(107) 25/03/2007

Bandi, arresti e censure
L'editoriale di ateatro 107
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and1
 
Qualche domanda di sinistra
Il Festival Nazionale, il patto stato-regioni, Fus e extra-Fus, le commissioni ministeriali, la legge, gli stabili, la formazione
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and3
 
Emergenza Come valorizzare i giovani talenti?
La bandomania
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and10
 
Tactical Media Practitioners: art & science hybridization
An interview with Critical Art Ensemble (in english)
di Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and16
 
Censure: Grazie, Europa Bloccato a Milano lo spettacolo di Rodrigo Garcia
Una lettera e una riflessione
di Renzo Martinelli e Rodrigo Garcia

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and20
 
La mia solidarietà all'astice (anche se a lui, poveretto, non gliene frega niente)
In margine a Accidens di Rodrigo García
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and22
 
Archivio 1985: Genet a Tangeri nel mattatoio di Rimini
Morte del teatro. Il cavallo ucciso rompe la fiction scenica (da "il manifesto", 23 luglio 1985)
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and23
 
Tracce di Fassbinder nel Motus operandi
Conversazione con Daniela Nicolò sull’ultimo spettacolo dei Motus Rumore rosa, ispirato al cinema di RW Fassbinder
di Andrea Balzola

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and30
 
Le recensioni di ateatro L’opera d’arte nell’epoca della producibilità digitale
a cura di Antonio Caronia, Enrico Livraghi e Simona Pezzano, edizioni Mimesis, 2006
di Andrea Balzola

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and32
 
The Jew of Malta Virtual Opera
Scarica il video da internet
di Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and35
 
Le recensioni di ateatro Dissonorata di Saverio La Ruina-Scena Verticale
Suad, Pasqualina e le altre (con un’intervista a Saverio La Ruina)
di Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and40
 
Pisa, l’Arno e Leo De Berardinis: un libro racconta i Sacchi di Sabbia
Tràgos. Atto unico con comica finale a cura di Giovanni Guerrieri e Giulia Gallo, Titivillus, Corazzano, 2006
di Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and43
 
Le recensioni di ateatro La forza dell’abitudine di Thomas Bernhard
Regia di Alessandro Gassman
di Fernando Marchiori

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and55
 
Teatro Vivo 2007: una introduzione al teatro contemporaneo
A Bergamo dal 12 marzo al 10 aprile
di Teatro Tascabile di Bergamo

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and70
 
Il parateatro di Jerzy Grotowski: documenti teorici e una testimonianza
martedì 6 marzo ore 18.30 alla Civica Scuola d'Arte Drammatica diMilano
di Ufficio Stampa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and71
 
Teatro di vetro: fiera mercato del teatro indipendente
Il bando
di triangolo scaleno teatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and72
 
Sola Poesia a Longiano dal 21 al 25 marzo
Con Zeichen, Insana e Magrelli
di Isabella Bordoni

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and73
 
Dimora Fragile: il bando
Per un festival della creazione contemporanea
di Leonardo, Linda, Lucio e Massimo

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and74
 
Nuove sensibilità: un bando per le nuove generazioni
A sostegno degli artisti under 35
di Amat

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and75
 
Un po’ dopo il piombo: Giangilberto Monti racconta l'amore tra Mara Cagol e Renato Curcio
Il debutto a Genova il 23 marzo
di Ufficio stampa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and77
 
MArteLive apre le iscrizioni per l’edizione 2007
Al via la settima edizione
di MArteLive

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and81
 
Il corso di perfezionamento teatrale di Luca Ronconi a Santacristina
Il programma e il bando per l'estate 2007
di Santacristina Centro Teatrale

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and82
 
Un piccolo classico: la nuova edizione di Organizzare teatro. Produzione, distribuzione, gestione nel sistema italiano di Mimma Gallina
FrancoAngeli, Milano, 2007, pp. 384, Euro 28,00
di Ufficio Stampa

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro107.htm#107and87
 

 

Bandi, arresti e censure
L'editoriale di ateatro 107
di Redazione ateatro

 

Per questo ateatro 107, volevamo fare uno speciale teatro e nuovi media, curato come al solito dalla infaticabile Anna Maria Monteverdi (attualmente profe di Digital Video all'Accademia di Brera). Ci siamo riusciti, e infatti in questo numero della webzine teatrale migliore d'Italia si trovano diversi testi focalizzati proprio sul rapporto tra la scena e il digitale: si parla dei Motus e del loro Fassbinder, di Dissonorata e dei Sacchi di Sabbia. Ci sono soprattutto, come antipasto, alcune domande "di sinistra", visto quello che accadee soprattutto quello che non accade nel Palazzo.
In uno di testi di 107, un’intervista esclusiva con il Critical Art Ensemble, si racconta anche il clamoroso arresto di Steve Kurtz, considerato dall’FBI un percoloso bioterrorista. Poi è arrivata la notizia della censura allo spettacolo di Rodrigo García al Teatro i di Milano e inevitabilmente i discorsi hanno iniziato a intrecciarsi e anche a diventare un po’ più complicati e delicati: perché mentre si parla di batteri e astici, si discute della responsabilità dell'artista e del suo ruolo politico nella società contemporanea.
Ma c’è anche molto altro, come sempre, in questo 107 e nei nostri vivacissimi forum.
Manca invece qualcosa: nello scorso numero avevamo lanciato un quiz: ha senso fare un’altra Ivrea quarant'anni dopo? Stiamo ancora raccogliendo idee e suggerimenti, e dunque aspettiamo i vostri contributi (amici di ateatro, ancora un piccolo sforzo!).
Però ci è venuto un sospetto: forse la Bandomania che attraversa il teatro italiano c’entra qualcosa con Ivrea 2007? Se volete saperne di più, date un’occhiata ai bandi per giovani artisti e compagnie pubblicati nelle news, e alle nostre riflessioni sull’argomento.


 


 

Qualche domanda di sinistra
Il Festival Nazionale, il patto stato-regioni, Fus e extra-Fus, le commissioni ministeriali, la legge, gli stabili, la formazione
di Redazione ateatro

 

Poche cronache “dal Palazzo” in queste settimane: dopo le novità di cui avevamo dato conto in ateatro 106 avremmo voluto riportare fatti, magari di quelli che ti fanno arrabbiare ma con cui ti misuri e magari polemizzi.
Ma sui pochi fatti sembra prevalere per ora nella politica del Ministero una concezione del tempo e delle priorità che rischia di azzerare qualunque eventuale buona intenzione (del Ministero medesimo) e mette a dura prova la nostra ferma volontà di non essere (ancora) disfattisti.
Cerchiamo quindi di estrarre dalla cronaca minuta qualche punto rilevante e di por(ci) qualche domanda.

CHE COS’E UN FESTIVAL?
Tempo affrettato-superficiale

Cominciamo dall’unico fatto concreto (ahimé): l’invenzione del mega Festival Nazionale del Teatro, l’“evento” di cui tutti sentivamo la mancanza. Della relativa commissione abbiamo già accennato, si dovrà dare atto della gara scatenata fra le città (il bando scadeva il 15 marzo) e prossimamente si dovrà provvedere alla scelta.
I tempi del bando avviliscono il concetto stesso di festival, quell’alchimia di necessità, rinnovamento, partecipazione che ha padri nobili come Richard Wagner e Jean Vilar.
Non sappiamo se qualcuno fra i concorrenti – Milano, Torino, Genova, Napoli, Firenze e altri – sia riuscito a tirar fuori un’idea geniale in quattro e quattr’otto: sarebbe bello, ma c’è da dubitarne.

PATTO STATO-REGIONI: IL BANDO?
Tempo allegro con brio, poi lento, infine lentissimo-quasi fermo

Sono passati ben due mesi dalla firma del “patto” fra stato, regioni e enti locali, che dovrebbe consentire di sperimentare iniziative congiunte di carattere innovativo e promozionale. Sostegno previsto in finanziaria: 20 miliardi di euro, mica bruscolini – e infatti sulla carta la scelta politica è molto rilevante, se si pensa che il FUS prosa 2006 è di 75 milioni di euro.
Si attendeva a breve un bando che indicasse più precisamente requisiti, tempi e modi. La sottosegretaria Montecchi lo aveva dato per imminente in diverse occasioni pubbliche e lo stesso ministro Rutelli aveva confermato.
Nel riferire sul “patto” a fine gennaio titolavamo: “Qualcosa di sinistra?” Un amico-lettore aveva commentato con un messaggio privato: “Purché non sia qualcosa di sinistro”.
L’esperienza autorizza in effetti qualche perplessità: una buona idea può naufragare fra lottizzazioni territoriali, politiche, di categoria. Oppure il “tesoretto” può servire per sistemare miracolosamente alcune situazioni di crisi. Non escludiamo che si stia limando e approfondendo per il meglio, speriamo solo che la stesura “ideale” non porti a un nuovo Manuale Cancelli per il Teatro. Attendiamo fiduciosi.

FUS ED EXTRA-FUS: COME SI APRE LA GABBIA?
Avanti piano, con variazioni sul tema

Come sapete, il FUS in Finanziaria è cresciuto se pure non come ci si attendeva (grazie a una inattesa limatura dell’ultimo momento). Ecco le cifre (arrotondate):

2005: 464 milioni (prosa 77 milioni)
2006: 375 milioni (governo Berlusconi) + 50 milioni (recupero Prodi) (prosa 75 milioni)
2007: 441 milioni (prosa 73.500 milioni)
2008 (previsioni): 486 milioni
2009 (previsioni): 543 milioni

In fondo non c’è troppo da lamentarsi, con l’augurio che l’obiettivo/promessa dell’1% del PIL alla cultura entro la fine della legislatura non si perda nella (necessaria) discussione su come si calcola la misteriosa spesa per la cultura.
La notizia/non notizia è che le percentuali di ripartizione fra i macrosettori sono rimaste le stesse e i criteri di assegnazione anche. Le persone serie non cambiano le regole del gioco – per quanto perverse – mentre la partita è in corso: è un principio che il governo precedente aveva spavaldamente ignorato, ma questo è fatto di persone serie; quindi tutti i parametri, anche i più demenziali, rimangono in vigore, almeno per ora (eppure i tempi per qualche variazione forse c’erano, pensandoci sei mesi fa). Si segnala solo una lavata di capo agli enti lirici che dovranno dimostrare resa quantitativa/qualitativa eccetera.
I dati rilevanti riguardano però quello che succede fuori dal FUS: i “Fondi Lotto” dovrebbero ammontare a 25 milioni di euro e il ministro ha dichiarato che verranno utilizzati per la Fondazione Petruzzelli (ente lirico aggiunto), ETI, Cinecittà Holding (sgravando il FUS da questi pesi).
Il ministro Rutelli deve spendere anche 20-1=19 milioni di euro per “eventi” dello spettacolo: è stato infatti stanziato a questo scopo un ulteriore fondo di 20 milioni (da non confondere con i 20 milioni del “patto” stato-regioni) e il famoso festival pesa solo per 1 milione di euro nel 2007 e 2 nel 2008 e 2009.
Non ci sembra sbagliato che – per rompere la gabbia del FUS - il ministro si sia tenuto queste valvole di sfogo, ma la parola “eventi” spaventa ed è urgente che Rutelli enunci qualche criterio di assegnazione.
Non sono state ancora dettate neppure le linee di indirizzo dell’ETI: la nuova direzione, con la vecchia presidenza e il vecchio CDA, dovrebbero ancora seguire quelle di Urbani. Lentezza, indugio o scarsa trasparenza?

COMMISSIONI: A QUANDO LA RIFORMA E LE NUOVE NOMINE?
Fermo con eleganza

E’ di oggi la notizia che la Corte Costituzionale ha dichiarato - con qualche anno di ritardo - poco costituzionale la legge Frattini, quella dello spoil system, che autorizza ogni governo a mandare a casa i dirigenti nominati da quello precedente.
Rutelli aveva anticipato questo punto di vista (atteggiamento peraltro apprezzabile) tenendosi Nastasi (scelta meno apprezzabile). E, con pari eleganza, non ha rinnovato le commissioni consultive (come avrebbe potuto), che restano dunque quelle nominate dal centrodestra (insomma, gli esperti che decidono i contributi allo spettacolo a titolo di consulenti del governo di centrosinistra sono quelli nominati dal ministro di centrodestra). Ora sarebbe troppo tardi il ricambio e metterebbe a rischio i tempi di erogazione come sostengono le categorie? Vero. Ma non lo si poteva fare sei mesi fa?

LEGGE: RIUSCIRA’ QUESTO GOVERNO A PARTORIRE UNA BOZZA PRESENTABILE?
Fermo con suspence

Tanto il ministro Rutelli quanto il sottosegretario Montecchi hanno preannunciato una bozza governativa molto innovativa e un giro pastorale per presentarla/discuterla prima di portarla alle commissioni e in parlamento.
L’annuncio era parso un buon segnale: per una volta sembrava preludere a una discussione allargata con il “vero” mondo del teatro (non solo con le rappresentanze ufficiali), sottraendo la funzione politica ai condizionamenti di tutte le parti che si leggono in filigrana nei vari progetti di legge.
Dopo di che, non se ne è più saputo niente. Perché? Quali sono i veri problemi? L’equilibrio centro-periferia? Le posizioni divergenti dei partiti?
Intanto giaccino in parlamento (limitandoci a quelli attuali) 5 progetti di legge, di cui 3 che fanno capo a partiti della maggioranza. Una storia infinita, che non diverte più.

CHE NE E’ DELLA RINASCITA DELL’ORGOGLIO DEGLI STABILI PUBBLICI?
Andante mosso sospeso

Un mese fa è stato diffuso un breve manifesto redatto a Milano dagli Stabili Pubblici che ipotizzava un nuovo organismo (da cui sembrava però non si escludesse nessuno della vecchia guardia, né per dimensione né per tendenza): si annunciavano a breve mosse rilevanti. Attendiamo con curiosità.
Nel frattempo a Prato si è installato Federico Tiezzi (il nostro Totonomine ci aveva azzeccato). Lo affianca Franco d’Ippolito per l’organizzazione (a proposito, in bocca al lupo!).

CHE SUCCEDE A TORINO?
In calo con ansia

ateatro ha dedicato in questo ultimo anno molto spazio a Torino, grande protagonista anche dei forum.
Il dato preoccupante è – come conseguenza anche della Finanziaria, ma non solo - che la città sembra costretta a un arretramento particolarmente grave rispetto alla scelta precisa e meditata di fare della cultura e dello spettacolo il settore trainante dello sviluppo e della riconversione metropolitana: si parla di tagli da 62 a 40 milioni di euro sul bilancio comunale (per l’entità definitiva del taglio è opportuno attenderne l’approvazione).
Tanto l’amministrazione che le istituzioni culturali sembrano voler ridurre al minimo l’impatto del disastro, ma nel frattempo esplodono le polemiche. C’è da registrare soprattutto la critica durissima e la presa di distanza della Regione dal teatro stabile. In un’intervista a “Repubblica” del 16 marzo la presidente Mercedes Bresso conferma – in nome del decentramento ma anche del totale non gradimento rispetto a scelte e risultati - il taglio di contributi allo stabile da 1.800.000 a 500.000 euro.
In compenso i 1.300.000 ero risparmiati verranno rimessi in circolazione, destinati in gran parte (700-800.000 euro) a un nuovo centro per l’innovazione diretto da Gabriele Vacis (che per ora ha sede a Tortona).
Nel frattempo il direttore dello stabile Walter Le Moli e il presidente Agostino Re Rebaudengo sono in scadenza. ateatro riapre dunque il Totonomine: c’è chi dà per certo Walter Ego alla direzione del nuovo festival rutelliano: forse è troppo veltroniano per Rutelli, ma chissà…

FORMAZIONE: CHE SUCCEDE ALLA SILVIO D’AMICO E ALLA PAOLO GRASSI?
Sospeso (per ora)

Le due principali scuole di teatro italiane sono pedine non irrilevanti per eventuali prospettive di rinnovamento del sistema.
Sull’Accademia Silvio D’Amico commissariata (e affidata a Giovani Minoli) è calato il silenzio. Così come si tace sulla Paolo Grassi di Milano, dove il direttore Massimo Navone ha dato le dimissioni e non intende essere riconfermato: com’è inevitabile, hanno iniziato a girare nomi interni ed esterni alla scuola e si rischia di aprire un altro fronte del Totonomine.


 


 

Emergenza Come valorizzare i giovani talenti?
La bandomania
di Redazione ateatro

 

ateatro ha ricevuto in queste settimane varie segnalazioni di bandi di concorso, destinati soprattutto a giovani artisti e teatranti. Le abbiamo subito inserite nelle news e nella webzine, e ne abbiamo riproposte alcune qui sotto. Altri bandi sono stati pubblicati e lanciati nei mesi scorsi, e di sicuro arriveranno altre opportunità (che proveremo a rilanciare nel sito).

Nuove sensibilità

Teatro di vetro

Dimora Fragile

Autore chiama autore

Kilowatt Festival

Nuove Espressioni Teatrali

Bancone di Prova

Opera Prima

E’ un elenco ampio e curioso. E sintomatico.

Sono iniziative diverse, ciascuna con i suoi obiettivi, le sue particolarità, i suoi modi. Tuttavia sono accomunate da alcuni elementi, che vanno sottolineati.

1. Questa proliferazione di bandi e concorsi riflette senz’altro la straordinaria e sorprendente vitalità della scena teatrale italiana, con numerose individualità e gruppi giovani alla ricerca di visibilità, giudizi e riconoscimenti. Insomma, partono dalla constatazione dell’esistenza di un sottobosco ricco e fertile.

2. Testimonia inoltre che sono attive anche varie realtà ed enti che avvertono il bisogno di censire, scoprire e valorizzare nuovi talenti. Sono istituzioni solide e ricche (stabili, circuiti, fondazioni bancarie) ma anche e soprattutto piccole organizazioni di base, autogestite e auto-organizate: festival e compagnie, circoli culturali, associzioni di base… Il loro obiettivo “egoistico” è naturalmente quello di scoprire e lanciare i grandi nomi dello spettacolo e della cultura di domani, e in qualche modo sono in concorrenza tra loro.

3. In questa situazione, la forma del bando pubblico pare oggi la più adatta, per chiarezza e trasparenza, rispetto ad altre forme utilizzate in passato dal nostro sistema teatrale (in sostanza la cooptazione corporativa, attraverso vari canali e modalità). Quella del bando è tuttavia anche una formula intrisecamente competitiva, che aspira a una sorta di oggettività che può anche voler significare normalizazione, e dunque esclusione delle punte più eccentriche e forse interessanti. A voler essere ironici, si potrebbe parlare del pasaggio a un sistema fedale, basato sulle affiliazioni e sulle fedeltà, a un sistema confuciano-burocratico di mandarinato, anche se non esiste un centro imperiale di coordinamento. Ma come sempre quello che importa davvero non è la formula, quanto gli uomini che la incarnano e il modo in cui usano il loro potere.

Più in generale, questa “bandomania” tenta di affrontare l’evidente emergenza del nostro sistema teatrale, nel duplice senso del termine.
Da un lato il termine emergenza rimanda a una situazione di pericolo, di eccezionalità. Ci parla di una crisi che prende la forma di un difficile ricambio generazionale.
Ma nella sua radice il termine rimanda anche all’emergere: in questo senso si tratta di far venire alla superficie e di rendere visibili nuove realtà, nuove esperienze, nuove personalità artistiche.
In questo senso, l’unico augurio che possiamo fare è: “Vinca il migliore”. O meglio, vincano i migliori
Anzi, ne faremmo anche un altro, di augurio: ci piacerebbe che i vincitori – per il solo fatto di aver vinto – non diventassero subito il bersaglio dell’invidia degli altri (quel livore calunnioso e frustrato che si sfoga troppo spesso nei forum di ateatro). Perché gli sconfitti non sono necessariamente meno raccomandati degli sconfitti: forse sono soltanto meno bravi… O forse gli esclusi sono troppo avanti, e il tempo e ateatro daranno loro ragione e giustizia!


