Vai alla homepage who's who scrivi a trax

 

 

P i e r r e A l e c h i n s k y
1948, la Parigi di allora

 

Copenaghen, Bruxelles e Amsterdam, le iniziali delle tre città nordiche fuse per comporre l'immagine insinuante ed esotica di COBRA: nato da una costola del surrealismo, il gruppo animato da Asger Jorn, Karl Appel, Pierre Alechinsky, Corneille getta i sogni di Breton e compagni in un impasto di fango, terra e umori biologici. Nasce una pittura urlata, di colori lutulenti, banchetti luculiani per palati ingordi di mostri tutti lingue, denti, volti stravolti. Una pittura "metà infantile e metà adulta", "asimmetrica" come la definisce Alechinsky, esplosa nella Parigi del dopoguerra. Alla ville lumière di quegli anni Alechinsky - ormai tra gli ultimi sopravvissuti di quella stagione cruciale - dedica il ritratto che pubblichiamo qui di seguito. È un paesaggio tracciato con la veemenza della pennellata di Alechinsky: parole che si infittiscono sulla pagina per inseguire i ricordi, in una caduta à rebours tra bistrò popolati da Giacometti e dagli ultimi fuochi dell'Ottocento e le prime avvisaglie dei miti esistenzialisti.

© Pierre Alechinsky

Un colpo di testa: contro la verbosità, l'esitazione, il centralismo. Parigi, 8 novembre 1948. Un café all'angolo tra Saint-Michel e Saint-Jacques. Firmiamo l'atto fondatore di COBRA. Poeti e pittori, resisteremo per tre anni: una piccola Europa del nord. Ma l'autonomia di un periodo, l'impermeabilità, esistono solo nelle sale sterilizzate dei musei.
Sono tre anni eccezionali per Costant, una riconferma per il primogenito Asger Jorn, elettrizzanti per Karl Appel e Corneille, snervanti per Christian Dotremont, formativi per me.
A Parigi tre anni sono pochi, in confronto ai decenni di ricerca su un linguaggio di acronimi e detour.

L'asimmetria non sarà più reato.

La Parigi di allora. Come oggi, più o meno. In poche parole: Les Halles ancora in piedi, il Beaubourg senza Centro e senza piazza, la brasserie Royal Saint-Germain al posto del Drugstore, e che razza di Drugstore' Poche auto sui boulevard. Gli effluvi delle concerie sono ormai madeleine olfattive: in quel quartiere c'è l'università, adesso. Ma basta, o non la smettiamo più!

Per parlare di me, Parigi era tanto attraente che prima di trasferirmici ci venivo per stradine, in autostop, o in treno, la notte, sette ore in piedi nei corridoi, l'odore di catrame dai binari, quaranta minuti di sosta al chiar di luna, tutti che scendono, la fila indiana sui binari, la dogana (avete tabacco belga?). A quei tempi era come un passaggio sul Titanic. E poi il piacere di ritrovarsi nel calore dello studio di Atlan, rue de la Grande-Chaumière, pareti nere di fuliggine, il pavimento incrostato dai pigmenti preziosi, ocra e rossi. Pensate: uno nato a Costantine che già negli anni Quaranta aveva messo piede in Danimarca. Sono rari i francesi tentati da una sortita al Nord.

Che sarebbe stato di me senza Lefevre-Foinet? Quel meticoloso mesticatore, discreto mecenate, che un giorno mi disse: "Mi pagherà quando potrà". Nel suo negozio di Montparnasse, rue Vavin, sette anni ha aspettato, il poveretto, che mi pagasse la Galerie de France (a quei tempi la dirigevano Myrian Prévot e Gildo Caputo). E cosa sarei diventato senza l'appuntamento annuale con il Salon de Mai, dove si scoprivano quadri come Zulma - una grande papier découpé di Matisse - accanto alle prime compressioni del giovane César? E senza Nina Dausset, che mi aprì per un mese la sua galleria di rue du Dragon (poco prima di chiudere nel '55) dove bazzicavano pittori - Victor Brauner, Sam Francis, Matta' - e scrittori - André Pieyre de Mandiargues, Henri Michaux, Francis Ponge'? Senza La Hune di Bernard Gheerbrant, la miniera libraria di Saint-Germain-des-Prés? E senza gli articoli della rivista Phases, che nel primo numero del 1954 ospitava poeti e pittori di Cobra? Senza la rivista L'Oeil di Georges e Rosamond Bernier? Senza la NRF di Paulhan, che mi incoraggiava a diventare contemporaneamente pittore e scrittore?
E poi le discussioni con Alberto Giacometti. Lo tiravamo giù dal letto che era mezzogiorno, dopo le sue nottate di lavoro, facevamo insieme colazione nel bistrò di rue d'Alésia. Mentre tracciava il ritratto di Micky massacrando con la biro un tovagliolo di carta, ci metteva a parte dei suoi progressi, dei suoi dubbi e soprattutto dei suoi improvvisi desideri di fare a pezzi ciò che aveva scolpito la notte. Mai senza l'aiuto di Parigi sarei riuscito a ritrovare l'amico Jacques Putman, un altro transfuga belga, che mi fece conoscere Bram van Velde e la calligrafia cinese: Walasse Ting - nato a Shangai e appena sbarcato a Marsiglia da un transatlantico Messageries - che apriva una valigia piena di pennini in una camera ammobiliata vicino alla Gare de Lyon. Senza Parigi niente Stanley-William Hayter, per me; Bill - questo inglese tornato da New York durante la guerra - aveva riaperto il suo Atelier 17 nella stamperia di Madame Vve Chassepot, in rue de Vaugirard: un laboratorio di pochi metri in cui si imparava l'arte dell'incisione. È stato lì che ho trovato nel 1952 un numero di Bokupi, rivista giapponese rarissima in Europa, dedicata alla nascita di una calligrafia multiforme, ed è così che nel '55 mi ritrovai a Kyoto a filmare i virtuosi della scrittura ideografica.

Vent'anni dopo. Primo maggio 1973: scompare il grande Jorn (a Parigi nel giugno del '72 passavamo ancora le giornate insieme in stamperia). Le sue ceneri saranno disperse a Gotland, isola scandinava. Nel 1979 Dotremont torna dall'Irlanda con un canto logogrammatico, Logbookletter, e da Tervuren mi scrive di essere "spezzato dalla fatica del viaggio": infatti muore. È il 20 agosto. Lo uccide un cancro, strascico delle tubercolosi di gioventù, come era successo a Jorn.
Senza Jorn, senza Dotremont l'equilibrio è rotto. Sono tutti morti ormai, la continuità di Cobra svanisce. Rien ne va plus.

 

  Vai alla homepage who's who scrivi a trax