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Come dare una forma alle proprie ossessioni & immetterle sul mercato
 

Perché, come dice il titolo dell’autobiografia di uno degli uomini più ricchi del mondo, Andy Grove (quello della Intel, i microprocessori più diffusi del pianeta), “solo i paranoici sopravvivono”.

Ogni essere umano è frustrato e dunque ha delle ossessioni e perciò pagherebbe qualunque cosa per soddisfarle. Quelli che hanno l’ossessione del cibo pagano miliardi per rimpinzarsi di schifezze e poi vomitarle o si fanno scoppiare il fegato. Quelli che hanno l’ossessione della magrezza pagano miliardi per digiuni, diete e cibi ipocalorici. Quelli che hanno l’ossessione del sesso pagano miliardi per ragazzini e ragazzine minorenni, cassette e riviste porno, creme rassodanti e lubrificanti e altri oggetti sessuali, oppure iniziano a predicare la castità. Quelli che hanno l’ossessione dei propri problemi personali e della loro intimità ferita vanno in televisione e li raccontano a milioni di persone che li giudicano senza pietà e ridono di loro. Quelli che hanno l’ossessione delle ossessioni spendono miliardi dallo psicoanalista o da qualche guru indiano che gli spiega come liberarsi dalle ossessioni.

Quelli che hanno l’ossessione dell’io vogliono avere grande successo parlando di sé, della loro adolescenza, della loro vita sessuale, dei loro turbamenti interiori, alcuni addirittura della loro anima. In questo modo distruggono il loro io, perché raccontandosi ed esponendosi allo sguardo degli altri finiscono per svuotare e consumare il loro io. Per raccontare il loro segreto, indossano una maschera e buttano via tutto quello che c’era dietro. Dunque per avere successo con il proprio io è necessario costruire una immagine di sé assolutamente diversa dal proprio autentico io, e poi buttare via il proprio io. È un esercizio zen.

A causa del proliferare delle ossessioni, il mondo è pieno di maniaci. Fanatici religiosi, aspiranti serial killer, tifosi di calcio, body builders metabolizzati, leader politici, sex addicts e pornostar, personalità televisive, sportivi no limits, miliardari, collezionisti di carte di credito e lattine di birra… Una intera umanità di adolescenti ossessionati dall’io, da dio, dal sesso e dal sangue, dalle calorie, dall’orgasmo, dalle cromature, dai gigabyte e dall’ampiezza di banda, dalle quote di mercato, dal proprio corpo, dal potere, dal cazzo, dal bisogno d’affetto, dal vuoto che sentono dentro di sé, dal vuoto che vogliono fare dentro di sé, dal vuoto che sentono fuori di sé, DAL BRIVIDO DELLA MORTE, dalla cacca, dalla siringa… È un mercato enorme, anche se molto segmentato. C’è spazio per un grande numero di operatori.

L’ossessione pura non ha forma. È un chiodo che hai nel cervello, una bestia che ti agita, una goccia che non smette di cadere, un treno nelle mutande. È un’emozione a cui pensi di continuo e che non riesci a descrivere. È un attimo per cui sei disposto a dare tutto. Brucia. Nausea. È una sensazione molto banale per cui non sai trovare le parole. Se non puoi raccontarla, se non hai il coraggio, meglio trovare qualcuno che te la venda.

Se leggo un qualsiasi libro, quello che leggo è la mia ossessione. Il libro che leggo è lo stesso libro che stai leggendo tu, ma in realtà è completamente diverso. Se vedo un qualsiasi film, quella che vedo è la mia ossessione. Il film che vedo è lo stesso film che stai vedendo tu, ma in realtà è completamente diverso. Se immagino di fare l’amore con un altro corpo, quel corpo è la mia ossessione. Ma quel corpo con cui immagino di fare l’amore – che è lo stesso con cui immagini di fare l’amore tu – è in realtà completamente diverso. Il libro, il film, il corpo… Imprigionano il desiderio, lo pietrificano. Danno una forma, un’oggettività all’angoscia. La addomesticano, la trasformano in materia, la rendono accettabile. La trasfigurano in merce.

