(102) 02/11/06
speciale Milano
BP3 sud

Cassoeula, pizza e kebap
L'editoriale di ateatro 102
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and1
 
Lungo viaggio verso Santa Cristina
Al lavoro con Luca Ronconi
di Fabrizio Arcuri

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and2
 
Istambul e dintorni
Cronache dal quindicesimo festival teatrale
di Mimma Gallina

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and3
 
Milano delle mie brame
Lo Speciale Milano di ateatro e l’incontro del 22 novembre alla Civica Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi”
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and4
 
anteprima specialemilano Eppur si muove
La stagione teatrale milanese
di Giovanna Crisafulli

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and5
 
La bella addormentata
Una conversazione con Daniela Benelli, ass. cultura Provincia di Milano
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and6
 
Il Piccolo Teatro
da Il crollo delle aspettative, Garzanti, Milano, 2005
di Luca Doninelli

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and7
 
Milano per la riforma del teatro di prosa
Un progetto in 10 punti
di Sisto Dalla Palma

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and8
 
Un teatro per la grande Milano
Un riflessione sul futuro del Teatro degli Arcimboldi
di Carlo Fontana

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and9
 
Dopo questa Milano
Sulla necessità e le modalità del rinnovamento
di Umberto Angelini - Direttore Uovo

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and10
 
Declinare al futuro la cultura nella città
Non quello che esiste, ma quello che manca
di Filippo Del Corno

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and12
 
tora! tora! tora!
Per una cultura della cassoeula
di Elena Cerasetti

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Autocritica, noia e qualche parola abusata
In giro per la città dei teatri
di Manuel Ferreira (indomito attore della compagnia Alma Rosé)

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and14
 
Strana Milano, per non dire stronza Milano
E come valorizzare la città?
di Serena Sinigaglia

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and16
 
PR per Milano cercasi
Un problema di rappresentanza
di Federica Fracassi e Renzo Martinelli – Teatro i

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and17
 
Le Buone Pratiche 3/2006: La questione meridionale del teatro
Tutti a Napoli il 7 dicembre!!!

a cura di ateatro
in collaborazione con i Teatri di Napoli, Comune di Napoli e Regione Campania
di Franco D’Ippolito, Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and20
 
Ritratti ateatro: Marco Baliani
Un video in quattro frammenti
di Orsola Sinisi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and22
 
Danzare i segni
Metaphore di Carolyn Carlson tra musica turca, grafia araba e danza dell’interiorità
di Andrea Balzola

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and50
 
Per i 70 anni di Eugenio Barba
L'Odin Teatret in Puglia
di Ufficio Stampa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and70
 
A Milano la Festa del Teatro
Domenica 29 ottobre sale aperte in tutta la città (e gratis...)
di Ufficio Stampa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and71
 
Beckett&Puppet
In rassegna a Gorizia e Trieste per PuppetFestival
di Ufficio Stampa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and72
 
Seminario transnazionale "Strategie per la valorizzazione economica dello spettacolo"
A Bari il 13 ottobre
di Teatro Pubblico Pugliese

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and73
 
Anna Maria Monteverdi presenta Jimmy di Marie Brassard a Milano
Il testo pubblicato dal Principe Costante
di Ufficio Stampa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and74
 
Le Vie dei Festival a Modena dal 20 ottobre
Il calendario
di Ufficio stampa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and75
 
Settimo Convegno Internazionale su “I Teatri delle diversità”
A Cartoceto, Fano e Saltara il 21 e 22 ottobre
di Ufficio Stampa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and76
 
Architettura & Teatro
La terza edizione del seminario internazionale a Reggio Emilia
di Uffico Stampa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and77
 
Grido di Pippo Delbono al cinema
"Cercare nel linguaggio del cinema la libertà del volo, dell’irreale, del sogno, della poesia"
di Mikado Film

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and78
 
Raccontare i Balcani: dialoghi tra Est e Ovest
Lecce e Nardò 1- 4 novembre, L’Aquila 4 dicembre
di Ufficio Stamoa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and79
 
Il giornale delle Vie dei Festival
Online quotidianamente da Modena
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and80
 
Raimondo Arcolai nuovo direttore dello stabile delle Marche
Dopo le polemiche degli ultimi mesi
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro102.htm#102and81
 

 

Cassoeula, pizza e kebap
L'editoriale di ateatro 102
di Redazione ateatro

 

Per cominciare segnatevi due date:

* 22 novembre, ore 17.30, Milano, Civica Scuola d’Arte Drammatica: si parla dello “Speciale Milano di ateatro”, trovate moltissimo materiale in questo ateatro 102 (nel superspeciale ideato da Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino e curato in collaborazione con Giovanna Crisafulli) ma altri contributi arriveranno nei prossimi giorni; il dibattito è aperto a chiunque abbia qualcosa da dire, ateatrosyle;

* 7 dicembre, ore 9.30-17, Napoli, Castel dell’Ovo: “Le Buone Pratiche 3/2006: La questione meridionale”; in questo ateatro 102 si piò leggere il documento di convocazione, nel prossimo numero altre info: ma intanto preparatevi, mandate Buone Pratiche (se ne avete), iscrivetevi confermando la partecipazione a info@ateatro.it

Non vi bastano Milano e Napoli? Non vi piacciono la cassoeula e la pizza?
Questo numero della nostra webzine è davvero formidabile, ricchissimo e vario, potete trovare piatti per tutti i palati (teatrali).
Per gli amanti del kebap, Mimma Gallina racconta in un ampio reportage che cosa succede al Festival di Istambul e nel teatro turco.
Un contributo davvero prezioso arriva da Fabrizio Arcuri, che racconta che cosa fa Luca Ronconi l’estate a Santa Cristina: è affascinante vedere come il lavoro del maggiore regista italiano venga osservato e analizzato da un regista di un’altra generazione, con una diversa idea del teatro e un differente rapporto con il testo. Chi c’è stato lo sa: a Santa Cristina c’è un’atmosfera un po’ speciale, perché si lavora dalla mattina alla sera, è tutto molto chiaro e semplice, e insieme è un piccolo mistero, una alchimia speciale. Fabrizio (grazie 1000!!!) ce li racconta.
Ancora, Orsola Sinisi continua con i suoi “ritratti ateatro”: questa volta il protagonista è Marco Baliani, al centro di un piccolo road movie (o meglio un micro serial automobilistico in 4 puntate).
E ancora recensioni, notizie, segnalazioni, un dibattito che sui forum si accende periodicamente.

Ah, dimenticavamo! Abbiamo ridisegnato la homepage, con un nuovo banner. Da un lato lo Schlemmer del Bauhaus, dall’altro il Callot dei Balli di Sfessania: insomma, l’avanguardia e la tradizione, la macchina e il corpo, la storia e l’attualità, la forma e il gesto eccetera eccetera eccetera. Ma lo sapete anche voi, che cos’è ateatro
L’abbiamo reinventato perché il vecchio banner, un po’ generico, ci aveva stufato. Ma anche perché - ne avevamo parlato a Cascina - abbiamo cominciato a raccogliere alcune inserzioni, e abbiamo dovuto ridisegnare la home. Abbiamo scelto per ora di non accettare inserzioni da compagnie e teatri, per ovvi motivi di libertà e autonomia, e perciò ci siamo concentrati sul versante della formazione.
E’ un esperimento, per ora, e servirà a coprire alcune delle spese di gestione del sito, che ormai è diventato ricchissimo ma anche enorme e impegnativo da gestire, dunque impossibile da seguire e manutenere nei ritagli di tempo e nelle insonnie.

Insomma, stiamo provando a vedere se è possibile far crescere ateatro (in tutti i sensi). Se qualcuno ha altre idee e suggerimenti (oppure vuole sponsorizzare il sito e permetterci finalmente di pagare i collaboratori), siamo a disposizione.
Nel frattempo, sempre in base a quello che si è detto a Cascina, cerchiamo di dare una struttura al gruppo di lavoro di ateatro. Ma su questo, speriamo di avere presto altre novità.


 


 

Lungo viaggio verso Santa Cristina
Al lavoro con Luca Ronconi
di Fabrizio Arcuri

 

Prendo un treno di buon mattino da Bassano del Grappa. Se tutto va bene in serata dovrei arrivare a Perugia. Devo fare quattro cambi, la giornata è assolata e sono molti mesi che non ho un giorno di pausa. Dormo.
Durante il viaggio mi sveglio più volte, il telefono, il cambio dei treni… e per la prima volta trovo la mente sufficientemente vuota per riflettere su quello che sto per fare. O meglio, quello che sto per fare l’ho già valutato e scelto per bene, ma non ho avuto ancora il tempo di investigare l’aspettativa che si è annidata in me dal giorno in cui avevo incontrato a Trevi il Maestro.

Roberto Latini e io eravamo arrivati a Trevi sapendo che quest’anno a Santa Cristina il corso di regia non si sarebbe tenuto. Così, esattamente come speravamo, si trattava fare gli uditori, dei veri e propri studenti chiamati a studiare: un’occasione assai più rara che seguire la messinscena di uno spettacolo, in Italia.
Un centinaio di ragazzi in tenuta da provino tentavano come potevano di affrontare la tensione che avevano addosso: chi ripassava la parte, chi dava sfoggio di tecniche di rilassamento del corpo. Altri formavano capannelli intorno a chi era stato già dentro.

Mentre guardo fuori dal finestrino le immagini in movimento si sovrappongono a quelle del giorno dei provini. Chissà chi avrà preso Ronconi?
Scopro così di non aver dedicato abbastanza tempo a questo avvenimento. Sono stanco e se potessi ci ripenserei. Leggo i testi su cui si lavorerà e penso che a settembre sarò di nuovo occupato con il mio lavoro e che anche quest’anno non farò vacanze. Tra i materiali di lavoro non c’è Itaca, il testo di Botho Strauss: peccato, mi sembrava interessante, mi ricordo una fantastica messinscena di Besucher. Spettatore/attore, l’ho vista all’Eliseo, ne ho una memoria confusa, ma mi piacque molto, Umberto Orsini era straordinario.
Comunque Santa Cristina è un’occasione che non voglio perdere. E poi negli spettacoli di Ronconi a volte ci sono cose che non capisco e questa può essere l’occasione giusta per capirle. E poi adesso che si fa sera e sono meno anestetizzato dal caldo, penso che addirittura gli potrò chiedere di spiegarmele, e magari nei momenti di pausa sarò partecipe delle sue riflessioni e dei suoi pensieri. In fondo questo incontro sana una lacuna nelle mie esperienze: quello di cui Ronconi è un illustre esponente è un sistema con cui non mi sono mai confrontato, e difficilmente lo farò in futuro.
Quindi ho diverse aspettative. E come potrei non averne? Anche se, come mi capita spesso, sono di carattere esperienziale.

Tra i materiali del corso c’è Il gabbiano di Cechov. Chissà se sarà lo spettacolo di fine corso? Ma ha pochi ruoli, come fa a metterlo in scena con trenta attori? Forse, come in alcuni spettacoli di drammaturgia contemporanea - penso a Infinities o a certi lavori più recenti - sdoppierà le coppie, creerà un rapporto speculare di frantumazione dell’identità... Ma no, non c’entra niente con Cechov, questo non lo farà di sicuro, Ronconi ha sempre un rispetto integrale nei confronti del testo; e soprattutto in un corso di alta formazione, cioè per attori professionisti, sicuramente si porrà anche il problema dell’approccio al testo...

Quello che mi ha sorpreso di più nel lento incedere delle giornate a Santa Cristina è la quasi totale - anche se apparente - assenza di volontà pedagogica. Ronconi infatti non propone un metodo, né un modo. Si parte - e non sembri poco - da una lettura trasversale, puntuale e totale dei testi. Il suo sguardo rivela la disarmante rapidità di un pensiero che circuisce la parola e le frasi, e attraverso le intenzioni ne rivela ambiguità e tensioni.
La sensazione è quella, per velocità e violenza di estorsione, di quando con un gesto d’impulso si getta a terra un anguria e poi la si osserva esplodere e rivelare il suo interno. Non riesco a trovare esempio più calzante del mondo in cui Ronconi opera sul testo. E in questa azione tempestiva anche i più piccoli frammenti e i semi che schizzano più lontano sono oggetto di attenzione maniacale, come se conservassero nel loro piccolo gli effetti più risonanti di un macrosistema.
Un gesto della mano e un’intonazione trasmesse per infusione o meglio ancora per osmosi rivelano con il passare dei giorni il germoglio di uno stato interiore, di una condizione. La posizione in cui l’attore deve stare nell’abitare il ruolo è sempre di sguincio, non coincide con il personaggio. La storia che gli avviene è in una sorta di consapevole incoscienza e non di inconscia consapevolezza. E’ questo è un punto di vista, il cannocchiale attraverso il quale nei primi giorni si sta osservando Il gabbiano di Cechov.
Ronconi sostiene che il testo è quasi un’anamnesi, una dissezione che Cechov da medico applica ai sentimenti e alle persone. I personaggi non sono scolpiti, ma tratteggiati. Sono funzioni, che veicolano delle esistenze mancate e che dunque vanno rigorosamente lasciate nella loro incompletezza. Anche se vanno vissute fino in fondo, come figurine animate per svolgere il loro compito: rivelare il loro desiderio di essere qualcosa di diverso da quello che sono.
Così i primi giorni trascorrono in una sorta di confusa certezza: stiamo per afferrare qualcosa di impalpabile ma profondamente necessario. Ognuno cerca di prendere le misure, le distanze, per comprendere in un modo concreto ma non razionale, in un modo logico ma non replicabile, come interpretare le dinamiche di queste essenze anelanti che come un carillon sono coinvolte in un gioco di teatro nel teatro che in entrambi i casi, nel Gabbiano, è la vita.

Scendo a Firenze, è l’ultimo cambio. E’ sera. Telefono a una certa Flaminia che si occupa delle questioni logistiche. Ho perso la coincidenza, quindi arriverò alle 22.30 e non alle 20.30 come era previsto… Dall’altra parte della cornetta, quella che diventerà insieme ad altri compagna di tante scorribande notturne, mugugna - non è particolarmente felice - che devo scendere a Ponte San Giovanni: mi verrà a prendere lì.
Non è felice. A Santa Cristina hanno iniziato a lavorare da qualche giorno, ma io ero in tournèe e riesco a raggiungerli solo ora. Mi sono perso le presentazioni, arriverò quando si sarà già creato un certo clima, e forse nei primi giorni subirò questo ritardo…
Vabbè, ma che problemi mi creo? In fondo chisseneimporta, mica ci sto andando per conoscere delle persone… Che pensiero da primo giorno di scuola! Saranno le dieci lunghe interminabili ore di questo viaggio sotto il sole, tra un interregionale e l’altro, che mi fa avere questi rigurgiti. Mi viene in mente il film Dead Man di Jim Jarmush, l’inizio, quando Johnny Depp sale sul treno.
Ma sono un po’ emozionato, lo devo riconoscere: e lo faccio su una panchina di marmo alla stazione Santa Maria Novella di Firenze, mentre aspetto il treno per Perugia.

La consequenzialità è determinata in primo luogo dal motivo per cui si fanno delle azioni. L’attore dovrebbe avere un pensiero interiore che lo muove, che non è la funzione che ha il suo personaggio nella commedia, ma la logica che muove il personaggio che interpreta.
Ecco farsi strada la necessità di una motivazione profonda per ogni istante di interpretazione. Una frase preannuncia una mira, e la reazione a quella frase tradisce il doppio senso attraverso il cambio d’atteggiamento. Il corpo è il primo a reagire, mentre la mente architetta difese, cambia, il respiro si fa più affannato, gli occhi si inumidiscono appena, ma il livello della conversazione porta su altri piani, non permette lo sfogo, ne tollera solo un accenno. E’ lo spettatore che comprende la trama segreta, l’attore la dipana in una consapevole incoscienza.
Nel corso delle giornate ci si concentra molto, affrontando Il gabbiano, sul concetto di cerniera che il maestro sottolinea spesso. La cerniera è una chiave di apertura del testo davvero illuminante: infatti permette di comprendere quale frase regge il significato del brano e quale la richiama o la rimanda funzionando esattamente da cerniera e giustificando spesso quello che logicamente ci sembrerebbe occasionale o d’appoggio. Inoltre permette di individuare il passaggio fra stati d’animo diversi che modificano il tono e il senso.
Dunque la lettura non può che essere una, e il significato universale letterario non cambia il contesto, semmai ne direziona la tensione e il valore: allora l’interpretazione è una scelta e differenzia le messe in scena.
Individuare le cause delle sofferenze dei personaggi nelle righe del testo significa comprendere cosa li anima e perché sono inautentici: inautentiche sono le ragioni della loro sofferenza, non la sofferenza, quella è vera. Nella commedia Arkadina è un vuoto assoluto, cerca di raggiungere un modello inesistente e la sua sofferenza nel non raggiungerlo è autentica, e determina la sua relazione con gli altri. Non si tratta di trovare un modo per dire, ma un motivo.
Si entra nel vivo del lavoro e tra una parola e l’altra ecco spalancarsi abissi prima infrequentabili, ma necessari alla concretezza di una relazione scenica.

Ecco il treno finalmente. Salgo. E’ vuoto.
Beh, ma a metà luglio, in una sera d’estate: chi deve andare da Firenze a Perugia? Ho parlato troppo presto, ecco arrivare un gruppo di extracomunitari pieni di buste e di pacchi, ambulanti di ogni sorta, compresa qualche prostituta che rientra, o forse va a lavorare. Due si siedono accanto a me e già so che cominceranno a parlare fitti fitti come fanno loro e io non potrò leggere… Faccio le parole crociate, così il tempo passa prima.
Mi chiama più volte Flaminia ma la linea cade e mi si scarica definitivamente il cellulare: ora se succede qualcosa sono fregato… Lo riaccendo e le mando un sms, così almeno sa che non possiamo sentirci finché non scendo. Intanto diventa buio.

Malgrado spesso sembri tutto patetico, l’attore non dovrebbe mai sapere di sembrarlo, altrimenti diventa una caricatura… E’ un po’ come nei meccanismi della comicità alla Bergson: si tratta di fare una cosa nel momento sbagliato, e fare in modo che si riveli come tale. Dunque per l’attore l’azione compiuta deve essere una cosa naturale lo spettatore che invece segue e raccoglie le informazioni, comprende il contesto e la vive come patetico al limite del ridicolo.
Francesca, una delle attrici/uditrici del corso, sembra particolarmente estasiata dalle conclusioni di questa sessione di lavoro. Vedo che ha molta voglia di parlarne, mi avvicino e come un torrente in piena mi sovrasta di considerazioni sulla consapevolezza, sul ricatto sentimentale che c’è tra madre e figlio, su quanto questi personaggi siano prismatici e di quanto per un attore sia difficile andare aldilà della lettura, che a tratti sembra sempre un po’ semplicistica, dopo aver fatto una scena e il Maestro interviene con le sue considerazioni.

Le giornate si dipanano in modo molto omogeneo e tutto sommato in un clima rilassato. Si lavora dalle 10 del mattino all’1, poi si passa nella sala da pranzo e si mangia a buffet; alle 14,30 si riprende e si continua fino alle 18-19 poi si attende la cena.
Dopo una breve introduzione, Ronconi chiede a tutti di preparare delle scene dal Gabbiano e di presentargliele. Tutti si scelgono i partner della scena e ci si concentra su alcune scene direi chiave per i rapporti e le relazioni tra i personaggi.
Qualcuno opta per un monologo, qualcuno come al liceo evita il confronto diretto e tergiversa.
Così dopo aver visto qualche scena il Maestro interviene evidenziando le problematicità del brano presentato. Inizia un vero e proprio momento di apertura del testo e di lettura dei diversi significati, spiegando perché la scena era troppo segmentata, che cosa non permetteva una fluidità, perché alcuni passaggi erano solamente recitati, cosa non permetteva ai corpi di avvicinarsi o di allontanarsi. In queste digressioni che interrompono il susseguirsi delle scene si annida una capacità assolutamente didattica di Ronconi: lavorando sullo stretto passaggio da un’azione all’altra, sviluppa una quantità di stimoli incredibili. Gli attori, quelli che non lo conoscono, sono disorientati. Sono tutti disorientati da questo terremoto che si scatena in modo imprevisto e imprevedibile, mosso magari da un gesto insignificante o dall’aver trascurato uno sguardo.
In effetti, la relazione tra i personaggi e lo studio delle azioni e reazioni sono il punto su cui si insiste di più , quello che un attore abituato a fare un lavoro su se stesso, di modo e non di motivo, trascura di più.
Gli attori/allievi tendono a sciogliere i nodi e risolverli dentro il proprio personaggio, mentre le contraddizioni , sottolinea più volte il Maestro, sono l’unico elemento che rende vivi questi personaggi; la capacità di leggere le loro motivazioni determina i gradi di temperatura a cui bisogna arrivare affinché la distanza o la vicinanza con questi personaggi non sia fuori fuoco.
La sera dopo cena tutti si rintanano da qualche parte a verificare e a provare delle scene. Io e Roberto ancora non abbiamo legato con nessuno e ci andiamo a prendere un gelato a Umbertide: chissà poi perché, visto che Perugia è più vicina e offre di più.

Non si arriva mai e io comincio ad avere una fame che non mi permette di fare nessun tipo di considerazione che vada aldilà di quanto manca. Non ce la faccio più, quando arrivo speriamo che Flaminia mi porta a mangiare.

A Santa Cristina i pranzi e le cene sono dei veri momenti di relax, è l’unico momento in cui si parla d’altro e si comincia a instaurare una logica di gruppo. Le persone cominciano a conoscersi e individuano le similitudini e le lontananze. Nei giorni la casuale scelta dei posti diventa uno scegliersi e un riconfermarsi per poi arrivare a riconoscere le tensioni tra le persone anche solo dalla scelta del posto.
Qualche volta mi siedo vicino al Maestro e con sorpresa mi trovo ad ascoltare aneddoti e racconti di persone che fino allora avevo solo studiato sui libri. Non so che tipo di rapporto si stia instaurando in questo periodo tra noi: è strano, perché si ha la sensazione di ricevere qualcosa di molto profondo. Ronconi si concede moltissimo attraverso il suo lavoro, quindi si ha l’impressione di essersi scambiati o meglio di aver ricevuto qualcosa di intimo, ma siccome questo non avviene in forma diretta attraverso una confidenza o il racconto di un’esperienza personale (e mi sembra fondamentale che sia così) rimane un oggetto da contemplare.
Chissà se sono riuscito a spiegarmi.

Roberto deve accompagnare la moglie e le sue bambine in Calabria e arriverà domani. Anche lui non fa una pausa da mesi e dopo questa esperienza andrà a fare la ripresa di Martone al Teatro India.
Stanotte dormirò da solo. Chissà dove dormo? Speriamo che non sia lontano dal posto dove si lavora, se no come ci vado?
Gli attori sono alloggiati in un ostello a Ponte San Felcino. Io e Roberto, mi diceva Claudia, saremo in un appartamento, o meglio in una stanza in una specie di agriturismo… ’Sto treno se le fa proprio tutte, le fermate!

Santa Cristina è un posto davvero straordinario, in mezzo alle colline umbre. Ci si arriva passando da Casa del Diavolo, dove la mattina se vai a fare colazione malgrado tu sia sperduto tra i monti puoi trovarti al bar con Jacopo Fo o vedere passare Gae Aulenti: non è un’allucinazione, abitano qui, o meglio Jacopo Fo ha la sua Università di Alcatraz proprio li vicino.
Quando si sale lungo la strada per arrivare a Santa Cristina, sembra di stare in una foto di Gianni Berengo Gardin. Quando arrivi, ti trovi un caseggiato grigio e lungo, composto da due sale prove molto grandi e un altro corpo dove ci sono la sala da pranzo/salone, una piccola sala biblioteca e una serie di stanze da letto. Tutto è arredato in modo sobrio e rigoroso, senza fronzoli, eccetto le lampade che sono le uniche concessioni un po’ barocche del complesso.
Alcuni di noi abitano proprio lì e presto diventiamo il gruppo di scorribanda notturno che va a Umbertide a prendere il gelato e si alza presto per scendere in paese a fare colazione. Una sera ci abbiamo portato anche Iaia Forte e Mario Martone.
Mario è venuto a fare una lezione: in quella giornata, diversa dalle altre, si sono affrontati temi di politica culturale e di scelta dei testi. Si discuteva di contemporaneità. Ma non è stata l’unica lezione: anzi, nei giorni ne susseguivano diverse, oltre al fatto che un gruppo di attori nel pomeriggio lavorava su Svevo con Massimo de Francovich (ma non ho mai seguito questo lavoro, perché era quasi sempre in contemporanea con scene del Gabbiano o con la lettura delle lettere che sarebbero poi diventate l’oggetto del saggio finale).
Mentre mangiavamo il gelato Iaia mi raccontava di come Ronconi le avesse cambiato la prospettiva con cui affrontava il teatro. Fino ad allora le era sembrato di farlo per passione. Dopo aver lavorato con Ronconi, proprio in un momento in cui stava decidendo di smettere, aveva capito cosa è la vocazione… Me lo spiegava mentre mangiavamo un gelato al pistacchio. Avevo veramente convinto tutti a mangiare il pistacchio, a me ricordava la Sicilia, gli altri lo facevano perché erano incuriositi dal fatto che tutte le sere mangiavo una coppetta di solo pistacchio e bevevo un amaro alla liquirizia che non piaceva a nessuno.

I ragazzi somali scendono, paese dopo paese il treno si svuota. Ora c’è solo una famiglia dell’est, rumeni credo, con due bambini che corrono lungo il vagone: i genitori gli strillano di sedersi, immagino, perché non li capisco. Il telefono è scarico, lo riaccendo, e trovo una decina di chiamate di Flaminia, speriamo non abbia contrattempi. Riprendo in mano le lettere e continuo a leggere. Alcune le conosco già, quelle do Emily Dickinson me le aveva fatte leggere tutte H.e.r. quando facevamo Sample from die die my darling; anche quelle di Artaud. Le altre le leggo con curiosità, perché la biografia o i frammenti di privato degli autori mi sono sempre piaciuti molto.

La grammatica dei testi è soltanto una, sono le sintassi a essere diverse. La sintassi per Ronconi è un conflitto. Ogni frase lavora sempre all’opposto, questo personaggio dice questo perché non può dire altro o non può dire quello che vorrebbe. In questa sorta di carillon si annida l’incapacità di comunicare e la costruzione della rappresentazione di sé che si vuole dare, che è il territorio di falsità costruite sulle quale ci si incontra.
C’è un aspetto di identificazione e di espressione dei sentimenti con matrice autobiografica che inquina il tragitto del personaggio e rischia di non rendere nitido il percorso, così come considerare la biografia dell’autore come viatico verso l’opera da parte dell’attore. Quando abbiamo cominciato ad affrontare le lettere, queste indicazioni sono esplose con un’evidenza sconcertante, così come il problema della legittimità si è amplificato all’estremo.
Se interpretare o mettere in scena un testo ci pone dei problemi di legittimità irrisolvibili ai quali si può tentare di porre risposte, interpretare una lettera di un poeta o di uno scrittore è sempre e comunque illegittimo: non si può credere di essere la Woolf o Pasternak. Bisogna trovare delle regole nuove, come se il teatro fosse inadeguato.
Se escludiamo la lettura burocratica e l’interpretazione, chi siamo quando si rappresentano delle lettere? Quello che le riceve? Il postino che le legge di nascosto, o la cameriera che le spia?
A Santa Cristina comincia un lavoro di analisi con un approccio fortemente guidato da quelle che paiono essere intuizioni del Maestro, che sembra passo passo essere con noi, scoperta dopo scoperta. Si parte intanto dal fatto di essere un io che non è. O meglio, un io che non è né il destinatario né il mittente. Non c’è bisogno di avere un’identità precisa.
Allora l’interprete è forse una sorta di medium, come se l’autore suggerisse a un orecchio, una sorta di incarnazione del foglio su cui l’inchiostro verga parole che altrimenti non sarebbero lette, parole scritte nel vuoto. Assenza di partecipazione, evitare la soggettività
Lo sguardo cambia direzione come se seguisse il pensiero, come se si attuasse una ricognizione su cosa si sta dicendo. Anzi, meglio: su come si sta muovendo il pensiero. Tentare di rappresentare una solitudine scenica senza far sì che il monologo diventi un soliloquio, cercare la dialettica, quasi a invocare una risposta.
Riempire il tempo con le parole: non è l’economia della comunicazione quotidiana. La comunicazione giusta è intermittente, la lettera non è una cosa parlata.
Momento dopo momento, giorno dopo giorno, le lettere sembrano meno problematiche. Sono diverse: alcune presuppongono una risposta, altre no. La relazione tra chi scrive e chi riceve cambia il tono e la forma.
A quale momento della vita di una lettera ci si riferisce a quando è stata pensata? A quando è stata scritta o a quando è stata riletta? La forma è la prima linea guida che ci aiuterà a rintracciare come stabilire nuove regole per attraversare questa forma di comunicazione e come riuscire a rintracciare una legittimità nel riesporle. La gestione del tempo interno e esterno determinerà lo spazio, il luogo.

Arriva Emanuele Trevi, che ha raccolto le lettere e ne ha fatto un mosaico. Passerà qualche giorno con noi. Ci illustra le lettere e le divide per tematica e per il codice alle quali fanno riferimento.
La lettera è il limite di una consapevolezza linguistica. Riferendosi all’arabo, Trevi introduce la terza persona singolare. Io-ovvero colui che parla, tu-ovvero colui che sta davanti a chi parla, lui-colui che è assente. E attraverso una serie di considerazioni sostiene che la scrittura privata che diventa pubblica - già nota a Platone, e tipica delle persone che sanno che potrebbero essere pubblicate o lette - introduce già nella mente di chi opera questa interpretazione della terza persona.
Le lettere scelte non contengono informazioni, non sono letteratura né intercettazioni.
“Quando scriviamo”, dice Trevi, “citando qualcun altro siamo come dei padroni che si sottomettono agli schiavi.”
In questi giorni Trevi è una presenza molto frizzante, ha un’energia completamente diversa da tutti gli altri che si stanno lentamente accordando. Una notte armato di scopa tenta di rendere di nuovo agibile l’ufficio di Flaminia, che non ci entrava da qualche giorno a causa di un topolino di campagna che la mattina la passava a trovare. Ma tra queste colline e in piena campagna i veri abitanti sono gli insetti e gli scorpioncini, gli intrusi siamo noi e infatti siamo in netta minoranza.
Il pomeriggio verso le 16 piove sempre e questo crea un clima decisamente più sopportabile: malgrado sia agosto bisogna indossare i giacchetti. Qualche volta piove talmente forte con lampi, fulmini e tuoni, che non si riesce a lavorare; ma le manifestazioni così violente della natura hanno un sapore catartico e scaricano anche le tensioni personali, che si accumulano qua e là quando non si riesce a trovare una chiave, quando si tenta di rispondere alle richieste implicite nel lavoro.

Arriva la pausa, si riprende dopo il 16.

Torno il 19, le lettere sono state assegnate: ognuno sa quale farà e il rapporto diventa individuale, ognuno con la sua lettera. Solo alcune lettere sono fatte da più attori, altre - come quelle della Dickinson - sono raggruppate per mittente e quindi per contenuto; vengono fatte in gruppo ma senza relazione.
Il Maestro tenta degli accostamenti, apparentemente casuali, poi lentamente, come sempre, si scopre che nascondono una logica di ferro e un pensiero che le fa sembrare scritte per essere messe in quell’ordine.
Ogni tanto, per staccare, Ronconi vede ancora delle scene del Gabbiano, ma la concentrazione è rivolta alle lettere, a rintracciare il senso profondo, il proprio luogo rispetto a quello che si sta dicendo, ad applicare queste nuove regole che però si spostano da lettera a lettera e trovano una risoluzione diversa in base alla grafica, alla forma, al destinatario, alla punteggiatura, al motivo che le origina quello apparente e quello segreto.

Sale la tensione tra gli attori/allievi che sentono avvicinarsi lo spettacolo.
Inutile per il Maestro tentare di spiegare che non è uno spettacolo ma la sintesi di un lavoro, che alcune cose sono volutamente trascurate proprio perché il lavoro non si deve mascherare da spettacolo. In fondo per la maggior parte di loro tutto questo significa aver fatto un’esperienza di lavoro con Ronconi e ora sta arrivando il momento di rendere pubblico questo fatto.
Ora la sera siamo diventati molti, e allora ci trasciniamo un po’ più spesso fino a Perugia con Pilar, Roberto, Flaminia, Irene e Carmelo. Lì ci raggiungono anche quelli che stanno all’ostello e il rum prende il posto dei gelati e dell’amaro alla liquirizia che a me comunque piaceva. Francesca esce con noi solo la mattina, la notte studia.

