto, fra gli altri, Helmut Kirschey, antinazista tedesco e volontario nella Rivoluzione Spagnola. A Malmö, nella Svezia meridionale, circa 1000 persone hanno partecipato; cortei si sono svolti anche nellontano nord del paese. Il compito che sta ora di fronte al movimenti antirazzista,  anarcosindacalista e sindacale, é quello di unire le forze per continuare a mobilitare l'intera classe lavoratrice contro il fascismo, ovunque presenti il suo turpe volto.

Info: Kurt Svensson c/o Brand, box 150 15 104 65 Stockholm Sweden;
e-mail: ksvensson@motkraft.net

(tratto da A-Infos, traduzione di Amria)
ORIZLIB
da "Umanità Nova" n.34 del 31 ottobre 1999

 

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http://www.coe.int/T/I/Comunicazione_e_ricerca/Stampa/Comunicati_stampa/030415_CS_6_rapporti_ECRI.asp

15/04/2003 - Consiglio d'Europa: sei nuovi rapporti sul razzismo.

Strasburgo, 15.04.2003 - La Commissione europea contro il Razzismo e l'Intolleranza (ECRI), organo del Consiglio d'Europa specializzato nella lotta contro il razzismo, ha pubblicato quest'oggi sei nuovi rapporti sul razzismo, la xenofobia, l'antisemitismo e l'intolleranza relativi a: Andorra, Azerbaigian, Liechtenstein, Lituania, Moldavia e Svezia. L'ECRI prende atto degli sviluppi positivi avvenuti in tutti i sei paesi membri del Consiglio d'Europa. Allo stesso tempo, però, nei rapporti persistono elementi preoccupanti per la Commissione, tra cui:

In Andorra, l'ECRI ha rilevato l'assenza, nella legislazione andorrana, di disposizioni giuridiche penali, civili e amministrative relative alla lotta contro il razzismo e l'intolleranza. Un gran numero di immigrati si trovano in situazione precaria e il termine richiesto per la naturalizzazione dei residenti di lunga durata è molto esteso. L'ECRI teme che la situazione impedisca una piena integrazione nella società andorrana degli immigrati.

In Arzebaigian, le nozioni di razzismo e discriminazione appaiono, sembrano limitate alle manifestazioni più dure ed estreme di questi fenomeni, mentre vengono sottovalutate le manifestazioni più comuni. Tuttavia, in Arzebaigian, certe persone sono vittime di discriminazione diretta e indiretta nella loro vita quotidiana. Tra questi, i rifugiati, gli stranieri, i membri di minoranze religiose e gli armeni.

In Liechtenstein, resta preoccupante un certo tipo d'interesse rivolto all'estrema destra, soprattutto da parte dei giovani. L'ECRI nota che devono ancora essere elaborati e attuati un mandato e una strategia chiari e specifici che mirino a integrare nella società i non-cittadini e le persone di origine immigrata.

In Lituania, persistono problemi di razzismo e intolleranza, soprattutto nei confronti della comunità Rom, ma che riguardano anche i richiedenti asilo e i profughi ceceni e afgani. L'ECRI osserva che gli attuali provvedimenti normativi diretti a combattere le manifestazioni di razzismo e discriminazione razziale non sono sempre adeguati a questi fenomeni e raramente vengono applicati.

In Moldavia, la difficoltà principale risulta essere la necessità di assicurare, in maniera pacifica e per evitare discriminazioni future o tensioni interetniche, la coesistenza di varie lingue. L'ECRI ha inoltre rilevato, che a causa delle tensioni politiche e sociali, l'attuazione dei provvedimenti penali, civili e amministrativi, relativi alla lotta contro il razzismo e la discriminazione razziale, risultano molto difficili e che a questo proposito la comunità Rom è molto vulnerabile.

In Svezia sussistono problemi di razzismo e intolleranza, in particolare, le persone di origine immigrata non hanno la sensazione di essere completamente parte della società e restano parzialmente escluse dalle sue strutture, affrontando la discriminazione e gli svantaggi sul mercato del lavoro, nella possibilità d'alloggio, nell'accesso a certi luoghi aperti al pubblico, quali ristoranti e discoteche, così come nel campo dell'educazione e in diversi altri settori. Infine, restano fattore di preoccupazione, secondo l'ECRI, le attività di organizzazioni e movimenti di estrema destra, in particolare, atti di violenza e la produzione di musica del "potere bianco".

I sei nuovi rapporti fanno parte di un secondo ciclo di monitoraggio delle leggi, delle politiche e delle pratiche degli Stati membri, nella lotta al razzismo. I rapporti dell'ECRI, paese per paese (disponibili in inglese e francese sul sito Internet www.coe.int/ecri) coprono in posizione egualitaria tutti gli Stati membri, per quanto riguarda la protezione dei diritti dell'Uomo. I secondi rapporti esaminano l'attuazione delle proposte fatte ai governi nei rapporti precedenti, contengono informazioni generali aggiornate e offrono un'analisi approfondita di alcuni aspetti particolarmente preoccupanti nei paesi coinvolti.

 

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LE MONDE diplomatique - Marzo 2000

CRISI SOCIALE, BLOCCHI POLITICI E XENOFOBIA
Le estreme destre d'Europa, populiste e "rispettabili"


L'evoluzione delle vicende austriache (leggere a pagina 3) lo conferma: l'estrema destra non è mai sparita dal paesaggio europeo. Mentre alcuni movimenti esclusi dal sistema elettorale, come in Scandinavia o in Gran Bretagna, hanno fatto ricorso al terrorismo, gli altri prosperano sull'evanescenza del divario destra/sinistra, che priva di senso la rappresentanza politica. Il problema allora non è tanto il presunto riaffiorare del "fascismo" quanto l'anestetizzazione di una democrazia attuata attraverso il consenso politico-economico.