 



a cura di a m m (anna maria monteverdi)
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Tactical Media Practitioners: art & science hybridization
An interview with Critical Art Ensemble (in english)
di Anna Maria Monteverdi

 

Recombinant Theatre è la definizione data dal collettivo statunitense Critical Art Ensemble al proprio lavoro performativo. Nato nel 1987 a Talahasse in Florida il Critical Art Ensemble fondato da Hope e Steve Kurtz, Steve Barnes, Dorian Burr, Beverly Schlee a cui ha collaborato a lungo Beatriz da Costa, si autodefinisce un collettivo di artisti dediti all’esplorazione delle intersezioni tra arte, tecnologia, attivismo politico radicale e teoria critica. Azioni e installazioni quelle del CAE connesse con i media tattici, con la tematica del plagiarismo, del boicottaggio e della riappropriazione creativa e sovversiva dei mezzi di comunicazione; recombinant è un aggettivo caro alla generazione dei media attivisti ed è riconducibile al valore di rifunzionalizzazione semantica e di détournement situazionista. I loro testi, tra cui Disobbedienza Civile Elettronica (con il famoso motto Cyber rights now!), pongono l’accento sul fatto che una tecnocultura alternativa possa nascere da un movimento organizzato (il tactical media movement) e da una pratica reale di socializzazione dei saperi tecnologici e di “interventismo” (parola che il collettivo preferisce ad “impegno”), di “digital resistence”. Ma cosa intende il CAE per recombinant theatre? Un teatro tecnoattivista che unisce le pratiche del teatro di guerriglia, del teatro sociale alle tecnologie più attuali di trasmissione delle informazioni e alle operazioni di sabotaggio elettronico, di net strike, di virtual sit in. Le loro ultime performance riguardano le biotecnologie e approntano per questo dei veri e propri laboratori mobili per contestare le modalità di ricerca della biologia attuale e gli eccessi delle sperimentazioni relative al DNA ricombinante umano, vegetale e animale, denunciandone le speculazioni economiche a opera di multinazionali farmaceutiche e di grandi catene di distribuzione alimentare. In questa forma di “teatro-scienza” lo spettatore si trova di fronte a conferenze scientifiche e a veri e propri test sulla fertilizzazione in vitro e sugli organismi geneticamente modificati. Di questi temi parla il libro Molecular Invasion edito in copyleft da Autonomedia e liberamente scaricabile dal loro sito (da poco tradotto e pubblicato anche in Italia).
In Free Range Grains viene allestito un open lab per verificare se alcuni prodotti alimentari distribuiti nei grandi magazzini e portati dal pubblico in occasione della performance, contengono o meno OGM. Perché «il processo scientifico non appare mai pubblicamente, appaiono solo i suoi miracolosi prodotti. Vogliamo portare i processi di routine della scienza al pubblico. Farglieli vedere e toccare”.
Recentemente il Cae sta rivolgendo la propria attenzione sugli effetti devastanti degli storici esperimenti batteriologici inseriti nei programmi di guerra britannici e statunitensi. In Germs of Deception (2005) il CAE riproduce (in modi evidentemente non dannosi per l’ambiente e per il pubblico) le condizioni di un esperimento batteriologico realizzato dagli USA nel 1949 quando un gruppo di militari addestrati rilasciò nell’aria un battere Serratia marcescens con l’obiettivo di contaminare completamente l’ambiente circostante. Identica simulazione per Marching plague, riferita invece agli esperimenti britannici per testare la peste come arma batteriologica nell’isola di Lewis nel 1952-1953.
In GenTerra il Critical Art Ensemble stimola il pubblico a creare nuove forme di batteri modificati geneticamente del tipo “e-coli” ma completamente innocui, liberarli nell’aria o portarseli a casa. L’obiettivo è quello di “demistificare l’intera procedura di ingegneria genetica, provare ad alleggerire la paura inopportuna per la scienza transgenica e ridirigere l’attenzione verso le implicazioni politiche della ricerca”.
Steve Kurtz a seguito di un’indagine su colture batteriche non tossiche rinvenute in casa sua dopo la morte per arresto cardiaco della giovane moglie Hope, viene accusato prima di bioterrorismo poi di frode postale. La ben nota vicenda è spiegata dal collettivo in questa intervista: a causa del provvedimento federale contro il terrorismo (la famigerata Patriot Act promossa dopo l’11 settembre 2001 che proibisce il possesso di “qualsiasi agente biologico o tossina in una quantità non giustificata da una ricerca preventiva, protettiva o per altri scopi pacifici” ) Kurtz rischia adesso 20 anni di carcere.

La comunità artistica internazionale si è mobilitata ed è stato aperto un sito dove è possibile aderire alla campagna di solidarietà internazionale.

Vedi anche l’intervista di Snafu al CAE nel sito di
the thing.



Anna Maria Monteverdi: Critical Art Ensemble members call themselves tactical media practitioners. Can you explain what you mean by that term, and how you began using this model of cultural production?

Critical Art Ensemble: Tactical media is a term that originated in Holland in the mid-90s. The “tactical” part of the term is partly derived from de Certeau’s theories of every day life. Tactical media is anti-monumental, deterritorialized, and self-terminating. It does not attempt to colonize sites of meaning. It is ephemeral, rapidly emerging to create riots of semeosis and ideological subversions, and then melting away just as quickly.
The “media” part of the term refers to the fact that CAE does not work in a medium specific manner. We will use whatever medium or combination of media that will best communicate in a given situation. This is one reason why we work collectively, so that we will have numerous skill-sets to draw upon for our projects.
CAE always worked this way even before we had a term to describe it. We use the method because it appears to us as the most democratic means of producing culture.



Germs Of Deception. NGBK, Berlin, 2005. In 1949, a US military group charged with biological research sent an agent to release Serratia marcescens (a harmless anthrax simulant) into the air ducts at the Pentagon. The mission was successful, and the results (complete contamination by the bacteria) were forwarded to the Pentagon. They neglected to mention that 100% germ coverage does not translate into 100% infection rate which does not translate into 100% mortality rate. Officials at the Pentagon became so panicked they immediately devoted generous amounts of resources to the research group. This con (or one like it) has been often used in the genesis of many of the world’s germ warfare programs. In Germs of Deception, CAE traces these cons, and recreates the misleading experiment in the gallery. According to our findings, NGBK is a suitable site for an anthrax attack, as the distribution rate was perfect. All our sensors lit up.

AMM: Much of your early work and number of your books address electronic or digital resistance. Net strikes, online and virtual activism are new forms of communications and performitivity. What is the philosophy behind your performances, and what are the goals of such actions?

CAE: One common thread in CAE’s work has been to show how the tools of oppression can be used for liberation. In the late 80s through the mid90s we were very interested in demonstrating how new information and communication technologies could be appropriated by resistant culture and used in ways for which they were never designed or intended. Currently, we are trying to show how the life sciences can be used for resistant purpose. This task is far more difficult as the level of alienation of people from these tools of production is much higher. People tend to be more skeptical and fearful of biotechnology, because unlike a computer, they are not very likely to interact with these technologies. At the same time, they see how much damage some of this technology is doing to the environment and to the social sphere. Many of our recent writings and projects have been designed to lower this level of alienation, and give people knowledge about and experience with the technology. We cannot let these powerful tools become the sole property of militaries and corporations.



Marching Plague. In 1952-3, the British military conducted experiments off the Isle of Lewis to see if plague could be used as a tactical ship-to-ship weapon. The first test was to see if guinea pigs on a floatation platform could be hit from a mile away. To practice for the real release, a harmless bacteria, Bacillus subtilis, was substituted for plague. Using lines of smoke as the targeting system, the bacterial broth was launched from a pressurized atomizer off the back of the boat. Once the guinea pigs were retrieved, they were swabbed for traces of subtilis. On October 13, 2005, Critical Art Ensemble returned to the Isle of Lewis to recreate this experiment guided by the historical principle, the first time tragedy, the second time farce. Such is the history of germ warfare in general. It was tragic the first time until most efforts were halted after the Biological Weapons Convention of 1972, and farcical since the program’s reinvigoration after 9/11 (particularly by the Bush administration).

AMM: Are there previous theatrical and aesthetic models that influence the collective?

There are no early models that are exactly like us because we have had to adapt to a very different newly emerging technosphere, but there are a some with which we share some cultural DNA and that were influential on our way of thinking such as the San Francisco Diggers, Augusto Boal and Theater of the Oppressed, elements of the Living Theater, and some of the performance that emerged out of the Feminist Art Movement in the 70s.



In general, the Diggers, the Situationists, and Provos were of great influence on us because they were among the first to realize that cultural action had causal value, and that no resistant (or they thought revolutionary) political movement could succeed without a cultural parallel. Certainly one of the historical high points of this type of modeling was in Italy in the late 70s, and hopefully we are at point where such a model can fully bloom for a global movement against neoliberal culture and economy.



Free Range Grain is a live, performative action. CAE/da Costa/Shyu has constructed a portable, public lab to test foods for the more common genetic modifications. People bring us foods that they find suspect for whatever reason, and we test them over a 72-hour period to see if their suspicions are justified. While we will not be able to say conclusively that a given food is genetically modified (although we can offer strong probability as whether it is), we can test for conclusive negatives, and we can bring issues of food purity into the realm of public discourse. Identified contaminated food will be offered for consumption at your own risk. If on the other hand, if we find nothing, it lends credibility to the idea that the European food chain is safe from GM contaminants.

AMM: Your latest works are real examples of Science Theater (such as GenTerra or Free Range Grains) as well as your performances linked to contestational biology. The socio-political debate about genetic manipulation is maturing. But how can performance show specific aspects of the scientific research? Could you give some example from your work?

CAE: That is the beauty of quality web design. You can have a tremendous amount of information put into a digestible, entertaining package. The trick is to get participants to want to look at it. That means we have to convince them quickly they have a stake in the issue we are presenting. In projects like Free Range Grains or Molecular Invasion we can bring people into a larger discussion fairly easily because it has to do with food, and everyone has to eat. With a project like GenTerra, in which CAE is trying to discuss methods of risk assessment of genetically modified organisms the problem is more difficult. Here we had to create a minor “threat” by asking people to release genetically modified bacteria that we had engineered. The bacteria is completely harmless to the environment and to living things, but it sounds very frightening. People became very interested in risk assessment when they were faced with the decision of whether or not to release the bacteria.



GenTerra, 2001, performance view, St. Norbert Art and Culture Center, Winnipeg, Manitoba, Canada. GenTerra was produced in collaboration with Beatriz da Costa; science consultant, Bob Ferrell; and robotics consultant, Garth Zeglin. GenTerra examines the relationship between the creation of genetically modified organisms (GMOs) and biological environmental resource management. Of particular interest was the means by which a popular method of risk assessment could be developed. Viewers of the website began the performative process by gathering information on GMOs. By using the performers and web-site as information resources, viewers were able to form more informed opinions on the dangers of GMO release, and were then given the opportunity to test this information.

AMM: CAE's mobile labs are supposedly designed to raise consciousness about the social problems regarding the environment, transgenics, reproductive technology and biological warfare. What do you hope people will come away with when they see one of your projects?

CAE: We hope for a few things: First, that the technology will be demystified; second, that a participant will have a more reasoned (rather than emotive) relationship to critical social issues regarding biotechnology; third, that through participatory experience, they will see the stake they have in a given issue both individually and socially; and finally, the experience will encourage them to become politically active in regard to given issue.



Cult of the New Eve, 1999.

AMM: What is the reaction of the public when you ask members to perform as “biologists” or as “human testers?” Do you use particular strategies of participation for these actions?

CAE: Most people don’t hesitate at all. The strategy is to perform in places where people go expecting to participate in an event. It can be a Natural History museum, a farmer’s market, or a local bar, just as long as people go to the place to do something and not just watch something.



Cult of the New Eve, 1999 Transgenic beer and wafers for Cult communion.

AMM: Do new developments in the life sciences offer positive potential or pose greater threats? And also, how do you combine artistic, political, and scientific gestures in a performance?

CAE: Development in the life sciences cannot be stopped, but it can be guided. Whether a product or process is a threat or a blessing has to be examined on a case-by-case basis. There is no general position. The main problem is usually not knowledge or its product, but the way it is used within the current political-economy. Given the predatory nature of capitalism, almost anything can be a threat. The system is what needs to be changed, not the science.
Hybridization is an easy process since it is the permanent state of becoming that we are all a part of. All objects and processes have elements of science, politics and art in or associated with them. We just call attention to all the elements in various proportions that make up these mixtures, rather than ignoring some categories and favoring others.

AMM: You usually do your performances in museums or at festivals with themes involving the life sciences or digital media. Have you also been invited to theatre festivals? Do you think traditional theater is a retrograde form because it resists any hybridizing with technology?

CAE: We have been invited to theater festivals and conferences. Not many, but it has happened. At the events we have been at the presentations tend to be rather normalized, but I have found that event producers are willing to present just about anything we want once we have been invited. The theaters tend to have some of the best technology available for performance, it just that they don’t typically use it for radical ends and experiments. Theater in general is by no means technophobic.

AMM “The Drama Review” (edited by Richard Schechner) did a special section on Critical Art Ensemble: Do you see yourself as part of that anthropological, intercultural theatre that this journal usually covers?

CAE: No, that special issue happened because one of the associate editors, Rebecca Schneider, is a great supporter of CAE’s work, and insisted the issue should be done.



Steve Kurtz.

AMM: You have been accused of being a “bioterrorist”. Could you say something about that tragic event?

CAE: Steve’s ordeal was one of many tragedies suffered as a result of the policies of the neoconservatives and the burgeoning US security state post-911, including the policy of “preventive justice” at the Department of Justice.
On May 11, 2004, Steve’s wife of 20 years and CAE member, Hope, died of heart failure in their home in Buffalo. Steve called 911. Buffalo Police who responded along with emergency workers became alarmed by the presence of art materials in their home that had been displayed in museums and galleries throughout Europe and North America. Convinced that these materials — which consisted of several petri dishes containing harmless forms of bacteria, and scientific equipment for testing genetically altered food — were the work of a terrorist, the police called the FBI.



The next day, as Steve was on his way to the funeral home, he was stopped and illegally detained for 22 hours by agents from the FBI and Joint Terrorism Task Force, who informed him he was being investigated for “bioterrorism”.



Meanwhile, agents from numerous federal law enforcement agencies descended on Steve’s home in Hazmat suits. Cordoning off half a block around his home, they seized his cat, car, computers, manuscripts, books, equipment, and even his wife's body from the county coroner. A week later, only after the Commissioner of Public Health for New York State had tested samples from the home and announced there was no public safety threat, was he allowed to return to his home and to recover Hope’s body.



Today he and long-time CAE collaborater Robert Ferrell (former Chair of the Department of Genetics at the University of Pittsburgh Graduate School of Public Health) face trumped-up charges of "mail fraud" and "wire fraud" – which, thanks to the USA PATRIOT Act, now carry a possible 20 year sentence – the same as the original “bioterrorism” charges would have.



The case threatens to set very dangerous precedent by eroding the boundary between civil and criminal law and by criminalizing those who criticize government policy. If the Justice Department wins this case, it will double the federal government’s power overnight. The case has already led to dispossession of the public's fundamental right to scientific knowledge. Because of this case, many of the manufacturers that formerly supplied amateurs and science hobbyists no longer will for fear of litigation. The case therefore threatens to end independent research and seriously damage the public's ability to critique corporations and the military, which will exercise even more exclusive control of scientific knowledge.
(For more information about the case, as well as how you can help, please go to www.caedefensefund.org).

AMM: What are other groups are working in a similar way to you in the USA and in Europe.

CAE: There aren’t many groups working in science-theater that we know of. subRosa is one of the few. However, there are many groups working in tactical media world-wide — Institute for Applied Autonomy, The Yes Men, Carbon Defense League, Finishing School, Temporary Services, Preemptive Media Collective, My Dad’s Strip Club, Space Hijackers, Conglomco.org, irational.org, Bureau of Inverse technology, and on and on.

AMM: Have you come to Italy to introduce your work, and have you any received any invitations for the future?

CAE: We are written about in Italian magazines, journals and other publications, and most of our books have been translated into Italian, but, unfortunately, CAE has never been asked to do a project in Italy.


 


 

Censure: Grazie, Europa Bloccato a Milano lo spettacolo di Rodrigo Garcia
Una lettera e una riflessione
di Renzo Martinelli e Rodrigo Garcia

 

Questa settimana è per la prima volta a Milano - o meglio, avebbe dovuto essere a Milano - uno dei grandi nomi della scena internazonale, Rodrigo Garcia, con Accidens-Matar para comer, ospite del Teatro i. Lo spettacolo avrebbe dovuto debuttare martedì sera, ma non è andato in scena. E probabilmente non andrà in scena neppure nei prossimi giorni.



copyright Rodrigo Garcia.

Le ragioni le spiega in una lettera Renzo Martinelli, direttore del Teatro i. Della riflessione sull'evento si fa carico lo stesso Garcia.
Inutile ricordare ai frequentatori di ateatro il famigerato precedente del cavallo dei Magazzini a Santarcagelo. Inutile ricordare che questo è il primo spettacolo di Garcia ad arrivare Milano (dopo la messinscena qualche anno fa di un suo testo,
Note di cucina, da parte di Lorenzo Loris all'Out Off).

Guarda un video sullo spettacolo. (n.d.r.)


Milano, 14.03.07

Cari amici,
sta accadendo un fatto molto grave e molto preoccupante. Il sintomo di un momento di grande crisi culturale del nostro paese. Un fatto che ci riguarda, ma che indirettamente colpisce tutti coloro che lavorano per fare cultura.
In questi giorni stiamo ospitando nel nostro spazio milanese, Teatro i, la performance di Rodrigo Garcia Accidens-Matar para comer, un’ospitalità d’eccellenza di cui condividiamo la linea poetica e di cui ci assumiamo la responsabilità. Questo è’ quello che accade nella performance: c'è una persona seduta (l'attore) e un astice appeso a un filo di nylon. L'attore guarda l'astice per un tempo di circa dieci minuti, Lo bagna con dell'acqua. Un microfono a contatto amplifica il rumore provocato dai movimenti dell’astice. Poi l’attore lo prende e lo uccide. Allo scopo di cuocerlo e mangiarlo. Gli taglia le chele, lo apre (il tutto in pochi secondi, NIENTE TORTURA), lo cucina e lo mangia. Mentre lo mangia scorre un testo in video e una canzone cantata da Louis Amstrong. Nel video si vede il mare.
Lo spettacolo è andato in scena a Bologna (I), Prato (I), Volterra (I), Rennes (F), Bayonne (F), Bilbao (E), Santiago De Compostela (E), Barcellona (E), Madrid (E), Montemor O Velho (E).

PURTROPPO A MILANO ACCIDENS NON POTRÀ’ ANDARE IN SCENA

Lunedì 12 marzo, l’OIPA ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Milano, ai Carabinieri del NOE, alla Polizia Locale e all’Ufficio del Garante per i diritti degli animali del Comune di Milano chiedendo un intervento urgente atto ad impedire il reato di maltrattamento sugli animali. Infatti per l’OIPA far soffrire e uccidere un astice in uno spettacolo teatrale costituisce reato secondo quanto disposto dagli artt. 544-bis e 544-ter del Codice Penale (introdotti dalla Legge 20 luglio 2004 n. 189).
Abbiamo ricevuto una diffida con la quale la Questura di Milano, a seguito di segnalazione del Tribunale di Milano in relazione ad un procedimento penale pendente, ma del quale allo stato non conosciamo gli estremi, ci ha intimato di “non porre in essere la sequenza teatrale concernente l’uccisione in diretta di un animale – astice –“. Pur non conoscendo, allo stato, i motivi e i presupposti del procedimento penale in forza del quale è pervenuta la diffida, riteniamo che non si tenga in considerazione quanto accade realmente nella performance teatrale, né la scelta poetica dell’evento, né la sua forza artistica. Consideriamo quest’atto una censura preventiva che non ci permette di proseguire liberamente nel nostro lavoro.
Lo spettacolo tocca un tema cruciale per la civiltà occidentale. E' una riflessione sulla vita e sulla morte e in particolare sull'occultamento della morte nella nostra cultura. Noi mangiamo cose già morte e preparate, non uccidiamo per mangiare. Perdiamo quest'esperienza che lasciamo fare ad altri per noi. La stessa cosa che si fa nello spettacolo avviene ogni giorno in tutti i ristoranti, in tutte le cucine, in tutte le pescherie e macellerie. La riflessione sul tema dell’uccisione di un animale diventa metafora dell’uccisione degli esseri umani, assorbita e virtualizzata dai media. Ogni giorno guardiamo in televisione la morte violenta della nostra stessa specie, violenza gratuita, violenza fatta sui nostri simili senza alcuno scopo in questo caso, neppure lo scopo del nostro nutrimento o della nostra sopravvivenza. Ma la realtà televisiva è realtà depotenziata e ancora una volta occultiamo l’esperienza reale della morte.

