(114) 15/12/2007
Emergenza!
Che cosa è successo alle Buone Pratiche

Dossier Emergenza! Che cosa è successo alle Buone Pratiche 04
L'editoriale di ateatro 114
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and1
 
Il Piccolo Teatro e Giorgio Strehler: due anniversari, tre libri...
...e una riflessione
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and10
 
Come sono andate le Buone Pratiche 04?
Un bilancio a caldo
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and50
 
Il fotoromanzo dell'Emergenza!
Le Buone Pratiche 04 a Milano

Fra dati scoraggianti, progetti inventivi e tensioni ideali il racconto della giornata del 1° dicembre
di Erica Magris

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and51
 
BP04: La pedagogia esplosa dello spettacolo dal vivo
La relazione iniziale di BP04
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and52
 
BP04: Considerazioni personali (con qualche nota dall’intervento che non ho fatto)
(emergenza lavoro)
di Mimma Gallina

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and53
 
BP04 Documenti: Missione 21. I beni culturali e lo spettacolo
L'Art. 49 della Finanziaria
di Prodi & Co.

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and54
 
BP04: Essere è essere percepiti. Note evoluzioniste
(emergenza, visibilità e selezione)
di Adriano Gallina

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and55
 
BP04: Formazione e mercato del lavoro per i professionisti dello spettacolo
(formazione e lavoro)
di Antonio Taormina

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and58
 
BP04: Cinquant'anni di ARCI
(visibiltà)
di Emanuele Patti

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and60
 
BP04: Il razzismo, la memoria
(geografie)
di Patrizia Bortolini

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and62
 
BP04: Appunti di sopravvivenza e testimonianze di una coreografa a Milano.
(emergenza danza)
di Barbara Toma

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and63
 
BP04: Oltre i vincoli di genere
(emergenza danza)
di Roberto Castello

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and65
 
BP04: Formazione, qualità e riconoscimento dell'operatore culturale
(formazione)
di Andrea Minetto *

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and66
 
BP04: Ecole des Ecoles il metodo del confronto
(formazione)
di Bruno Fornasari

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and70
 
BP04: Teatri di vetro
(accesso e visibilità)
di Roberta Nicolai

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and71
 
BP04: Quando spuntano le ali
(geografie)
di Massimo Luconi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and73
 
BP04: Bancone di prova
(accesso e visibilità)
di Bancone d prova

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and74
 
BP04: TeatroNet
(accesso e visibilità)
di Rosi Fasiolo

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and75
 
BP04: Kilowatt Festival La selezione dei visionari
(accesso e visibilità)
di Kilowatt Festival

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and76
 
BP04: Il progetto del PiM
(accesso e visibilità)
di PiM

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and77
 
BP04: I bandi del PiM
(accesso e visiblità)
di PM

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and78
 
BP04: Officina Giovani/Cantieri Culturali
(emergenza, visibilità e selezione)
di Teresa Bettarini

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and79
 
Le recensioni di ateatro I Giganti multimediali di Federico Tiezzi
I giganti della montagna di Luigi Pirandello con la regia di Federico Tiezzi
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and82
 
Firenze: teatro pubblico e area metropolitana
Dal convegno “Il Teatro e la città”
di Mimma Gallina

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro114.htm#114and83
 

 

Dossier Emergenza! Che cosa è successo alle Buone Pratiche 04
L'editoriale di ateatro 114
di Redazione ateatro

 

www.ateatro.it ha ormai sette anni.
Sette anni intensi, dove su ateatro stati messi online circa 1700 (millesettecento) testi: saggi, recensioni, interviste, inchieste eccetera, confluiti nel mitico database di ateatro e in parte nella altrettanto mitica ateatropedia.
Sette anni, dove ateatro ha dato visibilità a decine e decine autori ma ha anche seguito molte realtà – giovani e meno giovani – della scena italiana e internazionale.
Sette anni, dove il teatro italiano ha potuto discutere e confrontarsi liberamente nel forum di ateatro.
Abbiamo oggi circa 10.000 visitatori al mese (almeno è quello che ci dice Google-analytics), che arrivano da ogni parte del mondo: in grandissima maggioranza dall’Italia, poi da Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito, Belgio, Spagna... Ma ateatro ha visitatori da tutti i continenti, dalla Lettonia al Sudafrica, all’Australia alla Tunisia, dall’Iran alla Colombia, dall’Argentina alla Turchia...
Siamo diventati un punto di riferimento per giovani che si interessano al teatro: sono decine e decine gli studenti che utilizzano e (speriamo) citano ateatro nelle loro tesi e tesine.

Ma su quello che è stato e su quello che sarà ateatro dovremo confrontarci nei prossimi mesi.
Nel frattempo, in questo 114 presentiamo i frutti della quarta edizione di una delle iniziative di maggior successo della webzine, le Buone Pratiche.

Emergenza! si è svolta il 1° dicembre, alla Civica Scuola d’Arte Drammatica di Milano, è stata una giornata di lavoro intensa e costruttiva, con un’ampia partecipazione (circa 150 persone) e interventi di notevole interesse sui temi della formazione, dell’accesso alla professione, della visibilità e della selezione delle giovani compagnie, del lavoro nel settore dello spettacolo dal vivo.
Inutile ricordare che l’iniziativa è – come tutto quello che riguarda ateatro – totalmente autonoma, autogestita e autofinanziata (ovvero zerofinanziata). E’ dunque totalmente indipendente da pressioni di qualunque genere (economico, politico, aziendale, eccetera). Se sbagliamo, lo facciamo in buona fede.
Inutile ricordare che non possiamo pagare né viaggi né ospitalità: dunque anche chi partecipa alle Buone Pratiche, come relatore e come ospite, lo fa a proprie spese, perché pensa che sia una occasione unica e importante: anche a loro, alle centinaia di persone che ci hanno seguito in questi anni, va il nostro ringraziamento
Ma quello che è successo il 1° dicembre, lo scoprirete leggendo innanzitutto l’ottimo Fotoromanzo dell’Emergenza! redatto da Erica Magris e illustrato dalle foto di Alice Asnaghi. E potrete consultare anche le relazioni e le Buone Pratiche che ci sono arrivate prima e dopo l’incontro.

Una sola cosa, prima di immergervi nella lettura. E’ fondamentale sottolineare un dato che è emerso in tutte le quattro edizioni delle Buone Pratiche: anche dal punto di vista organizzativo (e dunque non solo sul versante estetico), il teatro italiano è molto più ricco, articolato, inventivo di quanto non risulti dalle categorie “burocratiche” del Ministero e degli enti locali. E appare molto più articolato della rappresentazione che ne danno le organizzazioni di categoria (a cominciare dall’Agis e dagli stessi sindacati). Per quanto parziale (le nostre forze sono esigue), le Buone Pratiche rappresentano un osservatorio prezioso e unico in Italia.
La necessità da parte del Parlamento di aprire nuovi canali informativi è un punto che ha colto anche la senatrice Giovanna Capelli, membro della Commissione Istruzione e Beni Culturali del Senato. Vorremmo raccogliere il suo invito e possiamo pensare a un incontro pubblico nei primi mesi del prossimo anno: ma per farlo abbiamo bisogno della collaborazione di tutti.
Nel frattempo la fervida Mimma sta già mettendo all’opera un gruppo di studio sul tema del lavoro (altre info a conclusione del suo intervento).
Ma questo 114 vi offre anche alcune bonus tracks: andate a curosare nell'indice...


 


 

Il Piccolo Teatro e Giorgio Strehler: due anniversari, tre libri...
...e una riflessione
di Oliviero Ponte di Pino

 

Sono ormai passati sessant’anni dalla fondazione del Piccolo Teatro, e dieci dalla scomparsa di Giorgio Strehler, il giorno di Natale del 1997.
Più che un’occasione per celebrazioni e anniversari, che ci sono stati ma in tono minore rispetto al passato, la coincidenza può forse spingerci a riflettere su quello che il Piccolo Teatro e Strehler hanno significato nella storia del nostro teatro, magari partendo da alcune interessanti novità bibliografiche, in particolare

- Giorgio Strehler, Nessuno è incolpevole. Scritti politici e civili, a cura di Stella Casiraghi, Melampo, Milano, 2007;
- Magda Poli, Milano in Piccolo. Il Piccolo Teatro nelle pagine del Corriere della Sera, Fondazione Corriere della Sera-Rizzoli, 2007;
- William Shakespeare, Agostino Lombardo-Giorgio Strehler, La Tempesta tradotta e messa in scena. Un carteggio ritrovato fra Strehler e Lombardo e due traduzioni inedite realizzate da Lombardo per il Piccolo Teatro di Milano, a cura di Rosy Colombo, Donzelli, Roma, 2007 (con DVD della Tempesta nella messinscena di Giorgio Strehler).

Va premesso che queste pubblicazioni contribuiscono a colmare un vuoto, perché la bibliografia sul Piccolo e su Strehler non è così ampia, anche scontando il triste stato della cultura e dell’editoria teatrale nel nostro paese: già questo non è un segnale incoraggiante. E’ una povertà che si sconta sia sul versante accademico, sia su quello di opere divulgative o destinate a un pubblico più vasto. Certo questo dipende anche dal complesso atteggiamento del teatro, della cultura e della politica nei confronti del regista e del teatro, soprattutto negli ultimi anni.
Per certi aspetti il Piccolo Teatro riesce ad affermarsi come un monumento della cultura italiana del dopoguerra, e Strehler è considerato un maestro indiscutibile. E tuttavia sono oggetto da sempre degli attacchi della destra clericale.
Il Piccolo era nato nell’immediato dopoguerra, nel clima magico dell’unità antifascista, dalla collaborazione di intellettuali socialisti (Grassi e Strehler), cattolici (Apollonio) e comunisti (la collaborazione di Pandolfi, la firma di Tosi), grazie all’apertura illuminata del sindaco Greppi. Poi erano arrivate le elezioni del 18 aprile 1948, con la sconfitta del Fronte Popolare, e certo anche le divergenze sulla linea da dare al teatro, con il realismo di Grassi e Strehler vincente sullo sperimentalismo e sul comunitarismo degli altri fondatori. La cautela aveva portato a rimandare per quasi un decennio l’incontro con Brecht: che non fosse una prudenza eccessiva lo dimostrano gli attacchi clericali che accolsero, ancora nel 1963, il Galileo: curiosa, nell’infuriare della polemica, la scelta del “Corriere della Sera”, che il 24 marzo affidò una sorta di difesa d’ufficio dell’estetica brechtiana a Umberto Eco, forse memore del Barthes critico teatrale filo-brechtiano (vedi Milano in Piccolo, pp. 110-113).
Nel frattempo però – al di là dell’affermazione nazionale e internazionale del Piccolo – erano già avvertibili i primi segnali di crisi: lo stesso Strehler identificava la “la stagione 1962/’63 come il suo punto d’arrivo e, quindi, anche il suo punto morto. Ma in realtà questo processo, sia di sviluppo sia di possibile stasi,” concludeva Strehler, “è in atto da almeno quattro anni” (Nessuno è incolpevole, p. 31).
Il punto di rottura era arrivato con il ’68 e con l’abbandono di Strehler, che lasciò la direzione del teatro al solo Paolo Grassi. E’ curioso rileggere il fluviale appunto dello stesso Strehler nel marzo di quell’anno (pp. 38-46): una lettura tutta politica, da antico militante di partito allenato da dibattiti e discussioni, un’interpretazione quasi tutta ideologica, che prende subito sul serio il leninismo, lo stalinismo, il castrismo, il guevarismo, il maoismo dei gruppettari italiani (partendo proprio dalla questione dell’uso della violenza); lascia invece quasi del tutto in secondo piano le trasformazioni sociali, la rivoluzione dei consumi e dei costumi, le spinte libertarie che avevano innestato la rivolta giovanile.
Nel 1972, quando Grassi andò a dirigere la Scala, il regista tornò al “suo” teatro, dopo una parentesi non memorabile, quasi a sancire l’indissolubilità del binomio Strehler-Piccolo. Da quel momento il Piccolo sarebbe stato attaccabile (e attaccato) sia dalla destra clericale e fascista, come tempio della cultura di sinistra; sia dall’estrema sinistra: per gli “sperimentali” il Piccolo rappresentava il massimo tempio di una cultura istituzionale e l’architrave del sistema degli stabili e dei loro sprechi lottizzatori, mentre il magistero strehleriano appariva l’emblema di una concezione superata del teatro e della regia; per il nascente movimento dei teatri cooperativi il Piccolo aveva tradito i suoi ideali originari e voleva dunque rilanciare l’intransigenza politica, la spinta al decentramento, l’egualitarismo, l’allargamento del repertorio.
Al tempo stesso cresceva però l’insofferenza nei confronti del partito in cui aveva militato per decenni, ormai preda della lottizzazione politica e della deriva craxiana. Lo sconforto era notevole, come scriveva ad Agostino Lombardo il 21 novembre 1977:

“Ho assistito in questi mesi a miserabili cose, anche in politica: compromesso (non storico), mancanza di ogni preoccupazione veramente culturale; tutto ormai legato “ai partiti”. Ed io che credo nei partiti, che credo nella politica, sono inorridito purtuttavia nel sentire ogni volta, ad ogni scelta anche di un uomo o un collaboratore o altro, la fatidica frase; ma di che partito è. E l’equilibro del quadro politica? E così via... Vale per tutti. E’ questo il terribile: per tutti. Sono molto molto preoccupato e covo un segreto dolore, una segreta delusione che non mi lascia in pace.” (La tempesta, p. 43)

Mancano ancora diversi anni all’esplosione di Tangentopoli, e molti altri ancora prima delle denunce della Casta” e dei “Vaffa” di Grillo, ma lo scenario e le sue possibili degenerazioni erano già chiaramente avvertibili. Il 26 maggio del 1978, al convegno del PSI sul tema “La riforma dello spettacolo”, Strehler esplicitava in pubblico la propria diagnosi:

“C’è stato in parte un censimento di forza propulsiva del teatro stabile pubblico italiano. Ma io non posso non chiedermi, anche a costo di una certa brutalità, quanto di tutto ciò è imputabile agli uomini del teatro stabile e pubblico che si sono alternati alla sua direzione; e quanto è imputabile anche alla tremenda stasi involutiva di tutta la vita politica e sociale italiana che si è verificata in quest’ultimo decennio, in questa specie di sordità umana e culturale, in questo imbarbarimento di rapporti, in questa specie di oscuro freno di ogni volontà creativa, di ogni slancio costruttivo dell’intero Paese, di cui tutti siamo in qualche misura responsabili.” (Nessuno è incolpevole, pp. 78-79)

L’allarme, come prevedibile, sarebbe caduto nel vuoto. La follia terroristica avrebbe portato al blocco del quadro politico per altri quindici anni, in un crescente processo di involuzione culturale e morale.
Due anni dopo si candidò nelle liste del PSI al Parlamento europeo, ma presto abbandonò il partito per farsi eleggere a Senato nelle liste del PCI (avrebbe tra l’altro presentato una delle tante vane proposte di legge sul teatro). Fu certamente un dramma personale, dopo decenni di militanza, e rappresentò certamente la volontà di dare un segnale alla nomenklatura nazionale, ma da una posizione in qualche modo ambigua. Perché a quel punto la sua posizione (e di conseguenza quella del Piccolo Teatro) aveva subito ulteriore slittamento: certo, Strehler e il suo Piccolo erano un monumento – di più, un lussuoso monumento, soprattutto agli occhi degli altri teatranti e alla loro misera sussistenza – ma politicamente non del tutto affidabile agli occhi del potere politico. Era una sorta di ricatto reciproco: i politici avevano in mano i cordoni della borsa ma non potevano condannare a morte il teatro; Strehler aveva una statura e una visibilità internazionale (a Parigi avrebbe ideato, inaugurato e diretto alla fine degli anni Ottanta il Théâtre de l’Europe), e una lunga consuetudine con i leader politici cittadini e nazionali, ma non appariva più politicamente del tutto “affidabile”, nemmeno lui; dunque aveva come unica arma il ricatto delle dimissioni, spesso minacciate e a volte anche consegnate, ma poco altro.
Così iniziò la lunga e penosa vicenda della nuova sede del teatro progettato da Marco Zanuso: un cantiere aperto per decenni con mille sospetti di sprechi e tangenti (fino a coinvolgere i due ex sindaci di Milano Tognoli e Pillitteri), che per una crudele beffa del destino sarebbe stato inaugurato poche settimane dopo la sua morte, con un suo spettacolo. (Val forse la pena di ricordare che l’altro grande uomo di teatro milanese del dopoguerra, il Premio Nobel Dario Fo, a Milano non ha mai avuto un teatro; o meglio, ha dovuto occuparne uno negli anni Settanta, la Palazzina Liberty, salvo poi farsi scacciare ala prima occasione da fascisti & Co.)
Ma altre crudeli beffe gli erano già state giocate: all’epoca di Tangentopoli un’accusa poi rivelatasi infondata per l’uso dei fondi europei (proprio a lui, accusatore ante litteram dei tangentari), un’altra vicissitudine giudiziaria per droga (con il parallelo linciaggio giornalistico, diventato ormai la triste abitudine di un paese che non sa esercitare la giustizia). Altre beffe, con la seconda Repubblica, gli sarebbero arrivate dai nuovi interlocutori politici, un centrodestra milanese e lombardo di inedita grettezza culturale, tra neo-fascisti e leghisti, ciellini e televisionari.
Quella degli ultimi anni di Strehler è stata una lunga e dura guerra di posizione: combattuta da una posizione per certi versi privilegiata, ma che da un altro punto di vista risultava perduta, come se il fronte si fosse già spostato molto oltre, come se il Piccolo fosse rimasto un fortino assediato, tenacemente difeso, ma destinato prima o poi a capitolare, a crollare, corroso anche dall’interno: dunque inutile attaccarlo frontalmente, meglio logorarlo giorno dopo giorno, e utilizzarlo come alibi di prestigio mentre l’intero sistema cade a pezzi (non bisogna dimenticare l’enfasi sul mercato nelle faccende culturali, teatro compreso, sbandierata da alcuni craxiani). Non mancano, nella difesa streheriana, scatti d’orgoglio e proiezioni nel futuro: fondamentale in questo l’apertura europea, vissuta allora come possibile prospettiva di riscatto dalle italiche miserie, e testimoniata da numerosi appassionati interventi. Da questa posizione, ai professionisti della politica Strehler non poteva non apparire “ingenuo”: incapace cioè di cogliere i movimenti reali dello scenario politico (ma la degenerazione partitocratica e la catastrofe socialista le aveva colte subito), per difendere i principi astratti di un umanesimo forzatamente vago e un po’ consolatorio. Tuttavia era l’unica tattica che aveva a disposizione (oltre naturalmente agli spettacoli) per non farsi ingabbiare e per continuare a rilanciare, anche se con difficoltà sempre maggiori: al rispetto di facciata si accompagnava infatti un sostanziale disinteresse.
In un quadro così complesso, è impossibile tracciare un bilancio in bianco & nero, con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Nella sua appassionata autodifesa, sempre dalla lettera del 21 novembre 1977 a Lombardo, rispondendo alle critiche che gli venivano rivolte, apertamente o a basa voce, Strehler coglieva un punto chiave:

“Ho passato una vita nel buio del palcoscenico, ho mandato su dagli inferi più i duecento spettacoli in prosa e in musica, ho contribuito qui e là a disegnare un profilo critico più corretto di opere di teatro e di autori tanti e varii nel mondo, ho insegnato a essere in un certo modo morale nel teatro a centinaia di esseri umani, ho dato qualcosa a migliaia di persone nella platea, domande e risposte o solo domande sulle cose, ho aiutato in un piccolo cerchio, piccolissimo, il mondo a muoversi e cambiare.” (La tempesta, p. 43)