Le cose non ci servirebbero più. Quello che ci servirebbe davvero (cibo per non morire di fame, vestiti per non morire di freddo, un corpo da abbracciare eccetera) lo abbiamo già, senza troppa fatica. Ma è solo uno sfondo, un panorama sfuocato e opaco. Non placa l’ansia. Perché quello che ci serve davvero, quello per cui siamo disposti a pagare, a fare debiti e pagare le rate per anni, quello per cui siamo disposti a dare tutto quello che abbiamo e ancora di più, sono le allucinazioni delle cose. Non compriamo più un’automobile, un computer o un vestito, ma un’allucinazione di automobile, di computer o di vestito. Con tutti gli optional e tutte le allucinazioni degli optional. Non compriamo più qualcosa da mangiare, ma l’allucinazione del cibo. Non ci sediamo più sul un divano, ma sull’allucinazione di un divano. Non guardiamo più un programma alla televisione o un film, ma l’allucinazione di un programma alla televisione o l’allucinazione di un film. Non desideriamo più un uomo o una donna, ma l’allucinazione di un uomo o l’allucinazione di una donna.

L’automobile è progettata maniacalmente da un gruppo di fanatici delle automobili. Il computer è progettato maniacalmente da un team di fanatici del computer. Il designer del divano è progettato maniacalmente da un fanatico del divano. Quel corpo è modellato maniacalmente da fanatici del naso, delle labbra, del culo, delle tette, truccato da fanatici degli occhi, pettinato da fanatici dei capelli, rassodato da fanatici delle creme e delle ginnastiche, vestito da fanatici del tessuto, fatto muovere da fanatici del gesto. I particolari più minuti, impercettibili, sono stati tutti studiati e messi a punto maniacalmente da specialisti. La sua spontaneità è stata reinventata maniacalmente dagli stilisti.

Le cose e le persone che ci circondano non sono perfette. Non ci basta che siano perfette. Devono essere esageratamente perfette, maniacalmente perfette e dunque mostruose. Non sono l’idea di quella cosa o di quella persona, ma l’ossessione di quella cosa e di quella persona. L’ossessione proiettata sulla superficie, un’ossessione da guardare toccare possedere scambiare.

Non è che tutto questo renda più gradevole la nostra esistenza, più comoda la nostra vita quotidiana. Semplicemente popola i nostri incubi, e vedere toccare possedere scambiare i nostri incubi (qualunque essi siano) placa l’angoscia. Rende la vita sopportabile. Maniacalmente sopportabile.

Ho detto incubi. Allora qualcuno potrebbe pensare che l’ossessione sia un fatto personale, privato, che riguarda solo chi la prova. Niente di più falso. Anche le folle sono ossessionate. Le folle vivono di ossessioni. Sono un pubblico, un’audience, un target. Segmenti di mercato.

Il lavoro dell’artista, del giornalista, del pubblicitario, del venditore - insomma del product manager - consiste nel dar forma a queste ossessioni e nel trasformarle in merce. Per vendere le ossessioni dobbiamo trasformarle in merce.

Ma perché questa merce-ossessione abbia un reale valore di mercato, non deve esaurire l’ossessione. Non deve dare una soddisfazione totale – che è come la morte. L’ossessione-merce deve lasciare un fondo di insoddisfazione. Qualcosa di irrisolto. Un’aura. Deve dare forma all’ossessione pura, e lasciare sempre un residuo di desiderio. Per trasmettere le ossessioni e trasformarle in merce è indispensabile che l’esperienza dell’ossessione diventi in qualche modo ripetibile.

Le ossessioni sono le cicatrici segrete che ci ha lasciato la vita. Sono i segni delle battaglie che abbiamo combattuto, la traccia dei desideri che non riescono a trasformarsi in realtà. Sono la prova della contraddizione tra l’io e il mondo. È possibile risolvere questa contraddizione in due modi. Comperare l’ossessione, per placare l’ansia dell’io, per nutrire l’angoscia, per illudersi che sia socialmente accettabile. Ancora meglio, vendere l’ossessione, perché essa venga riconosciuta, affinché finalmente la contraddizione tra l’io e il mondo si risolva in un sorprendente successo commerciale.

Lo scandalo è una delle strade più facili verso il successo: porta alla luce la contraddizione, attira l’attenzione verso un tipo particolare di ossessione e sensibilizza i suoi potenziali fruitori. Se hai creato uno scandalo, sei a posto. Il problema è che lo scandalo dura un attimo, e invece è necessario renderlo permanente. È opportuno fidelizzare il cliente e massimizzare i profitti.