di Jean-Yves Camus*
La scissione del Fronte Nazionale francese e il tracollo delle estreme destre alle elezioni europee del 13 giugno 1999 avevano dato l'impressione che il loro declino fosse ormai iniziato. Ma da allora, diversi risultati elettorali hanno contraddetto questa previsione. Il 3 ottobre 1999 il Partito liberale dell'Austria (Freiheitliche Partei àsterreichs FpÜ) di J&Uumlrg Haider è diventato il secondo partito austriaco, con il 26,9%; il 24 ottobre in Svizzera, l'Unione democratica del centro, partito agrario conservatore diretto da Christoph Blocher, ha ottenuto il 22,5% dei voti, affermandosi così come primo partito del paese, a parità con i socialisti (1); e mentre la Deutsche Volksunion (Dvu) entrava nei parlamenti di vari Lènder della Germania Est, in Norvegia, alle elezioni comunali del 14 settembre 1999, si è confermata la lenta avanzata del Partito del progresso (13,4%, con un aumento dell'1,4%).
Nell'Europa occidentale, i persistenti successi elettorali dei partiti xenofobi sono legati al progredire di una concezione ultraliberista dell'economia e della società, caratterizzata tra l'altro dalla netta volontà delle élites politiche ed economiche di considerare superato il quadro degli stati-nazione. L'estrema destra europea ha acquisito così una base sociale, e si esprime oramai più attraverso le urne che con un attivismo violento. Quest'ultimo fenomeno rimane invece preoccupante nei paesi in cui le formazioni estremiste non trovano sbocchi elettorali, a causa di un sistema elettorale che penalizza i partiti "anti-sistema", come in Gran Bretagna (il micidiale maggioritario uninominale a un solo turno) oppure, come in Svezia, a causa della fortissima pressione sociale, tendente a emarginare le idee non consensuali. Inoltre, qui come altrove il frazionamento organizzativo e l'assenza di dirigenti carismatici possono impedire al movimento di catalizzarsi.
Così, a fianco dei partiti legali o anche al loro interno (non è rara la doppia appartenenza dei militanti) si manifestano da alcuni anni gruppuscoli violenti, di ideologia apertamente neonazista e razzista. Secondo l'analisi dei politologi Jeffrey Kaplan e Leonard Weinberg (2), queste formazioni hanno imitato, sia nelle idee che nei metodi d'organizzazione e d'azione, alcuni gruppi terroristici americani (The Order, Aryan Nations); e come ha dimostrato la campagna d'attentati in Svezia hanno acquisito una certa capacità di attuare azioni di considerevole rilievo.
Questi pericolosi movimenti compresi anche quelli degli skinheads non hanno tuttavia innescato dinamiche politiche o sociali, se si eccettuano i gruppi giovanili dei Lènder della Germania orientale. Nei paesi in cui si esprimono, questi gruppi violenti si riferiscono esplicitamente all'ideologia del nazionalsocialismo o dei vari fascismi, e utilizzano i loro simboli, sfidando spesso i divieti. Ma questa famiglia dell'estrema destra è oramai minoritaria, mentre i successi maggiori vanno ai partiti populisti e xenofobi. Nella maggior parte delle democrazie occidentali quest'estrema destra elettoralmente rappresentativa, che tra il 1945 e gli anni 80 era confinata all'Italia e alle dittature dell'Europa meridionale, si afferma sul terreno di una crescente povertà di massa, in una società che evolve verso il "multi- culturalismo". L'immigrazione è caratterizzata in effetti da ondate di naturalizzazioni e di sanatorie, accompagnate, in numerosi paesi, dalla concessione della cittadinanza e dei diritti politici, oltre che da una politica di riconoscimento giuridico dei diritti delle lingue e culture minoritarie.
Il centro di gravità della nebulosa estremista, che negli anni 60 e 70 si collocava nei paesi in via di industrializzazione, si è spostato oggi verso il centro e il nord dell'Europa.
Parallelamente, al Movimento sociale italiano (Msi), partito-faro dell'estrema destra di allora, si è sostituito negli anni 80 e 90 il Fronte nazionale francese (Fn), che ha ispirato in altri paesi numerose formazioni, con esiti variabili, quanto meno nell'Europa occidentale: successi reali ma effimeri (l'Fn belga di Daniel Ferret), non trascurabili ma insufficienti a eleggere rappresentanti (la Sverigedemokraterna, Svezia), oppure nella maggioranza dei casi del tutto marginali (Democracia nacional in Spagna, Fronte nazionale in Italia).
Dopo la scissione e il calo elettorale, il partito di Jean Marie Le Pen non è più un modello incontestato.
Elettori venuti da sinistra Oggi però una terza ondata, più consistente, si incarna nei "populismi alpini" (Haider e Blocher, la Lega Nord di Umberto Bossi e quella dei ticinesi) e in quelli scandinavi (il Partito del progresso norvegese di Carl Hagen e il Partito del popolo danese di Pia Kjaersgaard) (3). Questi partiti non hanno alcun collegamento con il fascismo e il nazismo (ad eccezione di quello di J&Uumlrg Haider); postulano uno stato ridotto ai minimi termini; sono xenofobi, ma nei loro discorsi ufficiali respingono il razzismo gerarchizzante e l'antisemitismo; rifiutano di cooperare con formazioni che giudicano estremiste, quali l'Fn o il Vlaams Blok, ma accettano l'idea di governare in coalizione con la destra. Poiché questi partiti non corrispondono al fascismo tradizionale, i fattori di tipo "essenzialista" (mancata denazificazione in Austria, xenofobia di antica data in Svizzera) non bastano a spiegare il loro successo; e non spiegano neppure i buoni risultati ottenuti da formazioni di tipo "misto" (tra recupero del voto di protesta e filiazione di estrema destra) quali l'Fn francese o il Vlaams Blok (4). Quest'ultimo, ad esempio, è stato spesso descritto come erede della frangia filo-nazista del movimento fiammingo d'anteguerra. Ma il politologo Marc Swyngedouw ha dimostrato che solo il 4-5% degli elettori "blokkers" adducono come motivazione della loro scelta la difesa del nazionalismo fiammingo, mentre tra chi ha dato il suo voto alla Volksunie questa percentuale raggiunge il 17%.
Anche qui, come nell'Fn, si nota quindi una distinzione fondamentale tra un inquadramento ancora segnato, nella sua traiettoria come nelle convinzioni dei suoi militanti, dall'estrema destra tradizionale, e un elettorato che ne è del tutto distaccato, e proviene anzi in parte dalla sinistra. Nelle Fiandre, il 21% dei giovani elettori che nel 1991 avevano votato socialista sono passati in seguito al Blok; e alle legislative del 1999, l'FpÜ austriaco ha sottratto al partito socialdemocratico (SpÜ) circa 213.000 voti. In Danimarca, il 10% di coloro che nel 1998 avevano votato per la Dansk Folkeparti (partito del popolo danese) provenivano dai ranghi socialdemocratici.
A ciò si aggiunge il fatto che spesso i dirigenti di queste formazioni non hanno affatto un passato estremista: Mogens Camre, dirigente della Dansk Folkeparti, era un deputato socialdemocratico; neppure Thomas Prinzhorn, astro nascente dell'FpÜ, ha un passato ultrà, ma è stato come del resto Blocher dirigente aziendale. La differenza è notevole rispetto al Movimento nazionale repubblicano (Mnr) di Bruno Mégret, e spiega in parte l'insuccesso del suo tentativo di acquistare consensi tra gli elettori della destra classica: non soltanto la scissione dall'Fn non ha dato luogo a svolte ideologiche di sorta, ma l'Mnr, che pure si presentava come partito rinnovatore, dissociato dagli eccessi lepenisti, è di fatto guidato da elementi impregnati di un'ideologia nazionalista rivoluzionaria (il movimento "Terre et Peuple" di Pierre Vial) o delle tesi identitarie della "nuova destra" degli anni 70.
Si contrappongono dunque due concezioni della lotta politica: da un lato la testimonianza storica, generalmente a partire da posizioni controrivoluzionarie o nostalgiche, o da forme di integralismo religioso; dall'altro l'accettazione di una modernizzazione programmatica e organizzativa per la conquista del potere. E i partiti che non si sono aggiornati finiscono per emarginarsi e trasformarsi in gruppuscoli: L'Msi-Fiamma tricolore italiano, che aggrega i refrattari all'aggiornamento imposto da Gianfranco Fini nel 1995, non supera oggi l'1,6% dei voti. Le formazioni che non hanno altro programma al di fuori della difesa e celebrazione dei regimi autoritari (Spagna, Portogallo; Grecia) sono praticamente scomparse (5).
I "populismi" xenofobi (6) hanno sfondato soprattutto tra le categorie di popolazione più minacciate nel loro status sociale e occupazionale. A questo riguardo, la situazione francese, con l'Fn che alle legislative del 1997 ha raggiunto anche il 30% in talune circoscrizioni, non rappresenta un'eccezione. E' una tendenza ben percepibile anche tra i giovani (il 33% sotto i 35 anni in Francia, il 35% sotto i 30 in Austria).
Questa situazione può essere spiegata attraverso la cosiddetta teoria degli "interessi economici minacciati" o degli "interessi simbolici": le fasce di popolazione a rischio a causa della crisi percepiscono la manodopera estera come concorrente, e tendono a votare per le formazioni xenofobe che promettono di assicurare loro in esclusiva il beneficio del diritto al lavoro e altri diritti fondamentali. Sono infatti gli operai o impiegati meno qualificati a costituire il grosso dell'elettorato del Vlaams Blok; e nel 1999, il 48% degli operai austriaci ha scelto l'FpÜ, divenuto ormai di gran lunga il primo partito rappresentativo dei "colletti blu". Quanto ai Republikaner tedeschi, il politologo Patrick Moreau sottolinea "la correlazione della scelta estremista con un basso livello di organizzazione sindacale, l'esperienza della disoccupazione, l'appartenenza a una famiglia numerosa e la dipendenza dall'aiuto sociale", valutando al 17% la base operaia del partito alle elezioni regionali del 1996.
Al contrario, in Danimarca e in Norvegia, dove l'estrema destra ottiene rispettivamente il 9,8 e il 15,3%, non è stata individuata nessuna correlazione tra la disoccupazione e il voto per questi partiti. Eppure, il loro elettorato è costituito, oltre che da imprenditori e lavoratori autonomi, anche da una proporzione crescente di operai: in questi due paesi, i rispettivi Partiti del progresso sono anche i primi partiti operai e hanno sorpassato i socialdemocratici. Una delle possibili spiegazioni è che nei paesi in cui lo stato sociale ha fatto grandi passi avanti non solo grazie ai socialdemocratici, ma anche sotto governi "borghesi", la fedeltà della classe operaia nei confronti della sinistra tende ad erodersi, lasciando prevalere la componente autoritaria di una frazione della cultura operaia, che non trova altra incarnazione al di fuori della nuova destra.
Esiste quindi un paradosso da spiegare: un elettorato essenzialmente popolare vota per formazioni appartenenti all'estrema destra "post-industriale", accomunate dal fatto di incorporare nei loro programmi, in proporzioni variabili, il fattore "nazionale", accanto ad elementi neoliberisti o anche libertari.
Ad esempio, il programma economico dell'FpÜ raccomanda una completa "deregulation economica, che garantisca la competitività e la prosperità dell'economia austriaca e la creazione di posti di lavoro". Quello dell'Udc condanna "il ricorso abusivo alle prestazioni sociali", e chiede "orari di lavoro e sistemi salariali flessibili", nonché "la soppressione di talune prestazioni dello stato", il tutto ovviamente accompagnato da un "sistema fiscale vantaggioso per tutte le imprese". Anche i partiti scandinavi hanno avuto origine dalla protesta contro il fisco e dalla volontà di limitare le prerogative dello stato sociale: una tematica che si ritrova nell'ala liberale minoritaria del Vlaams Blok, diretta dalla deputata Alexandra Colen.
La Lega Nord, dal canto suo, costituisce un fenomeno più complesso, che può essere interpretato come la risposta delle classi medie emergenti e dei piccoli imprenditori dell'Italia settentrionale a una situazione nella quale la modernizzazione del capitalismo locale, caratterizzata dall'esplosione della micro- impresa, non è stata accompagnata da un adeguamento altrettanto rapido del quadro istituzionale e politico. E' in questo contesto approfittando anche dello spazio liberato a destra dalla disgregazione della Democrazia cristiana - che la Lega ha potuto emergere, con la sua duplice xenofobia verso gli stranieri e gli italiani del sud la sua protesta fiscale e una rivendicazione indipendentista basata su un'identità e una storia mitizzate (la Padania e il "popolo padano" non sono mai esistiti).
Il politologo Herbert Kitschelt (7) spiega l'adesione delle fasce popolari al neoliberismo con la globalizzazione dell'economia, che ostacola le politiche di attenuazione delle disuguaglianze attraverso l'intervento dello stato. Di conseguenza, la fascia più modesta dell'elettorato è indotta a credere che la giustizia sociale si possa raggiungere riducendo lo stato ai minimi termini e lasciando agire il libero gioco del mercato (che secondo i populisti e gli ultraliberisti favorirebbe l'ascesa sociale liberando le energie creative e l'iniziativa individuale). Quest'analisi può anche spiegare in parte la componente xenofoba del voto populista. In effetti, chi si sente minacciato dalla concorrenza degli stranieri sul mercato del lavoro accetta il programma liberale dei partiti populisti soltanto nella misura in cui vi si postula l'esclusione degli immigrati dai benefici delle prestazioni sociali, e persino dai posti di lavoro. In termini di analisi costi/benefici, l'ultraliberismo appare allora sopportabile, se temperato dalla preferenza nazionale. In Francia tuttavia, a partire dalla "svolta sociale" dell'autunno 1995, il Fronte nazionale, assai più degli altri partiti estremisti, ha in parte voltato le spalle al suo passato liberismo, che convive oramai con una certa difesa del servizio pubblico e delle conquiste sociali, purché riservate ai francesi.
In questo stesso discorso, l'accoppiata politici-funzionari viene regolarmente associata alla corruzione e allo sperpero. La si assume a simbolo del fallimento delle funzioni di mantenimento dell'ordine dello stato e difatti la domanda di ordine e sicurezza è onnipresente nonché della soffocante pressione fiscale, imputata al peso crescente degli "improduttivi", in contrapposizione con i creatori di ricchezza (piccoli imprenditori, liberi professionisti, artigiani, agricoltori e persino operai). Benché non si possa individuare una correlazione sistematica tra la percentuale degli stranieri e il voto estremista, la protesta contro l'immigrazione figura incontestabilmente tra le sue principali motivazioni. L'inchiesta Eurobarometro del 1997 ha dimostrato che gli elettori dell'Fn, del Vlaams Blok e dei Republikaner si schierano in favore di una discriminazione anti-immigrati, e rifiutano qualsiasi forma di "multiculturalismo". Tutti questi partiti sono caratterizzati da un razzismo di tipo gerarchizzante, nella cui ottica il meticciato appare come un vero incubo. Tra gli aderenti ad altri movimenti, tra cui le varie forme del populismo scandinavo, l'Alliance nationale, la Lega e il FpÜ, l'insistenza sul razzismo è minore, e l'opposizione all'immigrazione viene giustificata con le differenze culturali, come dimostra chiaramente il programma di Haider: "La coscienza che si possiede delle qualità specifiche del proprio popolo è inseparabile dalla volontà di rispettare ciò che è specifico degli altri popoli": la stessa formulazione è ripresa, in buona misura, dall'etno-differenzialismo della nuova destra.
Altro segno della correlazione tra globalizzazione ultraliberista e avanzata degli estremismi: secondo la stessa inchiesta, l'87,5% dei sostenitori dei Republikaner, il 68,4% di quelli dell'Fn e il 45% degli elettori dell'FpÜ danno dell'Europa un giudizio negativo. Ma tra l'elettorato del Vlaams Blok questa proporzione scende al 40,8% (poco più del 38,9% riscontrato presso i socialisti). Il motivo va ricercato senza dubbio nella popolarità dell'idea di un'Europa delle etnie in seno al movimento fiammingo, che la considera come principale mezzo di rottura dello stato-nazione, al quale sono invece legati i populisti tedeschi, austriaci e francesi. La dimensione anti-europea è percepibile anche in Scandinavia (il Partito norvegese del progresso ha fatto campagna contro l'adesione all'Ue) e in Svizzera.
Le estreme destre professano di fatto una sorta di "liberalismo autarchico" senza il libero scambio: un liberalismo che dovrebbe fermarsi ai confini nazionali, e si tradurrebbe nello smantellamento dello stato e delle conquiste sociali. Sono in atto però alcune evoluzioni: ad esempio, l'Fn francese ha condotto una campagna come del resto varie altre formazioni omologhe contro l'Organizzazione mondiale del commercio (Omc).
Dal canto suo, il partito di Blocher non mette in discussione quest'organizzazione. Quanto a Haider, ha appoggiato l'adesione dell'Austria alla Nato.
Infine, come non sottolineare il ruolo determinante dell'assenza di una vera contrapposizione politica nell'avanzata delle destre in Europa? In Scandinavia, in Svizzera (come in Austria e in Belgio fino alle elezioni del 1999), la vita politica si riassume in due formule: quella della coalizione permanente (Sp&Uuml- àvp, socialdemocratici/conservatori, la "formula magica" svizzera che garantisce una stabile ripartizione dei seggi tra i grandi partiti al Consiglio nazionale), o quella di una regolare alternanza tra una socialdemocrazia e una destra liberale, i cui programmi non presentano praticamente più alcuna differenza, se non sul piano delle rispettive ricette per la regolazione o l'ulteriore liberalizzazione del mercato. Il clientelismo dei grandi partiti e la loro compenetrazione con l'apparato dello stato impediscono qualsiasi riforma di fondo delle strutture istituzionali, cristallizzando il sistema di rappresentanza. E la conseguente insofferenza per il ceto politico appare come una delle determinanti essenziali del voto in favore dell'Fn francese, del Vlaams Blok, dell'FpÜ e della Lega mentre l'elettorato di Alleanza nazionale si distingue per la sua accettazione del gioco democratico e delle élites alle quali si è integrata. Unici esempi contrastanti: l'insuccesso della Nationalbewegong del Lussemburgo e dei Centrumdemokraten in Olanda, due paesi nei quali tuttavia il consenso è altissimo.
Al di là della loro innegabile dimensione autoritaria e xenofoba, le destre radicali hanno incontestabilmente tratto un grande vantaggio dall'evanescenza del divario destra/sinistra e dal larghissimo consenso intorno all'associazione tra socialdemocrazia e "nuovo centro". Se queste destre incarnano oggi la principale forza di dissenso, all'interno di contesti sociali in cui il dibattito delle idee si riduce alla discussione sui metodi per gestire il modello liberista, la sinistra innanzitutto deve interrogarsi sulle proprie carenze e rinunce, e la destra conservatrice sul suo accecamento e la sua codardia.
E' difficile prevedere come si comporterebbero questi partiti, una volta al potere. L'esempio italiano fa pensare a una certa "plasticità" dei movimenti estremisti, confermata anche dall'opportunismo dei loro dirigenti come dimostra l'esempio Haider. Una volta abbandonata la funzione di tribuni, essi potrebbero inserirsi tra i mutevoli quadri della democrazia liberista. Per il momento, bisognerà in ogni caso mettere in conto il fatto che queste formazioni esercitano una pressione autoritaria sui pubblici poteri e reintroducono nel discorso politico valori estranei alla democrazia, minacciando così di avallare una certa violenza xenofoba.



note:

* Politologo, autore de Les Extrémismes en Europe, rapporto annuale del Centro europeo di ricerca e d'azione sul razzismo e l'antisemitismo (Cera), Editions de l'Aube, 1999, e Front National: eine Gefahr ffr die franz&Uumlsische Demokratie?, Bouvier Verlag, Bonn, 1998.

(1) Leggere Peter Niggli, "Il balzo in avanti della nuova destra in Svizzera", Le Monde diplomatique/il manifesto, dicembre 1999.

(2)
Jeffrey Kaplan, Leonard Weinberg, Fade to black: the emergence of an Euro-american radical right, Rutgers University Press, Piscataway (New Jersey) 1998.
(3) Sul neo-nazismo svedese, leggere Démokratins f&Uumlrg&Uumlrare (opera collettiva), Statens Offentliga Utredningar, Stoccolma, 1999; sulla nuova destra danese, leggere Johannes Andersen et al.
, Valelgere med omtanke. En analyse af folketingsvalget 1998, Forlaget Systime, Arhus, 1999.

(4) Leggere Serge Govaert, "L'esterma destra alla conquista di Bruxelles". Le Monde diplomatique/il manifesto, gennaio 1998.

(5) I cinque partiti falangisti o radicali che hanno partecipato alle europee del giugno 1999 hanno riportato 61.522 voti; in Portogallo, il partito neo-salazarista Alian&ccedila Nacional non si è presentato; in Grecia, due formazioni antisemite, Proti Grammi e Enosis Kentroon, hanno ottenuto insieme l'1,57% (101.044 voti).

(6) Sull'uso ideologico di questo termine, leggere Serge Halimi, "Il populismo, un nemico ritrovato", Le Monde diplomatique/il manifesto, aprile 1996.

(7)
Herbert Kitschelt, The Radical Right in Western Europe, University of Michigan Press, 1995.
(Traduzione di P.M.)

 

 

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Corriere della Sera, 27/4/2000

Il razzismo democratico in svezia

Per decenni nella Svezia socialdemocratica si è praticata la sterilizzazione di individui identificati come malati di mente o semplicemente segnati dall’emarginazione sociale. Questa scoperta, fatta da una studiosa, Maija Runcis, venne ripresa nel 1997 da uno dei principali quotidiani del Paese, Dagens Nyheter, determinando un acceso dibattito sui caratteri e le zone d'ombra di un modello di Welfare tra i più noti al mondo.Tutto era iniziato per caso: la Runcis, impiegata presso l'Archivio di Stato di Stoccolma, si era imbattuta nelle pratiche con cui, a partire dal 1934, veniva legalmente disposta la sterilizzazione. La dimensione del fenomeno era considerevole: 63.000 sterilizzazioni fra il 1935 e il 1975. Molte volte la motivazione di un provvedimento del genere - che aveva colpito nel 95 per cento dei casi delle donne - appariva assolutamente superficiale, frutto di pregiudizi più che di ragioni mediche, per quanto discutibili. «Incosciente», «frivola», «infantile», «sessualmente inaffidabile», ha una zia «strana», va troppo a ballare, si guarda sempre allo specchio: spesso la pratica di sterilizzazione era stata avviata sulla base di giudizi di questo tenore, rilasciati dal maestro di scuola, dal parroco, da qualche vicino di casa.
A differenza delle contemporanee disposizioni eugenetiche della Germania nazista, la legge svedese prevedeva il consenso di chi era soggetto all'operazione: ma è facile immaginare che individui «sprovvisti di istruzione e di mezzi, posti alla mercé della beneficenza pubblica, non avrebbero potuto resistere efficacemente alle pressioni di medici e assistenti sociali». A osservarlo è un giovane studioso, Piero S. Colla, che alla ricerca della Runcis e ad altre comparse in Svezia sullo stesso argomento ha ora dedicato un volume. Il suo libro cerca anche di mettere in rapporto la pratica della sterilizzazione con il riformismo socialdemocratico, del quale essa finisce con l'apparire, per quanto possa sembrare paradossale, un inquietante sottoprodotto.
Nei primi decenni del 1900 la Svezia fu uno dei Paesi in cui più ebbe successo l'eugenetica, una disciplina che alle origini trovava credito anche presso molti riformatori sociali, che consideravano naturale affiancare a riforme di contenuto economico delle misure volte all'«igiene della specie». Nel 1921 sorgeva proprio in Svezia, primo nel mondo, un Istituto di Stato per la biologia razziale. Quando, tre anni fa, esplose lo scandalo legato alle ricerche di Maija Runcis, sembrò dunque naturale attribuire la sconcertante pratica delle sterilizzazioni al successo riscosso mezzo secolo prima dall’eugenetica, all’incapacità dei suoi cultori svedesi di rendersi conto per tempo di quei rischi che le misure eugenetiche del regime nazista dovevano mettere subito in evidenza. Benché avvenute proprio nel corso della lunga stagione dei governi socialdemocratici iniziata nel 1932, le sterilizzazioni - questa la spiegazione ufficiale - andavano dunque considerate un relitto del passato, che poco aveva a che fare con i principi e l'ethos del «modello svedese». In realtà, come dimostra il saggio di Colla, le cose non stavano affatto così. Anzitutto, la legge del 1934 che introdusse la sterilizzazione era stata approvata grazie a un largo consenso del Parlamento e al convinto sostegno dei socialdemocratici; essa aveva motivazioni eugenetiche (limitare la fecondità di chi fosse affetto da disturbi psichici) che si affiancavano però a giustificazioni di tipo «sociale», tali da indurre a considerare quegli interventi come una forma di difesa della «società del benessere» nei confronti di individui che mal si raccordavano con essa. Nel 1941 furono sempre i socialdemocratici a far approvare una nuova legge con cui diventava esplicita l'intenzione di praticare la sterilizzazione su chi seguisse un «modo di vita asociale». Contemporaneamente si rendeva più facile prescindere dal consenso dei «pazienti» e si sollecitava l'intensificazione degli interventi. Nel suo saggio Colla non sottovaluta il ruolo comunque svolto dalle preoccupazioni eugenetiche, o la funzione dell'ethos luterano nello spingere verso la sterilizzazione di tante donne i cui comportamenti fossero giudicati eccessivamente disinibiti. Ma esamina soprattutto la connessione tra l'ideale di armonia sociale ipotizzato dai socialdemocratici e l'eliminazione di individui che sembravano potenzialmente in contraddizione con quel modello. La sterilizzazione, insomma, si giustificava con motivazioni «progressiste», in fondo non troppo diverse da quelle delle contemporanee campagne per l'educazione sessuale, la contraccezione e la maternità responsabile. Non a caso ne l947, anno in cui fu introdotto in Svezia il sussidio universale di maternità, venne teorizzata con più forza la necessità delle sterilizzazioni e il loro numero subì un’impennata. Gli stessi rappresentanti di un’assistenza sociale fortemente dedita a promuovere il benessere dei cittadini premevano in questa direzione: erano spaventati dalla prospettiva di ospedali pieni di «asociali» che – affermavano - non avrebbero avuto nessuna intenzione o capacità di lavorare. Una maggioranza di individui «di serie A» sembrava minacciata da una minoranza di individui «di serie B»,  che apparivano soprattutto come un costo e un fattore di rischio  per tutto l'insieme delle misure di protezione sociale. Due giovani e famosi sociologi aderenti alla socialdemocrazia, i coniugi Alva e Gunnar Myrdal, parlavano di individui più o meno «adatti all'esistenza« (A e B, appunto), di persone «di valore inferiore», e prospettavano un riformismo sociale che doveva ridurre al minimo i «pesi morti» della società del benessere. «Incontriamo continuamente madri nubili, intellettualmente poco dotate, con un carico di figli straboccante, in cui tutto il gregge è a carico della collettività e dove l'insorgere di comportamenti asociali e criminali originerà grosse preoccupazioni»: i Myrdal scrissero questo in un libro che raggiunse tirature degne della letteratura popolare. Ma sul piano culturale, i responsabili indiretti della pratica legale della sterilizzazione furono molti.…In realtà tutta questa vicenda testimonia proprio dei rischi dell'ingegneria sociale… Il sonno della ragione, afferma una frase tante volte ripetuta, genera mostri. Ma la lunga pratica della sterilizzazione condotta da un illuminato governo socialdemocratico ci ricorda come anche la superbia della ragione possa generarne.