Ecco… in 30 minuti, rielaborando un accadimento personale legato a un incidente in auto che poteva essergli fatale, Rodrigo Garcia riesce a farci riflettere su tutto questo.
La reazione spropositata che si sta verificando non fa che confermare per noi quanto Rodrigo abbia visto giusto nell'elaborazione di quest’opera. Una reazione che svela l’ipocrisia e il fondamentalismo, o forse il provincialismo, che pervadono la nostra cultura.
Abbiamo cercato di considerare con lucidità le vere motivazioni di questo fatto, ma non troviamo giustificati i provvedimenti presi a nostro carico. Questa ospitalità per noi non è disgiunta dal progetto culturale che stiamo conducendo. Non è obbligatorio condividere con noi questa scelta e il dissenso è assolutamente legittimo, ma legittima è anche la nostra libertà di espressione come ogni libertà di espressione artistica.
Tutto ciò lede il nostro tentativo di continuare a lavorare secondo un preciso intento artistico, culturale, sociale.
Abbiamo già la solidarietà di molti intellettuali e artisti e persone. L’Assessore alla Cultura del Comune di Milano Vittorio Sgarbi si è espresso pubblicamente a nostro favore.
Chiediamo la vostra solidarietà attraverso una raccolta di firme che invieremo ai quotidiani nazionali il prima possibile.
Noi lavoreremo perché lo spettacolo vada in scena.

grazie
Renzo Martinelli

Grazie, Europa

Heidegger è esistito.
Al contrario, tutte le notizie sui nostri Dei, fanno ridere.
C’è solo letteratura e poi successivamente buona pittura pagata dalla chiesa e la musica di Bach.
Un’altra volta mi succede lo stesso in questa Italia cattolica appestata di profumo: mi proibiscono di fare la mia performance Accidens. Perché c’è un astice vivo in scena.
Perché assistiamo all’agonia, ma in un contesto differente dalla pescheria.
Perché un attore, alla fine di 30 minuti di un’opera completa, lo taglia e lo cucina come in tanti ristoranti e lo mangia.
Lo proibiscono i giudici con scarpe di pelle, giudici con borse di pelle, poliziotti con camicie cucite dai bambini dell’Asia e la gente della politica che permette che la televisione sia uno schifo e che nelle strade pubbliche proprio in questo momento un prodotto venga pubblicizzato con un bebè di sei mesi che pensa o sogna di comprare non so cosa.
Di fronte a tanta ipocrisia e violenza ancora esistono edifici chiamati teatri che si offrono alla città come spazi o selve di resistenza poetica in assoluta utopia. Ci sono zone - e persone che popolano queste zone - che fanno tesoro della speranza di condividere giorni e chilometri di libertà. Non si tratta di una finzione della libertà: il fatto teatrale esiste e ogni proposta è una realtà. Parlo di pesanti bombe casalinghe che consegniamo in mano a ciascun individuo del pubblico; alcune scoppiano, altre no, e ciò dipende da ciascun individuo, se decidi di togliere la sicura della bomba e tremi e vivi e osservi come bisogna fare, come il primo uomo e non come una fotocopia umana.
La scorsa notte c’era la polizia nel Teatro i di Milano, dentro. Il pubblico, è rimasto fuori.
Che diavolo ci fa la polizia in un teatro?
Che ci fa il pubblico fuori da un teatro?
Perché il neonato di sei mesi sogna già di comprare un prodotto e la sua foto è su una strada pubblica come pornografia di cattivo gusto e noi dobbiamo cancellare un’azione poetica?
Che c’è dopo di questo?
A te, ti parlo adesso?
Cosa c’è dopo tutto questo?
Sto parlando con te adesso.
Con te.
Ti faccio una domanda semplice, a te: cosa c’è dopo tutto questo?
Il silenzio di ciascuna donna e di ciascun uomo d’Europa è la frequenza brutale, che fa sì che i miei timpani scoppino.

Rodrigo Garcia


 


 

La mia solidarietà all'astice (anche se a lui, poveretto, non gliene frega niente)
In margine a Accidens di Rodrigo García
di Oliviero Ponte di Pino

 

Quando ho saputo che nella performance di Rodrigo García in (s)cena al Teatro i di Milano si assiste allo strappo delle chele di un astice, alla sua uccisione e cottura, ho deciso di non assistere nella performance (oltretutto ho dedotto che non l'avrei nemmeno mangiato io, il prelibato crostaceo, con il suo bravo cucchiaio di maionese, ma l’attore che se lo cucina).
Preciso che non so se in scena la sofferenza dell’animale duri tanto o poco, e nemmeno che cosa significhi la sofferenza di un astice, o se abbia senso parlare propriamente di “sofferenza di un astice”. Ma non credo sia questo il punto.
Così come non c’entra ovviamente nulla (pur essendo una pratica ingiusta e crudele) il fatto che nei ristoranti milanesi chissà quante aragoste e affini, in bella mostra nell’acquario all’ingresso, facciano ogni sera una fine analoga a quella dell'attore non protagonista della serata.

So che la morte altrui ci provoca inevitabilmente un brivido. Quella del condannato a morte più di quella dell'astice, naturalmente. Quella dell’incidente d'auto cui assistiamo per caso più di quella dell'ennesimo attentato suicida trasmesso per l'ennesima volta dalla tv (naturalmente dopo aver tagliato “i dettagli più raccapriccianti”, che tanto adesso si trovano facilmente su Internet).
Quella suscitata dalla morte altrui è un’emozione che fa leva su un mix di curiosità e repulsione, ed è assai facile suscitarla. Se posso la evito, perché so che non mi rende migliore. Anzi. E perché fa leva su aspetti della personalità che possono facilmente diventare morbosi. Questa è la prima ragione per cui ho preferito non partecipare al rito sacrificale dell'astice.

Soprattutto, ritengo che uccidere un animale in scena sia un errore estetico e prima ancora etico. Avevo cercato di spiegarlo in occasione della famigerata affaire del cavallo al Festival di Santarcangelo una ventina d'anni fa (in questo numero di ateatro abbiamo ripreso il testo scritto nell'occasione).
E non perché episodi di questo genere possono essere strumentalizzati dai media conservatori (come accadde di regola con gli scandali di questo genere, autentici o opportunamente cercati e poi gonfiati dal “panico morale”), ma per il fatto in sé. Questa è la ragione principale per cui non ho voluto assistere al lavoro.
Oltretutto - ma questo risvolto per me è molto meno importante - come è noto l'esibizione delle sofferenze animali a fini spettacolari è proibita dalla legge italiana (e giustamente: pensate alla corrida), con tutte le inevitabili e spiacevoli conseguenze del caso: la polizia che blocca lo spettacolo, i magistrati che hanno l'obbligo di aprire un procedimento penale, eccetera eccetera.
A differenza di Vittorio Sgarbi, che da esteta ha difeso con coerenza e vigore il gesto dell’attore di Victor García, ritengo che l'etica (scusate la parolaccia) sia più importante dell'estetica e della politica (soprattutto dopo Auschwitz), anche se non penso affatto che estetica e politica debbano essere subordinate all'etica (soprattutto dopo Auschwitz e il Gulag).
Il fatto che poi lo stesso Sgarbi si presenti con un astice in grembo a Porta a porta ad accusare la magistratura prendendo a pretesto la vicenda, fa parte della patologia di Sgarbi e del sistema informativo italiano: è assai sgradevole (oltre che insensato, e imbarazzante per chi difende il diritto alla rappresentazione di García e del Teatro i) ma non c’entra nulla con il fatto in sé.

(A s-proposito. Quando Sgarbi a ogni conferenza stampa accusa Mani pulite di aver spazzato via un’intera classe dirigente, e in particolare quella milanese, e di aver lasciato il deserto: è vero, ma quel ceto politico, quella classe dirigente, si erano già delegittimati da soli con Tangentopoli, le sue ruberie e il suo immobilismo, con l’occupazione sistematica di tutti i gangli del potere e relativi sprechi e taglieggiamenti, vedi i casi della Metropolitana milanese e del Passante ferroviario, ma anche della nuova sede del Piccolo Teatro, con i loro tempi eterni e i costi che lievitavano; insomma, Mani pulite non è stata la causa del crollo della “Milano da bere”, ma la sua conseguenza; del resto, se quella classe dirigente avesse avuto davvero una qualche forza e progettualità, non si sarebbe lasciata spazzar via in quel modo.)

Tornando al povero astice, era risaputo che la sua triste fine avesse già urtato qualche sensibilità: per la precisione a Prato, nell’estate del 2006, quando l’attore era già stato denunciato e la faccenda era finita sui giornali.
Ritengo che un artista, così come ogni cittadino, se lo ritiene necessario (perché la legge è ingiusta, oppure perché mosso da ragioni che ritiene superiori alla legge, per esempio una insopprimibile esigenza poetica), abbia il diritto di infrangere la legge, sapendo però che potrà (o meglio, che dovrà) pagare le conseguenza del suo gesto. Insomma, se so di commettere un reato, non dovrò sorprendermi più di tanto se dopo (o ancor meglio prima) arrivano i carabinieri.
Accusare Milano di essere retrograda e censoria, in questo caso, mi sembra assai pretestuoso e ingiusto (anche se per molti aspetti Milano è di sicuro retrograda e regressiva).

So anche che la valenza provocatoria del gesto teatrale è stata consapevolmente cercata da Rodrigo García, all'interno di una coerente riflessione poetica su cibo e morte, e sul rapporto che li lega, e all’interno di una più ampia critica del consumismo occidentale e dell’ipocrisia della cultura del “primo mondo”. Ritengo che un artista abbia tutto il diritto di provocare il suo pubblico e che da sempre il rapporto dialettico con i committenti sia una delle dinamiche fondamentali dell’arte.
Tuttavia mi pare di cogliere nell’atteggiamento del regista argentino una punta di “superiorità morale” nei confronti delle grandi istituzioni che lo ospitano-producono e del loro pubblico. Un atteggiamento che può sconfinare nel disprezzo, e rischia di diventare ricattatorio: “Se non ti piace, o se non lo accetti, allora sei un ipocrita – o un censore”.
So di essere per molti aspetti un ipocrita, agli occhi di un animalista radicale (e probabilmente anche a quelli di García): per esempio mangio carne e uso scarpe di pelle senza sgozzare e scuoiare personalmente gli animali, e illudendomi che le loro sofferenze siano limitate al massimo; e ricorro a farmaci certamente testati su animali.
Ma c’è un pizzico di paradossale ipocrisia anche in un'artista della provocazione che quando centra il bersaglio - quando finalmente fuori dal teatro arriva a polizia a bloccare lo spettacolo, fioccano denunce e scandali, quando la vicenda finisce sulla prima pagina della “Repubblica”, vedi il bell'articolo di Stefano Bartezzaghi del 16 marzo - si atteggia a vittima.

PS Mentre scrivo queste righe, mi rendo anche conto di essere disperatamente fuori moda: nell'epoca dei reality, la forma della rappresentazione è esplosa, e invece io continuo a ostinarmi a pensare che ci debba essere un confine tra la realtà e la finzione, e che il teatro sia anche costante riflessione su questo limite, senza la facile scorciatoia della provocazione – che può solo innescare un meccanismo di escalation.
E mi rendo conto di essere per un certo verso, un ipocrita al quadrato: perché con queste parole finisco anche io, volente o nolente, per contribuire alla piccola industria dello scandalo, ad alimentare il dibattito, a farmi bello delle mie opinioni. E al povero astice tutto questo naturalmente non serve proprio a nulla. Da lassù, nel Paradiso degli Astici, si sarà giustamente irritato.


 


 

Archivio 1985: Genet a Tangeri nel mattatoio di Rimini
Morte del teatro. Il cavallo ucciso rompe la fiction scenica (da "il manifesto", 23 luglio 1985)
di Oliviero Ponte di Pino

 

Questo articolo stato scritto per “il manifesto”, a caldo, poco dopo la rappresentazione di Genet a Tangeri nel mattatoio di Rimini il 19 luglio 1985. Uscì il 23 luglio, mentre saliva la tempesta mediatica; è stato pubblicato accanto a due altri testi di Gianfranco Capitta e Gianni Manzella, che aprirono “un dibattito serio, subito sommerso dal clamore, ma suscitando una polemica all’interno della redazione del giornale” (Ferdinando Taviani).
All’epoca scoppiò un grande scandalo, ottimanente ricostruito i tutti gli snodi teorici e mediatici da Ferdinando Taviani in un saggio esemplare, Macello ovvero La mossa del cavallo, in il Patalogo nove, Ubulibri, Milano, 1986, pp. 217-223.


Passo ormai da diversi anni buona parte delle mie serate a teatro. Per una serie di motivi molti dei quali certamente a me ignoti – trovo particolarmente congeniale il ruolo di spettatore. L’altra sera, per la prima volta, ho rifiutato questo ruolo con una violenza insieme di viscere e di testa. Di tutto il pubblico - un centinaio di persone, in buona parte addetti ai lavori, reclutati con discrezione – sono stato uno dei pochissimi a uscire.
Per quanto mi riguarda, la forza della mia reazione è un grande merito dello spettacolo, il frutto di un’operazione intelligente, di grande coraggio e generosità da parte dei Magazzini Criminali, una specie di “dono” di se stessi in una situazione volutamente difficile e estrema.
L’evento in sé è molto semplice da descrivere. In un mattatoio i Magazzini Criminali rappresentavano Genet a Tangeri. Sullo sfondo, contemporaneamente, un cavallo veniva prima ucciso e poi squartato. Nel momento in cui ho capito che il cavallo stava per essere ucciso, mi sono rifiutato di seguire lo spettacolo (che nei dieci minuti iniziali, gli unici che ho visto, mi era sembrato di una stupenda intensità: sconvolgente sia nell’ambientazione, evento irripetibile e quindi per me spettatore particolarmente coinvolgente).
Per sgombrare il campo dagli equivoci, mi sembra necessario precisare alcuni motivi che non ho tenuto in considerazione quando ho scelto di rinunciare allo spettacolo. Non è stato per moralismo o “protezionismo”: so benissimo che ogni giorno vengono macellati migliaia di animali, e che quel cavallo sarebbe morto in ogni caso, nella stessa maniera, qualche ora prima.
Non è stato eppure il raccapriccio per la visione del sangue e della morte a allontanarmi. Me e sono andato prima. Non ho bisogno di misurare in una specie di rito iniziatico la morte altrui, quella di una vittima innocente. (Ma devo chiedermi: una mia emozione, anche estetica, vale la vita di un cavallo? Che prezzo può avere? E che tipo di emozione è? Quale sarà in questo caso la “qualità” dell’emozione che mi travolge? Se alla prima domanda ho risposto “No”, alle altre ho paura di rispondere, per me e per gli altri.)
La ragione più profonda per cui mi sono rifiutato di rivedere Genet a Tangeri nel mattatoio è un’altra: quello dell’altra sera non era uno spettacolo. Dietro ogni spettacolo ci sono dei tabù non scritti. Uno di essi riguarda l’irreversibilità: qualunque cosa accada in scena, deve essere possibile ripristinare le condizioni iniziali del sistema e ripetere l’evento (almeno in linea teorica). E’ un tabù che riguarda in definitiva la morte e la nascita, atti irreversibili per eccellenza.
La scena è l’unico luogo in cui è possibile impunemente morire: e in questo sta il suo fascino. Ma è anche l’unico luogo in cu è impossibile morire realmente/i>. E’ per questo, aldilà di ogni moralismo, che il concepimento e la morte sono osceni: come eventi “reali” e non “mimati”, devono restare aldifuori della scena.
Far convivere due ordini di realtà (ovvero finzione e realtà) è un’operazione che in scena si fa da sempre: è il trito e fecondo tema del teatro nel teatro. Ma sovrapporli e confonderli mi sembra estremamente pericoloso. Così non si resuscita certo il tragico, piuttosto il rito che attraverso una serie di azioni a un determinato livello di realtà spera di influenzare una realtà superiore o trascendente.
Detto questo, avrei potuto ugualmente assistere allo spettacolo, riservandomi poi in sede “critica” le mie valutazioni. Ho però deciso, in ogni caso, di rifiutarmi. Perché non credo che l’innocenza morale dello spettatore – di colui che assiste passivamente a un’azione ideata o condotta da altro, in teatro e fuori -, la pigrizia e il cinismo della sua non-scelta a qualunque costo, sia e debba essere comunque garantita. Se fossi rimasto, mi sarei considerato complice di un atto di violenza gratuita.
Avrei potuto considerare la serata come qualcosa di diverso da uno spettacolo, un più semplice atto di comunicazione, una dichiarazione d’amicizia e d’affetto. In parte lo era. Non sempre però l’amore (e penso al pubblico) è pura condiscendenza. A volte è necessario rifiutarsi, per il bene di chi si ama. Quindi a maggior ragione avrei rinunciato a misurarmi su quel terreno. Perché non credo che basti aumentare l’intensità di uno stimolo esterno per cambiarne la qualità. Il Grand Guignol insegna: può continuare a funzionare a dosi sempre più massicce, ma poi cade nel ridicolo nell’autodistruzione.
In teatro aleggia sempre la morte. Per questo lo amo. Ma lo amo ancora di più perché non è la morte, perché mi dice qualcosa sulla morte e, forse, contro la morte. Così ha fatto, e spero ritornerà a fare, il teatro dei Magazzini Criminali: per questo l’ho amato e continuerò in ogni caso a amarlo.


 


 

Tracce di Fassbinder nel Motus operandi
Conversazione con Daniela Nicolò sull’ultimo spettacolo dei Motus Rumore rosa, ispirato al cinema di RW Fassbinder
di Andrea Balzola

 

I Motus, fondati e diretti da Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande, sono uno dei gruppi italiani di ricerca che con maggiore continuità, originalità ed efficacia espressiva assimilano ed esplorano nel linguaggio teatrale l’uso delle nuove tecnologie e dei media, dal cinema alla televisione, dal video alle nuove frontiere digitali di internet e della post-produzione. Non a caso oggi il loro lavoro è tra i più richiesti e apprezzati oltre confine. Dopo aver attraversato l’universo pasoliniano di Teorema (con L’ospite) e di Petrolio (con Come un cane senza padrone), affrontano ora un’altra dimensione poetica stratificata e complessa come quella del regista tedesco Fassbinder, percorrendo le due anime delle sue ossessioni artistiche: quella “politica” con lo spettacolo Piccoli episodi di fascismo quotidiano, e quella “melodrammatica” con Rumore rosa, attualmente in tournée (20-21 gennaio a Scandicci, 21-25 febbraio a Napoli, 8-10 marzo a Modena, 30 giugno-1° luglio a Roma). Mentre il primo è costruito a episodi/eventi unici, liberamente ispirati all’anomalo testo teatrale-cinematografico Pre-paradise Sorry Now del 1969, il secondo doveva essere nelle intenzioni iniziali un remake teatrale del film Le lacrime amare di Petra von Kant del 1972, ma dopo la negazione da parte Siae dell’autorizzazione si è trasformato in qualcosa di molto diverso. Lo spettacolo comincia dalla fine del film (ma anche dalla fine di Fassbinder, che abbandona i suoi personaggi), dalla separazione e quindi dalla solitudine delle tre donne Petra, Marlene e Karin: le prime due sono “recluse” nelle loro rispettive abitazioni, la terza vaga con una valigia per la città. Protagoniste bravissime sono Silvia Calderoni, che viene dal mondo performativo e della danza, Emanuela Villagrossi, una delle attrici più intelligenti ed espressive della nuova scena italiana, già protagonista delle due precedenti pieces pasoliniane, e la giovane Nicoletta Fabbri.





Anche questa volta l’allestimento dei Motus produce uno spiazzamento percettivo e un’invenzione espressiva mediante l’intreccio tra il linguaggio teatrale e il linguaggio dei media e dei new media. Se nelle messinscene pasoliniane l’azione si sdoppiava e si compenetrava con grande efficacia con ambienti e scene videoproiettate, in Rumore rosa le attrici agiscono su un palcoscenico vuoto come un foglio bianco, dove di volta in volta appaiono esterni urbani ed interni bidimensionali, disegnati e animati. I personaggi vivono come incarnazioni provvisorie dentro un grande story-board (videoproiettato) che ne scandisce la dimensione spazio-temporale.



L’immaginario cinematografico, con esplicite citazioni o con sofisticate e “archeologiche” rielaborazioni, è uno dei motivi conduttori dei lavori dei Motus, abbiamo quindi chiesto a Daniela Nicolò, che tipo di legame esiste in questo ultimo lavoro con il cinema.

Daniela Nicolò Rispetto all’Ospite, dove i riferimenti cinematografici pasoliniani erano espliciti, qui non c’è un legame diretto con un film in particolare di Fassbinder. Infatti, dopo che è venuta a mancare la possibilità di fare un remake delle Lacrime amare di Petra von Kant, abbiamo cambiato radicalmente rotta e abbiamo raccolto in modo trasversale degli spunti da diversi film di Fassbinder (in particolare Un anno con 13 lune, Veronika Voss, Selvaggina di passo...) per la ri-costruzione dei tre personaggi femminili. Ci siamo anche rivisti tutti gli straordinari melodrammi cinematografici di Douglas Sirk, che Fassbinder considerava il suo maestro, non per trarne citazioni dirette ma per respirare e far traspirare quel clima, quella dimensione di catastrofe sempre latente, che irrompe sempre improvvisa, ma inevitabile, a spezzare gli equilibri e i sogni dei personaggi. Come il motivo tipico dell’incidente automobilistico in cui una donna è investita, che abbiamo ripreso nello spettacolo lasciandone ambigui gli esiti.





Una delle caratteristiche principali del vostro lavoro è quella di creare un inedito intreccio fra il linguaggio del teatro e i linguaggi mediatici. In questo caso avete imboccato una nuova strada...

Daniela Nicolò Sì, non abbiamo usato il video ma il disegno animato, per realizzare gli ambienti in cui si trovano le tre donne. Un giovane molto bravo, Filippo Letizi, ha fatto i disegni di interni ed esterni urbani, poi il team “visual composing p-bart.com” li ha animati elaborandoli con il software After Effect. Non è uno sfondo scenografico e nemmeno un’animazione classica, è di fatto uno story-board di soli ambienti, animati da piccoli movimenti, all’interno dei quali si collocano i personaggi reali. Com’è nostro costume, abbiamo scritto lo spettacolo come una sceneggiatura cinematografica, ma in questo caso si è aggiunta la dimensione visiva dello story-board, infatti questo passaggio continuo tra gli interni (in cui si trovano Petra e Marlene) e gli esterni (la città dove si aggira Karin) è stato per noi un supporto drammaturgico importante sia nel risultato scenico finale sia nel processo di costruzione. Tutto, gli ambienti e le azioni, è visto come attraverso una finestra e la finestra è anche l’inquadratura cinematografica. Esiste tra l’altro una singolare omonimia nella lingua tedesca: la parola EINSTELLUNG significa sia “inquadratura” in senso cinematografico, sia atteggiamento nei confronti di qualsiasi fenomeno e, per estensione, anche “giudizio” in senso morale. Si tratta quindi di una definizione perfetta per il cinema di Fassbinder, che osserva uomini e cose alla luce di principi e valori, e dove le vittime si possono trasformare ad ogni momento in carnefici.

