ateatro 64.60

Le recensioni di "ateatro": L’asino albino di e con Andrea Cosentino
Regia di Andrea Virgilio Franceschi
di Andrea Balzola
 

Forse qualcuno si ricorda del carcere di "massima sicurezza" situato nell’isola della Sardegna del nord che porta il nome di "Asinara"?
Era in "voga" tra i detenuti considerati più pericolosi degli anni settanta: camorristi, mafiosi e soprattutto terroristi. Un’aura maligna e quasi leggendaria circonda questa isola: ora è area naturale protetta, ma in passato ha ospitato un Lazzaretto per la quarantena dei malati infettivi, poi trasformato nella prima guerra mondiale in un campo di concentramento, dove sono morti ben settemila prigionieri austro-ungarici. Infine, ed è storia ancora recente, il supercarcere "Fornelli". Simbolo dell’isola è un fantomatico "asino albino", specie endemica in via d’estinzione e dalle origini misteriose. A questo luogo accedono oggi solo gite turistiche guidate, a visitare le terribili vestigia di quel passato e soprattutto la bellezza naturale delle spiagge e del mare. Il giovane attore e autore Andrea Cosentino (con una ricca ed eclettica formazione teatrale, che va dal Living a Marisa Fabbri e Dario Fo, da Manfredini ai poeti improvvisatori toscani e si specializza a Parigi nel teatro comico e gestuale della scuola di Philippe Gaulier e Monika Pagneux) ricrea appunto una di queste gite, moltiplicandosi in una quindicina di personaggi emblematici, su una scena spoglia, circolare, abitata soltanto da pochi oggetti utili alla caratterizzazione dei personaggi: occhiali da sole, un telefonino, cappellini, un pupazzo di plastica gonfiabile, un megafono...
In questo debutto, sia pure ancora in fase di rodaggio, Cosentino si conferma un virtuoso della metamorfosi (aveva già interpretato da solo tutti i personaggi dell’Andromaca di Euripide) e una personalità emergente di originale spessore nel panorama dei nostri monologanti attori-autori. Il tono iniziale con cui presenta i suoi personaggi e l’arrivo della comitiva turistica sull’isola è quasi da cabaret, per quanto già da subito incline al paradosso e allo humour amaro. Poi, poco alla volta, insieme alla moltiplicazione dei personaggi, si assiste alla moltiplicazione e alla stratificazione dei registri espressivi. Il comico si apre al drammatico, quando Cosentino racconta delle migliaia di prigionieri morti in uno dei più dimenticati campi di concentramento, oppure quando fa rivivere, riprendendo frammenti di una testimonianza autentica, il progetto fallito di evasione e la rivolta dei brigatisti rinchiusi nel supercarcere. O ancora, quando l’unico asino albino visibile dell’isola è un cadavere, forse ucciso dai raggi solari non più filtrati dall’ozono. I personaggi sono tipici dell’italietta turistica, con efficaci marcature gestuali e vocali: oltre all’imperturbabile guida sarda, il coatto romano esistenzialista con la fidanzata remissiva, l’ignorante pontificatore, i due amici ossessionati dal cellulare, la single in crisi, il milanese berlusconiano con la famiglia, la coppia omosessuale italo-inglese occupata soltanto ad abbronzarsi, il babbo pugliese con la figlioletta pestifera. Aleggiano spietati (però mai diretti) riferimenti ai finti esuli delle televisive "isole dei famosi", ultima spiaggia per l’omologazione seriale di qualsiasi emozione. Un campionario di maschere dove la parodia dello stereotipo, sempre più dilagante nella nostrana popolazione telecomandata, non si limita però alla facile caricatura, ma apre un sottotesto metafisico, costellato di interrogativi filosofici ed esistenziali portati a paradossi mai banali (incentrati soprattutto sul tema del tempo). E alcuni personaggi, anche tra i più rozzi, acquisiscono così una dimensione poetica originale, tanto più sorprendente in quanto inconsapevole. Questa capacità di visione epifanica è sostenuta da un sottotesto politico, o quanto meno etico: la desolazione di quest’isola, dove la bellezza della natura è schiacciata dai fantasmi di una memoria insopportabile, riflette metaforicamente la desolazione di un’umanità allegramente alla deriva. Turisti naufraghi di un viaggio mancato nella memoria storica, anche la più recente, e incapaci di essere all’altezza di aspirazioni autentiche, non clonate, perché ormai privi sia di radici culturali che di utopie, anche le più piccole e personali. "Va tutto bene", ripeteva ossessivamente il comico Albanese, duplicando lo slogan dominante dell’attuale via italiana alla bancarotta morale e culturale (economica pure). L’isola è una specie di paese dei balocchi, dove ci si trasforma in asini. Ed infatti, la storia di Pinocchio che diventa asino è raccontata dal babbo alla figlioletta, in modo frammentario e ripetuto per l’intero arco dello spettacolo, nel vano tentativo di tenerla tranquilla. Una bimba annoiata dal padre e intestardita solo nel desiderio di vedere l’asino bianco, pubblicizzato sul depliant turistico. E’ questo un ulteriore registro metaforico di notevole forza espressiva (anche per il gioco linguistico con cui il testo è elaborato). Collodi, e prima di lui Apuleio, rappresentavano nella trasformazione in asino del protagonista l’interruzione e lo scacco della crescita spirituale, che coincide per Pinocchio con la perdita della parola, di quel logos che per i filosofi greci cercava e fondava il senso stesso dell’esistenza umana. Oggi quella trasformazione è metafora di una parola che perde la facoltà di dire e che non accoglie nemmeno il silenzio della riflessione, restando parola ininterrotta e vana che sfila, esibita, come il Pinocchio-asino nel circo (oggi sarebbe il set televisivo).
Perciò il finale dello spettacolo non poteva essere più riuscito: prima una progressiva e assoluta spogliazione della scena, dei personaggi e delle parole, poi, finalmente, l’apparizione, in un controluce abbagliante e metafisico, dell’attore trasfigurato (qui d’inquietante bravura) nel tanto atteso asino bianco, che saluta gitanti e pubblico con un prolungato e disperato raglio di dolore.

L’asino albino di e con Andrea Cosentino
Regia di Andrea Virgilio Franceschi
Collaborazione artistica di Valentina Giacchetti
Scene di Ivan Medici
Anteprima presso il rialtosantambrogio di Roma


 
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