Giovanni Belardelli (Corriere della Sera, 27/4/2000)

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Uscire dai movimenti neonazisti non è facile ma esiste un'organizzazione che fornisce aiuti

Il progetto "EXIT"

Si chiama EXIT Deutschland l'organizzazione di assistenza all'uscita dal neonazismo presieduta da Ingo Hasselbach. Il progetto, pensato per la prima volta in Norvegia come programma di contrasto dei gruppi razzisti e violenti, si è poi affermato in Svezia e quindi in Germania. Punta all'offerta di strumenti concreti per chi decide di abbandonare le organizzazioni di estrema destra, ed ha bisogno non solo di confronto culturale e di formazione professionale per reinserirsi in un contesto civile, ma spesso anche la necessità di cambiare città o la stessa identità, per sottrarsi alla violenza che quelle organizzazioni riservano a chi "tradisce". Oltre alla reintegrazione degli appartenenti alla scena estremista, EXIT può produrre un enorme serbatoio di conoscenze utili agli studi sull'estremismo di destra, all'assistenza sociale e al lavoro con i giovani a rischio.

A.T.

Il giornale di Vicenza, Mercoledì 19 Luglio 2000 tratto dal sito fasciata la legione

Stoccolma. Il nazismo è una malattia, dalla quale si può uscire a patto di disporre dei trattamenti adeguati: su questo principio si basa l’iniziativa di una quarantina di Comuni svedesi, che stanno preparando un programma per aiutare i giovani estremisti "pentiti" a liberarsi dal culto dell’odio e della violenza. L’iniziativa si basa su una ricerca di due studiosi, che attraverso una serie di interviste hanno individuato le motivazioni che spesso portano i giovani ad aderire a gruppi nazisti, e nello stesso tempo la frustrazione di quegli stessi giovani per la mancanza di strutture che li aiutino a fermarsi in tempo o a tornare indietro quando ne hanno abbastanza. Autori della ricerca sono Karl-Olov Arnstberg, etnologo, e Jonas Hallen, giornalista: il loro lavoro nasce dalla preoccupazione per un fenomeno che sta assumendo in Svezia dimensioni inquietanti, come dimostrano i ripetuti e crescenti episodi di violenza di cui sono protagonisti giovani nazisti. A queste conclusioni Arnstberg e Hallen sono arrivati sulla base delle confessioni di 15 ragazzi, i quali hanno lamentato che quando hanno deciso di liberarsi, e di smettere di andare in giro ubriachi gridando "sieg heil", non hanno trovato aiuti: la società li tratta da paria.

L’esercizio dei due studiosi è stato accolto con attenzione: il problema del nazismo interessa almeno cento Comuni, e i sindaci hanno deciso di passare all’azione. In che cosa consisterà il "pacchetto" non è ancora chiaro: lo stanno elaborando con l’assistenza dell’ organizzazione Exit, fondata dall’ex nazista-skinhead Kent Lindhal. L’idea è che ai giovani "pentiti" si debbano fornire informazioni, riferimenti e contatti locali, e ai ragazzi a rischio si debbano proporre barriere e strumenti di prevenzione.

 

 

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http://qn.quotidiano.net/art/2000/08/16/1200989

Cinquantamila svastiche su Internet

BERLINO, 14 AGOSTO - Cinquantamila svastiche su internet: questa la sconfortante scoperta fatta da una società informatica di Kassel (Assia, Germania centrale).


Soltanto su siti internet tedeschi - ha detto oggi un portavoce della società 'Only Solutions' - sono stati scoperti 2 mila websites con simboli nazisti e contenuti di estrema destra. Servendosi di uno speciale programma per il rilevamento di immagini, gli esperti di Kassel nel giro di tre settimane hanno visitato un miliardo di siti internet sparsi in tutto il mondo alla ricerca di simboli nazisti.



L'85% delle pagine online con contenuto di orientamento nazifascista è risultato essere su server americani. Molto presenti sono paesi come la Svezia,, la Finlandia, l'Austria e il Giappone. Proprio ieri il capo della comunità ebraica in Germania Paul Spiegel - nel lanciare un nuovo appello alla lotta contro il dilagare in Germania del neonazismo e dell'estrema destra - aveva invitato in particolare a intensificare la vigilanza per ciò che concerne la propaganda della violenza xenofoba via internet.

 

 

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http://www.dweb.repubblica.it/archivio_d/2000/10/03/attualit/attualit/213omb220213.html

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nazismo
ombre nere

In Germania fanno più paura. Ma, dalle democrazie scandinave alla Francia, dalla Spagna, all'Inghilterra, nessuno è immune dal virus della xenofobia. Che dalle piazze, nella musica, sulla rete, contagia il centro di una società che fatica a riconoscerne i sintomi
di Paolo Rumiz

Achtung. Attenti, prima di dire che tornano. Oggi, i nazisti non sbucano più dalle birrerie, ma da Internet. Non hanno il passo cadenzato, non li annuncia il maschio tamburo, ma un rock "degenerato". Si tatuano, si infilano nelle crepe del sistema globale che contestano e ne assumono il linguaggio. Il loro nemico non è più il comunismo - crollato col Muro - ma l'America, l'imperialismo del grande capitale. Molti, in Germania, vengono dalle terre comuniste dell'Est. Uno dei loro capi si chiama Horst Mahler, ex militante della Raf, la Frazione armata rossa. Disseppelliscono i vecchi simboli, il mito della razza, l'odio per il negro e l'ebreo, ma gridano contro lo sfruttamento dei padroni. In Italia li invitano i fascisti di Forza Nuova, ma persino Rifondazione Comunista dice di loro: "Avranno delle ragioni". Sfuggono agli schemi della politica e delle ideologie. I giornali faticano a descriverli, i governi a schedarli. È un virus nuovo, quello che dilaga a cavallo delle vecchie rune. Come sarebbe facile se venissero ancora dalla Baviera o dall'Austria, culle contadine e ipercattoliche del fanatismo hitleriano. E invece no. Anche qui i numeri ci sorprendono. Nel mondo subalpino del Nord, persino in zona Haider, le aggressioni razziste sono inferiori alla media europea. Forse, è solo una pentola in ebollizione tenuta chiusa dall'ipercontrollo della polizia. Di certo accade che proprio lì, tra le quieti sorgenti del Danubio e l'Inn che dilaga spumeggiando dalle valli tirolesi, poco spazio sia lasciato al mito dei Nibelunghi. In Baviera i simboli identitari della Germania rurale - pantaloni di cuoio, feste campestri, torrenti e purezza alpina - sono già gestiti dal partito di Centro-destra che governa il Land: la Csu. Il suo grasso corpo cattolico gioca col vecchio demone da cinquant'anni. Lo lusinga, lo provoca. Ma, così, lo tiene chiuso in bottiglia. Assorbe e digerisce tutto. Alla Destra estrema non lascia nulla. Neanche uno scaffale di birreria. Chi sono i neonazi? Assai più facile sapere cosa non sono. "Kanake Verrecke!", crepa straniero, gridano nelle loro canzoni le teste rapate in terra tedesca. Ma, a ben guardare, le loro aggressioni xenofobe non hanno molto a che fare con gli stranieri. Gli atti di criminalità contro gli immigrati si concentrano proprio nei Länder dove la presenza straniera è bassa. Nella regione più "calda", il Sachsen-Anhalt (dove i sondaggi attribuiscono il 15 % alla Destra estrema), la percentuale di non tedeschi è di 1,7% contro l'8% della media nazionale. A Rathenow, nel Brandeburgo, si bastonano gli africani, ma gli africani quasi non ci sono. Schwedt, ai confini con la Polonia, è considerata dai neonazi una "zona nazionalmente liberata", ma gli stranieri erano poche decine. In Svizzera, il cantone meno xenofobo è quello di Ginevra, dove i forestieri raggiungono il top della Confederazione e dell'Europa intera: 40 %. L'esatto contrario dei cantoni subalpini del Nordest, dove gli immigrati sono meno di uno su dieci abitanti, ma i nazi proliferano. Sigle sempre nuove: Hammerskin, Morgenstern, Nationale Initiative, Patriotische Ostfluegel, Sangue e Onore, Kameradenschaftensbund. Oggi l'allarme sta in Germania, ma essi non stanno solo nel mondo tedesco. I giornali italiani ne parlano poco, e rischiano il presbitismo. In Svezia, i giovani di Potere bianco hanno ammazzato prima due poliziotti e poi un sindacalista impegnato con gli immigrati; la musica razzista del gruppo Ultima Thule vende centinaia di migliaia di Cd. Nelle tolleranti democrazie scandinave, le teste calve e il mercato di chincaglieria simbolica che le circonda trovano straordinari spazi di impunità. In particolare in Danimarca, dove i nazi hanno le loro centrali di propaganda al riparo dalla legge tedesca. In piazza e via Internet la mitologia hitleriana è apertamente diffusa: in America dal gruppo Aryan Nations di Shaun Winkler; in Francia i nazionalisti di Le Pen finanziano gruppi antisemiti e si collegano a numerose organizzazioni neonaziste d'Europa. In Inghilterra, il National Party è fiancheggiato da gruppi dell'ultradestra anti-ebraica. Sempre più spesso, li trovi in Paesi che furono avversari del nazismo. In Polonia, per esempio, invasa da Hitler nel '39, i fanatismi hitleriani esplodono fra le teste calve ai margini di una società cattolica di forte tradizione antisemita. È ovvio che quei naziskin cercano le sue svastiche e le sue aquile solo perché, nel loro bricolage ideologico, trovano nella Germania, come nel bancone di un supermercato, il serbatoio di simboli più forti e a portata di mano. E allora ecco farsi avanti un'impressione strana. Quella che il pericolo maggiore si annidi proprio fuori dalla Germania, dove la presunzione di diversità dal nazismo può alimentare illusioni innocentiste e inibire analisi serie. E che l'allarme-Germania esista perché è stata la Germania stessa a lanciarlo, impaurita com'è dal proprio passato. È accaduto anche con Haider. Forse, se la società civile austriaca non ne avesse denunciato il pericolo, l'Europa non se ne sarebbe accorta. "È come se i fantasmi del passato tornassero in libera uscita proprio nei Paesi dove sono stati più a lungo chiusi a chiave", spiega il professor Claudio Bonvecchio, specialista di simboli in politica. In Germania Est, per esempio, dove il passaggio veloce dal nazismo al comunismo impedì - a differenza del'Ovest - una rielaborazione dell'Olocausto, bloccando ogni riflessione sulla colpa collettiva, e fornendo a tutti una patente antifascista a costo zero. Ed ecco che, dietro alle Kameradenschaften, dietro alle pattuglie di picchiatori che terrorizzano Eisenach o Dessau, Wenigerode o i dormitori periferici di Magdeburgo, non c'è solo quello, la disoccupazione, la delusione per una Riunificazione imperfetta e a due velocità, la nostalgia per un mondo dove tutto era in ordine, in bianco e nero. Non c'è solo l'abitudine all'obbedienza, a un'autorità suprema cui tutto è delegato e che risolve i conflitti in modo repressivo. C'è anche altro. Ci sono cinquant'anni di amnesia sul nazismo, e quindi una presunzione di innocenza che ha consentito al virus di restare in vita. Quel virus non è l'ideologia nazista, ma qualcosa di più ancestrale. La xenofobia, annidata in un habitat perfetto. Ibernata in un altro totalitarismo, libera da complessi e controlli. Quando, in nome dell'amicizia dei popoli, la Germania Est "importò" alcune migliaia di lavoratori da altri Paesi comunisti come Cuba, il Vietnam o l'Angola, quegli stranieri furono nascosti ai tedeschi e segregati in spazi privi di comunicazione col mondo. Dei lager, praticamente. Sempre in nome della fratellanza universale, quegli Ausländer furono obbligati a non avere contatti con tedeschi, a non sposarsi, a non avere bambini. Ma quando cadde il Muro, anche quei piccoli muri dentro la Rdt caddero. E allora angolani, caraibici e vietnamiti uscirono dai ghetti e chiesero di vivere, oltre che di lavorare. Ma subito videro che intorno c'era un mondo che non aveva mai conosciuto stranieri, che li vedeva per la prima volta, e che spesso li detestava. I nuovi naziskin sono i figli di questa cultura. "La cosa più impressionante", conferma Christine Bergmann, ministro federale per la famiglia, "è che questi ragazzi si sentono esecutori della volontà dei loro genitori". Eppure, quando credi di avere isolato il virus, appena ne scopri le radici in una società povera, totalitaria e spesso spaesata dal mercato, ecco i canti della Neue Waffe, la nuova ondata musicale razzista, levarsi anche dai Länder ricchi dell'Ovest, a Düsseldorf come a Ludwigshafen. "Grazie Hitler, grazie Goering / che la loro forza non ci abbandoni / contro la grande trama ebraica!". Ecco le urla lacerare persino le notti brumose del Baltico, nelle terre protestanti, timorate e prussiane, nello Schleswig-Holstein e persino nella libera città-stato di Amburgo. "Combatto per la mia razza / per il mio sangue! / Non c'è posto / per tutti questi immigrati! / Eutanasia, eutanasia!". Allora ti accorgi che la peste accomuna i perdenti e i vincenti della globalizzazione, viene dalla stessa subcultura che affianca i sazi e gli impauriti, da un identico humus che fermenta sia nei villaggi tristi dell'Est sia nel ventre grasso del Continente. La realtà ce la ricorda Jochen Tschiche, attivista dei Verdi nell'ex Rdt: in Germania come in Italia, in Spagna come in Francia, la diffidenza o la paura verso ciò che è straniero si è spostata dall'estrema destra al centro della società. Come dire: c'è un potenziale xenofobo pericolosamente diffuso anche tra i benpensanti, un mormorio di fondo che cresce nella provincia europea, trova eco nei giornali, dalla pianura padana all'Ile de France. Una bomba a tempo costruita da un ceto medio che economicamente ha sempre più bisogno di immigrati, ma culturalmente ha sempre meno la capacità di assorbirli. "Kinder statt Inder!", vuol dire: "Bambini, non indiani". È la risposta all'idea del cancelliere Schröder di offrire il permesso di soggiorno ai tecnici indiani di cui la Germania ha bisogno. Sarà anche uno slogan della Npd, il partito di estrema destra di Ugo Vogt, che offre un "ombrello politico" alle teste rasate. Ma è anche - si scopre - uno slogan dei democristiani tedeschi, i primi a chiedere la messa al bando del partito della Npd. "Dico le stesse cose di Le Pen e Berlusconi", protesta Vogt, e ha qualche ragione a parlare di ipocrisia. Sul piano delle parole, la parentela con i populismi europei è impressionante. Bossi, che con Berlusconi si propone di governare l'Italia, sostiene che esiste una congiura massonica e capitalista che, attraverso la denatalità e gli immigrati, punta a distruggere le patrie e la religione. Le Pen grida che la globalizzazione e il suo cavallo di Troia, l'Europa Unita, porteranno l'identità francese nel baratro. In Svizzera il capo dei populisti Christoph Blocher, un miliardario che si dichiara di centro e "incompatibile con Haider", si serve dei turchi nelle sue fabbriche e poi si presenta agli elettori col manifesto di un turco che lacera la bandiera elvetica. Anche Berlusconi, Bossi e Fini si affannano a proclamare la loro estraneità da Haider, salvo sparare smargiassate haideriane su clandestini e potere della magistratura. In realtà, sottolinea Joe Berghold, sociologo viennese che ha studiato sia Haider che Bossi, gli estremisti sono perfettamente funzionali al sistema globalizzato che dicono di detestare: servono "a un'economia che ha bisogno di avere immigrati impauriti, per poterli pagare meno". Ma non basta: il trucco ha anche una ricaduta politica. Gli immigrati tenuti ai margini della società, a loro volta, impauriscono gli elettori e li spingono verso Destra. Ma il gioco è pericoloso, fa esplodere delitti spaventosi, rivela che gli italiani non sono solo brava gente: a Verona un professore di origini ebraiche pestato a sangue da un commando di sconosciuti, un maghrebino massacrato in una discoteca di Modena, barboni incendiati per divertimento a Roma e dintorni. È come se si fosse rotta una diga nei valori. Scrive Claudio Magris: "Non credo che il fascismo possa tornare, ma se tornasse troverebbe, temo, poca resistenza. Si ha la sensazione che sia venuto a mancare quell'ethos condiviso che unisce chi crede nella libertà e nell'umanità, e rende più facile, quasi inevitabile, resistere al Leviatano". "Gli intellettuali sono spiazzati da questi movimenti ventrali della società", lamenta Marie Claire Caloz Tschopp, filosofa ginevrina che denuncia da anni il rischio di una risposta solo poliziesca al problema immigrazione. "Soprattutto la Sinistra non sa sciogliere un nodo che non è riconducibile alla geometria di una bella equazione ideologica. In questo campo, il mondo delle idee magari rassicura, ma inganna. Comprende il cervello, ma non lo stomaco". Così, ci si limita a dire mai più, "Plus jamais ça", ci si riduce all'appello morale o all'esortazione pedagogica. C'è un vuoto politico, incalza Bonvecchio. "Le democrazie non sono più in grado di produrre valori forti e capaci di mobilitare i giovani; i ceti medi non hanno più la cultura e i simboli per opporsi alle rune del totalitarismo". E allora, di fronte allo spaesamento delle Heimat, alle tempeste identitarie di questa era globale, "quelle vecchie rune, quei simboli generici di cui nemmeno i neonazi sanno il significato, possono riattivare il loro maledetto potenziale di attrazione nel ventre di una società impaurita".