Qualche traccia originale di Fassbinder resta nello spettacolo, in un’originale soluzione teatrale che mescola voyeurismo e nostalgia, due componenti essenziali del genere melò...

Daniela Nicolò E’ vero, abbiamo conservato dei brevi frammenti di dialoghi tratti dal film di Fassbinder, che abbiamo rifatto con le nostre attrici e inciso su un disco di vinile, che Marlene ascolta continuamente insieme a vecchie canzoni d’amore (lei è la segretaria-serva, il personaggio che osserva e ascolta tutto, che incarna quindi la figura del testimone e del voyeur, memoria e filtro di tutta la vicenda amorosa fra Petra e Karin). Il fruscio del disco e la puntina che riga e s’incanta alimentano quel clima di patetismo estremo ed ossessivo che volevamo restituire, sottolineandone anche l’artificiosità.

Non potendo basarvi su un testo pre-esistente, come avete condotto il lavoro drammaturgico e come avete elaborato il copione?

Daniela Nicolò C’è stato un grande lavoro preliminare di improvvisazione, fatto insieme alle attrici. Non avevamo nessun testo di partenza, solo vecchie canzoni d’amore, perché questa volta volevamo lavorare anche sul canto. Abbiamo costruito lo spettacolo associando ciascun personaggio ad alcune situazioni fondamentali: la solitudine; l’attesa di una telefonata (con un importante riferimento alla Voce umana di Cocteau); una donna sola con la valigia che vaga per la città. I testi sono scaturiti soprattutto da queste improvvisazioni e da alcune rielaborazioni fassbinderiane (soprattutto da un Un anno con 13 lune, tra i più cupi melodrammi del regista tedesco, sulla solitudine amorosa di un transessuale), mescolandosi e compattandosi con parti scritte da me. E’ importante sottolineare che nel nostro “motus operandi” il testo non è mai definitivamente compiuto, ma rimane un work in progress che noi ci riserviamo di modificare e integrare prima di ciascuna replica, recentemente Emanuela ha aggiunto un suo contributo e anch’io tendo a rimetterci ogni volta le mani...

Per concludere, il Rumore rosa del titolo potrebbe riferirsi al borbottio solitario di queste perdute anime femminili, ma ha anche un altro significato...

Daniela Nicolò Sì, il “rumore rosa” è un termine tecnico per definire quelle frequenze artificiali che i tecnici del suono utilizzano per evidenziare la curva di equalizzazione ottimale in un ambiente che ospita una esecuzione musicale. Richiama quindi sia la costruzione artificiale di un mondo sonoro, sia l’artificiosità della messa in scena contemporanea, dove si manifesta la frattura insanabile fra l’immaginazione melodrammatica delle origini e la crisi odierna dei sentimenti e degli stereotipi teatrali. Una cesura che Motus porta impressa come un tatuaggio indelebile...


 


 

Le recensioni di ateatro L’opera d’arte nell’epoca della producibilità digitale
a cura di Antonio Caronia, Enrico Livraghi e Simona Pezzano, edizioni Mimesis, 2006
di Andrea Balzola

 

L’incontro tra le arti e le nuove tecnologie è sempre stato ispiratore di nuovi linguaggi, nuove frontiere espressive e comunicative, fin dai tempi in cui l’elettricità è entrata in teatro o gli artisti hanno cominciato a manipolare pellicole, ma una nuova era nasce a partire dagli anni Novanta del Novecento. E’ l’era della “producibilità digitale” che segue quella della “riproducibilità tecnica” analizzata da Walter Benjamin e quella del “villaggio globale” mediatico-televisivo descritta da Marshall McLuhan. Il decennio in questione - preceduto ovviamente da altri cruciali decenni di ricerche e d’invenzioni che hanno il loro nucleo generatore nel computer e il loro luogo di “allevamento” soprattutto nella Silicon Valley californiana – è quello in cui nasce Netscape, il primo browser commerciale per la rete (1994), in cui si diffonde la nuova generazione dei personal computer multimediali e la tecnologia digitale rivoluziona il mondo performativo del teatro e della danza, la musica, la fotografia, il video e il cinema, consente le installazioni interattive, gli ambienti virtuali o “sensibili” e l’arte basata sul web (net art, web art, hacker art, software art, etc.) Una delle caratteristiche fondamentali di quella che molti oggi chiamano la “New Media Art” è la creazione di un meticciato, altri lo chiamano “ibridazione”, non solo fra arte e tecnologia, ma anche tra linguaggi artistici differenti, quasi tutte le opere sono infatti “di frontiera” fra arti visive, grafiche e arti dello spettacolo o musicali (basti pensare a una delle performance più famose di Golan Levin: Dialtones, a Telesimphony, un concerto per videoproiezioni e telefonini cellulari con la partecipazione del pubblico). Lo stesso principio di interattività connette in modo indissolubile la tradizione dell’installazione con quella dell’esperienza performativa e spesso video-cinematografica. Un costante sconfinamento tra i generi e i linguaggi che non annulla la specificità di ciascun linguaggio, ma tende per vocazione – appunto multimediale – al nomadismo tra esperienze e aree espressive differenti.
Il mondo dell’arte, dello spettacolo e dell’informazione non se n’era, come al solito, accorto subito, e negli anni Novanta le grandi esposizioni o rassegne internazionali e la bibliografia del settore ignoravano le neonate arti digitali e i new media, stavano cominciando solo da poco a offrire visibilità a i nuovi linguaggi artistici e performativi che sperimentavano fin dagli anni Sessanta l’uso del “video”, sviluppando sia nei contenuti sia nelle forme un grande fenomeno alternativo alle arti tradizionali (videoarte, videoteatro, videodanza, etc).
Oggi, che l’industria del settore ci bombarda quotidianamente di novità tecnologiche e noi consumatori abbiamo una maggiore familiarità con questi nuovi media (per New Media s’intende di fatto tutto il mondo digitale on line e off line: il Web, i media e i supporti digitali audio-visivi e la recente telefonia cellulare), anche il mercato dell’arte e dello spettacolo, l’editoria e le istituzioni cominciano a focalizzare l’interesse sul fenomeno, non senza difficoltà perché molto variegato, in continua evoluzione, spesso effimero, difficile da rintracciare, catalogare e conservare, spesso complesso nelle procedure creative e nei principi concettuali per chi non sia un addetto ai lavori o un abile utente. Uno dei segni evidenti che anche l’Italia, purtroppo ormai “tecnologicamente arretrata” non solo rispetto agli standard evolutivi asiatici e nordamericani, ma anche europei, sta ufficialmente scoprendo il mondo delle nuove arti tecnologiche digitali è la recentissima istituzionalizzazione dei corsi di arti multimediali (variamente nominati) nelle Accademie di belle arti riformate, infatti dal 2006 non sono più “in fase sperimentale” ma affiancano le tradizionali scuole di pittura, scenografia, scultura. Corsi avviati pionieristicamente alle soglie del 2000 nelle accademie di Brera a Milano, a Carrara, a Macerata, a Urbino, a Firenze, etc, da volenterosi artisti e studiosi con la complicità di direttori illuminati e spesso accompagnati dall’ostilità di molti colleghi “tradizionalisti” nonché da croniche mancanze di fondi, ora sono tra i corsi più gettonati dagli iscritti e tra i pochi che offrono concreti sbocchi professionali. Anche il mondo dell’editoria sta lentamente rimuovendo la sua diffidenza verso gli studi del settore, ancora una volta a seguito dell’esempio straniero (vedi le collane degli editori Taschen e Thames & Hudson). Proprio nelle ultime settimane del 2006, per orientare gli interessati nella labirintica mappa delle nuove tendenze artistiche e delle relative correnti di pensiero, dei presupposti e dei nuovi paradigmi estetici, etici e filosofici che questa mutazione antropo-tecnologica sta producendo, è arrivata una proposta editoriale interessante che raccoglie contributi di numerosi studiosi (alcuni dei quali sono docenti universitari e dei nuovi corsi multimediali delle accademie) e che fa seguito alla mostra-ciclo di conferenze Techne 2005, organizzata alla Spazio Oberdan di Milano, con il patrocinio della Provincia di Milano.
Il libro, che contiene anche alcune immagini in bianco e nero, è un tentativo piuttosto ambizioso da parte degli autori-curatori, quello di tracciare non soltanto delle coordinate descrittive del fenomeno dell’arte digitale ma anche delle chiavi interpretative, con diversi approcci disciplinari affidati a differenti collaboratori. Si parte dall’identificazione delle aree di ricerca artistica e dalle nuove figure di artista emergenti (ad esempio, autori collettivi, incroci fra arte e ingegneria informatica, artisti più interessati ai procedimenti o alla creazione di nuove forme di partecipazione fruitiva piuttosto che alla realizzazione di opere vere e proprie) , per esplorare lo sviluppo dell’arte interattiva fino alle molto discusse sperimentazioni bio-tecnologiche (come un vero coniglio fosforescente ottenuto mediante manipolazione genetica), si confronta l’esperienza della Net Art con il fenomeno dell’attivismo mediatico dell’Hacker Art, si affrontano le trasformazioni del linguaggio cinematografico indotte dal digitale e infine si delineano nuovi scenari antopologici e filosofici dove la macchina digitale interagisce con l’inconscio, smaterializza ed estetizza il rapporto con la realtà, e trasforma la soggettività contemporanea. In effetti, la tecnologia, pilotata dalla voracità del mercato, sta mutando “alla velocità della luce” non solo l’arte ma il nostro quotidiano, e associandosi allo sviluppo della ricerca genetica muta anche l’identità biologica stessa degli esseri viventi, e mentre questa accelerazione innovativa smantella molti pilastri delle nostre convinzioni più radicate e destabilizza principi etici millenari, la riflessione su questi temi di prioritaria importanza non è altrettanto tempestiva e non è ancora sufficientemente profonda. Questo è il vero pericolo e la vera incognita che viene dalla rivoluzione tecnologica in atto, non tanto un oscuro orizzonte di cui essa sarebbe portatrice, ma l’inadeguatezza dell’uomo contemporaneo nell’interpretare e quindi orientare nella prospettiva più propizia alla collettività le nuove straordinarie potenzialità che vengono dalla tecnologia. Di qui l’importanza di moltiplicare le occasioni di riflessione, facendo anche questo con uno spirito nuovo che è quello di incrociare sempre il pensiero con le pratiche, evitando di far procedere come troppo spesso è accaduto in tempi recenti, arte e pensiero su binari separati. Gli artisti che sono tradizionalmente votati all’azzardo e alla sperimentazione di nuovi media e di nuovi scenari possono allora dare un importante contributo a questa urgente necessità di interpretazione del senso (doppiamente inteso come direzione e come valore) dell’innovazione tecnologica.


 



a cura di a m m (anna maria monteverdi)
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The Jew of Malta Virtual Opera
Scarica il video da internet
di Anna Maria Monteverdi

 

Nel 2002 Il gruppo di artisti digitali Art+Com su commissione della Biennale d’Opera di Monaco e con il supporto dello ZKM ha realizzato un’opera musicale con il supporto di un sofisticato sistema tecnologico di motion graphics e motion tracking particolarmente emblematica per l’innovativa proposta di scena virtuale e di digital costume design.
Si tratta di The Jew of Malta, libero adattamento dall’opera di Christopher Marlowe firmato dal compositore e regista contemporaneo Andrew Werner. Lo scopo del progetto era quello di rinnovare la classica e statica scena per un design tecnologico “reattivo” e dinamico. La tecnologia si indirizza verso sistemi di bitmap tracking, gesture recognition e physical contour recognition per architetture e costumi
Protagonista era Machiavelli: le scenografie e persino i costumi digitali erano legati al concetto che Machiavelli era il detentore di un potere assoluto e di conseguenza tutto doveva ruotare intorno alla sua persona. La topografia dei luoghi, le trame virtuali dei tessuti e gli ambienti sintetici creati in grafica 3D – che andavano a configurare un bunker della Seconda Guerra Mondiale – si trasformavano real time sulla base di un sistema di rilevamento ottico del movimento del protagonista. Pochi attori ricoperti solo di una speciale stoffa bianca riflettente la luce interpretavano tutti i personaggi e i rapidi cambi di costume erano possibili grazie a videocamere a infrarossi che rilevavano i loro contorni e permettevano una proiezione di particolari texture virtuali sulle maschere digitali generate dal sistema. Spiegano gli autori:

L’obbiettivo non era quello di sviluppare una nuova forma di arte narrativa o celebrare la tecnologia sulla scena; al contrario stavamo cercando di estendere le potenzialità delle tradizionali discipline del teatro e del design del costume grazie all’aiuto dei media interattivi per farli diventare un ulteriore supporto alla narrazione.

Di recente Art+Com messo a disposizione un video che spiega le caratteristiche tecniche di questo pionieristico progetto di stage design interattivo.
Di seguito la traduzione in italiano del testo del documentario scaricabile dal loro sito.

(Traduzione di Anna Maria Monteverdi con la supervisione di Andrea Piegaia)

A VIRTUAL OPERA

Nel 1996 il Festival di Monaco commissionò al compositore Andrew Werner un’opera musicale contemporanea. L’opera è stata premiata nel 2002. Sin dall’inizio prima di scrivere la prima nota o il primo verso del libretto, il compositore aveva incluso artisti digitali nello sviluppo di tutto il progetto. Il nostro compito fu di creare una scena interattiva e uno speciale design digitale per i costumi, in stretta collaborazione con Werner per tutto il processo di scrittura. Era chiaro sin dal principio che l’obiettivo non era quello di sviluppare una nuova forma d’arte narrativa o celebrare la tecnologia sulla scena, al contrario stavamo cercando di estendere le potenzialità delle tradizionali discipline del teatro e del design del costume grazie all’aiuto dei media interattivi e farle diventare un supporto alla narrazione.



Il libretto dell’opera era basato sul testo L’ebreo di Malta scritto da C. Marlowe nel 1590 e che fu riscritto dal compositore Andrew Werner. Il testo è ambientato per la maggior parte in un monastero. Così il nostro primo passo fu quello di trovare una metafora contemporanea per l’ambientazione originaria. E ci venne l’idea di un bunker della seconda guerra mondiale perché il monastero e il bunker sono sia rifugio che prigione. Lo step successivo fu lo sviluppo di un concept per portare un bunker creato al computer, sintetico dunque, sulla scena e creare un’architettura tridimensionale e dinamica. Ci venne l’idea di usare tre schermi di grande formato retroproiettabili; poiché non potevamo proiettare un volume architettonico in forma olografica - come invece vediamo qui - decidemmo di proiettare soltanto le intersezioni verticali del bunker, definite dalla posizione e dalle dimensioni degli schermi. Queste intersezioni o piani che si congiungono, ci fornirono da una parte un interessante punto di partenza astratto, dall’altro crearono l’impressione di una gigantesca architettura tridimensionale.



Per testare quest’idea, creammo un modellino 1:10 con tre schermi retroproiettati: 3 schermi e 3 computer. Ciascuno di essi calcolava il piano di intersezione del bunker secondo la posizione e le dimensioni degli schermi. Per rendere possibile l’interattività abbiamo fatto aderire il movimento del bunker al movimento del corpo del personaggio principale, Machiavelli. Se lui si muoveva verso l’architettura o indietreggiava rispetto ad essa, tutta l’architettura lo seguiva; se si girava, l’intera architettura si girava esattamente secondo i suoi movimenti. Tecnicamente il protagonista era “tracciato”, seguito da una telecamera a infrarossi che forniva un traccia digitale in forma di bit map che permetteva di determinare l’esatta posizione sulla scena del protagonista. Era possibile interpretare il suo gesto calcolando il centro di gravità e trasmettendo la distanza tra questo e il punto più lontano dal centro.



Qui il protagonista Machiavelli è in grado di cambiare la scena solo muovendo le braccia. E qui un altro esempio di come può muovere l’intera scena digitale solo col gesto. Una potente impressione di tridimensionalità scaturisce da questa idea di intersecare l’ architettura virtuale.
Abbiamo scelto di attribuire a Machiavelli il potere attraverso l’interattività perché nell’adattamento di Werner dal testo di Marlowe Machiavelli è il personaggio centrale. Egli si considera il creatore dei mondi. Pensa che il mondo si muova secondo i suoi piani e crede di poter determinare anche le azioni degli altri. L’architettura in sé non è stata completamente pre-modellata. In alcune sequenze l’architettura è stata generata real time basandosi sull’algoritmo di crescita delle piante.



Oltre all’architettura interattiva generativa, abbiamo esteso le possibilità espressive del design del costume attraverso i nuovi media. Lo scopo era quello di proiettare le condizioni interiori dei cantanti sulla pelle esterna. Per fare ciò tecnicamente abbiamo sviluppato un sistema altamente complesso che ci permetteva di fare una proiezione precisa, soltanto dentro i contorni visibili dei personaggi. Essi potevano muoversi e la proiezione li seguiva secondo i diversi e continui cambi di posizione e di movimento.
Per fare questo gli attori indossavano un costume bianco che rifletteva gli infrarossi, illuminato con una luce rossa a infrarossi. Una telecamera ad infrarossi veniva puntata sulla scena e produceva 25 immagini ad alto contrasto al secondo. Da qui un algoritmo generava una maschera su cui era applicata una texture, una trama. L’immagine finale veniva poi proiettata sull’attore da un proiettore posizionato esattamente nello stesso punto della telecamera a infrarossi. Questo sistema è stato usato su due lati della scena per permettere che la proiezione dell’immagine avvolgesse l’attore per intero. Una delle molte possibili applicazioni è questa scena in cui tre ebrei vogliono convincere un quarto a pagare le tasse. Quando il quarto personaggio sembra essere convinto e si avvicina ai tre e assume la loro stessa “trama digitale” sul costume. Quando invece non è d’accordo, perde la trama.


Poiché abbiamo utilizzato quattro attori sulla scena su cui bisognava proiettare immagini, abbiamo sviluppato un ulteriore sistema piuttosto complesso che ci permetteva da un lato di identificare dove ciascuno degli attori era collocato e dall’altro lato dove il confine (per la proiezione) di uno di loro terminava e cominciava quella di un altro. Per fare questo abbiamo usato 4 telecamere laterali, una frontale e un’altra dall’alto che ci permetteva di generare real time un modello 3D architettonico per ciascun attore. Ecco le immagini dalle 4 telecamere. Ecco il modello 3D real time che veniva generato e che ci permetteva di capire esattamente la collocazione di ciascuno dei 4 attori e quale attore copriva gli altri. Questa informazione ci permetteva di capire dove una sagoma di uno doveva terminare e dove quella di un altro doveva cominciare. Ecco la trama proietatta risultante da sinistra e da destra. Ed ecco ancora il risultato finale sulla scena.
Come abbiamo detto all’inizio la tecnologia che avevamo sviluppato era la base per un contenuto che guidava l’interazione che era l’obiettivo principale e il supporto al racconto.
Machiavelli è la figura dominante che governa e conduce il gioco, che ha il potere interattivo sui media in scena e sui costumi digitali. All’inizio egli può controllare tutta la scena i cui diversi principi di interazione sono qui mostrati. Come l’opera musicale prosegue Machiavelli perde il suo potere che viene espresso da una perdita dell’interattività della scena. Infatti in poco tempo gli altri personaggi sono in grado di interagire con la scena disturbando il potere di Machiavelli. Alla fine addirittura la scena stessa prende controllo su di sé e comincia a essere interprete da sola, lasciando Machiavelli privo di potere. Il declino di Machiavelli è anche espresso dalla perdita di potere sulle proiezioni sui costumi sugli altri personaggi. Quando l’attore si leva il suo abito riflettente la luce infrarossi bianco, mostrano costumi neri che non possono essere catturati dalla telecamera e quindi su cui non si può proiettare immagini.
Quando il processo finisce i personaggi prendono il controllo del loro destino e il potere di Machiavelli viene meno definitivamente. Viene ridicolizzato dai personaggi. Nel finale il tema centrale è nuovamente messo in vista. La lotta di potere tra le tre religioni mondiali, Cattolicesimo, Islam e Ebraismo. Machiavelli è incastrato tra le religioni che sono rappresentate da tavoli con tovaglie dalle trame di tre colori differenti. Alla fine anche Machiavelli perde questa lotta e le Religioni dominano crescendo fino a riempire l’intero palco.


 


 

Le recensioni di ateatro Dissonorata di Saverio La Ruina-Scena Verticale
Suad, Pasqualina e le altre (con un’intervista a Saverio La Ruina)
di Anna Maria Monteverdi

 



Foto di Tommaso Le Pera.

Scena Verticale, diretta da Saverio La Ruina, è tra le più conosciute compagnie di ricerca emerse nell’ambito della gloriosa manifestazione calbiana Teatri90. Tra le nuove generazioni della cosiddetta terza ondata versione Sud, Scena verticale per T99 propose i>De-viados all’Out-Off di Milano nel 1999. La compagnia che ha sede a Castrovillari e organizza annualmente a giugno il Festival “Primavera dei teatri”, ha da sempre tratto linfa vitale per i propri lavori dalla cultura del meridione e dal dialetto calabrese. In evidenza sia per l’interpretazione che per la drammaturgia – Amleto o cara mammina, Kitsch Hamlet, La famiglia - ha ricevuto importanti riconoscimenti nazionali (Premio Bartolucci per Realtà Nuove nel 2001, Premio della Critica nel 2003) e segnalazioni (Premio Eti-Tuttoteatro “Dante Cappelletti”, Premio di Drammatugia “Ugo Betti”).