Ecco, quell’“essere in un certo modo morale nel teatro” è stata per molti aspetti una lezione irreversibile, che ha cambiato gli standard del teatro italiano, da una sorta di artigianale approssimazione a una pratica consapevole del proprio valore culturale, estetico, civile, politico. Si vedono ancora in Italia spettacoli raffazzonati e cialtroneschi, ma grazie alla qualità e alla profondità del lavoro di Strehler le loro insufficienze non si possono più nascondere. Strehler può aver fatto spettacoli belli o brutti, riusciti o meno, ma non ha mai fatto spettacoli inutili: avevano tutti una loro necessità, e dunque una loro moralità e dunque una loro forza.
Naturalmente anche gli standard più solidi e coerenti si possono corrompere, e forse è quello che rischia di capitare nel nostro teatro. Per questo tornare alla lezione strehleriana diventa ancora più importante, e in questo la corrispondenza con Agostino Lombardo, traduttore della Tempesta di Shakespeare per l’allestimento del 1978 (trent’anni dopo la messinscena dello stesso testo ai giardini di Boboli), offre uno strumento straordinario.
L’epistolario, ritrovato tra le carte di Lombardo (scomparso nel gennaio 2005), ha una curiosa sfasatura temporale. Il primo gruppo di lettere, preceduto dall’invio al regista della prima parte della traduzione, è tutto di Strehler, che legge e corregge il copione; da un lato offre considerazioni di carattere generale sul testo e sui personaggi, ovvero sulla sua impostazione registica e sui suoi dubbi (per esempio, il ruolo di Trinculo e Stefano, oppure la possibilità di portare in scena il masque nuziale); ma dall’altro corregge minuziosamente la traduzione di Lombardo. Il secondo gruppo di lettere è invece tutto di Lombardo, mentre lo spettacolo inizia ad andare in prova: e così come prima Strehler fungeva anche da traduttore, così ora il traduttore offre una serie di suggerimenti registici (per esempio sulla scansione degli intervalli, anche se su questo punto non l’avrà vinta).
E’ appassionante entrare in questa officina, dove si intrecciano competenze registiche, linguistiche, drammaturgiche (o meglio, da dramaturg). La revisione del regista si muove su una quantità di piani diversi: entrano in gioco aspetti ritmici ma anche l’effettiva possibilità di dare forma teatrale a una data soluzione; a volte è la pratica di palcoscenico a suggerire la soluzione filologicamente corretta (o a imporre una forzatura); a volte si tratta di re-inventare giochi di parole o modi di dire (perché, annota il regista, in teatro non esistono le note al piede); a volte è la filologia a venire in soccorso del regista. A volte è una filologia tanto precisa da risultare azzardata e tuttavia geniale: per esempio, nella difficile resa dei due buffoni, Trinculo e Stefano, definiti nel testo “two Neapolitans scap’d”, diventano un napoletano e un veneto partendo da un verso del V atto, “coragio - bully monster – coragio”: perché, annota Strehler, “coragio è in ‘lingua veneta’ non in napoletano. L’unica battuta dunque o parola in ‘italiano’ nel testo è inequivocabilmente in dialetto veneto”: e dunque nello spettacolo Stefano sarà più uno zanni che un pulcinella.
Ma questa è solo una delle mille intuizioni critiche che punteggiano questa corrispondenza, che potrebbe costituire da sola un corso tanto di traduzione quanto di drammaturgia, e che in ogni caso rendono conto della profondità e dell’intensità del lavoro del regista e del traduttore sul testo shakespeariano. E questa è certamente una delle testimonianze più toccanti (e utili) di questi anniversari intrecciati.


 


 

Come sono andate le Buone Pratiche 04?
Un bilancio a caldo
di Redazione ateatro

 

Beh, possiamo dire di essere usciti dall'EMERGENZA a testa alta...
A parte gli scherzi, è andata molto bene. Oltre 150 presenze (così tante che non abbiamo fatto ancora il conto preciso), malgrado gli scioperi e le influenze. L'ospitalità della scuola e l'impegno degli allievi del corso organizzatori hanno offerta una cornice piacevole ed efficiente. La giornata è stata ricca e intensa, con moltissime informazioni, mille spunti di riflessione e tante domande aperte. Erica Magris, che ha preso appunti per ore e ore, racconterà la cronaca della giornata.

Cercheremo di pubblicare sul sito anche le relazioni (le Buone Pratiche già sono a disposizione nel forum).

Vogliamo inoltre di tenere alta l'attenzione: la presenza della senatrice Giovanna Capelli (Commissione Istruzione e Beni culturali del Senato), così come l'anno scorso quella dell'onorevole Alba Sasso (vicepresidente Commissione Cultura della Camera), ci confermano l'interese che suscita la nostra iniziativa e la possibilità un dialogo cone le istituzioni.
Naturalmente vi terremo informati.

Il forum è come sempre aperto ai vostri contributi e alle vostre curiosità.


 


 

Il fotoromanzo dell'Emergenza!
Le Buone Pratiche 04 a Milano

Fra dati scoraggianti, progetti inventivi e tensioni ideali il racconto della giornata del 1° dicembre
di Erica Magris

 

Una Buona Pratica nelle Buone Pratiche: definirei così la giornata di "BP04 Emergenza!", per diverse ragioni. Con ritmi serrati ma ben organizzati - il trillo della torta al cioccolato non è stato impietoso come quello del mitico peperone, anzi, è stato addirittura anticipato da alcuni relatori - figure molto diverse fra loro per competenze e percorsi hanno raccontato da punti di vista altrettanto diversi le possibilità di formarsi, di emergere e di affermarsi nel sistema teatrale italiano attuale. Anche nel quadro non incoraggiante dei dati, gli interventi non sono mai caduti nel lamento e nella polemica: pur manifestando giuste rivendicazioni ed evidenziando problemi oggettivi, sono stati animati dalla volontà di proporre soluzioni, dall'entusiasmo e dalla passione per riuscire a fare ciò in cui si crede.
Fra il pubblico, erano numerosi i giovani - attori, operatori, registi - appena usciti dalle scuole e dagli enti di formazione di cui si è voluto esaminare l'utilità, venuti da diverse parti d'Italia per informarsi e per scoprire nuove opportunità. L'attenzione della platea è rimasta desta e partecipe fino al termine…
...e adesso tocca a me raccontare a chi non c'era come si è svolta questa intensa giornata, cercando di rendere onore all'interesse che i diversi interventi hanno saputo suscitare.



Erica Magris non s’è persa un minuto: grazie da tutta la redazione di ateatro per questo superverbale. Le foto sono di Alice Asnaghi, allieva del corso operatori della Civica: manythanks anche a lei!

Una premessa prima di iniziare: per quanto possibile, in caso di incertezza, ho cercato di verificare, ma non posso garantire al 100% l'esattezza delle cifre citate. Se capiterà che dia i numeri, spero che i relatori reclamino una pronta rettifica!


Introduzione

Ha aperto i lavori Oliviero Ponte di Pino, con un'introduzione che ha chiarito le ragioni dell'iniziativa e ha posto le problematiche che questa edizione di BP si pone l'obiettivo di affrontare (cfr. documento). La riflessione parte dall'osservazione del cambiamento radicale che ha investito negli ultimi anni da un lato la formazione e il passaggio all'esercizio delle professioni teatrali, in particolare quelle organizzative, dall'altro i sistemi della selezione e della visibilità delle nuove leve artistiche. Una situazione in cui la moltiplicazione dei canali di (presunto) accesso al sistema teatrale sembra non significare necessariamente l'aumento effettivo delle opportunità. Da questa premessa, ci si è immediatamente immersi nei dati, grazie al quadro d'insieme disegnato da due "osservatori professionisti" dello spettacolo, Giulio Stumpo e Antonio Taormina.


Il quadro d'insieme: numeri, esigenze e limiti del sistema spettacolo

GIULIO STUMPO dell'Osservatorio dello Spettacolo ha sottolineato un'emergenza che coinvolge giustamente la base stessa di ogni qualsiasi politica per lo spettacolo: i numeri. Raccogliere e conseguentemente interpretare i dati è infatti estremamente difficile, visto che metodi e parametri non omogenei danno luogo a risultati divergenti. L'Osservatorio tenta di arginare questa tendenza alla confusione, partendo proprio dall'analisi delle modalità in cui i numeri sono stati ottenuti e dall'incrocio di diverse fonti, ponendosi inoltre degli obiettivi per stabilire come raccoglierli e come interrogarli. Stumpo passa poi a illustrare i risultati ottenuti, offrendoci un'anticipazione della relazione che verrà presentata a breve in Parlamento (una primizia, quindi!).

I parametri selezionati per valutare la salute e le tendenze del sistema teatrale italiano, sono cinque :

1. Spesa pubblica
2. Spesa privata (incassi)
3. Occupazione
4. Numero dei biglietti venduti
5. Numero degli spettacoli

Per quanto riguarda la spesa pubblica, nel 2006 il taglio del FUS è stato pari al 18%: si è inizialmente passati da uno stanziamento di 464 ad uno di 377 milioni di euro (va osservato che all'editoria, ed in particolare ai quotidiani, un settore che dovrebbe reggersi sul mercato, vengono invece attribuiti 420 milioni di euro). In seguito, col decreto Bersani, il fondo è stato integrato con 50 milioni, ma la perdita è stata comunque pari all'8%, che in qualunque impresa risulterebbe problematica e che lo è quindi anche per lo spettacolo. Ai 427 milioni del FUS bisogna inoltre aggiungere i 20 milioni di euro del fondo di co-finanziamento stato/regioni, di cui però manca ancora un report. Per il momento si può affermare che si tratta del vero elemento di novità introdotto nel sistema dei finanziamenti, ma in cui si è investito molto poco. Ma oltre al FUS, rientrano nell'ambito della spesa pubblica una miriade di altre iniziative che vi ruotano attorno, e che è estremamente difficile valutare. Per esempio i fondi della Commissione Esteri, l'ARCUS, quelli provenienti dal lotto, dall' 8 e dal 5 per mille, quelli elargiti da altri ministeri (Sviluppo Economico, Finanze), dalla Presidenza della Repubblica, senza contare le iniziative degli enti locali. La molteplicità delle unità amministrative da cui questi finanziamenti dipendono rende questi dati, pure fondamentali, difficili da riunire.



L’impeccabile logistica è stata assicurata da alcune allieve del corso operatori, disciplinate da Mimma Gallina: un ringraziamento di cuore per la loro cortesia ed efficienza, ha tutto funzionato alla perfezione.

Anche gli incassi da botteghino non sono facilmente determinabili, a causa della natura anomala della fonte principale di questi dati, la SIAE, un organismo "strano": è privato ma riscuote per conto dello Stato. La SIAE non ha la funzione di fornire statistiche, ma di retribuire gli autori. Il dato più rilevante e sicuro pertanto è quello riguardante l'incasso in biglietteria, mentre risultano più incerti il numero degli spettacoli e degli spettatori. L'anno scorso si sono rilevati poco meno di 950 milioni di euro di incassi. La spesa al botteghino è dunque aumentata del 2%, ma non bisogna lasciarsi ingannare da questo dato positivo, che dipende dai dati riguardanti i circhi, che in precedenza non erano inclusi e che sono cresciuti del 186,7%. Anche in questo caso, bisogna andare a leggere cosa c'è dietro il dato per comprendere la realtà: questo aumento è in realtà dovuto alla tournée italiana del Cirque du Soleil, che ha fatto impennare le entrate.
Un'osservazione ulteriore: bisogna considerare che siamo quindi di fronte a numeri molto piccoli, per cui basta uno spettacolo o un film di successo a modificare completamente i risultati. In conclusione, se si escludono dai calcoli gli incassi dei circi, la spesa per i biglietti è diminuita dello 0,4%.

Per determinare l'occupazione ci si è serviti inizialmente dei dati ENPALS, che pure non sono raccolti a fini statistici, ma per il calcolo dei contributi. L'ENPALS considera quindi le giornate lavorative e le retribuzioni. Grazie a un'indagine più raffinata si evince che nello spettacolo ci sono 140.000 lavoratori; in effetti il numero in realtà corrisponde alle unità di lavoro e non rispecchia quindi la realtà delle persone effettivamente attive. Le giornate medie lavorative sono 61 all'anno, quando significativamente il parametro minimo adottato dall'ENPALS per un anno di lavoro è di 120 giornate. La retribuzione media è di circa 7120 euro all'anno. Tenendo conto che la soglia di povertà relativa per l'ISTAT corrisponde a 11000 euro, si può concludere che il 45% dei lavoratori dello spettacolo è sotto alla soglia della povertà. Se si guarda ai dati d'insieme, le retribuzioni complessive ammontano a 950 milioni di euro, cifra lievemente maggiore agli incassi al botteghino. Da un grafico che classifica le professioni per giornate lavorative e retribuzioni medie, emerge un dato preoccupante: la parte artistica – rappresentata in particolare da concertisti e attori - è quella che ha una situazione più instabile e povera.

A partire dai dati così raccolti, l'Osservatorio ha elaborato un indicatore sintetico dello sviluppo dello spettacolo relativo al periodo 2001 al 2005, per il cui calcolo si è tenuto conto dell'inflazione. Nel quinquennio considerato, la crescita è stata del 4%, ma includendo anche il cinema. In realtà, senza il cinema si è verificata una diminuzione del 0,3%, perché nel cinema sono cresciuti i numeri degli spettacoli (+36%). Nello spettacolo dal vivo invece gli spettacoli sono diminuiti, se pur in maniera quasi irrilevante ( -0,21%), sono diminuite significativamente le giornate lavorative (-15%) e i finanziamenti (-19%), mentre sono aumentate la spesa privata (+8%) e il numero dei biglietti venduti (+19%).

Per concludere con una nota positiva, Stumpo ha comunicato che è stato finanziato un progetto di armonizzazione delle statistiche per gli osservatori regionali: finalmente si è presa di coscienza della necessità di capire come si raccolgono i numeri per poterli interpretare e trarne delle conclusioni, anche operative, corrette.



Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino, Giulio Stumpo e Antonio Taormina.

ANTONIO TAORMINA della Fondazione ATER ha approfondito i dati presentati da Stumpo, focalizzando l'attenzione sulle problematiche legate all'occupazione e alla formazione in ambito teatrale. Dal lavoro congiunto realizzato con Stumpo, i dati relativi al teatro di prosa presentano un aumento del personale artistico (+16%) e tecnico-amministrativo (+13%), mentre diminuiscono le giornate lavorative e le retribuzioni. Non si riscontrano quindi segnali positivi, al limite una continuità con le tendenze passate. Ma, al di là dei numeri, è fondamentale cercare di capire cosa richiede il mercato oggi e come la formazione risponde alle esigenze del mercato.

Il mercato esprime una forte esigenza di figure gestionali e organizzative altamente specializzate, le cui competenze vanno oltre il management, e possono essere piuttosto definite come cultural planning, che comprende quindi discipline come lo sviluppo urbano, l'antropologia culturale, ecc.. Le formazioni richieste dovrebbero essere quindi sempre più avanzate, e preparare professionisti in grado di agire e di reagire alle trasformazioni. Il livello che si chiede oggi è molto superiore a quello di vent’anni fa e paradossalmente, le imprese hanno difficoltà a trovare le persone di cui hanno bisogno, nonostante l'offerta di formazione sia sempre più ampia.

Il problema fondamentale è che la formazione offerta è troppo generica, ed in parte ciò è dovuto alla sovrapposizione della formazione universitaria e professionale. All'inizio degli anni Ottanta, soprattutto in ambito dell'organizzazione, il fondo sociale europeo, le iniziative di alcuni istituti e di alcune regioni hanno permesso lo sviluppo di un valido sistema di formazione professionale, che è però entrato in crisi con la riforma dell'università. All'università sono infatti attribuiti oggi quei compiti che erano invece delle regioni, causando la moltiplicazione dei corsi e degli istituti. Il mondo universitario però ha paura della specializzazione, come dimostra il fatto che proprio parole fondamentali come "organizzazione" e "spettacolo" sembrano essere un tabù nei titoli dei master. La riforma universitaria non ha inciso sul mercato in realtà, ma ha messo in luce la mancanza di strumenti per valutare le esigenze del mercato.
Un'altra carenza del nostro sistema formativo siamo è l'assenza di aggiornamento e di formazione continua: si è cercato di formare nuove figure senza cercare di cambiare quelle già attive. Inoltre, non esistono programmi che permettano di stabilire un dialogo fra gli operatori di enti privati e pubblici.



L’affollata e diligente platea delle Buone Pratiche.

Nel complesso si riscontra un disordine della moltiplicazione, in cui giovani che cercano di costruirsi dei percorsi si trovano di fronte a un'offerta ampia e indiscriminata. Non esistono metodi per valutare la qualità delle formazioni, ad esempio facendo riferimento alle qualità dell'impiego trovato in seguito ad esse, e forse ci sono anche cattivi maestri.

Taormina indica delle possibili soluzioni a questo paradosso innanzitutto nello sviluppo di strumenti per analizzare l'andamento del mercato, che siano attivi ad esempio negli osservatori regionali, e quindi di forme strutturate fra università, enti di formazione, istituti di ricerca ma anche organizzazioni sindacali. Una buona iniziativa in questo senso è l'istituzione di poli formativi da parte di alcune regioni, nei quali si realizzano tutti i processi riguardanti la formazione e l'inserzione professionale, dall'analisi di mercato all'introduzione delle figure formate nel mondo del lavoro. Inoltre, il miglioramento della situazione attuale può basarsi sulla definizione di rapporti sinergici fra Governo e Regioni per creare politiche comuni che coinvolgano la cultura, la formazione, il lavoro, e infine sull'incentivazione delle imprese che vogliono investire in formazione.

Per quanto riguarda il finanziamento della formazione, negli anni Novanta si è creata una situazione anomala dovuta all'intervento del fondo sociale europeo e all'istituzione dei master (nel 1996 per esempio erano attivati 150 corsi di formazione finanziati tutti dal fondo sociale europeo). Mancano completamente i fondi strutturali del ministero dello spettacolo o del ministero dell'università.

Vi è infine la questione fondamentale delle qualifiche professionali, che sono attribuite dalle Regioni sulla base di standard stabiliti dalle Regioni stesse. Mentre il sistema spettacolo è nazionale, le qualifiche sono diverse da regione a regione, e si sovrappongono in alcuni casi a quelle rilasciate dalle università. È un grave problema di cui si è recentemente presa coscienza, anche sulla spinta delle indicative europee. Si è da poco costituito per iniziativa del Ministero del Lavoro un tavolo di discussione con Università, Regioni e Province per confrontare i dati e uniformare le qualifiche. Ma il sistema unificato (nazionale ed europeo) per lo spettacolo è ancora lontano, e i tempi per la sua messa a punto saranno ancora lunghi.

Nelle relazioni di Stumpo e Taormina le parole chiave sono quindi dispersione, mancanza di coordinamento, moltiplicazione e genericità, frammentazione. La mancanza di organizzazione, che penalizza ulteriormente l'innegabile carenza di risorse, rende quindi l'accesso e la visibilità nel mondo dello spettacolo, e nel teatro in particolare, estremamente instabile e difficoltoso sia per gli organizzatori che, soprattutto, per gli artisti. Nuove tendenze sembrano però andare nella direzione di una se pur lenta soluzione di tali disfunzioni strutturali.


Una reazione e una proposta dalle istituzioni

Fuori programma, interviene a questo proposito la SENATRICE GIOVANNA CAPELLI.