 

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http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Marzo-2000/0003lm04.01.html

 

CRISI SOCIALE, BLOCCHI POLITICI E XENOFOBIA
Le estreme destre d'Europa, populiste e "rispettabili"


L'evoluzione delle vicende austriache (leggere a pagina 3) lo conferma: l'estrema destra non è mai sparita dal paesaggio europeo. Mentre alcuni movimenti esclusi dal sistema elettorale, come in Scandinavia o in Gran Bretagna, hanno fatto ricorso al terrorismo, gli altri prosperano sull'evanescenza del divario destra/sinistra, che priva di senso la rappresentanza politica. Il problema allora non è tanto il presunto riaffiorare del "fascismo" quanto l'anestetizzazione di una democrazia attuata attraverso il consenso politico-economico.

di Jean-Yves Camus*
La scissione del Fronte Nazionale francese e il tracollo delle estreme destre alle elezioni europee del 13 giugno 1999 avevano dato l'impressione che il loro declino fosse ormai iniziato. Ma da allora, diversi risultati elettorali hanno contraddetto questa previsione. Il 3 ottobre 1999 il Partito liberale dell'Austria (Freiheitliche Partei àsterreichs FpÜ) di J&Uumlrg Haider è diventato il secondo partito austriaco, con il 26,9%; il 24 ottobre in Svizzera, l'Unione democratica del centro, partito agrario conservatore diretto da Christoph Blocher, ha ottenuto il 22,5% dei voti, affermandosi così come primo partito del paese, a parità con i socialisti (1); e mentre la Deutsche Volksunion (Dvu) entrava nei parlamenti di vari Lènder della Germania Est, in Norvegia, alle elezioni comunali del 14 settembre 1999, si è confermata la lenta avanzata del Partito del progresso (13,4%, con un aumento dell'1,4%).
Nell'Europa occidentale, i persistenti successi elettorali dei partiti xenofobi sono legati al progredire di una concezione ultraliberista dell'economia e della società, caratterizzata tra l'altro dalla netta volontà delle élites politiche ed economiche di considerare superato il quadro degli stati-nazione. L'estrema destra europea ha acquisito così una base sociale, e si esprime oramai più attraverso le urne che con un attivismo violento. Quest'ultimo fenomeno rimane invece preoccupante nei paesi in cui le formazioni estremiste non trovano sbocchi elettorali, a causa di un sistema elettorale che penalizza i partiti "anti-sistema", come in Gran Bretagna (il micidiale maggioritario uninominale a un solo turno) oppure, come in Svezia, a causa della fortissima pressione sociale, tendente a emarginare le idee non consensuali. Inoltre, qui come altrove il frazionamento organizzativo e l'assenza di dirigenti carismatici possono impedire al movimento di catalizzarsi.
Così, a fianco dei partiti legali o anche al loro interno (non è rara la doppia appartenenza dei militanti) si manifestano da alcuni anni gruppuscoli violenti, di ideologia apertamente neonazista e razzista. Secondo l'analisi dei politologi Jeffrey Kaplan e Leonard Weinberg (2), queste formazioni hanno imitato, sia nelle idee che nei metodi d'organizzazione e d'azione, alcuni gruppi terroristici americani (The Order, Aryan Nations); e come ha dimostrato la campagna d'attentati in Svezia hanno acquisito una certa capacità di attuare azioni di considerevole rilievo.
Questi pericolosi movimenti compresi anche quelli degli skinheads non hanno tuttavia innescato dinamiche politiche o sociali, se si eccettuano i gruppi giovanili dei Lènder della Germania orientale. Nei paesi in cui si esprimono, questi gruppi violenti si riferiscono esplicitamente all'ideologia del nazionalsocialismo o dei vari fascismi, e utilizzano i loro simboli, sfidando spesso i divieti. Ma questa famiglia dell'estrema destra è oramai minoritaria, mentre i successi maggiori vanno ai partiti populisti e xenofobi. Nella maggior parte delle democrazie occidentali quest'estrema destra elettoralmente rappresentativa, che tra il 1945 e gli anni 80 era confinata all'Italia e alle dittature dell'Europa meridionale, si afferma sul terreno di una crescente povertà di massa, in una società che evolve verso il "multi- culturalismo". L'immigrazione è caratterizzata in effetti da ondate di naturalizzazioni e di sanatorie, accompagnate, in numerosi paesi, dalla concessione della cittadinanza e dei diritti politici, oltre che da una politica di riconoscimento giuridico dei diritti delle lingue e culture minoritarie.
Il centro di gravità della nebulosa estremista, che negli anni 60 e 70 si collocava nei paesi in via di industrializzazione, si è spostato oggi verso il centro e il nord dell'Europa.
Parallelamente, al Movimento sociale italiano (Msi), partito-faro dell'estrema destra di allora, si è sostituito negli anni 80 e 90 il Fronte nazionale francese (Fn), che ha ispirato in altri paesi numerose formazioni, con esiti variabili, quanto meno nell'Europa occidentale: successi reali ma effimeri (l'Fn belga di Daniel Ferret), non trascurabili ma insufficienti a eleggere rappresentanti (la Sverigedemokraterna, Svezia), oppure nella maggioranza dei casi del tutto marginali (Democracia nacional in Spagna, Fronte nazionale in Italia).
Dopo la scissione e il calo elettorale, il partito di Jean Marie Le Pen non è più un modello incontestato.
Elettori venuti da sinistra Oggi però una terza ondata, più consistente, si incarna nei "populismi alpini" (Haider e Blocher, la Lega Nord di Umberto Bossi e quella dei ticinesi) e in quelli scandinavi (il Partito del progresso norvegese di Carl Hagen e il Partito del popolo danese di Pia Kjaersgaard) (3). Questi partiti non hanno alcun collegamento con il fascismo e il nazismo (ad eccezione di quello di J&Uumlrg Haider); postulano uno stato ridotto ai minimi termini; sono xenofobi, ma nei loro discorsi ufficiali respingono il razzismo gerarchizzante e l'antisemitismo; rifiutano di cooperare con formazioni che giudicano estremiste, quali l'Fn o il Vlaams Blok, ma accettano l'idea di governare in coalizione con la destra. Poiché questi partiti non corrispondono al fascismo tradizionale, i fattori di tipo "essenzialista" (mancata denazificazione in Austria, xenofobia di antica data in Svizzera) non bastano a spiegare il loro successo; e non spiegano neppure i buoni risultati ottenuti da formazioni di tipo "misto" (tra recupero del voto di protesta e filiazione di estrema destra) quali l'Fn francese o il Vlaams Blok (4). Quest'ultimo, ad esempio, è stato spesso descritto come erede della frangia filo-nazista del movimento fiammingo d'anteguerra. Ma il politologo Marc Swyngedouw ha dimostrato che solo il 4-5% degli elettori "blokkers" adducono come motivazione della loro scelta la difesa del nazionalismo fiammingo, mentre tra chi ha dato il suo voto alla Volksunie questa percentuale raggiunge il 17%.
Anche qui, come nell'Fn, si nota quindi una distinzione fondamentale tra un inquadramento ancora segnato, nella sua traiettoria come nelle convinzioni dei suoi militanti, dall'estrema destra tradizionale, e un elettorato che ne è del tutto distaccato, e proviene anzi in parte dalla sinistra. Nelle Fiandre, il 21% dei giovani elettori che nel 1991 avevano votato socialista sono passati in seguito al Blok; e alle legislative del 1999, l'FpÜ austriaco ha sottratto al partito socialdemocratico (SpÜ) circa 213.000 voti. In Danimarca, il 10% di coloro che nel 1998 avevano votato per la Dansk Folkeparti (partito del popolo danese) provenivano dai ranghi socialdemocratici.
A ciò si aggiunge il fatto che spesso i dirigenti di queste formazioni non hanno affatto un passato estremista: Mogens Camre, dirigente della Dansk Folkeparti, era un deputato socialdemocratico; neppure Thomas Prinzhorn, astro nascente dell'FpÜ, ha un passato ultrà, ma è stato come del resto Blocher dirigente aziendale. La differenza è notevole rispetto al Movimento nazionale repubblicano (Mnr) di Bruno Mégret, e spiega in parte l'insuccesso del suo tentativo di acquistare consensi tra gli elettori della destra classica: non soltanto la scissione dall'Fn non ha dato luogo a svolte ideologiche di sorta, ma l'Mnr, che pure si presentava come partito rinnovatore, dissociato dagli eccessi lepenisti, è di fatto guidato da elementi impregnati di un'ideologia nazionalista rivoluzionaria (il movimento "Terre et Peuple" di Pierre Vial) o delle tesi identitarie della "nuova destra" degli anni 70.
Si contrappongono dunque due concezioni della lotta politica: da un lato la testimonianza storica, generalmente a partire da posizioni controrivoluzionarie o nostalgiche, o da forme di integralismo religioso; dall'altro l'accettazione di una modernizzazione programmatica e organizzativa per la conquista del potere. E i partiti che non si sono aggiornati finiscono per emarginarsi e trasformarsi in gruppuscoli: L'Msi-Fiamma tricolore italiano, che aggrega i refrattari all'aggiornamento imposto da Gianfranco Fini nel 1995, non supera oggi l'1,6% dei voti. Le formazioni che non hanno altro programma al di fuori della difesa e celebrazione dei regimi autoritari (Spagna, Portogallo; Grecia) sono praticamente scomparse (5).
I "populismi" xenofobi (6) hanno sfondato soprattutto tra le categorie di popolazione più minacciate nel loro status sociale e occupazionale. A questo riguardo, la situazione francese, con l'Fn che alle legislative del 1997 ha raggiunto anche il 30% in talune circoscrizioni, non rappresenta un'eccezione. E' una tendenza ben percepibile anche tra i giovani (il 33% sotto i 35 anni in Francia, il 35% sotto i 30 in Austria).
Questa situazione può essere spiegata attraverso la cosiddetta teoria degli "interessi economici minacciati" o degli "interessi simbolici": le fasce di popolazione a rischio a causa della crisi percepiscono la manodopera estera come concorrente, e tendono a votare per le formazioni xenofobe che promettono di assicurare loro in esclusiva il beneficio del diritto al lavoro e altri diritti fondamentali. Sono infatti gli operai o impiegati meno qualificati a costituire il grosso dell'elettorato del Vlaams Blok; e nel 1999, il 48% degli operai austriaci ha scelto l'FpÜ, divenuto ormai di gran lunga il primo partito rappresentativo dei "colletti blu". Quanto ai Republikaner tedeschi, il politologo Patrick Moreau sottolinea "la correlazione della scelta estremista con un basso livello di organizzazione sindacale, l'esperienza della disoccupazione, l'appartenenza a una famiglia numerosa e la dipendenza dall'aiuto sociale", valutando al 17% la base operaia del partito alle elezioni regionali del 1996.
Al contrario, in Danimarca e in Norvegia, dove l'estrema destra ottiene rispettivamente il 9,8 e il 15,3%, non è stata individuata nessuna correlazione tra la disoccupazione e il voto per questi partiti. Eppure, il loro elettorato è costituito, oltre che da imprenditori e lavoratori autonomi, anche da una proporzione crescente di operai: in questi due paesi, i rispettivi Partiti del progresso sono anche i primi partiti operai e hanno sorpassato i socialdemocratici. Una delle possibili spiegazioni è che nei paesi in cui lo stato sociale ha fatto grandi passi avanti non solo grazie ai socialdemocratici, ma anche sotto governi "borghesi", la fedeltà della classe operaia nei confronti della sinistra tende ad erodersi, lasciando prevalere la componente autoritaria di una frazione della cultura operaia, che non trova altra incarnazione al di fuori della nuova destra.
Esiste quindi un paradosso da spiegare: un elettorato essenzialmente popolare vota per formazioni appartenenti all'estrema destra "post-industriale", accomunate dal fatto di incorporare nei loro programmi, in proporzioni variabili, il fattore "nazionale", accanto ad elementi neoliberisti o anche libertari.
Ad esempio, il programma economico dell'FpÜ raccomanda una completa "deregulation economica, che garantisca la competitività e la prosperità dell'economia austriaca e la creazione di posti di lavoro". Quello dell'Udc condanna "il ricorso abusivo alle prestazioni sociali", e chiede "orari di lavoro e sistemi salariali flessibili", nonché "la soppressione di talune prestazioni dello stato", il tutto ovviamente accompagnato da un "sistema fiscale vantaggioso per tutte le imprese". Anche i partiti scandinavi hanno avuto origine dalla protesta contro il fisco e dalla volontà di limitare le prerogative dello stato sociale: una tematica che si ritrova nell'ala liberale minoritaria del Vlaams Blok, diretta dalla deputata Alexandra Colen.
La Lega Nord, dal canto suo, costituisce un fenomeno più complesso, che può essere interpretato come la risposta delle classi medie emergenti e dei piccoli imprenditori dell'Italia settentrionale a una situazione nella quale la modernizzazione del capitalismo locale, caratterizzata dall'esplosione della micro- impresa, non è stata accompagnata da un adeguamento altrettanto rapido del quadro istituzionale e politico. E' in questo contesto approfittando anche dello spazio liberato a destra dalla disgregazione della Democrazia cristiana - che la Lega ha potuto emergere, con la sua duplice xenofobia verso gli stranieri e gli italiani del sud la sua protesta fiscale e una rivendicazione indipendentista basata su un'identità e una storia mitizzate (la Padania e il "popolo padano" non sono mai esistiti).
Il politologo Herbert Kitschelt (7) spiega l'adesione delle fasce popolari al neoliberismo con la globalizzazione dell'economia, che ostacola le politiche di attenuazione delle disuguaglianze attraverso l'intervento dello stato. Di conseguenza, la fascia più modesta dell'elettorato è indotta a credere che la giustizia sociale si possa raggiungere riducendo lo stato ai minimi termini e lasciando agire il libero gioco del mercato (che secondo i populisti e gli ultraliberisti favorirebbe l'ascesa sociale liberando le energie creative e l'iniziativa individuale). Quest'analisi può anche spiegare in parte la componente xenofoba del voto populista. In effetti, chi si sente minacciato dalla concorrenza degli stranieri sul mercato del lavoro accetta il programma liberale dei partiti populisti soltanto nella misura in cui vi si postula l'esclusione degli immigrati dai benefici delle prestazioni sociali, e persino dai posti di lavoro. In termini di analisi costi/benefici, l'ultraliberismo appare allora sopportabile, se temperato dalla preferenza nazionale. In Francia tuttavia, a partire dalla "svolta sociale" dell'autunno 1995, il Fronte nazionale, assai più degli altri partiti estremisti, ha in parte voltato le spalle al suo passato liberismo, che convive oramai con una certa difesa del servizio pubblico e delle conquiste sociali, purché riservate ai francesi.
In questo stesso discorso, l'accoppiata politici-funzionari viene regolarmente associata alla corruzione e allo sperpero. La si assume a simbolo del fallimento delle funzioni di mantenimento dell'ordine dello stato e difatti la domanda di ordine e sicurezza è onnipresente nonché della soffocante pressione fiscale, imputata al peso crescente degli "improduttivi", in contrapposizione con i creatori di ricchezza (piccoli imprenditori, liberi professionisti, artigiani, agricoltori e persino operai). Benché non si possa individuare una correlazione sistematica tra la percentuale degli stranieri e il voto estremista, la protesta contro l'immigrazione figura incontestabilmente tra le sue principali motivazioni. L'inchiesta Eurobarometro del 1997 ha dimostrato che gli elettori dell'Fn, del Vlaams Blok e dei Republikaner si schierano in favore di una discriminazione anti-immigrati, e rifiutano qualsiasi forma di "multiculturalismo". Tutti questi partiti sono caratterizzati da un razzismo di tipo gerarchizzante, nella cui ottica il meticciato appare come un vero incubo. Tra gli aderenti ad altri movimenti, tra cui le varie forme del populismo scandinavo, l'Alliance nationale, la Lega e il FpÜ, l'insistenza sul razzismo è minore, e l'opposizione all'immigrazione viene giustificata con le differenze culturali, come dimostra chiaramente il programma di Haider: "La coscienza che si possiede delle qualità specifiche del proprio popolo è inseparabile dalla volontà di rispettare ciò che è specifico degli altri popoli": la stessa formulazione è ripresa, in buona misura, dall'etno-differenzialismo della nuova destra.
Altro segno della correlazione tra globalizzazione ultraliberista e avanzata degli estremismi: secondo la stessa inchiesta, l'87,5% dei sostenitori dei Republikaner, il 68,4% di quelli dell'Fn e il 45% degli elettori dell'FpÜ danno dell'Europa un giudizio negativo. Ma tra l'elettorato del Vlaams Blok questa proporzione scende al 40,8% (poco più del 38,9% riscontrato presso i socialisti). Il motivo va ricercato senza dubbio nella popolarità dell'idea di un'Europa delle etnie in seno al movimento fiammingo, che la considera come principale mezzo di rottura dello stato-nazione, al quale sono invece legati i populisti tedeschi, austriaci e francesi. La dimensione anti-europea è percepibile anche in Scandinavia (il Partito norvegese del progresso ha fatto campagna contro l'adesione all'Ue) e in Svizzera.
Le estreme destre professano di fatto una sorta di "liberalismo autarchico" senza il libero scambio: un liberalismo che dovrebbe fermarsi ai confini nazionali, e si tradurrebbe nello smantellamento dello stato e delle conquiste sociali. Sono in atto però alcune evoluzioni: ad esempio, l'Fn francese ha condotto una campagna come del resto varie altre formazioni omologhe contro l'Organizzazione mondiale del commercio (Omc).
Dal canto suo, il partito di Blocher non mette in discussione quest'organizzazione. Quanto a Haider, ha appoggiato l'adesione dell'Austria alla Nato.
Infine, come non sottolineare il ruolo determinante dell'assenza di una vera contrapposizione politica nell'avanzata delle destre in Europa? In Scandinavia, in Svizzera (come in Austria e in Belgio fino alle elezioni del 1999), la vita politica si riassume in due formule: quella della coalizione permanente (Sp&Uuml- àvp, socialdemocratici/conservatori, la "formula magica" svizzera che garantisce una stabile ripartizione dei seggi tra i grandi partiti al Consiglio nazionale), o quella di una regolare alternanza tra una socialdemocrazia e una destra liberale, i cui programmi non presentano praticamente più alcuna differenza, se non sul piano delle rispettive ricette per la regolazione o l'ulteriore liberalizzazione del mercato. Il clientelismo dei grandi partiti e la loro compenetrazione con l'apparato dello stato impediscono qualsiasi riforma di fondo delle strutture istituzionali, cristallizzando il sistema di rappresentanza. E la conseguente insofferenza per il ceto politico appare come una delle determinanti essenziali del voto in favore dell'Fn francese, del Vlaams Blok, dell'FpÜ e della Lega mentre l'elettorato di Alleanza nazionale si distingue per la sua accettazione del gioco democratico e delle élites alle quali si è integrata. Unici esempi contrastanti: l'insuccesso della Nationalbewegong del Lussemburgo e dei Centrumdemokraten in Olanda, due paesi nei quali tuttavia il consenso è altissimo.
Al di là della loro innegabile dimensione autoritaria e xenofoba, le destre radicali hanno incontestabilmente tratto un grande vantaggio dall'evanescenza del divario destra/sinistra e dal larghissimo consenso intorno all'associazione tra socialdemocrazia e "nuovo centro". Se queste destre incarnano oggi la principale forza di dissenso, all'interno di contesti sociali in cui il dibattito delle idee si riduce alla discussione sui metodi per gestire il modello liberista, la sinistra innanzitutto deve interrogarsi sulle proprie carenze e rinunce, e la destra conservatrice sul suo accecamento e la sua codardia.
E' difficile prevedere come si comporterebbero questi partiti, una volta al potere. L'esempio italiano fa pensare a una certa "plasticità" dei movimenti estremisti, confermata anche dall'opportunismo dei loro dirigenti come dimostra l'esempio Haider. Una volta abbandonata la funzione di tribuni, essi potrebbero inserirsi tra i mutevoli quadri della democrazia liberista. Per il momento, bisognerà in ogni caso mettere in conto il fatto che queste formazioni esercitano una pressione autoritaria sui pubblici poteri e reintroducono nel discorso politico valori estranei alla democrazia, minacciando così di avallare una certa violenza xenofoba.