Foto di Tommaso Le Pera.

Dissonorata, ultima produzione di Scena verticale già presentata con successo al Festival “Bella ciao” di Ascanio Celestini e recentemente ospite del Teatro Studio di Scandicci, è un punto di arrivo, una prova decisamente matura della compagnia; merito di Saverio La Ruina che ha disegnato e interpretato una storia di grande forza drammatica, una storia di ordinaria violenza nei confronti delle donne del Sud: reclusione casalinga forzata per le donne non accompagnate, obbligo di morigeratezza di costumi, di curarsi della casa e di far figli. Qualcuno si ricorderà che solo nel 1965 la diciassettenne Franca Viola, di Alcamo si oppone per la prima volta alla consuetudine del “matrimonio riparatore”, rifiutando di sposare chi l’aveva rapita e violentata e che in Italia, sino al 1981, esisteva il delitto d’onore, punibile da un minimo di 3 anni a un massimo di 7.
In un paese della Calabria ad alto tasso di vedovanza e zitellaggine per via degli uomini andati in Albania a combattere e solo in parte ritornati e dove a 19 anni si è già vecchie per maritarsi, Pasqualina pascola le pecore e va in paese a testa bassa contando le pietre. In una società che considera reiette coloro che sono nubili Pasqualina desidera profondamente trovare l’uomo da sposare; e lo trova affacciandosi al balcone. Ci pensa prima di farsi toccare ma lui le promette che tanto “andamo a spusà”. Quando il corpo mette in evidenza il peccato e l’uomo è sparito alle sue responsabilità, la famiglia deve lavare il disonore: la cosparge di benzina e vuole bruciarla viva con tutto quello che ha dentro. Si salva con l’acqua della fonte del paese e grazie a zia Stella che la porta via da quell’ospedale dove la lascerebbero morire e la conduce a casa sua; l’accudisce, la mette nella stalla e lì nasce non il bambin Gesù ma Saverio. L’amore della madre per il piccolo è più forte della vergogna di un bambino fuori dal matrimonio e del dolore per il corpo reso deforme dalle fiamme. La Ruina è Pasqualina, potente simbolo della condizione femminile offesa: seduto su una seggiola di legno, con un abitino sopra i pantaloni, rifà le movenze piene di pudore e riservatezza delle donne del Sud, ritma il suo corpo con pochi gesti calibrati sulle parole. La gamba appena sollevata, le dita a toccare incessantemente quei bottoni e a coprirsi le ginocchia, la testa china: Pasqualina ripete in dialetto calabrese le vicende come una nenia rituale; è un fiume di parole intervallato solo da musica suonata dal vivo.
Colpisce al cuore questa vicenda straziante e chi la racconta, in una costruzione della narrazione che nulla lascia al caso, all’improvvisazione. La storia la conosciamo fin troppo bene ed è di un’attualità disarmante, riguarda diritti di milioni di donne ogni giorno sistematicamente violati sia nel Sud che nel Nord del mondo: è quella di Hina Saleem, ragazza pakistana sgozzata a Brescia dalla famiglia perché accusata di aver commesso il reato di “zina”, di aver avuto cioè rapporti sessuali prima del matrimonio per il cui reato il Corano prevede fustigazione, ed è la storia delle donne indiane bruciate vive ai fornelli di casa dai mariti per impossessarsi della dote, delle donne islamiche adultere o che hanno subito violenza che vengono lapidate. Una lettura trasversale si impone alla visione di uno spettacolo che rimanda come prima immagine a quelle vecchie foto di famiglie contadine del Meridione: l’Islam –sembra dirci La Ruina- è il nostro Sud. Il delitto d'onore, la condizione subalterna della donna, la poligamia e l'omosessualità sono infatti alcuni dei nodi cruciali dell'Islam in Europa.
Oggi la condizione femminile nel mondo occidentale forse non è più quella di essere schiava di leggi patriarcali ma lo status di inferiorità continua a essere perpetuato nella discriminazione nei luoghi di lavoro e nella società.
Così Saverio La Ruina ci racconta come è nata l’idea della storia recuperando le proprie radici meridionali incrociandole con il mondo islamico.

“Una prima suggestione è venuta da storie di donne musulmane vittime di delitti d’onore. Non riuscivo a non vederle in altro modo se non collocate in un contesto calabrese, nel Meridione. Io vengo da una famiglia contadina di un paese dell’entroterra calabro che ha radicati quei comportamenti e quella mentalità che segnavano la vita femminile. Così le storie musulmane mi sono sembrate come quelle che mi raccontavano le mie donne, mia madre e mia nonna. Ho deciso di fare questo confronto, questa similitudine tra la storia di una donna palestinese e una donna del nostro meridione perché c’erano anche rimandi personali. Il libro di partenza era Bruciata viva scritto da Suad una donna musulmana sottoposta a uno scempio del suo corpo da parte della famiglia; la storia mi ha appassionato molto, personalmente l’ho vissuta come adesione incondizionata a un destino di donne che mi riguardano: la storia di Pasqualina è in realtà proprio quella di Suad. Quando feci la prima lettura pubblica, era appena uscita la notizia che un ragazzo che in Meridione aveva cercato di uccidere la sorella per una storia simile, per riparare l’onta di una disonorevole gravidanza. Ho pensato che se riusciamo a non dimenticare la nostra cultura, quella così radicata al Sud fino agli anni Sessanta, forse riusciamo anche a guardare con un occhio più obiettivo questa altra cultura dell’Islam che arriva in Europa. In un mondo globale queste culture sono vicine, le radici stesse sono comuni”.

Quanto tempo hai impiegato a scrivere il testo e a trovare la giusta definizione narrativa in scena?

“Ho scritto il testo in un tempo piuttosto breve, circa tre mesi, poi ho cominciato a fare delle letture, prima di tutto per memorizzarlo, perché mi era davvero difficile mandarlo in memoria, poi per verificarne la riuscita. Ho continuato a limarlo, per renderlo più compatto anche come durata; durante le prove ho sentito l’esigenza di andare a trovare le donne del mio paese. Mi è servito per ritrovare il loro modo di raccontarsi, di ripetersi, quei suoni che scatenavano dei gesti.... Confidavo nell’osservazione e nella memoria e alla fine certi gesti sono arrivati come un dono dal cielo ma non per imitazione, sia pur fatta ad arte. Sono venuti fuori quasi inconsciamente e li ho riconosciuti: erano gesti loro.”


 


 

Pisa, l’Arno e Leo De Berardinis: un libro racconta i Sacchi di Sabbia
Tràgos. Atto unico con comica finale a cura di Giovanni Guerrieri e Giulia Gallo, Titivillus, Corazzano, 2006
di Anna Maria Monteverdi

 

“Dire con leggerezza la comune alienazione, mostrare squisitamente la goffaggine, tradurre i sogni di aristocratica evasione in piattume democratico. I Sacchi di Sabbia divertono escludendo ogni volgarità, cercano il sorriso con pensiero e non la dimenticata risata sbracata dei cretini dentro e fuori la scatoletta della TV. Sanno cos’è la grazia ma sanno anche che si è circondati dalla sgarbatezza, dalla malgrazia, dalla disgrazia, e che la liberazione – il volo e il sogno – ci è ormai e per sempre negata”.
Goffredo Fofi


Un imperdibile volume edito da Titivillus e illustrato dai bellissimi disegni acquarellati di GiPi racconta la quindicennale storia di una delle compagnie di punta nel panorama del teatro di ricerca italiano, i Sacchi di Sabbia, con fotografie, annotazioni e riflessioni critiche. Un piccolo oggetto d’arte da leggere ma anche da ammirare per i preziosi incastri grafici di illustrazioni e testi.



Proviamo allora a raccontare qualche frammento di questa storia, così, a memoria, come viene viene, aiutati dalle cronologie e dalle teatrografie proposte dal libro.
I Sacchi di Sabbia, il gruppo fondato da Giovanni Guerrieri, Paolo Giommarelli (fuoriuscito nel 1997 per proseguire la carriera al cinema e in televisione), Giulia Gallo ed Enzo Iliano, a cui si aggiunge in seguito Gabriele Carli, nasce a Pisa nel 1992 tra le aule universitarie già occupate dal Movimento della Pantera e gli affollati locali con sconto per studenti.
Anni di inondazioni e piene dell’Arno da cui la città si difendeva mettendo sacchi di sabbia sulle “spallette” del fiume. Su un altro fronte, quello politico nazionale, bisognava attrezzarsi con ben più consistenti sacchi per il pericolo di cavalieri che "scendevano in campo" (Berlusconi, 23 gennaio 1994: "Il mio futuro è la politica"; 27 marzo: Forza Italia vince le elezioni con il 21% di voti, Berlusconi è presidente del Consiglio, Cesare Previti ministro della Difesa). Giovanni Guerrieri e soci erano le presenze assidue di quei rimediati palchi dei luoghi di ritrovo cittadino di cui si è persa purtroppo traccia e memoria troppo presto - sostituiti oggi da ben più lucrosi locali “happy hour” - come il Circolo La Rossa. Un tempo mescita, confinante con la classica copisteria, il Circolo di via del Borghetto, a ripensarci a posteriori, fu una vera e propria palestra di teatro comico, senza pretese e un po’ alla buona se vogliamo, un cabaret nostrano dove di tanto in tanto compariva anche Paolo Migoni, ex Zelig. Alla Rossa, su loro stessa ammissione, il neo-nato gruppo Sacchi di Sabbia, “si è fatto le ossa”, una vera gavetta con il meritato successo guadagnato sul campo riuscendo a catturare l'attenzione distratta di avventori che giocavano a briscola, mangiavano affettati e bevevano vino. I primi lavori come gli sketch dai personaggi di Andrea Pazienza (Strisce di varietà) e l’Otello presero vita in situazioni molto poco teatrali, dalle feste di Paese ai Circoli Arci. Sin da subito il gruppo poteva contare e vantare un proprio nutrito seguito di appassionati fan della loro comicità, trascinante, grottesca e colta. Così Giovanni Guerrieri ripensa gli esordi:

Otello era una parodia di tutto quello che del teatro sapevamo: il mondo andava preso e rovesciato, altro modo di far non c’era dato... Parodiando “i modi del teatro” si tentava di uscire dal teatro. S’era cattivi e tragici, perché nulla prendevamo seriamente.
Ma questo s’è capito solo poi...
...Lo vide Carlo Cecchi quell’
Otello, una sera al Circolo la Rossa. Ci gracchiò un secco “Fatelo girare!” e, come era venuto se ne andò...”


Fa una certa impressione ritrovare nel libro questi ricordi - tra stralci dai testi teatrali, appunti di critici e studiosi amici, come Concetta D’Angeli e Fernando Mastropasqua e ritagli vari di rassegna stampa - scritti oggi da Giovanni Guerrieri infarciti di aneddoti e amenità, con la tipica sagacia toscana e con una favella da poeta giullaresco; ricordi che evidentemente non sono solo le tappe del loro percorso artistico come compagnia teatrale ma appartengono un po’ a tutti noi che abbiamo condiviso passioni artistiche e passioni politiche consumate all’ombra della torre. Del resto è difficile separare la “mitologia” dei loro inizi da quel contesto cittadino e nazionale così importante, un momento segnato dalle assemblee del movimento studentesco, dai cortei di protesta per affitti più equi e per contrastare l'ingresso delle aziende e dei privati negli affari universitari e nella sovvenzione delle ricerche.



In effetti a teatro – e a Pisa c’era solo il Verdi - ci s’andava poco. Ma il teatro, con i Sacchi di Sabbia, appunto, veniva da noi. Un’equazione perfetta.
Nelle prime “tournée” traslocavano il loro “teatro all’improvviso” tra l’entroterra pisano e Livorno: l'allestimento della esilarantissima e volutamente sgangherata versione del Riccardo III (con un titolo lungo che era tutto un programma: Riccardo III, Buckinghàm e ‘a malafemmena), segnò il primo successo “fuori porta” mantenendo sempre la rotta sul comico come “modalità d’inciampo, unica chance di “rappresentare”il mondo”.
Riccardo III era una marmellata di “cose” teatrali con dentro Carmelo Bene, Totò e Peppino, De Berardinis e la commedia napoletana. Un mescolone di generi, un minestrone toscano di comicità fatta ad arte (come ogni minestrone doc) in cui il folle contributo del napoletanissimo Enzo Illiano rendeva surreale tutta la vicenda, la cui trama shakespeariana evidentemente, andava a farsi benedire.



A Giovanni l’idea di mettere in piedi una sgarruppata compagnia di comici dell’arte gli venne dalla folgorazione avuta dalla visione del Ritorno di Scaramouche di Leo De Berardinis, inarrivabile maestro.
“Sono maschere”, puntualizza Dario Marconcini tra le pagine del catalogo Teatri90, testo riproposto nel libro, “i cui caratteri “sono già ben riconoscibili e non solo fisicamente: uno, magro, dalla trista figura legato ai sogni allo spirito e alla conoscenza dei libri; l’altro forte e terreno legato alla concretezza e alla corposità con tutti i suoi appetiti; la terza, la donna, che incarna la leggerezza, quasi un clown bianco, che si muove fra i due subendone gli eccessi, ma che riesce col suo candore e pudore a risolvere i conflitti”.
Dopo aver presentato i loro spettacoli a Volterra teatro, Rovigo Opera prima, Piccoli fuochi, Santarcangelo e Castiglioncello, i Sacchi di sabbia presentano a Teatri90 Pauperis Oratorium Christi. Studio su un Faust qualunque, spettacolo segnalato al Premio Eti “Debutto d’Amleto”. Alla compagnia si aggiunge Gabriele Carli. Il gruppo la definisce “un’avventura profana nel sacro, una tragicomica-scaramuccia spirituale”. Dalla storia al mito: l'Orfeo muto dei Sacchi di sabbia viene proposto quale primo studio nel 2001 per Firenze, rassegna Artport e successivamente per il Teatro Sant'Andrea di Pisa (che ha anche prodotto il loro Parole parole parole. Tra il Giro d'Italia e Don Milani) e nell'estate 2002 al Festival di Santarcangelo Il pianto non si addice a Orfeo, e il lutto per l'amata Euridice (una Giulia Gallo eterea come Lydia Mancinelli nel Riccardo III televisivo di Carmelo Bene) non trova adeguata espressione né forma alcuna se non nel silenzio e nell'urlo soffocato, spezzato nel suo nascere. Un respiro negato, quello di Orfeo, ingoiato insieme alle lacrime, alle parole, alle lamentazioni. La situazione cui danno vita è a tratti comica (Oliviero Ponte di Pino parla di una “clownerie stralunata”) ed effettivamente il dramma sembra sempre sul punto di cadere nel comico (come in Entr'acte di René Clair), ma non si conclude mai, si ripete, invece, ciclicamente all'infinito. Tutto è perduto per sempre e il dolore per il quale Orfeo soffre non ha fine: è eterno e indicibile.
Negli ultimi anni si allineano sempre più verso un “format” microteatrale, tascabile e immediato: nascono Il teatrino di San Ranieri, e il Don Giovanni, operetta morale in forma di farsa ma anche La crociata dei bambini. Il “best seller” Amleto è forse la loro preoccupazione costante: ecco Grosso guaio in Danimarca. Quando spunta la luna a Elsinor, improbabile e farneticante risposta in dialetto napoletano a Rosencranz e Guilderstein sono morti di Tom Stoppard, dove Fortebraccio è un mafioso che commissiona affari sporchi a due sicari dell’onorata società - Enzo Illiano e Gabriele Carli - che raccontano la storia, si, quella del fantasma che apparve di notte a ‘o prencipe:

“Amlè, i’ song ‘o spettro ‘i papà, condannato a vagà dinto ‘sta notte scura a papà, a digiunà, a papà, a espià a papà. …Arò guardi? Sto ccà”.

Tragos, che ha debuttato al Festival di Santarcangelo del 2004 è un affondo nelle radici greche del tragico con i soliti ingredienti misti di sapienza antica e comicità viscerale; è senza dubbio il loro lavoro più completo, forse addirittura la sintesi del loro percorso che non a caso dà titolo al libro e offre lo spunto anche per uno straordinario omaggio in forma di disegni acquarellati, concesso alla compagnia dall’amico GiPi, fumettista di fama internazionale. Proprio la presenza come special guest di GiPi fa del libro quasi un “graphic novel”; da ammirare i disegnini ispirati a Tragos posti in alto a destra del libro: scorrendo veloci le pagine, questi diventano un piccolo “cinematografo tascabile”.
Ai Sacchi di sabbia – a cui sta collaborando da alcuni anni anche Federico Polacci - va anche il merito di aver creato a Pisa con lo stesso spirito ed entusiasmo dei loro inizi artistici, un vivace ambito di interesse intorno al Teatro: il SantAndrea (una chiesa sconsacrata confinante con il Teatro Verdi) loro residenza e quartier generale, è un centro molto frequentato da studenti o semplici appassionati della scena contemporanea, attivo sulla formazione con laboratori di espressione teatrale e momenti di approfondimento con autori e registi, e sulla promozione di un “altro teatro”, di “valore” e alternativo a quello proposto dai cartelloni tradizionali. Il Teatro di SantAndrea ospita infatti la rassegna annuale CONFLITTI-frammenti di un teatro necessario che porta a loro firma come direzione artistica. Recentemente Giovanni Guerrieri e il gruppo hanno creato anche preziose collaborazioni con artisti come Dario Marconcini, Francesca Della Monica e la compagnia Lombardi-Tiezzi rispettivamente per La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht, La crociata dei bambini di Schwob, Viaggio in Armenia dal libro di Osip Mandel’stam, con Silvio Castiglioni.


 


 

Le recensioni di ateatro La forza dell’abitudine di Thomas Bernhard
Regia di Alessandro Gassman
di Fernando Marchiori

 