La senatrice Giovanna Capelli.

Pur ammettendo che la Commissione Istruzione e Beni Culturali, di cui fa parte, si è per il momento occupata principalmente della pubblica istruzione, afferma che essa può giocare un ruolo centrale in questa fase, in cui sono forti le esigenze di un cambiamento radicale e in cui è stata presentata una nuova proposta di legge per lo spettacolo. Purtroppo il mondo dello spettacolo dialoga principalmente con il Governo, mentre il Parlamento potrebbe e dovrebbe svolgere una funzione determinante per discutere e decidere delle politiche condivise. Come osserva una spettatrice, ciò potrebbe essere dovuto alla mancanza di una legge per il teatro, che ha reso inevitabilmente l'esecutivo il referente principale di un settore regolato da circolari ministeriali. D'altra parte Mimma Gallina evidenzia due problemi : il primo, che nel settore teatrale esiste un fondamentale problema di rappresentanza ; il secondo, che il Parlamento dovrebbe vigilare affinché l'attribuzione dei finanziamenti diventi trasparente, e si emancipi da una gestione clientelare.
L'invito avanzato dalla senatrice Cappelli di costruire una piattaforma di dialogo che agisca tramite l'organizzazione di convegni, di approfondimenti pubblici è comunque significativa e incoraggiante.


Le fondazioni bancarie: una nuova opportunità

Nell'intervento seguente si abbandona temporaneamente l'ambito delle istituzioni pubbliche per esplorare invece una Buona Pratica realizzata da soggetti privati, il cui orientamento è proprio la trasparenza: le fondazioni bancarie.

ANDREA REBAGLIO della Fondazione Cariplo offre una panoramica sulle attività svolte dalle fondazioni bancarie, un sistema recente, la cui costituzione risale al 1990 e la cui reale attività è iniziata alla fine degli anni Novanta.
Le fondazioni bancarie sono soggetti privati ma con finalità di pubblica utilità, deputate ad erogare fondi al territorio. Esistono attualmente in Italia 88 fondazioni, riunite nell'Acri (www.acri.it), un organo volto a stabilire un certo coordinamento nonostante gli inevitabili squilibri dovuti alla loro natura territoriale. I finanziamenti possono essere ottenuti non da individui ma da soggetti formalmente costituiti, siano essi enti no profit, enti pubblici o religiosi.
Spetta alle singole fondazioni determinare i propri ambiti di intervento. Tutte prevedono quello artistico-culturale, per il quale mediamente stanziano il 30% delle risorse. Anche le finalità di statuto e i documenti strategici sono stabiliti singolarmente, ma un dato che le accomuna è la messa a punto di strumenti che permettono di monitorare e valutare i risultati del loro operato. Le possibili modalità di intervento sono molto varie:

- tramite erogazioni territoriali, di solito annuali, e istituzionali, pluriennali;
- attraverso la pratica del bando, molto diffusa e ugualmente diversificata (dal bando generalista a quello estremamente specifico);
- tramite progetto, vale a dire attività in ambiti prioritari con maggiore coordinazione e intervento;
- tramite società strumentali create dalle fondazioni(fondazioni o s.p.a. per perseguire finalità specifiche).

Rebaglio entra poi nel concreto, offrendo una rassegna delle più importanti fondazioni per attività erogativi. Nel complesso, i primi dieci istituti concedono il 70% dei finanziamenti sul territorio nazionale, pari a 850 milioni di euro, di cui un terzo è destinato all'ambito artistico-culturale. Con una certa approssimazione si può affermare che al teatro siano destinati complessivamente a 100 milioni, ma senza tenere conto delle legate invece alla formazione che rientrano in altri ambiti di intervento.

- La Fondazione Monte dei Paschi (www.fondazionemps.it) interviene sul territorio nazionale, attraverso un solo bando, con due tipologie di progetto (fino a 500000 euro con almeno il 20% co-finanziato dal richiedente, per più di 500000 con almeno il 30% co-finanziato dal richiedente).
- In Piemonte sono attive la Compagnia di San Paolo (www.compagnia.torino.it) e quella della Cassa di Risparmio di Torino (www.fondazionecrt.it) , la cui azione è considerevole. San Paolo (che interviene su quattro regioni: Piemonte, Val d'Aosta, Liguria, Campania) eroga a favore di particolari enti, ma emana anche bandi specifici per rassegne e stagioni teatrali. La fondazione della CRT è più strutturata, e realizzata progetti gestiti direttamente dalla fondazione (per esempio la rassegna "Not&Sipari" per il teatro giovanile). Dei 30 milioni erogati, la metà è per lo spettacolo dal vivo.
- Meno impegnate sul fronte dello spettacolo sono le fondazioni del Nord-Est : la fondazione Cariverona (www.fondazionecariverona.org) è più volta al restauro, e quindi le attività di spettacolo finanziate sono spesso legate a luoghi restaurati, mentre nelle attività della fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo (www.fondazionecariparo.it) è piuttosto presente la musica, mentre del tutto assente è il teatro. Un'eccezione in questo senso è la Fondazione Cassamarca (www.fondazionecassamarca.it), che eroga in totale 4 milioni l'anno, ha costituito una società Teatri Spa per la gestione dell'ambito teatrale. Attualmente la società gestisce 5 strutture teatrali finanziate con 3 milioni di euro. Cassamarca è quindi diventata una fondazione operativa.
- La fondazione Cassa di Risparmio di Bologna (www.fondazionecarisbo.it) presenta un'attività teatrale legata al sostegno sul territorio su enti specifici, come Teatri di Vita e Teatro Aperto.
- La fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia (www.fondazionecarige.it) sancisce bando generalista in cui il teatro è previsto tra le linee prioritarie.
- La fondazione Cariplo (www.fondazionecariplo.it) ha un'attività molto ricca, di cui il progetto Être è un esempio (cfr. documento).



Al tavolo, Oliviero Ponte di Pino e Andrea Rebaglio.

Secondo Rebaglio, è necessario che gli operatori teatrali si informino e intervengano in questo ambito, che sta vivendo un momento di trasformazione e sviluppo. Bisogna interagire e insistere con le fondazione, perché sono alla ricerca di idee per diversificare e rendere più efficaci le proprie attività.


Geografie a confronto: Milano e Napoli

Dalla panoramica nazionale sulle attività delle fondazioni e sulle opportunità che esse possono offrire, l'attenzione si è poi spostata sull'esame di alcune realtà territoriali specifiche che stanno vivendo situazioni apparentemente molto lontane: Milano, che da tempo vive una profonda crisi culturale, e Napoli, che invece pare entrata in una fase particolarmente felice.

ANTONIO CALBI si misura con la realtà milanese. Per Calbi, Milano non riesce a intraprendere la strada della sua ridefinizione culturale, a causa di un problema fondamentale di risorse e di regole condivise, che coinvolge più in generale la gestione della città.
Nel secondo dopoguerra, con la fondazione del Piccolo – che, va ricordato, fu fondato da due ventenni con l'appoggio di un sindaco illuminato - il sistema teatrale milanese costituiva un'eccellenza del sistema teatrale italiano. Nei sessant’anni successivi, si sono verificati picchi positivi e cadute negative, che hanno condotto ad un perdita di importanza e di influenza. Il modello romano, che costituisce una serra creativa ineguagliabile rispetto a Milano, secondo Calbi rischia di disperdere le proprie risorse perché, anche se ben organizzato dal punto di vista mediatico, manca di un vero e proprio sistema. In questo senso Milano offriva qualcosa di diverso, forse meno stimolante ma meglio organizzato. Dalla nascita del Piccolo, e in alcuni casi proprio in opposizione a questa istituzione così forte, sono nate infatti altre realtà, fra cui ad esempio Teatridithalia e il Teatro Franco Parenti, creando un tessuto ricco e ben programmato. Negli anni Ottanta e Novanta questo sistema ha subito però un fenomeno di degradazione inevitabile, perché il teatro è inscindibile dalla collettività di cui è lo specchio: la città ha perduto la propria identità culturale, e il teatro non ha più saputo raccontare la nuova realtà in cui si è trovato ad operare. Attualmente il sistema è ancora ricco, perché vi resistono realtà storiche che continuano ad avere fiducia nel futuro, alle quali si aggiungono realtà giovani ed "emergenti", ma è necessario capire come riorganizzarlo.
Una strada potrebbe essere quella della razionalizzazione, anche rispetto al sistema della convenzione che pure fa parte del bagaglio della città e del suo senso civico. Anche se il modello della convenzione permette agli operatori di avere continuità e fiducia, contiene delle aberrazioni e si basa su criteri inefficaci, ad esempio le performance dei teatri sono valutate a volte in modo uniforme, senza una reale assunzione di responsabilità da parte degli organi preposti alla valutazione.
È inoltre importante approfondire il dialogo fra i diversi enti locali, ma anche con le fondazioni, per costituire una vera e propria rete. Infine la questione delle regole e della trasparenza, per cui l'amministrazione si sta dotando di nuovi criteri per gestire finanziamenti anche di piccola entità. Nel complesso, bisogna mirare a costituire un albero orizzontale di relazione con il mondo del teatro, che tenga conto dei suoi diversi rami, delle loro diverse caratteristiche ed esigenze (fondazioni, teatri storici di produzione, piccoli teatri con flessibilità di regolamenti, gruppi indipendenti, teatro amatoriale), in maniera tale che l'operatore non si senta isolato ma parte di un arcipelago articolato. Indubbiamente sono necessarie maggiori risorse, sia da parte delle istituzioni pubbliche, sia dai privati. Milano si deve rilanciare, deve recuperare la crisi che si è meritata con uno scatto di orgoglio, nonostante il rischio sia grande perché non c'è al momento una regia riguardante la vita cittadina.

ANGELO CURTI di Teatri Uniti riscontra la distanza, quasi la complementarietà che separa Milano e Napoli - una ha avuto il primo stabile italiano, l'altra l'ultimo ad esempio – e che le renderebbe, se fosse possibile unirle, una grande città. A proposito del tema dell'"emerso" e dell'"emergenza", Curti richiama l'immagine dell'iceberg, in cui una parte sommersa è invisibile, ma alimenta il movimento e dà sostegno alla parte visibile. Milano forse è un iceberg al contrario, in cui la parte strutturale e visibile manca però di un nutrimento che ne renda possibile il funzionamento, mentre a a Napoli si verifica il contrario.



Angelo Curti.

A proposito dei numeri citati riguardanti i finanziamenti – pubblici e privati – Curti ricorda una frase di Lucio Amelio, una grande figura per i "ragazzi degli anni Settanta" che all'epoca iniziarono a occuparsi di cultura a Napoli, che riuscì a creare un vivace tessuto artistico operando esclusivamente in ambito assolutamente privato: "Il mondo è pieno di soldi, basta saperli trovare". Attualmente però la tendenza all'intervento economico nel settore della cultura è di spostare il centro delle risorse dall'ordinario allo straordinario, il contrario di ciò che avveniva un tempo e che permetteva di normalizzare, di integrare le realtà emergenti. Ad esempio, per Falso Movimento agli inizi il borderò richiesto dal ministero rappresentava una garanzia di stabilità.
Teatri Uniti riceve oggi 365.000 euro dal ministero, che ovviamente non sono sufficienti. Bisogna inventarsi risorse diverse, per una cifra almeno equivalente, trovando vie alternative, che esistono. Anche se Curti lascia aperto il dubbio sul fatto che sia un bene o meno, bisogna accettare questo stato di fatto, diventando flessibili e precari, presentandosi però in maniera più forte nell'industria culturale, stabilendo relazioni con altri contesti, e cercando di esprimere sempre quel valore aggiunto che il pubblico cerca. La tendenza alla precarizzazione è un atteggiamento che coinvolge i soggetti e gli operatori. Secondo Curti, bisogna rivendicare con forza l'aumento del dato assoluto di investimento sulla cultura, e, se pure con risorse minime intervenire con grande forza e visibilità. La visibilità e la selezione sono due cose che non vanno distinte, perché si è selezionati quando si è visibili.

EMANUELE PATTI dell'Arci, illustra le risposte che l'associazione, in particolare nella provincia di Milano, può fornire alle "emergenze" teatrali attuali. L'Arci, che ha cinquant’anni ed è fra le più grandi associazioni culturali e ricreative d'Europa, ha svolto un ruolo importante nella storia del teatro italiano, perché all'interno del suo circuito sono iniziate carriere importanti, come quella di Dario Fo. Attualmente, in particolare a Milano, diverse nuove realtà hanno trovato nell'Arci il loro bacino ideale. La città conta 170 circoli, di cui solo una ventina fanno promozione culturale quotidiana, e può vantare 73.000 soci, a riprova di quel senso civico di cui parlava anche Antonio Calbi. A livello nazionale, gli spazi dell'Arci dedicati alla cultura, in particolare alla musica, sono circa 2000.
Gli spazi Arci vogliono essere presidi di realtà in decadenza, che rischiano la marginalità, in cui è difficile creare aggregazione. L'organizzazione è no profit, ma nonostante tutto riesce a creare dei posti di lavoro, e si basa su un funzionamento orizzontale, non verticale. La forma associativa è prescelta da un buon numero di artisti e operatori, per realizzare il loro sogno nel cassetto.
Il teatro entra in questi luoghi in vari modi : non esiste un vero proprio un settore dedicato alle arti sceniche, ma le iniziative nascono piuttosto da esigenze che vengono dal basso. Una prima ragione per cui gli artisti si rivolgono all'Arci è per avere spazi di rappresentazione e di prova. Un altro momento di contatto sono le rassegne, fra cui alcune hanno continuità e visibilità. Infine, molte compagnie hanno attraversato l'Arci, ed hanno elaborato progetti che poi sono diventati autonomi. Il comitato provinciale ha anche inventato la "Festa del teatro" il 29 ottobre, la cui organizzazione è stata poi ripresa dal comune ed ha assunto dimensioni più vaste. Si richiedeva ai teatri di abbattere il costo del biglietto e in qualche circolo venivano promossi spettacoli di emergenti.
Un'ultima iniziativa, il progetto "Via libera" realizzato con l'appoggio della Fondazione Cariplo per aiutare la circuitazione di eventi nati all'interno dei circoli. Al momento ci sono quattro produzioni teatrali che stanno girando.
Per concludere, secondo Patti, l'attività per il teatro del comitato della provincia di Milano è scarsa, insufficiente, per due motivi principali: da un lato i costi alti del teatro rispetto alla povertà delle risorse Arci, dall'altro la difficoltà dell'associazione a dialogare con singoli soggetti, una rete sarebbe certamente più consona all'organizzazione.
L'emergenza a cui l'Arci riesce a dare una risposta è la mancanza di spazi, a causa della vocazione stessa dell'associazione, che è riempita con istanze che vengono dal basso e che riempiono di contenuti i circoli.

PATRIZIA BORTOLINI, responsabile del settore cultura della Federazione PRC/Sinistra Europea di Milano, interviene fuori programma sulla situazione milanese. Bortolini mette in luce il problema dell'identità, e in particolare dell'intolleranza e della memoria, e sottolinea il fatto che il sistema culturale milanese si è ormai appiattito sul modello e sui contenuti del sistema televisivo privato. In questa crisi bisogna ricostruire il rapporto società-politica e indurre le persone a contribuire al governo.
Nello strettissimo rapporto fra società e teatro che è emerge da questi interventi, il sistema teatrale sta subendo un processo di precarizzazione globale, che investe le figure professionali, gli enti ma anche lo statuto stesso delle arti sceniche nel tessuto sociale, e che sembra incrinare il legame necessario fra visibilità e selezione. In questo contesto, agli operatori, artisti e organizzatori è richiesta una sempre maggiore inventiva e determinazione, ed una capacità di cogliere e provocare le occasioni attraverso canali non istituzionali. Si impone quindi il tema della formazione, vale a dire degli strumenti che il sistema esploso delle formazioni può offrire ai giovani per affrontare questa situazione.


La formazione: innovazione e confronto internazionale

La Scuola d'Arte Drammatica Paolo Grassi offre una formazione diversificata che prepara differenti figure professionali – attori, registi, organizzatori e tecnici – ed è una delle istituzioni storiche del sistema formativo teatrale italiano. MAURIZIO SCHMIDT sottolinea i problemi, gli interrogativi e le trasformazioni che ritiene necessario affrontare in qualità di neodirettore della Scuola. L'esperienza di formazione della Paolo Grassi è stata indirizzata fin dalla sua fondazione verso l'innovazione teatrale, con una tendenza che si è affermata attraverso diverse palingenesi. Il suo problema è che un organismo grande e complesso, che per evitare di perdere le tracce delle sue motivazioni deve periodicamente interrogarsi e mettersi in discussione. Non si tratta solo capire quali sono le esigenze del mercato, ma di prevedere e immaginare ciò che il mercato richiederà, come cambierà, per formare persone che una volta uscite dalla scuola saranno in grado di cambiare il sistema.
Schmidt auspica un superamento del generalismo, inteso come impoverimento della specializzazione finalizzato a stabilire l'essenza di ciò che va comunicato per avviare alla professione. È necessario al contrario uscire dall'ottica dell'avviamento professionale ed entrare invece in quella della formazione permanente, che d'altra parte è una cifra caratteristica della prospettiva di vita e di lavoro dell'artista.
Negli studenti di oggi riscontra un ritardo culturale dovuto alla scuola secondaria, ma anche un ritardo di tipo "esperienzale". È ormai evidente una parificazione inevitabile dell'estrazione sociale degli allievi. Poiché la scuola stessa e la vita a Milano costano molto, la maggior parte dei ragazzi proviene dalla classe media e questo ha delle conseguenze negative sulla carica innovativa e immaginativa. Con queste premesse, la formazione rischia di diventare un momento di chiusura, che assorbe completamente, impedendo di esplorare il mondo proprio nel momento in cui sarebbe più necessario.
L'aspirazione di Schmidt, che a suo avviso è anche una necessità impellente, è creare un luogo con molteplici bacini di utenza, che offra una formazione multiforme e permanente, dall'orientamento al perfezionamento, dove tutte la fasi di pedagogia abbiano casa. Altrimenti, se tutto viene concentrato e rinchiuso in tre anni, tutto diventa privo di esperienza, di legame con la vita, completamente autoreferenziale. Un primo passo già operativo in questa direzione è un lavoro di apertura verso il teatro, verso gli ex-allievi e verso i professionisti.
Per quanto riguarda il rapporto formazione - accesso alla professione, anche se molte cose sono già state fatte, bisogna allungare ulteriormente il trattino fra i due termini. Non si può trascurare l'ex-allievo a 4 o 5 anni dal diploma, quando ha conosciuto le aberrazioni del sistema e proprio allora ha bisogno di trovare la sua strada per riuscire a creare nuovi linguaggi.
Formazione significa acquisire un alfabeto di base che si possa ricomporre in nuovi linguaggi. Il generalismo diffuso delle scuole è nemico di questa visione della formazione, perché i singoli elementi diventano sempre più difficili da ricomporre, e per questo è così raro arrivare all'innovazione.

BRUNO FORNASARI, attore formatosi all'Accademia dei Filodrammatici, presenta Ecole des Ecoles,
un'iniziativa che vede collegate diverse istituzioni europee che si occupano di formazione dell'attore (cfr. documento). Il progetto parte dalla necessità, ugualmente espressa da Schmidt, di un polo culturale di formazione europea, che sia una piattaforma di confronto e un punto di riferimento, in cui ci si ponga il problema della formazione dei formatori, alla ricerca di metodi e non di formule.