note:

* Politologo, autore de Les Extrémismes en Europe, rapporto annuale del Centro europeo di ricerca e d'azione sul razzismo e l'antisemitismo (Cera), Editions de l'Aube, 1999, e Front National: eine Gefahr ffr die franz&Uumlsische Demokratie?, Bouvier Verlag, Bonn, 1998.

(1) Leggere Peter Niggli, "Il balzo in avanti della nuova destra in Svizzera", Le Monde diplomatique/il manifesto, dicembre 1999.

(2)
Jeffrey Kaplan, Leonard Weinberg, Fade to black: the emergence of an Euro-american radical right, Rutgers University Press, Piscataway (New Jersey) 1998.
(3) Sul neo-nazismo svedese, leggere Démokratins f&Uumlrg&Uumlrare (opera collettiva), Statens Offentliga Utredningar, Stoccolma, 1999; sulla nuova destra danese, leggere Johannes Andersen et al.
, Valelgere med omtanke. En analyse af folketingsvalget 1998, Forlaget Systime, Arhus, 1999.

(4) Leggere Serge Govaert, "L'esterma destra alla conquista di Bruxelles". Le Monde diplomatique/il manifesto, gennaio 1998.

(5) I cinque partiti falangisti o radicali che hanno partecipato alle europee del giugno 1999 hanno riportato 61.522 voti; in Portogallo, il partito neo-salazarista Alian&ccedila Nacional non si è presentato; in Grecia, due formazioni antisemite, Proti Grammi e Enosis Kentroon, hanno ottenuto insieme l'1,57% (101.044 voti).

(6) Sull'uso ideologico di questo termine, leggere Serge Halimi, "Il populismo, un nemico ritrovato", Le Monde diplomatique/il manifesto, aprile 1996.

(7)
Herbert Kitschelt, The Radical Right in Western Europe, University of Michigan Press, 1995.
(Traduzione di P.M.)

 

 

 

 

 

 

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http://www.greenleft.org.au/back/1995/176/176p14.htm

 

Neo-Nazis' international connections

By Mikael Karlsson

In international neo-Nazism today, there are two major positions, the “first position” and the “third position”.

The first are political parties like National Front in Britain, Front National in France, the Republicans in Germany, MSI in Italy, Vlams Blok in the Netherlands and Sverigedemokraterna in Sweden. “Umbrella organisations” like Liberty Lobby in the US and World League of Freedom and Democracy are in this group also, to name a few. The total number in the first category is large. The third position is more interesting, though.

Third position organisations are found in Sweden and other European countries. Sweden's history of neo-Nazism up to the mid-1980s bears comparison with Australia's, because the situation and development are similar.

In Australia, there are not huge problems with these organisations. Terrorist attacks on people or property are minimal, and neo-Nazi marches are driven away by anti-Nazis.

Sweden in the early 1980s also had few big problems with neo-Nazis. There were few fascist parties, mostly relics from the beginning of the century. The members were as old as the parties. They did not do much bar the occasional press release and demonstration. All this, however, was about to change.

No-one can say exactly when the change came. The Swedish equivalent to ASIO maintained for a long time that there was no change. Journalists and anti-Nazis say that the change came in the early 1980s.

Sweden was lucky enough not to have had terrorist action for a long time. Perhaps this was one of the reasons no-one was prepared when all hell broke loose in the early 1980s.

In 1980, the Bologna railway station in Italy was blown up by the Italian neo-fascist organisation NAR (Armed Revolutionary Cells); 85 people died and 250 were wounded. Italian intelligence started to hunt NAR members. Many fled abroad.

Roberto Fiore, the leader of an NAR cell, fled to London, where he was safe-housed by members of the National Front. Fiore helped his British comrades, among other things, to fire-bomb a left-wing bookshop and gave the British Nazis something they had wanted for a long time -- a modern terrorist's knowledge.

The English National Front member Thomas Edwards (who acted as an unofficial representative of the National Front) lived in Sweden in the mid-1980s. Edwards met with the Swedish skinheads Goran Gustavsson and Peter Rindell, and is one of the key people in the founding of the organisation Rock Against Communism, RAC. RAC brought another Briton, Ian Stuart Donaldson and his band Screwdriver, to Sweden on several occasions.

RAC developed into Vitt Ariskt Motstand, Swedish for White Aryan Resistance, WAR, nicked from Tom Metzger's group of the same name in the USA.

Swedish WAR soon became a nasty ingredient in Swedish society. It took its politics from a US organisation, Silent Brotherhood . The FBI called it “The Order”.

The Order assassinated the Jewish radio talk show host Alan Berg in 1984, among numerous other acts of terrorism after its formation in the early 1980s by Robert Jay Mathews from Arizona. Its purpose was to create “Aryan” guerilla fighters to take on ZOG, the name used by neo-Nazis to describe governments, Zionist Occupational Government. This tag is based on the conspiracy theory that all governments are part of a huge Zionist world conspiracy.

The Order committed acts of terrorism and armed robberies and organised paramilitary training of members. On December 7, 1984, 200 heavily armed FBI agents surrounded a building housing members of the Order. After a fight lasting 36 hours, Mathews followers' surrendered; he was killed in the fight.

The Order is one of the groups that the Swedish WAR uses as an inspiration. Now most members of the Swedish WAR are in custody serving long terms for charges varying from murder to armed robbery. But new followers join the organisation all the time. After all this, the Swedish equivalent to ASIO has finally made a statement that maybe there is a problem.

David Greason, author of I was a Teenage Fascist, says contacts exist between groups in Australia and Europe. For instance, in Australia a group called World League for Freedom and Democracy (WLFD) is not a purely neo-Nazi organisation, but it is extreme right. It has member organisations in more than 100 countries worldwide and links with neo-Nazi groups like ARENA in El Salvador, Tecos in Mexico, MSI in Italy and CEDADE in Spain.