Un clown colorato con cassettina al collo distribuisce caramelle al pubblico. Una figura alta e immacolata (elegante evoluzione del clown bianco) accoglie gli spettatori e spolvera le poltrone in platea con gesti affettati. Sul palco piroettano giocolieri e monociclisti, la trapezista già volteggia leggermente. Senza soluzione di continuità i numeri ci portano dentro lo spettacolo e ci presentano i personaggi. L’apertura di questo fortunato La forza dell’abitudine di Thomas Bernhard, che Alessandro Gassman ha coraggiosamente scelto per la sua prima regia, trasforma così l’intero edificio teatrale in un circo. Suggestione ottenuta anche grazie alla scenografia (di Gianluca Amodio), che chiude lo spazio scenico in una sorta di chapiteau e usa il proscenio come pista. Ma al centro del palco trova posto, realizzato nello stesso tessuto a strisce bicolori del fondale, un simulacro di tendone, una semicupola girevole all’interno della quale si gioca inesorabilmente la partita bernhardiana del teatro nel teatro.
Nei panni di Caribaldi, anziano direttore di questo circo in decadenza, Gassman disegna una silhouette che sembra la caricatura di un qualche personaggio ottocentesco uscito dal magazzino di un teatro. Ciò gli dà modo di lavorare sulle espressioni facciali, aiutato dal pesante trucco, e soprattutto su una voce che sorprende per la ricchezza di sfumature tonali, tra le quali non è difficile riconoscere anche quelle, calde e nervose, di Gassman padre, con le quali talvolta Alessandro sembra confrontarsi e quasi dialogare. In scena accanto a lui Sergio Meogrossi, Paolo Fosso e il circo di Walter, Giancarlo, Kevin e Aileen Colombaioni, ovvero i discendenti di una delle più antiche famiglie circensi italiane, già attiva nel XVIII secolo e famosa per il connubio con Federico Fellini (il nonno Alfredo era la vedette di La strada, e i suoi figli, Alfredo e Flavio, recitarono nei Clown). Come realizzare altrimenti l’assurda situazione inventata da Bernhard? Ogni giorno, da 22 anni, Caribaldi costringe i suoi artisti a provare il quintetto “La trota” di Schubert nell’illusione di recuperare la dignità e la disciplina perdute. “Precisione, precisione”, ripete ostinato mentre sogna la prima assoluta all’Arena di Verona. Tutto dev’essere sotto controllo, perché non vi è “nulla di più malefico del pressappochismo”. In realtà lo sgangherato ensemble non è mai riuscito a portare a termine, neppure una volta, l’impegnativa esecuzione. Il buffone al contrabbasso perde in continuazione il cappello, il giocoliere violinista tossisce e disquisisce, il domatore usa il pianoforte come dispensa e cantina personale (è “la brutalità a passeggio con la stupidità”), la giovane trapezista alla viola ride per niente.
In scena da tre anni, oltre 130 repliche, lo spettacolo non ha perduto freschezza e capacità di coinvolgimento del pubblico. Quasi un miracolo, trattandosi di Bernhard. Lo abbiamo visto al Comunale di Treviso, dopo un affollato incontro dedicato allo scrittore austriaco dalla Fondazione Benetton nel quale Eugenio Bernardi, Franco Quadri e lo stesso Gassman hanno tracciato un incisivo percorso nella scrittura di Bernhard e nella sua ricezione in Italia. Certo è anche il richiamo dell’attore di successo – che si schermisce quando qualcuno in sala parla di lui come di un sex symbol – a decretare il successo di questo spettacolo, ma è soprattutto la scelta di una messinscena non appiattita sugli stereotipi bernhardeschi. Gassman, che con Carlo Alighiero firma anche la traduzione, ne propone un adattamento accattivante, riuscendo nell’intento dichiarato di “far emergere la straordinaria capacità di Bernhard nel descrivere la condizione umana” ma anche in quello di mostrare il disagio e l’impotenza degli artigiani dello spettacolo di fronte alla volgarità e all’appiattimento culturale favoriti dal sistema mediatico. “Chi al giorno d’oggi crede ancora a un artista è uno sciocco”, scrive Bernhard, il quale tuttavia non fa altro che costruire la sua arte su queste rovine, come appunto sembra fare il direttore del circo Caribaldi. Il quintetto di Schubert diventa allora un pretesto per esercitare una logora partitura di tic e trucchi, mentre le ripetizioni della prosa di Bernhard si trasformano in gesti, movimenti, reazioni come variazioni sul tema. A Caribaldi cade a terra continuamente la colofonia (la pece greca per l’archetto). Lo fa apposta, secondo il domatore, così il giocoliere gliela raccoglie come un cagnolino. Un ben preciso cenno della testa e il berretto del buffone cade suscitando puntualmente la risata della trapezista. E che si tratti ancora di un dispositivo metateatrale lo rivelano non pochi indizi. All’ennesima caduta del cappello del contrabbassista, per esempio, Caribaldi esasperato propone di avvitarglielo in testa, di legarglielo alla gola con lo spago. Ma il giocoliere gli ricorda che è proprio del suo ruolo di buffone che il cappello gli cada. È di ciò che la gente ride. La conseguente disputa per stabilire quando il buffone sia o non sia in servizio così da imporgli, nel secondo caso, di calcare ben bene il copricapo, sembra un’impresa ardua quanto quella di distinguere tra attore e personaggio.
Come con Glenn Gould e le Variazioni Goldberg nel Soccombente, Bernhard indaga qui con Carbaldi e compagni l’ossessione dell’interprete come figura della malattia di vivere. Anche la coazione a ripetere che inchioda il vecchio direttore di circo all’inutile esercizio quotidiano al violoncello ha a che fare con una ricerca di senso destinata allo scacco ma insopprimibile. Caribaldi suona come se si trattasse di “penetrare la morte con un movimento dell’archetto”. In fondo lui e gli altri derelitti di quel circo che è l’esistenza umana sanno che non riusciranno mai a suonare decentemente Schubert, ma “devono” suonare lo stesso. Così come noi “non chiediamo la vita, eppure la dobbiamo vivere”.
La grande forza teatrale dei testi di Bernhard si deve al fatto che l’autore austriaco pensa l’opera come un organismo in cui tutto si corrisponde e in cui non ci sono facili concessioni al plot. Bernhard, ha sottolineato Bernardi – scherzando sull’omofonia tra tradotto e traduttore – diceva che appena vedeva profilarsi nella sua scrittura una storiella l’ammazzava. Ha sempre scritto e poi distrutto la propria scrittura. Non a caso il suo ultimo testo è intitolato alla cancellazione (la traduzione italiana è Estinzione). Classico anticlassico, Bernhard regge alla prova di un allestimento che ne cambia linguaggio e ambientazione. La scelta di collocare il circo in una tournée siciliana e di far parlare il domatore in dialetto marsicano, rendendolo quasi incomprensibile eppure efficacissimo, ha contribuito ad avvicinare la sua prosa fatta di infinite variazioni sul tema ad un pubblico come quello italiano che in passato ha dovuto subire letture più grigiamente rigorose e libresche. Nei primi allestimenti italiani infatti – ha ricordato Franco Quadri – prevaleva una rigidità che allontanava gli spettatori e non faceva comprendere il senso di certe ossessioni, l’insistenza monotematica. Da Alla meta con Valeria Moriconi (1989) al Nipote di Wittgenstein con Umberto Orsini (1992, la regia era di Patrick Guinand) al Ritter Dene Voss di Carlo Cecchi (1991), la lettura italiana sembrava più bernhardiana di Bernhard, mentre gli austriaci erano molto più liberi nonostante la presenza e il controllo diretto dell’autore. La svolta, secondo Quadri, si è avuta nel 2000 con L’apparenza inganna dei Magazzini, improntata a un assoluto realismo che si dimostrò funzionale a far emergere altri livelli di lettura. Tra le altre messinscene importanti si è citato Il riformatore del mondo, con la grande interpretazione di Gianrico Tedeschi, e la recentissima versione di Alla meta del Teatrino Giullare, nella quale gli attori sono mascherati da fantocci dando così all’azione un’inquietante impronta meccanica.
C’è da aspettarsi che l’interesse di Gassman per Bernhard produca presto qualcos’altro, visto che il popolare attore sta lavorando su due testi del drammaturgo austriaco: L’ignorante e il folle e Immanuel Kant.


 


 

Teatro Vivo 2007: una introduzione al teatro contemporaneo
A Bergamo dal 12 marzo al 10 aprile
di Teatro Tascabile di Bergamo

 

“Dentro la bocca del teatro” Introduzione al teatro contemporaneo

Proseguendo un appuntamento ormai tradizionale nel panorama della cultura teatrale della città di Bergamo, il Teatro tascabile di Bergamo propone nel mese di marzo-aprile 2007 il progetto di Alti studi teatrali IL TEATRO VIVO.
Il concetto che lo guida è, da sempre, quello di offrire un’occasione di conoscenza del teatro tanto teorica quanto tecnica. Uno sguardo attento e distaccato non legato alla sola visione delle opere teatrali, ma anche all’osservazione più ravvicinata dell’artigianato vivo della loro creazione Il teatro “vivo” (l’aggettivo è di Peter Brook che lo contrappone al teatro “morto” degli abbonati) si rivolge sia ai produttori di teatro e cultura (gruppi non professionisti, operatori culturali, associazioni, insegnanti) che agli spettatori e ai giovani interessati e appassionati di teatro.
Come la bocca del gigante Pantagruel nel romanzo di Rabelais, il teatro è un luogo piccolo, limitato. Ma al suo interno contiene un mondo intero in cui viaggiare. Comprende esotismo, avventura, mistero. Teatro Vivo 2007 propone diversi viaggi dentro la “bocca del teatro”, un’iniziazione alle sue problematiche, alle sue storie, tecniche, forme e ai suoi protagonisti.
Un viaggio teatrale nella regia: incontri con registi della scena italiana che non solo hanno composto, ma che sono al tempo stesso fondatori di luoghi in cui educare nuovi attori e spettatori e ideatori di nuove forme di organizzazione, di vita e mestiere. Dal 12 marzo al 10 aprile 2007 si incontreranno: Roberto Bacci (Pontederateatro), Gabriele Vacis (ex-Teatro Stabile di Torino e Laboratorio Teatro Settimo), Simone Capula (Scuola Ambulante di Teatro), Alberto Grilli (Teatro due Mondi di Faenza), Teatro delle Albe (Ravenna), Ferruccio Merisi (Scuola Sperimentale dell’attore e Compagnia Attori e Cantori di Pordenone). Ad essi si affiancheranno studiosi come Cristina Valenti, docente di Storia del Nuovo Teatro presso l'Università di Bologna.
La novità de Il Teatro Vivo 2007 è quella di inaugurare un viaggio di formazione: un “Piccolo progetto di pedagogia” con il regista Simone Capula e la Scuola Ambulante di Teatro. Il progetto “Zio Vanja sui Balcani”, realizzato in collaborazione con l’Università dell’Aquila, si articolerà in 4 giorni di incontri in forma laboratoriale conclusi da una dimostrazione finale sul lavoro di ricerca e composizione intorno al classico Zio Vania di Checov.
La terza sezione, a cura del TTB, si concentra sui passaggi, sulle differenze e interferenze tra Oriente e Occidente seguendo una prospettiva che caratterizza il progetto Teatro Vivo poiché permette di ‘viaggiare’ dalle tecniche alle storie dei teatri, dal loro ‘corpo’ alle sue risonanze spirituali. Gli incontri saranno corredati da documenti filmati, frammenti spettacolari e dimostrazioni a cura degli attori del TTB e con la partecipazione del regista Ricardo Gomes (Teatro Diadokai-Brasile).
Si consiglia la prenotazione. Per il laboratorio “Zio Vanja sui Balcani” sono ammessi 20 partecipanti, è possibile assistere come uditori. La partecipazione al programma Teatro Vivo è gratuita.
Per informazioni e iscrizioni: tel. 035.24.20.95 - 23.11.91 - e-mail: info@teatrotascabile.org
VIAGGIO TEATRALE NELLA REGIA

Lunedì 12 marzo 2007 ore 20.30-22.00
Ferruccio Merisi
- Direttore e Regista Scuola Sperimentale dell’Attore e Compagnia Attori e Cantori (PN)
CON LA MASCHERA
Cronaca e filosofia di un viaggio con il volto nascosto: dalla Commedia dell’Arte allo sviluppo di linguaggi artisticamente figurati. Con il modello sublime del teatro orientale e il dialogo ‘sporco’ quanto necessario con il teatro del sud del mondo, alla ricerca di una sintesi transculturale: contemplando i vari sapori delle differenze, ma soprattutto l'handicap della differenza.

Sabato 17 marzo 2007 ore 16.30-18.00

Gabriele Vacis - Regista
LIBERTÀ CREATIVA TRA ISTITUZIONI ED INDIPENDENZA

Già fondatore del Laboratorio Teatro Settimo e in seguito regista del Teatro Stabile di Torino Gabriele Vacis si interroga sul rapporto tra indipendenza creativa e vincoli istituzionali.

Lunedì 19 marzo 2007 ore 20.30-22.00
Alessandro Argnani e Cinzia Dezi - Teatro delle Albe
(Ravenna)
LA MESSA IN VITA DEL TEATRO DELLE ALBE

Condurranno l’incontro due giovani attori della compagnia, Alessandro Argnani e Cinzia Dezi: dalla riscoperta delle radici afro-romagnole delle Albe alla esperienza della non- scuola. Proiezione di “Mighty mighty Ubu”, video realizzato in occasione del riallestimento de “I Polacchi a Chicago”, lo storico spettacolo del regista del Teatro delle Albe Marco Martinelli

Sabato 24 marzo 2007 ore 16.30-18.00

Alberto Grilli Regista e direttore artistico del Teatro Due Mondi di Faenza e
Cristina Valenti Docente di Storia del Nuovo Teatro presso l'Università di Bologna
ORIENTE ROSSO:TEATRO, POLITICA, SOCIETÀ
Conversazione con Alberto Grilli a cura di Cristina Valenti

Lunedì 26 marzo 2007 ore 20.30-22.00

Teatro tascabile
STRUTTURE DI APPRENDIMENTO

Incontro-dimostrazione: differenze e interferenze tra Oriente e Occidente e la trasmissione del sapere.Il problema dell’apprendistato dei giovani attori, dal training, al passaggio generazionale. La trasmissione del personaggio.

PICCOLO PROGETTO DI PEDAGOGIA TEATRALE

Lunedì 26 marzo 2007 ore 18.00-20.00
da Martedì 27 a Giovedì 29 marzo 2007 ore 18-23
Simone Capula/Scuola Ambulante di Teatro
“ZIO VANJA SUI BALCANI”

In collaborazione con CUT Bergamo e Circo dei Monelli
Un laboratorio sulla composizione teatrale condotto dal regista Simone Capula e dagli attori della Scuola Ambulante. Durante lo svolgimento dei lavori e della “dimostrazione aperta” (sabato 31 marzo), i partecipanti saranno messi nella condizione di seguire la metodologia di costruzione dello spettacolo. A partire dal testo “Zio Vanja” e dagli appunti di regia di Stanislavskij, verrà costruita una relazione con la problematica balcanica e con la guerra nella ex-Yugoslavia.

VIAGGIO TEATRALE NELLA REGIA

Venerdì 30 marzo 2007 ore 20.30-22.00
Simone Capula
- regista Scuola Ambulante di Teatro
TRA APPRENDISTATO E SPETTACOLO

Riflessione su passato e presente del “Teatro Giovane”

PICCOLO PROGETTO DI PEDAGOGIA TEATRALE

Sabato 31 marzo2007 ore 16.30-18.00
Simone Capula/Scuola Ambulante di Teatro e i partecipanti del laboratorio
LA GUERRA IN CASA: ZIO VANIA SUI BALCANI. UN SAGGIO.
Incontro-dimostrazione del laboratorio “Zio Vanja sui Balcani”

LE TECNICHE, LO SPIRITO, L’ ORIENTE E L’OCCIDENTE

Lunedì 2 aprile 2007 ore 20.30-22.00

Teatro tascabile
AMOR SACRO, AMOR PROFANO: DALLE DANZE INDIANE AL FLAMENCO.
L’equivalenza tempo-spazio è un classico della tradizione teatra-le europea e se si allude alle esperienze del viaggio si pensa istintivamente alla categoria dello spazio. Ma una riflessione più consapevole sembra suggerire che il senso di alcuni viaggi non riposi tanto sulla vastità dello spazio quanto nella profondità del tempo. Un incontro che prende le mosse da un’evidenza artistico-antropologica: l’affinità tra Bharata Natyam e Kathak, danze classiche dell’India, e Flamenco. Partecipa all’incontro Ricardo Gomes, regista del Teatro Diadokai (Brasile).

VIAGGIO TEATRALE NELLA REGIA

Martedì 10 aprile 2007 ore 20.30-22.00
Roberto Bacci - Direttore e regista della Fondazione Pontedera Teatro
VIAGGIO NELLA MENTE DELLO SPETTATORE
La necessità, ogni volta, di ripensare il teatro come strumento di conoscenza, ci porta ad oscillare tra lo spettatore e l’attore, tra l’attore e lo spettatore: ovvero tra i due poli che racchiudono il pianeta teatro.Ciò che cerchiamo, in realtà, è una terza forza che si produce ad ogni confronto, ad ogni incontro tra queste due polarità.Ma quale teatro, oggi, può produrre una forza cosciente che l’uomo contemporaneo possa applicare per la conoscenza di se stesso?


 


 

Il parateatro di Jerzy Grotowski: documenti teorici e una testimonianza
martedì 6 marzo ore 18.30 alla Civica Scuola d'Arte Drammatica diMilano
di Ufficio Stampa

 

Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi
via Salasco 4 20136 Milano

martedì 6 marzo ore 18.30

SALA TEATRO
Ingresso libero

Il parateatro di Jerzy Grotowski:
documenti teorici e una testimonianza
Quaderni di “oggi,del teatro”

Oliviero Ponte di Pino
con Renata M.Molinari e Carla Pollastrelli
presenta

Holiday e Teatro delle Fonti e Diario dal Teatro delle Fonti. Polonia 1980
(La casa Usher ed.)

06.03.07 - 06.03.07 Un filo evidente lega i due volumi che inaugurano Quaderni di “Oggi, del teatro” – collana della Fondazione Pontedera Teatro - presentati nella sede della Paolo Grassi da Oliviero Ponte di Pino e che costituiscono una sorta di manifesto in progress delle esperienze realizzate nell’ambito della “cultura attiva”. La raccolta di testi di Jerzy Grotowski Holiday e Teatro delle Fonti (a cura di Carla Pollastrelli), e il Diario dal Teatro delle Fonti. Polonia 1980 di Renata M. Molinari appartengono entrambi al periodo che lo stesso Grotowski aveva chiamato parateatro. Una raccolta di testi teorici del maestro polacco inediti per l’Italia e il diario di Renata Molinari, testimonianza preziosa della sua partecipazione a una sessione aperta del Teatro delle Fonti in Polonia, nell’estate del 1980, che ci racconta di pratiche che sembrano oggi radicalmente inattuali e che all’epoca erano il cuore della “cultura attiva”.

Jerzy Grotowski (Rzeszow, Polonia 1933 – Pontedera, 1999) è stato uno dei grandi maestri eretici e riformatori del teatro del Novecento. Akropolis, Il Principe Costante, Apocalypsis cum figuris sono gli spettacoli, universalmente conosciuti, realizzati con l’ensemble del Teatr Laboratorium. Al culmine della fama mondiale, nel 1970, annunciò che non avrebbe più diretto spettacoli, dando inizio alla fase parateatrale o della “cultura attiva”.
Lo stesso Grotowski all’inizio degli anni Novanta, aveva diviso il suo percorso creativo in tre fasi principali: L’arte come presentazione (il teatro degli spettacoli, dal 1957 al 1969), Il parateatro e il Teatro delle Fonti (il teatro della partecipazione), negli anni tra il 1970 e il 1982), L’arte come veicolo (a partire dal 1986).
I testi qui presentati, inediti in Italia, costituiscono una sorta di manifesto in progress di quelle esperienze, che oggi illuminano non soltanto la sua avventura creativa ma anche le domande di partecipazione e di senso che ancora oggi ci accompagnano dagli anni Settanta.

Renata M. Molinari è autrice, dramaturg e docente di drammaturgia.
Ha seguito diverse fasi del lavoro di Jerzy Grotowski e ha collaborato all’edizione de Il Teatr Laboratorium di Jerzy Grotowski 1959-1969 (a cura di Ludwik Flaszen e Carla Pollastrelli, Fondazione Pontedera Teatro, 2001). Ha curato inoltre con Marina Fabbri l’edizione italiana di Essere un uomo totale. Autori polacchi su Grotowski (Titivillus, 2005).
Ha preso parte in maniera continuativa al percorso artistico di Thierry Salmon, firmando la drammaturgia dei suoi principali progetti, da Le Troiane fino a L’assalto al cielo.

L'esperienza lavorativa di Carla Pollastrelli si è svolta interamente, dal 1977 ad oggi, all'interno del Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale - dal gennaio 1999 Fondazione Pontedera Teatro - dove ha curato in particolare i progetti speciali, le relazioni internazionali e i progetti di formazione.
Dal 1996 è direttrice esecutiva del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards ed è tra i soci fondatori e presidente dell'Associazione Grotowski.


06.03.07 - 06.03.07 I Quaderni di “Oggi, del teatro” - collana della Fondazione Pontedera Teatro - si inaugurano con la pubblicazione di due libri tra loro correlati: la raccolta di testi di Jerzy Grotowski, Holiday e Teatro delle Fonti, inediti in Italia (a cura di Carla Pollastrelli), e il Diario dal Teatro delle Fonti.Polonia 1980 di Renata M. Molinari.
Lo stesso Grotowski all’inizio degli anni Novanta, aveva diviso il suo percorso creativo in tre fasi principali: L’arte come presentazione (il teatro degli spettacoli, dal 1957 al 1969), Il parateatro e il Teatro delle Fonti (il teatro della partecipazione, negli anni tra il 1970 e il 1982), L’arte come veicolo (a partire dal 1986).
I testi qui presentati costituiscono una sorta di manifesto in progress delle esperienze realizzate nell’ambito della “cultura attiva”.

Per altre info su Grotowski, consulta la ate@tropedia


 


 

Teatro di vetro: fiera mercato del teatro indipendente
Il bando
di triangolo scaleno teatro

 

17-27 maggio 2007
teatri di vetro
fiera / mercato
del teatro indipendente
direzione artistica triangolo scaleno teatro

Avviso pubblico
A tutte le compagnie teatrali, gli artisti, i gruppi formali e informali del territorio di Roma e Provincia non finanziati dal Ministero.

teatri di vetro vuole essere una vetrina significativa in grado di mostrare agli addetti ai lavori, ai direttori dei festival, dei teatri, ai direttori dei circuiti, ai critici e al pubblico, il teatro indipendente che si produce nel nostro territorio incentivandone la diffusione, dando slancio alla sua distribuzione, sostenendo il teatro in quanto lavoro e impiego di professionalità; contemporaneamente teatri di vetro è occasione di scambio, di incontro di progettualità, di confronto di estetiche, di passaggio d’esperienza, di nascita di sinergie.
La straordinaria produttività del territorio e la molteplicità dei linguaggi trova il suo corrispettivo nella struttura della manifestazione che coinvolgerà diversi luoghi della città per tre distinte sezioni artistiche: spettacoli, performance, studi. La suddivisione in sezione e la molteplicità degli spazi coinvolti permetterà di accogliere all’interno della manifestazione un numero significativo di artisti. Una vera e propria “fiera”: undici giorni di teatro, di spettacoli, di studi, di riflessioni comuni, di approfondimenti, dal Teatro Palladium a diversi spazi della Garbatella.
Contribuirà a rafforzare la visibilità di ogni singola realtà partecipante il Catalogo del teatro indipendente di Roma e Provincia 2007 in cui confluiranno, senza selezione, i materiali e le schede di presentazione inviati alla Direzione artistica.

teatri di vetro è il punto d’arrivo concreto di un lungo percorso compiuto dal tst per creare occasioni di incontro e di riconoscimento per il teatro invisibile, i suoi artisti e i suoi operatori, realizzato attraverso un progetto composito, dal monitoraggio dei teatrinvisibili nel 2005, al convegno teatrinvisibili del 2006, realizzato con il contributo della rete ZTL.
Invitiamo tutti a partecipare.

teatri di vetro
fiera/mercato del teatro indipendente

17 –27 maggio 2007
Roma

REGOLAMENTO

1. teatri di vetro 2007 si rivolge agli artisti-compagnie-gruppi di teatro, teatro danza e danza del territorio di Roma e Provincia, non finanziati dal Ministero e con esclusione delle formazioni amatoriali. Gli artisti-compagnie-gruppi (di seguito artisti) possono proporre una loro creazione scegliendo tra le tre sezioni previste: 1.spettacolo (elaborato compiuto destinato ad uno spazio teatrale) 2.studio (elaborato non ancora concluso della durata di 20’-30’) 3.performance (elaborato che non necessita di uno spazio teatrale ma prevede un’interazione con uno spazio cittadino: cortile, piazza, stenditoio, scalinata).
2. La sottoscrizione della scheda di iscrizione a “teatri di vetro” e l’invio dei materiali richiesti entro la data definita dall’Organizzazione, 16 marzo 2007, è condizione preliminare e necessaria per la partecipazione.
3. Con la sottoscrizione della scheda di iscrizione e l’invio della stessa all’indirizzo dell’Organizzazione, gli artisti accettano il presente regolamento e si impegnano ad osservarlo.
4. La Direzione artistica si riserva il diritto inappellabile della scelta degli artisti che verranno inseriti nella programmazione e s’impegna a comunicare le proprie scelte entro e non oltre il 16 aprile 2007.
5. L’Organizzazione riconoscerà un cachet simbolico agli artisti selezionati nelle forme e nei modi che saranno comunicati dopo la selezione dei progetti.
6. Materiali richiesti:
a. Scheda di iscrizione debitamente sottoscritta;
b. Presentazione dello spettacolo/studio/performance;
c. Presentazione della compagnia(griglia allegata);
d. 2 foto (formato jpg);
e. Scheda tecnica dello spettacolo/studio/performance;
f. Dvd dello spettacolo/studio/performance in duplice copia.