Per allungare la durata dello scandalo si possono seguire diverse strade.
Per esempio, dopo aver individuato la propria ossessione, e sperando che sia condivisa da un segmento del mercato sufficientemente ampio, si tratta di spingerla fino al limite estremo e poi, ogni volta, spingerla un po’ più oltre, aggiungere qualcosa di più o di diverso. Stando bene attenti a non restringere troppo il target.
Questo limite estremo può essere in fondo accettabile socialmente, e allora bisogna assolutamente esagerare, fino a oltrepassare ancora una volta il limite del sopportabile, o del ridicolo. È il metodo seguito dai Provocatori Professionisti Esibizionisti.
Oppure questo limite può essere difficilmente accettabile dal comune sentire. Può essere considerato una perversione. Può essere censurato. In questo caso è sempre possibile dire: “Io mi limito a dire (o mostrare, o raccontare) quello che accade. Prima di giudicare, bisogna conoscere”. Non sarà difficile a questo punto citare un fatto di cronaca o una leggenda metropolitana (della serie “Incredibile ma vero”) nella quale l’ossessione sia stata almeno una volta realizzata. È il metodo seguito dai Provocatori Professionisti Neorealisti.
Oppure, se la perversione è davvero inaccettabile, è sempre possibile occultarla creando una metafora, operando uno slittamento. Trovare qualcosa che prenda il posto dell’ossessione, che funzioni con gli stessi meccanismi, che sia insieme riconoscibile e irriconoscibile. Qualcosa che si sostituisca alla realtà dell’ossessione. È per questo che la realtà si popola insieme di ossessioni e di metafore. (Ma di che cosa è diventata metafora la realtà?) Questo terzo metodo è quello seguito dai Provocatori Occulti Poetici.

(Esistono anche esempi di provocatori che nel corso della loro carriera artistica hanno incarnato ora l’una ora l’altra categoria. Sono ovviamente previste combinazioni e ibridi di queste tre categorie fondamentali di provocatori.)

L’agente è una persona che ha l’ossessione del denaro e che dunque è in grado di trasformare le altrui ossessioni in merce e dunque nella massima quantità di denaro possibile. Il mio agente ha in mente una lista ampia (ma non esaustiva, visto che essa è ormai praticamente infinita) di possibilità di sfruttamento commerciale dell’atto creativo: i diritti d’autore per il libro, nelle edizioni hardcover, paperback e supereconomiche; poi i diritti per le cessioni ai club del libro e dell’audiolibro; i diritti cinematografici e teatrali; le royalties per gadgets vari; i gettoni di presenza per le apparizioni radiofoniche e televisive dell’autore; il compenso per i cicli di conferenze e le letture; i diritti per le riduzioni teatrali, radiofoniche e televisive delle sue opere; i diritti per i sequel di libri, film eccetera e per le serie televisive; le royalties per cd-rom e videogiochi; i contratti per il sito internet; i diritti delle immagini fotografiche; i compensi per le apparizioni pubblicitarie; i diritti legati alle colonne sonore del film; i risarcimenti delle cause per querele e violazione della privacy...