Il presidente di Santa Cristina è Roberta Carlotto e trascorre ogni giorno nelle classi e segue il lavoro. Un giorno verso la fine di questa esperienza mi chiede: “Ti va di fare una sorta di relazione sul lavoro, che la diamo a Oliviero Ponte di Pino per il sito di ateatro?”
Io accetto di buon grado, poi nei giorni mentre prendo gli appunti comincio a chiedermi: “Ma come faccio? Da quale punto di vista devo affrontare questa cosa?”
Se fosse un diario di bordo potrei essere - come dire - invisibile e riportare la successione dei giorni.
Ma i miei appunti a oggi - ossia al giorno in cui mi è stata fatta la richiesta - non sono strutturati in questo modo: ci sono per lo più frasi che ritenevo importanti dette dal Maestro in risposta a occasioni e a situazioni di lavoro, che ho riportato integralmente, oppure mie considerazioni rispetto al lavoro, rispetto alle cose, ai comportamenti. Dovrò trovare un modo per scrivere una sorta di relazione, certo è che non sono un critico né uno studioso. E poi ci sono fatti e dinamiche che non so se mi va di togliere dal privato.

Ci trasferiamo in teatro a Gubbio. Le filate della serata, aldilà della durata, non sembrano preoccupare nessuno. Funzionano. Funziona la sequenza delle lettere, funziona la disposizione nello spazio, funzionano queste piccole lame di luce che attraversano lo spazio e fanno sembrare il palco uno specchio rotto in cui si riflettono i frammenti di identità che evocano un movimento, o una voce.
Maria Consagra, che cura i movimenti e il training tutte le mattine, pulisce i gesti e dà gli ultimi ritocchi ai movimenti. Intanto Carmelo appunta tutte le piccole sbavature su cui tornare.
Mancano una manciata di giorni e il lavoro è più di routine, gli attori/allievi sono rassicurati da una forma che li comprende, si attende il giorno fatidico.

Scendo finalmente dal treno sono le 22,45, in stazione non c’è nessuno, ho molta fame e due valigie enormi che fatico a trascinarmi dietro. Vedo Claudia che mi viene incontro e conosco finalmente Flaminia, dopo che le ho parlato tutto il giorno al telefono.
Ci fermiamo a prendere un panino. Mi raccontano i primi giorni del corso, io sono stanco, le seguo poco e in fondo penso che nei prossimi giorni avrò modo di capire. Facciamo circa 18 chilometri di superstrada ed entriamo a Ramazzano.
Passiamo per Casa del Diavolo poi imbocchiamo una salita che presto abbandonerà l’asfalto a favore di uno sterrato da jeep. E’ notte, non si vede niente, non riesco a credere che saremo a 15 chilometri dal primo centro abitato. Tra un sobbalzo e l’altro arriviamo. Scendo, entro nella mia camera, vado a dormire, dentro di me penso: “Domani inizio”.


 


 

Istambul e dintorni
Cronache dal quindicesimo festival teatrale
di Mimma Gallina

 

Una versione ridotta di questo testo è apparsa su “Hystrio” (n.d.r.).

Istanbul è stata candidata a capitale europea della cultura per il 2010 da organizzazioni nazionali e della società civile. Con una convinzione evidente nello sforzo organizzativo e pubblicitario messo in campo, la Turchia gioca la sua carta migliore nel percorso verso l’Europa.
E ce l’ha quasi fatta: la commissione incaricata l’ha selezionata assieme a Pecs e Essen (il consiglio d’Europa dovrà decidere entro l’anno) sulla base del tema "Istanbul, città dei quattro elementi", ponte tra l'Europa e l'Oriente.
Naturalmente Istanbul non è la Turchia, e il rischio che le luci della città sprofondino ancora di più nel buio il resto del paese è molto forte (la distanza fra centro e periferia è uno dei problemi più gravi, a maggior ragione perché ignorato per anni), ma si può sperare che qualche briciola dell’attività e degli investimenti sulla cultura che si ipotizzano e dell’orgoglio più che autorizzato ricada anche sulla provincia e contribuisca a dare al dialogo internazionale un taglio non subalterno.
Perfino la nostalgia di Orhan Pamuk, recente Premio Nobel per la letteratura, per la città che non c’è più (i vecchi quartieri greci e francesi, gli antichi palazzi ottomani in legno…) e l’immagine di irrimediabile tristezza che comunica il suo Istambul contribuisce ad alimentarne il mito e rafforza nel visitatore europeo occidentale l’impatto con la sua storia multiculturale, la convivenza di costumi diversi, il dinamismo: la frenesia diurna dei bazar e quella notturna della (bellissima) popolazione giovane.
IKSV, la Fondazione di Istanbul per la Cultura e le Arti, probabilmente la sigla più prestigiosa nell’organizzazione culturale turca, è fra gli organismi promotori dell’iniziativa ed è attrezzata da oltre trent’anni a fare della città una capitale culturale. Fin da quando è stata istituita da un gruppo di imprenditori nel 1973 (nel cinquantesimo anniversario della Repubblica), si è affermata come importante vetrina internazionale, ma anche come supporter per la produzione artistica contemporanea nazionale: attraverso il festival musicale fin dall’inizio, poi quello cinematografico, la biennale d’arte contemporanea, il festival teatrale dall’89, ultimo arrivato quello dedicato al jazz e, ancora più di recente, progetti legati alle diverse discipline nel corso di tutto l’anno.

Scopi e strutture ricordano quelli della nostra Biennale di Venezia, se non per un dato per noi abbastanza sorprendente: a fronte di un bilancio che nel 2005 è stato di 14 mil. di dollari, l’apporto pubblico statale e locale è solo del 5%, il 20% circa arriva dal botteghino, e ben il 75% (in contributi o in natura) da sponsorizzazioni private turche, o pubbliche e private legate ai paesi ospitati.
La prima impressione su questo equilibrio economico non può che essere positiva: è molto significativo che su una organizzazione certo di rilevanza istituzionale e con un immagine forte, ma pur sempre aperta e internazionale, confluiscano aiuti così consistenti. Ma si ridimensiona se lo colleghiamo all’investimento decisamente irrisorio dello Stato e delle amministrazioni locali in cultura: per quanto riguarda il teatro in particolare, i fondi pubblici confluiscono quasi esclusivamente verso il Teatro Nazionale (articolato in numerose sedi). Si è creato insomma in questo paese un sistema di sostegni allo spettacolo più affine a quello americano che a quello dei paesi europei, che costringe gli operatori – in condizione di precarietà cronica - a costruire, progetto per progetto, la loro economia. E’ una condizione che certo non avvantaggia le proposte più rischiose, ma non è detto che lo Stato (o meglio: qualunque stato) sia meglio del privato (che fra l’altro, quando funge da supplente dell’intervento pubblico è, non di rado, più lungimirante). Per gli operatori culturali turchi è infine molto importante l’UE, che è intervenuta e interviene attraverso i programmi per la cooperazione Mediterranea, per i diritti umani e - sempre più in prospettiva - con il programma di assistenza per la pre-adesione alla Comunità.

Il festival teatrale, diretto da dieci edizioni da Dikmen Gurun - anche docente al dipartimento di critica teatrale dell’Università di Istanbul - costituisce in questo contesto una delle principali opportunità per la creazione contemporanea, attraverso forme di sostegno a progetti innovativi nazionali. La missione del festival è infatti “costruire un ponte il più solido possibile tra il teatro turco e il teatro del mondo, invitando gli artisti più importanti e emergenti a Istanbul e presentandoli all’attenzione del pubblico turco e della gente di teatro turca, ma anche incoraggiare progetti comuni, sostenere i giovani artisti turchi più dinamici, organizzare per loro momenti di incontro e laboratorio”.
La quindicesima edizione si è svolta dall’11 maggio al 6 giugno, con più appuntamenti al giorno molto affollati, concentrati prevalentemente nelle sale del grande centro culturale dedicato ad Atatürk e in altre sedi del municipio di Beyoglu, il cuore della città.
Sul piano internazionale è stata un’edizione particolarmente ricca. La scelta di ospitare la quarta edizione della manifestazione Olimpiadi del teatro, promossa dal greco Theodoros Terzopulos (e che fa riferimento, dal 1995, a un comitato costituito da personaggi del calibro del giapponese Suzuki, Lyubimov dalla Russia, Bob Wilson, l’inglese Tony Harrison, Antunes Filho dal Brasile e Nuria Espert dalla Spagna, all’origine nel club c’era anche Heiner Müller) ha rafforzato quantità e prestigio delle ospitalità, dando forse – però - una patina di eccessiva ufficialità rispetto alle rivelazioni delle edizioni passate. E se Bartabas/Zingaro (con un progetto speciale) o Rosas/Anne Teresa De Keersmaeker o il Culberg Ballet costituivano una novità assoluta, e Nekrosius, Brook (con due spettacoli: inutile dire che anche qui l’apporto della Francia è preponderante), e Jan Fabre un ritorno atteso, una vecchia Medea di Lyubimov e il nostro Arlecchino rischiavano di stendere sul festival, almeno per il visitatore europeo occidentale, una patina un po’archeologica.
(Va detto però che il famoso e quasi sessantenne spettacolo di Strehler – che continua a rappresentare l’Italia all’estero nelle sedi più prestigiose - ha anche questa volta conquistato il pubblico. Certo costituisce un vertice del teatro italiano, ma si potrebbe lanciare una petizione ai diversi organismi pubblici che sostengono le tournèes di Arlecchino all’estero perché gli affianchino SEMPRE una compagnia giovane, o almeno una produzione recente. Il vecchio glorioso spettacolo potrebbe accompagnare una visione della scena italiana più articolata e reale, meno museale).

I criteri di scelta relativi alle presenze nazionali e alle coproduzioni con partner stranieri tendono a combinare partecipazioni caratterizzate da grande qualità-notorietà presso il pubblico (che si sono in parte identificate con la celebrazione di due anniversari: Beckett e Lorca), con produzioni di autori, registi e gruppi spesso già affermati e presenti in edizioni precedenti del festival, caratterizzate da elementi di ricerca sul piano della drammaturgia, dell’incontro fra teatro e danza, dello spazio scenico. Questa classificazione è arbitraria – non emerge dal programma, intendo - mentre la sezione etichettata “giovane teatro” accoglie gruppi esordienti o quasi.
Fra gli spettacoli del primo gruppo spicca un’edizione memorabile di Finale di partita, una coproduzione turco-francese (IKSV con il festival internazionale parigino dedicato a Beckett), regia di Pierre Chabert con Genko Ekal, uno dei massimi attori turchi. Chabert ha creato uno spettacolo di grande semplicità, ma pieno di ritmo, energia, soprattutto humor, grazie soprattutto a un Ekal ironico e carismatico (anche per uno spettatore italiano che non consoce il turco) e al Clov di Bulent Eòy Yaran.

Ma le sorprese più interessanti arrivano dalle proposte di ricerca.
Ariza (Disadattati) è stato ideato da una regista giovane e già molto affermata, Emre Koyuncuoðlu.



Un grande letto in scena, dove si alternano freneticamente coppie verosimili e improbabili, timide e audaci, fra fantasie, incubi e realtà, travestimenti e parodie. Una compagnia numerosa, di professionisti e dilettanti presi dallo sport, dalla danza, dal circo. Uno spettacolo coinvolgente e molto divertente (contrariamente ai precedenti della Koyuncuoðlu, a quanto ci dicono, affascinata dai giovani arrabbiati inglesi e tendente al cupo), su quella particolare condizione esistenziale che consiste nell’essere o sentirsi fuori posto essendo se stessi, uno stato di spaesamento che ha a che fare col sentimento della diversità più che con la diversità “in sé” (e, se esiste, sono molte le diversità in sena), ma soprattutto un lavoro sulla forma in cui, scrive la regista “la deformazione diventa la forma”.
Punto di forza di Una commedia per due è invece la sintesi di spazio scenico (di Bülent Erkmen -attivo anche nelle arti visive - come la regia) e drammaturgia (testo di Yekta Kopan).



La storia di una coppia che si è amata in un passato non troppo remoto e cerca di rincontrarsi si esprime in una drammaturgia frammentaria (singole parole, brevi frasi), all’interno di una gabbia-labirinto in cui i personaggi si inseguono attraverso meandri geometrici senza mai raggiungersi.



Il pubblico è a sua volta accolto all’interno della struttura scenica, e segue da poltrone girevoli (solo 27) l’inseguimento e l’incontro impossibile. Il testo, ovviamente in turco è “doppiato” in diretta e dal vivo in inglese. La compagnia DOT si è costituita solo nel 2005, ma con la sua sede in un appartamento/teatro in quella che era l’antica Rue de Pera, è diventata uno dei punti di riferimento della cultura contemporanea cittadina.
In questi due spettacoli diversissimi fra loro, ricerca formale, spazio, lingua, le stesse storie sono indicativi – mi sembra - della tendenza alla ”occidentalizzazione” che ha caratterizzato la cultura turca attraverso tutto il Novecento, nello sforzo di conciliare la consapevolezza di un’identità complessa con aspirazioni progressiste e laiche.
Questo non vuol dire che il teatro ignori una Turchia più antica e il suo scontro col presente. Nel cono d’ombra della tradizione ci catapulta per esempio Interrompi il gioco, che cerca una nuova forma per un tema di impegno civile: il delitto d’onore, la violenza sulla donna, l’incesto (in Turchia e non solo). Ideato e diretto da Mustafa Avkiran con il gruppo KAMER (già passati in qualche festival europeo), in coproduzione con Anadolu Kültür e Züercher Theater Spektakel, Stadtschouwburg Amsterdam, Stadtschouwburg Utrecht, Rotterdamse Schouwburg, 0090 Kunstenfestival, lo spettacolo non soddisfa forse tutte le aspettative che le coproduzioni internazionali alimentano, ma presenta molti punti di interesse. Il pubblico è sistemato sui due lati di una gabbia bianca trasparente. All’interno una donna danza, mentre intorno cammina silenzioso un uomo in nero. Sulle pareti bianche della struttura si proiettano volti collegati alle interviste registrate (di esperte e testimoni che offrono il fitto materiale verbale) e le ombre deformate dei due attori. Vero colpo di teatro, al termine dello spettacolo, per un’ora impeccabile ma troppo statico, la figura maschile muta e un po’minacciosa intona Pietà signore di Stradella con voce da sopranista, confondendo in un attimo ruoli e identità sessuale (un finale da brivido).

Vale la pena di aprire una parentesi sul coproduttore turco di questo spettacolo. Anadolu Kültür è una società privata senza scopo di lucro di grande importanza per il tessuto culturale del paese (ma proprio privata: per costituirsi, per esempio, in ONG – una modalità che sarebbe coerente con gli scopi - si richiede l’approvazione statale e solo la forma privata consente una reale indipendenza).
AK sostiene produzioni ma soprattutto realizza in proprio e distribuisce progetti nel campo del cinema, della letteratura, delle arti visive, del teatro, nei territori periferici della Turchia. Il ruolo che si è saputa ritagliare ha portato l’organizzazione a dialogare col Ministero, tanto da essere parte del gruppo di lavoro che elabora indicazioni per le future politiche culturali (che il processo di adesione all’UE suggerisce di elaborare).
Per raggiungere il proprio scopo – in sintesi, il decentramento culturale orientato a precise tematiche come cittadinanza, identità, coesione sociale, dialogo internazionale - Anadolu Kültür raccoglie e rinveste in rapporto a specifici obiettivi e progetti fondi privati, europei – con riferimento ai programmi comunitari sopra accennati - e anche degli enti locali, che ultimamente sono stati coinvolti. Fra le realizzazioni più rilevanti, i centri culturali permanenti a Diyarbakir, nel sud est del paese e a Kars (al centro di uno dei romanzi di Pamuk -
Neve - che senza volerlo ha fatto un “marketing territoriale” formidabile): la città è al crocevia con l’Armenia, l’Azerbaijan, la Georgia, l’Iran, qui convive una popolazione turca, curda, armena. Ma anche interventi diffusi in più sedi legati a temi come la valorizzazione delle minoranze (la cultura orale degli Ezidi per esempio, e i Curdi: è stata realizzata un’antologia per valorizzarne la poesia), o la riscoperta del patrimonio storico e archeologico comune ai paesi del Caucaso, ma con precisi collegamenti a problematiche del presente (per esempio: le antiche fortezze col tema della giustizia). I diritti umani sono del resto una preoccupazione costante: si articolano su questo tema rassegne cinematografiche, ma anche animazione teatrale nelle prigioni. Per questa attività AK intrattiene rapporti con molti paesi europei (non con l’Italia), e mentre la giovane operatrice del centro che incontro in Francia (a un laboratorio per operatori culturali del Mediterraneo) racconta questa esperienza non posso fare a meno di pensare al film Fuga di mezzanotte (l’esatto opposto del “marketing territoriale”!), a come deve essere difficile e esaltante lavorare in questo paese ma anche a come, con molte contraddizioni, la situazione debba cambiata negli ultimi vent’anni.

Per la danza contemporanea, appena un po’ sbilanciata verso il teatro, vanno citate almeno due creazioni molto diverse sul piano delle caratteristiche produttive. La prima è una convincente produzione giovane, un po’ cerebrale (come da titolo, del resto), per uno spazio contenuto.



Pubblico molto partecipe, quattro elementi giovanissimi in scena oltre alla coreografa: Phronemophobia (Paura di pensare) di Tuðce Ulugün Tuna.
La seconda è 4 gambe del coreografo Zeynap Tanbay, molto noto e affermato (pienissima alla prima la sala grande del centro Atatürk, almeno 1000 posti).



A partire da questa produzione, caratterizzata da assolo e pezzi a due o tre elementi molto spettacolari e accompagnati da musiche e canzoni del repertorio internazionale, particolarmente accattivanti, Tanbay intraprende, con il suo preparato gruppo di dieci ballerini, il salto dall’attività “per progetti” alla costituzione di una compagnia permanente. Questo grazie alla sponsorizzazione convinta di una banca, Akbank Sanat, che consolida così la sua missione nel sostegno della danza contemporanea, anche allo scopo di colmare la distanza fra la situazione turca del settore e quella europea.

Gli spettacoli della sessione “teatro giovane”, dichiaramente per esordienti, erano nella media molto meno interessanti e più vecchi di quelli dei fratelli maggiori, ma è apprezzabile che il festival abbia accettato di rischiare qualche debutto.
E’ il caso dell’azione mimico coreografica Valige del Tiyatro Boyalý Kuþ (formalmente interessante sulla carta, ma decisamente scolastica) e di Attenti al cane, che incuriosiva per due elementi: l’autore, Melih Cevdet Anday, è considerato lo Ionesco turco (anni sessanta); è una coproduzione turco-americana, Türkar Çoker & New York Ensemble Theatre. Lo spettacolo era invece decisamente banale e neppure troppo divertente.
Con un’eccezione: il bel monologo, basato molto sul movimento, Est, ovest e una goccia di pioggia, ospite del Centre Culturel Français. Il progetto di Hazal Selcuk interroga quattordici diversi personaggi-flash su che cosa è una “casa”, in una riflessione leggera, parlata e quasi danzata, sull’emigrazione e sul concetto di appartenenza.

Non aveva uno spazio dichiarato nel festival il teatro d’autore, basato sul testo, ma in tutti gli spettacoli visti – anche in quelli più visivi - la componente drammaturgica era fondamentale e caratterizzata da forme sperimentali.
Da noi non è ancora arrivato nessun autore turco, ma si segnalano già traduzioni e messe in scena in Francia e Germania e alcuni autori, già attivi negli anni Settanta, come Tuncer Cücenoðlu, sono molto rappresentati in Russia: ho visto messe in scena interessanti nell’ambito di festival nelle repubbliche asiatiche (a Tyumen e Kazan: in gran parte della Siberia e in Tatarstan si parlano del resto lingue di ceppo turco).
Anche la fioritura culturale della diaspora turca e curda in Europa, letteratura e cinema soprattutto (e soprattutto in Germania) sta arrivando al teatro: più che un paese, la Turchia sembra un vasto continente culturale, tutto da esplorare, a cavallo fra Europa e Asia.

Una “incursione” nel teatro e nella cultura turca è prevista a Trento dal 29 novembre al 4 dicembre con il progetto del Centro Santa Chiara Al limite al confine/La Turchia fra Europa e Asia.

Trento
dal 29 novembre al 4 dicembre 2006
(prosegue nel 2007).

nel quadro del progetto internazionale
Al limite, al confine
promosso dal Centro Culturale Santa Chiara
in collaborazione con la Facoltà di Sociologia
a cura di Mimma Gallina

La Turchia fra Europa e Asia
spettacoli, laboratori, letture, un convegno internazionale

Prossimamente su ateatro il programma completo
Si segnala in anteprima per gli operatori

Giov.30 novembre e ven. 1 dicembre, ore 17,30/19,30
Laboratorio sul Teatro d’Ombre a cura di Cengiz Ozek
(costruzione e animazione nella tradizione turca)

Sabato 2 dicembre
La Turchia fra Europa e Asia (convegno internazionale)

Lunedì 4 dicembre
La nuova drammaturgia turca
autori e testi del teatro turco contemporaneo
Ozen Yula, Yesim Ozsoy Gulan, Murathan Mungan, Tuncer Cucenoglu
.
in collaborazione con Festival di Istanbul e AstiTeatro
incontri e letture finalizzate a promuovere la conoscenza del teatro contemporaneo turco e possibilmente il futuro allestimento, in edizione italiana, di un testo turco.


 


 

Milano delle mie brame
Lo Speciale Milano di ateatro e l’incontro del 22 novembre alla Civica Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi”
di Oliviero Ponte di Pino

 

Milano si guarda allo specchio e cosa vede? Milano guarda allo specchio e non si ama. Milano si guarda allo specchio e cerca le sue cicatrici. Milano si guarda allo specchio, non si vede più e prova a cercarsi
Intanto però la prima novità è che di questi tempi Milano sta provando a guardarsi allo specchio, forse per la prima volta con questa intensità, attraverso libri (a cominciare dal Crollo delle aspettative di Luca Doninelli), inchieste, dibattiti.
E’ da sempre la città del fare, non aveva tempo per introspezioni o compiacimenti, solo un pragmatico orgoglio di fronte ai propri successi, allo sviluppo, alla modernità, a una ricchezza non esibita. Non si preoccupava della propria anima e della propria bellezza, ma si proponeva - e si imponeva - come modello di modernità e tolleranza, come fonte di inesauribili di denari e scintillante vetrina di opportunità. Milano era un miracolo, non aveva bisogno di guardarsi allo specchio, solo di farsi ammirare e invidiare. Perché imitarla era impossibile, e i milanesi lo sapevano...
Da diverso tempo la città lombarda vive una innegabile crisi, e da qualche tempo se ne sono accorti tutti, anche i suoi abitanti. Due dati. Negli ultimi decenni, una sequenza di sindaci mediocri, tutt’al più preoccupati - almeno a parole - di amministrare e gestire correttamente la metropoli che di immaginare il suo futuro. E poi: dagli anni Settanta a oggi Milano - la capitale dell’accoglienza, dell’immigrazione, delle opportunità per i volonterosi - ha perso centinaia di migliaia di abitanti, la città si è svuotata, per troppi è diventata un lusso. Di fronte a una de-industrializzazione improvvisa e violenta, non c’è stato alcun organico progetto di riqualificazione urbana, solo arcipelaghi di capannoni affidati alla speculazione edilizia. Il Teatro degli Arcimboldi è insieme il simbolo e una pesante eredità di questo degrado urbanistico. Così dalle ceneri della città-fabbrica è nata una metropoli-ufficio per pendolari, invasa e sepolta dalle macchine durante il giorno, con gli happy hour serali a sfamare ed euforizzare una gioventù indefinitamente precaria.
Ma questo sbandamento ha radici più antiche e forse implicazioni più ampie, perché Milano è anche lo specchio di un paese di cui anticipa evoluzione e contraddizioni. Nell’ultimo secolo Milano è stata il fulcro della storia italiana, dalle fucilate di Bava Beccaris nel 1898 alla fondazione del Partito Fascista in piazza San Sepolcro nel 1919, dall’insurrezione partigiana dell’aprile 1945 a piazza Fontana nel 1969 (e successivamente all’esplosione della sinistra extraparlamentare e all’incubazione del terrorismo brigatista alla Sit-Siemens), dalla città da bere (e dell’esplosione del terziario) craxiana al repulisti di Tangentopoli (che ha dissolto ogni alterigia da capitale morale), dall’affermazione leghista all’invenzione politica (e prima ancora televisiva) berlusconiana. Senza dimenticare che anche l’Università Cattolica e Cl sono nate all’ombra del Duomo, nel tentativo di conciliare la modernità con la tradizione e l’identità cattolica.
Volendo drasticamente semplificare, in questo secolo Milano è stata l’avanguardia di un paese arretrato che continua a fare i suoi conti con uno sviluppo in perenne ritardo e dunque ferocemente accelerato; e perciò governato da una classe dirigente alla costante ricerca di scorciatoie, che troppo spesso hanno implicato feroci contraccolpi autoritari, nel disperato tentativo di far coincidere tradizione e modernità, sviluppo economico e controllo sociale (e in questo consiste forse l’onda lunga del fascismo italiano). Solo di rado, o forse mai, Milano ha saputo trovare un equilibrio tra progresso, identità e spirito critico, ampliando gli spazi di democrazia. E tuttavia nei momenti di crisi ha fatto troppo spesso da incubatrice a scelte regressive.
A volte ha saputo diventare un laboratorio creativo ed estetico, dove la pragmatica razionalità illuminista (l’intermittente eredità del “Politecnico” di Cattaneo) si è sposata alla passione utopica e provocatoria delle avanguardie, cercando futuristicamente di accoppiare arte e industria, denaro e bellezza - ma con il rischio di disperdere memoria e identità. Allora è diventata la capitale mondiale del design e della moda - anche se poi non è riuscita (e ancora non riesce) a capitalizzare questa sua eccellenza, tanto che a tutt’oggi a Milano non ci sono né un museo della moda né un museo del design degni di questo nome; così come non si parla neppure di un museo della radio e della televisione, ora che la Rai dovrebbe lasciare la storica sede di corso Sempione (firmata Giò Ponti...): l’obiettivo della dimissione del palazzo era far cassa, ma ora - pare - in Rai non hanno nemmeno più i soldi del trasloco.
Perché a Milano è nata anche l’industria culturale italiana, ma sempre accompagnata da un forte spirito critico che l’ha contrastata e insieme costruita (inutile elencare gli uomini e le donne forti e liberi che hanno saputo trovare spazio al “Corriere della Sera” e al “Giorno”, nelle riviste, nelle case editrici, in Rai, all’università. Anche se poi, a ben guardare, questa capitale dell’industria culturale, più che produrre cultura, da un lato ha saputo (e sa) soprattutto scegliere, confezionare, distribuire e valorizzare la produzione culturale; e dall’altro l’ha consumata. Per usare una metafora elettronica, Milano ha saputo e sa amplificare il segnale.
Nella storia della cultura milanese il teatro ha da sempre un ruolo centrale, anche dal punto di vista della produzione. La Scala e il Piccolo Teatro sono tra i grandi simboli cittadini, fiori all’occhiello nella vetrina del mondo ma profondamente radicati nella sua anima. Nei suoi momenti più felici e generosi, Milano aveva saputo investire in cultura. Di recente la vita culturale della città ha toccato il fondo (speriamo!!!) con la cacciata di Fontana e Muti dalla direzione del più famoso teatro lirico del mondo: una bega paesana che - dal versante degli amministratori pubblici - puzzava di provincialismo, personalismi e dilettantismo (di peggio, negli ultimi decenni, c’era stata solo la penosa vicenda della nuova sede del Piccolo Teatro, che ha logorato Strehler fino alla morte).
Ecco, per parlare della Milano teatrale bisogna partire da una città che non vuole e non sa difendere né valorizzare la Scala e il Piccolo, con la loro autonomia artistica, ma li considera macchine mangiasoldi da controllare e fonte di qualche poltroncina clientelare. Al più, una sorta di museo della tradizione italica pronto soprattutto per i turisti. Se questo è il destino delle massime istituzioni culturali del paese - non solo della città - il presupposto è uno solo: nel progetto di città che hanno avuto in mente negli ultimi decenni gli amministratori cittadini, non c’è stato posto per la cultura. Per valutare questa scelta e i suoi effetti, basta pensare agli assi dello sviluppo di città come Roma e Torino in Italia, o Barcellona, Lione, Oporto e Manchester in Europa.
Eppure la recente evoluzione del sistema teatrale milanese testimonia di una ricchezza e di una articolazione stratificatesi negli anni e che richiederebbero maggior cura. In principio, ovviamente, accanto alle grandi sale private, c’è stato il Piccolo, frutto degli slanci democratici e del rinnovamento culturale del dopoguerra, il modello di tutto il teatro pubblico italiano.
Negli anni Settanta, intorno a quella che era la “monocultura” del Piccolo (peraltro già imbozzolato dalla lottizzazione) il panorama si è arricchito di nuove presenze, sullo slancio delle spinte egualitarie del ’68, del rinnovamento linguistico delle avanguardie, dell’esplosione delle culture giovanili (Salone Pier Lombardo, Teatro Uomo e poi Teatro di Porta Romana, Teatro dell’Elfo, Out Off, Crt, Teatro del Buratto-Teatro Verdi, Teatro Officina, Comuna Baires, Litta, Arsenale...). Si è articolato un sistema teatrale - il cosiddetto “modello milanese” - sancito da un meccanismo di convenzioni pluriennali con il Comune di Milano. Per un ventennio il sistema è stato sostanzialmente bloccato nelle strutture portanti, solo negli anni Duemila, con la creazione di nuovi spazi (Teatro della Cooperativa, Teatro i, Teatro Blu, Teatro Leonardo-Quelli di Grock, Spazio Pim...) e di nuove realtà organizzative (il festival Uovo, le rassegne del Teatro delle Moire). In parallelo anche il teatro commerciale ha trovato (o ritrovato) nuovi spazi e nuove formule, con i musical e spettacoli di richiamo televisivo o cinematografico, con forti investimenti per grandi numeri.
Nel frattempo sul versante degli spazi è in corso una radicale ristrutturazione, che trasformerà drasticamente il panorama: l’Out Off ha preso possesso della nuova sede, il Franco Parenti lavora alla ristrutturazione del Pier Lombardo, i Teatridithalia a quella dell’ex Cinema Puccini, il Litta sta prendendo possesso di nuovi spazi. E nel frattempo si apre lo spazio Mil a Sesto San Giovanni Non mancano ambiguità e segnali in controtendenza: oltre ai già citati Arcimboldi (che rischiano di drenare molte preziose risorse), ci sono i casi del Lirico affidato al tandem Longoni-Dell’Utri tra mille polemiche, del Nuovo sotto sfratto, del Carcano in difficoltà...
A preoccupare, però, è anche una sensazione di generale annebbiamento. Il teatro milanese sembra aver perso buona parte della sua spinta propulsiva. Da un lato la città sembra sempre più lontana dai grandi circuiti internazionali e da tempo non è più tra le capitali della cultura teatrale. Il Piccolo Teatro ha scritturato il primo regista teatrale italiano, Luca Ronconi, che poi però in questi anni sta lavorando soprattutto altrove. Sul versante della creatività, ci sono senz’altro esperienze interessanti, ma sono purtroppo molto rare le punte di eccellenza.
Ancora, in questi anni di stretta finanziaria il rapporto con le istituzioni non può essere facile, soprattutto perché - giova ripeterlo - la cultura non è stata certo una priorità per gli enti locali milanesi.
Insomma, le questioni aperte sono molte, fin troppe. E se ne è già cominciato a parlare. Per questo ci è sembrato utile aprire un confronto su quello che sta succedendo, e su quello che si può fare. Abbiamo chiesto ad alcuni operatori (teatranti, amministratori, intellettuali) un contributo, una riflessione sulla situazione teatrale milanese. Ma il dibattito è aperto e pubblicheremo volentieri su ateatro ulteriori interventi.
Abbiamo anche ritenuto necessario un momento di confronto pubblico e aperto a tutti, il 22 novembre, ore 17.30, alla Civica Suola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi”, in via Salasco.


 


 

anteprima specialemilano Eppur si muove
La stagione teatrale milanese
di Giovanna Crisafulli

 

Il nostro specialemilano sta ottenendo un successo superiore alle aspettative della spettabile Readazione, nonché degli sciagurati cui si deve l'iniziativa (Mimma & Oliviero...).
Accanto a questa panoramica della stagione cittadina a cura di Giovanna Crisafulli, ospiteremo numerosi interventi di teatranti, operatori, eccetera .
Sono già arrivati, tra gli altri, i contributi di Daniela Benelli, Carlo Fontana, Sisto Dalla Palma, Filippo Del Corno, Elena Cerasetti; e altri ne attendiamo nelle prossime ore.
Il dibattito è dunque aperto e saremo felici di ospitare altre voci.
Tutto questo materiale (quello che ci è arrivato e quello che arriverà nei prossimi giorni) fornirà la base dell'incontro del 22 novembre all 17.30 alla Civica Scuola d'Arte Drammatica di Milano.


E come ogni anno, dopo le dovute litanie sui tagli dei finanziamenti pubblici, eccoci di nuovo a scartare le stagioni di Milano come regali di Natale, pieni di fiducia e di buone intenzioni. Ed eccoci di nuovo, sempre un po’ più delusi dell’anno prima, a constatare tristemente che i tempi sono cattivi per tutti e che dietro i bei biglietti e i pacchi ben confezionati si nascondono spesso regali riciclati, costruiti male, o datati. Poche, come sempre, le importanti prime nazionali, assenti dai grandi teatri progetti fatti ad hoc, segnali di attenzione per altre forme di rappresentazione. Eppure, nonostante la stasi apparente, qualcosa si sta muovendo, nascono nuove piccole realtà, ma soprattutto si moltiplicano i luoghi, cambiano le gestioni, anche se il teatro cittadino di tutto soffriva fuorché di penuria di spazi (se non quelli per le prove delle compagnie).