Si chiede di inviare i materiali relativi ai punti b) c) d) all’attenzione di Roberta Nicolai all’indirizzo di posta elettronica: direzione@triangoloscalenoteatro.it;
di inviare il materiale relativo al punto e) all’attenzione di Michele Baronio all’indirizzo di posta elettronica: tecnica@triangoloscalenoteatro.it;
di spedire la scheda di inscrizione al punto a) e i dvd all’indirizzo: Roberta Nicolai – Associazione Il Triangolo scaleno via Ennio Quirino Visconti, 55 00193 Roma.
Invitiamo gentilmente, al fine di garantire un’archiviazione precisa, di scrivere su tutti i materiali il nome dell’artista, il titolo dello spettacolo/performance/studio, i recapiti telefonici e di posta elettronica.

7. Tutti i dvd che perverranno alla Direzione, durante il periodo della manifestazione e senza alcuna selezione, saranno visionabili dagli operatori nelle postazioni video allestite nel foyer del teatro Palladium; in ogni caso i dvd non saranno restituiti;
8. La scheda di presentazione di ogni compagnia confluirà nel Catalogo del teatro indipendente di Roma e Provincia 2007. Il Catalogo contribuirà ad aumentare la visibilità del teatro indipendente di Roma e Provincia oltre il tempo della manifestazione.
9. L’Organizzazione si riserva qualunque decisione relativa alla sicurezza del pubblico e degli artisti i quali s’impegnano ad accettare tali decisioni;
10. L’Organizzazione si riserva il diritto di variazioni all’ultimo momento del calendario delle attività;
11. L’Organizzazione provvederà alle esigenze tecniche degli artisti in base alle dotazioni tecniche di base degli spazi coinvolti;
12. Gli artisti dovranno essere autosufficienti per quanto riguarda i datori luci e fonica, i montaggi e gli smontaggi delle scenografie. Saranno supportati dallo staff tecnico del Teatro Palladium e del tst per quanto riguarda il montaggio del service.


Progetto Mediateca
Il materiale video pervenuto, previa autorizzazione scritta degli artisti, potrà confluire nella costituenda Mediateca permanente del teatro indipendente di Roma e Provincia, un’iniziativa curata dal Triangolo Scaleno, che si rende garante della messa a disposizione del materiale per una sua archiviazione e libera consultazione.

L’organizzazione si rende disponibile a tutte le informazioni e chiarimenti necessari
Coordinamento artistico Roberta Nicolai Tel/fax: 06/444.12.18
Coordinamento organizzativo Tamara Bartolini 349/64.87.994 - Elisa Vago 347/23.70.985


a. Scheda di iscrizione a “teatri di vetro”
Dattiloscrivere o compilare in stampatello e inviare per posta Nome della compagnia/artista/gruppo
Titolo dello spettacolo
Informazioni riguardanti lo spettacolo
( interpreti, soggetto, durata)
Esigenze tecniche
(spazio richiesto per lo spettacolo, esigenze specifiche luci e audio, tempo montaggio e smontaggio)
Informazioni aggiuntive
INDIRIZZO DELLA COMPAGNIA, TELEFONO, FAX, E-MAIL, NOME REFERENTE
I gruppi partecipanti dichiarano sotto la loro responsabilità di essere in possesso di tutte le autorizzazioni necessarie per la rappresentazione dal vivo delle loro creazioni.

Roma,

Firma per l’accettazione






Autorizzo l’Organizzazione del tst ad includere i dvd da me inviati nel progetto Mediateca permanente del teatro indipendente. La Mediateca si appoggerà temporaneamente al circuito delle Biblioteche Comunali di Roma al fine di garantire la consultabilità dei materiali. Si costituirà in futuro come struttura autonoma ampliandosi, progettualmente, a livello nazionale e internazionale.

Firma per l’accettazione
Roma,




c. Presentazione della compagnia
compilare e inviare per e-mail a direzione@triangoloscalenoteatro.it

DENOMINAZIONE COMPAGNIA

SEDE ORGANIZZATIVA

TELEFONO

FAX

INDIRIZZO E-MAIL

WWW.

LEGALE RAPPRESENTANTE

RESPONSABILE ORGANIZZATIVO

DIREZIONE ARTISTICA

LA COMPAGNIA DISPONE DI SEDE TEATRALE/SE Sì DOVE

ATTIVITA’ (esempio: teatro; danza; laboratori; rassegne etc.)

PRINCIPALI PRODUZIONI (elencare titoli degli spettacoli – max 6 – anno del debutto e luoghi di rappresentazione)

LINEE ARTISTICHE (circa 1000 battute)


 


 

Sola Poesia a Longiano dal 21 al 25 marzo
Con Zeichen, Insana e Magrelli
di Isabella Bordoni

 

Comune di Longiano, Fondazione Tito Balestra

21-25 marzo 2007
SOLA POESIA

“Penso, a volte, che solitudine sia quello stare degli astri al Sole, in movimento che è tensione e resa, e che in quello stare si svolge, rivolge, capovolge, la gravità dei corpi che contiene, per l'appunto, peso e leggerezza.
Una solitudine così non può che misurarsi con il suo opposto apparente: quella moltitudine che oggi più che mai ci chiede di abitare banlieue poetiche e impellenti cittadinanze.
Eppure è da stranieri che si sta nel mondo, poiché ogni cosa è in transito e ciò che appare è, per l’appunto, apparente.
Nell’ipotesi di uno sguardo che sia anche visione, sono poi lingue minori e altre, quelle della cura carnale, della medicina umana, della costruzione tecnica, dell’architettura dei corpi e degli spazi, delle condutture sotterranee e idrauliche, dell’economia e della statistica, che ci suggeriscono parole per designare nature vicine tra loro diverse.
Questa è la condotta poetica che vogliamo immaginare: luogo e comportamento, un abitato di solitudini, uno statuto di cittadinanza, tracciato e reticolo, canale, circonferenza.
Il viandante, il flaneur, lo straniero abitano la natura e il passo di tre poeti alti che inaugurano con la loro condotta poetica le giornate di SOLA POESIA.
Zeichen, Insana, Magrelli, sono i protagonisti di serate che li vedono soli sul palco, disporsi ad essere voce, corpo e parola: sola poesia nella nuda scena.
Andrea Cortellessa accompagnerà poi, nelle regioni del loro poetare, i tre poeti, uno ad uno.
Uno ad uno li ringrazio tutti, gli ospiti dal 21 al 25 marzo, autori, editori, curatori, per la loro partecipazione lieve e garbata.
Tutto questo ha un inizio, che per me è Vienna, Berlino, Bachmann, Benjamin, Cvetaeva, le volte e le maniere di quando la lingua si è fatta Europa, feroce e disuguale.
Passano ora da qui, dalla provincia-paese, la geografia e l’infanzia di luminose solitudini

Isabella Bordoni
direzione artistica

Mercoledì 21 marzo
Teatro Petrella - dalle ore 20/open end
Non Stop di poesia in festa_Giornata Mondiale della Poesia

partecipano:
Roberta Bertozzi / Carolina Carlone / Claudio Castellani / Tiziana Cera /
Rosana Crispim de Costa / Gianfranco Lauretano / Giovanni Nadiani / Fabio Orrico /
Sante Pedrelli / Alessandro Ramberti / Domenico Settevendemie / Vanessa Sorrentino /
Paolo Vachino / letture di poesia.
Stefano Colangelo presenta dieci anni del Premio di Poesia di Miramare.
Gianluca Costantini proiezione in 90 tavole del racconto a fumetti Vorrei incontrarti.
Vittorio d’Augusta segni di pittura nel Teatro.
Loretta Fariselli, danza e Stefano Fariselli, sassofono.
Paolo Fantini, clarinetto / Marco Ferretti, violoncello / Alessandro Maffei, pianoforte /
musiche di Brahms e Zemlinsky.
Marco Mantovani, elettronica e Giuseppe Righini, voce Dormiveglia,
piccolo viaggio sghembo attraverso le parole, le canzoni, i gesti, di Marta
e del suo addormentarsi. Tratto dalla piece teatrale Ninna Landa.

Intermezzo offerto dalla Strada dei vini e dei sapori di Forlì-Cesena
La giornata è realizzata con la collaborazione di
:
Artincanti, Calligraphie, Istituto Musicale Pareggiato “G.Lettimi” di Rimini,
Laba Libera Accademia di Belle Arti di Rimini.
Giovedì 22 marzo

Castello Malatestiano - ore 17
visioni d’autore Passeggiate Romane, con Valentino Zeichen e Sopralluoghi, con Valerio Magrelli
video di Filippo Carli, edizioni Fazi, Roma. Per gentile concessione dell’Editore

Teatro Petrella - ore 21
Valentino Zeichen, serata di poesia


Venerdì 23 marzo

Castello Malatestiano ore 17
Omaggio a Tito Balestra Letture brevi
Incontro con la piccola editoria FuoriFormato delle Lettere, con Andrea Cortellessa,
intervengono Laura Pugno e Sara Ventroni, videoproiezioni di Elio Mazzacane /
Illustorie delle edizioni Fernandel e il progetto inguine.net con Gianluca Costantini /
ZONA con Piero Cademartori e Silvia Tessitore / Fara con Alessandro Ramberti /
Eks&Tra scritture migranti, con Rosana Crispim de Costa.
Coordina Stefano Colangelo, critico letterario

Andrea Cortellessa <-> Valentino Zeichen / attraverso le parole, conversazione sulla poesia

Teatro Petrella - ore 21
Jolanda Insana, serata di poesia


Sabato 24 marzo

Castello Malatestiano - ore 17
Andrea Cortellessa <-> Jolanda Insana / attraverso le parole, conversazione sulla poesia

Teatro Petrella - ore 21
Valerio Magrelli, serata di poesia


Domenica 25 marzo

Castello Malatestiano - ore 10
Andrea Cortellessa <-> Valerio Magrelli / attraverso le parole, conversazione sulla poesia


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SOLA POESIA
Longiano Condotta Poetica



promotori
Comune di Longiano
Fondazione Tito Balestra Onlus

direzione artistica
Isabella Bordoni
isabella.bordoni@tin.it

direzione organizzativa
Flaminio Balestra
fondazione@iol.it

incontri pomeridiani e serata del 21
ingresso gratuito

informazioni
Fondazione Balestra, piazza malatestiana, 1 - 47020 Longiano (FC) - tel. 0547 665850
Teatro Petrella, piazza San Girolamo 2 - 47020 Longiano (FC) - tel. 0547 665113


Nda/Interno4 bookshop è presente negli spazi della Fondazione Balestra e Teatro Petrella,
con punti esposizione e vendita delle case editrici e degli autori ospiti.


Andrea Cortellessa
è nato a Roma nel 1968. Insegna Letterature comparate all’Università di Roma Tre. Fra i suoi libri il più recente è La fisica del senso. Saggi e interventi su poeti italiani dal 1940 a oggi, Fazi 2006. Ha curato per Adelphi e Garzanti testi di Giorgio Manganelli, Elio Pagliarani e Giovanni Raboni. Per Le Lettere ha ideato e dirige la collana fuoriformato. Collabora alla «Stampa» e «tuttoLibri», «Poesia», «L’Indice dei libri del mese» e altre testate. È nella redazione del «verri» e collabora ai programmi culturali di RAI-Radio Tre.

Jolanda Insana è nata a Messina nel 1937. Si è laureata con una tesi di filologia greca sui frammenti della Conocchia di Erinna e ha insegnato all’Università e nei licei. Dal 1968 vive a Roma. Ha tradotto Poesie di Saffo, Estro, 1985; Carmina Priapea, SE, 1991; De Amore di Andrea Cappellano, SE, 1992; e per il teatro La Casina di Plauto e Le Fenicie di Euripide. Sulla traduzione dall'arabo di Francesca Corrao, ha curato la versione poetica di La passione di Cleopatra di Ahmad Shawqi, Ubulibri, 1989 e Per diritto di memoria di Aleksandr Tvardovskij, Acquario, 1989, su traduzione di Viviana Turova. In riviste e antologie ha pubblicato traduzioni di Alceo, Anacreonte, Ipponatte, Callimaco, Lucrezio, Marziale. Ha pubblicato: Sciarra amara, Guanda, 1977; Fendenti fonici, Guanda-Società di Poesia, 1982; Il collettame, Società di poesia, 1985; La clausura, Crocetti, 1987; Medicina carnale, Mondatori, 1994; L'occhio dormiente, Marsilio, 1997. La stortura, Garzanti, 2002; La tagliola del disamore, Garzanti, 2005. Imminente l’uscita della raccolta completa delle sue poesie, nella collana Gli Elefanti di Garzanti.

Valerio Magrelli
è nato a Roma nel 1957. Ha pubblicato cinque libri di versi, i primi tre Ora serrata retinae, Feltrinelli 1980, Nature e venature, Mondadori 1987, Esercizi di tiptologia, Mondadori 1992, sono stati riuniti nel volume Poesie e altre poesie, Einaudi 1996, cui hanno fatto seguito il poemetto Didascalie per la lettura di un giornale, Einaudi 1999, e la raccolta Disturbi del sistema binario, Einaudi 2006. Sempre da Einaudi, nel 2003, sono uscite le prose intitolate Nel condominio di carne. Nel 2005 è apparso per Sossella Che cos'è la poesia? La poesia raccontata ai ragazzi in ventuno voci (libro e cd audio), mentre l’anno successivo, da Fazi, Sopralluoghi (libro e DVD). Docente di letteratura francese all'Università di Cassino, ha diretto la collana di poesia «La Fenice» Guanda e la serie trilingue «Scrittori tradotti da scrittori» Einaudi. Nel 2002, l'Accademia Nazionale dei Lincei gli ha attribuito il Premio Feltrinelli per la poesia italiana. Tra i suoi lavori critici, Profilo del Dada, Lucarini 1990, Laterza 2006; La casa del pensiero. Introduzione a Joseph Joubert, Pacini 1995, 2006; Vedersi vedersi. Modelli e circuiti visivi nell'opera di Paul Valéry, Einaudi 2002, l'Harmattan 2005.

Valentino Zeichen è nato a Fiume e vive a Roma. Nel 2004 è uscita per gli Oscar Mondadori la raccolta completa dei suoi versi: Poesie 1963-2003. Tra i suoi altri libri: Area di rigore, Cooperativa scrittori, 1971; Tana per tutti, Lucarini, 1983; Pagine di gloria, Guanda, 1983; Museo interiore, Guanda, 1987; Gibilterra, Mondadori, 1991; Metafisica tascabile, Mondadori, 1998; Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio, Fazi, 2000; Carla Accardi. Pietrose distanze, con Achille Bonito Oliva, Essegi, 2000; Passeggiate romane. Con DVD, Fazi, 2004; Matrigna, Il Notes Magico, 2002; Circonferenza cosmica, con Enrico Alleva, Margherita Hack, Gangemi, 2006; Neomarziale, Mondadori, 2006.


isabella bordoni/ib_project for the arts


 


 

Dimora Fragile: il bando
Per un festival della creazione contemporanea
di Leonardo, Linda, Lucio e Massimo

 

ESTERNI
festival della creazione contemporanea 2007
promuove

DIMORA FRAGILE
bando di produzione per artisti emergenti
>>> scarica il bando

Per contatti ed informazioni sulla seconda edizione
del festival: info@exsiriterni.it

Visita i siti dei promotori del festival:
DEMETRA
COMPAGNIA DEL PINO
INDISCIPLINARTE

ESTERNI prende forma dalla fusione di Ex Siri con Terni, per evidenziare la possibilità per la città di diventare crocevia della riflessione e delle esperenze creative sulla contemporaneità: fondere la città dell’acciaio con l’Es, l’esistere, l’urgenza ed il bisogno di creare.
ESTERNI porta in sé l’idea dell’apertura, del confronto, di uno sguardo attento alla scena internazionale, all’interno di un pensiero che fa del locale una parte imprescindibile del globale.

Lo sviluppo culturale di un territorio è precondizione necessaria all’insorgenza di un processo di sviluppo locale: le vere economie non possono crearsi, se in primo luogo non esiste, nel sistema locale, una capacità diffusa di attribuire senso e valore alle esperienze culturali. Perché il ruolo strategico dell’arte e della cultura è quello di generare creatività, mobilità, immaginazione e intuizione come nodo cruciale per lo sviluppo di opportunità economiche e sociali.

ESTERNI esiste grazie al lavoro volontario di molti soggetti attivi sul territorio e all’ampia rete costruita, i cui nodi sono rappresentati da associazioni, enti pubblici e soggetti privati.

Il festival accoglie 23 diverse formazioni artistiche (nazionali ed internazionali, emergenti e consolidate) che si susseguiranno per 10 giorni tra spettacoli, performances, installazioni ed incontri, abitando e reinterpretando i luoghi della città - dal polo culturale della ex Siri, al Centro MultiMediale, dal cortile di Palazzo Spada, allo stadio, fino a popolare palazzi storici, aree rurali e piazze - proponendo una dinamica invasione creativa della città ed un percorso di fruizione culturale non canonico.

Centrale, per il festival, è il superamento della distinzione di genere e la consapevolezza che esistono manifestazioni, rappresentazioni, presenze che faticano a risiedere nella definizione di teatro, ma nondimeno lo riguardano nel loro essere esposte allo sguardo di un pubblico. In questo senso, dunque, l’orizzonte del “teatro” coprirà discipline molto diverse tra loro in un viaggio dal sapore pionieristico per un pubblico disposto a rischiare le proprie certezze e viaggiare in territori nuovi.
Con la libertà di essere sempre verdi, incompleti e sperimentali.

Leonardo, Linda, Lucio e Massimo


 


 

Nuove sensibilità: un bando per le nuove generazioni
A sostegno degli artisti under 35
di Amat

 

Amat / Associazione Marchigiana Attività Teatrali
Teatro Stabile delle Marche
Regione Marche / Assessorato Attività e Beni Culturali

nuove sensibilità
spazio al teatro delle giovani generazioni


AMAT, TEATRO STABILE DELLE MARCHE e REGIONE MARCHE
SOSTENGONO il TEATRO dei GIOVANI ARTISTI con
NUOVE SENSIBILITÀ. SPAZIO AL TEATRO DELLE GIOVANI GENERAZIONI

Il rinnovato rapporto di collaborazione tra Amat e Teatro Stabile delle Marche, dà vita ad un nuovo importante progetto - Nuove Sensibilità. Spazio al teatro delle giovani generazioni a sostegno dei giovani artisti che intendono produrre e far circuitare un nuovo spettacolo.

Il progetto, che nasce con il patrocinio della Regione Marche / Assessorato Attività e Beni Culturali, si proietta subito in una dimensione nazionale grazie alla rete di supporto ad esso composta da E.T.I. Ente Teatrale Italiano e sei realtà teatrali, fra circuiti e teatri stabili pubblici e privati, quali il Nuovo Teatro Nuovo di Napoli, il Teatro Pubblico Campano, il Teatro Pubblico Pugliese / Festival Internazionale di Andria Castel dei Mondi, il Teatro della Tosse di Genova, il Teatro di Sardegna e il Teatro Stabile d’Innovazione Filodrammatici di Milano.

Nuove sensibilità si propone di sostenere la produzione e la promozione di sette nuovi spettacoli nelle aree territoriali in cui operano gli stessi soggetti coinvolti. Ognuno dei promotori selezionerà un progetto fra quelli proposti e garantirà allo stesso, oltre alla disponibilità dello spazio teatrale per trenta giorni (fra prove e repliche), tutto il supporto necessario per l’allestimento dello spettacolo (tecnico, scenico, promozionale ed economico).