WLFD used to be called World Anti Communist League (WACL) and was formed as a merger between the Asian Peoples Anti Communist League (Asia) and Anti-Bolshevik Bloc of Nations (Europe) in 1967. At the end of the 1970s, the English Nazi and race biologist Roger Pearson was elected international president of WACL.

In mid-1980, the former US general John K. Singlaub was elected chairman, and he tried to reshape WACL a bit. The worst Nazi sects were expelled, but its ideas remained the same. During its international congress in 1990, the Belgian General Robert Close was elected chairman and it changed its name to the World League for Freedom and Democracy.

 

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 la criminalità nazi in svezia

December, 1999

A critical level of extreme rightwing activity has brought a sense of terror to Sweden. Virtually unreported in the United States, killings and threats of violence from an estimated one-thousand active Nazi-style militants recently led the four major Swedish newspapers, normally highly competitive, to join in publishing an appeal to the public to speak out and report any indication of such activity. The papers considered it necessary to do this, because in trials of some of the rightwing criminals, witnesses either refused to testify or recanted what they had earlier reported to the police. The papers also published mugshots of 62 "active Nazis" to help the public identify and report them.

The terrorists are mostly young, have killed immigrants, mistreated a Jew, seriously wounded a journalist by placing a bomb in his car and murdered a trade unionist in his house. This crime and the murder of two policemen in the town of Malalexander triggered a major outcry and led to the joint newspaper appeal.

The criminals, whom the Swedes openly call Nazis ("National Socialists"), have built a network, buttressed by Internet communication, and accumulated substantial funds by robbing banks. They have been able to develop their current strength and impact in a society that gives a wide berth to the most extreme and unpopular ideas. As Per Ahlmark, a longtime human rights activist in Stockholm, put it: "Swedish intellectuals are unsophisticated. The country has not experienced war and terror, and does not realize that words can lead to murder."

Thus, Sweden’s most famous playwright, Lars Noren, established a relationship with an imprisoned young "Nazi", upon release housed and befriended him, wrote a play for and with him and his rightwing friends, in which these had a chance to spell out their anti-foreign, anti-Semitic, anti-gay propaganda and calls for violence. The "actors" then turned out to be the murderers of the two Malalexander policemen. Playwright Noren said that he simply wanted to show how these people think and feel, and was utterly surprised when they proceeded to move from acting to killing. A Swedish journalist, Anna-Lena Lodenius, who has written four books on Swedish rightwing activities, wrote in a German paper (Frankfurter Allgemeine Zeitung): "Sweden’s situation is absurd: The government has spent millions of crowns on printing and distributing a million copies of a publication about the Holocaust, yet is unable to recognize, understand and combat present-day nazism."

Why the sudden current intensification of Nazi activity? It seems that the number of activists has not increased substantially. But the Nazi activists operate more deliberately and more violently. They committed 2,000 crimes in 1998-- twice as many as the year before. The planning of these acts is illustrated by the murder of trade unionist Bjoern Soederberg in a Stockholm suburb. Soederberg had identified a fellow worker as a Nazi, who was then ousted by the union. The Nazis took revenge.

Today’s high levels of rightwing extremist actions were preceded by almost ten years of less frequent incidents. In the late eighties, British skinhead influence began to develop. Skinhead music-- "white noise"—and the "White Power" movement gained adherents in Sweden. It was then that the Nazis murdered a homosexual Jew. American rightwing influence then made itself felt. "Brothers Silence" and the "White Aryan Resistance", which had a record of violence, were models for a Swedish counterpart, "Vit Ariskt Motstand", which in the early nineties robbed several post offices and banks.

In 1993 the first big Swedish rightwing band, "Ultima Thule", moved on the rock hit list. It avoided outright racist propaganda, but spoke of the pride of being Swedish and of fighting unnamed enemies. The implication was that the chief "enemies" were immigrants. Ultima Thule’s success led to a series of rock productions in the style of "White Power." A 1997 survey of listening habits showed that more than 12 percent of Swedish pupils were listening to rightwing rock and that 17 percent had read right extremist publications.

The next stage was the development of new group activity by those who had been convicted and used their time in prison to make contacts and establish organizations. Two of the accused in the case of the Malalexander police murders met in prison. Self-glorification seems to play an important role. As Ms. Lodenius puts it: "Nazism presumably is the perfect ideology for a criminal. He has a motive, has found a justification (for his beliefs and actions), and sees himself as an actor in a larger context."

While it is punishable in Sweden to wear or display actual Nazi symbols like Swastikas, the Swedish extremists manage to show Nazi-style emblems that make them unmistakable yet not subject to arrest. The Swedish case is one of blurred lines between free speech and terrorist activity. The tension between democratic principle and its misuse for crime is unresolved in other democratic societies. But in many, it is an issue for sustained public debate and legislation that face up to the public interest. In Sweden, the question is whether the society will come to grips with the issue and find a balance between the exercise of freedom of speech and its protection against obstruction of justice through violence.

 

 

 

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WHITE PRIDE WORLDWIDE: The Major Players
LA MUSICA E IL NEONAZISMO


January 2002 -- The growth of white power music did not just bring international cooperation among extremists. It also caused a number of violent conflicts.

Most visible was the war in Sweden between Nordland and Ragnarock, along with their international allies. The combatants took to firebombing each other’s bookstores, hiring hit men and mailing letter bombs. One British leader, looking to mete out retribution to his neo-Nazi enemies, started carrying a machete to concerts.

The industry was thrown into disarray in 1997-98 on both sides of the Atlantic. Michigan tax authorities raided Resistance Record’s Detroit-area offices, confiscating as many as 200,000 tapes and CDs worth up to $3 million, and Resistance leader George Burdi left the movement after his 1997 imprisonment for assault.

In Europe, government raids brought some labels to the verge of bankruptcy, while others changed leadership and moved their headquarters. Leading white power music distributors in Britain were imprisoned for crimes including murder.

Since 1998, the white power music industry’s major players have largely ended their rivalries and reorganized. No new battles seem to be in the offing, although there is still violence against bootleggers.

Today, the four leading international distributors seem to be cooperating, or at least not battling, with one another. They are:

 

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Il lato oscuro dell'Europa

Il sociologo svedese Tom Burns si misura con i temi della xenofobia e del razzismo e del loro impatto sul processo di unificazione

Intervista a cura della redazione

Razzismo e xenofobia sono da tempo al centro del confronto politico, in stretta connessione con il dibattito sull'immigrazione extracomunitaria in Europa. Tuttavia, raramente la questione è stata affrontata secondo una prospettiva sociologica, l'unica che forse consentirebbe di spiegare come mai, in un'Europa sempre più democratica e aperta alla diversità, siano ancora così diffuse forme di intolleranza e di discriminazione verso gli immigrati e verso le minoranze etniche e culturali. Lo facciamo con Tom Burns, docente di Sociologia all'Università di Uppsala, in Svezia, responsabile di un progetto di ricerca finanziato dalla Commissione Europea su razzismo e xenofobia in Europa.


Razzismo e xenofobia sembrano porsi all'opposto dei principi di tolleranza su cui si fonda la cultura europea. Eppure, orientamenti razzisti e xenofobi sono sempre più diffusi nella società europea. Come spiegare questa contraddizione?

La domanda va dritta al cuore del problema. L'Europa è una realtà estremamente complicata. Essa indubbiamente racchiude una cultura liberale e può esibire una lunga tradizione di tolleranza, ma ha anche una forte cultura dell'esclusione sociale, a cominciare dai rapporti tra europei. Questo significa che il razzismo e la xenofobia sono profondamente radicati nelle strutture e nella cultura delle società europee. Anche se le dimensioni del problema non sono le stesse dappertutto, ritengo che l'attitudine a produrre pregiudizi sull' "altro", la cultura dell'escludere l'"altro" siano all'interno del tessuto sociale di ogni paese europeo.


Razzismo e xenofobia sono spesso interpretati come fenomeni connessi alla costruzione della modernità europea (quella che si è ad esempio manifestata attraverso il colonialismo), ma meno compatibili con la cosiddetta post-modernità, che si basa proprio sul riconoscimento della diversità. Quali relazioni è possibile cogliere tra Europa post-moderna, il razzismo e la xenofobia?

Il razzismo e la xenofobia sono profondamente connessi con la forma dello stato-nazione. In questo senso possiamo certamente dire che essi siano un'eredità della modernità europea. Non credo che questo riguardi solo i paesi con un passato coloniale. Forme di xenofobia si possono trovare, ad esempio, anche in Polonia o nella Repubblica Ceca che non hanno mai avuto colonie.
Quanto alla post-modernità, essa può essere colta come una progressiva erosione e trasformazione delle istituzioni. Si tratta di un processo che può produrre una maggiore tolleranza e una maggiore apertura, rendendo le persone più preparate ad accettare la diversità. Ma non sempre accade. Il processo di erosione e di trasformazione delle istituzioni può determinare una maggiore paura nei confronti degli altri. Questo è il rischio di lavorare con categorie troppo astratte, come quelle di modernità e post-modernità. Credo sia più utile ragionare in modo concreto sui fattori che incrementano o contrastano il razzismo e la xenofobia.


Quali fattori, ad esempio?

Un fattore è certamente rappresentato dalla competizione economica. Se si hanno alti livelli di disoccupazione e una riduzione significativa dei livelli di welfare, la gente comincia a sperimentare una condizione di scarsità. Uno dei modi più semplici per ridurre la competizione è quella di escludere altri gruppi; ed è molto facile, per una nazione, escludere gli immigrati.
Altri tipi di meccanismi sono più inquietanti. In ogni società moderna si rileva la presenza di gruppi marginalizzati. Essi percepiscono la continua minaccia del loro status. Un modo semplice per incrementare il loro senso di orgoglio è quello di escludere gli immigrati e le minoranze facendo leva sulla nazionalità ed etichettandoli come "non svedesi", "non tedeschi" o "non francesi". Spesso le persone aderiscono a gruppi di skin-heads o di nazi-skin non perché abbiano forti convinzioni ideologiche, ma perché stanno cercando un posto dove stare, perché desiderano appartenere a qualcosa.
Un altro meccanismo è attivato dalla paura che gli immigrati possano minacciare l'integrità culturale della società di accoglienza. Questo è un punto di vista condiviso anche da molti intellettuali. D'altro canto, essere intellettuali non significa necessariamente essere liberali e tolleranti. Anzi, spesso accade l'opposto.
Un ulteriore meccanismo è rappresentato dalla paura nei confronti delle azioni illegali degli immigrati. Può accadere, ovviamente, che alcuni di essi assumano comportamenti di questo tipo o atteggiamenti devianti. La gente allora reagisce attraverso un processo di generalizzazione, esprimendo giudizi che toccano l'intera categoria. Questo perché le persone sono in cerca di una formula rapida per rappresentarsi alcuni fenomeni e questa funziona molto bene. Diventa un modo per rispondere a certe domande: "Perché quegli immigrati hanno la BMW?", "Perché sono in qualche modo coinvolti in qualche cosa di illegale". Storie del genere poi circolano, diventano una narrazione che influenza il comportamento sociale della gente nei paesi di accoglienza. Attraverso certi meccanismi, gli immigrati e gli appartenenti a minoranze entrano nell'area di attenzione degli assistenti sociali o della polizia, anche se non hanno fatto nulla di illegale. Forse i loro bambini incontrano qualche problema a scuola; e di nuovo questa circostanza può far scatenare un processo che li differenzia e che, in un modo o nell'altro, li esclude. In Svezia, ad esempio, molti immigrati e rifugiati sono sostenuti dai servizi di welfare. Alla gente, però, non piace il fatto che essi ricevono una particolare attenzione da parte degli assistenti sociali o dalle agenzie di welfare e comincia così a lamentarsi delle tasse che paga per sostenere questi servizi.
Un altro fattore importante che genera orientamenti xenofobi è il fatto che la società non è abituata a trattare con la diversità e a gestirla adeguatamente, soprattutto nei luoghi di lavoro o nelle scuole. Gli immigrati spesso non conoscono i codici culturali propri della società di accoglienza, codici che rendono molto più facile la convivenza tra le persone, e diventano così una fonte di problemi. In tal modo, si attiva una forte tendenza a escluderli.
Insomma, se vediamo le cose in modo concreto, troviamo un complesso insieme di meccanismi che in qualche misura si rinforzano vicendevolmente; per di più c'è una scarsa consapevolezza in merito a essi e un'altrettanto scarsa riflessione su come funzionano. Il risultato è quello che noi chiamiamo razzismo e xenofobia.


Questo significa che atteggiamenti esplicitamente razzisti sono molto rari.

Effettivamente sono molto rari. I discorsi xenofobi sono normalmente attivati o da leader politici opportunisti o da persone che realmente disprezzano gli stranieri e si sentono minacciate da essi. I politici opportunisti pensano di poter sfruttare i sentimenti razzisti e xenofobi delle persone. È una soluzione molto economica, perché far leva sul contesto xenofobo mette in grado di mobilitare rapidamente la gente. Naturalmente c'è anche chi è realmente razzista. Ma il ruolo dei leader opportunisti è più rilevante. Alcuni uomini politici possono esibire una storia di attacchi agli immigrati più coerente e lunga di quella che hanno i veri razzisti.
Una volta che questi uomini politici hanno avuto un parziale successo, può scattare un altro meccanismo. Si tratta di un principio della società democratica secondo il quale, se si ha il consenso della gente, si ha anche la possibilità di far sentire maggiormente la propria voce. In tal modo si acquisisce uno spazio nel dibattito pubblico. Ora, è molto rischioso isolare le persone che hanno il consenso della gente. Quando Heider e il suo partito vinsero le elezioni, si registrò una reazione al livello europeo, sia da parte della stessa Unione Europea, sia da parte dei paesi membri. Ma la risposta dell'Austria fu che quelle reazioni rappresentavano un attacco alla propria democrazia. È questo il modo in cui è stato legittimato il fatto di poter parlare - in Francia, in Austria, in Danimarca o nei Paesi Bassi - degli immigrati come di un problema. Questo è il dilemma della democrazia. Fino a che punto ci si può spingere? Quali limiti bisogna imporre?

In passato, alcuni di questi temi non erano discussi pubblicamente. Oggi lo sono. E purtroppo un aperto confronto realizzato secondo le regole della democrazia può rappresentare un pericolo per gli immigrati o per i soggetti appartenenti alle minoranze. A causa di tale confronto, essi sperimentano una situazione di incertezza nelle loro vite. Non possono far venire le madri o le mogli a vivere con loro perché avvertono la possibilità dell'avvio di nuove politiche indirizzate contro gli immigrati o le minoranze. Tutto ciò può rappresentare un'esperienza traumatica. E tuttavia va ribadito come tutto questo sia effetto di un processo democratico.

L'interazione positiva tra democrazia e xenofobia sembra essere paradossale

Infatti lo è. Non si tratta di un puro aspetto tecnico del policy making. È piuttosto una questione che attiene all'esperienza umana. La gente soffre a causa di questa esposizione pubblica. Forse le politiche che ne derivano non saranno poi così estremiste o così negative come ci si potrebbe aspettare. Tuttavia, il trauma che subiscono gli immigrati e le minoranze potrebbe essere molto forte. Immaginiamo, ad esempio, che impatto può avere un'esposizione pubblica di questo tipo nel caso dei nordafricani che hanno un passaporto francese e vivono in Francia da vent'anni.


In che misura e a quali condizioni le politiche pubbliche possono realmente incidere su tali meccanismi?