GLI ANNIVERSARI
Tanti i compleanni festeggiati e da festeggiare nel 2006, a partire dai sessant’anni del Piccolo Teatro. Il Teatro d’arte per tutti (ma ci credono ancora?) offre al suo pubblico un cartellone che riassume in sessanta spettacoli il percorso compiuto finora. Ecco allora Toni Servillo con Le false confidenze, Branciaroli con Finale di partita, Carriglio con Il povero Piero, Massimo Castri con Il Padre, Paolo Rossi con I giocatori, ed ecco ancora gli amici stranieri dei Teatri d’Europa: Peter Brook, Nekrosius, Lassalle, Bob Wilson, Lluís Pasqual e Declan Donnellan. Il tutto accompagnato dalle regie di Giorgio Strehler, L’Arlecchino servitore di due padroni, (che chiuderà al Piccolo la sua lunga tournée internazionale) e Giorni Felici, e dagli spettacoli di Luca Ronconi: Il silenzio dei comunisti (dalle discusse Olimpiadi Invernali di Torino), Il ventaglio di Luca Goldoni e Inventato di sana pianta di Hermann Broch. Una stagione che, festeggiamenti o no, ricorda molto quelle passate, fatta eccezione per due anomalie: la presenza della compagnia ravennate Fanny & Alexander con il lavoro sulle suggestioni letterarie di Nabokov (l’anno scorso il pubblico non sembrò capire l’analoga presenza del Teatro delle Albe) e la Masterclass affidata a Serena Sinigaglia (anche se “Spazio a Serena Sinigaglia” non sembra proprio un bel titolo). Un bel riconoscimento per la trentenne regista milanese, che quest’anno ha celebrato con la sua compagnia i dieci anni di onorata attività proprio al Piccolo Teatro, e che per il 2006/07 è presente anche al Teatro Verdi con Qui città di M. e al Teatro dell’Elfo con 1989.
Settant’anni festeggiati con un probabile sfratto, sono invece quelli del Teatro Nuovo che, se le cose dovessero andare come previsto, per la prossima stagione dovrebbe ospitare una cinquantina di negozi.
Un altro compleanno importante è quello dell’Out Off, che approfitta del suo trentesimo anniversario per incontrare i registi e le compagnie che più di altre hanno segnato la sua storia, proponendo uno dei programmi più intriganti di quest’anno. Nella bella nuova sede di via Mac Mahon si avvicenderanno Danio Manfredini (Tre studi per una crocifissione) il Teatro della Valdoca (Paesaggio con fratello rotto), Antonio Latella (Studio su Medea e I Trionfi)e le nuove regie di Lorenzo Loris (Terra di Nessuno e Il Trionfo dell’amore).
Trent’anni sono anche quelli del Teatro Ciak e della Compagnia Quelli di Grock, che a causa delle difficoltà economiche ha poca voglia di fare feste, mentre tutt’altro spirito anima evidentemente il Cabaret Zelig, che in vent’anni è diventato il punto di riferimento nazionale del cabaret.
Anche i Teatri Possibili di Corrado D’Elia hanno festeggiato da poco i dieci anni di attività. Dagli spazi ormai stretti del Teatro Libero, il direttore artistico del teatro è riuscito negli anni a creare un vero e proprio circuito teatrale nazionale per far fronte alle difficoltà distributive. La lunga stagione presentata quest’anno, però, dimostra quanto l’intelligente soluzione di un problema come quello della distribuzione, finisca col cadere negli stessi errori del sistema che si cerca di combattere. In stagione, infatti, ci sono sempre di più ospiti provenienti dalle altre sedi, in un’ottica di scambio che deprime il confronto e gira attorno a se stessa.
Non dimentichiamo, infine, gli anniversari goldoniani e beckettiani che ovviamente permeano le scelte di quasi tutti i teatri. A Goldoni e alla maschera della Commedia dell’Arte è dedicata la stagione del CRT, con I segreti di Arlecchino di Enrico Bonavera, La storia di Don Giovanni della compagnia Pantakin e Vita e morte dei comici gelosi delle Belle Bandiere.
Un interessante percorso attorno a Beckett, ma anche a Ionesco, Cèline, Copi, si sta delineando in queste ultime stagioni al Teatro dell’Arsenale, che quest’anno ci ha già presentato i bei lavori di due compagnie i Sacchi di Sabbia e Gogmagog, e che proseguirà su questa linea con Alla mèta di Thomas Bernhard del Teatrino Giullare (questa compagnia bolognese di teatro d’attore e di figura si è guadagnata l’interesse della critica per Finale di partita, in scena al Crt) e la ripresa dell’esilarante Copi coprodotto con EgumTeatro.

NUOVE IDEE PER LA RICERCA
E alla fine Rodrigo Garcia sbarcò a Milano (forse). Il caso del regista argentino, che già da qualche anno spopola nel resto d’Europa, che quest’estate ha attraversato molti festival italiani, è sintomatico della situazione teatrale milanese per almeno due ragioni. La prima riguarda il deprimente ritardo con il quale ormai da anni gli artisti internazionali arrivano qui, la seconda è che se effettivamente il regista (che nel frattempo ha perso probabilmente molta della sua carica eversiva) sarà a Milano con uno spettacolo e non con un video (spesso unica magra consolazione) il merito sarà di una realtà ancora non sovvenzionata, nata nel 2004: il Teatro I. Il piccolo teatro gestito dal Teatro Aperto già dal suo debutto ha presentato al pubblico ospiti che una volta erano presenze fisse al CRT, come Motus e Fanny e Alexander . Quest’anno, forti anche di un piccolo contributo di Telecom Italia (insperato per una realtà così di nicchia) e del sostegno variabile di Comune e Provincia di Milano, rilanciano con Garcia, un lavoro ancora in fieri di Fausto Paravidino diretto da Renzo Martinelli, un popolosissimo Martin Crimp (17 attori in scena in uno spazio di ) di Fabrizio Arcuri. Lo spirito che anima il Teatro I, seppur con le dovute distinzioni, si ritrova in un’altra piccola e giovanissima realtà cittadina: il Pim Spazio Scenico. Aperta nel 2005 da Massimo Bologna, Edoardo Favetti e Maria Pietroleonardo, la nuova sala, con un centinaio di posti a disposizione nello stesso cortile di via Tertulliano dove si affaccia la sede provvisoria del Franco Parenti, propone un cartellone di tutto rispetto. Non saranno presenti solo le nuove leve del teatro di ricerca, ma anche teatri stabili di innovazione, come il Nuovo Teatro Nuovo di Napoli (presente anche nella stagione del Teatro dei Filodrammatici con Le cinque rose di Jennifer, diretto da Arturo Cirillo), I Cantieri Teatrali Koreja, il CSS di Udine, compagnie e attori già conosciuti: Teatro del Lemming, Giuseppe Battiston, Filippo Timi, Davide Enia. Un segnale piuttosto forte ai teatri di innovazione della città, che sembrano non riuscire più a dare una vetrina conveniente alle compagnie ospiti e, quel che è peggio, a coinvolgere il pubblico. La scorsa stagione troppi erano, infatti, gli spettacoli anche molto validi assolutamente disertati dagli spettatori, fatto che dovrebbe far meditare di più gli operatori.
Tra le realtà nate di recente, ma ormai ben radicate nel territorio, resta importante l’esempio del Teatro della Cooperativa, presente nel cartellone del Teatro Litta con due produzioni, La nave fantasma e Ritter, Dene, Voss, e una stagione di prossima pubblicazione.
Da un’occhiata generale sulle stagioni di innovazione emergono alcune indicazioni rassicuranti. La prima è che forse, finalmente, stiamo uscendo dall’onda lunga del teatro di narrazione e dalla necessità economica dei monologhi, la seconda è una consolidata attenzione per la produzione teatrale meridionale. Già da qualche anno si parla della scena siciliana di Emma Dante (in scena al CRT con Mishelle di Sant’Oliva e Cani di Bancata), Scimone e Sframeli, Davide Enia, ai quali si aggiungono Vincenzo Pirrotta (con Eumenidi al Teatro dell’Elfo) e il bravo Tino Caspanello, segnalato nel 2003 con un premio speciale a Riccione, in scena con Mari e Rosa al Teatro I. Oggi è la Puglia ad emergere con diverse compagnie da tenere d’occhio. Al Teatro Verdi è di scena, ad esempio, Il deficiente, del tarantino C.R.E.S.T. (vincitore dell’ultimo premio Scenario). Sempre al Verdi è di scena un’altra compagnia pugliese che meriterebbe un’attenzione particolare, il Teatro Minimo, protagonista di Sacco e Vanzettiloro malgrado –prodotto dal Cerchio di Gesso, e Amleto, mentre al Pim Spazio Scenico sono di scena gli Armamaxa con Orlando e all’Elfo Mario Perrotta con Italiani Cincàli. Da non perdere, infine, il focus dedicato dal Teatro Verdi all’interessante compagnia calabrese Scena Verticale (promotrice del festival Primavera dei Teatri a Castrovillari), presente con due spettacoli: Dissonorata-delitto d’onore in Calabria e Hardori di Otello-tragedia calabro-scespiriana.
Discreta presenza anche delle compagnie milanesi, con a capo l’A.T.I.R. e la Dioniso Compagnia Teatrale protagonista di una rassegna monografica al Teatro Litta. Con loro, i più giovani diplomati alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi : Baby Gang, in programma al CRT con Casa di Bernarda Alba e al Piccolo Teatro al fianco di Paolo Rossi e i Quinto Settano, di scena al Teatro Litta con Perversioni sessuali a Chicago di Mamet. -Dell’autore americano quest’anno sono di scena altri due lavori, Boston Marriage, al Teatro Libero, e Glengarry Glen Ross della Compagnia Teatrale Gank al Teatro dei Filodrammatici.-
Sulle nuove generazioni di registi cresciuti artisticamente a Milano punta anche Teatridithalia, aprendo una nuova sezione della loro stagione, Opere prime, con le prime regie di Nicola Russo (Le muse orfane) e Lorenzo Fontana (Les escaliers du Sacré-Coeur), due attori della compagnia.

I Motus sono al Teatro I, il Lemming al Pim, i Fanny e Alexander al Piccolo Teatro, il Teatrino Clandestino nuovamente all’Elfo (anche per un consolidato legame tra Elfo ed Emilia Romagna Teatro), allora che c’è di nuovo al CRT? A parte l’imminente e quasi certo sfratto dal Teatro dell’Arte (che non preoccupa di certo Sisto della Palma, pronto a rinascere nel vecchio e glorioso Salone di via Dini), troppo poco. Certo, non mancano alcune interessanti prime nazionali, Try di Abbondanza Bertoni e Cani di bancata di Emma Dante o nomi di richiamo (Alfonso Santagata, Le Belle Bandiere e Enrico Bonavera), ma nell’insieme la programmazione, (quest’anno concentrata sulle celebrazioni goldoniane) non offre niente di diverso da altri luoghi della città. E’ giusto dare spazio a nuove esperienze di valore (La Fionda Teatro, Mimmo Sorrentino, Leo Muscato, Baby Gang), ma perché non si riesce a coordinare le attività dei teatri di ricerca di Milano? Esistono già diverse realtà che con molta più coerenza e attenzione offrono spazio alle compagnie emergenti, investono nel “teatro normale” per citare Adriano Gallina . Quello che manca ancora è una finestra sul resto del mondo, su modalità di rappresentazione altre (ovviamente anche quest’anno la Raffaello Sanzio che debutta al Festival d’Automne di Parigi, che sarà presente a Modena a Vie Festival, a Milano non è in programma). Dobbiamo veramente sperare ogni anno che il festival Danae, e ancor di più Uovo di Umberto Angelini continuino a sopravvivere nonostante i cambiamenti negli assessorati, con budget magari più dignitosi, per vedere qualcosa che vada al di là della narrazione, che concerti arti visive, musica e teatro in quella specie di bestemmia chiamata performance?


CAVALLI, CANZONI, COMICI E ILLUSIONI
Con una simpatica pacca sulla spalla, l’Assessore Sgarbi commentava una bella uscita dello showman Arturo Brachetti che più o meno recitava così “alla fine sui libri di storia resta Totò. La cultura con la K, quella con cinquanta persone in scena e cinque in sala non se la ricorda nessuno”. Evviva. L’occasione era una delle più attese e deludenti della stagione, quella di presentazione degli spettacoli degli Arcimboldi, ed è probabile una frase del genere riassuma abbastanza gli orientamenti del nuovo Assessore, che sulle chiassate televisive ha costruito la propria fama di critico d’arte, che pubblicizza le proprie mostre con prolisse polemiche, che alterna incarichi ufficiali a comparsate a imbarazzanti reality.
Il teatro commerciale a Milano, come nel resto d’Italia, è il settore che incassa di più, e si moltiplicano in cartellone in particolare i musical e gli spettacoli di prosa tratti da film celebri, preferibilmente con protagonisti televisivi. Ne sono un esempio il musical Tre metri sopra il cielo, tratto dall’omonimo film e libro campione di incassi, che chiuderà in aprile la stagione del Teatro della Luna di Assago (dopo Jesus Christ Superstar, Grease, Sweet Charity e Cabaret) o Alta società, con Vanessa Incontrada, di scena al Teatro Nuovo, o spettacoli come Una strega in Paradiso con Nathalie Caldonazzo (vi ricordate il film con Kim Novak e Jack Lemmon), Notting Hill con la pasionaria Anna Falchi, sempre al Teatro Nuovo, e Indovina chi viene a cena, con Gianfranco D’Angelo e Ivana Monti, al Manzoni.
Ceduto il teatro Nazionale, Gianmario Longoni ha in programma agli Arcimboldi la realizzazione di un imponente musical da Peter Pan, diretto dal trasformista Arturo Brachetti, mentre al teatro Smeraldo mantiene gli show campioni di incasso di Teo Teocoli e Antonio Albanese, rilancia in teatro Cochi e Renato e I fichi d’India, promuove la danza spettacolare di Parsons e Ezralow e accattivanti spettacoli di Flamenco e Tango. Al Teatro Ciak, dopo la parentesi noir di Delitto e Castigo, sono di scena gli spettacoli comici, da Neri Marcoré a Paola Cortellesi, da Geppy Cucciari a Paolo Migone, da Dario Vergassola a Giobbe Covatta.

La forte presenza di emanazioni televisive, come il musical Lungomare firmato da Maurizio Costanzo con gli Amici di Maria De Filippi (al Teatro Nuovo), sembra danneggiare teatri abituati ad ospitalità di compagnie vecchio stampo, come il San Babila, che coglie ogni occasione per lamentare una diminuzione del proprio pubblico e dell’attenzione della stampa nei suoi confronti. Il Teatro San Babila (che ancora non si abitua all’idea di una biglietteria elettronica) cerca così di tenersi al passo, inserendo in programmazione il musical Le amiche delle suore , che sulla lunga scia del successo di Sister Act dovrebbe essere più seguito del Fantasma dell’Opera dell’anno passato, titoli di richiamo come Sabrina con Gianrico Tedeschi e attori come Massimo Lopez, protagonista di Oh Romeo, (l’ex compagno Tullio Solenghi è invece al Carcano con La bisbetica domata).
Al di là degli spettacoli inseriti in regolari cartelloni, non mancano i grandi eventi sparsi per la città, dalla grande celebrazione equestre Apassionata (45 cavalli per un centinaio di personale tra allenatori, cantanti, danzatori, tecnici più qualche tonnellata di sabbia e biada) in scena per tre giorni al Mazda Palace, al grande illusionista David Copperfield (quello che ha fatto sparire la Statua della Libertà), che nello show in scena ad ottobre al DatchForum di Assago dovrebbe esaudire i desideri del pubblico, con fumose apparizioni e sguardi magnetici.
Non sempre questi eventi, peraltro enormemente pubblicizzati, incontrano il numero di spettatori sperato. Il fortunato caso del Cinque du Soleil non si è ripetuto per le acrobazie circensi cinesi che l’anno scorso tenevano impegnati una trentina di artisti per un pubblico di poche decine di persone al Mazda Palace, così come quest’anno l’evento tanto atteso del Teatro Smeraldo, I colori della vita del francese Marciel, finora ha potuto contare su un centinaio di persone in sala, anche a causa di un ritardo di tre giorni del debutto per ragioni tecniche.


GRANDI MANOVRE
Il gioco più divertente dell’anno in corso non è, comunque, chi va in scena, ma dove. Si moltiplicano, in effetti già da qualche tempo, i progetti di ampliamento dei teatri storici, gli spostamenti di sede, la conquista delle periferie, in una moltiplicazione dei luoghi che ancora non si sa a cosa corrisponderà dal punto di vista dei contenuti. Il punto più dolente è senza dubbio e ancora il Teatro degli Arcimboldi. Senza neanche chiedere scusa ai cittadini, ma con la solita graziosa smargiasseria che lo contraddistingue, l’Assessore Sgarbi ha presentato i pochi mesi di programmazione del teatro, da ottobre a dicembre, resi necessari dalla preoccupazione del Sindaco Moratti di non incorrere in giustificati rimproveri da ogni parte politica per la mancanza di un progetto serio. Quale sarà il futuro degli Arcimboldi difficile dirlo. La Fondazione che dovrebbe gestirlo, trasformandolo in un centro policulturale, dovrebbe nascere il prossimo anno, con un presidente designato reticente, il finanziere Francesco Micheli (nelle stessa occasione Sgarbi offriva scherzosamente l’incarico a Gianmario Longoni e a Brachetti), e un sovrintendente Stefano Zecchi non più convinto dell’altro sulla possibilità di realizzare qualcosa di decente in una struttura che avrebbe bisogno di contributi ben superiori a quelli attualmente a disposizione (3,8 milioni di euro). Il polo culturale non avrebbe un solo direttore artistico ma un comitato di costituito da Maurizio Sciaccaluga per l'arte, Renata Ranieri per il cinema, Paolo Arcà dello spettacolo, il Maestro Schiavi per la musica e Maurizio Costanzo per la T.V.. Cosa farà Maurizio Costanzo e cosa sia il comparto televisivo resta un mistero. Certo è che per ora e per i prossimi mesi continuerà la collaborazione con Gianmario Longoni, che qui produrrà il musical Peter Pan di Arturo Brachetti e con l’Ater e il Piccolo Teatro per la danza.
Sempre Gianmario Longoni, capofila dell’ATI - l´associazione che raggruppa Milano Festival e Gestioni Teatrali che si è aggiudicata il Teatro Lirico affidandone la direzione a Dell’Utri - ha rinunciato quest’anno al Teatro Nazionale per concentrarsi sulla costosa riapertura del contestato Teatro Lirico, ora intitolato a Giorgio Gaber (sebbene l’assegnazione dello stabile escludesse ogni ricorso a finanziamenti pubblici, il Lirico potrebbe rientrare nei progetti finanziati dall’A.R.C.U.S. spa insieme al Teatro Carcano).

A chi andrà al Nazionale? Niente è certo, ma proposte sembranp arrivano dalla Stage Holding, la stessa che l’anno scorso si diceva interessata alla gestione degli Arcimboldi, salvo verifiche economiche (il presidente in alcune interviste si diceva sconcertato per l’insensatezza di alcuni costi, come la necessità di mantenere sempre accesi i condizionatori del teatro per mantenere la temperatura del legno a 22 gradi). Ipotesi comunque subito scartata dal Comune che appunto aveva in programma di mantenerne la gestione attraverso una Fondazione.
Nel marzo del 2008 il Teatridithalia traslocherà definitivamente nella nuova sede di Corso Buenos Aires. I lavori del Teatro Puccini, procedono ora regolarmente, e dovranno riportare al pubblico un’area per lo spettacolo di 5000 mq, con tre sale, due delle quali con un’acustica appropriata alla musica (il 29 ottobre sarà possibile visitare lo stabile in occasione della festa del teatro).
Chi erediterà allora il Teatro dell’Elfo? Durante la conferenza stampa di apertura della stagione, lo stesso Elio De Capitani ha indicato il nome dell’A.T.I.R come giusto successore, ma a puntare allo spazio ci sono anche altri, Corrado D’Elia di Teatri Possibili, per esempio, al quale ormai il Teatro Libero va un po’ stretto.
Un ampliamento della sede ha riguardato lo scorso anno il Teatro Litta, che ha aperto il bello spazio della cavallerizza, utile a ospitare gli spettacoli più sperimentali.
Due sfratti sono invece in arrivo per due importanti realtà: il Crt, che nel 2007 dovrà quasi certamente abbandonare il Teatro dell’Arte (ma è poi così grave? Negli ultimi anni gli spettatori non riempivano nemmeno il Salone Dini) e il Teatro Nuovo. E’storia degli ultimi giorni, infatti, la decisione dei proprietari dell’immobile di Piazza San Babila, dove il teatro ha sede da 70 anni, di trasformare tutta l’area in altri 50 negozi. Un bel centro commerciale, insomma. Proteste da parte di pubblico e Comune di Milano, la questione per ora è sospesa, ma nel frattempo la So.ge.te. srl che gestisce il Teatro Nuovo ha rilevato anche il Teatro Oscar, allargando i propri orizzonti in un luogo periferico come zona Tertulliano, che si sta pian piano trasformando in nuovo polo teatrale cittadino. Il Nuovo Teatro Oscar già da quest’anno si presenta con una programmazione (affidata a Gemma e Monica Ghizzo) analoga a quella del teatro Nuovo, con protagonisti come Roberto Ciufoli e Amanda Sandrelli.
L’allargamento alle periferie riguarda anche il Teatro Franco Parenti e il Teatro dei Filodrammatici.
Il teatro di Andrée Ruth Shammah, al di là dei lunghi lavori per la realizzazione della Cittadella Spettacolo che dovrebbe aprire la prossima stagione, già da due stagioni promuove il Teatro Sotto Casa, una programmazione di spettacoli nei tanti teatri parrocchiali della città, e l’anno scorso ha avviato una stagione anche nel nuovo Villaggio Barona.
Non da meno è il Teatro dei Filodrammatici che dopo aver occupato provvisoriamente gli spazi della sfortunata Fabbrica del Vapore per una rassegna dedicata alle nuove generazioni, quest'anno ha colto l'opportunità (offerta da Comune di Sesto San Giovanni) di prendere in gestione per i prossimi sette anni uno «spazio culturale» nell'area dell'ex-Breda, dove sta per essere aperto, dopo un accurato intervento di restauro durato due anni e costato quasi quattro milioni di euro, il Mil, Museo dell'industria e del lavoro.


 


 

La bella addormentata
Una conversazione con Daniela Benelli, ass. cultura Provincia di Milano
di Redazione ateatro

 

Da quello che si legge in queste settimane anche sui giornali, sembra che dal punto di vista dell’immagine e della cultura questo sia per Milano un momento di riflessione acuta e calda.

E’ un momento di riflessione che potrebbe preludere a un risveglio.

Questo presuppone che siamo un po’ addormentati.

Questo presuppone che la città ha dormito e che dal punto di vista delle politiche culturali ha un ritardo di quindici-vent’anni rispetto all’evoluzione e al governo delle trasformazioni che ci sono stati in moltissime altre città, non necessariamente capitali, sia in Europa che in Italia. Il caso di Roma è lampante, ma Roma ha una massa di denaro che altre città non hanno; Torino invece ha cercato con le proprie forze di riorganizzarsi e di trasformarsi, puntando su nuove funzioni culturali, sull’idea che nel mondo d’oggi l’economia è un’economia della cultura e che l’economia immateriale ha ruolo sempre crescente, e sul fatto che la città deve riacquistare una certa capacità creativa.

Ci sono due livelli sui quali muoversi per rilanciare la città. Il primo fronte è quello dei grandi eventi, per riportare Milano all’interno del circuito della cultura internazionale, una funzione che a in parte perso negli ultimi anni; sull’altro versante si tratta invece di lavorare sulla creatività, su quello cose che sta succedendo a Milano.

Bisogna trovare il giusto mix tra queste due modalità di intervento. A differenza di Roma, Milano possiede un tessuto culturale molto vivo di associazioni, privati, è una società civile che si organizza e produce momenti di incontro, festival. Milano ha un tessuto creativo molto forte, e questa natura di città di frontiera è nel suo dna. La popolazione milanese, in particolare la fascia dei professionisti e degli artisti, ha molti contatti internazionali. Il problema è che tutto questo non ha una sponda istituzionale: non si è riusciti a fare massa critica di questa ricchezza, perché le istituzioni non hanno mai pensato mai che la cultura fosse un settore sul quale investire. Questo aspetto più di altri distingue Milano da altre città. Però è anche vero che il grande evento può aiutare questo tessuto a crescere e a trovare visibilità: non deve però essere calato dall’alto, ma deve utilizzare il tessuto esistente dandogli un valore aggiunto, a cominciare dal forte investimento in comunicazione e da tutto quello che accompagna di solito le grandi manifestazioni. A Milano andrebbe ricalibrato il mix tra grande evento e intervento sull’esistente, cercando di unire le due cose, senza tenerle separate.

Per farlo bisogna che Comune, Provincia e Regione si mettano d’accordo. In questo momento Milano ha, da una parte, una Regione con una politica culturale localistico-regressiva, e dall’altra, in Comune, ci sono le provocazioni di Sgarbi. Come può la Provincia riuscire a trovare un punto d’equilibrio tra questi enti?

Voglio introdurre una nota d’ottimismo. Alla Regione ora c’è un nuovo assessore, più aperto e disponibile. E nelle sue provocazioni Sgarbi sta facendo un lavoro utile, perché sta smuovendo il conservatorismo culturale della città. Se lo si depura dalla sua bulimia mediatica, è un l’uomo intelligente che ha capito la situazione milanese e sta facendo le mosse giuste; trovo positiva anche l’attenzione che sta dedicando anche alla qualità del tessuto urbano, al bisogno di non distruggere i punti che esistono, ma semmai di investirli di nuovi ruoli. Insomma, non ho un giudizio negativo di Sgarbi; e siccome c’è lui da una parte e il nuovo assessore dall’altra, si sono create le condizioni per creare un asse tra le tre istituzioni. E’ inevitabile che esista un margine di competizione tra di loro, ma questo margine che può convivere all’interno di un quadro condiviso che porti tutti verso la stessa direzione.

Nel quadro condiviso dovrebbe rientrare anche il futuro assetto legislativo regionale: anche se esiste il rischio che la Provincia ne resti schiacciata.

Questo rischio l’abbiamo sempre corso. Ma se l’assetto legislativo regionale tiene conto del parere delle Province e soprattutto tiene conto che le province esistono, non saremo schiacciati ma valorizzati. Per rimanere in tema di spettacolo, ho cominciato a suggerire all’assessore Zanello di provare a ripensare la legislatura regionale dello spettacolo anticipando le possibilità di un futuro di autonomia e di decentramento delle funzioni. Se per esempio si vuole decentrare il FUS, è necessario che la regioni istituisca un proprio FUS, dimostrando di saperlo gestire. Allora anche gli operatori non si spaventeranno più se il FUS verrà decentrato. Ma è necessario prepararsi con una serie di provvedimenti. Le Province hanno una funzione essenziale nell’ambito della legislazione regionale, perché sono gli unici organismi in grado di fare una programmazione sovracomunale. Il rapporto diretto regione-comuni è deleterio, diventa un rapporto necessariamente clientelare.

Fino a ora abbiamo parlato della cultura in generale. C’è uno specifico del teatro milanese su cui si può intervenire?

A Milano, nonostante la presenza di un teatro pubblico forte come il Piccolo, sono nati moltissimi teatri di produzione no-profit, ovvero teatri formalmente privati ma con una forte funzione sociale e l’intento di essere teatro d’arte, non una produzione commerciale. Questi teatri sono numerosi e stanno continuando a crescere, con nuove le nuove esperienze di gruppi giovani con un taglio di ricerca, diverso da quello tradizionale.
Il primo dato è quindi un pluralismo molto forte. Il secondo è che questo mondo del teatro, così articolato, si sforza di promuovere rassegne di carattere internazionale, per portare a Milano le nuove tendenze: due esempi significativi, MilanoOltre di Teatridithalia e il Festival Uovo, che è tutto nuovo e rispecchia le esigenze di un teatro giovane, con un impatto di forte internazionalità.
Questo mi pare dal punto di vista strutturale ciò che caratterizza Milano. Ovviamente questo è accaduto anche grazie alla lungimirante politica del Comune, questo bisogna riconoscerlo, anche con le convenzioni triennali ideate dall’assessore Carruba, con le quali il Comune ha dato a questi teatri una sede stabile e li ha aiutati nella gestione.

Ma cosa si può fare per migliorare la situazione?

Innanzitutto, è necessario non depotenziare i finanziamenti statali. Probabilmente sarebbero importanti anche interventi sul fronte del credito, perché i teatri vivono di promesse di finanziamenti che arrivano con un ritardo spaventoso rispetto alle programmazioni. Personalmente credo si dovrebbe fare qualcosa per aiutare i più giovani, per aiutare la crescita del teatro di ricerca. Bisogna internazionalizzarsi, aiutando le nuove tendenze teatrali, che - mi risulta - siano un mix di linguaggi in cui il teatro tradizionale tende a ibridarsi con la musica, la multimedialità, le arti visive...

E il Teatro degli Arcimboldi?

E’ stato un investimento sciagurato, poco lungimirante, sbagliato per la localizzazione, perché il contesto non era favorevole, perché il collegamento è ancora difficile e perché è stato concepito come un secondo teatro lirico, con tutta la complessità della macchina scenica e i conseguenti costi. Noi pensiamo che non debba diventare un’idrovora dove si buttano ulteriori risorse pubbliche o parapubbliche, ovvero risorse che passano per private ma che in realtà andrebbero ridistribuite invece di essere buttate in quel teatro.
Bisogna invece fare un piano per la gestione del teatro che abbia la miglior resa con il minor dispendio possibile. Le istituzioni pubbliche devono dimostrare che, avendo fatto un investimento poco lungimirante ma essendoci questo teatro e non essendo possibile demolirlo, bisogna cercare di farlo funzionare con il minor costo possibile.

Quali sono le strade?

Non una nuova fondazione, almeno questa è la mia opinione fermissima, anche se so che altri la pensano diversamente. E non è nemmeno necessario moltiplicare gli incarichi artistici. Bisognerebbe piuttosto imboccare due strade compatibili e possibili. La prima è un bando rivolto al settore privato, che si assuma parte dei rischi d’impresa di gestione, portando spettacoli internazionali, ovviamente con un taglio commerciale, popolare, perché il teatro è molto grande. In alternativa a questo bando, o meglio accanto a esso, come si è fatto per il passato, si possono invitare realtà già esistenti, come fondazioni e teatri, a condividere una quota della gestione del teatro. Quindi chiedere loro di fare delle proposte, trovare un direttore artistico in grado di muoversi in un quadro coerente: l’obiettivo sarebbe un mix tra la gestione privata di un imprenditore e una gestione che in qualche modo ricoinvolgesse fondazioni teatrali e musicali e altre realtà. Così quello che sarebbe un investimento che va ad aggiungersi a quello già esistente, rischiando dunque di sottrarre risorse, ridistribuisse invece opportunità e risorse al mondo dello spettacolo che già opera a Milano.

Che tipo di rapporto può crearsi tra Milano-città e l’hinterland sul versante del teatro?

In primo luogo è necessario incoraggiare il pubblico dell’hinterland a usufruire del sistema di spettacolo della città: fare quindi una grande promozione su questo pubblico, fatto in buona parte di giovani che per ragioni di costi hanno preferito spostarsi nell’hinterland. Ma noi ovviamente stiamo anche cercando di aiutare lo sviluppo di circuiti teatrali esterni alla città, come abbiamo fatto a Monza e nel Nord Est. Nell’hinterland è passato il tempo del decentramento teatrale, ovvero dei teatri di Milano che portano i loro spettacoli fuori città. I comuni tendono ad avere un’originalità di proposte, tendono a utilizzare i loro spazi per farsi una loro programmazione teatrale. Più che di decentramento, bisogna parlare di policentrismo, di un tentativo dei comuni di portare a teatro la loro popolazione - e in qualche caso portare anche di portare i milanesi fuori Milano. Un esempio è il Mil di Sesto San Giovanni, con una programmazione affidata ai Filodrammatici; anche Elio De Capitani ha aiutato a formare il circuito della provincia di Monza; Abbiategrasso invece si è specializzata nel teatro di strada, creando una struttura con collegamenti internazionali. Insomma, tutti cercano di specializzarsi. Del resto, i teatri milanesi hanno quasi tutti una sede stabile ed è difficile portarli fuori città. Il Piccolo Teatro sarebbe disposto, ma ha dei costi molto alti e non facili da sopportare. Insomma, quella non è la strada.

Un’altra strada sarebbe quella delle residenze delle compagnie.