Accesso e visibilità: l'apertura del teatro e il superamento dei generi

Le due Buone Pratiche presentate in questa sezione riguardano un modo diverso di guardare al teatro, che tende a superare le distinzioni fra i generi e a proporre una prospettiva unitaria allargata alle arti sceniche.

ANGELA FUMAROLA ha raccontato la storia e le scelte di Armunia, associazione nata nel 1996 per iniziative di diverse amministrazioni lovali con il compito di gestire le attività legate allo spettacolo. Dopo qualche anno in cerca di identità, Armunia ha spostato l'attenzione dal piano dello spettacolo al piano della residenzialità - sfruttando pienamente la potenzialità della sua sede (Castello Pasquini a Castiglioncello) - e a quello del coinvolgimento attivo del territorio.
Ad esempio, il progetto "Teatro fuori di sé", ideato in collaborazione con l'Università di Pisa e Ichnos (Laboratorio filosofico sulla complessità), presenta un diverso approccio al teatro, di cui si parla attraverso la vita. L'iniziativa prevede l'organizzazione settimanale dei "Dialoghi" su parole chiave proposte dai coordinatori, durante i quali ci si riunisce e si discute di diversi argomenti. Non si mira necessariamente a portare la gente a teatro, ma a creare una comunità che riflette e che si confronta.
Inequilibrio costituisce l'incontro dei diversi aspetti della missione di Armunia (spettacolo, residenzialità, rapporto con il territorio), che non si limita solo al festival estivo, ma dura tutta l'anno, in una ricerca continua di nuove forme e di nuove forme di confronto. Inequilibrio esploso, Il progetto è nato per rispondere alle esigenze del patto Stato/Regione, rappresenta in particolare una sintesi degli obiettivi di Armunia. Durante due fine settimana al mese le compagnie in residenza presentano i risultati del loro lavoro, con anteprime, incontri e prove aperte.
Completano l'attività dell'associazione: la dimensione internazionale, con la promozione di incontri fra gli operatori rispetto ai modelli organizzativi e ai progetti artistici; l'intervento in ambito giovanile, con il "Teatro dei ragazzi", che, incrociandosi con gli altri percorsi, offre delle occasioni di collaborazione fra artisti, insegnanti e operatori; l'attenzione alla poesia, con la recente creazione de "Ai margini del bosco", un progetto di contatto diretto fra poeti e pubblico, in cui gli autori scelgono i luoghi in cui evocare il loro lavoro.
L'identità di Armunia si basa quindi sull'esigenza continua di ridefinirsi che la conduce, per usare un gioco di parole, a smarginare dal teatro per rimanere in equilibrio.



Il banchetto-libreria: Hystrio tra gli Ubu e le Principesse.

LINDA DI PIETRO di ADAC Toscana sottolinea con energia che la danza, visto che è meno istituzionalizzata, può offrire lo spunto per ripartire, per inventare nuove formule e nuove forme. Come ha messo in luce il Tavolo Nazionale dei Coordinamenti e delle Reti Regionali della Danza Contemporanea, è evidente la necessità di un'unica legge per lo spettacolo che permetta di superare le barriere di genere, di parlare invece di creazione contemporanea, di nuovi autori contemporanei, e di evitare che le compagnie siano obbligate ad autocertificare la propria attività come danza. Occorre una liberalizzazione del teatro dal vivo che dia gas al motore della libera circolazione delle opere.
Il Tavolo Nazionale ha prodotto una petizione provocatoria contro l'art. 3 comma 3 della bozza di Decreto Ministeriale riguardante il nuovo regolamento per la Prosa, che elimina l'obbligo di qualsiasi percentuale di danza, di giovani emergenti, e di internazionali dalla programmazione dei teatri stabili, pur invocando la interdisciplinarietà. I lavori del Tavolo Nazionale hanno provocato una grande attenzione da parte del Ministero, ma anche fra gli operatori di diversi settori, Concretamente, per facilitare questo processo necessario di apertura dei generi bisognerebbe iniziare a non parlare più di danza, di teatro, ma di arti della scena.
Il Patto Stato/Regioni andava in questa direzione, perché non presentava distinzioni di genere, ma parlava di "spettacolo dal vivo". Purtroppo poi ogni amministrazione ha preso una strada propria.
Il Patto ha rafforzato alcune strutture già esistenti, ma ha anche una proposta interessante di creazione di strutture leggere, entità agili preposte al sostegno dello start up delle compagnie emergenti, per evitare che l'unico metro di identificazione e di ufficialità sia data dal costituirsi come oggetto, contenitore, che domanda dei finanziamenti. In questo senso, è bene guardare a singole importanti esperienze internazionali e all'Europa, cercando di riprendere ad esempio il modello produttivo di Cultura 2000.
Fra i risultati del Patto, ci sono iniziative come il Festival di Dro che finanzia 5 compagnie emergenti per 3 anni, il bando Dimora Fragile del Festival Esterni, che offre servizi e opportunità (materiale tecnico, ospitalità nei festival, ecc.) a 10 giovani compagnie.
Per Di Pietro, tutto questo (nuove forme e nuovi modelli) viene dalla danza perché la danza è marginale, e la marginalità permette una maggiore libertà. La danza può essere quindi una dinamo che lancia buone pratiche coinvolgendo l'insieme delle arti della scena (sul tema vedi anche il documento di Roberto Castello).


Formazione e vocazione: due esperienze

Dopo l'osservazione dei dati, di alcune situazioni geografiche e di alcune realtà "istituzionali", la giornata prosegue con l'ascolto di due esperienze personali, in cui i temi della formazione, dell'accesso al lavoro, della visibilità sono indissolubilmente legati alla passione e all'esigenza di fare del teatro non solo una professione, ma una scelta di vita.

La prima è un'esperienza di attore, avviata da una formazione anomala e soprattutto dall'incontro con una compagnia : ROBERTO MAGNANI racconta infatti il suo percorso al Teatro delle Albe. Mi sembrerebbe proprio un peccato cercare di parafrasare e sintetizzare il suo discorso, preferisco riportarvene le parole che sono riuscita a catturare, spero che Magnani mi perdoni se non sono proprio esatte.

"Faccio parte della Albe da dieci anni, ma con questa mia storia parto da ancora prima, quando quattordicenne sono andato all'istituto tecnico a Ravenna con l'idea di fare da grande il biologo marino. Il giorno dell'iscrizione ho visto appese nell'atrio le fotografie del laboratorio teatrale dell'anno precedente – la Non-scuola delle Albe, appunto - e ho subito chiesto di potermi iscrivere. Lì ho incontrato la prima volta i veri "squali", Maurizio Lupinelli e Marco Martinelli, e me ne sono innamorato. Ho partecipato e ho riconosciuto uno stesso linguaggio nell'intendere il teatro. La Non-scuola sono laboratori per le scuole, e si chiama così perché in realtà non andiamo a insegnare teatro, ma andiamo a giocare con gli adolescenti che sono ancora nessuno, ma potrebbero essere tutto, e in questo gioco, si distruggono i classici attraverso l'improvvisazione. Finito il laboratorio, vado da Marco e dico: "Voglio fare l'attore". Lui mi dice di aspettare, che c'è tempo. Allora io ho fatto il laboratorio per quattro anni, e poi finalmente mi hanno chiesto ciò che io aspettavo fin dall'inizio: partecipare al laboratorio che organizzavano per scegliere 12 attori per uno spettacolo, I Polacchi da Ubu Roi di Jarry, per la cui messa in scena Marco ha riprodotto l'idea originaria di Jarry, il quale aveva creato il personaggio di Ubu con i suoi amici. E sono preso. Poi ci sono state le prove, un'immersione totale nel mondo del Teatro delle Albe. Nel frattempo però avevo sviluppato un disamore totale per la scuola, pari alla passione per il teatro. E forse decido inconsciamente di lasciare la scuola, perché do fuoco al crocifisso a lezione e vengo cacciato. Allora ritorno a teatro e dico "io sono qui". I Polacchi avevano debuttato e la mia vita si rispecchiava completamente all'interno del Teatro delle Albe. Solo chi come me si è rispecchiato completamente, con un incontro reciproco ha iniziato a dedicarsi anche alle altre attività della compagnia. Entriamo a far parte della bottega del Teatro delle Albe, ci siamo mischiati e confrontati con tutti, e a poco a poco abbiamo appreso: si impara facendo, imparando l'economia, la parte tecnica, tutto. Il Teatro delle Albe non si esaurisce nella produzione degli spettacoli, ma è una creazione continua di mondo.
Poi mi capita di tornare all'ITI per fare da guida al laboratorio della Non-scuola: è come l'attraversamento dello specchio. L'anno dopo lo ripeto, e poi tengo sempre più laboratori. L'immersione è sempre più radicale, sempre più piena, perché veniamo fatti soci della cooperativa Ravenna Teatro, che fa parte dei mondi che le Albe creano. Ho avuto una grande fortuna, perché la Non-scuola è un'eccezionalità, un unicum, e sappiamo di essere invidiati. Il fatto di avere una comunità alle spalle implica una grande richiesta, una richiesta di vita, un confronto feroce e quotidiano, perché per fare teatro come lo facciamo noi si richiede la vita, non una professionalità. Bisogna far corrispondere la vita al teatro al 100%. Come soci ci assumiamo sempre più responsabilità e ci rendiamo conto che a Ravenna Teatro il fatto economico non è disunito dall'atto artistico, ma anche questo è creazione di mondo, è una costruzione artistica, tutto è sullo stesso piano. E la concretizzazione dell'idea comunità anarchica è anche qui, perché noi nuovi siamo entrati con lo stesso stipendio proletario di tutti gli altri. Sono cresciuto veramente tanto, ho avuto la possibilità di fare esperienze artistiche importanti. L'ultimo attraversamento dello specchio è arrivato con il rinnovamento dei Palotini: io ero l'unico sopravvissuto, come una sorta di allenatore in campo. Quest'anno ho smesso, ma sono passato dall'altra parte, perché mi sono tramutato in maschera e ho preso le fattezze del Capitano Bordure. È come Pinocchio al contrario, e credo che sia il sogno di ogni attore, diventare una marionetta…".



Oliviero Ponte di Pino tra la Non-Scuola (Roberto Magnani) e il Dams (Claudio Meldolesi).

CLAUDIO MELDOLESI, docente del DAMS di Bologna, invitato a parlare della situazione della formazione nelle università, regala alle BP una riflessione ben più profonda, sul teatro, sulla sua forza e sul suo mistero. Anche in questo caso tento di riprendere le sue parole, chiedendo scusa per eventuali e probabili inesattezze.

"Io sono diplomato attore all'Accademia Silvio D'Amico. Non ero molto bravo, ma avrei potuto ugualmente fare l'attore, il regista, ma poi ho scelto un'altra strada. La cosa per me era ed è importante è che il teatro è un'entità sfasata rispetto alla vita. A teatro non si riflette il mondo, ma si crea mondo, anzi addirittura ha ragione Leo De Berardinis quando dice che la vita imita il teatro. Perché il teatro è una sintesi di esperienza umana che come un fiume ha attraversato le epoche, le etnie, le storie collettive, e ha costituto una seconda natura dell'uomo, una realtà orientata ogni volta a qualcosa. Io penso davvero che il teatro sia il dono degli dei, che l'esperienza del teatro sia una rinascita. Penso a Lessing che diceva che l'attore non ha altra via per conoscersi che imitare l'attore della compagnia che gli somiglia di più, finche l'imitazione non diventi originalità.
Sono tutti i misteri, ma il teatro è mistero. Non c'è identità da trasmettere, ma stimoli, che ognuno raccoglie, interpreta e sviluppa in maniera diversa. Per questo i Palotini funzionavano e per questo le scuole falliscono, perché non hanno senso se uniformano e danno un espressivismo medio. L'entità del teatro non è mai del tutto identificata. Non sapremo mai come recitava la Duse, non era mai del tutto identificata, e pure è stata la fondatrice del nostro tempo teatrale. Perché l'Accademia di Roma e la Civica di Milano sono state così importanti? Perché hanno costituito entità non formalizzate. A Milano erano ingaggiati per certi periodi dei maestri straordinari, come Kantor, e all'accademia c'era a insegnare regia una non regista, la Pavlova, che portava però un patrimonio suggestioni culturali e di desideri di regia.
Il teatro è educazione alla informalità, alla indefinibilità. Un'arte di questo tipo dovrebbe essere più sostenuta dai governi di quanto non sia, perché educa alla complessità. L'informalità è questo elemento non paradossale, perché corrisponde alla dimensione della vita, e chi fa l'attore deve abituarsi alla variabilità delle assegnazioni di valore.
Nel DAMS mi sono trovato bene perché c'erano figure molto distanti tra loro, Scabia e Squarziana, che facevano venire agli allievi la voglia di scoprire un mondo più vasto.
Il Premio DAMS è stato organizzato proprio per i giovani che ricercano lo sviluppo della creatività selvaggia attraverso l'incontro con i maestri. E questo vale anche per gli organizzatori. Bisogna guardare all'origine familistica del lavoro teatrale, alla sistemazione famigliare dei ruoli e alle variabili professionali che si costruivano intorno alla variabile centrale dell'attore. Si trattavadi famiglie anticonformiste, al punto che una compagnia poteva essere affidata a una ragazzina…Questa capacità del nuovo è ciò che ci manca oggi. L'organizzatore, il promotore è un intellettuale, è colui che percepisce quale è il nucleo da affermare in una compagnia e quale è la proposta strategica da formulare. Nel 1963 fondammo il gruppo Teatro Scelta con Gian Maria Volonté e Carlo Cecchi ed è stata una delle cose più belle della mia vita: era l'abbraccio del sociale al teatro, era la scoperta del teatro in posti in cui non era mai arrivato. Tutto è possibile a teatro, questa è la questione. Non dobbiamo sottomere l'idea dell'organizzazione alla pratica del possibile, il possibile deve essere un valore fondamentale ma come infinitudine. In questo senso l'organizzatore è come l'artista. E poi i nemici del teatro sono gli esattori fiscali…"

Al termine degli interventi, Mimma Gallina parte da un'osservazione che Meldolesi avanza nel suo saggio Fondamenti del teatro italiano a proposito della carriera degli attori. Secondo Meldolesi, all'epoca dei grandi attori, si salta sempre una generazione nell'affermazione degli attori: in un sistema più avanzato come quello attuale questo fenomeno continua a verificarsi, come se fosse fisiologico, e riguarda anche gli altri campi professionali di ambito teatrale. Secondo Gallina è una responsabilità condivisa a cui non bisogna sottrarsi, occupando dei posti senza confrontarsi con le giovani generazioni: l'accesso e la visibilità sono il vero nodo da sciogliere perché si possa superare il problema dell'emergenza.


Il circolo vizioso dell'identificazione fra visibilità e selezione

Nel suo intervento ADRIANO GALLINA parte da un'immagine efficace per descrivere l'emergenza: la spiaggia di Riccione ad agosto, una sorta di girone dantesco in cui si lotta furiosamente per accaparrarsi uno spazio minimo che permetta di "stare", e quindi di esistere. Richiamando poi la teoria darwinana, Gallina dimostra che l'identificazione fra la sopravvivenza e l'affermazione, la selezione e la visibilità non permette alle realtà emergenti di svilupparsi e di dare origine al nuovo e al mutante (cfr. documento).

Come commenta però Mimma Gallina, nuove pratiche si stanno diffondendo a contrastare questa tendenza, componendo un panorama molto diverso da quello descritto istituzionalmente. Gli interventi che seguono mostrano proprio alcuni luoghi di questo paesaggio in trasformazione


Accesso e visibilità: energia e condivisione per giovani artisti, organizzatori e nuovi spettatori

TERESA BETTARINI
presenta il progetto Officina Giovani del Comune di Prato, una cittadina in cui l'attività teatrale è molto radicata e ha sempre goduto di grande attenzione. La ricchezza di gruppi e compagnie agisce in un sistema che non è strutturato, più vicino a quello romano che a quello milanese, in cui la dispersione di risorse e energie si accompagna alla nascita di nuove realtà spontanee.
Officina Giovani, nata da un'idea di Massimo Luconi, ha iniziato la sua attività 10 anni fa nello spazio degli ex-macelli. È dedicata ai giovani artisti di varie discipline ed è legata alla peculiarità del suo spazio, una cittadella con vari edifici al suo interno. La struttura è luogo di prove e di lavoro, in cui vengono ospitati anche progetti in collaborazione con altre istituzioni, come con Fabbrica Europa per la danza ad esempio. Ma Officina è anche uno spazio di rappresentazione, dove si lavora per rompere il circolo vizioso della selezione e della visibilità, attraverso l'organizzazione di rassegne settimanali, aperte gruppi giovani ma un po' più affermati, ma anche di debuttanti, a cui partecipino anche operatori. Per ora un capannone è in restauro, e dovrebbe essere pronto per il 2008. Da quel momento saranno avviati progetti di residenze brevi, di qualche mese, per avere l'occasione di incontrarsi con il mondo artistico giovanile che gravita intorno a Officina.
Officina è anche uno spazio laboratoriale, per ora limitato ad alcuni corsi, dove si sono trattati i temi dell'organizzazione teatrale, legati al corso di laurea per organizzatore di "eventi". Frequentando gli studenti Bettarini ha osservato che spesso alle conoscenze di marketing e fund raising non corrispondo altrettante nozioni sul sistema teatrale, percepito come un magma. Per ora i corsi di formazione riguardano l'organizzazione e l'orientamento. Si stanno anche avviando workshop limitati nel tempo, ma interdisciplinari, perché il mettere insieme giovani che mettono da discipline diverse è molto fertile.

Polo di formazione permanente, spazio di crescita, di visibilità e di creazione interdisciplinare, Officina Giovani si inserisce quindi nel filo rosso che passa da un intervento all'altro. Nelle cinque Buone Pratiche (cfr. documenti) presentate successivamente, la voglia di condivisione, l'esigenza di intervento "politico" nel tessuto sociale, ed il desiderio di valorizzare e far circolare le energie creative sono gli elementi forti che accomunano approcci e soluzioni altrimenti molto diverse.



Si presentano le Buone Pratiche: da sinistra, Roberta Nicolai (Teatri di Vetro), Edoardo Favetti (Pim), Adriano e Mimma Gallina, Teresa Bettarini (Officina Giovani), Rosi Fasiolo (Teatro.net), Luca Ricci (Kilowatt Festival), Antonia Pingitore (Bancone di prova).

ROSI FASIOLO di TeatroNet spiega come crearsi un circuito alternativo e indipendente mettendo insieme le forze artistiche in difficoltà. EDOARDO FAVETTI racconta l'esperienza organizzativa altamente innovativa del PiM, una "casa di cultura" che si è volutamente posta al di fuori del mercato per attuare un ideale di incontro e di apertura alla ricerca di rapporto umano fra le persone che fanno arte e quelle che ne usufruiscono. LUCA RICCI presenta l'idea "visionaria", nata pensando al finale dell'Orlando Furioso de Ariosto, in cui la nave con il poema giunge finalmente in porto e i lettori la accolgono festanti, di costruire in un territorio periferico rispetto al teatro un festival – Kilowatt Festival – il cui centro è il pubblico. ANTONIA PINGITORE spiega come la voglia di scoprire nuovi testi che parlino del contemporaneo abbia portato a un'iniziativa laboratoriale spontanea e aperta di confronto fra autori, attori e spettatori, Bancone di Prova. ROBERTA NICOLAI infine presenta un'iniziativa che organizza e porta alla luce il vasto ricchissimo sottobosco della realtà teatrale romana, che, come indica il nome Teatri di Vetro, è altrimenti invisibile, e quindi estremamente fragile.