Il progetto Nuove Sensibilità si pone inoltre come obiettivo la formazione di uno spettatore consapevole, attivo e partecipe della vita del teatro. Pertanto ciascun soggetto promotore provvederà a organizzare, con la diretta partecipazione della compagnia, prove aperte settimanali e incontri-dibattito con il pubblico, lezioni e tavole rotonde su argomenti attinenti al teatro ed alle tematiche affrontate nei singoli spettacoli.

Lo svolgimento, infine, dei ‘lavori’ vedrà la presenza costante di un giovane critico che documenterà lo svolgimento del progetto, per una pubblicazione, che sarà a cura di una casa editrice da definirsi.
La presenza, per tutto il periodo, di borsisti e stagisti delle varie università, che seguiranno lo sviluppo delle prove permetteranno, a fine programmazione, di elaborare studi sugli spettacoli realizzati, da inserire, eventualmente nella pubblicazione.

Alle selezioni possono partecipare giovani registi (under 35, con deroghe in considerazione del progetto) e compagnie non riconosciute dal Ministero, che propongono progetti per spettacoli di nuova produzione. I progetti dovranno essere basati su testi di autori contemporanei (intendendo come tali anche le riscritture e le rielaborazioni di testi classici) e dovranno prevedere un massimo di sei attori.
Il regista e la compagnia dovranno comunicare, all’atto della presentazione del progetto, il periodo in cui intenderanno realizzare lo spettacolo, nonché la regione di residenza.

Il materiale (progetto, note di regia e curriculum, massimo tre cartelle) dovrà essere inviato entro il 20 marzo 2007 al Nuovo Teatro Nuovo sito in Via Montecalvario, 16 80134 Napoli, unitamente ad un invio digitale all’indirizzo di posta elettronica nuovesensibilita@nuovoteatronuovo.it.
Tutte le proposte pervenute entro tale data saranno, in seguito, inoltrate ai circuiti e ai teatri stabili di competenza. Alle compagnie che supereranno la prima selezione sarà richiesta una documentazione più dettagliata.

I nomi dei vincitori saranno comunicati ai partecipanti entro il 31 maggio 2007.
I sette progetti selezionati saranno rappresentati tra giugno e luglio 2008 al Festival Internazionale di Andria Castel dei Mondi, dove una giuria, composta prevalentemente da studenti universitari, assegnerà un premio al miglior allestimento.


b a n d o

Art. 1
Con il progetto Nuove Sensibilità, il Nuovo Teatro Nuovo e il Teatro Pubblico Campano, insieme a AMAT (Ancona), Teatro della Tosse (Genova), Teatro di Sardegna (Cagliari), Teatro Stabile d’Innovazione Filodrammatici (Milano), Teatro Pubblico Pugliese (Bari) e Festival internazionale di Andria Castel dei Mondi, coordinati da una commissione composta da 3 rappresentanti dei soggetti promotori, intendono creare opportunità di formazione e inserimento nel mondo della produzione teatrale per registi, attori, scenografi e costumisti, nonché sperimentare metodologie di produzione innovative, capaci di tener conto delle difficoltà che le giovani compagnie incontrano nella ricerca dei mezzi indispensabili ad esprimere la propria creatività.

Art. 2 Per la stagione 2007|2008 si prevede la creazione di n. 7 nuove produzioni italiane, da realizzarsi nelle città sede dei circuiti e dei teatri stabili (pubblici e privati) aderenti al progetto.
Ognuno dei promotori selezionerà garantirà alla compagnia:

1) un tutor, scelto dall’ente promotore;
2) la sala per prove e repliche per 30 giorni consecutivi;
3) luci e fonica per lo spettacolo;
4) 1 tecnico per luci e fonica, per il montaggio e le repliche;
5) 1 macchinista/direttore di scena;
6) materiale scenico e costumi di repertorio disponibili nei depositi del teatro ospite o di altre compagnie che vorranno aderire al progetto;
7) ufficio stampa;
8) ufficio promozione;
9) pubblicità, locandine, manifesti e affissione;
10) n° 6 giorni di repliche;
11) una paga forfettaria per le prove;
12) paga minima per i 6 giorni di repliche;
13) contributi;

Art. 3 Tutte le compagnie selezionate avranno, inoltre, almeno una replica in ciascuno dei circuiti aderenti al progetto.

Art. 4 Ciascun soggetto promotore provvederà a organizzare, e tutte le compagnie avranno l’obbligo di accettare, al fine di contribuire alla formazione di uno spettatore consapevole, attivo e partecipe della vita del teatro:

1) prove aperte settimanali e incontri-dibattito con il pubblico;
2) presenza continua di un giovane critico che documenterà lo svolgimento del progetto in vista di una pubblicazione, edita da una casa editrice da definirsi;
3) presenza per tutto il periodo di borsisti e stagisti delle varie università, che seguiranno lo sviluppo delle prove e, a fine anno, elaboreranno studi sugli spettacoli realizzati da inserire, eventualmente, nella pubblicazione;
4) lezioni e tavole rotonde su argomenti attinenti al teatro e alle tematiche affrontate nei singoli spettacoli.

Art. 5 Una commissione, costituita da tre rappresentanti dei circuiti e dei teatri stabili aderenti al progetto, avrà il compito di:

1) leggere e valutare i progetti, elaborando una graduatoria in base alla quale distribuire i progetti ai soggetti promotori;
2) seguire lo sviluppo delle produzioni;
3) proporre i temi delle lezioni e delle eventuali tavole rotonde;
4) nominare il curatore della pubblicazione;

Art. 6 I 9 progetti selezionati verranno rappresentati tra giugno e luglio 2008 in un’anteprima del Festival Internazionale di Andria Castel dei Mondi, dove una commissione assegnerà un premio allo spettacolo giudicato migliore.

NORME DI PARTECIPAZIONE

Art. 7
Possono partecipare giovani registi (under 35, con deroghe in considerazione del progetto) e compagnie non riconosciute dal ministero, che propongano progetti per spettacoli di nuova produzione.

Art. 8
I progetti dovranno essere basati su testi di autori contemporanei (intendendo come tali anche le riscritture e le rielaborazioni di testi classici) e dovranno prevedere un massimo di 6 attori.

Art. 9 Regista e compagnia dovranno comunicare, all’atto della presentazione del progetto, il periodo in cui intenderebbero realizzare lo spettacolo, nonché la regione di residenza.

Art. 10 Progetto, note di regia e curriculum (max tre cartelle) dovranno essere inviati entro il 20 marzo 2007 al Nuovo Teatro Nuovo, via Montecalvario 16 – 80134 Napoli, nonché in formato digitale, all’indirizzo nuovesensibilità@nuovoteatronuovo.it.

Art. 11 Alle compagnie che supereranno la prima selezione verrà richiesta una documentazione più dettagliata.

Art. 12 I nomi dei vincitori verranno comunicati ai partecipanti entro il 31 maggio 2007.


 


 

Un po’ dopo il piombo: Giangilberto Monti racconta l'amore tra Mara Cagol e Renato Curcio
Il debutto a Genova il 23 marzo
di Ufficio stampa

 

Chi l'avrebbe mai detto? A cinquant'anni debutto come autore di canzoni (meglio, di una canzone), per colpa del mio amico jjmonti. Insomma, non l'ho fatto apposta ma magari la notizia vi diverte. (olivieropdp)

Giangilberto Monti
Un po’ dopo il piombo
(Ce n'est qu'un début)


regia Annig Raimondi
con la partecipazione di Roberta Mandelli

TEATRO GARAGE 23-25 marzo 2007 GENOVA
TEATRO DELL’OROLOGIO 17-29 aprile 2007 ROMA

Giangilberto Monti, artista milanese con 30 anni di carriera alle spalle, sempre in bilico fra musica e teatro, presenta il nuovo spettacolo Un po’ dopo il piombo, che racconta la genesi delle Brigate Rosse attraverso la storia d’amore tra Renato Curcio e Mara Cagol. Nello spettacolo, oltre a una decina di inediti, si può ascoltare un accenno de La mia razza, il brano che G. G. Monti scrisse con Mauro Pagani per Mia Martini negli anni Novanta. La canzone che apre lo spettacolo è invece tratta da uno scritto del critico e studioso teatrale Oliviero Ponte di Pino, su musica del pianista jazz Gaetano Liguori.
Il copione ha convinto la Radio Svizzera Italiana a farne il secondo radiodramma musicale dell’artista, dopo il successo del precedente La Belle Epoque della Banda Bonnot, che vinse il Prix Suisse 2004 e che nello stesso anno rappresentò la confederazione elvetica alla vetrina mondiale del Prix Italia, nella categoria fiction. Il nuovo radiodramma, con il titolo Ce n’est qu’un début, verrà prodotto nel corso del 2007. Giangilberto Monti – che ha da poco terminato la promozione del suo ultimo lavoro discografico Maledette canzoni (Carosello/Warner) - è il cinquantenne cantautore che nella finzione scenica presenta il suo nuovo album, mentre lo spettacolo, che si sviluppa sul doppio binario del teatro e della canzone, gli dà la possibilità di eseguire in anteprima i suoi brani di nuova produzione, che verranno raccolti in un nuovo disco in uscita nei primi mesi del 2008.

LA STORIA
Dal 1964 al 1975 Renato Curcio e Margherita Cagol detta Mara si incontrano, si conoscono, si innamorano, si sposano e danno vita alla più nota formazione politica armata degli anni Settanta: le Brigate Rosse. Durante quegli anni cambia la scuola, il lavoro, la politica e il paese intero. E´il mito della rivoluzione e della felicità, del maggio francese e dei suoi slogan - Ce n'est qu'un début - ma anche dei cattivi maestri e delle pistole che sostituiscono i fiori. E’ un momento storico irripetibile dove tutto sembra possibile e niente è più certo. E’ il racconto di un’università di sogno nata in una delle città più tranquille del paese, Trento, dove la follia prevale lentamente sulla voglia di libertà, si propaga a macchia d’olio per L’Italia e spegne anche la storia d’amore e di rivoluzione di Renato e di Mara, quando i carabinieri la uccidono in un conflitto a fuoco il 5 giugno 1975. Da lì in poi gli anni di piombo e una strisciante guerra civile spazzeranno via i sogni e i colori di generazioni di italiani, che ancora oggi vorrebbero capire cosa è successo, e perché.

LO SPETTACOLO
Siamo in uno studio radiofonico, durante un’ intervista dove un cantautore inquieto e cinquantenne presenta il suo ultimo album e si confronta con una giovane conduttrice, ironica e polemica, che sa molto poco di quegli anni. Tra gli spensierati Sessanta e i barricaderi Settanta si rievoca una storia d’amore senza lieto fine e ci si interroga sul tempo che è passato per capire quello che verrà. E tra loro, lo spirito folle del più dissacrante agitatore politico di quegli anni, Mauro Rostagno, che amava dire: Noi non vogliamo trovare un posto in questa società ma creare una società in cui valga la pena trovare un posto. Un confronto con il passato e una speranza da raccontare, un po’ dopo il piombo.
si ringrazia per la collaborazione alle ricerche storiche
Sara Chiappori, Piergiorgio Rauzi e Franco Oss Noser

una produzione Fort Alamo e Scenaperta-Polo teatrale dell’Alto Milanese

 


 

MArteLive apre le iscrizioni per l’edizione 2007
Al via la settima edizione
di MArteLive

 

Al via ricerca delle compagnie emergenti che parteciperanno alla settima edizione di MArteLive: primo premio Ambra Jovinelli

Uno dei festival che da più premi in Italia. I concorsi di MArteLive, pensati per giovani emergenti, offrono circa 150 premi distribuiti nelle 15 sezioni artistiche con un grande e unico obiettivo: dare una “reale” possibilità di emergere agli artisti che partecipano ai concorsi attraverso premi che offrono una grande visibilità e prestigio grazie a numerose collaborazioni importanti stabilite in oltre 7 anni di attività nel mondo dell’arte e della cultura in Italia.
L’iscrizione al concorso legato alla sezione teatro è rigorosamente gratuita e rimarrà possibile fino al prossimo 30 aprile 2007, è vivamente consigliato iscriversi il prima possibile per favorire un’efficace programmazione delle serate nei LocaliFriendsMArteLive.
Tutti i premi saranno pubblicati sul sito www.martelive.it e ogni settimana verrà aggiornato il palinsesto delle serate di selezione nei LocaliFriendsMArteLive.
Tra i premi in palio: Premio Ambra Jovinelli: una giuria dell’Ambra Jovinelli sceglierà la compagnia da far esibire in apertura di stagione 2007/2008 al Piccolo Jovinelli, la stessa verrà inserita in cartellone. Partecipazione alla seconda edizione del TeatroTourMArteLive che si terrà a settembre 2007 nei seguenti teatri: Rialto Sant'Ambrogio, Teatro Il Cantiere, Nuovo Teatro Stabile di Canale Monterano.
Inoltre fornita visibilità su riviste e siti partner di MArteLive e possibilità di partecipare a festival e manifestazioni gemellati con MArteLive come l’estate romana alla Sapienza.
La compagnia vincitrice avrà la possibilità di entrare nelle ScuderieMArteLive, e nel gruppo multidisciplinare ArteLiveProject. Maggiori informazioni e aggiornamenti continui sui premi e sulla programmazione su www.martelive.it o all’indirizzo infoiscrizioni@martelive.org.


 


 

Il corso di perfezionamento teatrale di Luca Ronconi a Santacristina
Il programma e il bando per l'estate 2007
di Santacristina Centro Teatrale

 

SANTACRISTINA CENTRO TEATRALE
Corso di perfezionamento per attori 2007
Direzione artistica Luca Ronconi


SANTACRISTINA CENTRO TEATRALE, scuola di perfezionamento per attori, è un progetto dedicato alle problematiche e alle prospettive della formazione teatrale per attori, come “scuola d’eccellenza” a completamento delle scuole di teatro di base già frequentate.
La scuola di Santacristina sviluppa un compatto e coerente programma didattico per affrontare il lavoro dell’attore come una professione vera e propria. Intende sviluppare incontri e confronti dei giovani attori con attori di livello nazionale e internazionale ma anche con scenografi, costumisti, musicisti, direttori delle luci, tecnici e tutte le altre figure professionali coinvolte in teatro.
Il corso prevede il coinvolgimento di 15 attori-allievi guidati e coordinati da Luca Ronconi.
Il corso si terrà in Umbria avrà durata di 40 giorni tra luglio e settembre 2007.

Condizioni e Requisiti

- Allievi attori

- diploma di una scuola d’arte drammatica e di recitazione di rilevanza nazionale;
- aver esercitato attività scenica professionale oltre al lavoro svolto nelle scuole;

Ogni allievo dovrà presentare la domanda di iscrizione allegata con tutta la documentazione richiesta


Norme Generali
Le domande, corredate degli allegati, dovranno pervenire in originale a mezzo raccomandata A/R entro il 16 aprile 2007 (farà fede il timbro postale) alla segreteria del SANTACRISTINA CENTRO TEATRALE: BORGO PIO 125 – 00193 ROMA.
Per confermare l’iscrizione alla selezione, i candidati dovranno versare tramite bollettino postale la somma di 10 euro, sul conto corrente num. 71461842, intestato a SANTACRISTINA CENTRO TEATRALE avente causale ISCRIZIONE SELEZIONE CORSO 2006.
A seguito dell’istruttoria delle domande pervenute la commissione presieduta da Luca Ronconi procederà alla selezione dei candidati in possesso dei requisiti richiesti dal bando. Saranno quindi selezionate le domande, corredate dalla documentazione richiesta, e saranno poi invitati alla fase successiva di selezione solo i candidati ritenuti idonei. La seconda fase della selezione consisterà in un provino, e in un colloquio attitudinale e motivazionale.
La data e la sede di svolgimento delle prove saranno comunicate a cura del Santacristina Centro Teatrale in tempo utile agli interessati a mezzo posta elettronica e/o telefono.
Ai candidati selezionati sarà assicurata la frequenza gratuita al corso.

Per ulteriori informazioni rivolgersi a:
Santacristina Centro Teatrale
Tel. 06-68134986 - Tel./fax 06-6861219


SANTACRISTINA CENTRO TEATRALE
Corso di perfezionamento per attori 2006
Direzione artistica Luca Ronconi

DOMANDA DI ISCRIZIONE

Spett.le
SANTACRISTINA CENTRO TEATRALE
Borgo Pio 125
00193 - Roma


Il/la sottoscritto/a
Cognome ...........................……………………..….…………... nome ..................................………………………………………
nato/a ....................................………............………………...........…… il ............/…….…/………..... residente a ........................................…………………....... via ……………………...........…………..................…….…. n ..........……… Cap ……………..…… Provincia ………….…..................................... tel e fax …............…………………………… ……………………
telefono cellulare…………………………….……………………. E-mail…………………………………….……………………………
Domicilio……………………………………………………………………………………………………………………………………….
Codice fiscale |_|_|_|_|_|_||_|_|_|_|_||_|_|_|_|_|

CHIEDE

di essere ammesso/a alla selezione del corso per ATTORE; ed essendo a conoscenza delle sanzioni previste dall’art.26 della L.4/1/68 n.15, e successive modificazioni, in caso di dichiarazioni false,

DICHIARA

 di essere cittadino/a.......................................………………………....……………………...…………………………………; 
 di essere in possesso di permesso di soggiorno per motivi di ..........…………………….. con scadenza il.................................; 
 di autorizzare il trattamento dei dati personali ai sensi della legge n. 675/96. 

DICHIARA INOLTRE

 di essere in possesso di diploma rilasciato presso scuole di recitazione di rilievo nazionale: (indicare tipo di diploma) ………………………………………………….…………………..; conseguito presso: ………………………………………….. (indicare Scuola):………………………………………..……………..…………; anno di conseguimento: …………….………; 

 di essere in possesso di esperienze professionali pluriennali documentabili presso compagnie o teatri di rilievo nazionale; 


SI IMPEGNA A

Versare la quota di euro 10 (dieci) per confermare l’iscrizione alla selezione, attraverso bollettino postale intestato a SANTACRISTINA CENTRO TEATRALE c/c numero 71461842, avente causale “ISCRIZIONE SELEZIONE CORSO 2007”.

ALLEGA in TRIPLICE COPIA (pena l’esclusione dalla selezione)

Allegati: Curriculum vitae Fotografia Copia del documento Fotocopia bollettino c/c postale di iscrizione alla selezione

Firma
.....................................................


 


 

Un piccolo classico: la nuova edizione di Organizzare teatro. Produzione, distribuzione, gestione nel sistema italiano di Mimma Gallina
FrancoAngeli, Milano, 2007, pp. 384, Euro 28,00
di Ufficio Stampa

 



9 ristampe in 5 anni, quasi 7000 copie vendute; nel suo ambito è diventato un piccolo classico: è il volume di Mimma Gallina Organizzare teatro. Produzione, distribuzione, gestione nel sistema italiano di cui ora FrancoAngeli pubblica la nuova edizione integralmente rivista aggiornata.

Organizzare teatro è stato il primo libro a integrare in modo stretto e intelligente una analisi delle caratteristiche storiche e strutturali del teatro italiano – con una forte attenzione però alla sua evoluzione più recente – con la presentazione dei meccanismi concreti del fare teatro dal punto di vista della tecniche organizzative (produzione e distribuzione). Da qui, probabilmente il suo successo e i numerosi tentativi di imitazione (tra cloni e bigini).
A distanza di 5 anni dalla prima edizione il testo ha mantenuto l’originale schema tripartito – il sistema teatrale italiano; la “produzione”; la “distribuzione” – ma aggiorna numerosi aspetti che in questi anni hanno subito evoluzioni significative. Nel loro complesso gli aggiornamenti consentono di cogliere le trasformazioni e le tendenze in atto oggi nel teatro italiano anche se ad una loro analisi sistematica e approfondita Mimma Gallina ha dedicato il saggio Il teatro possibile uscito nel 2005 (sempre da FrancoAngeli).
Come per la prima edizione, Mimma Gallina si è avvalsa di une rete di collaboratori per approfondimenti specialistici, anch’essi aggiornati: a Patrizia Cuoco, Enrico Bellezza, Fioravante Cozzaglio, Onofrio Cutaia, Adriano Gallina, Giusepe Pizzo, Oliviero Ponte di Pino, Enrico Porreca, Lorenzo Scarpellini si sono aggiunti Antonio Toarmina (con un nuovo capitolo sulla formazione e le figure professionali del teatro in Italia) e Monica Colombina (per le normative recenti relative alla SIAE). Altri aggiornamenti significativi riguardano gli assetti del sistema teatrale, l’evoluzione legislativa, le politiche europee.

Mimma Gallina è nota nel settore teatrale, sia per la sua attività professionale, sia per l’attività di insegnamento e saggistica. Ha diretto organismi teatrali pubblici e privati, prodotto spettacoli, curato progetti internazionali e festival ed è stata ed è consulente di teatri e amministrazioni pubbliche Da molti anni si dedica anche all'insegnamento dell'organizzazione teatrale presso la Scuola d'Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano e presso diverse università. Collabora a riviste teatrali e al web magazine www.ateatro.it e ha pubblicato diversi volumi, tra cui ricordiamo: Teatro di Stato, Teatro di impresa (Rosenberg & Sellier, Torino, 1990) e Il teatro possibile (FrancoAngeli, Milano, 2005).


 



Appuntamento al prossimo numero.
Se vuoi scrivere, commentare, rispondere, suggerire eccetera: olivieropdp@libero.it
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olivieropdp