ateatro 62.81 Oltre l'"italiese" Teatri delle lingue, quarta edizione di Angela Felice
"Italiese" pareva a Italo Calvino l’italiano da dizione pettinatissima praticato da molto teatro di routine. Lì una sorta di sindrome della Crusca scenica inclinava (e in molti casi inclina ancora) al museo della parola pregiudizialmente perfetta, perciò da preservare dalle impurità del parlato. A questa comunicazione artificiale, mortuaria e certo autoreferenziale, ha però reagito dagli anni Ottanta molta parte del più vitale teatro giovane di ricerca, che invece proprio nella sporcizia o nella verità dell’uso, anche dialettale, ha voluto mettere le mani, recuperandovi suoni, colori, vita. Sono allora riaffiorate lingue sporche, dalla cintola in giù, compromesse con il corpo, il sudore, la saliva; lingue della memoria, non della nostalgia; lingue private degli affetti, della cucina, del lavoro, non del patetismo oleografico; lingue dei nonni con cui i nipoti attori-autori giocano al gioco delle generazioni; lingue tagliate, assediate oggi da un montante anglocrazia o dalla tentazione di gerghi giovanili anoressici, nel minimalismo post-pinteriano di una scena da sms; lingue anche perdute nella pienezza dei loro suoni, ma recuperabili come partiture su cui inventare echi proustiani di remote sensibilità. Un vistoso e frastagliato fenomeno, dunque, da vera devolution della lingua teatrale, su cui dal 1999 indaga il Convegno Nazionale "Teatro delle lingue", promosso su idea di chi scrive e di Mario Brandolin dal Teatro Club e dall’Ert, con una fitta cordata di partner locali e nazionali, impegnati a sostenere una manifestazione che nel tempo ha fatto di Udine la sede di un appuntamento annuale davvero privilegiato e unico nel settore.
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