…e la politica?

Di fronte a questo ricco paesaggio in movimento, la politica sembra invece rimanere ferma, incapace di elaborare una indispensabile griglia interpretativa aggiornata, rimanendo legata ad un approccio quantitativo obsoleto e sganciato dalla realtà. Questa è l'opinione di FILIPPO DEL CORNO, invitato a fare il punto della situazione tre anni dopo il suo polemico intervento a Mira e la sua esperienza in prima persona in ambito politico. Del Corno era partito dalla volontà di incontrare e capire le istanze di realtà apprezzate ma non conosciute. Dall' incontro "Non lavorare stanca" emergeva la richiesta di essere riconosciuti, non aiutati, ma incentivati senza essere inseriti nello stesso sistema della grandi realtà. Bisogna superare un sistema pensato il sistema in termini di generi, e operare una rivoluzione copernicana dell'ideologia sulla base di cui vengo attribuiti i finanziamenti ragionando in termini di fasce orizzontali create sulla base della dimensione degli enti.
La vera emergenza del teatro italiano è che esistono solo due categorie di artisti: i sommersi e i salvati. I primi lo sono indipendentemente dalla qualità del loro lavoro: non riescono a intercettare il potere, e sono costretti a stare sotto la superficie per stabilità, circolazione, capacità di lavorare. Hanno in comune il dato anagrafico, sempre più alto, sono costretti a stare sul mercato – cosa che andrebbe bene se il mercato non fosse drogato - e non hanno alcun problema invece a trovare occasioni di produzione e di distribuzione all'estero.
I secondi sono tali sempre e comunque, secondo il parametro della storicità è una sorta di tabù che difende qualsiasi cosa da qualsiasi intervento, e la scusa del costo sociale di una loro eventuale riduzione. Le risorse che impiegano sono enormi.
Il compito che bisogna provare a dare alla politica in termini di scelte e regole è assumersi l'obiettivo di invertire questa tendenza, salvare i sommersi e sommergere i salvati.


Geografie: l'interculturalismo e l'apertura ad altri mondi

Le ultime due relazioni riguardano un altro tipo della più volte invocata apertura del teatro al mondo, il dialogo con culture diverse. MASSIMO LUCONI spiega un percorso di scambio con giovani senegalesi - profondamente radicati nella tradizione artistica, culturale, familiare africana, ma anche estremamente aperti e ambiziosi - iniziato vent'anni fa senza intenti buonisti e volontaristi (crf. documento).

GERARDA VENTURA racconta la sua esperienza decennale nell'ambito della collaborazione con artisti del sud del mediterraneo interrogandosi sulle motivazioni e sui risultati di questo tipo di operazioni. Gli artisti arabi hanno "scoperto" la rappresentazione in Occidente, perché nei loro paesi questo non esiste, e l'idea di luogo della rappresentazione è stato ugualmente esportato dalla cultura occidentale. Se pure si sono sviluppate una serie di strutture per il teatro e la danza, sono governative e spesso di regimi totalitari. La produzione indipendente non è finanziata, se non dall'UE e da fondazioni, anche americane. Questi artisti stanno cercando forme di creazione contemporanea ma non strettamente legate alla tradizione occidentale, interrogandosi sul senso del fare arte performativa e sul valore dell'incontro e della trasmissione. Per molti di loro il senso del lavoro artistico è sociale e politico, nel senso più ampio, è parte integrante delle loro lotte e delle loro rivendicazioni. Ad esempio per alcuni artisti palestinesi, l'arte è uno strumento per rendere i cittadini responsabili. Incontrare queste esperienze è fondamentale per la realtà italiana, dove al contrario il senso sociale e politico di fare arte sembra essersi perso. Nel momento in cui si parla di mercato, visibilità, non ci si interroga sulla finalità di tutto questo, mentre l'emersione significa dare un senso al rapporto con la cittadinanza e a quello che si vuole esprimere.
L'approccio con culture diverse ha un valore per noi italiani che supera quello della conoscenza, perché permette di riappropriarsi del senso del fare cultura.


Breviario per il giovane emergente

La giornata si chiude con l'ironico intervento della coreografa Barbara Toma, che presenta due liste di Buone Pratiche, una rivolta a se stessa e una a un ideale giovane coreografo. Eccone qualche punto…

1. Buone pratiche per me stessa

mettere sempre in dubbio il mio lavoro;
ripartire con equilibrio le ore trascorse fra il computer, la ricerca di uni stipendio e l'allenamento;
non lavorare gratis;
non cedere alla voglia di essere vista a tutti i costi;
dedicare tempo alla ricerca e studio
difendere il mio mestiere;
battermi perché vengano cambiate le leggi;
abituarmi a ripetere sempre le stesse cose come:
il teatro e la danza sono la stessa cosa, la danza ha bisogno di più visibilità, la Lombardia ha dato alla danza contemporanea lo 0,04% delle sue risorse;
condividere le informazioni e i colleghi;
condividere le informazioni con chi vuole iniziare il mio mestiere.

2. Buone pratiche per un giovane coreografo

chiediti se è proprio questo quello che vuoi fare;
cercati organizzatore;
cercati un coreografo affermato con cui confrontarti;
cerca di crescere sempre e non tornare mai indietro
mantieni bassi i tuoi prezzi;
aggiornati e studia;
fatti vedere all'estero
denuncia ciò che non ti piace;
se non riesci a ottenere buona visibilità, cambia nome, prova con nome straniero, di solito funziona;
Non creare spettacoli su temi che ti interessano, ma cerca temi e collaboratori che rientrano nei bandi;
Non ti scoraggiare di fronte all'insuccesso e non ti montare la testa di fronte al successo, perché non hanno niente a che fare con i tuoi meriti.


In conclusione: l'urgenza nell'emergenza

Le sollecitazioni della giornata sono numerose e invitano a riflettere in maniera più approfondita e specifica su singoli temi. Nell'insieme, quello che personalmente mi ha più colpito è che pure nelle storture del sistema e nella carenza di risorse, si sta disegnando in Italia un paesaggio alternativo molto interessante in cui organizzatori e artisti inventano nuove modalità di incubazione e di lancio del nuovo, rispondendo a una spinta ideale, a un'esigenza profonda di intervenire nella società. Non si tratta solo di affermarsi, ma di incontrare e formarsi il proprio pubblico, recuperando in qualche modo la necessità del teatro, o meglio, delle arti sceniche, nel mondo contemporaneo.



C'è chi pensa al futuro: la creatura di Alessandra Vinanti alla sua prima esperienza di formazione chiede la consulenza di Emanuele Patti.


 


 

BP04: La pedagogia esplosa dello spettacolo dal vivo
La relazione iniziale di BP04
di Oliviero Ponte di Pino

 
La formazione e la cultura moderne dello spettacolo, come la regia teatrale, in Italia nascono e si affermano con molto ritardo.
Per gli attori, i tradizionali canali di formazione erano essenzialmente due: le famiglie d’arte e le filodrammatiche (non a caso la prima scuola di teatro italiana è l’Accademia dei Filodrammatici, nata nella fine del Settecento su impulso napoleonico). Per quanto riguarda lo studio della storia del teatro, rientrava nella storia della letteratura e non aveva dignità e autonomia.
Allora, per cominciare, qualche data.
1936, fondazione dell’Accademia d’Arte Drammatica di Roma, su impulso di Silvio D’Amico: è la prima scuola di teatro “moderna” del nostro paese, che si fa carico della rivoluzione della regia novecentesca.
1951, fondazione della Civica Scuola d’Arte Drammatica di Milano, da parte di Paolo Grassi e Giorgio Strehler; inizialmente legata al Piccolo Teatro, la “Civica” acquisisce poi una propria autonomia a partire dagli anni Settanta, quando apre tra l’altro il primo corso in Italia di organizzazione teatrale, affidato a Giorgio Guazzotti (seguirà poi la creazione di corsi di animazione, drammaturgia, teatrodanza, eccetera).
1956, viene istituita all’Università Cattolica di Milano, su impulso di Mario Apollonio la prima cattedra italiana di Storia del Teatro.
1963, viene istituita alla Sapienza di Roma, su impulso di Giovanni Macchia, la prima cattedra italiana di Storia del Teatro in un’università statale; viene affidata a Ferruccio Marotti.
1970/71, nasce a Bologna il primo DAMS (Dipartimento Arti Musica e Spettacolo): tra i docenti Umberto Eco, Giuliano Scabia, Luigi Squazina, Lamberto Trezzini, Claudio Meldolesi.
Alla svolta degli anni Settanta non c’è molto altro. Se confrontiamo questo quadro asfittico con lo scenario attuale, la differenza è strabiliante.
Non si sono moltiplicate soltanto le cattedre di storia del teatro: le materie in qualche modo legate allo spettacolo dal vivo sono diventate una vera e propria giungla. Dopo il lungo monopolio bolognese, a cominciare dagli anni Novanta i DAMS hanno iniziato a moltiplicarsi con una velocità vertiginosa: Torino, Roma 3, Trieste, Genova-Imperia, Padova, Palermo, Lecce, Firenze-Prato, Cosenza, Messina... In parallelo, nascono e proliferano le facoltà di Scienze della comunicazione. Si approfondisce l’investimento delle Accademie di Belle Arti sullo spettacolo: l’iniziale interesse per la scenografia si è allarga e approfondisce; basti pensare alla specializzazione dell’Accademia di Brera a Milano (un’altra istituzione con radici settecentesche) sul versante del multimediale, che riflette l’impatto delle nuove tecnologie sia sulle scene sia sulle arti visive.
In parallelo a quanto accaduto per altre discipline, in questi anni si sono moltiplicati anche i master post-universitari (vedi il forum di ateatro).
Accanto a quella sul versante accademico, è esplosa anche la pedagogia dei teatranti: precursori sono stati i seminari del Living Theatre e del Bread & Puppett negli anni Sessanta-Settanta, e poi tutta l’attività del Terzo Teatro, sulla scia del training di Grotowski e Barba. Questi laboratori, workshop, seminari, corsi, prove aperte, hanno offerto fondamentali occasioni di autoformazione per intere generazioni di teatranti. Non è dunque un caso che una profonda vocazione pedagogica faccia parte della cultura del nuovo teatro, e in particolare di alcuni gruppi: esemplari sono i casi di Leo De Berardinis, della “Non Scuola” delle Albe, della Raffaello Sanzio e della Valdoca, ma anche di Danio Manfredini o Remondi & Caporossi, solo per fare alcuni esempi; alcune interessanti chiose potrebbe ispirare il percorso di Renata Molinari, attiva sul coté laboratorial-pedagogico sia con attori e attrici, sia con drammaturghi e dramaturg... Senza dimenticare che, nell’economia della miseria teatrale, per molti artisti e gruppi l’insegnamento è stata a lungo una imprescindibile fonte di reddito; l’interazione tra attività artistica e attività pedagogica è ancora più clamorosa sul versante della danza.
Anche diversi teatri stabili hanno deciso di affiancare l’attività produttiva con centri studi e con scuole di teatro: tra le più prestigiose, la Scuola di Recitazione del Teatro di Genova, che trova una struttura stabile nel 1981 (ma l’attività didattica era iniziata negli anni Sessanta); la Scuola di Teatro del Piccolo, fondata nel 1986 da Giorgio Strehler; la Scuola di Teatro dello Stabile di Torino, fondata nel 1992 da Luca Ronconi. Ma oggi le scuole e i corsi di teatro, danza, eccetera in Italia sono ormai sono decine e decine (il forum di ateatro ne segnala una piccola percentuale).
Questa offerta formativa appare ormai ricchissima, soprattutto se confrontata con il ritardo del nostro paese sul versante della cultura e della formazione teatrale. Vale la pena di sottolineare alcune caratteristiche di questa evoluzione.
In primo luogo si tratta di un’offerta differenziata. Gli enti, istituzioni e realtà che la propongono sono diversi per storia, ordinamento, caratteristiche e obiettivi: possono essere università (a cominciare dai DAMS), scuole superiori, accademie di belle arti, compagnie teatrali, scuole di teatro, enti pubblici. Questa offerta è inoltre indirizzata verso specifiche fasce d’età e il diverso livello formativo che offrono: si parte da attività parascolastiche per studenti liceali, si passa per il livello universitario e parauniversitario, si arriva con i master e i dottorati al livello post-universitario, e ancora oltre.
Contemporaneamente le discipline (e le figure professionali) si moltiplicano: da un lato per un processo di specializzazione e segmentazione; dall’altro per l’emergere di nuove esperienze artistiche, di nuove tecnologie, di nuove pratiche. C’è una vera e propria rincorsa per intercettare il nuovo, per vari motivi: l’aspirazione essere i primi a “mappare” un nuovo territorio e in suoi sviluppi (che si sperano promettenti); il desiderio di rispondere alle mutate esigenze del mercato del lavoro; e magari la speranza di attirare gli studenti-clienti con qualche apertura in grado di appagare qualche curiosità giovanile.
Emerge un secondo elemento. Questo processo pedagogico tende a prolungarsi nel tempo con master post-universitari e stage, anche qui in parallelo a quello che sta avvenendo in altri ambiti. Per certi aspetti, si può configurare addirittura un percorso di formazione permanente. Basti pensare a un progetto come l’Ecole des Maîtres, che raccoglie giovani attori professionisti da tutta Europa per metterli in contatto laboratoriale con il lavoro di alcuni maestri della scena; o all’esperienza di Santa Cristina, la “casa del teatro” che Luca Ronconi si è costruita in Umbria.
Terzo aspetto innovativo, queste esperienze sono spesso sovrapposte tra loro: per esempio la formazione storico-teorica offerta dall’università e quella pratico-esperienziale vissuta in workshop e seminari. Ma s’intrecciano anche l’attività propriamente artistica da un lato, e quella formativa oppure pedagogica dall’altro: si può essere attore e contemporaneamente allievo (o insegnante) in un corso di recitazione, una situazione impensabile in una tradizionale accademia.
Quarto, questa pedagogia interagisce sempre più strettamente con il mondo del lavoro, e in particolare con l’accesso alla professione. Ancora una volta, è un percorso analogo a quello che sta interessando molti altri ambiti. Si è già accennato agli stage presso un teatro, una compagnia, un festival, un ente pubblico, ma si stanno affinando altre forme di tutoraggio, come le residenze per un giovane registi o gruppo o addirittura direttore artistico presso un teatro; più in generale, si moltiplicano bandi che offrono premi di produzione ma anche sostegni e “accompagnamenti” di tipo professionale, organizzativo, eccetera. Come occasioni di reclutamento, ai tradizionali provini si sono affiancati corsi e workshop (generando una serie di problemi di non facile soluzione: per esempio, partecipare a un provino è in linea di principio gratuito, queste esperienze laboratoriali sono in genere a pagamento).
In linea generale, l’ingresso nel mondo del lavoro – in un mondo del lavoro sempre più precarizzato, va aggiunto – non è più una discontinuità, un salto netto, un irreversibile passaggio di status (l’ingresso in compagnia, il concorso universitario con relativa cattedra), ma un processo graduale, che può prevedere anche qualche andirivieni, man mano che gli obiettivi diventano più precisi – ma a volte anche per puro caso, per una curiosità innescata magari proprio dall’offerta di occasioni di formazione e d’incontro.
Allo stesso modo, la professione non è più un’esperienza monolitica ed esclusiva. Si è accennato più volte al doppio binario artistico e pedagogico di molte realtà: per diversi giovani gruppi, lo spettacolo è un lusso che è possibile pagare grazie ai proventi di corsi e scuole, mentre la credibilità dei corsi e delle scuole viene in qualche modo “garantita” dal riconoscimento della qualità artistica degli spettacoli. Allo stesso modo questa credibilità sul versante artistico permette di ampliare l’attività in altre direzioni: innanzitutto l’animazione (in convention aziendali, in resort turistici, nei musei e nelle mostre, in bar e locali, eccetera) e l’intervento sul sociale (nelle scuole, nelle carceri, negli ospedali, con gli immigrati, con gli anziani e in generale nei luoghi del disagio), due attività che hanno iniziato a svilupparsi negli anni Settanta. Poi come organizzatori culturali, cominciando dalla progettazione e realizzazione di festival e rassegne, per arrivare fino alla gestione di uno spazio.
Sono percorsi professionali che richiedono grande flessibilità e creatività, e che possono essere intrapresi individualmente e collettivamente (da un giovane gruppo o compagnia).
Abbiamo dunque, per concludere, una ricchezza e varietà di percorsi formativi davvero straordinaria, almeno in apparenza. Abbiamo inoltre una serie articolata di strumenti che accompagnano di fatto l’ingresso nel mondo del lavoro e offrono prime occasioni di visibilità e selezione: stage, tutoraggi, residenze, e poi il moltiplicarsi dei bandi e dei festival (due temi di cui ateatro a già parlato in diverse occasioni).
Il problema è vedere se tutto questo offre davvero la preparazione necessaria, sia dal punto di vista quantitativo sia dal punto di vista qualitativo.
Ogni anno sono centinaia (o forse migliaia) i giovani che dovrebbero entrare nelle università, nei teatri, nelle compagnie, nel cinema o nella tv, nelle amministrazioni, in un quadro dove i giovani faticano in ogni caso a trovare sbocchi e in una situazione in cui la precarizzazione è sempre più spinta.
Bisogna anche interrogarsi se la moltiplicazione di materie e discipline, e la frammentazione in decine e decine di specializzazioni e figure professionali, risponde a una effettiva necessità, sia culturale sia pragmatica, rispetto alle esigenze del mondo del lavoro.


 


 

BP04: Considerazioni personali (con qualche nota dall’intervento che non ho fatto)
(emergenza lavoro)
di Mimma Gallina

 

Notizie dal fronte istituzionale


Questa volta – a differenza di Mira e Napoli – Buone Pratiche non prevedeva spazi specifici di approfondimento delle politiche e della legislazione, ma negli interventi ci sono naturalmente stati molti richiami.

Si possono mettere a fuoco alcuni punti decisamente rilevanti rispetto all’“emergenza”.


- Il progetto di legge ministeriale sul teatro, firmato dall’onorevole Montecchi (che, invitata, ci ha cortesemente informato che non avrebbe potuto intervenire), dovrebbe essere prossimamente discusso presso le commissioni parlamentari, dove ne giacciono – è il caso di ricordarlo – parecchi altri (il testo è stato pubblicato da ateatro); la ragione per cui questa è una notizia è che le perplessità su questo progetto sono talmente diffuse che sia negli ambienti teatrali sia in quelli politici la si riteneva già superata.


- La Commissione Cultura del Senato però – ci ha detto la senatrice Capelli sollecitando un maggior attivismo del settore presso il parlamento – non ha concreti elementi informativi per affrontare con la dovuta consapevolezza i temi dello spettacolo: è il noto problema di come far sentire le proprie esigenze, dell’effettiva rappresentatività e delle strategie di chi viene individuato come referente dalle istituzioni (in primo luogo l’AGIS ma anche i sindacati); il problema è emerso in tutte le quattro edizioni di Buone Pratiche ed è probabilmente una delle ragioni del loro successo e dell’elevata partecipazione: mancano sedi di discussione e di confronto.

- Il patto Stato/Regioni (vedi il documento, il bando e gli esiti sul forum) ha forse il significato di una “prova di concertazione” fra i due livelli dell’amministrazione pubblica (di questo avrebbe dovuto parlarci Patrizia Ghedini, purtroppo influenzata: è stata un’ospite fissa delle precedenti edizioni e la sua competenza ci è molto mancata); tuttavia le caratteristiche di molti progetti selezionati e la loro attuazione nel 2007 rappresenta un’opportunità economica gestita con eccessiva retta, e non la sperimentazione di nuove forme organizzative che ci si attendeva in base al progetto originario. E’ però possibile essere più ottimisti sul 2008 e 2009, o almeno ci si può provare, come ci ha segnalato Ilaria Fabbri dalla Regione Toscana.