E’ una strada che incoraggiamo, ma non è facile: i milanesi non sono contenti di andare fuori Milano. E’ un peccato, perchè tra vent’anni questa distinzione tra Milano-Milano e fuori Milano non ci sarà più. La città si espande. Man mano che si faranno i collegamenti necessari, purtroppo con tempi biblici, la città si espanderà in quel senso. I comuni hanno spesso spazi da riqualificare, ma fanno fatica perché non tutti i protagonisti della vita artistica milanese hanno voglia di spostarsi fuori città. Anche a Cormano stiamo provando a fare una bella operazione...

Torino ha avuto un contraccolpo enorme dai cambiamenti economici dovuti alla deindustrializzazione e ha dovuto reinventarsi. A Milano invece non ci siamo quasi accorti di queste trasformazioni: la città è riuscita a operare la transizione al terziario, ma è un terziario al quale ora comincia a mancare un po’ il fiato. Oltretutto Milano non è riuscita a capitalizzare nella maniera giusta il suo patrimonio.

Tengo molto a capire le differenze tra Milano e le altre città. Torino ha messo attorno a un tavolo
la Fiat, le maggiori Fondazioni Bancarie e ha detto: noi di Torino vogliamo fare questo. A Milano non si è investito sui settori innovativi, dove bisognava farlo con più urgenza, e poi si è investito troppo poco nelle trasformazione urbane. A Milano le riqualificazioni migliori sono state opera di associazioni di quartiere, come nella zona di via Tortona, dove si sono messi tutti insieme, professionisti e creativi, e hanno fatto un’operazione anche immobiliare specializzando la zona. Qualcosa di analogo, un po’ più confusamente, sta succedendo alla Bovisa. Ma sono tutti fenomeni governati da immobiliaristi illuminati, in queste trasformazioni non c’è stato un governo pubblico.

Anche il Leoncavallo è una situazione difficile da gestire. Milano non è riuscita a usarlo. Mentre in altre città strutture simili hanno cominciato a interagire con le istituzioni in maniera costruttiva, per vari motivi il Leoncavallo è rimasto una situazione di semilegalità e di intoccabilità.

Quando Sgarbi ha toccato la questione, ha dato una scossa alla mentalità conservatrice della città. Adesso è tardi per mettere a posto la situazione, perché il Leoncavallo è invecchiato, non è più un sistema innovativo.

Ma non si può cancellare il Leoncavallo se non ci sono alternative.

Sono convinta che l’incapacità di far interagire questi giovani con il tessuto della città ha fatto dilagare un certo vandalismo graffitaro. Quei giovani non sono stati coinvolti in un progetto di interesse pubblico e questo ha fatto sì che andassero per la loro strada.


 


 

Il Piccolo Teatro
da Il crollo delle aspettative, Garzanti, Milano, 2005
di Luca Doninelli

 

Il Piccolo Teatro è stato il grande pilastro della Milano antifascista, della Milano circondata dalle grandi industrie, sue figlie: Breda, Falk, Marelli, Pirelli e via dicendo. Della Milano operaista ma al tempo stesso borghese, e quindi intimamente anticomunista, dove il comunismo poteva liberamente circolare tra le famiglie ricche, affascinare i giovani benpensanti, interessare il pubblico della sera milanese, ma non imporsi come modello – antiborghese – culturale e di governo della città. Milano tollera infiltrazioni, contaminazioni ideologiche, ma sa porre le barriere al punto giusto. C’è nell’ex comunista milanese, ancora oggi, un che di snob e, insieme, di sgusciante, quasi clandestino.
Il Piccolo segnò il punto di confine tra la preminenza della cultura di sinistra e la limitazione – voluta dalla stessa classe borghese che pure ne blandiva i giovani paladini – della sua affermazione politica. Una situazione, questa, nella quale non poteva che crescere la pianta del partito socialista milanese: un partito fortemente riformista, non comunista; un partito che agitava grandi proclami sociali ma offriva, insieme, molte garanzie di stabilità del sistema vigente.
Il Piccolo sopravvisse perciò, tra Brecht e Arlecchino, tra Cechov e il Nost Milan, fino a che durò quella situazione di tensione politico-ideologica chiamata dopoguerra. Finito il dopoguerra, pure il Piccolo perse la sua funzione, nonostante ’indiscussa grandezza del suo padre-padrone fondatore, Giorgio Strehler, e anche se a dirigerlo restarono gli eredi del vecchio progetto.
Ora che le protezioni politiche non sono forti come un tempo, il problema principale del Piccolo è quello di tenere in piedi tre sale teatrali (di cui una completamente sbagliata nelle dimensioni e destinata perciò a spettacoli stanziali) in anni nei quali la sicurezza e i costi di gestione costituiscono la voce più sgradevole del bilancio. Quindi: poche produzioni, molte ospitalità «allegre», un certo anonimato culturale.


 


 

Milano per la riforma del teatro di prosa
Un progetto in 10 punti
di Sisto Dalla Palma

 

1) La crisi delle risorse destinate al teatro e allo spettacolo è relativa. In crisi è solo il FUS, fermo da anni a fronte di una crescita di soggetti e a una forte espansione della spesa.
Ma il FUS rappresenta solo un terzo del flusso complessivo delle risorse. La parte più cospicua è rappresentata dalla spesa degli Enti Locali, attraverso il protagonismo dei Sindaci e degli Assessori alla cultura. Oltre a queste risorse, bisogna calcolare le risorse aggiuntive che vengono dalle sponsorizzazioni: tutto questo costituisce nell’insieme un’entità finanziaria ragguardevole non ancora calcolata. In ogni caso l’erogazione avviene senza controllo da parte degli operatori e si riversa su linee che privilegiano gli eventi, le iniziative effimere, la organizzazione del consenso, il ritorno di immagine, così che in questa dinamica il teatro si trova ai margini del processo decisionale: esso si costituisce come soggetto passivo che mette a disposizione della committenza pubblica e privata la sua creatività, sottomettendola non a una progettualità carica di istanze artistiche ed etico-politiche, ma a una programmazione in cui emergono ispirazioni estranee alle ragioni vere del teatro e alle domande reali della società. Questo spiega la crisi artistica e morale della nostra scena che da tempo rivela segni di stanchezza anche nelle aree che dovrebbero essere aperte all’innovazione.

2) La riforma avviata da Veltroni ha provocato una grave dislocazione dei poteri decisionali in favore del potere politico, mortificando i poteri di rappresentanza delle categorie. Facendo valere alibi moralistici e precludendo al teatro anche il ruolo di consultazione che storicamente gli era stato riconosciuto, si è preferito ricondurre alla politica ogni determinazione aggravando il conflitto di interessi, le incompatibilità previste dalla legge e sostituendo ai rappresentanti delle categorie membri di nomina politica, in un quadro di equivoci pluralismi e di ridotte competenze.
Il sistema delle commissioni e dei comitati ha dunque stravolto un equilibrio che aveva, con molti limiti, svolto una funzione positiva per oltre un cinquantennio e che nella transizione dallo stato autoritario allo stato democratico era stato via via adeguato alle nuove esigenza di libertà.
L’involuzione autoritaria con l’intervento pervasivo della mano pubblica nel processo di organizzazione dello spettacolo è stata aggravata dalla transizione istituzionale che ha portato verso la cosiddetta seconda Repubblica e all’avvento del bipolarismo. In questa mutazione il teatro ha rinunciato a far valere i suoi diritti. Invece di battersi per sottrarre la cultura al condizionamento della politica ha accettato la logica infausta dello spoils system e la pretesa delle diverse maggioranze di piegare alle proprie strategie il sistema dello spettacolo. All’interno di questa logica, il teatro ha piuttosto cercato di lucrare in modo opportunistico sulla contiguità col potere politico. Il risultato è stato la crescita del trasformismo, il prevaricare di alcune lobbies, l’ipertrofia negli apparati pubblici dello spettacolo e la marginalizzazione delle aree non-pubbliche più aperte all’innovazione. Nell’area del teatro pubblico si sono accentuati i fenomeni di rendita di posizione, gli abusi di posizione dominante mai sanzionati dalle autorità di controllo, anche per l’inerzia, il timore, la compiacenza dei soggetti teatrali più interessati a un sistema di cooptazione e alle varie forme di utilità marginale piuttosto che alle esigenze di controllo, di partecipazione e di autogoverno. La riprova è la mancanza di ricambi e l’impoverimento del settore.
Ciò che si è prodotto attraverso i mutamenti del quadro istituzionale e le politiche spregiudicate di spoils system ha reso conclamata la necessità di decostruire il sistema pubblico, recuperando risorse e rinnovate capacità di iniziativa culturale. Il teatro pubblico si è costituito dentro i contesti istituzionali della cosiddetta prima Repubblica, per dare garanzie di stabilità all’esperienza artistica, per evitare i meccanismi perversi del teatro commerciale, per svolgere una politica di riequilibrio tra le diverse istanze culturali presenti nella società e nel mondo dello spettacolo. Nella storia di una generazione si sono salvaguardate alcune condizioni di libertà e dei pluralismo, ma si è anche favorita l’affermazione dell’ideologismo, la strumentalizzazione della cultura, una caduta della capacità di innovazione del sistema e uno sperpero di risorse. In realtà il mito del teatro pubblico si inscrive entro le pratiche di ispirazione francese e tedesca, estranee alla nostra tradizione, e cariche di implicazioni paternalistiche e autoritarie.

3) Nell’arco dell’ultimo decennio, l’avvento di una società più aperta, con i sommovimenti prodotti nella vita economica, ha costretto le imprese a confrontarsi con le logiche severe del mercato e ad aprirsi alla concorrenza internazionale. Sta finendo la concorrenza tra area pubblica ed area privata, e si è avviata, anche sotto la spinta di nuovi interessi aggregati a livello nazionale e internazionale, una smobilitazione degli apparati pubblici, e il riposizionamento delle industria di Stato e dei servizi dentro il mercato. Abbiamo cosi assistito a un trasferimento di risorse e di poteri: tutto il sistema dell’IRI e dell’industria di Stato è stato spietatamente decostruito, dalle banche alle ferrovie, alle poste, alla siderurgia, all’industria pesante, al sistema delle comunicazioni. Perfino l’acqua e l’energia hanno subito un trasferimento in ambito privatistico, così come è avviato un processo di liberalizzazione nelle professioni e nella istruzione. Questo è il senso della svolta che si è prodotta a livello internazionale.

4) All’interno di questa trasformazione imponente e inarrestabile un solo segmento del sistema è rimasto pressoché interamente sotto il controllo dello Stato e degli Enti locali: il teatro pubblico. Una realtà anomala che nemmeno obbedisce a un severo statuto pubblicistico, ma piuttosto opera attraverso scambi, ibridazioni, alleanze spregiudicate col teatro privato e con una imbarazzante politica di marketing. Il teatro pubblico, immobile e vulnerabile come il Colosso di Rodi, resiste a tutti gli assalti, fedele a un primato garantito dalle sue origini ma non più dai suoi risultati. Ma la decostruzione del teatro pubblico, che deve essere sospinto sul terreno del confronto aperto con tutte le altre componenti del sistema teatrale, non si impone solo per ragioni di concorrenza, di abbattimento di privilegi, di recupero di risorse. Questa decostruzione deve essere rigorosamente perseguita perché il teatro pubblico è frutto di una politica culturale che non ha più senso, di cui rappresenta una forma residuale. Questo spiega la crescita delle lobbies, delle clientele, delle intese tra soggetti che condizionano lo sviluppo di tutto il teatro italiano. Nella molteplicità dei soggetti che operano nella cultura a esso è riconosciuta indebitamente una rappresentanza privilegiata degli interessi collettivi. Questo privilegio, che in Inghilterra si riconosce solo a un organismo teatrale, espressione della tradizione nazionale shakesperiana, obbedisce a logiche che non hanno più senso, perché le culture teatrali e le istanze creative si sono così diversificate che non può essere riconosciuta la “reductio ad unum” di queste diversità, legittimando nei fatti la distanza abissale tra le fasce alte e le fasce basse di un sistema teatrale costruito a canne d’organo.

5) L’involuzione del teatro italiano, lo squilibrio che si produce al suo interno tra i diversi segmenti interessati dal finanziamento pubblico, la perdita di competitività, l’ipertrofia normativa che pretende di regolare i processi con indicazioni e parametri sempre più mortificanti per la libera espressione della creatività artistica, impongono di por mano anche nel sistema del teatro a un progetto riformatore che rimetta in moto le energie più vive e le chiami a un confronto reale tra di loro e col resto dell’Europa.
Un progetto riformatore può e deve ripartire da Milano, città che ha nel tempo dato coerenza ai processi di trasformazione delle arti e dello spettacolo, guidando nelle fasi più importanti la crescita del sistema, portando alla ribalta internazionale altri e oramai più rilevanti momenti della creatività nel campo della moda, del design e della comunicazione.

6) Il progetto riformatore deve far leva su alcuni momenti essenziali:

a) il recupero della partecipazione reale delle categorie al processo di acquisizione e redistribuzione delle risorse;
b) la smobilitazione del sistema pubblico e la sua trasparente dislocazione entro l’area privata, ponendolo in condizioni di pari dignità con soggetti concorrenti, evitando la concorrenza ai soggetti più deboli, con politiche confuse di marketing che surrogano in modo equivoco la crisi di una mission che metteva una poetica e una cultura artistica, parziale ma coerente, al servizio di una comunità;
c) l’istituzione di un sistema di garanzie atto a proteggere il sistema dello spettacolo e della cultura in genere dalle pretese della politica e di soggettività private animate da logiche di lucro e di immagine.

Questo sistema di garanzie deve collocare il teatro fuori dalla logica bipolare e dello dello spoils system, salvaguardando in ogni caso la condizione di terzietà rispetto ai due poli dello schieramento politico.

7) L’ipotesi attorno a cui occorre lavorare per avviare un progetto riformatore deve prevedere l’uscita di tutte le rappresentanze pubbliche dagli organismi che operano nel campo dello spettacolo, così che resti attribuito alle Amministrazioni Pubbliche un compito nella organizzazione dei servizi, escludendo ogni intervento attivo nella realtà del teatro e riportando in prima istanza il ruolo dello Stato e degli Enti locali nel definire strategie e finalità complessive. Occorre prevedere che le Amministrazioni Pubbliche interessate a promuoverne la crescita dello spettacolo nelle realtà di loro competenza conferiscano le loro risorse, di natura economica e strumentale, a un soggetto terzo che provveda a immetterle nel circuito culturale secondo un modello normativo e operativo stabilito dagli Enti Pubblici interessati.
Questo soggetto terzo deve essere costituito sulla base del principio dell’interposta persona tra potere politico e potere culturale, così come definito da Keynes nel 1945 con l’istituzione dell’Arts Council. Ciò comporta il passaggio dall’ispirazione centralista e paternalista francese a quella che vige nel mondo anglosassone. Questo soggetto terzo dovrebbe prevedere rappresentanze della società civile, della cultura, della scuola, dell’Università, della Fondazione Cariplo e, magari in modo paritetico, delle categorie teatrali.

8) Nel quadro del conferimento delle risorse economiche, questa Fondazione dovrebbe valersi anche degli apporti che potrebbe e dovrebbe garantire il Ministero di Beni Culturali attraverso il completamento di un disegno federalistico.
In questo disegno dovrebbe avere un ruolo definito e strategicamente orientante la Regione Lombardia e l’area metropolitana milanese.

9) Il ruolo ordinamentale dello Stato e degli Enti Pubblici territoriali dovrebbe integrarsi dialetticamente con quello di una Fondazione intesa come edizione italiana dell’Arts Council.
Essa dovrebbe procedere con un sistema di servizi e di competenze monitorando il territorio, erogando contributi, definendo convenzioni specifiche coi diversi soggetti sulla base di progetti e tenendo conto della redditività artistica e sociale degli stessi. Nel quadro di convenzioni e intese bilaterali sarebbero così soddisfatte le esigenze di un Teatro Pubblico trasferito interamente nella sfera privatistica.
In questo contesto le categorie, oltre ad avere loro specifiche rappresentanze, dovrebbero garantire ai soggetti rappresentati la opportunità di essere ascoltati nella fase istruttoria, consentendo il confronto tra le parti per il perseguimento di finalità diffuse e collettive.

10) Il progetto riformatore dovrebbe essere messo a regime dopo una adeguata fase di sperimentazione e verifica. In questa fase Milano deve proporsi con una sua precisa indicazione strategica e una serie di proposte che facciano tesoro della esperienza delle convenzioni. Se all’area metropolitana milanese può e deve essere riconosciuta una particolare autonomia, allora essa deve tradursi sullo sforzo di correggere l’eredità di una normativa insostenibile, che pesa con indicazioni analitiche mortificanti su ogni slancio creativo, mettere in discussione stratificazioni cristallizzate nel tempo e che pregiudicano l’evoluzione degli stessi modelli artistici, le forme dei linguaggi teatrali, le strutture relazionali che contraddistinguono gli attuali assetti del teatro: alludiamo alle normative sulle agibilità, sui vigili del fuoco, sull’uso degli spazi e così via. Solo così possono liberarsi iniziative insospettate di creatività che oggi a Milano si orientano in altre direzioni. Al teatro sono necessarie risorse diversificamene allocate, spazi dismessi e poveri, nell’ambito di un imponente patrimonio di archeologia industriale, un sistema di servizi più articolato che si adegui ai mutamenti in atto.
Ma al teatro sono necessarie prima di tutto nuove condizioni di libertà.


 


 

Un teatro per la grande Milano
Un riflessione sul futuro del Teatro degli Arcimboldi
di Carlo Fontana

 

Parlare del presente e del futuro del Teatro degli Arcimboldi mi riporta alla mente, una dopo l’altra, le tappe dell’ambizioso progetto che intrapresi subito dopo la mia nomina a Sovrintendente del Piermarini: il “Sistema Scala”.



L'interno del Teatro degli Arcimboldi.

Durante i quindici anni trascorsi al servizio di questa istituzione ho sempre pensato che la Scala dovesse rappresentare il cuore di un Sistema musicale, teatrale, culturale e sociale cui aggregare componenti diverse – l’Accademia di Arti e Mestieri, i laboratori dell’Ansaldo, il Teatro degli Arcimboldi, Il Museo teatrale – che potessero concorrere al processo di valorizzazione dell’attività del ‘grande palcoscenico’ dei milanesi.
Ho ragionato con l’intento di affermare che la Scala avrebbe testimoniato la sua centralità divenendo, rispetto al resto del Paese, una fonte di conoscenza, di ricerca e di supporto a cui tutti avrebbero potuto rivolgersi a prezzi resi competitivi e con un servizio di eccellenza.
Quando nel 1997 Marco Tronchetti Provera e Carlo Puri ci offrirono la disponibilità della Pirelli a costruire ex novo un teatro periferico che avrebbe potuto ospitare la Scala durante il suo restauro, pensai che il nuovo teatro avrebbe contribuito a realizzare un importante disegno di valenza sociale e la mia idea di cultura diffusa.
Nel Teatro degli Arcimboldi, infatti, non ho mai visto solo la sede temporanea del Piermarini, ma soprattutto il materializzarsi di quella politica di decentramento culturale nella quale ho creduto sin dagli anni Settanta quando il Piccolo Teatro aveva promosso l’esperienza del Teatro Quartiere.
Pensavo e penso con entusiasmo e interesse all’idea della costruzione di una vera e propria struttura stabile per la cultura e lo spettacolo all’interno di un modo nuovo di ripensare la città, che supera la Milano stretta nella cerchia dei Navigli e diventa una città metropolitana, anzi, una città-regione, che comprende non solo i Comuni dell’hinterland.
A mio avviso il Teatro degli Arcimboldi e tutta l’area della Bicocca, potrebbero e dovrebbero diventare il segno preciso di una volontà culturale e, anzitutto, politica.
Credo sarebbe opportuno l’idea di una vera e propria integrazione tra le diverse amministrazioni comunali e mi piace pensare ad un insediamento culturale in una parte della città ‘nuova’, al servizio di quel pubblico solitamente svantaggiato e penalizzato.
Ho sempre pensato al Teatro degli Arcimboldi futuro come ad un teatro di ospitalità, un luogo di commistione di generi diversi - dall’opera lirica al musical, dalla danza ai concerti pop e rock -, una struttura con cui ‘anche’ la Scala potesse interagire.
Nelle prime due stagioni ‘scaligere’ agli Arcimboldi, delle quali ho le risultanze delle indagini promosse dalla Makno, emerge che il nuovo teatro ha visto la presenza di oltre 600.000 spettatori dei quali il 20% non aveva mai assistito ad uno spettacolo d’opera, ciò è significativo della funzione importantissima svolta da questa giovane realtà nella creazione di nuovo pubblico e nella diffusione della cultura.
Progettare il futuro della “Grande Milano” è anche questo.


 


 

Dopo questa Milano
Sulla necessità e le modalità del rinnovamento
di Umberto Angelini - Direttore Uovo

 

“Stavolta si tratta, non di continuare e migliorare, ma di cambiare e correggere. E cambiare gli uomini che non si possono correggere”. Cosi si esprimeva Antonio Giolitti all’VIII Congresso del PCI all’indomani dell’invasione sovietica dell’Ungheria. E da qui vorrei partire.
Se riteniamo che il sistema dello spettacolo milanese sia in crisi o comunque manifesti forti debolezze (accanto a innegabili potenzialità), bisognerebbe riflettere anche sulla responsabilità individuale degli uomini e delle donne che hanno (avuto) il potere di indirizzo e gestione del sistema stesso.
E’ certamente conseguenza, come tanti sostengono, della mancanza di un’alta e lungimirante Politica; ma è paradossale che queste voci giungano anche da chi è nominato da consigli d’amministrazione a loro volta indicati da questa stessa politica. Curioso strabismo, ma anche a ciò siamo abituati in questo Paese. Tutto ciò è sentire condiviso e potrebbe apparire noioso e pleonastico ribadirlo. Tuttavia io ne sento la necessità. Troppo spesso le storiche istituzioni culturali cittadine, anche al fine di distogliere l’attenzione sulla propria inadeguatezza di fronte alle nuove forme della scena e alle gigantesche trasformazioni socioculturali del tessuto urbano, hanno preferito ‘responsabilizzare’ la politica piuttosto che avviare una riflessione critica e costruttiva sul proprio ruolo, sulla propria funzione, sui propri compiti.
Come se la politica milanese le avesse in questi anni dimenticate, emarginate per favorire la nascita e il consolidamento di altre realtà giovani e indipendenti!
Se si vuole avviare una riflessione costruttiva credo sia opportuno individuare tre aree di crisi e quindi di potenzialità:
. il deficit di competenza e la debolezza produttiva. Oggi il sistema dello spettacolo milanese (in particolare quello della ricerca) non ha più un ruolo da protagonista nello scenario artistico italiano e internazionale. Non si viene più a Milano (tranne rare eccezioni) né dall’Italia né dall’Europa per scoprire talenti e nuovi linguaggi teatrali. Il sistema Milano attrae sempre meno. In Europa (ad eccezione di Emma Dante) non girano produzioni teatrali milanesi. E’ solo un deficit artistico o anche organizzativo? Una città come Milano può permettersi questa afasia produttiva in campo europeo? E che dire dell’assenza del networking internazionale?
. il mancato rinnovamento (soprattutto generazionale) nei luoghi decisionali. Non credo di conoscere persone che, diplomatesi almeno negli ultimi dieci anni alla Paolo Grassi, occupino oggi posizioni dirigenziali nelle strutture teatrali milanesi. E cosa accadrà ai laureati della Bocconi e della Cattolica in management culturale? Sono le scuole di formazione inadeguate o c’è un blocco occupazionale preoccupante? Il costo sociale dell’esclusione di tanti giovani è enormemente più alto di una sana chiusura o ridimensionamento di strutture esistenti. Non è forse il caso di applicare al sistema dello spettacolo (come avviene per altri settori economici) incentivi di tipo previdenziale e fiscale per la dismissione di realtà teatrali non più idonee o per il significativo rafforzamento di quelle virtuose? Facilitare l’uscita dal sistema, facilitare l’ingresso: questo deve essere l’obiettivo primario, questa l’emergenza milanese.
. i criteri di finanziamento e la redistribuzione delle risorse. Il sistema dello spettacolo milanese chiede giustamente più risorse finanziarie e il rispetto della tempistica dei finanziamenti. E’ inevitabile però riconsiderare il peso dell’anacronistico e oramai insostenibile (non solo dal punto di vista finanziario ma anche etico) premio alla rendita che è il parametro della storicità. Presentato come il riconoscimento di una storia e di un ruolo “sociale”, oggi è divenuto un blocco per qualsiasi circolazione verticale nel sistema, divenendo di fatto una vera e propria barriera all’entrata che rende impossibile un positivo dinamismo competitivo.

Cosa vuole essere il sistema teatrale milanese? Qual è il modello che Agis e Comune di Milano stanno disegnando per i prossimi dieci anni? E non per la prossima convenzione. Come il teatro milanese intende affrontare le trasformazioni migratorie della città quando già oggi è escluso da normali attività di networking internazionale?

E’ un’analisi cruda a cui spero si riconosca però il pregio non di una sterile e inutile polemica, ma la volontà sincera d’interrogare i teatri e le Istituzioni politico-culturali sull’attualità dei propri compiti e funzioni, per far emergere senza ambiguità una preoccupazione, spero condivisa da molti, che un patrimonio di storie e intelligenze come quello teatrale milanese, oramai autoreferenziale, si stia consumando nella rendita e invece avrebbe ancora probabilmente molto da dire.
L’articolo “Creatività Zero” di Renato Palazzi apparso su Linus tempo fa ne è un ritratto sistematico e puntuale. Difficile aggiungere molto di più a quanto da lui scritto.

Milano è una città che fa fatica ad interrogarsi sul proprio futuro perché è una città sazia, satura di ricchezza. L’economia, nonostante tutto, va, per ora. Non ha dovuto ricostruire in fretta il proprio modello economico come Torino o Genova. Ma deve darsi una missione oltre che una visione. Collocarsi senza indugi nel campo dell’innovazione e della contemporaneità e quindi abbandonare la logica miope della rendita (indubbiamente redditizia per molti ma non altrettanto per l’etica pubblica). Salvaguardare la memoria ma coltivare l’oblio; pensarsi non come un agglomerato di “individui spiritualmente separati” ma come una comunità condivisa, deve uscire cioè dalla logica della “città radice” e disegnarsi come una “città ramo”.
E’ qui che il sistema dello spettacolo milanese deve giocare la partita, dettando regole e obiettivi.

Lo sviluppo delle nuove sale teatrali milanesi può essere un elemento stimolante se agisce come moltiplicatore di linguaggi, se sa parlare e coinvolgere la pluralità di esperienze produttive del territorio. Ma è indubbio che se la logica di progettazione è la stessa seguita fino ad oggi, non vedo perché le cose dovrebbero andare in un’altra direzione. Ma si vuole andare veramente in un’altra direzione oppure il Teatro milanese non ne sente il bisogno e chiede legittimamente solo maggiori finanziamenti per rafforzarsi?
Il sistema teatrale milanese è troppo spesso profondamente scollegato dalle dinamiche creative della città. Non c’è scambio osmotico, non c’è contagio, solo rari episodi funzionali.

Io non mi riconosco oramai da molti anni, sia per interessi personali sia per estetiche e poetiche, all’interno delle sole frontiere del teatro. E questo è comune a molti curatori e organizzatori culturali europei e a molti giovani italiani. Non a caso m’interessano e m’interesso ad artisti che lavorano al superamento delle discipline, con un approccio unitario alla creazione contemporanea. Questo è quello che cerco di fare con Uovo.
Negli ultimi due anni al nostro “storico” staff di formazione e esperienza teatrale si sono aggiunte: una laureata in design del prodotto, una laureata in fashion design, una laureata in arti visive. Ed è stato un bene per tutti noi.
Uovo si meticcia con allegra passione e doveroso rispetto agli immaginari dell’arte, della moda, del design in una confusione di linguaggi e formati, alla ricerca della bellezza imperfetta delle cose, temporanee e incomplete. Da qui la scelta di ‘rappresentare‘ lo spettacolo contemporaneo fuori dai teatri, in luoghi non anonimi ma caratterizzati da specifiche identità e immaginari come il Superstudio, la Triennale, lo IED ModaLab, il Pac. Uovo ha cosi mutuato codici iconografici dell’arte e del design piuttosto che (con i progetti Superuovo) i dispositivi più decostruiti della moda come i “guerrilla stores” di Comme des Garcons o i “temporary stores” di Vacant.

Uovo nasce come risposta all’immobilismo delle istituzioni culturali, troppo spesso incapaci di cogliere i cambiamenti di un pubblico nomade e metamorfico e i nuovi segnali della scena produttiva. Ad Uovo va indubbiamente riconosciuto il merito di aver fatto emergere un pubblico “altro” (oltre che nuovi artisti) rispetto a quello abituale dello spettacolo milanese; un pubblico trasversale per competenze e formazione, curioso e attento a ciò che d’innovativo si muove nel campo della produzione culturale contemporanea.

Il futuro del sistema dello spettacolo milanese è per me inscindibile da un disegno che contempli una progettualità orizzontale con altri settori della produzione creativa contemporanea e tenga conto dell’enorme bagaglio di potenzialità e problematicità che la trasformazione urbanistica e demografica sta avendo sulla città. Questa è la vera unicità e ricchezza di Milano. Saranno le stesse persone che da trent’anni guidano il sistema teatrale ad indicarci la strada per i prossimi trenta? A questo risponderanno il pubblico e la Politica. Per ora, lunga vita a tutti.


 


 

Declinare al futuro la cultura nella città
Non quello che esiste, ma quello che manca
di Filippo Del Corno

 

Sul presunto degrado e sulle effettive difficoltà in cui versa la situazione culturale a Milano è in corso da molto tempo un dibattito che conosce ciclicamente momenti di grande intensità seguiti poi da lunghe paralisi.
Vorrei proporre quindi un mutamento di prospettiva: anziché continuare a interrogarsi sul malfermo stato di salute dell’esistente, e sulle sue tante contraddizioni, proviamo invece a chiederci che cosa effettivamente manca a Milano.
Quello che veramente oggi manca a Milano è un’offerta sufficientemente ricca e articolata di creatività artistica contemporanea. Nelle città con cui Milano dovrebbe confrontarsi, e a titolo di esempio si possono citare Amsterdam, Barcellona, Berlino, si assiste a un’autentica esplosione di nuova creatività artistica e spettacolare, che si declina soprattutto nelle forme del teatro musicale, della performing arts, della video-arte e di tante altre forme d’espressione in continua e turbolenta espansione e metamorfosi. La mancanza di una presenza continuata di creatività artistica e spettacolare contemporanea a Milano risulta oltremodo paradossale per due ordini di motivi: 1) perché proprio a Milano risiede e lavora da anni una nuova generazione di artisti ed operatori, alla quale appartengo, che con mezzi finora scarsissimi ha prodotto risultati di notevole impatto sul tessuto culturale della città a cui hanno seguito importanti risonanze e conseguenze all’estero; 2) perché in questa città esiste, anche per la tradizione di innovazione e apertura culturale della gente che vi abita, un pubblico davvero numeroso e attento, che taglia trasversalmente diverse classi di età e ceto sociale e che risulta essere in costante aumento.
Se, una volta operato questo mutamento di prospettiva, proviamo a indagare le cause di questo paradosso vediamo che:

- così come in tutta la nazione, ancor più a Milano si soffre della mancanza di un ricambio generazionale della classe dirigente; in campo culturale questa mancanza è ancora più grave e sentita soprattutto perché soffoca l’emergere proprio di quella nuova generazione di talenti creativi la cui attività viene invece riconosciuta e premiata all’estero. La mancanza di risorse finanziarie adeguate ha fino ad oggi impedito a questa nuova generazione di offrire alla città l’intero risultato delle proprie potenzialità e fare sistema di una capacità di ideazione che potrebbe forse rimettere Milano al passo con le altre metropoli d’Europa. Una nuova generazione che, facendo della sobrietà della spesa un parametro imprescindibile, ha dimostrato anche evidenti capacità manageriali. Inoltre la città sembra sorda a ogni ipotesi di sperimentazione e investimento su nuove modalità di programmazione e gestione della produzione artistica e spettacolare che hanno prodotto risultati estremamente positivi in quelle realtà culturali che sono in piena e dinamica espansione;
- se poi osserviamo più da vicino le dinamiche di distribuzione delle risorse finanziarie diventa evidente che per chi voglia promuovere la nascita di un nuovo soggetto per produrre spettacolo e innovare così l’esperienza artistica della città è difficilissimo accedere a quei contributi pubblici che potrebbero permettere di sperimentare le potenzialità di nuove energie creative al servizio di nuovi progetti, e per contro esistono diversi soggetti che hanno da tempo esaurito ogni autentica capacità propositiva e che sopravvivono, godendo di una rendita di posizione ormai del tutto indipendente rispetto al valore della loro attività, proprio grazie a contributi pubblici;
- d’altra parte i ritardi ormai cronici con cui vengono determinati ed erogati i contributi pubblici a tutti i soggetti impediscono una programmazione serena e responsabile, e soprattutto compatibile con i tempi di progettazione di auspicabili partner europei rilevanti; le gravissime esposizioni debitorie con le banche che soffocano la maggior parte dei soggetti milanesi produce l’effetto perverso e paradossale di impegnare grande parte dei contributi pubblici a pagare gli interessi passivi prodotti proprio dal ritardo con cui i contributi stessi vengono erogati. Da molto tempo sostengo che la misura più urgente e autenticamente rivoluzionaria nel campo della produzione culturale e spettacolare nella nostra città sarebbe costringere gli Enti pubblici a rispettare tempestività, perentorietà e trasparenza delle procedure di determinazione ed erogazione dei contributi. Ad onor del vero solo la Provincia di Milano ha fatto passi concreti e significativi in questa direzione;
- le esperienze di coproduzione e collaborazione tra soggetti che operano in campi diversi della produzione artistica e spettacolare non vengono assolutamente premiati e incentivati, nonostante possano produrre risultati estremamente efficaci nel contenimento dei costi e nella promozione di contenuti artistici e culturali verso un pubblico più vasto e articolato. E non viene promossa alcuna misura politica che sia volta a favorire progetti di residenza di soggetti di nuova o recente formazione in spazi istituzionali più solidi e strutturati; anche in questo caso i risultati di contenimento delle spese per ciò che riguarda le strutture organizzative potrebbero portare a un significativo aumento degli investimenti su produzioni e repliche.