L’atto creativo consiste nell’immaginare quale forma può prendere un’ossessione. È un atto mentale, una illuminazione, una intuizione. Nel momento in cui inizia a prendere forma, l’atto creativo inizia ad attivare un notevole indotto. Una panoramica non esaustiva dell’indotto dell’atto creativo comprende: le case editrici e le tipografie, revisori e traduttori, le case cinematografiche, i tecnici, gli attori e i loro agenti, gli sceneggiatori cinematografici, gli autori radiofonici e televisivi, i drammaturghi, quelli che scrivono le novelization dei film la cui sceneggiatura è stata tratta da un romanzo (e dunque scrivono lo stesso romanzo e al tempo stesso ne scrivono uno assolutamente diverso), le case discografiche, i tecnici e i musicisti e i loro agenti, i fotografi e i loro agenti, i giornali, i giornalisti, le riviste e le agenzie di stampa, le aziende che raccolgono e catalogano le segnalazioni sulla stampa, i grafici e gli illustratori che disegnano le copertine dei libri e dei dischi, realizzano i manifesti eccetera, gli esperti di packaging,  le radio, le televisioni, le star radiofoniche, le star televisive e i loro agenti, gli uffici stampa e le agenzie di pubbliche relazioni, le agenzie di pubblicità e tutti i pubblicitari, i critici letterari, cinematografici, musicali e televisivi, le librerie, i librai e i commessi libreria, le aziende che distribuiscono i libri, i cinema, il personale dei cinema e le case di distribuzione cinematografica, i teatri e il personale dei teatri, gli studi di registrazione degli audiolibri e le case editrici degli audiolibri, le organizzazioni di vendita per corrispondenza e le aziende che li spediscono, gli istituti demoscopici che rilevano i dati di vendita e il gradimento di libri, dischi, film, programmi radiofonici e televisivi eccetera, gli esperti di marketing, le case di moda che vestono le star e i personaggi cinematografici, le case che producono i videoclip e quelle che producono gli spot pubblicitari e tutto il loro personale… E ancora, nei casi in cui l’ossessione incuriosisca l’accademia, professori e studenti, organizzatori di convegni e hostess dei convegni… E ancora organizzatori e direttori di festival e di fiere-mercato, giurati dei festival... E ancora agenzie di promozione turistica… E ancora i premi letterari con gli organizzatori e le giurie… E ancora webmasters, service providers, riviste e giornalisti che parlano di Internet, i motori di ricerca eccetera…

Un singolo atto creativo è dunque in grado di mettere in moto l’indotto di una media azienda, con un notevole giro d’affari. L’atto creativo è una punta di spillo immateriale che sorregge una gigantesca piramide di oggetti, persone, rapporti, fatturati... D’altro canto, tutto questo apparato ha continua necessità di nutrirsi con materiale sempre nuovo. Con nuovi prodotti. Con nuovi scandali. Il turn over delle ossessioni è troppo rapido, e questo invisibile organismo - la semiosfera - tende a risucchiare una grande quantità di atti creativi, come se al suo interno si creasse continuamente un vuoto terribile e angosciante. Una volta entrata nella semiosfera, un’ossessione ha notevoli possibilità di espandersi: superata la soglia dell’indifferenza, raggiunto il target critico, esploderà in mille rivoli, con mille specialisti ansiosi di immaginare nuove forme per questa ossessione e ricavarne il massimo profitto. Si apriranno nuove nicchie di mercato. I fanatici dei cd-rom, per esempio, che non sono fanatici di quella precisa ossessione né fanatici del libro, quando vedranno il cd-rom ispirato a quel libro che parla di quell’ossessione (alla quale non sono affatto interessati), lo compreranno ugualmente, essendo fanatici dei cd-rom.

L’artefice dell’atto creativo ha una grande responsabilità: dal suo gesto dipende la redditività di un significativo comparto dell’economia.

Quando un nome e una ossessione diventano un marchio riconoscibile dai consumatori, nasce un autore. Al di là dei proventi personali, mette in moto un indotto che vale media industria. A Hollywood, quello di una grande azienda.

Per un autore, la redditività è molto alta. Non ha praticamente spese vive, non ha spese fisse al di là del proprio livello di sussistenza. Dopo aver riservato una quota per beneficenza o per una causa politicamente corretta, può spendere tutto quello che guadagna per soddisfare le proprie ossessioni. Tutto questo gli permetterà di approfondirle, e trasformarle in nuovi atti creativi. Ormai è un suo preciso dovere morale tenere in vita l’indotto che egli stesso ha creato.

La forma di merce più perfetta per soddisfare l’ossessione è il gadget. Il successo del gadget dipende dalla creazione di un’ossessione a livello planetario, un’ossessione che può essere placata soltanto vedendo una gamma completa di film e programmi televisivi, ascoltando una serie di dischi, comperando una serie completa di oggetti (dischi, libri, pupazzetti, adesivi, giochi elettronici, videocassette, salvaschermo, t-shirt, cappellini…). Il gadget riempie lo spazio, quello fisico e quello mentale. Il gadget è come un tatuaggio dell’anima. Il gadget è un’ossessione svuotata di tutto. Il gadget è il livello più basso a cui può arrivare un’ossessione, e insieme la sua forma più pura.

Ora mi manca solo una cosa. Una ossessione. Un atto creativo. Una geniale intuizione di marketing.

copyright Oliviero Ponte di Pino 1998, 2000

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