- Il FUS sarà incrementato nella misura prevista (50.000 euro, vedi notizie di ateatro), ma siamo ancora molto lontani tuttavia dal recuperare i livelli del 2001 (obiettivo della legislatura), e a maggior ragione da quelli originari, del 1985. (Per inciso: pare che nessuno parli più dell’obiettivo di portare la spesa pubblica per la cultura al famoso 1% del PIL, un obiettivo che pure era nei programmi dell’Unione: anche perché non si sa su cosa e come calcolarlo: i finanziamenti degli enti locali sono difficilmente quantificabili – come ci ha ricordato Giulio Stumpo – e fra un paio d’anni magari qualcuno proverà a dimostrarci che l’abbiamo raggiunto.) La finanziaria per il 2008 però prevede anche altro: oltre ai fondi del patto Stato-Regioni e a quelli speciali a disposizione del Ministro Rutelli (20+20 milioni di euro, che nella legge dell’anno scorso erano stanziati con previsioni triennali), ci sono anche stanziamenti speciali alle fondazioni lirico sinfoniche per altri 20 milioni di euro l’anno per tre anni, il tutto in collegamento con una serie di indicazioni di risanamento (che potete andare a guardarvi nel dettaglio: Art. 49 bis della Finanziaria) e ancora 1,5 milioni di euro al festival di Torre del Lago per il 150° anniversario della nascita di Puccini (Art. 49-quater: ma era davvero indispensabile un articolo in finanziaria?). L’Art. 49-quinquies è invece dedicato al Restauro archeologico di teatri, per cui si stanzia 1 milione di euro (che basterà per rifinire – forse – un paio di sale: e viene il dubbio che anche in questo caso si sarebbe potuto già indicare il (o i) destinatario).

- Ma la trasparenza non è la preoccupazione principale del governo: abbiamo già rilevato denunciato il fenomeno; quello che si sta progressivamente accentuando è lo spostamento delle fonti di finanziamento dai livelli ordinari e regolamentati a canali straordinari; questo non sarebbe è necessariamente un male, se servisse per spezzare la gabbia del FUS; ma questi fondi vengono poi gestiti con una discrezionalità ancora maggiore e spesso con criteri del tutto ignoti. La gestione del FUS non è certo trasparente, e un’ulteriore delusione viene dal fatto che il governo non abbia colto il problema delle commissioni e del loro difficile funzionamento. Ma ancor meno trasparente è quella ARCUS spa (ricordate ne abbiamo già parlato in diverse occasioni), sulla cui gestione la stessa Corte dei Conti nutre forti perplessità. Sul sito www.arcusonline.it si possono trovare i “progetti” finanziati (sono stati pubblicati solo il titolo e i destinatari dei progetti, che però restano abbastanza misteriosi): non mi indigno con troppa facilità (possibile), o se non sembra anche a voi un vero scandalo.



Notizie dal fronte territoriale



Le “geografie” sono una delle aree tematiche abbiamo deciso di articolare la giornata: i progetti e le segnalazioni di interventi che ci pervenivano nella fase di preparazione di BP04 evidenziavano infatti alcune specificità locali, ma anche “territori” trasversali dell’ emergenza, come le problematiche specifiche delle aree metropolitane e le relazioni interculturali, una pratica da privilegiare in una società che sembra esprimere preoccupanti sintomi di razzismo.

A condizioni di svantaggio si affiancano situazioni di apparente vantaggio ed è stato suggestivo in quest’ottica il confronto Milano Napoli, o sentire come offra opportunità molto diverse, da ente a ente, la politica delle fondazioni bancarie (interlocutori sempre più attivi e con cui è necessario confrontarsi); o ancora seguire la battaglia di un giovane festival in una città come Roma, oppure la grande varietà delle esperienze toscane, la precarietà diffusa della danza, il nodo mai risolto della qualità della distribuzione.

(Vale la pena sottolineare che all’incontro del 1° dicembre erano presenti operatori da quasi tutte le regioni d’Italia – sud e isole comprese – e che dunque si trattava di un osservatorio molto vasto).

Il problema della visibilità (che come è stato sottolineato non può che venire prima della selezione: sembra lapalissiano ma non sempre domina la logica nella nostra organizzazione teatrale) si pone ovunque: nei comuni e nelle regioni magari prospere ma i cui finanziamenti al teatro sono spesso irrisori (e in una prospettiva di passaggio di competenze dallo Stato alle Regioni sono persino più preoccupanti i criteri di intervento e la preparazione degli uffici), ma anche città in cui le pubbliche amministrazioni sono così presenti da rischiare di finire nel mirino dell’antitrust, come Roma (vedi ateatro 113) e forse Torino. Di fronte al bisogno di essere visibili – e di restare a galla dopo una prima emersione, magari timida, o dopo perduranti bonacce sulla linea di galleggiamento – ci si attrezza con pratiche che, con modalità più o meno differenti, si stanno diffondendo ovunque, come le residenze, le reti (o comunque le varie forme di aggregazione), la pratica del bando. Questa forma, che più di altre corrisponde al bisogno di correttezza nella competizione, da eccezione solo quattro anni fa (alla prima edizione di BP era infatti stata indicata come una buona pratica emergente), costituisce oggi il “metodo” delle iniziative giovani e di quelle rivolte ad artisti e gruppi giovani, il modello operativo dominante nelle pratiche dell’accesso, alle periferie (geografiche e istituzionali) del sistema.



Notizie dalla trincea



Non ci voleva la tragedia di Torino per ricordarci che nel nostro paese la vera emergenza è il lavoro. Anche se nello spettacolo siamo assai lontani da drammatiche quelle condizioni, forse sarebbe ora che anche in questo settore il problema venisse affrontato seriamente.

Il fatto di vivere e lavorare da sempre in una condizione costituzionalmente precaria ha reso la gente di teatro vaccinata a qualunque crisi e pronta ad adattarsi sempre e comunque alla difficoltà delle circostanze. Al di là dell’istinto di sopravvivenza, questa tendenza è controproducente, sia per i lavoratori e sia per le imprese: non si tratta infatti in questo caso di una contrapposizione di interessi, almeno non prevalentemente, ma di un progressivo deprezzamento, di una perdita di considerazione dello spettacolo dal vivo nel suo complesso, in cui il lavoro (e il lavoratore) è l’anello più debole. Con l’intervento introduttivo di Oliviero, la relazione di Antonio Taormina e tutti gli appassionati interventi sulla formazione e le pedagogie teatrali, si è andati a fondo nel merito delle pratiche di preparazione professionale, del disordine e dell’eccesso, e si è accennato alle forme di accompagnamento al lavoro. Ma non è un problema solo generazionale, e non solo di ricambio: i dati forniti da Giulio Stumpo ci dicono con chiarezza che nel settore le giornate lavorative e il reddito medio sono al di sotto della soglia di povertà. Se è probabile che quasi tutti i lavoratori che risultano da statistiche Enpals facciano nella vita anche altro (per esempio laboratori, corsi eccetera), risulta anche evidente che di spettacolo non si vive. E’ un punto d’approdo molto triste, se si pensa che il lavoro (soprattutto attraverso la forma – oggi impopolare – della cooperativa) è stato negli anni Settanta al centro della crescita vertiginosa del sistema, e che su quella crescita si basa ancora oggi un sistema di spettacolo diffuso. Bisogna approfondire questo punto, e forse elaborare qualche proposta che tocchi in concreto gli strumenti e le politiche che interagiscono direttamente o indirettamente con la questione del lavoro.


- L’assetto dei CCNL di lavoro, fermi da decenni. Credo che ci sia una sostanziale ragione per cui i sindacati non hanno chiesto e ottenuto niente in questi anni (se non irrisori adeguamenti salariali dei minimi): da una posizione di debolezza, rimettere in discussione la parte normativa avrebbe portato ad accordi al ribasso. Nella sostanza, le organizzazioni dei lavoratori e le imprese non hanno saputo o voluto progettare un nuovo assetto del lavoro nel settore dello spettacolo, tenendo conto delle specificità e degli annosi problemi, in un quadro che si andato modificando: il risultato non è stato una tenuta dell’esistente, ma una ulteriore crescita della precarietà, moltiplicando le possibilità di aggirare i contratti stessi e gli obblighi contributivi (del resto assai esosi), e imponendo ai gruppi di introdurre prassi diverse caso per caso e propri regolamenti, quasi sempre non formalizzati. Da almeno trent’anni sarebbe stato necessario introdurre in contratto (e nelle forme contributive) incentivi reali alla durata delle scritture e forme corrispondenti alla pratica associativa; oggi questa necessità deve accompagnarsi a una riflessione sulle trasformazioni delle forme contrattuali introdotte a livello nazionale (legge Biagi eccetera).

- La gestione della disoccupazione: oggi al minimo, legata a contributi non obbligatori e perfino gestita in modo contraddittorio fra le diverse sedi ENPALS: eppure potrebbe costituire quasi una risorsa, un momento di formazione permanente.

- Le norme apparentemente indirizzate al sostegno del lavoro e al ricambio generazionale nei decreti ministeriali: penso al parametro dominante dei costi contributivi e agli incentivi previsti per l’impiego di giovani. Sarebbe lungo spiegare qui perché quasi tutte queste disposizioni siano – e soprattutto si siano rivelate nei fatti – controproducenti e come se ne potrebbero invece immaginare altre, magari da verificare a livello regionale.

- Porre il lavoro, la qualificazione e il ricambio al centro delle ipotesi di riforma dell’area della stabilità, e degli stabili pubblici in particolare (un esempio che mi sta a cuore: non sarebbe più efficace – tanto in termini di occupazione che di qualità, oltre che per gli effetti indiretti sulla produzione drammatica – introdurre l’obbligo di uffici drammaturgia, piuttosto che chiedere per decreto l’allestimento di un testo italiano l’anno o ogni due anni?


Per concludere: ateatro ha deciso di impegnarsi sul tema del lavoro, partendo da un gruppo di studio, in un prima fase ristretto e progressivamente più allargato. Invitiamo chi ha idee e la competenza (soprattutto per la prima fase), nonché il desiderio di partecipare a farcelo sapere. Giancarlo Albori della CGIL-spettacolo di Milano – che aspettavamo il 1° dicembre ma che è rimasto bloccato dalle trattative per la Scala – ha già garantito la sua disponibilità, ma il gruppo è aperto a nuovi contributi.


 


 

BP04 Documenti: Missione 21. I beni culturali e lo spettacolo
L'Art. 49 della Finanziaria
di Prodi & Co.

 

Capo XVIII

MISSIONE 21 – TUTELA E VALORIZZAZIONE DEI BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E PAESAGGISTICI

Art. 49.

(Utilizzo più razionale delle risorse disponibili per i beni e le attività culturali)

1. Il quarto ed il quinto periodo del comma 8 dell'articolo 3 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, introdotti dall'articolo 1, comma 1143, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono sostituiti dai seguenti: «Gli interventi relativi a programmi approvati dal Ministro per i beni e le attività culturali per i quali non risultino avviate le procedure di gara ovvero definiti gli affidamenti diretti entro il termine del 31 dicembre dell'anno successivo a quello di approvazione sono riprogrammati con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali nell'ambito dell'aggiornamento del piano e dell'assegnazione dei fondi di cui al penultimo periodo del comma 1 dell'articolo 7 del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 237. Le risorse finanziarie relative agli interventi riprogrammati possono essere trasferite, con le modalità di cui alla legge 3 marzo 1960, n. 169, da una contabilità speciale ad un'altra ai fini dell'attuazione dei nuovi interventi individuati con la riprogrammazione, ove possibile, nell'ambito della stessa regione. Entro e non oltre il 31 gennaio di ciascun anno i capi degli Istituti centrali e periferici del Ministero per i beni e le attività culturali, titolari delle predette contabilità speciali, sono tenuti a comunicare alla Direzione generale centrale competente gli interventi per i quali non siano state avviate le procedure di gara ovvero definiti gli affidamenti diretti ai fini della riprogrammazione degli stessi».

2. Allo scopo di sostenere le iniziative di intervento finanziate ai sensi della legge 7 marzo 2001, n. 78, recante tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale, l'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 11, comma 1, della citata legge n. 78 del 2001 è incrementata di 200.000 euro a decorrere dal 2008. Al fine di proseguire la realizzazione di interventi finanziati ai sensi dei commi 3 e 4 dell'articolo 11 della medesima legge 7 marzo 2001, n. 78, è autorizzata la concessione di un contributo quindicennale di 400.000 euro a decorrere da ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010.

Art. 49-bis.

(Disposizioni in materia di fondazioni lirico-sinfoniche)

1. Al decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 12, comma 5, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «una sola volta»;

b) all'articolo 21, al comma 1, la lettera b) è abrogata e dopo il comma 1 è inserito il seguente:

«1-bis. L'autorità di cui al comma 1 dispone in ogni caso lo scioglimento del consiglio di amministrazione della fondazione quando i conti economici di due esercizi consecutivi chiudono con una perdita del periodo complessivamente superiore al 30 per cento del patrimonio disponibile, ovvero sono previste perdite del patrimonio disponibile di analoga gravità»;

c) all'articolo 21, comma 2, le parole: «comunque non superiore a sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «non superiore a sei mesi, rinnovabile una sola volta».

2. Le modifiche di cui al comma 1, lettere a) e c), entrano in vigore a decorrere dal 1º gennaio 2008. I commissari ed i consiglieri di amministrazione che abbiano già superato il limite del mandato decadono con l'approvazione del bilancio dell'anno 2007.

3. La modifica di cui al comma 1, lettera b), entra in vigore dal 1º gennaio 2009 e prende in considerazione, in sede di prima applicazione, gli esercizi degli anni 2008-2009.

4. Ai sensi dell'articolo 1, comma 595, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 per gli anni 2008, 2009 e 2010 alle fondazioni lirico-sinfoniche è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato. Possono essere effettuate assunzioni a tempo indeterminato di personale artistico, tecnico ed amministrativo per i posti specificatamente vacanti nell'organico funzionale approvato, esclusivamente al fine di sopperire a comprovate esigenze produttive, previa autorizzazione del Ministero vigilante. Per il medesimo periodo il personale a tempo determinato non può superare il 15 per cento dell'organico funzionale approvato.

5. È istituito presso il Ministero per i beni e le attività culturali un fondo di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010 al fine di:

a) contribuire alla ricapitalizzazione delle fondazioni lirico-sinfoniche soggette ad amministrazione straordinaria ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367;

b) contribuire alla ricapitalizzazione delle fondazioni lirico-sinfoniche che abbiano chiuso almeno in pareggio il conto economico degli ultimi due esercizi, ma presentino nell'ultimo bilancio approvato un patrimonio netto inferiore a quello indisponibile e propongano adeguati piani di risanamento al Ministero per i beni e le attività culturali, nonché di quelle già sottoposte ad amministrazione straordinaria nel corso degli ultimi due esercizi che non abbiano ancora terminato la ricapitalizzazione.

6. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali non avente natura regolamentare il fondo di cui al comma 5 è ripartito fra tutti gli aventi diritto in proporzione delle differenze negative fra patrimonio netto e patrimonio indisponibile, calcolate nella loro totalità, e delle altre perdite del patrimonio netto, calcolate nella metà del loro valore. Il predetto decreto è adottato entro il 30 giugno di ogni anno a seguito dell'approvazione da parte delle fondazioni lirico-sinfoniche dei bilanci consuntivi dell'esercizio precedente e della presentazione di adeguati piani di risanamento di cui al comma 5. Decorso tale termine, il decreto è comunque adottato escludendo dal riparto le fondazioni che non abbiano presentato il bilancio consuntivo e il prescritto piano di risanamento.

7. Al fine di incentivare il buon andamento e l'imprenditorialità delle fondazioni lirico-sinfoniche, all'articolo 24, comma 1, del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Gli interventi di riduzione delle spese sono individuati nel rapporto tra entità della attività consuntivata e costi della produzione nell'anno precedente la ripartizione, nonché nell'andamento positivo dei rapporti tra ricavi della biglietteria e costi della produzione consuntivati negli ultimi due esercizi precedenti la ripartizione».

Art. 49-ter.

(Disposizioni in materia di istituzioni culturali)

1. A decorrere dal 1º gennaio 2008, gli importi dei contributi statali erogati alle istituzioni culturali ai sensi degli articoli 1, 7 e 8 della legge 17 ottobre 1996, n. 534, sono iscritti in un apposito capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le attività culturali, la cui dotazione è quantificata annualmente ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. A decorrere dalla medesima data, alle istituzioni culturali di cui alla legge 17 ottobre 1996, n. 534, non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 32, commi 2 e 3, della legge 28 dicembre 2001, n. 448.

2. Per l'anno 2008 la spesa autorizzata dagli articoli 7 e 8 della legge 17 ottobre 1996, n. 534, è incrementata di 3,4 milioni di euro.

3. Sono legittimati a richiedere a titolo gratuito la concessione, ovvero la locazione, dei beni immobili di cui all'articolo 9 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 settembre 2005, n. 296, con l'onere di ordinaria e straordinaria manutenzione a loro totale carico, le accademie e le istituzioni culturali non aventi scopo di lucro per lo svolgimento continuativo di attività culturali di interesse pubblico.

4. Le disposizioni di cui al comma 3 si applicano ai contratti in corso, ovvero alle utilizzazioni in corso, alla data di entrata in vigore del citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 296 del 2005, anche per le ipotesi in cui alla stessa data non siano stati posti in essere i relativi atti di concessione o locazione.

5. La stipula degli atti di concessione o locazione di cui al comma 3 è subordinata alla previa regolazione dei rapporti pendenti, con la corresponsione di una somma determinata nella misura annua ricognitoria di euro 150, ferme restando acquisite all'erario le somme già corrisposte per importi superiori.

6. All'onere derivante dal presente articolo, pari a complessivi euro 3,5 milioni per l'anno 2008 e ad euro 100.000 annui a decorrere dal 2009, si provvede mediante utilizzo delle risorse di cui all'articolo 1, comma 1142, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, allo scopo intendendosi corrispondentemente ridotta l'autorizzazione di spesa recata dalla medesima disposizione.

Art. 49-quater.

(Festival pucciniano)

1. Per le celebrazioni del 150º anniversario della nascita di Giacomo Puccini è autorizzato, per l'anno 2008, un contributo straordinario di 1,5 milioni di euro in favore della Fondazione festival pucciniano, con sede in Torre del Lago Puccini.

Art. 49-quinquies.

(Restauro archeologico di teatri)

1. Al fine di consentire interventi di restauro archeologico delle strutture degli edifici antichi di spettacolo, teatri ed anfiteatri è stanziata per l'anno 2008 a favore del Ministero per i beni e le attività culturali la somma di 1 milione di euro.