Molte di queste politiche non li affrontano neanche. Quando lo fanno - come ad esempio le direttive europee in materia di antidiscriminazione applicate da ogni stato membro - esse non funzionano proprio a causa di questi stessi meccanismi. Come poter applicare una legge contro la discriminazione se una vasta parte della popolazione non è d'accordo? Molti immigrati, poi, non se la sentono di avviare un procedimento giudiziario a tutela dei propri diritti violati perché vedono i rischi ai quali vanno incontro. Così va a finire che le politiche varate restano inattive. Sulla base delle mie ricerche e di ricerche condotte da altri, mi sono convinto del fatto che i più importanti contro-meccanismi per contrastare tali processi possono essere attivati dalle organizzazioni della società civile e dalle imprese private.


Forse perché esse agiscono su quei livelli della società in cui si producono gli orientamenti xenofobi…

Sicuramente le organizzazioni non governative impegnate nella lotta al razzismo e alla xenofobia sono in grado di intervenire a quei livelli. Esse sono interessate a sostenere l'immigrazione e l'integrazione perché lavorano con gli immigrati. Possono aiutarli a conoscere i simboli e i codici della società che li ospita. Io stesso, come immigrato in Svezia, so bene quanto sia importante essere in contatto con qualcuno che spieghi come ci si debba comportare. Gli immigrati possono infrangere alcune regole non scritte e la gente allora reagisce. Magari non fanno nulla di illegale, ma fanno qualcosa di improprio. E questo rende la loro vita molto più difficile.
Inoltre, la società moderna è molto complessa; ed è utile che ci siano organizzazioni non governative che forniscono un aiuto legale agli immigrati, che spieghino loro come funziona il sistema scolastico o che li sostengano nel mondo del lavoro.
Quanto alle imprese, in molti casi esse sono preparate ad assumersi qualche rischio. Lo fanno, in parte per la mancanza di risorse umane di cui hanno bisogno e in parte perché, se vogliono competere nell'arena della globalizzazione, devono diversificare il personale e assumere anche personale immigrato qualificato.
Forse l'Unione Europea potrebbe fare di più per incoraggiare le imprese europee. In Svezia si stanno discutendo leggi che dovrebbero penalizzare quelle imprese che intrattengono rapporti contrattuali con il governo e che hanno assunto comprovati comportamenti discriminatori. Si tratta di un incentivo molto forte. Un'impresa svedese, l'IKEA, è stata penalizzata - mi pare sia accaduto in Francia - perché la dirigenza non voleva che persone di colore uscissero dai loro negozi con il catalogo dell'azienda in mano in quanto riteneva che la gente avrebbe associato il loro marchio ad esse. Si tratta evidentemente di una forma di discriminazione. Non è stata una buona pubblicità per l'IKEA. La sua immagine ha ricevuto un danno specialmente tra le persone del ceto medio che sono in maggioranza contro il razzismo e la xenofobia.


Ma come si possono rendere le politiche più efficaci?

Penso che occorra predisporre una nuova agenda politica. Bisogna identificare le forze presenti nella società che già operano contro il razzismo e la xenofobia e sostenerle. È necessario anche identificare le altre forze, quelle che invece rinforzano il razzismo e la xenofobia, e contrastarle. Ad esempio, ora sappiamo che ogni aumento dei livelli di disoccupazione, ogni incremento dell'insicurezza economica e ogni riduzione dei livelli di welfare rappresentano una minaccia per la gente e sappiamo anche che, se la gente è minacciata, incomincia a proteggersi. E la forma di protezione collettiva più semplice è quella di distinguere tra "noi" e "loro". Bisogna proprio avere un alto livello di solidarietà per non assumere atteggiamenti discriminatori in tempo di scarsità. Conoscere queste connessioni tra eventi dovrebbe aiutare a sviluppare politiche più efficaci.


In Europa si stanno sviluppando soprattutto politiche di controllo dei flussi migratori ma ancora poca attenzione viene prestata a quelle di integrazione degli immigrati. All'Europa "fortezza" e chiusa delle politiche si contrappone l'Europa aperta all'esterno e tollerante dei principi. Perché accade questo?

Effettivamente si dedica molta più attenzione ai flussi migratori e alla loro regolazione piuttosto che alle politiche di integrazione. Non penso che questo accada a causa della presenza di forze xenofobe o razziste. Credo che sia parzialmente dovuto al fatto che non c'è un'idea precisa di come sostenere i processi di integrazione.


C'è una mancanza di conoscenza in questo ambito…

È così. Non è però l'unico problema. C'è una chiara contraddizione tra la Fortezza Europa e l'Europa Aperta proclamata nei principi dell'Unione Europea. Ma questo riflette la realtà delle cose. Entrambe le tendenze sono infatti contemporaneamente presenti nella società. Ci sono forze che vedono l'Europa come un'entità aperta, tollerante e disponibile ad accettare le diversità, mentre ve ne sono altre che la vedono intollerante. Queste ultime non sono solo contro gli immigrati extracomunitari, ma anche contro gli immigrati che vengono da paesi comunitari. Ad esempio, in Svezia la diffusa opposizione all'entrata nell'Unione Europea è dipesa dalla preoccupazione di dover accogliere immigrati provenienti da altri paesi membri.
Si tratta di un aspetto da non sottovalutare. Studi condotti dal Centro dell'Unione Europea di monitoraggio sulla xenofobia e il razzismo, che ha sede a Vienna, mostrano come non c'è solo un'opposizione diffusa nei confronti degli immigrati extracomunitari, ma una molto forte anche nei confronti degli immigrati europei. Questi sentimenti sicuramente si intensificheranno con il procedere del processo di allargamento dell'Unione Europea.


Questo significa che il razzismo e la xenofobia possono persino mettere in pericolo il processo di unificazione europea?

Sì, è possibile. Potrebbe accadere che in parecchi paesi europei vadano al potere governi orientati alla xenofobia. Potrebbe anche accadere che essi non rispettino le direttive europee in materia di diritti umani e di discriminazione. A quel punto, si porrebbero al di fuori dei regolamenti europei. Questo fatto potrebbe creare una tremenda, profonda frattura all'interno dell'Unione Europea. Non sarebbero coinvolti solo i leader politici; sarebbe una frattura che spaccherebbe l'intera società. Non sto pensando a conflitti bellici, semmai a un aspro confronto culturale e politico. Trovo però che ci siano dei parallelismi con la situazione che si venne a creare negli Stati Uniti quando si pose la questione dello schiavismo che poi portò al conflitto civile.


Quali sono i tratti distintivi del multiculturalismo in Europa rispetto a quello di altre società avanzate?

Gli Stati Uniti hanno giocato un ruolo importante nello sviluppo di un approccio multiculturale, soprattutto per quel che riguarda la gestione della diversità. Ma il mondo è multiculturale nel modo in cui lo è l'Europa. L'Europa è rivolta al Mediterraneo e al mondo islamico. Differentemente dagli Stati Uniti, l'Europa è costretta a sviluppare le relazioni commerciali, gli scambi nel settore dell'istruzione e gli scambi culturali con le aree vicine e deve trovare i modi per garantire alti livelli di tolleranza e per gestire la diversità e i conflitti. Molte cose le stiamo imparando proprio a partire da come l'Europa affronta questi problemi. Ciò che ancora non sappiamo è se stiamo imparando in modo sufficientemente rapido e se le lezioni apprese si dimostreranno efficaci anche nel lungo periodo.


Qualcosa è cambiato dopo gli eventi dell'11 settembre?

Sì, qualcosa è cambiato. E non si tratta di un cambiamento superficiale. Si sono attivati meccanismi molto gravi di xenofobia e di razzismo o comunque si attiveranno nel caso in cui un altro evento terroristico accada in Europa o in Nord America. Gli atteggiamenti liberali sono sempre meno convinti. Ci sentiamo minacciati e non abbiamo tempo di elaborare nuovi materiali culturali. Mettersi a distinguere tra persone di cultura islamica e pericolosi movimenti fondamentalisti richiede tempo. Così rielaboriamo e usiamo materiale culturale già disponibile.
È necessario prepararsi a sviluppare nuove risposte perché può accadere che la situazione peggiori. Dobbiamo tentare di mitigare le possibili reazioni. È importante creare istituzioni che siano in grado di combattere il terrorismo efficacemente. Alcuni sostengono la tesi secondo cui più c'è terrorismo, meno si può dedicare attenzione alla protezione dei diritti umani e civili. La ritengo un'equazione troppo semplicistica. Immagino piuttosto una relazione triangolare tra istituzioni, diritti umani e terrorismo. L'esistenza di istituzioni efficaci e la fiducia in queste istituzioni rappresentano un fattore decisivo. Se si ha fiducia in istituzioni che danno la caccia ai terroristi e che prevengano la loro azione, si può essere più preparati a mantenere gli alti livelli di protezione dei diritti umani e civili di cui normalmente godiamo anche quando è in atto una crisi. Questo non può avvenire se ci si trovasse tutti in una situazione di emergenza.


In che misura gli orientamenti culturali e i comportamenti degli immigrati possono incidere positivamente o negativamente sulla diffusione di atteggiamenti xenofobi in Europa?

Quel che si ha di fronte è un'interazione tra immigrati e società di accoglienza. Entrambi devono attivare un processo di apprendimento. Per quel che concerne le società di accoglienza, ritengo che le ONG impegnate nella lotta al razzismo abbiano un importante ruolo in tale processo. Esse vanno sui media e agiscono in collaborazione con le pubbliche amministrazioni e con le imprese.
Ma è anche importante che gli immigrati e le minoranze partecipino a questo processo di apprendimento. Probabilmente essi hanno bisogno di particolari programmi che li aiutino a capire come funziona la società di accoglienza.
Da entrambe le parti è comunque richiesto un qualche livello di tolleranza. Ho spesso notato che immigrati presenti in Europa hanno molti pregiudizi. Questo non aiuta certamente il processo di apprendimento e non serve alla causa della tolleranza.


Il quadro da lei tracciato suggerisce che razzismo e xenofobia non siano elementi contingenti ma strutturali della società europea…

Penso di sì. Ma gli eventi sono altrettanto importanti. Un attacco terroristico come quello dell'11 settembre può scatenare vaste reazioni xenofobe. Una profonda crisi economica che colpisca l'Europa può dare avvio a una competizione sulle risorse, ossia a un meccanismo per il quale si lotta per ottenere uno status attaccando gli altri. In assenza di fattori scatenanti, razzismo e xenofobia potrebbero rimanere parzialmente inattivi, pur essendo strutturalmente radicati nella società europea.

 

 

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DECISIONE-QUADRO DEL CONSIGLIO  - Bruxelles, 28.11.2001

sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia

 

   ALCUNE CIFRE

Stando alla relazione annuale 1999 dell’Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia (EUMC)<!--[if !supportFootnotes]-->[2]<!--[endif]-->, nonché ai vari rapporti sul razzismo in Europa presentati nel 1999 dai media nazionali, dalle autorità ufficiali o dalle ONG, nessun paese dell’Unione europea è al riparo da questo fenomeno. Va tuttavia rilevato che non esiste un criterio uniforme per la raccolta di dati su incidenti o attacchi a sfondo razzista. L’Unione europea sta cercando di affrontare il problema. La rete d’informazione dell’EUMC, Raxen, ha il compito di definire questi criteri comuni e di formulare delle proposte al riguardo.

La commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI) - l’organo di esperti del Consiglio d’Europa in materia di lotta contro il razzismo - ha pubblicato una serie di rapporti nazionali nel quadro di una seconda disamina delle leggi, politiche e pratiche in materia di lotta contro il razzismo. I rapporti su Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia e Regno Unito, nonostante alcuni sviluppi positivi, mettono in evidenza il permanere di fondati motivi di preoccupazione.

Gli incidenti a sfondo razzista più frequenti non sono gli atti di violenza riferiti dai media. Dalle statistiche ufficiali in Germania si evince che, sui 10 037 reati penali a sfondo razzista/xenofobo registrati, il 66% rientrava nella categoria della propaganda. Tra l’aprile e il settembre 1999, per 10 982 casi di reati penali nel Regno Unito si sono registrate aggravanti legate a comportamenti razzisti, e una metà riguardava molestie di vario tipo. In Svezia, il numero di reati a sfondo razzista/xenofobo dichiarati ammontava a 2 363 nel 1999. Tra questi, le forme più correnti sono minacce, percosse e ferite, nonché molestie.

Gli atti gravi di violenza razziale sono ampiamente noti al pubblico, al pari degli altri reati gravi, attraverso i mass media. Nel 1999, gli organi nazionali di stampa hanno riferito casi di assassinio o tentativo di assassinio per motivi razziali, etnici, religiosi o culturali in Austria, Francia, Germania, Spagna, Svezia e Gran Bretagna. Nel corso dell’ultimo anno si è registrato un aumento del numero di crimini a sfondo razzista connessi con gruppi neonazisti in Svezia e in Germania. In quest’ultimo paese, il numero complessivo di reati penali è diminuito, ma sono aumentati le aggressioni violente. La violenza a sfondo razzista da parte di neonazisti o "skinheads" è stata segnalata anche in Spagna e in Portogallo, dove a questi gruppi è imputabile gran parte delle aggressioni violente. Si può giungere alla conclusione che gli atti razzisti, in particolare le aggressioni violente (omicidi, ferite e percosse ...) o i danni materiali (incendi, uso di esplosivi) molto spesso sono commessi da gruppi di giovani di ideologia neonazista o da "skinheads".

Un fenomeno del genere non è difficile da spiegare, dato che spesso il razzismo costituisce una manifestazione del senso di appartenenza a un gruppo, acuito da un atteggiamento negativo e sprezzante nei confronti di altri gruppi. Il reciproco incitamento e sostegno all’interno del gruppo incoraggiano l’emulazione e provocano reazioni a catena. Le opinioni sostenute dagli autori di questi reati spesso sono condivise dalle comunità più ampie di cui essi fanno parte, e che gli autori considerano come un fattore di legittimazione dei propri atti. Si tratta di una tendenza estremamente preoccupante, che va combattuta energicamente. La reazione a delitti del genere, anche ove non siano stati commessi nell’ambito di un’organizzazione strutturata, è essenziale per mettere a punto una efficace strategia preventiva, in grado di contrastare l’espandersi del fenomeno.

Per quel che riguarda le vittime, dai rapporti del 1999 si evince che vengono colpite minoranze etniche/razziali, immigrati e profughi in tutti gli Stati membri, particolarmente esposti a forme di discriminazione e a delitti a sfondo razzista. I delitti commessi da organizzazioni neonaziste prendono di mira soprattutto gli immigrati, le persone di origine straniera e la comunità ebraica. Si registra anche un incremento delle aggressioni contro omosessuali e personalità politiche dell’opposizione, giornalisti e poliziotti. I rapporti hanno messo in evidenza altresì che solo una minima parte delle vittime sporge denuncia presso le autorità. Spesso esse ritengono che le loro dichiarazioni non vengano prese sul serio o temono rappresaglie da parte degli autori dei reati.

 

 

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Indagine EUMC sulla Tolleranza
1997 – 2000

dall'Agenzia "Redattore Sociale"
http://www.redattoresociale.it

 

Negli ultimi tre anni, gli atteggiamenti dei cittadini europei nei confronti dei gruppi di minoranza etnica e degli immigrati hanno seguito una via contraddittoria. Da una parte, molti cittadini europei favoriscono le politiche di integrazione per permettere la coesistenza di minoranze etniche e di cittadini comunitari. Dall’altra, una consistente percentuale degli europei teme le minoranze per il problema del lavoro e per la tutela degli standard educazionali. È anche dimostrato che il nord Europa si dimostra "intollerante" adducendo delle motivazioni diverse rispetto al sud.