A me pare che oggi la necessità più urgente sia proprio quella di ideare nuove forme di gestione e di distribuzione delle risorse pubbliche che consentano il pieno dispiegamento di tutta l’energia creativa che ribolle nella nostra città. Per lo meno questo mi sembra molto più vicino alle effettive necessità del tessuto culturale di Milano. Una svolta di discontinuità rispetto agli ultimi venti anni di politica culturale milanese consentirebbe inoltre di uscire finalmente dalla dinamica emergenziale di una difesa d’ufficio degli investimenti nel campo dell’arte e dello spettacolo basata solo su logiche di mera conservazione e difesa dell’esistente per affrontare con coraggio le tre sfide che attendono una metropoli complessa e articolata come Milano:

- migliorare la qualità della vita;
- favorire coesione e tolleranza;
- affrontare le grandi istanze di trasformazione e cambiamento sociale.
 


 

tora! tora! tora!
Per una cultura della cassoeula
di Elena Cerasetti

 

IL PRIMO SIGNORE e che fa la tale?
IL SECONDO SIGNORE si dice che seduce sedici sudici sadici.
(da la maliarda e i viziosi, tragedie in due battute di achille campanile)




LA MALIARDA
auspico da anni una ripresa della cultura della cassoeula.
poi succede sempre qualcosa, una legge, una fuga, forse la stessa politica gastronomica forse no. le cause non possono essere sempre e chiaramente percepibili, soprattutto in italia. si sa.
mi chiedo allora che senso abbia, qui e oggi, la parola cultura (della cassoeula).
molte e luminose insegne in giro testimoniano l’aggravarsi di una crisi che attanaglia la cucina in generale e la cassoeula in particolare, ma non importa. come disse il tale, the show must go on.
così una decina di cuochi, sempre gli stessi, si rincorrono in su e in giù per lo stivale, fermandosi a “far da mangiare” presso festival enogastronomici e ristoranti. sempre gli stessi.
nessun ricambio, nessun interesse da parte dei ristoratori a valutare quali altre e nuove prelibatezze ci siano sulle tavole d’italia (tanto la fame arriva lo stesso).

...

tralascio per un attimo la panoramica sul belpaese e inquadro la vicenda nel contesto di milano, unica città mitteleuropea (o aspirante tale) d’italia.
quella che dovrebbe essere la fucina dei cuochi emergenti è diventata con gli anni lo specchio della situazione stagnante della nuova cucina italiana.
milano. un'operazione nettamente controrivoluzionaria e in perfetta sintonia con quanto avviene negli altri settori della gastronomia: si disputa su concetti come innovazione, ricerca, qualità e, nel frattempo, si chiudono gli spazi per i giovani (più o meno ufficiali, spazi e giovani), si valorizzano i ristoranti di consolidata tradizione, si investono miliardi nei progetti dei grandi nomi o dei grandi luoghi.
milano, capitale della reazione. che disastro.
che i navigli stiano superando il livello di guardia, è chiaro da qualche anno. l’italia della seconda repubblica annovera nuovi poveri nelle sue file. la cosa tragicomica è che questo “nuovo proletariato” non ha figli, ma ha lauree e diplomi; e che parte di esso lavora nell’ambito della cassoeula.
meno male che a fronte dell’assenza di garanzie istituzionali per la cassoeula, c’è un gran daffare per decidere dove puntare le poche sostanze disponibili: su una televisione di consenso (anche a sinistra), una vera e propria vetrina per sfilate di santi, poeti, navigatori nonché di preti, pupe, poliziotti e cuochi.
e sui soliti ristoranti di “alta qualità” poiché pasta e fagioli, dopo la rivoluzione culturale, è diventato un piatto aristocratico.
il pranzo è servito.
con milano capitale e la cassoeula in ultima posizione.

e i cuochi della nuova cucina, alla deriva in una situazione di evidente arretratezza gastronomica, che fanno in italia e, in particolare, a milano?
resistono. se poi facciano cassoeula di ricerca non so. nel senso che, qui e oggi, il termine non definisce i limiti della ricerca, né il suo senso. tutti continuiamo a ri-cercare qualcosa, ma questo è un dato oggettivo di ogni realtà umana, oppure continuiamo a cucinare senza preoccuparcene.
l’innovazione, la ricerca, la qualità sono talmente soffocate che rischierebbero, paradossalmente, di rendere improponibile il resto di un qualsiasi menu.
infine la cosa più importante: la libertà di espressione, legata alla sensibilità personale e non alle mode e alle tendenze.

al di là di questo incancrenito apparato di stato che è la nuova cucina ufficiale (ufficiale?), esiste a milano una situazione composita e vitale di aspiranti nuovi cuochi che portano avanti i propri percorsi nonostante l'assoluta inaccessibilità di spazi e denaro pubblico. questa realtà non è imperniata sulla figura patriarcale della cassoeula-ufficiale o dello chef-guru o del critico-protettore da cui tutto si diparte.
non ha centri di riferimento stabili.
è doloroso pensare che i giovani (quelli veri, ahimé) che si mettono a far cassoeula oggi debbano pagare fior di farine per una sala prove. ma che dico sala prove?, che debbano affittarsi un ristorante per fare il proprio lavoro. è la negazione di qualsiasi possibilità di ricerca, è davvero una situazione disperante.
insomma, milano mitteleuropea dovrebbe parlare “orizzontale”, in opposizione alla cucina con la c-maiuscola granitica, gerarchica e perfettamente verticale. insomma, in pieno e frigorifero rigor mortis.
il problema di questo rizoma culinario è come esso possa prendere coscienza di sé e diventare così una potenza capace di creare e crearsi, sottraendo e sottraendosi alla cucina di stato. vassalli, valvassini e valvassori compresi. di come possa effettuare una “deterritorializzazione” in contrasto alla territorializzazione costituita dai battesimi d'arte e dalla privatizzazione di menu e ristoranti da parte di un racket minculpopolare.
esistono diverse forme di racket: la prostituzione, il gioco d'azzardo, l'immigrazione clandestina. la più comune e conosciuta è quella della protezione.
un lifting ideologico, fatto di casseruole vuote, tagli alle cotiche, cavoli ridotti, nonché da una gastronomia accademica nostalgica e un giornalismo rosso (parlo di gamberi, naturalmente) pedissequo e accomodante. nonché accomodato.
ma, se devo essere onesta, il tocco da maestro lo mettiamo noi, felicemente abbracciati in uroborico amplesso.
noi, chef, assistenti cuochi, operatori di cucina, sala-bar, pasticceria, enologi, addetti al ricevimento, food & beverage manager.
noi, i viziosi.
tutti allarmati della deriva della cucina italiana, tutti decisi a non subirla, tutti scandalizzati dalla decadenza e dal malcostume dilaganti nei ristoranti pubblici (luoghi di affari e lottizzazioni), tutti intenzionati a confrontarci per cercare di migliorare lo stato delle cose.
noi, i viziosi, concorrenti sfrenati e autocannibali, piccoli passeri di piccoli horti conclusi in cerca di briciole disponibili.
una consanguinea affinità.
così, la cucina sprofonda sotto il peso dei debiti e delle molliche.

...

da maliarda (viziosa) vi dico questo. e chiudo (la bocca).
la cultura ufficiale (e cattogamberista) considera ancora la cucina una materia dell'economia domestica. e punisce il piacere e il gusto della tavola perchè li giudica deteriori.
ma la cucina italiana, quella che fa i numeri, è ancora la cucina della trattoria. il ristorante importante è e rimarrà per pochi perchè la nostra borghesia è sempre stata provinciale, cioè legata alle tradizioni del proprio territorio. la nostra borghesia considera il ristorante importante come il luogo dove mostrare il proprio benessere. ma mangia in trattoria.
allora vi dò, per ripicca, la ricetta della “cassoeula ala milanesa”.

ingredienti

250 g di cotiche di maiale pulite, raschiate e lavate
400 g di luganega (salsiccia)
800 g di costine di maiale
3 salamini de verz
500 g di carote
500 g di sedano
2 piedini di maiale puliti, raschiati e lavati
1 orecchia di maiale pulita, raschiata e lavata
1.800 g di verze
un bicchiere vino bianco secco
30 g di passato di pomodoro
1 cipolla media
1 cucchiaino d’olio extravergine d’oliva
1 noce di burro
sale & pepe quanto basta

fate bollire per almeno un'ora, in una pentola in acqua bollente, i piedini di maiale tagliati a metà, le cotiche e le orecchie. in un casseruola grande, a fuoco lento, mettete il burro, aggiungete l'olio, fate soffriggere la cipolla affettata a fettine sottili e lasciatela appassire. successivamente aggiungete nella casseruola le costine di maiale, la luganega tagliata a pezzetti e i salamini. cuocete facendo rosolare bene le carni a fuoco vivace. versate il vino bianco e fatelo sfumare. affettate sedano e carote e metteteli nella casseruola dalla quale sono state preventivamente tolte le carni. aggiungete un mestolo d'acqua e la passata di pomodoro, mettete il sale e il pepe e rimescolate il tutto con un cucchiaio di legno. mettete il coperchio e lasciate sul fuoco molto basso, stando attenti che non si attacchi sul fondo. a parte pulite la verza, tagliatela a strisce e cuocetela a fuoco basso nella pentola coperta con pochissima acqua finchè non appassisce. mettetela quindi nella casseruola grande mescolandola a carote, sedano e cipolle. tagliate a piccole strisce le orecchie e le cotiche. dopo qualche minuto togliete dalla pentola la carne e mettetela sulla verdura nella casseruola stessa. mettete il coperchio alla casseruola e fate cuocere a fuoco moderato per più di un'ora. provvedete ogni tanto a togliere il grasso che galleggia. servitela ben calda.


buon appetito e ricordate. la scoperta di un piatto nuovo è più preziosa per il genere umano che la scoperta di una “stella” (jean anthelme brillat-savarin).


 


 

Autocritica, noia e qualche parola abusata
In giro per la città dei teatri
di Manuel Ferreira (indomito attore della compagnia Alma Rosé)

 

Raccolgo l’invito di Mimma Gallina, e parlo di Milano, la città dove la mia compagnia Alma Rosé esiste da dieci anni.
Farò una pessima pratica, parlerò di noi, di quello che accade a noi.
Il che è rappresentativo solo di una piccolissima parte del panorama teatrale, ma è rappresentativo di un’esperienza che, a partire dall’assenza di rapporti con le strutture teatrali, ha permesso di scavare dentro questa città e scoprirne il modo di venirne in contatto, conoscerla.
La prima sensazione che si ha quando si gestisce la propria compagnia, com’è capitato a me negli ultimi tre anni e mezzo, è la difficoltà di creare dei rapporti con i teatri e con le istituzioni.

Premetto, che oltre a essere diplomato come attore nazionale in Argentina, sono anche laureato in Economia e Commercio, quindi non accetto commenti “…voi artisti… non capite…”.

Potrei scrivere un manuale, parlando di com’è il movimento culturale in questa città, giacché noi l’attraversiamo con il nostro progetto Il Giro della città, e con tutti i nostri lavori, e vediamo una città ricca di realtà forti ma che restano chiuse dentro se stesse come isole non connesse, anche se attive, con tante persone coinvolte, e a volte addirittura con risorse adeguate.
Vediamo un sistema teatrale, quello di Milano, che implode e non riesce a dare una risposta vitale a questa città, che riesce raramente a creare rapporti saldi già dal tipo di proposta che offre.

In tutte le riunioni dell’ambito teatrale a cui partecipo non ho mai sentito la parola AUTOCRITICA da parte di chi opera culturalmente in questa città: la crisi è sempre economica, è colpa di qualcun altro che taglia le risorse o le utilizza male; o addirittura ci si vantadi un pubblico milanese che va a teatro, ma non si ricorda che questo pubblico deve essere subito rinnovato e quindi anche intercettato laddove il teatro ancora non arriva.
Nel frattempo, a Milano si litiga per i finanziamenti ma non per la sostanza artistica. Oppure c’è una volontaria mancanza d’informazione su tutti i finanziamenti pubblici, che crea confusione, false versioni e soprattutto NOIA.
Io dico - per assurdo - favorite chi volete, escludete altri, ma almeno che si faccia vibrare questa città. E invece neanche questo.
La questione di creare un rapporto con dei teatri milanesi è per noi ancora una questione irrisolta. Ci proviamo, ma sicuramente non siamo stati bravi a proporre un dialogo, o forse la qualità del nostro lavoro non è abbastanza interessante per le stagioni milanesi, non so a cos’altro attribuirlo.

Quello che ci ha colpito nel rapporto con i teatri è stata la vaghezza delle risposte, e il tempo fattoci perdere da parte di certi funzionari e organizzatori.
Siamo rimasti stupiti dalle proposte economiche, e non parlo solo della scarsità di fondi, cachet, ma anche delle proposte artistiche, del fatto che nessuno parli mai di produzione, residenza, triennalità, e cioè di progettare.

Racconto un solo esempio emblematico: alla nostra richiesta d’informazioni sulla Fabbrica del Vapore una funzionaria ci ha risposto (una delle poche volte) che noi non eravamo una compagnia giovane… Io ho ribadito che neanche la funzionaria era giovane eppure lavorava nel settore giovani, e che non è questione di “sensazione”, ma noi siamo considerati compagnia giovane dalla Regione Lombardia, per esempio.

Sono tornato a casa senza informazioni concrete, la Fabbrica del Vapore è uno dei posti di Milano incomprensibili, che nessuno capisce.
Questa disinformazione, sicuramente voluta, questa frammentazione, nella città produce solo NOIA.

Per finire vorrei proporre un elenco di parole da bandire nelle relazioni tra teatranti. Bisogna sradicare dei termini inutili o delle modalità obsolete.

• GIOVANE
: parola adoperata a seconda della necessità, mai per esprimere un attributo reale della compagnia, bensì per nasconderne una presunta inadeguatezza, o la sua immaturità, e cosi lasciarla fuori dai giochi. Vorrei ricordare a tutti i teatranti milanesi che nessuno è eterno e quindi non è buona politica trascurare di fare crescere insieme nuove leve, perché già io che sono ancora giovane, già so che la nostra energia non sarà per sempre.

COLLABORARE: quando a una compagnia viene proposto di collaborare, in generale significa, niente soldi, niente garanzie.

VISIBILITA’: parola odiosa, proposta inutilmente alle compagnie dette giovani come contropartita della mancanza di soldi. Situazione dove in generale non vengono i giornalisti, perché non si ha la TENITURA (altra parola tremenda).

NOVITA’: stupisce il coraggio che hanno certi teatri di chiedere la novità; non ti producono, non pagano, e non vengono neanche a vedere gli spettacoli. NOI CREDIAMO NEL REPERTORIO. Lo spettacolo Gente come uno, dopo sette repliche a Milano al CRT, è stato silurato da più di un teatro dicendo che non avremmo avuto pubblico perché già visto. Lo spettacolo nei successivi due anni, è stato visto da quasi 5000 persone, che ci chiedono ancora dove lo ripeteremo.

RETE: fantomatica parola inserita in ogni sorta di progetto, relazione, ecc. La rete, quella vera, è un lavoro durissimo, che richiede tanta energia e merita rispetto. Oggi sono le compagnie artistiche che creano la rete in questa città e non i teatri.

LAVORO NEL TERRITORIO: utilizzo simile a quella della parola rete; molti sono preoccupatissimi per la spartizioni del territorio, ma cosa s’intende: territorio o finanziamenti?

PROGETTO: cosa significa progettare? Qualsiasi cosa oggi viene chiamato progetto, parola usurata, perfino per parlare di uno spettacolo, si dice che si sta facendo un progetto.

VIETATO DARE NOMI INUTILI ALLE RASSEGNE: questa è una perversione di alcuni organizzatori, che trovano geniale dare un nome o perfino diversi nomi alle proprie rassegne, come se questo fosse un elemento che attira il pubblico… Propongo alcuni nomi di rassegna: “Siamo a pezzi”, “Eternamente giovani” (rassegna di compagnie giovani milanesi), “Una voce nella nebbia” (rassegna di teatro di strada in Brianza), ecc.

NOMADE: termine di recente affermazione. Si dice nomade la compagnia che gira per luoghi non teatrali. E’ una bella parola per lasciare ad intendere che sta fuori dal mercato teatrale. Un buon pretesto per lasciarla fuori.

Lasciando da parte le ironie, è ora di costruire; bisogna partire da una profonda autocritica di quello che è stato fatto. Questo non significa che non ci sia tanto lavoro meraviglioso, ma la crisi e l’implosione di questa città non può essere più negata o sempre attribuita ai tagli, alle leggi, ai governi.
Bisogna fare un revisione, con coraggio del sistema, ed essere finalmente disposti a ridiscutere il tutto.

Le prospettive che si affacciano non sono rassicuranti ma credo che dal confronto e dalla relazione con il pubblico, con la città, con le energie che impegnano questa metropoli possa scaturire un nuovo impulso e la capacità di fare cultura. Un esempio concreto di tale confronto è il Faq (Coordinamento delle compagnie lombarde di produzione) che, superando la naturale autoreferenzialità delle singole strutture e degli artisti coinvolti, mette in relazione le persone e crea un dialogo, articolando una struttura multiforme, ma in grado di fare sistema dove il sistema, in questa città/provincia/regione, sembra essere sparito. Interrogarsi sulle problematiche comuni per produrre idee e soprattutto richieste da porre agli interlocutori istituzionali e non, può e deve essere un punto di partenza per un cambiamento necessario, non più rimandabile; soprattutto perché le compagnie di produzione acquisiscano il loro naturale ruolo, ovvero la creazione degli spettacoli, ed abbiano riconoscimento e tutela da parte di chi non può riconoscere solo alcuni e non altri, all'interno del loro territorio d’attività.

Il teatro è sempre in un momento di crisi: facciamo esplodere questa città dandogli vitalità artistica. Aprendo gli spazi che già esistono alle realtà di questa città. Pensando che il teatro non può più prescindere dal luogo in cui si trova - e allora non basta la vetrina, quella dal bel nome suggestivo per richiamare pubblico, ormai annoiato anche dei nomi che primeggiano. Lavoriamo creando rapporti di medio e lungo termine tra artisti e teatri per proposte più alte, perché i teatri ritornino ad avere delle identità artistiche e smettano d’essere contenitori di spettacoli, perché i teatri dialoghino con il territorio che hanno attorno e diventino anche luogo d’incontro. Mettiamo insieme agli attori i registi i poeti gli scrittori i giornalisti di questa città. Creiamo vita. E poi vogliamo trasparenza, vogliamo sapere come perché le cose vengono gestite. Uniamo esperienze e risorse, non per distruggere, non per rubare, non per imitare, ma per imparare a fare sempre meglio, e prendere il testimone, che prima o poi, molto volentieri dovrò pure consegnare a chi già viene dietro di noi.


 


 

Strana Milano, per non dire stronza Milano
E come valorizzare la città?
di Serena Sinigaglia

 

Doverosa premessa

Mi imbarazza parlare della situazione teatrale milanese.
Davvero! Non mi sento all’altezza del compito… Mi sembra di non avere quello sguardo dall’alto che qui servirebbe, di non avere quel distacco, quella distanza necessaria se si vuole riflettere seriamente sulle cose. Ci sono dentro, troppo dentro. E dall’interno le cose ti appaiono confuse, sfuggenti, difficili… Arriva l’emozione e sei fregato! In più manco di nozioni di urbanistica, di sociologia, di storia della città e dei suoi teatri.
Vogliate dunque perdonarmi se dirò cose assurde e sconclusionate o peggio stupide e scontate.
Ci provo lo stesso per amore del teatro (che è di fatto la mia vita) e per amore di Milano (che, disgraziatamente, è la mia città). E poi anche perché la Mimma e Oliviero fino a ora non mi avevano mai coinvolta nella “ rivista” (e forse, data la premessa, hanno fatto gran bene!).

Milano che fatica

Strana Milano, per non dire stronza Milano. Ti fa credere che è diversa, che da lei si gioca sul serio e che se hai qualcosa da dire e da dare, troverai chi ti ascolta e soprattutto chi ti aiuta. E poi, invece, a tue spese (!) scopri che non ci sono spazi (al contrario di Roma che ne ha troppi), scopri che chi ti aiuta e ti ascolta è sempre lo stesso e pertanto, poveretto, è stremato. Scopri che alla fin fine sei dannatamente solo. A Milano non le frega niente se tu ti sbatti o meno, se sei bravo, se le sei devoto: è un po’ come quelle donne che trattano l’uomo come zerbino… Ecco, se non ci stai attento finisci per essere il suo zerbino e lei non ti degna di uno sguardo. Milano non ama i talenti e le potenzialità che lei stessa ha contribuito a creare. E’ distante… è stronza.
Un tempo era diverso. Un tempo capitava che ti sentivi fiero di essere milanese. Poi è arrivato voi sapete chi e tutto è tragicamente cambiato. Io oggi mi vergogno di dire che sono milanese perché è qui che ha i suoi bunker voi sapete chi. E la mentalità onesta e laboriosa del milanese, la sua combattività, la sua forza, la sua austera dignità, tutte queste belle cose qua… sgretolate, disintegrate, a farsi fottere!
Tutto al contrario di Napoli, che certo ha la camorra, che certo è caotica, incasinata, disordinata, che è povera di danari e ricca di rifiuti, certo, è una città disgraziata e bellissima, però… però ai figli suoi li ama… “Ogni scarraffone è bello a mamma sua!”, insomma Napoli ci tiene assai. Quando incontro artisti napoletani un po’ li invidio perché sento che loro appartengono a un luogo, nel senso di appartenere a una cultura ben precisa, nella quale ti riconosci e ti rappresenti (guarda anche solo il dialetto, noi al più abbiamo il gergo ma è ben diverso, accidenti!): i napoletani amano la loro cultura perché essa li nutre ogni giorno.
Milano no, almeno non oggi, Milano non ha un volto, ne ha centomila, dunque nessuno. Ha la pretesa di rivolgersi all’Europa ma a me pare che l’Europa preferisca rivolgersi altrove (Parigi, Barcellona, Vienna, Praga… vuoi mettere?!). E poi i sindaci… che dovrebbero essere il simbolo di una città… Beh, vogliamo forse confrontare gente come la Jervolino o Veltroni con la Moratti???!!! O con Albertini???!!!
Fate un esperimento: prendete un collega teatrante e chiedetegli a bruciapelo e pregandolo di non pensarci e di rispondere di getto, chiedetegli, dicevo, di indicarvi un artista teatrale rappresentativo di Milano, poi chiedetegli un artista rappresentativo di Napoli… Vedrete che nove su dieci avrà difficoltà su Milano e facilità su Napoli… Dario Fo a parte, ma il Premio Nobel appartiene al passato glorioso di questa città, un passato triturato da questa gente inetta non solo a governare ma persino, almeno così mi pare, ad amare la città.

Ma i nostri sindaci amano la città?

Qui non si tratta di essere di destra o di sinistra, per quanto nonostante tutto, persino nonostante Prodi e questa sinistra, io preferisca la sinistra alla destra (e ci tengo a ribadirlo per una sorta di rigetto di qualsivoglia qualunquismo politico). Ma qui, dicevo, non c’entra proprio niente l’orientamento politico. Davvero: più andiamo avanti e più non posso credere che i nostri sindaci prima socialisti poi forzisti e leghisti amino così poco la loro città.
Io vi chiedo, davvero, col cuore in mano, senza pregiudizi: mi sapete dire una, una sola cosa che Albertini abbia fatto per questa città? Per il bene di questa città, intendo, non per il bene dei suoi quattro amici, per il bene della città tutta! Quali periferie ha cercato di valorizzare? Quali iniziative di valore se non internazionale almeno nazionale ha promosso? La Fiera del Mobile? Ma dai!!!! Quali incentivi ha creato per i giovani? Quali luoghi di aggregazione ha protetto? E l’annoso problema del traffico? Cosa ha fatto? No, davvero, concretamente, cosa ha fatto? Qui l’aria è sempre più irrespirabile!
Eppure ne avrebbero di cose da fare, inventare, valorizzare: a Milano c’è un sacco di gente che si sbatte dalla mattina alla sera per rendere migliore la propria e l’altrui vita, c’è tutto un potenziale sommerso che queste persone alla guida della città non considerano o meglio deliberatamente ignorano. Per paura? Per paura di sfigurare? O magari è solo per superficialità? Bah, non so, comunque che tristezza!

Il potenziale sommerso

Allora è tutto da buttare? Allora conviene scappare? No, non è tutto da buttare ma vi confesso che più di una volta ho pensato di andarmene. Chi te lo fa fare di restare in una città brutta che sempre di più si fa arida di possibilità? Te lo fa fare la gente… o meglio un certo tipo di gente… la gente che non si rassegna e che ieri come oggi riempie questa città di incontri segreti, improbabili e bellissimi, che come un fiume sotterraneo scorrono tra le pieghe, quasi sempre non ufficiali quasi sempre non riconosciute quasi sempre precarie sempre poetiche e radicali, della città.
Sì, a Milano il teatro continua a essere fatto seriamente e fino in fondo e anche il pubblico è così, è attento, è sensibile, quando c’è, c’è… davvero… e lo senti vivo, reattivo e intelligente. E questa è gente che non si arrende, è gente che se resiste in mezzo a tutta sta bruttura è perché sa che dove meno te lo aspetti puoi trovare incanto e intensità. Perché cosa è l’intensità se non una forma di bellezza conquistata con fatica, sudata e desiderata fino alla sofferenza più estrema.
Nelle altre città mi capita di sentire discorsi velleitari, del tipo: “Io faccio teatro...”, “Io c’ho la compagnia...”, “Io c’ho il teatro...” e poi scopri che non è vero niente, che sono tutte balle o comunque cose gonfiate. A Milano questo difficilmente ti capita, perché non è nello spirito della città, troppo seria per cose del genere. E poi perché se ci resti a Milano è per fare qualcosa che davvero ti sta profondamente a cuore, altrimenti o scappi o muori. A Milano hai gruppi eroici che hanno resistito con tenacia, ne cito alcuni (mi scuso per gli altri ma questi sono quelli che conosco meglio): l’Elfo primo tra tutti, e poi Quelli di Grock, il Teatro della Cooperativa (ne esiste uno affine altrove?), gli Alma Rosè, Egumteatro, Macro Maudit, il Collettivo Dionisi, Teatro i… e moltissimi altri che tra l’altro abbiamo potuto apprezzare di recente in occasione della Festa del Teatro (che bella!). Tutta gente che fa teatro ad altissimo livello, tutta gente che non si arrende alla lenta agonia in cui è entrata la città. Essi sono il potenziale ora sommerso, essi sono la speranza della città, essi sono la ragione del perché non me ne sono ancora andata via.


 


 

PR per Milano cercasi
Un problema di rappresentanza
di Federica Fracassi e Renzo Martinelli – Teatro i

 

Coraggio, ragazzi! – Il mio argomento, è il coraggio, il modo in cui dovreste usarlo nella gran battaglia che sembra profilarsi tra la gioventù e i suoi antenati, intendendo con la prima parola voi e con la seconda noi.(…) I giovani hanno lasciato per troppo tempo esclusivamente nelle nostre mani le decisioni nelle questioni nazionali che sono più vitali per loro che per noi. (…) Il mio scopo è tutto il contrario dell’antagonismo: è la solidarietà. Voglio che sia chiaro per tutti voi che per i giovani è giunto il momento di richiederla, e con coraggio.
James Matthew Barrie 1860-1937


Allora noi diciamo: quello di Milano è soprattutto un problema di rappresentanza.
Cerchiamo per Milano un ufficio di pubbliche relazioni, che ci faccia conoscere non solo a Roma, ma in Europa, nel mondo. E al contempo, invertendo la rotta, che ci faccia conoscere qui, al nostro pubblico ancora potenziale, che stanco di 8 ore di lavoro e del traffico si addormenta davanti al reality; che preferisce di gran lunga investire 10 euro nell’happy hour; che pensa ancora che la cultura sia noiosa; che non ha proprio i soldi per il biglietto.
Cerchiamo per Milano un buon ufficio stampa.
E candidiamo a questo ruolo le nostre istituzioni: Comune, Provincia, Regione, Stato. E candidiamo a loro partner i forti poteri economici della nostra città. E, nel solco della tradizione della migliore borghesia milanese di un tempo, candidiamo i nostri concittadini più abbienti al mecenatismo, nobile arte caduta un po’ in disuso.
Investiamo in promozione, in pubblicità, in rappresentanza! Investiamo in creatività organizzativa! Mischiamo le carte!
A Milano le cose esistono già. Le cose si producono, si fanno. Si fa ricerca, si fa rete, si fa arte. A Milano ci sono talenti sensibili e votati all’innovazione. Talenti che ascoltano, guardano, si nutrono di contemporaneità. Che cosa avviene nel mondo? Che cosa il mondo sta chiedendo alla politica, all’economia, all’istruzione e di conseguenza alla cultura, al teatro? In che modo io, artista, intellettuale, operatore culturale, posso rispondere alle pressanti, urgenti domande del presente andando da un lato in fondo alla mia arte e dall’altro lato allargando lo sguardo al di fuori del mio piccolo giardino?
Crediamo che a Milano sia forte il dato di produzione artistica di qualità. Non è una città di cialtroni Milano, è una città di lavoratori appassionati, di imprenditori, di idee.
Ma quanto è debole lo sguardo. Ed è questo il lato da potenziare se non si vuole che la cultura, non solo rimanga cultura d’elite, ma cultura di un’elite asfittica, miope, che si parla addosso, che si fa le seghe.

Appunti concreti:

1) STABILITA’
Milano come sistema teatrale della stabilità. E’ importante è vero. Abbiamo recepito questo insegnamento nelle sue parti migliori trasformandolo in realtà più legate all’oggi come quelle di “case del teatro”, o di “residenze”, concetti per cui non esistono ancora adeguati strumenti politici e finanziari. Ci sono le convenzioni a garantire le stabilità, ma i nuovi spazi culturali che si sono fatti conoscere legati a un luogo e/o a un’idea sono progetti per cui le istituzioni devono ancora inventare adeguate normative. La magica coppia Grassi/Strehler è storia vivente e regolamentata. Possiamo provare dai prossimi incontri a ragionare sul presente, su ciò che ancora va fatto?


2) INNOVAZIONE
Il meticciato degli spazi scenici, l’ibridazione con le arti visive, la performance, la nuova danza. Per anni considerate parolacce, forse ancora oggi si suggerisce. Attenzione però…non c’è il rischio che “prosa” diventi una parolaccia, che “teatro” diventi una parolaccia, che “testo” diventi una parolaccia? Massimo rispetto per le differenze noi suggeriamo. Apertura ai talenti internazionali suggeriamo. Sguardo a ciò che avviene nel mondo. Se c’è un errore da evitare quell’errore è inventare nuove etichette, uccidere una lobby per farne vivere un’altra, far coincidere l’innovazione con una sola espressione scenica e con una sola generazione. Le seghe ci sono in prosa e in performance, per giovani e meno giovani, perché non è il semplice essere giovani a renderci dei talenti. Ma attenzione: essere giovani non è neppure una moda che le altre generazioni possono cavalcare quando fa comodo.

3) MURI e CAROVANE
Milano è impegnata in una ristrutturazione edilizia. Teatri che si rinnovano, che si aprono. Grandi cantieri. Per farsi ascoltare bisogna avere una casa? Non si può essere una risorsa per il paese e per la propria città solo in base al lavoro sul territorio, al fatto che si abbiano o meno dei muri. Molti di noi producono spettacoli di qualità che circuitano a livello nazionale, senza l’appoggio della consorteria malata degli scambi e sono dunque bandiera di tutti quei gruppi che per anni non hanno avuto appoggio dai nostri stessi teatri, dai nostri concittadini che si occupavano di cultura. Bisogna giudicare e valorizzare gli artisti per la qualità della loro offerta, che è spesso indipendente dal fatto di avere una casa. Nel caso in cui poi questa casa ci sia – Teatro i è l’esempio di cui noi possiamo parlare- è una casa particolare, indipendente, frutto di esigenze complesse di produzione e di dialogo, gestita più dall’entusiasmo che dalle effettive possibilità economiche, con tutte le potenzialità e le fragilità che un assetto del genere può avere.