 


 

BP04: Essere è essere percepiti. Note evoluzioniste
(emergenza, visibilità e selezione)
di Adriano Gallina

 

Il termine “emergenza” fa venire in mente ad Angelo Curti l’immagine dell’iceberg. A me richiama un’immagine differente, una specie di cerchio dantesco: la spiaggia di Riccione in pieno agosto, una folla di bagnanti pigiati, a mollo fino al dorso, che calpestano altri bagnanti nascosti sotto la superficie dell’acqua, in una continua lotta per prendere fiato, per tirare fuori la testa.
L’idea di “emergenza” mi fa venire in mente, inoltre, una metafora di natura biologica, legata alla teoria dell’evoluzione, che più avanti vorrei adottare come filo argomentativo di quanto andrò dicendo. Perché mi pare che un nodo fondamentale del sistema teatrale italiano – e che è stato per ora solo sfiorato – si identifica con il problema della sopravvivenza che, in larga misura, è a sua volta coincidente con il problema della distribuzione e quindi del mercato.
Sin ad ora abbiamo sentito parlare dell’essere: la formazione, la scuola, l’accesso alle professioni, la produzione. Persino il prezioso bando Cariplo sulle residenze teatrali – che tuttavia si pone e si è posto fortemente il problema del “poi” – si chiama Etre, “essere”. Un tema fondamentale, che tuttavia si colloca - potremmo dire - ad un livello preliminare della vita di una compagnia, quello della nascita. Dopo, però, bisogna divenire e sopravvivere in un sistema teatrale caratterizzato da un tasso di mortalità altissimo.
Un aneddoto che mi pare significativo: quando nel 2001 assunsi la direzione del Verdi, ereditai la fase conclusiva del progetto “Scena Prima”, un’iniziativa – più o meno efficace – di sostegno alla giovani compagnie lombarde. Si trattava, in quell’edizione, di portare a conclusione una nuova formula a cadenza biennale: nell’anno precedente erano state raccolte le candidature di circa 200 nuove formazioni che, drasticamente selezionate nel corso della stagione, si riducevano a circa una decina di compagnie che avrebbero avuto accesso alla fase finale. Bene: dovemmo verificare – ad un anno di distanza – che circa il 60% delle compagnie selezionate (quindi, almeno di principio, le migliori) si era sciolto nell’arco dei mesi di istruttoria, era scomparso, non c’era più. Esistevano, ma non avevano avuto la possibilità di sopravvivere.
E vengo alla mia metafora biologica. Mi piace pensare alla comparsa di una nuova compagnia – e per “nuova” faccio riferimento, banalmente, ad un dato meramente anagrafico, non legato alla qualità, al repertorio, al linguaggio, ai temi, alle prospettive più o meno accentuate di sperimentazione – come ad una specie mutante. Nell’ambiente del teatro, in forma del tutto casuale, viene alla luce un organismo che prima non esisteva. La mutazione e la nascita coincidono con l’essere, come per le compagnie di Scena Prima.
Quando questo avviene in natura, l’ambiente (insieme ai repertori di flessibilità biologica propri dell’organismo) rappresenta il filtro selettivo che determina il tasso di adattamento della nuova specie: l’organismo diviene immediatamente visibile (ossia “selezionabile”) nella sua nicchia e ha dunque inizio, contestualmente alla nascita, il processo della valutazione, la misura delle possibilità di sopravvivenza, la prova di vitalità. La visibilità e la selezione – come diceva ancora Curti – sono simultanei al punto di identificarsi. Pare una banalità, giocata tuttavia su una triplice coimplicazione: il venire alla luce / l’emergenza, in natura, rende immediatamente visibili (“percepibili”) senza mediazioni, e quindi selezionabili. Questo cieco meccanismo, radicale ma del tutto privo di finalità, è ciò che consente in natura la continua apparizione del nuovo e, in sostanza, l’evoluzione stessa (in un’accezione non-valutativa). Consente anche di conseguenza – nella sua cecità – la scomparsa (o l’estinzione) di organismi superati dalle nuove specie: come le bianche farfalle della Londra della rivoluzione industriale, rapidamente soppiantate dalle farfalle nere, mimetizzate nello smog e dunque invisibili ai predatori (il parallelismo con i “salvati” di Filippo Del Corno non è casuale).
Ben differente il processo evolutivo nell’universo della produzione culturale (del teatro in particolare, perché di questo parliamo, ma anche dell’editoria, del pensiero, della conoscenza, della scienza): il processo è orientato e finalistico, si sviluppa in un ambiente – il mercato intermedio, non il pubblico – tutt’altro che cieco (checché ne pensino i teorici un po’ in malafede della “mano invisibile”), giocato su interessi e dinamiche perfettamente leggibili e radicalmente conservative.
In questa selezione innaturale, quel che viene in realtà pre-selezionato dalla nascita è la nascita stessa, l’età puramente anagrafica dell’organismo, il suo essere sic et simpliciter e non il suo essere qualcosa: la qualità, la vitalità, l’adattamento di una nuova compagnia si trovano costretti ad una lunga – lunghissima – fase di invisibilità, di non giudizio, quindi di virtuale inesistenza. E’ come se esistesse la necessità di un’emergenza dell’emergenza in un contesto in cui i bisogni primari devono essere soddisfatti – paradossalmente – proprio attingendo da quell’ambiente per il quale non si è ancora nati.
Ma da qui, anche, la consapevolezza – in un sistema appunto orientato dalle volontà politiche e quindi dalle scelte – della necessità di un sistema di sostegno politico, culturale ed economico volto esattamente a promuovere e tutelare la mutazione, garantirle sopravvivenza e visibilità, ampliarne anche quantitativamente le nicchie ed esporla ad un’autentica selezione nel merito. Questo era – storicamente – il compito attribuito alle Stabilità d’Innovazione, sulle cui inadempienze ho già avuto modo a più riprese di intervenire anche su ateatro.
Un compito disatteso non solo sul terreno della produzione ma anzitutto sul versante della proposta e della vertenza politica e della vitalità organizzativa. Nell’assenza, per molti versi anche economicamente incomprensibile, di un’azione finalizzata all’estensione territoriale di bacini di promozione del giovane teatro, alla rivendicazione istituzionale di un primato dell’innovazione nella determinazione degli orientamenti e della logica dell’investimento pubblico, nella salvaguardia e valorizzazione delle pochissime “aree protette” esistenti (penso per esempio all’isola felice di “Altri Percorsi” in Lombardia, annacquata oggi in un modello di “Circuiti teatrali” totalmente privo di fisionomia; o ancora a “Scena Prima” che, con tutti i suoi difetti, avrebbe forse potuto avere un’evoluzione significativa). Un disimpegno che è tra l’altro all’origine del fenomeno della stabilità diffusa che – ormai da tempo – caratterizza l’evoluzione del nostro sistema teatrale.
Ecco: probabilmente da questa stabilità diffusa, dalle esperienze di residenzialità e da nuovi soggetti anche politici e di rappresentanza occorre ripartire, per provare a ricostruire un tessuto in cui l’emergenza possa arrivare al pubblico (e, perché no?, alla critica), confrontarsi con i suoi naturali interlocutori e ridefinire i contorni di un’economia sostenibile nella quale l’innovazione possa aspirare ad essere investimento ordinario e non follia estiva festivaliera o riserva indiana.


 


 

BP04: Formazione e mercato del lavoro per i professionisti dello spettacolo
(formazione e lavoro)
di Antonio Taormina

 

Dal lavoro congiunto realizzato con Stumpo, risulta che nel quinquennio 2001/2005 la prosa vede un incremento del numero degli artisti (+17,4%) degli amministrativi (+13,2%) e del personale tecnico (+7,5%), ma subisce complessivamente un decremento delle giornate medie lavorate del 7,9%; gli artisti in particolare, ovviamente la categoria più rappresentata, vedono un calo del 14,3%. Le retribuzioni medie annue si attestano su un –1,9%. Situazioni analoghe si registrano nella musica e nella danza.
Sono dati inequivocabili di una situazione precaria, instabile, caratterizzata da un aumento progressivo di professionisti a fronte di una domanda di mercato pressoché costante.
Volendo tentare una semplificazione si può affermare, anche sulla base di analisi specifiche svolte negli ultimi anni che il sistema dello spettacolo dal vivo oggi richiede:
- figure già codificate, le cui ascendenze sono da ricercarsi nella stessa storia dell’impresariato teatrale, riconducibili all’ambito gestionale-organizzativo, ridisegnate negli aspetti progettuali, direzionali, strategici, relazionali;
- figure ad alto valore innovativo con competenze, ad esempio, nel campo delle tecnologie applicate alla comunicazione e più in generale ai processi produttivi, alle tecniche di palcoscenico
- figure artistiche con un bagaglio di competenze sempre più elevato, in grado di affrontare il livello di competitività delle imprese di produzione; un esempio in tal senso è dato dal settore del musical, in espansione in un paese che non possiede al proprio interno tale tradizione, e dunque neanche scuole adeguate a formarne gli interpreti.

Relativamente all’area gestionale-organizzativa si è di fatto sistematizzato un paradigma di competenze necessarie, attinenti macro aree quali: Legislazione dello Spettacolo, Economia della cultura, Politiche culturali, Gestione economica e amministrativa, Organizzazione dello Spettacolo, Gestione delle risorse umane, Strategie aziendali, Project management, MKT e comunicazione, Nuove tecnologie applicate, Service management, Sviluppo del territorio, oltre alle competenze culturali specifiche.
Si avverte peraltro l’esigenza di una mappatura puntuale e aggiornata delle professioni e dei mestieri dello Spettacolo, con una particolare attenzione verso i nuovi profili. In una visione di prospettiva andranno dunque contemplate figure quali il cultural planner, poiché il settore necessita di figure le cui basi conoscitive vadano oltre il management e le politiche culturali per abbracciare l’economia politica, la sociologia urbana, l’antropologia, le discipline che consentono la lettura del territorio.
Restando su quest’area, si riscontra da alcuni anni una difficoltà da parte delle imprese di reperire personale con caratteristiche e competenze corrispondenti con le effettive attuali esigenze. Si rileva una discrasia: a fronte di una domanda sempre più decisa di figure posizionate su standard di specializzazione elevati si riscontra un’offerta di neo professionisti, con una formazione in massima parte di tipo generalista, slegata da una conoscenza effettiva del settore, nonostante (o forse a causa di questo) un’offerta formativa, complessivamente intesa, in crescita.
Parallelamente si riscontra un’offerta insufficiente per quanto concerne la formazione continua e quella permanente, indirizzata a chi già lavora, finalizzata alla specializzazione e all’aggiornamento, riconducibile all’alta formazione universitaria, seppure queste tipologie formative rappresentino leve strategiche essenziali per attivare processi innovativi. Tale esigenza è particolarmente sentita in una fase come quella attuale caratterizzata, per ovvi motivi, dalla contrazione di assunzioni, mentre i professionisti strutturati avvertono la necessità di attestarsi su livelli sempre più alti di conoscenza e capacità all’interno di un contesto competitivo.
E ancora: lo scenario in essere evidenzia in maniera netta l’assenza di un disegno organico per la formazione degli operatori delle Regioni e degli Enti locali addetti allo spettacolo, che spesso assolvono il duplice ruolo di gestori di eventi e di attività e di erogatori di finanziamenti. E’ sin troppo evidente in questo ambito il richiamo alle previste nuove attribuzioni di competenze, in materia di spettacolo, alle Regioni e agli Enti Locali, in termini di legislazione concorrente, in conseguenza della riforma del titolo V della Costituzione, quali che siano le scelte future.
Si riscontra un certo disordine nella moltiplicazione e caratterizzazione dei corsi; si avverte l’esigenza di forme di coordinamento a livello nazionale.
Da una parte vi sono le imprese (nell’accezione più ampia del termine), e gli stessi operatori, forti di una consapevolezza ormai acquisita dei fabbisogni formativi, dall’altra una domanda anche entusiasta da parte di giovani che hanno già compiuto percorsi di studi superiori o il triennio post riforma universitaria e aspirano ad entrare nel mercato del lavoro; al centro una copiosa offerta fatta di master, corsi di alta formazione universitaria, lauree specialistiche, scuole recitazione e di danza, corsi per figure tecniche e tecnico-artistiche promossi da enti di formazione e scuole specializzati, in parte sostenuti dalle Regioni. L’ampiezza dell’offerta formativa causa in primo luogo un disorientamento nell’utenza e, dato più rilevante, per alcune figure un abbassamento progressivo della capacità di assorbimento da parte del mercato a causa dello squilibrio tra il numero delle persone formate e la domanda reale.
Negli anni Novanta si era creato una sorta di sistema formativo per lo Spettacolo, grazie al lavoro di Università quali il DAMS di Bologna, la Luiss, la Bocconi e scuole come la Civica Paolo Grassi di Milano, la Fitzcarraldo di Torino, l’Ater Formazione, diversi centri di formazione. Tale sistema, in buona parte caratterizzato dall’intervento delle regioni e delle province in virtù dell’utilizzo del Fondo Sociale, che aveva mostrato dei limiti ma anche grande capacità propositiva, è stato in parte esautorato nel suo ruolo con l’avvento della Riforma Universitaria avviata nel 2.000. Tale riforma, per contro, ha evidenziato l’assenza di sistemi di rilevazione tali da consentire una progettazione delle attività formative (ci riferiamo in primo luogo ai master di I e II livello) coerente con le tendenze dell’occupazione e i reali fabbisogni.

Possibili soluzioni

Lo sviluppo di strumenti per analizzare l'andamento del mercato, facendo qui ricorso agli Osservatori regionali dello Spettacolo che stanno vivendo una fase di grande espansione e nella definizione di forme strutturate di collaborazione tra Università, scuole, enti di formazione, soggetti che operano nella ricerca, imprese, associazioni datoriali, rappresentanze sindacali.

Il sostegno alla nascita di nuove realtà (poli di eccellenza) in grado di dialogare con i diversi livelli di governo, stabilizzate sul piano dei finanziamenti pubblici, la cui vision sia favorire l’occupazione e l’evoluzione del settore, che oltre a garantire competenze sul piano imprenditoriale, dispongano di strumenti e metodologie atti a coprire l’intero ciclo che va dall’analisi dei fabbisogni formativi alle azioni finalizzate a favorire l’inserimento in azienda. Si auspica, infatti, come ricaduta della costituzione di poli formativi specializzati, la costruzione di filiere dell’offerta formativa: dai percorsi universitari alla formazione continua, sino all’alta specializzazione conseguita attraverso corsi con un’impostazione internazionale nell’impianto teorico e nelle fasi operative.

La costruzione di sistemi ad hoc che consentano di coniugare domanda e offerta professionale, di porre in relazione interventi con incidenza e rilevanza regionale con progetti nazionali, secondo strategie a medio e lungo termine. Questo in linea e d’intesa con quanto si sta facendo a livello nazionale con la Borsa Continua Nazionale del Lavoro, promossa dal Ministero del Lavoro e dalle Regioni sulla base della Legge 30/03.

Infine la questione delle qualifiche professionali. Attualmente le qualifiche (non si parla ovviamente dei titoli rilasciati dall’Università e dalle altre istituzioni parificate), sono riconosciute dalle Regioni, che in base alla riforma del Titolo V le Regioni hanno acquisito competenza esclusiva sulla formazione.
Ogni Regione è dunque libera di adottare un proprio sistema di qualifiche e standard professionali. Lo Spettacolo, rientra viceversa nella legislazione concorrente Stato-Regioni, con tutto quanto ne consegue.

È un grave problema, che non riguarda ovviamente solo lo spettacolo, di cui si è recentemente preso coscienza, anche per effetto di disposizioni e raccomandazioni europee.
A livello nazionale, nel 2006 è stato attivato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale un Tavolo Unico finalizzato alla definizione di un sistema nazionale di standard minimi professionali, di riconoscimento e certificazione delle competenze e di standard formativi, che coinvolge il Ministero dell’Istruzione, il Ministero dell’Università e della Ricerca, il coordinamento delle Regioni e le Parti sociali.
Ma i tempi per la sua messa a punto di un sistema condiviso in Italia e in Europa saranno ineluttabilmente ancora lunghi.


 


 

BP04: Cinquant'anni di ARCI
(visibiltà)
di Emanuele Patti

 

Innanzitutto vorrei ringraziare tutti per l'invito, che ci dà la possibilità, in un appuntamento importante come questo, di ricordare che quest'anno stiamo festeggiando i cinquant'anni dell'Arci. Associazione che trova proprio nel movimento operaio, nelle società di mutuo soccorso e nelle case del popolo i suoi valori fondanti e le sue origini.
Oggi quei valori e quelle aspirazioni, si ritrovano, aggiornate nei tempi e nei linguaggi, nella costruzione di un associazionismo di promozione sociale, che trova radicamento in tutto il territorio italiano.
A Milano si parla di circa 170 circoli e di 70.000 soci, che frequentano appunto le nostre basi associative. Per quello che riguarda il rapporto di Arci Milano con gli spazi culturali, assistiamo dal 2001 circa ad una costante crescita di questi luoghi, spesso aperti da cittadini ed artisti, con l'intento di promuovere cultura e aggregazione, al di fuori delle logiche commerciali, in un'ottica di apertura di nuovi spazi sociali.
Nel nostro tessuto, troviamo compagnie teatrali emergenti, ma anche nell'emergenza della carenza di spazi, troviamo nuovi luoghi dove promuovere concerti, mostre, spettacoli ed eventi, spesso luoghi recuperati alla città, e non proprio convenzionali. Il comitato di Milano, proprio per aiutare nella promozione questi circoli, ha proposto ed ottenuto un finanziamento da Fondazione Cariplo, per un progetto "Via Libera", che aveva come obiettivo la circuitazione di produzioni artistiche, tra cui anche alcuni spettacoli teatrali, nei circoli arci di Lombardia. In una città come Milano, probabilmente potremmo fare di più per il teatro, ma da un lato i suoi costi alti, dall'altro la difficoltà di far ragionare le giovani compagnie in un'ottica di rete condivisa, rende questo percorso ancora un po' difficile.


