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  e d o a r d o n e s i

 

prato, USA
di fabio paracchini

 

Qualche mese fa. Sto parlando con un amico degli incipit di alcuni romanzi e a tutti e due viene subito in mente un attacco che ricordiamo perfettamente e che ci era parso bellissimo, tanto che a volte lo usiamo - come una specie di sciocca parental joke - quando iniziamo a raccontarci delle cose:

...o di quella volta che, ero ancora al mio primo anno di Harvard, a primavera, durante lo spring break, vennero a trovarmi il babbo e la mamma con Rebecca, e con una macchina a noleggio si andò verso Cape Cod e ci si fermò lungo la strada, mi pare a Hyannisport, o a Plymouth dove sbarcò il Mayflower dei Padri Pellegrini, non ricordo bene, comunque ci si fermò a mangiare l’aragosta in un posto da pescatori, con le tovaglie a quadri bianchi e rossi e delle vasche unte e gorgoglianti piene di aragoste nere giganti con i gommini alle chele; la mamma voleva mangiare per forza anche la polpa che sta dentro le chele e si era messa in testa di spaccarle con una specie di martellino che le avevano dato apposta, e batti e ribatti la chela si spezzò, ma la polpa dentro era quasi liquida e schizzò in faccia a Rebecca, e tutti si rise come pazzi, anche quelli degli altri tavoli, e Rebecca ci guardò negli occhi mentre pezzetti d’aragosta e liquidi intimi di crostaceo le scivolavano lenti giù dalla faccia, e nessuno in quel momento, sono convinto e debbo confessare, riuscì a non pensare qualcosa di porno mentre la più bella ragazza del mondo di tutti i tempi, mia sorellina Rebecca, a quel tempo radiosamente diciottenne, volgeva intorno lo sguardo con l’espressione di Ollio quando guarda in macchina dopo che Stanlio gli ha tirato una torta in faccia, o un secchio di vernice, o comunque gli ha combinato un malestro dei suoi.

Ci sembrava eccitante, quell’attacco con i puntini di sospensione che ti chiedi cosa c’era prima e perché ti hanno lasciato entrare ora, come a spettacolo iniziato, come quando da piccolo i genitori (credevo lo facessero solo i miei, poi col tempo ho scoperto che succedeva a molti) ti portavano al cinema in un orario qualsiasi e vedevi prima il secondo tempo e poi il primo dello spettacolo successivo e quando arrivava il momento in cui ti riagganciavi a quanto avevi già visto ci si alzava e si tornava a casa.

Poi sono andato a cercare il libro che ci pareva iniziasse così, Ride con gli angeli di Edoardo Nesi, e mi sono accorto che non era vero, che in realtà prima c’è un’altra pagina, una lettera che La Tiave mandava a Romano Carpini, il protagonista del romanzo. Peccato, ho pensato. Sarebbe stato bello, iniziare con quei puntini di sospensione.

Qualche tempo dopo Nesi mi manda via email il suo nuovo romanzo, Rebecca, e scopro che

Dei tempi passati ricordo un vento che soffiava attraverso i canyon.

Scopro anche che i personaggi sono gli stessi, che c’è ancora Federico, quello di Fughe da fermo, che stavolta si sta per sposare. Lo aveva annunciato in Ride con gli angeli e Romano, che stava ai Caraibi o giù di lì, se ne torna a Prato, dove ritrova la sorella Rebecca con la piccola Madeleine, e poi Beatrice, e la mamma che – come le mamme – piange, e il babbo che – come i babbi – tace, comprende e guarda le spalle agli altri. E poi La Tiave, lo zio Lupo e tutti i personaggi della trilogia di Nesi, una saga borghese i cui verbi sono (anche quando si travestono da presente) l’imperfetto e il passato remoto, ed è bello che sia così in una letteraturuzza italiana under40 tutta lì a sbalordare sul presente assoluto. Poi ancora vedo Rebecca impaginato e ci trovo a segnare l’inizio d'ogni capitolo quelle foto che immagino prese dall’album di famiglia dello scrittore e mi colpisce sempre più questa identificazione totale tra scrittura e vita, e mi piacerebbe – a Nesi non l’ho ancora chiesto – che la foto di copertina venisse direttamente dal suo album di nozze. Mah… lui è di spalle, ma potrebbe essere. Come spero (anche questo non gliel’ho mai chiesto) che il bambino che ti fa le linguacce quando prendi in mano Ride con gli angeli fosse lui da piccolo e il ragazzino vestito da Borg (o forse da Panatta) dentro Rebecca fosse sempre lui, ma allora Edoardo sarebbe Romano e io l’ho sempre pensato più Federico e se non avete letto i suoi romanzi non sapete di cosa sto scrivendo ma non importa perché quello che vorrei capiste è che qui è tutto un impasto di letteratura e vita e romanzi eccetera eccetera

Penso alle domande che avrei voluto porre a Nesi in un’intervista che poi non s’è fatta, alla mia curiosità su questa trilogia che mi faceva pensare alla continuity Marvel, agli spin-off dei telefilm americani dove i membri di una famiglia migravano in altre serie create apposta per loro (Laverne & Shirley >>> Happy Days >>> Chuck & Joanie), a scrittori che superano con i loro personaggi e con le loro vite il respiro del singolo romanzo, gente come Bianciardi, Proust o Pennac, per citarne tre che non c’entrano nulla tra loro e nemmeno con Nesi (be’, Bianciardi era toscano, ma non credo basti). Penso a come avrei voluto sapere qualcosa di più sulla vita di Edoardo, su quanto ci sia di lui in Romano, in Federico e (perché no?) in Rebecca. E penso soprattutto alle cose che avrei voluto chiedergli su Prato e l’America… in fondo Prato (un po’ come Como, in modi simili e anche diversi) è stato uno dei luoghi italiani del mito dei self-made-men, delle macchine e dei telai e delle fabbriche, del prendere stracci che la gente buttava e farne stoffe che quella stessa gente si ricomprava, dell’andare a cercarsi mercati all’estero quando l’Italia non sapeva cosa fosse l’esportazione (a Busto Arsizio, nella piazza della stazione, c’è una statua che ritrae Enrico dell’Acqua, pioniere del commercio tessile internazionale, come un eroe greco o qualcosa del genere) eccetera eccetera. Insomma, ancora, Prato e l’America, che nei libri di Nesi ci sono sempre e tanto tutte e due, abitate e rievocate, ed è solo a Prato che succedono le cose per davvero, in America (e fuori da Prato) si fa finta, si fa finta di amare e si ama davvero tornando a casa, si fa finta di tramare degli affari che si rivelano inesistenti tornando a casa, si fa finta di essere puttane e ci si rivela madri tornando a casa, si fa finta di tenere in piedi un matrimonio e se ne accetta la fine tornando a casa.

Ma tanto lo so che queste cose - lui o un suo romanzo - prima o poi me le dirà...

...o di quella volta che...

 

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