4) RETE
Non solo rafforzare la propria identità, ma rischiare delle collaborazioni che possano potenziarci, magari a più lungo termine. La Festa del Teatro è un esempio illuminante, ma non lasciamolo esempio isolato. Mischiamo le carte. Come dicevamo un po’ di anni fa… dipingiamo i centri sociali d’oro, facciamo i graffiti sui muri del Piccolo. Sposiamoci fuori dalla famiglia. Nasceranno figli più sani.


5) GIOVENTU’ BRUCIATA
Abbiamo tra i venti e i quarant’anni. Fateci lavorare! Lasciateci lavorare! Lavorate insieme a noi!


L’incontro in Provincia con l’On.Elena Montecchi è stato salutato come un piccolo evento. Da anni non accadeva che Roma si interessasse a noi. Ci chiediamo come sia stato possibile. Problema di rappresentanza appunto. Il pubblico reagisce con entusiasmo alla Festa del Teatro. Da cosa dipende? Dal basso prezzo del biglietto o piuttosto da un investimento ottimo in pubblicità e promozione?
 


 

Le Buone Pratiche 3/2006: La questione meridionale del teatro
Tutti a Napoli il 7 dicembre!!!

a cura di ateatro
in collaborazione con i Teatri di Napoli, Comune di Napoli e Regione Campania

di Franco D’Ippolito, Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino

 

Napoli, Sala Campana, Castel dell’Ovo, 7 dicembre 2006

Le Buone Pratiche approdano finalmente al Sud, a Napoli. Non è stato facile, come sanno bene i fedeli lettori di ateatro, ma ce l’abbiamo fatta e ne siamo molto felici: era importante e necessario, e siamo certi che questa terza edizione (per gli amici BP3/2006) sarà utile.

A novembre 2004 a Milano avevamo provato a tracciare nell’incontro la mappa, al di fuori di pregiudizi e luoghi comuni, di alcune opportunità per uscire dalla crisi del teatro italiano. Nel novembre 2005 a Mira (Ve), abbiamo discusso con alcune personalità non direttamente impegnate nel settore sul tema “Il teatro come servizio pubblico e come valore: lo spettacolo dal vivo tra economia, politica e cultura” e abbiamo lanciato la parola d’ordine l’1% del Pil alla cultura, che è stato accolto nel programma elettorale dell’Ulivo e di altre forze politiche (di tutto questo trovate ampia traccia negli archivi di ateatro).
L’edizione 2006 è centrata su un terzo tema, anche se riprenderemo e rilanceremo anche le sollecitazioni delle prime due edizioni.

Ci incontreremo il prossimo 7 dicembre 2006 a Napoli, Castel dell’Ovo (dalle 10,00 alle 19,00) per il nostro terzo appuntamento sul tema “La questione meridionale nel teatro” .



Un solo dato. Nel Sud e nelle Isole vive circa il 35% degli italiani; nelle stesse Regioni tutti gli indicatori delle attività culturali e dello spettacolo sono attestati tra ul 15 e il 20% (dato 2004).

La questione meridionale del teatro sta nel divario nord-sud dei finanziamenti pubblici alla produzione ed alla distribuzione, delle sale agibili, del numero delle recite programmate, ma non solo. Sta anche nella difficoltà di sviluppare politiche attive di contrasto delle povertà materiali (attraverso l’occupazione diretta ed il vasto indotto che produce) e immateriali (che attengono alla qualità della vita delle comunità e al capitale civico dei territori), ma non solo. Sta nella specificità del “pensiero meridiano” e nelle punte d’eccellenza e nei modelli organizzativi e artistici che funzionano, ma non solo. Sta pure nella condizione di solitudine della passione dei talenti che nessuna legge o regolamento potrà misurare ma che senza quei riferimenti normativi certi continuerà a produrre l’individualismo delle azioni e dei pensieri. E forse sta in altro ancora, nella necessità di un’utopia, di cui il teatro e gli uomini non possono fare a meno.

Porremo a tutti noi alcune domande:

- “come può contribuire il teatro al superamento della questione meridionale intesa come palla al piede del sistema Italia?”;

- “quale grado di consapevolezza ha raggiunto l’imprenditoria privata nel considerare la crescita culturale parte irrinunciabile ed imprescindibile dello sviluppo economico del territorio?”;

- “cosa comporta e che significa per il sistema teatrale italiano il sotto la media delle produzioni, delle recite, delle sale teatrali, degli spettatori, delle risorse pubbliche e private del teatro meridionale?”;

- “come dare continuità alle pratiche teatrali meridionali e regolare le relazioni fra istituzioni, Enti Locali, organismi distributivi e teatri e compagnie?”;

- “quali politiche locali teatrali promuovere mentre si vanno definendo i nuovi assetti Stato/Regioni, magari avviando proprio dal Sud una ricomposizione degli obiettivi strategici (come ripartire il FUS, a chi e perché, qual è l’ambito nazionale e qule la rilevanza regionale);

- “è ancora realisticamente perseguibile, e come, l’obiettivo lanciato nell’incontro di BP2 a Mira, e raccolto da quasi tutte le forze politiche nella scorsa campagna elettorale, di portare all’1% del PIL la quota del bilancio statale per la cultura?”.

Ci piacerebbe che l’incontro meridionale fosse anche capace, con il contributo di tutti i partecipanti, di immaginare un’utopia per il Sud, un pensiero alto, non misurabile, che accompagnasse le cose concrete che si possono fare e che si debbono fare e che possa restituire alle donne ed agli uomini meridionali il “sogno del bello”.

Apriremo inoltre una sezione sulle “buone pratiche 2006”. Invitiamo dunque operatori e amministratori a presentare ciò che di positivo e di replicabile hanno fatto o stanno facendo (per questa sezione sarà necessario inviare la propria “buona pratica” per iscritto a info@ateatro.it almeno 15 giorni prima dell’incontro di Napoli).

Presto pubblicheremo il programma dell’incontro e le notizie utili per organizzare il vostro viaggio ed il vostro soggiorno a Napoli (alberghi, b&b e ristoranti convenzionati). Le caratteristiche degli incontri restano quelle della prime due tornate delle Buone pratiche: assoluta indipendenza e libertà, autogestione e trasparenza, partecipazione gratuita, diffusione delle relazioni (sempre gratuita) sul sito www.ateatro.it, discussione aperta sia nel corso dell’incontro sia nei forum di www.ateatro.it.


 


 

Ritratti ateatro: Marco Baliani
Un video in quattro frammenti
di Orsola Sinisi

 

Per vedere questo mini-serial è necessario installare QuickTime.

Prima parte (6098 KB).

Seconda parte (4376 KB).

Terza parte (4857 KB).

Quarta parte (5560 KB).


 


 

Danzare i segni
Metaphore di Carolyn Carlson tra musica turca, grafia araba e danza dell’interiorità
di Andrea Balzola

 



Nell’ambito della rassegna “Tersicore, nuovi spazi per la danza” che ha aperto la sua stagione autunnale al Teatro Valle di Roma, la grande coreografa finnico-americana Carolyn Carlson ha presentato il suo progetto/evento “Metaphore. Viaggio dell’anima verso l’illuminazione”, un’inedita contaminazione coreografica fra danza, musica rey eseguita dal vivo dal gruppo turco di Kudsi Erguner e pittura calligrafica realizzata e videoproiettata in scena dell’iraniano Hassan Massoudy.
Se il tema è antico, deliberatamente atemporale, quello della ricerca delle sorgenti originarie del sentimento amoroso, in una dimensione di “mistica amorosa” dove desiderio umano e vocazione spirituale sono indifferenziati, le modalità di interpretazione sono singolari e inedite nel percorso artistico della Carlson. Uno spettacolo riportato alla triade essenziale del segno-suono-movimento, che sarebbe piaciuto al Mallarmé teorico di un teatro totalmente astratto e a-rappresentativo, Mallarmé che vedeva nella danza l’unica arte “materiale” capace di dialogare con l’astrazione simbolica della parola poetica e della musica. Danza contemporanea, capace cioè di ricreare metaforicamente non solo i movimenti interiori ma anche i gesti e gli automatismi del quotidiano contemporaneo, e scrittura antica, arte della calligrafia che ad Oriente (dall’estremo al medio Oriente) continua a mantenere integrate la bellezza del significato con la bellezza del significante, e dove lo scrivere è ancora arte legata al virtuosismo della mano, così la scrittura è necessariamente micro-danza del gesto e del segno. Con l’ausilio di una telecamera che ha la semplice funzione di lente d’ingrandimento per il pubblico, il calligrafo-artista iraniano Hassan Massoudy, usando spatole, pennelli e inchiostro di china su carta, scrive i passi di un moto interiore che si intreccia con i corpi e le ombre dei danzatori in azione davanti allo schermo (i bravissimi Alessandra Vigna, Jordi Puigdefabregas Serra, Larrio Ekson). Mentre l’ipnotica musica rey guidata da Erguner s’innerva nelle traiettorie grafiche e coreografiche, lo spettacolo si sdoppia sulla scena in un alter ego di ombre proiettate dei danzatori e di ombre dipinte, così l’idea di corpo e di segno, di animato e inanimato, di bianco (luce) e di nero (oscurità) si scambiano continuamente. E’ una partitura di segni corporei e incorporei, ma anche una sintesi espressiva dove le differenti matrici etno-culturali si fondono senza confondersi, un dialogo intimo tra le diversità che simbolicamente oggi l’arte contrappone ai modelli belligeranti della politica mondiale, e suggerisce una momentanea ma rassicurante sensazione vedere una “amorosa” danza di un americana con la scrittura di un iraniano. Carolyn Carlson naturalmente non è nuova a queste esplorazioni e a questi meticciati artistici, quello che però caratterizza la sua ricerca è però un insegnamento prezioso (parallelo a quelli del teatro di Peter Brook e Arianne Mnouchkine), in tempi dove l’ideologia torna con forza sulle scene e sui set: i valori etici e simbolici non possono essere pregiudiziali ma sono consustanziali al linguaggio delle arti, cioè devono passare attraverso il rigore delle scelte espressive, l’arte non è infatti un contenitore sia pure di nobili principi e cause, è un modo di sentire, di vedere, e di raccontare il mondo. Metafora (perciò con tutte le sue ambiguità e la sua polisemia) piuttosto che Tesi.


 


 

Per i 70 anni di Eugenio Barba
L'Odin Teatret in Puglia
di Ufficio Stampa

 

Regione Puglia Assessorato al Mediterraneo
Teatro Pubblico Pugliese
Provincia di Foggia
Provincia di Lecce

in collaborazione con
Cantieri Teatrali Koreja - Oda teatro Cerchio di Gesso - Ass.Attraverso lo spettacolo


L'Odin Teatret in Puglia
Per i 70 anni di Eugenio Barba

dal 4 al 14 ottobre: Spettacoli, Spettacoli dimostrazione, Seminari pratici, Incontri con i gruppi di base di teatro pugliese



Sabato 23 settembre 2006
Conferenza stampa con:
Silvia Godelli, Carmelo Grassi, Salvatore Tramacere, Tonio de Nitto, Mario Pierrotti, Egidio Pani



“La nostra origine è stata l’ombra, ed è nell’ombra che preferiamo vivere. E’ nell’anonimo lavoro quotidiano che incontriamo la sfida sempre uguale che mette alla prova l’intensità e la credibilità delle nostre motivazioni. Siamo venuti dal buio e augurateci che quando scompariremo nel buio il nostro ultimo sogno sia come il primo, quello che avevamo da giovani: essere come nomadi San del deserto Kalahari che si muovono in direzione dei lampi, perché dove c’è tempesta, c’è acqua, vegetazione, vita”.

“Tutto scompare, tutto muore, ma il teatro resta il posto dove anche gli essere più anonimi hanno la possibilità di diventare personaggi."


Vita teatrale autentica, impressionante teatro del corpo.

Nato a Brindisi, è partito da Gallipoli per la Nunziatella, poi la Scandinavia, le miniere di Kiruna, l'India, il canale di Suez, la Cina, il Giappone, le Indie orientali, gli Usa, ha vissuto anche in un kibbutz israeliano, poi la Polonia, la collaborazione con Grotowski, la vita in un circo bulgaro, Oslo...

Eugenio Barba il 29 ottobre compie 70 anni. La Regione Puglia e il Teatro Pubblico Pugliese gli rendono omaggio ospitandolo in Puglia con l'Odin Teatret per 10 giorni. Dal 4 al 14 Ottobre: Spettacoli, Spettacoli dimostrazione, Seminari pratici e Incontri. Poi, una due giorni con Barba, il 13 e 14 ottobre (il 13 a Lecce, il 14 a Foggia). Giorni in cui il regista pugliese - trapiantato a Oslo, dove ha fondato nel ’64 l’Odin Teatret - ha chiesto di incontrare tutti i gruppi di base di teatro pugliese. Una chiamata alle armi intorno ai temi del Teatro Antropologico, del Terzo Teatro.

L’Odin Teatret in Puglia è un progetto del Tpp, sostenuto dalla Regione Puglia, con gli interventi della Provincia di Lecce e della Provincia di Foggia, e organizzato in collaborazione con i Cantieri Teatrali Koreja, L'Oda Cerchio di Gesso e l'Ass. Attraverso lo spettacolo, con il fondamentale lavoro di appassionata ricerca e sensibile studio di Egidio Pani e del prof. Franco Perrelli.

I Cantieri Koreja e l’Oda Cerchio di Gesso svolgeranno il difficile compito organizzativo, di accoglienza e di promozione del pubblico sul territorio, integrando con l’Odin le proprie esperienze, le visioni, le filosofie culturali figlie, esse stesse - anche - del passaggio e degli insegnamenti di Eugenio Barba.

4 gli spettacoli che l’Odin porterà sulle scene dei teatri dei Cantieri a Lecce e Del Fuoco-Oda Teatro a Foggia: Il libro di Ester, Sale, Le grandi città (unico con l'ensamble), Il tappeto volante. 3, invece, gli Spettacoli dimostrazione (Lettere al vento, Il fratello morto, Sentieri del pensiero) – momenti in cui gli attori , 6 i seminari pratici sul lavoro fisico e vocale dell'attore.

I due incontri con Barba si terranno a Lecce (il 13) presso i Cantieri Koreja, e qui il maestro parteciperà alla presentazione dell’ultimo libro scritto da Franco Ungano “Dimettersi dal Sud”, edito da Laterza. Strettissimo il legame di Eugenio Barba con il Salento, a cominciare dalle due storiche, dionisiache residenze nel ’74 e ’75 a Carpignano e a Serrano (“Come and the Day Will Be Ours”, “Min Fars Hus”…), e poi nel 2002 a Koreja (“Mythos”, “Otello”, “Casa di bambola”…).

L’incontro foggiano (il 14) si terrà nell’Oda Teatro del Cerchio di Gesso. Un appuntamento particolarmente significativo, forse, perché di fatto sembra essere la prima frequentazione teatrale in terra dauna di Eugenio Barba. E sarà anche la prima volta dell’Oda anche al Teatro del Fuoco, dove è prevista la prima rappresentazione. Sono chiamate a raccolta tutte le compagnie teatrali, gli attori, i registi non solo pugliesi, ma delle regioni vicine, la Basilicata, il Molise, la Calabria, la Campania.

Abbiamo chiesto a Barba di lasciarci una riflessione in esclusiva per questa conferenza stampa. Eccola:

Più mi sono allontanato dalla mia terra e dalla mia lingua, più si è distillato in me il senso delle mie origini. Ho lasciato il Sud per riscoprirlo sotto mille raffigurazioni ed incontri in mezzo secolo di emigrazione.
Nel mio teatro, la camera segreta è la mia infanzia meridionale.
Il teatro ha costituito uno strumento prezioso per fare incursioni in zone del mondo che sembravano fuori dalla mia portata.
Incursioni nelle terre incognite che caratterizzano la realtà verticale, o spirituale, dell’essere umano. E incursioni nello spazio orizzontale delle relazioni umane, degli ambiti sociali, dei rapporti di potere e della politica, nella vischiosa realtà quotidiana di questo mondo che abito, ma a cui non voglio appartenere.
Ancora oggi continua ad avvincermi il fatto che il teatro fornisce strumenti, vie e coperture per incursioni nella doppia geografia: quella che mi circonda e quella che sono io a circondare. Da un lato il mondo esterno, con le sue regole, la sua vastità, le sue zone incomprensibili e seducenti, il suo male ed il suo caos; dall’altro il mondo interno con i suoi continenti ed oceani, le sue pieghe e i suoi fecondi misteri.
Cosa è stato il training dei miei attori se non un ponte fra questi due estremi: fra l’incursione nella macchina del corpo e l’apertura di varchi all’irruzione di un’energia che rompe i limiti del corpo?
Con la sua camera segreta, il teatro è per me il mestiere dell’incursione, un’isola galleggiante di dissidenza, una radura nel cuore del mondo civilizzato. Rare, privilegiate volte, è la turbolenza del Disordine che scuote il mio modo familiare di convivere con lo spazio ed il tempo attorno a me e, creando scompiglio, mi costringe ad affrontare l’altra parte di me.

Eugenio Barba



Agli spettacoli, per 150-200 spettatori a seconda della pièce proposta) non sono ammesse telecamere e macchine fotografiche.


www.teatropubblicopugliese.it

 


 

A Milano la Festa del Teatro
Domenica 29 ottobre sale aperte in tutta la città (e gratis...)
di Ufficio Stampa

 

FESTA DEL TEATRO – TEATRI APERTI
PRIMA EDIZIONE
MILANO 29 OTTOBRE 2006

Per la prima volta a Milano per scegliere e vedere nello stesso giorno, spettacoli, eventi e visite guidate, gratuitamente o al costo di 3 euro.

Domenica 29 ottobre, dalle 10 alle 24, i teatri di Milano aprono le loro porte e i loro sipari per incontrare la città.
Grande festa di apertura sabato 28 ottobre, dalle 21.30 a notte fonda, al MIL – Museo dell’Industria e del Lavoro negli ex magazzini Breda di Sesto San Giovanni.

30 teatri aperti, 54 spettacoli, 4 incontri, 1 convegno, 6 laboratori, 7 visite guidate, 2 treni, 1 stazione ferroviaria, prove e lezioni aperte, 5 bistrot e 252 protagonisti:

ABA Corrado Accordino AKTËRA GROUP - Cantieri Nomadi di Pavia Roberta Alloiso Alma Rosé Erica Altomare Alejandro Angelica Teatro Arsenale Simona Assandri Associazione Baretti Alberto Astorri ATIR Pietro Babina Giulia Bacchetta Anna Bandettini Giulio Baraldi Magdalena Barile Giulio Barocchieri Fabio Battistini Marina Belli Ambra Beltrami Susanna Beltrami Gabriele Benedetti Chiara Bergamasco Andrea Bernasconi Daniele Bernicchia Paolo Bignamini Matteo Bittante Michela Blasi Anna Bonaiuto Valerio Bongiorno Sara Borsarelli Nicola Bortolotti Carola Boschetti Antonio Bozzetti Carla Bozzoli Marco Brambilla Gianlorenzo Brambilla Brancaleone Stefano Braschi Laura Bresciani Cinzia Brogliato Teatro del Buratto Nathalie Caldonazzo Francesco Campanoni Salvatore Cantalupo Fausto Caroli Enrico Casagrande Giulio Casale Claudine Castay Annamaria Castelli Alessandro Castellucci Andrea Catani Elena Cattaneo Valeria Cavalli Andrea Cereda Chance Eventi Sarah Chiarcos Luca Chiaregato Compagnia Carlo Colla e figli Luigi Chiarella Marcello Chiarenza Luca Ciancia Renata Ciaravino Roberto Ciufoli Valentina Colorni Comteatro Roberta Cortese Alessandra Crocco CRT Giulia Dall’Ongaro Carlo Decio Pippo Del Bono Gianfranco D’Angelo Maria Eugenia D’Aquino Luigi de Angelis Corrado D’Elia Eugenio De Mello Enrico Deotti Andrea De Rosa Eugenio De’Giorgi Alessandra De Santis Massimo de Vita Liliana Di Calogero Andrea Di Casa Salvatore Di Natale Dionisi compagnia teatrale Federica Di Rosa Filippo Dini Ditta Gioco Fiaba Dj Per Signora Miriam Dubini Elsinor Elicoides - Associazione diffusione Tajii Davide Enia Mattia Fabris Matilde Facheris Michele Faggiano Rossella Falk Favilla Elisabetta Ferrari Manuel Ferreiro Fanny&Alexander Guglielmo Ferro Teatro Franco Parenti Francesco Ferrieri Festival Suq Filarmonica Clown Teatro Filodrammatici Lorenzo Fontana Goffredo Fofi Federica Fracassi Niccolò Franchi Barbara Frantoli Luca Fusi Silvia Gallerano Alessandra Gadda Paola Galli Don Andrea Gallo Gianluigi Gherzi I Giochi del Sole Silvio Giordani Maria Gabriella Giovanelli Fondazione Giorgio Gaber Teatrino Giullare Compagnia Gloriababbi Vladimir Todisco Grande Moira Grassi Teatro degli Incamminati Claudio Intropido Kuniaki Ida Giancarlo Judica Cordiglia Christian Laface Chiara Lagani Nicola Lanni Alessandro Larocca Latoparlato Gustavo La Volpe Piero Lenardon Litta_produzioni Frédérique Loliée Elena Lolli Pietro Longhi Giovanna Lo Vecchio Emanuele Luzzati Alessandra Maculan Roberta Mandelli Maria Grazia Mandruzzato Olivia Manescalchi Macrò Maudit Guido Manuli Francesca Marchegiano Manuel Marcuccio Raffaella Maregalli Riccardo Margherini Ida Marinelli Luciana Melis Teatro della Memoria Flavia Mastrella Fiorenza Menni Mercadante Teatro stabile di Napoli Fulvio Michelazzi Claudio Milani Angelo Miotto Rossella Mirmina Teatro delle Moire Ivana Monti Stefano Monti Gigio Morra Elisabetta Mossa Luca Mosso Giorgia Motole Chiara Murru Monica Nappo Elisa Nardin Massimo Navone Attilio Nicoli Cristiani Daniela Nicolò Lorena Nocera Alessandra Novaga Armando Novara Teatro Officina Ondulazione Inversa Claudio Orlandini Outis Francesco Paglini Gabriele Palimento Franco Palmieri Anna Panzone Raffaella Pastorelli Betty Pedrazzi Carla Peirolero Carmen Pellegrinelli Maurizio Porro Stefano Petti Alberto Pezzotta Associazione Pierlombardo Danza Maria Antonia Pingitore Angelo Pireddu Francesca Poliani Teatri Possibili Quelli di Grock Annig Raimondi Erika Ramirez Giampiero Rappa Roberto Rebaudengo Andrea Renzi Antonio Rezza Marco Rigamonti Robabramata Edmondo Romano Marco Roncoroni Giovanna Rossi Carlo Rossi Patrick Rossi Gastaldi Andrea Ruberti Nicola Russo Elena Russo Arman Elisa Salvaterra Luciana Savignano Scalodieci Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi Matteo Scanni ScenAperta Vicky Schaetzinger Swewa Schneider Arianna Scommegna Toni Servillo Yang Shi Anna Siccardi Francesco Silvestri Enzo Simeoni Serena Sinigaglia Marina Spreafico Maria Grazia Solano Valentina Sordo Franco Spadavecchia Bruno Stori Valeria Talenti Teatridithalia Paola Tintinelli Barbara Toma Fondazione Teatro Stabile di Torino Paolo Trainini Maria Laura Tropea Teatri Uniti Tommaso Urselli Luca Uslenghi Chiara Villani Guendalina Zampagni Daniela Zighetti


La FESTA DEL TEATRO è promossa da Provincia di Milano/Settore cultura, Direzione Generale Cultura e Turismo e dall’Agis lombarda con il patrocinio di Comune di Milano/Settore cultura, Fondazione Cariplo e la collaborazione di C.P. COMPANY, La Feltrinelli, Grandi Stazioni, Trenitalia, Coop.

Info: www.lombardiaspettacolo.com

 


 

Beckett&Puppet
In rassegna a Gorizia e Trieste per PuppetFestival
di Ufficio Stampa

 

Beckett&Puppet
un
progetto del cta - Centro Regionale di Teatro di Animazione e di Figure dedicato al rapporto tra Samuel Beckett e il Teatro di Figura nel centenario della nascita dello scrittore irlandese

a cura di Antonella Caruzzi, Fernando Marchiori, Roberto Piaggio


Gorizia 13 – 15 ottobre 2006
Trieste 16 – 19 ottobre 2006

in collaborazione con
Istituto per i Beni Marionettistici e il Teatro Popolare – Torino
Bonawentura/Teatro Miela –
Trieste Associazione Alpe Adria Cinema – Trieste
INCANTI, Rassegna Internazionale di Teatro di Figura
– Torino
Il dottor Bostik/Unoteatro
– Torino
Festival delle Colline Torinesi
Scuola Holden
– Torino
Associazione MITTELFEST
– Cividale del Friuli (Udine)
Centro polifunzionale di Gorizia – Corsi di Laurea per traduttori e interpreti – Università degli Studi di Udine

con il sostegno di
Ministero per i Beni e le Attività Culturali Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
Provincia di Gorizia/Assessorato alla Cultura Comune di Gorizia/Assessorato alla Cultura Ente Regionale Teatrale del Friuli Venezia Giulia
Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia
con il patrocinio di Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
ATF - Associazione Teatri di Figura/AGIS


Il Teatro di Figura celebra Samuel Beckett, nel centenario della nascita, con una serie di eventi articolati nel Progetto Beckett&Puppet, ideato e promosso dal cta - Centro regionale di Teatro di Animazione e di Figure di Gorizia.
Cuore dell’iniziativa è stato il bando di concorso per la messa in scena di un progetto di spettacolo ispirato alle opere e alla figura di Samuel Beckett da realizzarsi con i linguaggi propri del Teatro di Figura. Ben ventitré compagnie vi hanno partecipato, italiane ed estere, con un ricchissimo ventaglio di proposte, tanto più interessanti in quanto provenienti, per la maggior parte, da artisti non sempre riconducibili all’ambito specifico del Teatro di Figura.
Il confronto del Teatro di Figura con il drammaturgo irlandese ha coinvolto manifestazioni internazionali di settore come il PuppetFestival di Gorizia e Incanti di Torino, insieme a grandi eventi teatrali come il MittelFest di Cividale del Friuli o il Festival delle Colline Torinesi. Inoltre un’intera notte di spettacoli dedicati alle figure e a Beckett è stata organizzata da Il Dottor Bostik/Unoteatro e dal Teatro Stabile di Torino, mentre uno spazio dedicato al progetto Beckett&Puppet è stato inserito nel convegno sul drammaturgo irlandese organizzato in giugno, sempre a Torino, dalla Scuola Holden. E a Trieste ancora cinema e video con l’Associazione Alpe Adria Cinema e Bonawentura / Teatro Miela.

Beckett e il Teatro di Figura
Che Samuel Beckett abbia influenzato profondamente il teatro di figura, lo dimostrano i numerosi allestimenti con fantocci e oggetti che all’opera dell’autore di Aspettando Godot si sono ispirati o che ne hanno messo in scena i testi. Ma l’universo burattinesco ha a sua volta influenzato la scrittura, non solo teatrale, di Beckett. In fondo, tutti i suoi lavori sono dei drammi per personaggi ridotti a marionette, manipolati come oggetti, con relazioni frammentarie in scene concepite come meccaniche dell’assurdo. Personaggi che saltano invece di camminare, che restano legati a una sedia a dondolo o a rotelle, mezzi uomini, pezzi di carne. Sbucano dai bidoni della spazzatura proprio come dei burattini dalle loro baracche, oppure corrono come nelle comiche, si afflosciano, ripetono movimenti elementari, diventano sagome, ombre.
La direzione è sempre la stessa: scomposizione del corpo, ricomposizione in una partitura gestuale differente, scrittura come referto di fenomeni e non di psicologie, frammentazione dell’evento, ingrandimento del dettaglio, ripetizione come ritmo interno alla pagina e alla scena. E il paradosso di cercare la scrittura nel fallimento della scrittura, la vita – il suo puro accadere, senza pensiero – in personaggi inorganici.
In questo senso, marionette e burattini sono “beckettiani” prima di Beckett.
Indagare il “tema della marionetta ” in Beckett – e attraverso Beckett – significa dunque guardare in una prospettiva diversa l’opera di uno dei più grandi autori del Novecento e insieme assumere i linguaggi del teatro di figura, le loro potenzialità originali, come campo di ricerca all’altezza delle questioni che la complessità del presente pone alle arti sceniche.

Fernando Marchiori

programma

venerdì 13 ottobre

GORIZIA
Auditorium della Cultura Friulana
ore 17.00 Inaugurazione con apertura della mostra dei progetti selezionati al concorso Beckett&Puppet (a cura di Alfonso Cipolla), intervento del Dottor Bostik/Unoteatro con un frammento dallo spettacolo B&B (Beckett&Bacon)

ore 18.30 Otto Mani Diver Genti (Treviso)
En attendant Pierrot
prima assoluta

Kulturni Center “L. Bratuž”
ore 21.00 Bruno Leone e Gaspare Nasuto (Napoli)
Aspetta aspetta
prima assoluta


sabato 14 ottobre

GORIZIA
Auditorium della Cultura Friulana
Convegno
Beckett e il Teatro di Figura
a cura di Fernando Marchiori

ore 10.00-13.00 PRIMA PARTE
coordina Alfonso Cipolla

Fernando Marchiori: Figure beckettiane e beckettismo delle figure

Ultimo nastro di Krapp, frammento teatrale del Dottor Bostik

Edvard Majaron: La drammaturgia nel Teatro di Figura contemporaneo: influenze di Beckett?

Proiezione di Variaciones sobre B (1990) del Periférico de objetos, regia di Daniel Veronese, con Ana Alvarado, E. García Wehbi e Daniel Veronese

Ana Alvarado: Su Beckett e il Periférico

Marisa Sestito: Beckett: integrità perdute, ordinate ricomposizioni

Aspetta aspetta, frammento teatrale di Bruno Leone e Gaspare Nasuto

Gabriele Frasca: Prima o poi tutti i pupazzi piangono

ore 15.00-18.00 SECONDA PARTE
coordina Fernando Marchiori

Alfonso Cipolla: Arrivando Godot. Riflessioni per un Teatro di Figura beckettiano

En attendant Pierrot, frammento teatrale di Paolo Papparotto

Roberto Canziani: Risibile! Davvero si ride con Beckett?

John McCormick: Il Teatro di Figura di Samuel Beckett

Alessandro Serra: L’ordinaria eternità della pausa beckettiana

Proiezione di Eh Joe (1979), regia di Samuel Beckett e Walter Asmus, con Heinz Bennent e Irmgard Först

Luca Scarlini: La marionetta del destino: l'uomo beckettiano di fronte all'occhio-belva dell'esistenza

Auditorium della Cultura Friulana
ore 18.30 Viva Opera Circus (Vallese di Oppiano - Verona)
Non io – Beckett e il suo universo (studio)

Kulturni Center “L. Bratuž”
ore 21.00 Teatropersona (Civitavecchia – Roma)
Beckett Box
progetto vincitore del concorso Beckett&Puppet
prima assoluta



domenica 15 ottobre

GORIZIA
Auditorium della Cultura Friulana
Convegno
Beckett e il Teatro di Figura
ore 10.00 TERZA PARTE
tavola rotonda con Dino Arru, Daniel Blanga Gubbay, Antonella Caruzzi, Gianni Franceschini, Alfonso Cipolla, Costanza Givone, Luana Gramegna, Bruno Leone, Fernando Marchiori, Gaspare Nasuto, Paolo Ruffini, Alessandro Serra e altri artisti e critici presenti al festival

Kulturni Center “L. Bratuž”
ore 16.00 Opus Personae (Sesto S. Giovanni - Milano)
Machina Murphy (studio)

Kulturni Dom
ore 17.00 Zachès (Scandicci – Firenze)
One reel
prima assoluta

ore 18.30 Pathosformel (Venezia)
(Che cosa sono le) nuvole
prima assoluta

Kulturni Center “L. Bratuž”
ore 21.00 Teatrino Giullare (Sasso Marconi – Bologna)
Finale di partita


lunedì 16 ottobre

TRIESTE
Teatro Miela
ore 17.30 Visioni Immagini Sguardi di/da/con Samuel Beckett
rassegna di film e video
a cura dell'associazione Alpe Adria Cinema e Bonawentura/Teatro Miela di Trieste

ore 21.00 Teatropersona (Civitavecchia – Roma)
Beckett Box


martedì 17 ottobre

Teatro Miela
ore 17.30 Visioni Immagini Sguardi di/da/con Samuel Beckett
rassegna di film e video

ore 21.00 Zachès (Scandicci – Firenze)
One reel


mercoledì 18 ottobre

Teatro Miela
ore 10.00 Visioni Immagini Sguardi di/da/con Samuel Beckett
rassegna di film e video
per le scuole



giovedì 19 ottobre

Teatro Miela
ore 10.00 Visioni Immagini Sguardi di/da/con Samuel Beckett
rassegna di film e video
per le scuole



il Concorso BECKETT&PUPPET
Nell’ambito del Puppet Festival 2005, il cta – in collaborazione con l’Ente Regionale Teatrale del Friuli Venezia Giulia – ha bandito il premio Beckett&Puppet per un progetto di messinscena di uno spettacolo di Teatro di Figura ispirato all’opera e alla figura di Samuel Beckett nel centenario della sua nascita. Il concorso era aperto a progetti di spettacoli da realizzare nei linguaggi specifici del Teatro di Figura (burattini, marionette, ombre, pupazzi, oggetti, ecc.) o tramite una commistione di linguaggi riconducibile tuttavia all’ambito e all’orizzonte artistico del Teatro di Figura contemporaneo.
La giuria – composta da Francesco Tullio Altan, Mario Brandolin, Roberto Canziani, Antonella Caruzzi, Edvard Majaron, Renato Manzoni e Fernando Marchiori – ha scelto tra 23 candidati il progetto vincitore e ne ha segnalati altri tre.
Nell’edizione 2006 del PuppetFestival sono sei, tra studi e spettacoli compiuti, i progetti che vedremo realizzati in scena.