Tra i 15 Paesi europei, il Belgio è quello che mantiene l’atteggiamento più negativo, tanto che possiede la percentuale più alta di persone classificate come "intolleranti" (25%). Francia e Germania sono al secondo posto, 19% e 18%, ma in Francia la popolazione è spaventata per il possibile scoppio di conflitti sociali, mentre la Germania non accetta gli immigrati che desiderano lavorare in Europa perché temono una concorrenza sleale.
La Spagna e il Portogallo sono molto vicini all’Italia, quindi hanno un basso numero di intolleranti e un alto numero di "tolleranti passivi". Entrambi i Paesi non concordano nell’assimilare la cultura dei gruppi di minoranza, ma accettano di arricchirsi con la conoscenza di nuove tradizioni e stili di vita. Atteggiamento negativo, rispetto al resto d'Europa, si registra in Austria. D'altra parte, qui le politiche sociali nei confronti degli immigrati e delle minoranze etniche sono notoriamente restrittive e chiuse.

Nella ricerca veniva posta anche una domanda sul grado di "disturbo" causato ai cittadini europei dalla "altre religioni". Il paese che riporta la più alta percentuale di "sì, mi disturba" è la Danimarca (31,7 %), seguita dal Belgio (25,6%) e dalla Grecia (20,1%). In Italia sono 11,7 persone su 100 ad essere disturbate, un valore più o meno nella media. La più tollerante da questo punto di vista è la Spagna (5,6%).

Dal 1997 al 2000: cosa segna il barometro europeo della tolleranza nei confronti delle minoranze etniche e degli immigrati? Alla domanda cerca di dare una risposta una ricerca svolta dall'Osservatorio europeo sul razzismo e la xenofobia, da cui si deduce che nel giro di tre anni gli europei sono diventati più tolleranti e rispettosi nei confronti degli stranieri. Bando ad un eccessivo ottimismo: tra i Quindici l'atteggiamento culturale cambia e può arrivare ad eccessi opposti. Dunque, ancora molta strada c'è da fare per poter parlare di vera integrazione.
E il nostro Paese, come si comporta? Stando ai dati della ricerca, in Italia manca un vero consenso civile verso le politiche sociali di integrazione, anche se qualcosa è cambiato in meglio rispetto al 1997. Ma il dato più preoccupante che salta agli occhi è che gli italiani sono il popolo europeo più restio ad accettare il concetto di multiculturalità e di integrazione delle culture delle minoranze.

Le statistiche parlano chiaro: la percentuale maggiore, il 54% della popolazione (che è anche la più alta in Europa), si definisce "tollerante passiva", cioè con un atteggiamento positivo (in teoria) nei confronti delle minoranze, ma poco "generoso" nella pratica. Il 21% è definita "ambivalente", ovvero non si considera minacciata dai gruppi di minoranza, ma a volte manifesta forti riserve sul fatto che gli immigrati rimangano nel Paese di accoglienza. Le percentuali più basse sono riferite alla "tolleranza attiva"(15%) e alla intolleranza (11%). Nella prima categoria si inseriscono i cittadini che non sono affatto disturbati dai gruppi di minoranza e che anzi considerano positivi la contaminazione di culture e tradizioni. Gli intolleranti sono invece "gli irriducibili", convinti fermamente che la convivenza fra popoli non abbia effetti positivi sulla società.

Europa e minoranze: 4 tipi di atteggiamento

Paese

Intolleranti

Ambivalenti

Tolleranti passivi

Tolleranti
 attivi

Belgio

25%

28%

26%

22%

Danimarca 

20%

17%

31%

33%

Germania

18%

29%

29%

24%

Grecia

27%

43%

22%

7%

Italia

11%

21%

54%

15%

Spagna

4%

18%

61%

16%

Francia

19%

26%

31%

25%

Irlanda

13%

21%

50%

15%

Lussemburgo

8%

32%

33%

28%

Olanda

11%

25%

34%

31%

Portogallo

9%

34%

44%

13%

Regno Unito

15%

27%

36%

22%

Finlandia

8%

21%

39%

32%

Svezia

9%

15%

43%

33%

Austria

12%

30%

37%

20%

Tot. Europa

14%

25%

39%

21%

Fonte:  EUMC - European  Monitoring Centre on Racism and Xenophobia

EUMC - European monitoring centre on racism and xenophobia

E’ stato fondato nel 1997 dall’Unione Europea come organismo indipendente finalizzato a combattere il razzismo, la xenofobia e l’antisemitismo nei paesi della Ue. Opera in collaborazione con il consiglio d’Europa, le Nazioni Unite e altre strutture internazionali, con l’obiettivo di monitorare l’estensione e lo sviluppo dei fenomeni razzistici e xenofobici e di promuovere le buone pratiche tra gli stati membri. L’Eumc organizza anche momenti di discussione e ricerche su questi temi.

Indirizzo:Rahlgasse, 3 - A1060  - Vienna (Austria)
Tel: 0043 -1-580300, Fax: 0043-1-58030-99
E-mail: office@eumc.eu.int

 

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Sweden's Nazi menace
By Per-åke Westerlund (edited version published in Socialism Today)

The Nazi murder of Björn Söderberg, an activist in the syndicalist trade union SAC, was answered on Saturday the 23 October with the biggest antinazi manifestations in Sweden since the 1930s. Mass rallies with 40 000 participants in 20 towns expressed the mood against nazism and the willingness to act. For socialists, it's necessary to understand the huge gap between the "antifascism" of the state and the establishment on one hand, and the necessary movement of workers and youth against racism and fascism on the other.

With spectacular murders and bombings, the Swedish nazis in 1999 established themselves as perhaps the most active terrorists in any EU country. In May-June, two policemen were shot dead by nazis and a journalist almost killed by a car bomb. Another bomb in a car blinded a policeman. That bomb most likely came from a Hells Angels-type gang, which in several cases have links with the nazis. On 12 October Björn Söderberg was shot outside his flat. Two months earlier he exposed in a newspaper a leading nazi at the warehouse where he worked. Söderberg, who was an active member of the small syndicalist union SAC, found out that the fascist had been elected to the branch committee of Handels (equivalent of USDAW). Before being expelled, the nazi leader quit both job and union.

Immigration the issue?
In the debates over nazi violence, politicians and self-proclaimed "experts" have portrayed the nazis as youth upset over immigration. Even last year, popular historian Herman Lindqvist said there is no comparison between todays nazis and the 30s, and he blamed the "flood of refugees" for the fascists' behaviour. Firstly, the "opinion against refugees" in Sweden has been lead and constructed from the top. It's not "youth", but the state which has organised the hardest attacks on immigrants. As in the rest of Europe, the governments of the 90s, both Social Democratic and Conservative coalitions, have attacked the right of refugees and the living standards of immigrants as part of the slaughter of the welfare state. The first big austerity budget in 1992, also hitting sick-pay and pensions, cut grants for refugees to £4,50 a day. Previous school education in home languages have in practise been abolished. Unemployment for Africans in Sweden is 80-90 per cent. The programme of the racist party New Democracy, which had MPs from 1991-94, has been implemented. Sweden today has fewer refugee applications than Austria, known for its adaptation to the policy of Haider. The Social Democatic leader of Gothenburg council has since the mid 90s demanded a halt to arriving new refugees.
Not a single coin "saved" on immigration has found its way to the health service or education, as some of the politicians claimed. And drastic measures to prevent refugees entering Sweden has not stopped the violence from racists and fascists.
The establishment's picture of the fascists as working class youth upset over immigration often provoked by "violent immigrant youth" was shattered last year. The most spectacular attacks were against journalists, trade union activists and homosexuals, most of them Swedes. And most of the fascist criminals are middle class youth, the murderer of Björn Söderberg being the son of a businessman. Both the fascists and the establishment have misjudged the mood among workers and youth on the question of immigration. In the reform period of the 1960s and 70s, with high immigration, racism was receeding. In the 90s, refugees who have been fighting for their rights, with hunger strikes, occupations and demonstrations, have all received overwhelming support from youth, workers and neighbours. The real questions are unemployment and the destruction of the welfare state. These, and the redistribution of wealth to big business, are the real costs paid by workers families in the 90s. Immigration and the politicians new favourite subject of "integration" (i e assimilation) of immigrants, are raised against the background of economic crisis and the rule of the capitalist market. These capitalist policies, and the constant portraying of immigrants as "problems", is what creates new opportunites for fascist groups and racist parties.
There is today no return to a reform period, including restoration of the right of asylum, without a struggle against the capitalist market. Combined with campaigns and actions, socialists therefore also have the task to show the link between capitalism, racism and fascism.

The state
Every time the movement against fascism and racism has grown among workers and youth, there has been talk of new, tougher action from the state. In 1995, the police were supposed to get "education" how swastikas and other fascist signs looked like. The same year, courts were told to give harsher sentences for racist crimes. The impression was given that antifascism was a task fot the state. In practise, nothing much happened.
This autumn, the Social Democratic Justice Minister Laila Freivalds claimed that the police, known for their spying on socialist organisations, nowadays are "only" watching and surveilling the nazis.
Even voices on the left has put their hopes in the state. The appeal mainly from syndicalists', circulated in the Swedish media after the bomb attack on journalist Peter Karlsson demanded that the secret police should make the nazis their priority and that the Minister of Justice should develop a programme of action aganist the nazis. After the murder of Björn Söderberg, the neo-stalinist party KPML(r) demanded action from parliament and government to ban the nazis.
But illusions in an antifascist role for the state have to be compared to its record. The head of the secret police stated after the bombings in June that the nazis were no "threat of the country's security". He pointed to "militant vegans" as a bigger threat. This was proved when it became public that the police knew that the nazis planned to murder Björn Söderberg, but did not warn him. After the murder, the police immediately arrested three nazis who had been spotted by policemen outside Söderbergs house earlier the same night.
This was not accidental. The state and the police has for the whole of the 1990s regarded independent organisation by left-wing youth and others as a bigger threat than the nazis. Big resources have been deployed against those who want to stop new motorways or hide refugees. Three weeks before the murder of Björn Söderberg the police intervened brutally against Reclaim the City's peaceful street party in Stockholm, where 300 youth were arrested.
For the police and the state, the antifascists have been the problem, not the nazis. The fear of the big potential fot the antifascists was summarised by a Conservative Justice Minister in 1993: "One day they demonstrate against racism, the other against school cuts".
All ready in 1993 the police made mass arrests of antifascists who planned to blockade a Nazi march on 30 November in Lund in the south of Sweden. 1 200 policemen detained 500 antifascists, among them 12 year olds. The same year the police tried to ban the antifascist counterdemo in Stockholm. The state and the establishment were prepared to give the fascists a monopoly on the streets on the 30 november and other fascist anniversery days. The fascist marches even got police protection, to ensure their "democratic rights".
Only the energetic work of antifascists, with the Socialist Justice Party (Rättvisepartiet Socialisterna, RS) in a leading role, broke this development. We knew that allowing the fascists to march would only increase their appetite and violence. By the end of the 90s 30 November became known as a antiracist and antifascist day. The fascists had stopped trying to demonstrate.
The state and the politicians "discovery" that the fascists are a danger has come very late in the day. In Stockholm in the early 90s, they even opened a council financed youth club for skinheads. This club worked as a fascist recruitment school and offered free equipment for White Power music bands. It was finally closed after several cases of assault.
More resources to the state and police, or new laws, doesn«t mean that they will be used against nazis. Laws prohibiting Nazi organisations in Germany and other countries hasn't stopped new Nazi parties to be formed. Extraordinary laws have instead been used against environmental acitivists.
As a rule, a few weeks after the proclaimed "tougher methods" from the state and the police it's business as usual again. This year started with the police denying that racism was behind the nazi murder of 19 year old Salih Uzel on New Year's Eve.

How to fight them
78 per cent of LO (TUC) members want to ban facist organisations. Those against in the media etc are mainly leading politicians, from a "liberal, democratic" position. We have carefully not sided with the establishment, but showed that the demand for a ban in reality means a demand that the nazis should have no rights, that the state should stop protecting them. This can only be achieved by mass campaigns and action from below, independently from the state and establishment.
There are many important examples of the campaigns needed, where Rättvisepartiet Socialisterna and Youth against Racism in Europe (Elevkampanjen) have played a key role:
*
The most successful action in the 1990s was when 10 000 antiracists blocked the Nazi march to the Charles XII monument in Stockholm on the 30 november 1991. It was a mighty answer to the murder of Iranian Jimmy Ranjbar, who a month earlier was shot by the Nazi, John Ausonius.
At the same time this event became one of the most slandered anitracist actions. The Minister of Immigration, the Liberal and Social Democratic Youth organisations and all newspapers condemned our demonstration. They argued that it should have "taken place some other day" to avoid confrontation and thereby would have become bigger. But a march of MPs to a church was all they later managed to organize.
For the nazis the day was a fiasco. Leaders of Vam (White Arian Resistance) and the "Sweden Democrats" found their march blockaded in a situation where they believed in rapidly growing support. They saw themselves as riding a tide of growing Swedish opinion aganist refugees. Crisis and splits followed in their camp.
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In Sundsvall from 1993 onwards we organised several big demonstrations and actions against every event of the nazis. Their efforts to open an office and establish a basis in the north of Sweden thereby collapsed. The campaigns also involved tracing the halls where White Power conserts were planned and convincing the owners to cancel; evening patrols in the city when violence increased and anti-racist meetings in the schools.

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It«s important to act immediatedly. In Umeå RS demanded a the sacking of a university teacher who invited an nazi to adress a seminar at the end of 1997, and boycott of a play at the National Theatre in 1999 in which nazi prisoners had the leading roles. The correctness of the latter campaign was confirmed when precisely these nazi "actors" were arrested as police murderers in May.
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In Södertälje RS launched a campaign against the White Power concert planned in January 1998, to celebrate the 65th anniversary of Hitler coming to power. 700 took part in a antifascist demonstration despite the fact that local politicians had warned that it would be "dangerous" to participate. The Nazi event was stopped when the campaign put pressure on bus companies and hall owners to cancel the contracts.
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At åsö school in Stockholm 1997 YRE took a fight against nazi school students who in practise were allowed to run amok by the school management. Several demonstrations rallied the students and showed the poor support for the nazis.

After the murder of Björn Söderberg, we have stressed that the trade unions should take action. The publicity and the mass pressure in the autumn has forced several unions to expel nazis, and some of the nazis to publicly renounce their membership of fascist organisations.
But the union leadership haven't given any guidance for members or branches. The TCO leader Sture Nordh appealed for "conversations" at the workplaces - but what's needed is collective, organised rallies and meetings.
RS and YRE has campaigned for a one-hour political strike, including mass rallies, against fascist violence. In several schools YRE has organised rallies and days of action. At work, actions against the nazis could also play a role in wakening up sleeping unions and renewing the leaderships, which have accepted the policies of the 90s.

The struggle to smash the breeding ground for nazism och rasism is socialist. United workers struggle beyond ethnic and national borders is the only weapon aganist nazism, racism and nationalism. The working class, with the support of fighting youth and other opressed layers, must fight against cuts and shift of system, for jobs, shorter working hours and higher wages, against racism and fascism, for a socialist society where needs are ruling.

 

FINE

 

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