Teatropersona (Civitavecchia – Roma)

Beckett Box
progetto vincitore del concorso Beckett&Puppet
prima assoluta

con: Marco Vergati, Gianni Bonavera, Valentina Salerno
regia: Alessandro Serra
produzione: Teatropersona con il sostegno di ARMUNIA

“Abbiamo affollato lo spazio di oggetti impunemente depredati dalle opere di Beckett disperdendone inizialmente i rapporti congeniti con gli altri elementi scenici. Quindi l’oggetto attraverso le improvvisazioni è stato accolto e trattato come semplice accessorio all’interno di uno spazio che ha iniziato da subito a vivere di leggi proprie: le leggi della soffitta della memoria in cui tutto è ammucchiato, spesso confusamente e soprattutto in cui non tutto è portato a termine.
Tutti gli oggetti in Beckett possiedono una vita propria, non stanno lì per caso, essi agiscono. In questo senso risulta ridicolo investigare i loro significati concettuali. Non è ammessa alcuna speculazione in tale direzione. Nel momento in cui Beckett ce li descrive così dettagliatamente a noi non resta che metterli in condizione di emanare.
Ma affinché un oggetto possa emanare occorre che sia in qualche modo precedentemente caricato di vita: l’oggetto logorato. Il lavoro compiuto è stato quello di impedire alla scena e agli oggetti di fingere di essere ciò che non erano.
Quando si ha a che fare con Beckett, anche la più bella delle scenografie finisce sempre per essere una puerile illustrazione del testo. D'altronde come si può essere così ingenui da pretendere di illustrare un mondo che è già di per se un residuato di realtà.
Trattare i personaggi beckettiani come oggetti e non come personaggi è stato il secondo lavoro: emanciparsi dall’imbarazzante interpretazione del personaggio, la pretesa attoriale di tradurre supposti stati emotivi con presunti equivalenti mimici e vocali. Sono sempre più convinto che l’unica via percorribile per l’attore, oggi più che mai, sia elevarsi al rango di fantoccio (parola che contiene in sé l’infante) che non significa essere in grado riprodurne pedissequamente i movimenti della marionetta, ma assorbirne l’essenza.” (Alessandro Serra)

Fondato nel 1998 a Civitavecchia dal regista e drammaturgo Alessandro Serra, Teatropersona è particolarmente attento all’aspetto pedagogico del lavoro teatrale: pratica quotidiana di allenamento dell’attore (training fisico e vocale), seminari teorico-pratici in Italia e all’estero, impegno costante nel proprio territorio nel campo sociale e del teatro per ragazzi, nonché nell’organizzazione di manifestazioni quali il Festival dei teatri di ricerca “Miraggi” e il Festival internazionale degli artisti di strada. La qualità del lavoro scenico si ispira alle tradizioni teatrali incontrate in questi anni di apprendistato: il metodo delle azioni fisiche di Grotowski e dell’Odin Teatret; la Biomeccanica di Mejerchol’d ma soprattutto il teatro di Tadeusz Kantor. Ne risulta una particolare cura per la drammaturgia, le azioni e le partiture fisiche e vocali, e una presenza forte dell’immagine. Prima di affrontare l’universo bechettiano, la compagnia ha realizzato quattro spettacoli: Nella città di K, La terra degli abbracci, Cechov non ha dimenticato e Theresientadt, la città che Hitler regalò agli ebrei (che ha debuttato lo scorso anno al Festival di Santarcangelo ed è attualmente in tournèe in Italia).

Gorizia
sabato 14 ottobre, ore 21.00
Kulturni Center “L. Bratuž”

Trieste
lunedì 16 ottobre, ore 21.00
Teatro Miela


Pathosformel (Venezia)

(Che cosa sono le) nuvole
progetto segnalato al concorso Beckett&Puppet
prima assoluta

tratto da Nuvole di Samuel Beckett
progetto drammaturgico: Daniel Blanga Gubbay
progetto tecnico: Paola Villani
realizzazione e tecnica: pathosformel
audio: Francesca Bucciero
voci: Filippo Andreatta, Daniele Del Giudice

In una piccola discarica in cui gli oggetti abbandonati dialogano tra loro, un vecchio televisore riprende vita per il dramma televisivo Nuvole. Imprigionati al suo interno, si alternano i tristi primi piani e l’esile figura intera di Samuel Beckett. È l’immagine stessa di Beckett a prestare così il corpo al protagonista del dramma, nel tentativo di lavorare – in assenza del video – sul linguaggio televisivo, trasportandolo nel corpo di un burattino. Uno scrittore imprigionato nel proprio dramma, un corpo dai movimenti irrequieti e accompagnato da una voce che denuncia l’insoddisfazione per qualcosa che tarda ad apparire.
Ma qual è l’oggetto di questa attesa sofferta?
È qui che si apre il gioco di specchi deformati in cui manipolatore e manipolazione modificano i propri connotati, gioco d’uscita verso un mondo ritenuto più autentico, gioco in cui nasce il legame con le marionette umane di Che cosa sono le nuvole, episodio cinematografico di Pier Paolo Pasolini. Le marionette fuori uso, portate per la prima volta fuori dal teatro, sono abbandonate a faccia in su in una discarica, a chiedersi cosa siano le nuvole, queste forme strane - e mai viste prima - che solcano la volta celeste.
E per il burattino di Nuvole brucia costante il bisogno di uscire dal televisore, poiché dall’interno non vede quello che, da fuori, è forse intuibile: il mondo esterno non è più fatto della vera discarica e delle nuvole del film di Pasolini, ma di una discarica ricostruita e delle finte nuvole sbiadite.

Pathosformel nasce a Venezia nel 2004 riunendo elementi provenienti da differenti discipline artistiche. Il gruppo parte da una concezione di assenza di gerarchia all’interno degli elementi che compongono una partitura teatrale: lavoro sul corpo, spunti testuali, ricerche artigianali e tecnologiche, rapporto con lo spazio, non predominano l’uno sull’altro a priori ma solo, di volta in volta, in virtù di una resa scenica. Stille Nacht è il suo spettacolo più recente.

Gorizia
domenica 15 ottobre, ore 18.30
Kulturni Dom


Zachès (Scandicci – Firenze)
One reel
progetto segnalato al concorso Beckett&Puppet
prima assoluta

regia: Aleksej Merkushev
scenografia, maschere, oggetti: Francesco Givone
attori: Samuele Mariotti, Luana Gramegna, Costanza Givone
manipolatore: Francesco Givone
musiche originali: Massimiliano Mascagni
tecnico luci e suono: Stefano Ciardi

Uno spettacolo senza parole i cui protagonisti sono maschere con visi grigi e grotteschi, personaggi surreali e ridicoli ma allo stesso tempo tragici: nella loro vita fatta di niente, in cui tutto è finzione, ogni spettatore può riconoscere la realtà che lo circonda. Le parole, che in Beckett perdono la loro funzione primaria di comunicazione, sono sostituite da gesti. In One Reel i due clown-mendicanti di Aspettando Godot vivono una vita senza senso, in un tempo congelato, una sorta di “enorme pausa” in cui ogni uomo può riconoscere il proprio “quotidiano brancolare”. Didi e Gogo sono “imprigionati” in una sorta di film muto, senza inizio e senza fine, destinato a ripetersi all’infinito. La drammaturgia è tradotta in un susseguirsi di gags (che richiamano la comicità di Buster Keaton) che assumono connotati grotteschi. Il mondo di Didi e Gogo è grigio come la loro vita, e solo ogni tanto appare un colore: un momento di libertà grazie ai sogni e all’immaginazione. Con leggerezza Didi e Gogo attraversano ogni ruolo della vita di un uomo: sono padre, figlio, amico, compagno, marito, amante. Ma alla fine rimangono sempre solo loro due, burattini inconsapevoli di un teatro sconosciuto.
Altri due personaggi popolano il mondo di One Reel: Pozzo, il proprietario del cinema, uno strano individuo che vive per far vivere Didi e Gogo, ma anch’egli al servizio di qualcosa o qualcuno più grande di lui, e un vecchio in sedia a rotelle, unico pupazzo dello spettacolo, il solo apparentemente al di fuori del grande gioco di cui gli altri personaggi sono le pedine. Proprio lui, con un dono particolare, rivelerà a Didi e Gogo qualcosa di più grande di loro, qualcosa che forse non potranno capire.

La compagnia Zachès è stata fondata nel 2002 dall’attrice Luana Gramegna e da Francesco Givone, scenografo e illustratore. Opera sia nel teatro per ragazzi (Il bosco incantato) che in quello per adulti (Ritratto ovale, Frida, Suite per un sogno). Nel 2003 l’incontro con Aleksej Merkushev, ballerino, attore e regista russo attivo da quindici anni sulla scena internazionale.

Gorizia
domenica 15 ottobre, ore 17.00
Kulturni Dom

Trieste
martedì 17 ottobre, ore 21.00
Teatro Miela


Otto Mani Diver Genti (Treviso)
En attendant Pierrot
prima assoluta

di e con Cristina Cason, Cristina Marin, Paolo Paparotto, Paolo Saldari
coproduzione Paolo Papparotto Burattinaio e L’Aprisogni

Lo spettacolo “sincronizza” il testo di Aspettando Godot con la tradizione delle maschere della Commedia dell’Arte. Così Vladimiro ed Estragone diventano Arlecchino e Brighella, due zanni irriverenti e affamati, Pozzo un rintronato pantalone e Lucky una Colombina sadomaso al guinzaglio. L’atteso Godot può chiamarsi… Pierrot. Uno spettacolo divertente e divertito, ricco di spunti di riflessione metateatrale. Pur rispettando caratteri e specificità dei tipi tradizionali, il canovaccio costruito per questi burattini a guanto mostra in filigrana una precisa coincidenza con la drammaturgia beckettiana ed è animato dallo stesso spirito straniante e salace dell’autore irlandese.

La compagnia Otto Mani Diver Genti vede riunirsi due formazioni della Marca Trevigiana, quella di Paolo Paparotto Burattinaio e L’Aprisogni. La prima ha prodotto decine di spettacoli visti nei principali festival nazionali e internazionali. Paparotto lavora con i burattini dal 1979. Specializzatosi nella tradizione veneta e nella Commedia dell’Arte, conduce da più di vent’anni un lavoro di recupero del carattere autentico delle maschere veneziane. Vincitore di importanti premi, ha fondato il Centro di Ricerca sul Teatro di Figure e l’associazione Casa di Arlecchino, un crogiuolo di talenti da cui proviene anche Cristina Marin. Dirige la scuola di Teatro dei Burattini di Ponzano (Tv).
I fondatori de L’Aprisogni, Cristina Cason e Paolo Saldari, provengono entrambi dall’artigianato artistico: Cristina dal tessuto d’arte e Paolo dall’intaglio del legno. La compagnia è attiva dal 1992, prima con lavori di illustrazione, poi con spettacoli di burattini e di teatro di figura. Si occupa anche di didattica e formazione professionale.

Gorizia
venerdì 13 ottobre, ore 18.30
Auditorium della Cultura Friulana


Viva Opera Circus (Vallese di Oppiano - Verona)
Non io – Beckett e il suo universo
studio

autore: Vincenzo Todesco
regia: Gianni Franceschini e Vincenzo Todesco
scene dipinte: Gianni Franceschini
con Maria Ellero, Gianni Volpe, Gianni Franceschini

Dall’iniziale comico obbligo ad esistere senza alcuna ragione comprensibile né alcuna ragionevole aspettativa, si snoda in Beckett un coerente, allucinato viaggio verso la distruzione del linguaggio, verso la sua riduzione al semplice soffio della respirazione. Nello spettacolo si viene così a delineare un mondo che tende alla irrappresentabilità, alla forma propria di ciò che è inanimato: sono gli oggetti a dominare la scena, e i corpi ridotti alla loro fissità estrema. Così la contiguità con il mondo delle figure inanimate balza subito agli occhi. La marionetta può mostrare la via per la meta ultima, là dove non è dato movimento né voce: ma il suo percorso non è sempre cupo, segnato dalle eterne angosce umane e, per mezzo di questa libertà paradossale, possono irrompere grazia, poesia, finanche gioia. Le immagini, in tal modo, si generano in sintonia e/o opposizione al testo, ma anche in creazione libera dal riferimento testuale.

Viva Opera Circus è una formazione di recente costituzione (2000), ma la storia artistica dei suoi fondatori e componenti rappresenta quasi un trentennio di attività svolta da professionisti e da protagonisti nel teatro veronese e veneto e nel panorama italiano ed estero. Ne è direttore artistico Gianni Franceschini, attore, regista, pittore, uno dei primi operatori, negli anni ’70, dell’animazione teatrale a Verona. Tra i fondatori del Centro Teatro Ragazzi di Verona, negli ultimi anni si è avvicinato alla ricerca teatrale, al teatro d’arte e a quello popolare.

Gorizia
sabato 14 ottobre, ore 18.30
Auditorium della Cultura Friulana


Opus Personae (Sesto S. Giovanni - Milano)
Machina Murphy
studio

produzione: Opus Personae
progetto e regia: Cesi Barazzi
grande gioco e oggettistica: Tommaso Correale Santacroce
consulenza musicale: Maurizio Corbella
studio del movimento: Federicapaola Capecchi
i giocatori: Federicapaola Capecchi, Ilenia Amalfi

La partita a scacchi, un duello diverso da ogni altro, dove “giocare il gioco” nel tentativo di forzare un’identità che si nega. Le figure hanno perso la loro definizione e sono involute a oggetto forma, mentre il gioco degli scacchi, la scacchiera e i suoi pezzi si sono precisati come il gioco, mediatore di comunicazione o di non comunicazione, spazio di accettazione o rifiuto di relazione.
C'è un grande gioco, faticoso, da interpretare, dove i pezzi sono zavorre oppure forme o figure, e un piccolo gioco quasi una didascalia, un serie di note a pié di pagina dove scambiarsi ruoli, giochi di specchi, monconi di dialogo.
Nel grande gioco agiscono molti giochi, i corpi compongono partiture gestuali differenti sempre cercando e negando un incontro che pure c'è. Nel piccolo gioco si fanno citazioni, si danno indicazioni, suggerimenti.

Opus Personae è nata con Cesi Barazzi, attrice e regista milanese. Da oltre vent’anni si occupa di formazione e produzione teatrale. Al suo interno sono sorte altre formazioni di giovani professionisti impegnate nella ricerca e nell’organizzazione di eventi, nella realizzazione di spettacoli presentati anche fuori d’Italia (come Hybris, 1997) e di interventi mirati nel territorio.

Gorizia
domenica 15 ottobre, ore 16.00
Kulturni Center “L. Bratuž”




gli altri spettacoli

Bruno Leone e Gaspare Nasuto (Napoli)
Aspetta aspetta
prima assoluta

di e con Bruno Leone e Gaspare Nasuto
assistenza: Fulvio Sorge
produzione: I Teatrini/Pulcinella di Mare

Bruno Leone ha appreso negli anni Settanta l’arte delle guarattelle da Nunzio Zampilla, ultimo maestro guarattellaro napoletano, fondando poi a Napoli l’Istituto delle Guarattelle, e contribuendo così alla ripresa di una tradizione che risale ai girovaghi e ai saltimbanchi medievali.
Gaspare Nasuto, burattinaio e scultore, ha iniziato la sua attività nel 1989, ed è considerato oggi uno dei più grandi autori e interpreti di Pulcinella, con un percorso artistico che si snoda tra continuazione della tradizione orale delle Guarattelle e sperimentazione.

Insieme, Bruno Leone e Gaspare Nasuto hanno realizzato questo spettacolo apposta per Beckett&Puppet”. E così lo presentano:
“ …conosciamo bene la nostra tradizione, la rispettiamo, l'amiamo e cerchiamo di rappresentarla in maniera dignitosa in giro per il mondo. Nonostante questo ci concediamo spesso il lusso di uscire dal repertorio tradizionale con varie sperimentazioni che ci permettono soprattutto di rompere i confini dove spesso si vorrebbe rinchiudere Pulcinella. Per noi Pulcinella per essere vivo ha bisogno di essere libero e di viaggiare per i vari mondi possibili senza avere freni alla sua curiosità e alla sua voglia di vivere, che significa anche voglia di mettersi in discussione. Lo facciamo con stili e modi diversi e per questo siamo curiosi l'uno del lavoro dell'altro, ci stimiamo, ci vogliamo bene e ci diverte incontrarci.
Questa occasione ce l’ha data Beckett e siamo partiti da Aspettando Godot. Questo testo ci sembra un rebus che è meglio non risolvere. Anche noi abbiamo aspettato tanto tempo per incontrarci sul piano artistico e adesso che cosa succederà? Cosa stiamo realmente aspettando? Anche noi un certo Godot che potrebbe risolvere i nostri problemi? O forse complicarli visto che non si sa chi è? Ma noi aspettiamo con Pulcinella, e questo significa inserire in un rebus già abbastanza complicato una variabile non prevedibile. Così è nato Aspetta aspetta. Cosa succederà? Forse nulla... in ogni caso ci saremo bisticciati, riappacificati, voluti bene, odiati, perduti, ritrovati e chi sa che altro...”

Gorizia
venerdì 13 ottobre, ore 21.00
Kulturni Center “L. Bratuž”


Teatrino Giullare (Sasso Marconi – Bologna)
Finale di partita

allestimento da scacchiera per pedine e due giocatori
traduzione: Carlo Fruttero
scenografia e figure: Cikuska
maschere: fratelli De Marchi
produzione: Teatrino Giullare

Spettacolo premiato dall’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro (2006).

Una partita a scacchi tra attori-giocatori che muovono le pedine e pedine-personaggi che muovono una delle storie più significative ed enigmatiche della drammaturgia del Novecento. La rappresentazione è una sinfonia di mosse e contromosse, botte e risposte, pause, riflessioni, sospiri, rinunce. Il capolavoro di Beckett è visto attraverso le possibilità di movimento di due pedine da scacchi e la tensione e la partecipazione dei due giocatori. Hamm pedina ferma e cieca, Clov pedina che si affanna per la scacchiera senza potersi mai sedere, anche lui sulla strada della cecità e dell'immobilità e nel tentativo di prendere la strada verso l’uscita. Nagg e Nell pedine fuori gioco, pedine a metà rinchiuse in bidoni. L’affinità tra il contenuto del testo e il gioco degli scacchi è stata manifestata dallo stesso Beckett e il finale di partita è la terza e ultima parte dell'incontro nel gioco degli scacchi. Una fase distinta dal ridotto numero di pezzi superstiti sulla scacchiera e dal fatto che il re non è più soltanto un pezzo da difendere ma diventa anche una figura di attacco.

Il Teatrino Giullare è un teatro popolato oltre che da attori in carne ed ossa da attori di legno, argilla, ombre, maschere e marchingegni scenici. Dal 1995 ad oggi la compagnia ha realizzato allestimenti teatrali, mostre e laboratori presentati in tutta Italia e in molti paesi del mondo. Dopo i primi lavori su Euripide, Aristofane, Plauto, la Commedia dell’Arte e Shakespeare, nel 1998 la compagnia crea il progetto Visioni con ingegni ed attori di legno da cui nascono Re di bastoni Re di denari, scrittura originale presentata al Festival di Santarcangelo in prima nazionale nel 1999, e Fortebraccio contro il cielo (2003). Finale di Partita di Samuel Beckett è stato prodotto nel 2004 ed è stato giocato anche in inglese e francese.

Gorizia
domenica 15 ottobre, ore 21.00
Kulturni Center “L. Bratuž”


Il dottor Bostik/Unoteatro (Torino)
B&B (Beckett&Bacon)
due frammenti

con Dino Arru e le marionette del dottor Bostik
voce registrata di Michele Di Mauro

Dallo spettacolo presentato l’anno scorso durante la prima fase del progetto, Dino Arru ha estrapolato, per presentarli nel corso delle giornate dedicate al rapporto tra Beckett e il Teatro di Figura, due frammenti, a esemplificazione del percorso di lavoro elaborato dall’artista torinese su questo tema.
B&B mette in relazione l’opera drammatica di Samuel Beckett con le suggestioni visive di Francis Bacon, l’artista delle violente deformazioni corporee. Marionette-esseri umani mosse con scrupolosa attenzione dall’animatore che, obbligandole all’azione con gelida e raffinata determinazione, ne crea e delimita i possibili percorsi, man mano che i loro volti, inizialmente immobili, subiscono via via una deformazione nei caratteri somatici, ispirata dalla agghiaccianti visioni dei personaggi di Bacon, sui quali il tempo incombe e che dal tempo vengono fisicamente corrotti.

Nata nel 1985 a Torino da un’esperienza di animazione teatrale con i burattini condotta nelle scuole della città fin dal 1979, la compagnia Il dottor Bostik è oggi una delle poche formazioni italiane che percorrono un cammino d’avanguardia nel “teatro degli oggetti”. La realizzazione dei primi spettacoli utilizzando le tecniche artigianali del teatro delle marionette e dei burattini, la presenza sul territorio torinese con un laboratorio di costruzione e la collaborazione con importanti strutture della città (Centro Sperimentale della RAI TV e Teatro Stabile di Torino) le hanno permesso di perfezionare uno stile personale e raffinato che si identifica nel particolare rapporto che negli allestimenti intercorre tra attore e oggetto animato. L’animazione ‘a vista’, la comunicazione affidata principalmente al linguaggio visivo, l’interesse e lo studio delle avanguardie artistiche del ’900, lo specifico interesse ai temi della vita quotidiana e al rapporto tra l’uomo e l’ambiente, caratterizzano oggi la sua poetica. Tra gli spettacoli più recenti Futuro anteriore (1999), Bostik Jazz Band in concerto (1999), I signori Porcimboldi (2000), Il melo gentile (2001), La piccola balena (2004).

Gorizia
venerdì 13 ottobre, ore 17.30
Auditorium della Cultura Friulana


Visioni Immagini Sguardi di / da /con Samuel Beckett
rassegna di film e video
a cura dell’Associazione Alpe Adria Cinema e Bonawentura/Teatro Miela di Trieste

“…non c’è niente da esprimere, niente con cui esprimere, nessuna capacità di esprimere, nessun desiderio di esprimere, insieme all’obbligo di esprimere...”
Samuel Beckett

Non c’è niente di più lucido, di più razionale, di più disincantato di questa affermazione beckettiana sulla condizione dell’artista nel mondo contemporaneo, ma da qui nasce anche la sua curiosità e la sua attrazione per le varie forme del linguaggio multimediale che ha segnato tutta la sua produzione teatrale, dagli anni giovanili – con il suo interesse per le comiche di Chaplin, Stanlio e Ollio, i Fratelli Marx – fino ad approdare negli ultimi anni alle sue opere di radiofonia e di drammaturgia televisiva e a quella folgorante realizzazione cinematografica, Film, firmata insieme all’americano Alan Schneider, e interpretata da un eccezionale Buster Keaton.

Proponiamo dunque un’originale ricognizione visiva dell’opera del drammaturgo irlandese con un’intrigante selezione di registi cinematografici noti a livello internazionale, come Atom Egoyan, Patricia Rozema, Neil Jordan, Anthony Minghella, Karel Reisz e Richard Eyre, e registi irlandesi emergenti, come Damien O’Donnell, Conor McPherson, Enda Hughes, Kieron J. Walsh, John Crowley. Sono 19 drammi teatrali di Samuel Beckett trasposti sullo schermo, in cui i registi si sono attenuti meticolosamente alle istruzioni teatrali dell’autore, lavorando in chiave personale solo all’interno di questi confini. La caratteristica di questa antologia non è quindi una rilettura dei testi beckettiani, ma una semplice diversità di stili visuali. Un omaggio ai cento anni di un artista che ci ha dato una delle testimonianze più alte della riflessione sulla condizione umana della cultura europea del Novecento
in versione originale

lunedì 16 ottobre
Teatro Miela
ore 17.30 proiezione video totale 168 min

Not I, 1972, 14min
Regia: Neil Jordan, con Julianne Moore
Rough for Theatre I, 1950, 20min
Regia: Kieron J. Walsh, con David Kelly, Milo O’Shea
Ohio Impromptu, 1980, 12min
Regia: Charles Sturridge, con Jeremy Irons
What Where, 1983, 12min
Regia: Damien O’Donnell, con Sean McGinley, Gary Lewis
Footfalls, 1975, 28min
Regia: Walter Asmus, con Susan FitzGerald, Joan O’Hara
Come and Go, 1965, 8min
Regia: John Crowley, con Paola Dionisotti, Anna Massey, Sian Philips
Act Without Words I , 1956, 16min
Regia: Karel Reisz, con Sean Foley, musica: Michael Nyman
Krapp’s Last Tape, 1958, 58min
Regia: Atom Egoyan, con John Hurt

martedì 17 ottobre
Teatro Miela
ore 17.30 proiezione video totale 183 min

Catastrophe, 1982, 7min
Regia: David Mamet, con Harold Pinter, Rebecca Pidgeon, Sir John Gielgud
Rough for Theatre II, 1950, 30min
Regia: Katie Mitchell, con Jim Norton, Timothy Spall, Hugh B. O’Brien
Breath, 1966, 45min
Regia: Damien Hirst
That Time, 1974/75 , 20min
Regia: Charles Garrad, con Niall Buggy
Act Without Words II, 1956, 11min
Regia: Enda Hughes, con Pat Kinevane, Marcello Magni
A Piece of Monologue, fine 1970, 20min
Regia: Robin Lefévre, con Stephen Brennan
Play, 1962, 16min
Regia: Anthony Minghella, con Alan Rickman, Kristin Scott-Thomas, Juliet Stephenson
Rockaby, 1980, 14min
Regia: Richard Eyre, con Penelope Wilton
Film , 1965 (pellicola), 20min
Regia: Alan Schneider/Samuel Beckett, con Buster Keaton, 20’



Mattinate per le scuole (su prenotazione)

mercoledì 18 ottobre
Teatro Miela
ore 10.00 Waiting for Godot, 1949, 120min
Regia: Michael Lindsay-Hogg, con Barry McGovern, Johnny Murphy, Alan Stanford, Stephen Brennan, Sam McGovern

giovedì 19 ottobre
Teatro Miela
ore 10.00 Happy Days, 1960, 79min
Regia: Patricia Rozema, con Rosaleen Linehan, Richard Johnson
Endgame, 1956, 84min
Regia: Conor McPherson, con Michael Gambon, David Thewlis, Charles Simon, Jean Anderson


Tutti gli appuntamenti del progetto

Gorizia, 29 - 30 agosto 2005
PuppetFestival - Tendenze
presentazione del concorso “Beckett&Puppet” per un progetto di spettacolo
ispirato all’opera e alla figura di Beckett. Comp. Rem & Cap (Roma) - Altri giorni felici (prima assoluta)
Il dottor Bostik/Unoteatro (Torino)B&B (Beckett&Bacon)

Gorizia, ottobre 2005 - febbraio 2006 svolgimento del concorso con la proclamazione del progetto vincitore:
Beckett Box della compagnia Teatropersona (Civitavecchia – Roma). Torino, 6 maggio 2006 Omaggio a Samuel Beckett
a cura di Il Dottor Bostik/Unoteatro (Torino) con il sostegno della Fondazione Teatro Stabile di Torino: Non-stop di spettacoli di teatro di figura dalle 22.00 a notte inoltrata. Moransengo, 9 giugno 2006 Festival della Colline Torinesi
Teatrino Giullare (Sasso Marconi – Bologna) - Finale di partita.
Torino, 12 giugno 2006 Scuola Holden
Beckett e il Teatro di Figura, interventi di Dino Arru, Alfonso Cipolla, Fernando Marchiori, all’interno del progetto “Respiro. 1906 2006. Il secolo di Samuel Beckett. Lezioni, letture, immagini”. Cividale del Friuli, 22 luglio 2006 MittelFest Figurina Animation Theatre (Budapest - Ungheria) - Speak No More (prima assoluta)
spettacolo segnalato al concorso “Beckett&Puppet” Torino, 1 ottobre 2006 Incanti - Rassegna Internazionale di Teatro di Figura Serata “Beckett&Puppet” Il Dottor Bostik/Unoteatro (Torino) - Giorni felici
presentazione degli studi degli spettacoli segnalati al concorso “Beckett&PuppetViva Opera Circus (Vallese di Oppiano - Verona) - Non io – Beckett e il suo universo
Zachès (Scandicci - Firenze) - One reel
Pathosformel (Venezia) -
(Che cosa sono le) nuvole

Gorizia, 13 - 15 ottobre 2006
Trieste, 16 – 19 ottobre 2006
PuppetFestival - Tendenze
Beckett&Puppet
spettacoli, performance, giornate di studio, video, incontri




informazioni e prenotazioni

GORIZIA
cta - Centro regionale di Teatro di Animazione e di Figure
Via dei Cappuccini, 19/1
tel. 0039 0481 537280
fax 0039 0481 545204
info@ctagorizia.it
www.ctagorizia.it

biglietto unico per tutti gli spettacoli: 7 €
tessera per l’ingresso a tutti gli spettacoli: 15 €
gli studi e i frammenti sono ad ingresso gratuito

apertura della biglietteria 30 minuti prima dell’inizio degli spettacoli
prenotazioni per le scuole: cta, lunedì – venerdì (10.00 – 13.00)

TRIESTE
Teatro Miela - Bonawentura Soc. Coop. Piazza Duca degli Abruzzi, 3
tel. 0039 040 365119
fax 0039 040 367817 teatro@miela.it
www.miela.it

biglietto unico giornaliero (rassegna video e spettacolo): 7 € (ridotti: 5 €)
prenotazioni per le scuole: Teatro Miela, lunedì – venerdì (10.00 - 13.00)

il programma può essere consultato sul sito www.ctagorizia.it



 


 

Seminario transnazionale "Strategie per la valorizzazione economica dello spettacolo"
A Bari il 13 ottobre
di Teatro Pubblico Pugliese

 

Si svolgerà a Bari il 13 ottobre prossimo (venerdì) dalle15.00 in poi (Hotel Palace) la conferenza pubblica del Seminario transnazionale "Strategie per la valorizzazione economica dello spettacolo".
Interverranno: Franco D’Ippolito, Consulente per lo spettacolo della Regione Puglia, Nicola Marrone, Vicepresidente Teatro Pubblico Pugliese, Pietro Scardillo, Consulente progetto Vivo di Spettacolo, Nadia Masini – coordinatrice progetto Vivo di Spettacolo, Michele Trimarchi, Economista e consulente dell’Osservatorio Nazionale dello Spettacolo, Silvia Godelli, Assessore Regionale al Mediterraneo – Regione Puglia, Marco Barbieri, Assessore Regionale al Lavoro e alla Formazione Professionale – Regione Puglia, M. André Castelli, Vice-Président du Conseil Général de Vaucluse et Président de la Commission "Action Sociale", Didier Caille, Project Manager - Maisons des Musiques émergentes, Antonio Fuiano, SLC CGIL Puglia, Carmelo Grassi , Presidente ANART – Presidente Teatro Pubblico Pugliese, Alessandro Laterza, Editore – Vicepresidente Assindustria Bari, Massimo Luciani, Assessore alle Politiche Comunitarie del Comune di Pescara, Gennaro Milzi, Direttore generale SIAE Puglia, Elisabetta Mura, Assessore Regionale alla Cultura dell’Abruzzo, Maurizio Roi, Presidente Fondazione Toscanini - ATER , Alba Sasso, Vicepresidente Commissione Cultura della Camera dei deputati, Lorenzo Scarpellini, Consulente per i rapporti istituzionali dell'AGIS, Antonio Taormina, Direttore Osservatorio dello Spettacolo Emilia Romagna e consulente Osservatorio Nazionale, Gianfranco Viesti, Docente di Economia Applicata Università di Bari e Presidente Arti.
Il seminario si svolge nell'ambito del Projet de Coopération Transnationale « Arts Vivants en Europe » - AVE, braccio transnazionale dell'Equal Vivo di spettacolo con il Teatro Pubblico Pugliese capofila ed è il secondo momento pubblico dopo il convegno del 17 maggio scorso sulle discriminazioni nel mondo del lavoro-spettacolo.
 


 

Anna Maria Monteverdi presenta Jimmy di Marie Brassard a Milano
Il testo pubblicato dal Principe Costante
di Ufficio Stampa

 

Giovedì 5 ottobre alle ore 18.30, al Teatro dell'Elfo di Milano (via Ciro Menotti 11), verrà presentato il libro Jimmy. Creatura di sogno di Marie Brassard.

Saranno presenti l'autrice e Anna Maria Monteverdi.

New York, anni Cinquanta. Nel negozio di Jimmy, un parrucchiere omosessuale di trentatré anni, entra un giovane e bellissimo soldato, Mitchell. Jimmy è innamorato di lui e trova finalmente il coraggio di baciarlo. La loro esistenza, però, non è reale: Jimmy e Mitchell sono i protagonisti di un sogno fatto da un generale americano in partenza per la guerra di Corea. E i sogni, si sa, sono destinati a svanire... Ma nel mondo dei sogni tutto è possibile.
Originale riflessione sui temi dell’amore, della vita e della morte, della rappresentazione e del mestiere dell’attore, questo testo è stato concepito per il teatro ma non esaurisce la sua forza sulla scena. Creatura in mutazione perenne che va al di là dei generi e delle età, al tempo stesso uomo, donna, bambino, Jimmy apre una prospettiva sorprendente sul mondo dei sogni e dell’immaginazione, accompagnando il lettore in un’avventura onirica e struggente.

Marie Brassard sarà in scena a Milano, al Teatro dell’Elfo (tel. 02.716791), all’interno del festival MilanOltre, il 4 e il 5 ottobre alle ore 21.00, con lo spettacolo Peepshow.



Jimmy. Creatura di sogno
di Marie Brassard

Formato: 12 x 16,5 cm
Pagine: 64
Prezzo: euro 8,00
Collana: I talismani
ISBN: 88-89645-04-0

Per ulteriori informazioni su Jimmy, www.principecostante.it.


 


 

Le Vie dei Festival a Modena dal 20 ottobre
Il calendario
di Ufficio stampa

 

venerdì 20 ottobre
Carpi:
CANTIERI TEATRALI KOREJA – Il pasto della tarantola – Piazzale Re Astolfo, ore 17.00, 18.00 20.30
FANNY & ALEXANDER – Strepito – Piazza dei Martiri – ore 19.00
Modena:
SILVIO CASTIGLIONI – Viaggio in Armenia – Rocca di Vignola, ore 17.00, 21.00
FEDERICO LÉON & MARCO MARTINEZ – Estrellas – Sala Truffaut, ore 19.00
ALAIN PLATEL-FABRIZIO CASSOL – vsprs – Teatro Comunale, ore 21.00
MICHELA LUCENTI – I sette a Tebe – Teatro delle Passioni, ore 23.00

sabato 21 ottobre
Carpi:
CANTIERI TEATRALI KOREJA – Il pasto della tarantola – Piazzale Re Astolfo, ore 18.00, 19.00, 20.00
Modena:
FANNY & ALEXANDER – Rebus per Ada e LUIGI DE ANGELIS – Ani – Sala Truffaut, ore 15.00
MICHELA LUCENTI – I sette a Tebe – Teatro delle Passioni, ore 17.00
TEATRO I – Prima della pensione – Teatro della Passioni, ore 19.00
ALAIN PLATEL-FABRIZIO CASSOL – vsprs – Teatro Comunale, ore 19.30
JOSEF NADJ – Asobu – Teatro Storchi, ore 22.00
Vignola:
SILVIO CASTIGLIONI – Viaggio in Armenia – Rocca di Vignola, ore 19.00, 22.00

domenica 22 ottobre
Carpi:
ROMEO CASTELLUCCI vs LETIZIA RENZINI – Conferenza muta – Fonoteca, ore 17.00
CANTIERI TEATRALI KOREJA – Il pasto della tarantola – Piazzale Re Astolfo, ore 18.00, 19.00, 20.00
Modena:
FEDERICO LÉON & MARCO MARTINEZ – Estrellas – Sala Truffaut, ore 15.00
VIRGILIO SIENI – Adagi partigiani – Biblioteca Delfini, dalle ore 15.00 alle ore 20.00
TEATRO I – Prima della pensione – Teatro della Passioni, ore 17.00
FABRIZIO FAVALE – Une histoire de caché – Accademia Militare, ore 19.00
TRAITS DE CIEL – Journal d’inquiétude – Teatro delle Passioni, ore 21.00

lunedì 23 ottobre
Carpi:
EKATE TEATRO – Nel nome di chi – Piazza Garibaldi, ore 17.00
Modena:
VIRGILIO SIENI – Adagi partigiani – Biblioteca Delfini, dalle ore 17.00 alle ore 20.30
FABRIZIO FAVALE – Une histoire de caché – Accademia Militare, ore 19.30
VIRGILIO SIENI – Solo Goldberg improvisation – Teatro Storchi, ore 21.00
JONATHAN BURROWS e MATTEO FARGION – Both Sitting Duet – Teatro delle Passioni, ore 22.30
martedì 24 ottobre
Modena:
VIRGILIO SIENI – Adagi partigiani – Biblioteca Delfini, dalle ore 17.00 alle ore 20.30
PIPPO DELBONO – Grido – Sala Truffaut, ore 19.00
JONATHAN BURROWS e MATTEO FARGION – The Quiet Dance – Teatro delle Passioni, ore 21.00
VIRGILIO SIENI – TEMPO REALE – Osso – Liceo Sigonio, ore 20.00 e 22.00

mercoledì 25 ottobre
Modena:
PIPPO DELBONO – Grido – Sala Truffaut, ore 18.30
SOCÍETAS RAFFAELLO SANZIO – hey girl! – Navetta dal Teatro delle Passioni, ore 20.30
Vignola:
CIE RASPOSO – Parfums d’Est – Ex Mercato Ortofrutticolo, ore 20.30

giovedì 26 ottobre
Modena:
SPIRO SCIMONE e FRANCESCO SFRAMELI – Due amici – Sala Truffaut, ore 17.00
MOTUS – a place. [that again] – La Tenda, ore 19.30 e 22.30
EIMUNTAS NEKROŠIUS – Faust – Teatro Comunale, ore 20.30
TEATRO LA MARIA – La Tercera Obra – Teatro delle Passioni, ore 20.30
SOCÍETAS RAFFAELLO SANZIO – hey girl! – Navetta dal Teatro delle Passioni, ore 22.30
Vignola:
CIE RASPOSO – Parfums d’Est – Ex Mercato Ortofrutticolo, ore 20.30
TEATRO DELLE ARIETTE – Bestie (…è finito il tempo delle lacrime) – Ex Macello, ore 21.00

venerdì 27 ottobre
Carpi:
LA VOCE DELLE COSE – Macchina per il teatro incosciente – Piazza Garibaldi, dalle ore 17.00 alle ore 20.00
Modena:
MOTUS – a place. [that again] – La Tenda, ore 18.00
PIPPO DELBONO – Grido – Sala Truffaut, ore 19.00
ERNA ÓMARSDÓTTIR e JOHANN JOHANNSSON – The Mysteries of Love – Accademia Militare, ore 19.30
COMPAGNIA SCIMONE SFRAMELI – La busta – Teatro delle Passioni, ore 19.30
EIMUNTAS NEKROŠIUS – Faust – Teatro Comunale, ore 20.30
COMPAGNIA PIPPO DELBONO – Questo buio feroce – Teatro Storchi, ore 21.00
TEATRO LA MARIA – La Tercera Obra – Teatro delle Passioni, ore 22.30
SOCÍETAS RAFFAELLO SANZIO – hey girl! – Navetta dal Teatro delle Passioni, ore 22.30
Vignola:
CIE RASPOSO – Parfums d’Est – Ex Mercato ortofrutticolo, ore 20.00
TEATRO DELLE ARIETTE – Bestie (…è finito il tempo delle lacrime) – Ex Macello, ore 23.00

sabato 28 ottobre
Carpi:
LA VOCE DELLE COSE – Macchina per il teatro incosciente – Piazza Garibaldi, dalle ore 17.00 alle ore 20.00
Modena:
PIPPO DELBONO – Grido – Sala Truffaut, ore 17.00
COMPAGNIA SCIMONE SFRAMELI – La busta – Teatro delle Passioni, ore 19.30
COMPAGNIA PIPPO DELBONO – Questo buio feroce – Teatro Storchi, ore 21.00
ERNA ÓMARSDÓTTIR e JOHANN JOHANNSSON – The Mysteries of Love – Accademia Militare, ore 21.00
TEATRO LA MARIA – La Tercera Obra – Teatro delle Passioni, ore 22.30
Vignola:
CIE RASPOSO – Parfums d’Est – Ex Mercato Ortofrutticolo, ore 17.30
TEATRO DELLE ARIETTE – Bestie (…è finito il tempo delle lacrime) – Ex Macello, ore 21.00


per info: 059.305738 www.viefestivalmodena.com info@viefestivalmodena.com

 


 

Settimo Convegno Internazionale su “I Teatri delle diversità”
A Cartoceto, Fano e Saltara il 21 e 22 ottobre
di Ufficio Stampa

 

Per i dieci anni della rivista europea
parte il progetto “Le visoni del cambiamento”

Cartoceto, Fano e Saltara (Pesaro e Urbino) ospiteranno sabato 21 e domenica 22 ottobre 2006 il Settimo Convegno Internazionale di Studi “I TEATRI DELLE DIVERSITÀ”, evento promosso dall’Associazione culturale “Nuove Catarsi”-Editrice della rivista “Catarsi-Teatri delle diversità’”- in collaborazione con il Centro Teatrale Aenigma dell’Università di Urbino.
Docenti universitari esperti di teatro, psicologia, pedagogia, operatori del sociale e attori si dedicheranno al tema Poesia, Teatro, Diversità, già affrontato nella scorsa edizione e che proprio a partire dalle argomentazioni emerse nel 2005 verrà indagato più a fondo. La manifestazione si svolgerà in concomitanza con la celebrazione del decennale dalla nascita della rivista “Catarsi-Teatri delle diversità”, rivista che dal 1996 ha inaugurato, a livello europeo, una ricerca scientifica sulle esperienze di espressione creativa con finalità artistiche e/o socio-terapeutiche nei territori dell’handicap, disagio mentale, carcere, tossicodipendenze ed in altri settori del sociale. Al decennale sarà dedicata la sessione Laboratorio delle idee prevista per sabato 21 ottobre presso il Convento di Santa Maria del Soccorso (Cartoceto), dopo i saluti istituzionali che apriranno ufficialmente la manifestazione. Gli interventi di questa sessione saranno a cura di alcuni componenti del Comitato Scientifico della pubblicazione composto da Andrea Canevaro, Sisto Dalla Palma, Piergiorgio Giacché, Claudio Meldolesi, Piero Ricci, Vezio Ruggieri, Guido Sala, John Schranz, Daniele Seragnoli, Luigi Squarzina e Gianni Tibaldi.
È prevista la partecipazione di Gianfranco De Bosio, Presidente della Commissione Internazionale Opera e Poesia dell’UNESCO e Giuliano Scabia, antesignano del teatro sociale in Italia. Questi due ospiti, protagonisti della Storia del Teatro Italiano Contemporaneo, porteranno le loro testimonianze sul senso più profondo della Poesia come ‘atto generativo’ e di impegno sociale e civile. Dall’incontro con De Bosio, in programma sabato 21 alle 12.00, si cercherà di far emergere gli elementi più significativi del rapporto tra poesia e teatro di impegno civile, mentre Scabia, domenica 22 alle 10.00, presenterà il suo ultimo libro intitolato “Il Tremito. Che cos’è la poesia?” e darà testimonianza del lavoro svolto nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino con la proiezione del film di Maurizio Conca Il drago di Montelupo.
In programma anche alcuni significativi momenti di formazione con due workshops che si svolgeranno sabato 21, dalle 15.00 alle 17.00, sotto la direzione di Mario Dolci, protagonista da oltre trent’anni di sperimentazioni educative e socioterapeutiche con il Teatro di Animazione e di Enzo Toma, pioniere del Teatro ed Handicap italiano. Inoltre, a conclusione di un laboratorio diretto dal poeta e regista Piero Ristagno, dal 18 al 21 ottobre 2006, giungerà una dimostranzione del lavoro dedicata alla poesia di Roberto Roversi. A seguire, Giancarlo Sissa, poeta ed esperto di problematiche adolescenziali, che a lungo ha lavorato con minori a rischio, dedicherà insieme a Ristagno uno spazio di ascolto della poesia di Roberto Roversi, loro maestro.
Una Tavola Rotonda su “Carcere, Comunicazione espressiva, Territorio”, in collaborazione con il FanoInternationalFilmFestival concluderà la due giorni, dopo aver assistito alla proiezione del documentario “Ubu al Fresco” di Maria Celeste Taliani, videomaker che ha seguito le ultime sperimentazioni del Teatro Aenigma con il coinvolgimento di detenuti e ragazzi della Scuola media Galilei nell’allestmento dell ’Ubu Roi di Alfred Jarry nella Casa Circondariale di Pesaro (all’esperienza è stato recentemente attribuito il Premio Franco Enriquez per l’impegno artistico e sociale).
A cura del Teatro Aenigma è anche il progetto “Le visioni del cambiamento”, una novità abbinata al Settimo Convegno Internazionale di studi “I Teatri delle diversità”. Un evento che per quest’anno sperimenta le sue potenzialità in previsione di diventare un vero e proprio festival nel 2007. Il programma avrà inizio con lo spettacolo Esiti della compagnia teatrale Gli amici di Luca di Bologna (Lucrezia, 17 ottobre presso l’Istituto Comprensivo “Marco Polo” con in scena attori con esito di coma e attori volontari) ed il lavoro di Teatro di Animazione Le sensate esperienze (venerdì 20 ottobre presso la scuola elementare di Cartoceto) della compagnia italo-francese Stultifera Navis. Lo spettacolo Indignitas del Centro Teatro Universitario di Ferrara, invece, in memoria della strage alla stazione di Bologna verrà presentato al pubblico nel Teatro del Trionfo di Cartoceto sabato 21 ottobre. In programma dal 18 al 21 ottobre anche un laboratorio diretto da Piero Ristagno dal titolo Il Coraggio è una cosa: all’esperienza, alla quale ci si può iscrivere, è rivolta ad operatori e utenti dei Centri di sollievo nel settore della salute mentale.

Informazioni ed iscrizioni: tel 0721 893035, www.teatridellediversita.it, www.teatroaenigma.it
Romina Mascioli
Ufficio Stampa Teatro Aenigma
ufficiostampa.tu@virgilio.it
tel. 333 6564375


Approfondimenti

RIVISTA EUROPEA TEATRI DELLE DIVERSITA’
La rivista TEATRI DELLE DIVERSITA’ (direttore Emilio Pozzi, condirettore Vito Minoia – editore Associazione culturale “Nuove Catarsi”), con cadenza trimestrale e prevalente profilo monotematico, si propone, con l'ambizione dell' entusiasmo, più scopi: informazione, ricerca, riflessione critica.
Informazione : raccogliere e far circolare le notizie che riguardano iniziative che intendono usare il teatro, nella sua più ampia accezione, come strumento di formazione e di comunicazione, nei, per e dai mondi considerati "differenti". Ricerca : farsi eco del lavoro scientifico magmaticamente in essere che ha come scopo l' identificazione dei metodi che aprono le strade, auspicabilmente, dell' integrazione, attraverso l' acquisizione della cultura della convivenza, con pari dignità. Riflessione critica : dibattito permanente fra le diverse scuole di pensiero, su percorsi e traguardi, errori e devianze.
La pubblicazione, nei suoi primi dieci anni di vita ha dedicato inchieste monotematiche a: Teatro ed handicap, Teatro e carcere, Teatro e follia, Teatro ed etnia, Teatro e tossicodipendenza,Teatro e varie altre forme di disagio sociale

TEATRO AENIGMA
Svolge dal 1987, presso l’Università di Urbino, una qualificata ricerca nel campo della pedagogia teatrale e del Teatro per ragazzi e giovani. Sviluppa la propria attività, a livello nazionale, sia dal punto di vista produttivo che organizzativo. Attua iniziative di carattere pedagogico rivolte alla scuola e al territorio, articolate in laboratori e produzioni teatrali, stage d’aggiornamento per insegnanti, operatori culturali e giovani.
Sviluppa, inoltre, approfonditi studi e sperimentazioni sul linguaggio teatrale con finalità educative e socioterapeutiche. E’ tra i soci fondatori della Rivista Europea “Catarsi-Teatri delle diversità”. Particolarmente significative sono le esperienze attuate negli ultimi anni negli Istituti Penitenziari di Pesaro, Ancona e Macerata Feltria (Pesaro e Urbino)


 


 

Architettura & Teatro
La terza edizione del seminario internazionale a Reggio Emilia
di Uffico Stampa

 

ARCHITETTURA & TEATRO
Seminario internazionale
Reggio Emilia, Teatro Cavallerizza, sabato 18 novembre 2006 ore 10,00-14,00/15,00-19,00


L’incontro annuale di Architettura & Teatro giunge alla sua terza edizione. Dopo l’edizione di avvio, nel 2004, che ha messo a confronto l’ambito del progetto e quello dello spettacolo; dopo l’edizione dello scorso autunno dedicata alle presentazioni dei maggiori progetti di architettura dell’ultimo decennio, l’edizione 2006 si focalizza sul ‘cuore’ del teatro, il palcoscenico, visto da due prospettive distinte ma insieme correlate: l’apporto degli artisti visivi nella reivenzione dello spazio scenico e il punto di vista dei direttori tecnici, che quelle visioni sceniche debbono concretizzare.
La sessione del mattino è dedicata ad alcuni artisti che hanno portato la loro ricerca estetica e poetica in teatro: Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino, Jannis Kounellis, Claudio Parmiggiani, Studio Azzurro, Klaus Obermaier parleranno degli spazi scenici che hanno realizzato nelle loro incursioni a teatro.
Artisti che hanno sempre sperimentato, nelle loro pur diverse ricerche, visioni spaziali e ambientali fortemente legate alla dimensione scenica. Che cosa, dunque, la ricerca scultorea o segnica di queste poetiche ha portato al teatro? E come l’esperienza teatrale ha arricchito queste poetiche?

Allo stesso modo: quali sono i problemi che deve fronteggiare un responsabile di palcoscenico, un direttore tecnico, nella realizzazione di un progetto, di una visione scenica immaginati da un artista o da uno scenografo? Di quali tecnologie debbono essere, oggi, corredati i nuovi edifici per lo spettacolo? L’Italia è al passo con gli altri paesi del mondo occidentale?
A rispondere a queste e alle altre questione che emergeranno nel corso dell’incontro di Reggio Emilia, abbiamo invitato i responsabili di due teatri spagnoli all’avanguardia per quanto pertiene il palcoscenico: il Teatro Real di Madrid e il Teatro Liceu di Barcellona. Entrambi edifici storici, ricostruiti e ristrutturati con criteri esemplari e sofisticate tecnologie. In questa sessione saranno presenti Silvano Cova e Massimo Teoldi, direttori tecnici che hanno operato nei maggiori teatri italiani, oltre ad essere consulenti per la ricostruzione di teatri storici.

Interverranno e coordineranno le due sessioni Daniele Abbado, Marco De Michelis, Antonio Calbi, Silvia Milesi, Giorgio Battistelli, Pierre Alain Croset.

Il progetto di Architettura & Teatro è un progetto della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, curato da Daniele Abbado, Antonio Calbi, Silvia Milesi con la collaborazione di Susi Davoli e Lorenzo Parmiggiani.

info
architetturaeteatro@iteatri.re.it
www.recfestival.it
www.iteatri.re.it


 


 

Grido di Pippo Delbono al cinema
"Cercare nel linguaggio del cinema la libertà del volo, dell’irreale, del sogno, della poesia"
di Mikado Film

 

Dopo l’anteprima alla Festa del Cinema a Roma, arriva nelle sale cinematografiche Grido di Pippo Delbono.

Mikado presenta/ presents
una coproduzione/ a coproduction
Provincia Autonoma di Trento Compagnia Pippo Delbono
Downtown Pictures drodesera>centrale fies Teatri Uniti


GRIDO

un film ideato e diretto da Pippo Delbono/ conceived and directed by Pippo Delbono

con/ with
Pippo Delbono
Bobò
Pepe Robledo
Nelson Lariccia
Mario Intruglio
Gustavo Giocosa
Lucia Della Ferrera
Anna Redi
Mickael Gaspard
Carmine Guarino
Margherita Clemente
Piero Corso
Elena Guerrini
e gli attori della Compagnia Pippo Delbono/ and the actors of Pippo Delbono Company


prodotto da/produced by Angelo Curti, Pippo Delbono, Marco Muller, Dino Sommadossi
fotografia/ cinematography Cesare Accetta
montaggio/ film editing Jacopo Quadri, Alessio Borgonuovo
suono/ sound design Max Gobiet, Daghi Rondanini, Emanuele Cecere
organizzazione/ line producer Maurizio Fiume
operatore/ camera operator Renaud Personnaz, Marco Tani
montaggio del suono/ sound editor Francesco Sabez
postproduzione/ visual effect Guido Pappadà per Sirenae Filmpost


anno/ year: 2006
durata/ length: 75 minuti
lingua/ language: Italiano/Italian
formato/ size: 35 mm da HD
suono/ sound: Dolby digital
SINOSSI/SYNOPSIS

Grido è la storia autobiografica del regista, Pippo Delbono, che scorre le fasi salienti della sua vita, sino al presente, accompagnato dai personaggi che hanno costellato il suo percorso.
Attraverso viaggi e ritorni, si rivive il passato e la memoria.
E’ una sorta di dichiarazione di poetica, un ritratto del suo percorso artistico attraverso il teatro e la realtà.

Grido
is the autobiographical history of director, Pippo Delbono, who slides the meaningful moment of his life, until present time, joining in with the characters he met during his carrier.
Through voyage and revival, it gives back to light past and memory.
It’s a poetic statement, a picture of his own artistic path through theatre and reality.




NOTE DEL REGISTA/ DIRECTOR’S NOTE

Questo film nasce dalla necessità di raccontare un’esperienza che mi ha trapassato la vita..
Una lavorazione di due anni per estrarre l’essenza di una storia molto più lunga.
Non volevo e non potevo scrivere una sceneggiatura, né inventare personaggi. La storia era presente lì, come le persone, vive.
E insieme a questo c’è il mio desiderio di cercare nel linguaggio del cinema la libertà del volo, dell’irreale, del sogno, della poesia.
Senza perdere la coscienza della verità.

This film is born from my need to tell an experience that pierced my life.
Two years of work to extract the essence of a very much longer story.
I wouldn’t and couldn’t write a screenplay, neither invent any character. The story was present there, like the people, alive.
And along with all this there’s my desire to search in the language of cinema the freedom of flying, of unreal, of dreaming, of poetry
Without losing the consciousness of the truth.
Pippo Delbono

NOTE DI PRODUZIONE/ PRODUCTION NOTES


La figura di Pippo Delbono si inscrive nel solco dei grandi artisti italiani, da Goldoni a Rossini a Dario Fo, che hanno riscosso all’estero fama e riconoscimenti superiori a quelli già ottenuti in patria. L’autore infatti, considerato tra i nostri massimi creatori di teatro nonché vincitore del David di Donatello nel 2004 con il documentario Guerra, ambientato in Palestina, gode in ambito internazionale di un’autentica venerazione, che lo ha reso negli ultimi anni protagonista nei principali templi della scena, dal Festival d’Avignone alla Royal Shakespeare Company,
Grido nasce da un articolato percorso produttivo che vede Teatri Uniti al fianco di un pool di partner privati e pubblici, fra cui la Downtown Pictures di Marco Muller, la Compagnia Pippo Delbono, il Festival Drodesera, dove è stata girata la maggior parte degli interni nei suggestivi spazi della Centrale Fies, e la Provincia Autonoma di Trento, che prosegue un’esemplare politica di sostegno alle attività cinematografiche sul proprio territorio.
La lunga lavorazione del film, che si è avvalso anche del prezioso supporto della Film Commission Regione Campania, è iniziata nell’estate del 2004. La quasi totalità delle riprese in esterni si è svolta sul territorio napoletano, riuscendo a catturare prospettive inedite di vibranti scenari metropolitani o di luoghi assolutamente originali per lo schermo come l’ex Ospedale Psichiatrico di Aversa, che assurge a scaturigine del nucleo narrativo, quale luogo di partenza dell’ineguagliabile parabola umana ed artistica di uno dei protagonisti, l’angelo sordomuto Bobò.
Grido è stato realizzato sfruttando le più avanzate tecnologie del cinema digitale in alta definizione, attraverso il lavoro del direttore della fotografia Cesare Accetta, mentre diversi artisti di particolare rilievo hanno contribuito ad arricchire con il loro apporto creativo la tessitura poetica del film, sia dal versante plastico-visuale, come lo scultore Lello Esposito, che da quello della drammaturgia musicale, fra essi Enzo Moscato, Maria Nazionale e Paolo Conte.
Grazie alla Mikado, dopo la presentazione quale evento speciale della sezione EXTRA nell’ambito della prima edizione di CINEMA Festa Internazionale di Roma, il film sara’ tempestivamente distribuito nelle sale italiane.


Pippo Delbono’s work inscribes in the wake of the great Italian artists who have ascribed abroad fame and appreciations superior to those obtained at home. He enjoys an international authentic veneration, and during these years has been protagonist from the Avignone Festival to the Royal Shakespeare Company. He won the David di Donatello Award in 2004 with his documentary “Guerra”, shot in Palestine.
Grido was born thanks to a synergy production between Teatri Uniti and a pool of private and public partners, among which Downtown Picture by Marco Müller, Compagnia Pippo Delbono, Festival Drosera, where the most of the interiors has been shot in the suggestive spaces of the Centrale Fies, and the Provincia Autonoma of Trento, which pursues an exemplary supporting policy for cinematographic activities in loco.
The long-term production, that benefited the collaboration of the Regione Campania Film Commission too, began in summer 2004. Almost the whole external shots have been taken throughout Neapolitan territory, being able to catch original perspectives of vibrating metropolitan scenarios and absolutely unprecedented shot location such as the Aversa Psychiatric Hospital, that behaves as source of the narrative core, as starting line of the rendez-vous between Pippo Delbono and Bobò, the deaf-mute angel.
Grido has been realised in high definition, the most advanced digital cinema technology, through the work of the cinematographer Cesare Accetta, while other quite relevant artists have contributed to enrich with their creative contribution the poetic texture of the movie, from both the plastic-visual side, as the sculptor Lello Esposito, and the music composition, among which Enzo Moscato, Maria Nazionale, Paolo Conte.
Thanks to the Mikado, after the participation at the first edition of the CINEMA Festa Internazionale in Rome, the movie will be soon distributed in Italian cinemas.

Angelo Curti


 


 

Raccontare i Balcani: dialoghi tra Est e Ovest
Lecce e Nardò 1- 4 novembre, L’Aquila 4 dicembre
di Ufficio Stamoa

 

Seminari, incontri e spettacoli

Una carovana di artisti, scrittori, giornalisti, operatori culturali arriva dai Balcani per raccontarsi e per raccontare le proprie aspirazioni, i propri sogni, per proiettare verso il futuro i propri sguardi, in un Mediterraneo che diventa sempre più scenario aperto dove poter intrecciare e consolidare relazioni e azioni.
Sono questi i temi e i motivi ispiratori delle giornate seminariali che concludono le attività del progetto AR.CO Artistic Connections promosso da Regione Puglia e Regione Abruzzo nell’ambito del programma Interreg IIIA Transfrontaliero Adriatico .

Conoscere per cooperare è lo slogan delle giornate, a sottolineare quanto sia importante riprendere dopo le vicende belliche lo sviluppo di scambi culturali nell’area adriatica fra le realtà artistiche delle due sponde.

“Le voci dello spettacolo, - ha dichiarato l’Assessore al Mediterraneo della Regione Puglia Godelli -, quelle del teatro e della poesia, assieme ai contributi degli intellettuali e delle personalità della cultura, sanno rileggere e interpretare la storia antica e recente delle terre del conflitto per restituircela depurata dalla violenza e riproposta nei valori universali della pacificazione e della solidarietà.
Balcani ed Europa, terre del Sud di popoli al lavoro per un domani di benessere e di sviluppo, disegnano, nella nostra speranza e nel nostro impegno, l’orizzonte comune di un futuro che con il progetto AR.CO è già il nostro oggi”.

Due gli ambiti tematici che verranno sviluppati nel corso degli incontri seminariali dal 1 al 4 novembre e il 4 dicembre. Il primo (dal titolo Raccontare i Balcani) svolgerà l’ 1 novembre a Lecce presso i Cantieri Koreja attraverso i contributi di drammaturghi, giornalisti, intellettuali di spicco della scena balcanica e italiana come Pedrag Matvejevic (Bosnia), Nicole Janigro, Shpend Bengu (Albania), Zhani Ciko (Albania), Luisa Chiodi, Fatos Lubonja (Albania), Gorcin Stojanovic (Serbia), Ljubo Djurkovic ( Montenegro), Simun Grabovac (Serbia), Nico Garrone, Monica Genesin, Raffaele Gorgoni, Gianfranco Viesti, Valentino Zeichen, Franco Botta, Roberta Carlotto.

Il secondo, che intende affrontare aspetti più legati alle opportunità di scambi, sarà articolato in più sessioni che si svolgeranno il 2 novembre a Nardò (“La cooperazione artistica e culturale nell’area adriatica”), il 3 e 4 novembre a Lecce (“Networking fra Est e Ovest”) con la partecipazione dei direttori artistici dei festival più importanti che si svolgono nei Balcani, in Puglia e in Montenegro e dei responsabili dei network europei più prestigiosi. Prenderanno parte a tali sessioni Massimo Marino, Nihad Kresevljakov (Bosnia), Anja Susa (Serbia), Claudia Galhos (Portogallo), Dubravka Vrgoc (Croazia), Gordana Vnuk (Croazia), Tamara Jokovic (Montenegro), Lucio Argano (Ad Hoc Culture), Ugo Bacchella (Fondazione Fitzcarraldo), Franco D’Ippolito (consulente Regione Puglia), Riccardo Carbutti (Castel dei Mondi Festival, Andria), Gianluigi Trevisi (Time Zones, Bari), Gigi De Luca (Negroamaro Festival, Lecce), Roberto Ricco (Teatro Kismet, Bari), Carmelo Grassi (Teatro Pubblico Pugliese), Claudio Pedone (Otremare Entroterra, Casarano).


Non manca una sezione dedicata allo spettacolo con eventi proposti in esclusiva nazionale come il concerto di musiche rom del gruppo Earth Wheel Sky di Novi Sad (Serbia) guidato dal celebratissimo e carismatico Olah Vince ( 1 novembre, Nardò, Teatro Comunale; 3 novembre, Lecce, Cantieri Koreja) o la prima nazionale (1 novembre, Lecce, Cantieri Koreja) del Piccolo Teatro Dusko Radovic di Belgrado che presenta Ronaldo, il pagliaccio di McDonald’s di Rodrigo Garcìa, star acclamata nel firmamento teatrale internazionale con Valdemir Aleksic e Damir Todorovic o ancora la presentazione ufficiale dell’ultimo lavoro teatrale di Koreja Il Calapranzi di Pinter con la regia di Salvatore Tramacere (1- 3 novembre, Lecce, Cantieri Koreja). Di assoluto interesse la videoinstallazione di Marina Abramovic, Art must be beautiful, artist must be beatiful

Il progetto AR.CO vedrà la sua definitiva conclusione il 4 dicembre a L’Aquila dove ci sarà una presentazione pubblica dei risultati del progetto e un meeting fra tutti i partner del progetto(Regione Puglia, Regione Abruzzo, Comuni di Nardò, Novoli, Gallipoli e Smederevo (Serbia), Accademia delle Arti di Tirana, Teatro Nazionale dell’Opera e del Balletto di Tirana, Teatro Nazionale per Ragazzi di Tirana, Centar Za Kulturu di Smederevo, Mostarski Teatar Mladih ( Bosnia Herzegovina), Associazione Drugo More di Rijeka (Croazia), Ministero della Cultura e dei Media del Montenegro.



Info 0832. 24.20.00 www.teatrokoreja.com


 


 

Il giornale delle Vie dei Festival
Online quotidianamente da Modena
di Redazione ateatro

 

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Raimondo Arcolai nuovo direttore dello stabile delle Marche
Dopo le polemiche degli ultimi mesi
di Redazione ateatro

 

Nelle ultime settimane il Teatro Stabile delle Marche è stato al centro di feroci polemiche, centrate soprattutto sulla gestione del direttore Tommaso Paolucci.
Oggi la decisione di affidare la direzione dello Stabile a Raimondo Arcolai, attuale direttore dell'Amat, il circuito teatrale delle Marche.


 



Appuntamento al prossimo numero.
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