 


 

BP04: Il razzismo, la memoria
(geografie)
di Patrizia Bortolini

 

Il titolo di questo incontro parla di emergenze. Anch’io vorrei partire da due di quelle che mi paiono emergenze milanesi: il razzismo e la memoria. Mi spiego.
Nel teatro, luogo multiculturale per antonomasia, forse non si percepisce che invece è ormai dilagato un senso comune ferocemente razzista, si sta, secondo me, sottovalutando l’effetto che hanno fatto, e stanno facendo, sulle persone certe prese di posizione ed affermazioni da parte di politici e giornalisti. L’immigrato è ormai l’untore: stupratore, ladro, spacciatore, omicida. L’uomo nero delle fiabe si incarna in ogni persona con sfumature di colore di varia natura tendenti allo scuro. Basta salire su un mezzo pubblico per assistere a scene incredibili: insulti, gente che li apostrofa come terroristi, una ragazza che parlando di una signora extracomunitaria dice “non è dei nostri”. Un generalizzato fastidio che diventa disponibilità ad accettare qualsiasi soluzione politica per quanto riguarda “gli stranieri” ormai non più solo extracomunitari. Tutto questo è pericoloso, il pericolo è grande anche per tutti i cittadini italiani, un rischio di limitazione della democrazia, perché le restrizioni democratiche finiscono sempre per riguardare tutti.
La seconda emergenza, dicevo, è la memoria. Non intendo la memoria celebrativa, istituzionalizzata, lo studio della storia, che comunque male non farebbe, intendo l’interruzione di una narrazione che ha estirpato senso comune, prodotto anomia e smarrimento di identità. Intendo l’aver lasciato allo sbaraglio, soli e in fila per uno, davanti allo sfruttamento intere generazioni. Per memoria intendo il cosa c’era, prima che fosse rasa al suolo la Stecca degli Artigiani, fabbrica trasformata in luogo d’arte, ora vi saranno dei palazzi, il primo Leoncavallo dove ora c’è un anonima casa, via Morigi che vogliono sfrattare, oppure, ed è ben più grave, le fabbriche dove nel 1944 si fecero gli scioperi durante l’occupazione nazista (Falck, Breda, Magneti Marelli, Pirelli), ed ora ci sono centri commerciali, uffici e università. A Milano si sta cancellando ogni e qualsiasi luogo o segno che abbia rappresentato qualcosa di alternativo al pensiero dominante. Non solo politicamente, ma culturalmente. Non è solo il tempo che passa, ben vengano cambiamenti e novità. La linea è ristabilire l’ordine, cancellare la memoria. Non ricordare che noi eravamo poveri e immigrati, che si lottava per la libertà, la democrazia, per i diritti nel lavoro, che abitavamo nelle case di ringhiera con il bagno fuori, che le donne morivano di aborto clandestino, che non potevano accedere a molte carriere professionali, che potevano essere sposate a forza dall’uomo che le aveva rapite e violentate, era previsto nell’ordinamento giudiziario persino il delitto d’onore, e si deve arrivare agli anni ’70 per cancellarlo! Potrei parlare per ore di quanto abbiamo perso in coscienza e conoscenza. Non si può ricordare tutto, certo, ma qualche fondamento della nostra vita attuale forse varrebbe la pena.
Allora per fare tutto questo abbiamo bisogno, tanto, anche del teatro. Milano ha bisogno del teatro per non dimenticare se stessa . Questo paese ha bisogno di recuperare il senso della democrazia, quello vero e profondo che ci hanno consegnato dopo averla perduta con il fascismo. Non celebrazioni, ma senso quotidiano. Democrazia come dialogo, rapporto, conflitto con i luoghi delle istituzioni, come senso critico, come idea che non siano solamente gli esecutivi a decidere ma esista un rapporto dialettico tra la società e la politica, capisco il timore di cooptazione, ma la politica non può diventare quel luogo, come diceva qualcuno parlando del teatro, dove mentre si parla di politica ci si dimentica la vita. Concludo con una riflessione che attiene la democrazia. In molti interventi si rincorre il problema dei finanziamenti, prima si parlava di trasparenza nell’utilizzo dei fondi pubblici, di senso civico. Si parlava del sistema Milano. Ecco diciamo che su questo vi sono diverse considerazioni da fare che accenno solamente. Per quanto riguarda il primo aspetto dico solo che il Sindaco di Milano è in questo momento indagato, non giudico, tutto potrà risultare legalmente ineccepibile. Rimane il giudizio politico di quegli stipendi a 200.000 euro l’anno (“una novantina di funzionari con stipendi a volte triplicati” da Il Sole 24 ore 29.11.2007, “Una simile indagine è condotta parallelamente anche dalla magistratura contabile della Corte dei Conti. Nel mirino, oltre alla nomina di super dirigenti, la scelta del sindaco di affidare proficue consulenze a professionisti esterni. All'origine dell'inchiesta giudiziaria un esposto dell'opposizione in cui si legge che l'assunzione di super consulenti scelti all'esterno dell'amministrazione grava sul bilancio comunale del 2007 con una spesa di 40 milioni e 607 mila euro: un milione in più rispetto al 2006” da la Repubblica 29.11.2007). Non commento. Poi parliamo dei 19 milioni di euro dati dalla Regione Lombardia alle Comunità montane. Nulla contro di esse, per carità mi chiedo se sia una cifra compatibile visto che si continua a parlare di mancanza di soldi pubblici. E per quanto riguarda il “fare sistema”, non dimentichiamo che il Sistema a Milano c’è. Al Teatro Arcimboldi, costato ai contribuenti decine di milioni di euro, ora si fa Zelig. Bellissimo, sapete di quale rete fa parte. In Triennale c’è un’installazione su Striscia la notizia, nulla in contrario. Ho fatto solo due esempi. Ma le persone che lavorano nello spettacolo credo potrebbero aggiungerne. Passa di lì la strada. Non sempre, ma spesso e volentieri. D’altra parte quando un’azienda controlla televisioni, case editrici, teatri, giornali... Andrebbe aperta una riflessione sulla libertà della cultura, una cultura oltretutto costretta alla precarietà. Precarietà della cultura precaria. Ma qui concludo, con l’annuncio degli Stati Generali della Sinistra a Milano. Questo ambito è quello che vorremmo diventasse casa comune per tutti coloro ai quali questo stato di cose non piace e credono che un mondo diverso sia ancora possibile.


 


 

BP04: Appunti di sopravvivenza e testimonianze di una coreografa a Milano.
(emergenza danza)
di Barbara Toma

 

Mi chiamo Barbara Toma, sono una coreografa e vivo a Milano.
A tredici anni ho lasciato la mia città natale, Lecce, e sono emigrata all’estero per intraprendere i miei studi di danza.
Sono tornata a vivere in Italia solo dodici anni dopo.

Se è vero, come dice Gerarda Ventura in chiusura del suo intervento, che fare politica non è solo appartenere a un partito, ma che politica sono anche le scelte che facciamo.

Allora io, la mia scelta politica, l’ho fatta nel momento in cui ho deciso consapevolmente di vivere e lavorare in Italia.
La vita di un coreografo in Italia è una battaglia continua. Una lotta alla sopravvivenza. Alla visibilità. Alla possibilità di svolgere, finalmente, semplicemente, il tuo lavoro in pace.
Si tratta di un problema culturale, prima di tutto. Il nostro paese non ha una consapevolezza di cosa significhi danza contemporanea, e quindi non ne conosce le esigenze, non la promuove, non la programma, non la produce, non incentiva i giovani talenti, non la rispetta, non la interpella.

Tante sarebbero le buone pratiche per migliorare la situazione della danza e delle arti performative contemporanee in Italia e a Milano.
Evito di addentrarmi in quelle che potrebbero essere delle buone pratiche per gli altri e parto da me.

Le mie buone pratiche. appunti di sopravvivenza, testimonianze e obbiettivi di una coreografa a Milano

1. considero una buona pratica mettere in dubbio il mio stesso lavoro e chiedermi se vale la pena presentarlo a un pubblico. Interrogarmi insomma sulla necessità-qualità e l’efficienza del mio creare.

2. considero una buona pratica riuscire a trovare un buon equilibrio tra: ore passate al computer, ore passate a cercare di guadagnare soldi e ore passate in studio ad allenarmi/creare.

3. considero una buona pratica rifiutarmi di chiedere a un danzatore di lavorare gratuitamente.

4. considero una buona pratica sforzarmi di delegare ad altri… affidare costumi, luci, scene, grafica, altro a dei professionisti.

5. considero una buona pratica NON inviare il materiale del mio spettacolo a quei festival che NON meritano la mia stima.

6. considero una buona pratica confrontarmi con i colleghi all’estero e mantenere sempre alti gli obbiettivi da raggiungere.

7. considero una buona pratica abituarmi a ripetere sempre le stesse cose, anche se sembrano scontate.
ad esempio:

- che è ridicolo che una città come Milano non abbia una stagione di danza;
- che la danza contemporanea dovrebbe venire incentivata con produzioni e residenze;
- che è tempo di un cambio generazionale di programmatori e critici;
- che è ridicolo che la Regione Lombardia abbia destinato solo lo 0,4% dei fondi per la cultura del 2006 alla danza, cioè meno dello 0,7% destinato alle arti circensi e al teatro di strada... e molto meno dello 3,4% destinato al teatro;
- che siamo nel 2007 e che in realtà sarebbe ora di smetterla di dividere le arti performative contemporanee in diversi settori;
- che c’è una grossa fuga di talenti all’estero e che vengono incentivati solo i 20enni emergenti o i 45enni sopravvissuti. mentre la generazione di mezzo (quella che ha dimostrato di saper emergere e di avere talento e sulla quale bisognerebbe investire) viene invece completamente ignorata;
- che nel teatro italiano ci sono pochissime opportunità e poteri troppo concentrati.

8. considero una buona pratica difendere con forza il mio mestiere.

9. considero una buona pratica battermi affinché vengano cambiate le leggi che regolamentano lo spettacolo dal vivo nel mio paese.
(per esempio aderendo ed essendo attiva nel tavolo dei coordinamenti e delle reti della danza e delle arti performative contemporanee e quindi nel coordinamento regionale lombardo, il C-DAP)

10. considero una buona pratica cercare di mantenere costante il lavoro di ricerca in studio. anche quando non ci sono nuove produzioni.

11. considero una buona pratica condividere le informazioni e aiutare chi vuole intraprendere il mio stesso mestiere (a parte consigliargli di andare all’estero).


Appunti di sopravvivenza
Decalogo di consigli a un giovane coreografo in Italia
(alcuni possono sembrare poco dignitosi. io mi limito a dire come si può sopravvivere. ma non è detto che io sia d’accordo con tutto)

1. chiediti se è davvero questo ciò che vuoi fare…

2. procurati subito una persona per aiutarti nell’organizzazione promozione e vendita dei tuoi lavori.

3. il nostro è un mestiere che si impara e si perfeziona con la pratica. non cedere alle esigenze economiche lavorando a tempo pieno e togliendo cosi tempo alla pratica. cerca lavori notturni o poco impegnativi (barista nei pub, eventi nelle discoteche, animazione alle feste, venditore, nel fine settimana, di appartamenti in multiproprietà, guida turistica, curatore di festival, critico, insegnante di aerobica).

4. cerca sempre di lavorare seguito da un coreografo che stimi, un occhio esterno in grado di darti consigli.

5. se non lo hai già fatto: cerca di danzare per almeno un anno in compagnia con un coreografo famoso. questo ti faciliterà molto per la visibilità, l’accesso ai festival e la richiesta di finanziamenti e sponsor come coreografo.

6. apriti da subito un’associazione culturale!! Ti servirà per ottenere qualunque tipo di finanziamento, e più anziana è più possibilità hai. il sistema ti spingerà a chiedere appoggio ad altre compagnie, già esistenti. NON CADERE NELLA TRAPPOLA! Apriti comunque subito una tua associazione e cerca di lavorare sempre con quella almeno che non ti sia esplicitamente richiesto altro. altrimenti , dopo anni di lavoro, potresti scoprire di NON esistere!

7. cerca di accumulare almeno 78 giorni lavorativi in un anno, in modo da poter ottenere la disoccupazione in estate.

8. cerca di darti ogni anno degli obbiettivi: il primo anno delle apparizioni gratuite per farti vedere, il secondo con rimborso spese, il terzo con un piccolo cachet. cerca di crescere sempre e NON TORNARE MAI INDIETRO!

9. allo stesso tempo cerca di mantenere bassi i tuoi prezzi.

10. cerca di restare aggiornato e di studiare quando puoi.

11. cerca di farti vedere all’estero.

12. segui un corso di video editing, uno di grafic design, uno di comunicazione e uno di marketing.

13. compra Organizzare teatro di Mimma Gallina e tienilo come una bibbia!

14. sii flessibile ma allo stesso tempo cerca di difendere sempre il tuo lavoro!Non permettere a nessuno di non metterti in grado di presentare il tuo lavoro al meglio!

15. se vedi uno spettacolo che non ti piace fischia! lamentati, critica!

16. allenati a scrivere recensioni.

17. abbi il coraggio di denunciare ciò che non ti garba.

18. se riesci ad ottenere una buona visibilità nei primi anni di lavoro. abbi l’accortezza di cambiare nome dopo massimo tre anni!Ai programmatori italiani non piacciono i nomi già sentiti. né quelli italiani!prova con un nome straniero!

19. trovati un compagno/a ricco/a o un mecenate.

20. cerca di entrare nelle grazie di qualche coreografo e/o programmatore che è nel giro “giusto”.

21. non ti curare della qualità del tuo lavoro! pensa solo a come promuoverlo e cosa poter offrire in cambio!

22. mettiti dei soldi da parte per 3 o 4anni. in modo da poter poi organizzare dei tuoi spettacoli per soli programmatori, naturalmente invitati da te e tutti tuoi ospiti…

23. entra a far parte di uno dei network internazionali di artisti.

24. non creare spettacoli intorno a temi che ti premono. piuttosto cerca di scoprire in anticipo quali temi sono richiesti ai bandi più importanti di finanziamenti e basa il tuo lavoro sull’offerta dei bandi.

25. non collaborare con artisti che incontri sul tuo cammino e che ti stimolano. cerca artisti ,di qualunque tipo, che vivono o provengono dai paesi più interessanti per i bandi della comunità europea.

26. non essere onesto nelle contrattazioni. finirai per rimetterci.

27. non spedire un DVD senza telefonare e chiedere prima. e dopo telefona e chiedi conferma dell’arrivo e un parere.

28. qualunque cosa scrivano su di te, ricorda SEMPRE di chiamare e ringraziare!

29. Hollywood insegna. non importa se si parla bene o male. l’importante è che se ne parli! Cerca quindi di inventarti uno scandalo per pubblicizzare il tuo debutto!

30. NON TI DEPRIMERE. Ricorda che i tuoi insuccessi, nel nostro paese, non hanno nulla a che fare con tuoi demeriti.

31. NON ti montare la testa. Ricorda che i tuoi successi, in questo paese, non hanno nulla a che fare con i tuoi meriti!

32. più tardi vieni da me, e ti darò la lista dei pochi programmatori italiani che fanno il loro lavoro con passione e onestà.

33. non perdere tempo con l’invidia. nessun collega in questo paese sta davvero bene. e ricorda che se lavori poco. hai fatto poco il tuo dovere di promoter e manager!

34. se sei ateo smettila subito! le preghiere ti serviranno.



BARBARA TOMA - studia e lavora per più di dieci anni all’estero con maestri di fama internazionale. Diplomata alla School for New Dance Development di Amsterdam. Come danzatrice ha lavorato in diversi progetti in Olanda, Germania ed Austria. Nel 2001/2 ha danzato con la compagnia DEJA’ DONNè . Finalista al concorso di coreografia Città di Bologna '00, vincitrice borsa di studio danceWEB a Vienna. Come coreografa e interprete è stata ospite di diversi festival in Italia e all’estero.Ha portato i suoi lavori a: Cagliari, Lecce, Mantova, Alfonsine, Pavia, Roma, Domaso, Ferrara, Sondalo, Cerrate(Br),Cervia , Roma, Milano,Cagliari,Torino . Tra le sue creazioni:KRUDA (2001),DOOD (2003), GIACOMOGIACOMO (2004),FREEDOM (2006), ORBATA(2007) Nel 2006 ha fondato la compagnia robabramata. Dal 1999 fa parte dello staff insegnanti dello ials di Roma. Dal 2001 insegna regolarmente a professionisti e non tra Roma, Milano ed Amsterdam.
Ha ideato e curato presso il CRT teatro dell’arte di Milano il FESTIVAL int. della nuova danza SHORT FORMATS the survival kit (2005) e the invisible power kit (2006). Ultimamente collabora con il PiM spazio scenico di Milano (dove oltre a ricevere ospitalità e sostegno per i suoi progetti artistici si occupa del network internazionale)
Barbara Toma è tra i fondatori del movimento del tavolo nazionale delle reti e dei coordinamenti della danza e delle arti sceniche contemporanee nonché del C-DAP (coordinamento Lombardo).

 


 

BP04: Oltre i vincoli di genere
(emergenza danza)
di Roberto Castello

 

Nello spettacolo italiano l'emergenza non è una novità, per interi settori è una condizione endemica e non è una novità neppure che siano i giovani a pagare il prezzo più alto. Sono i meno protetti, i meno organizzati e in Italia, con ogni evidenza, vale più l'anzianità del merito.
La situazione è immobile e ingessata, i nomi dei direttori artistici delle principali istituzioni dello spettacolo sono da decenni sempre gli stessi, lo stesso è per i registi di punta e gli attori più pagati hanno età imbarazzanti. Gli Stabili pubblici e privati restano complessivamente un inespugnabile fortino della conservazione.
In questo quadro porsi il sacrosanto problema di come consentire ai giovani di formarsi al meglio rischia di essere del tutto irresponsabile dal momento che il lavoro ora come ora è poco, poco pagato e in genere poco motivante per un giovane artista inquieto.
La confusa rincorsa allo spettatore che negli ultimi decenni ha reso le stagioni e le rassegne italiane rassicuranti quanto e più della televisione e la pigrizia intellettuale di chi ha legittimato e rafforzato la convinzione che il teatro sia il luogo in cui si recitano i testi, meglio se classici, a memoria, ha messo strutturalmente ai margini del sistema tutto ciò che oggi potrebbe contribuire a dare dignità alla cultura del nostro paese, tutto ciò che ogni nuovo regolamento e disposizione di legge in teoria dice di voler innanzitutto promuovere e sostenere: la creazione contemporanea, le nuove forme della drammaturgia, la multidisciplinarità e i nuovi linguaggi di cui i giovani, a rigore, dovrebbero essere la naturale espressione.
Sarebbe davvero ora che i regolamenti venissero applicati alla lettera, anche nelle dichiarazioni di intenti. Le leggiamo dovunque da decenni e sono metodicamente disattese nei fatti. Il sospetto è che la loro vera funzione sia quella di ingannare quella vastissima, inquieta, generosa e frammentatissima galassia di artisti e operatori che, non inquadrati ed inquadrabili nei sistemi della lirica e della prosa, per questo stesso fatto, senza eccezione, lavorano al di fuori delle più elementari regole di tutela previdenziale ed assistenziale ma regalano, con la loro disinteressata energia, vitalità e legittimazione ad un sistema delle attività culturali che senza di loro non sarebbe in grado di esistere.

Per smettere di sfruttare ed iniziare ad utilizzare queste energie occorre che la politica dimentichi le corporazioni e rimuova innanzitutto i vincoli di genere, i meno adatti a definire le multiformità delle creazione artistica attuale.
La politica, almeno in ambito culturale, non deve limitarsi ad amministrare il presente, deve chiedersi come sarebbe giusto fosse il futuro ed operare di conseguenza. Gli aumenti di risorse sono del tutto inutili se, come è per lo più avvenuto in occasione del Patto per le Attività Culturali, si traducono in mere spartizioni percentuali fra i soggetti esistenti. Non saranno le poche decine di migliaia di euro elargite qui e là ai soliti vecchi soggetti a fare ripartire lo spettacolo contemporaneo.

L'emergenza è il dovere morale di smettere di sperperare il capitale umano che il nostro paese continua generosamente, ma vanamente, ad esprimere.
Ciò che occorre è una liberalizzazione che imponga il ricambio; rimuova, con una nuova legge unica per lo spettacolo, ogni discriminazione di genere e favorisca la libera circolazione delle opere, di qualsiasi tipo esse siano; premi la qualità; decentralizzi i luoghi delle decisioni favorendo la nascita di reti di nuovi luoghi e nuovi soggetti; renda complessivamente più capillare e qualitativamente alta l'offerta culturale.


 


 

BP04: Formazione, qualità e riconoscimento dell'operatore culturale
(formazione)
di Andrea Minetto *

 

Ci siamo davvero abituati a lavorare in condizioni di emergenza quotidiana.
E' per questo che mi viene spontaneo superare l'accezione legata alla precarietà economica contingente e riflettere su un altro aspetto, personalmente più vicino, legato alla formazione e all'inserimento lavorativo dei giovani operatori culturali.

Grazie al mio particolare percorso formativo e professionale ho avuto la fortuna di vivere fino a poco tempo fa un doppio ruolo: da una parte quello di professionista (attraverso la mia agenzia di produzione e come organizzatore dell'ensemble Sentieri selvaggi) e dall'altra quello di tipico studente (con il corso in Paolo Grassi e una Laurea in Comunicazione) destinatario degli innumerevoli percorsi di formazione sullo spettacolo.
Questa particolare situazione mi ha permesso di vivere le esigenze di entrambi i versanti , osservando da vicino sia alcune dinamiche dell'offerta e contemporaneamente anche della domanda, sempre però con particolare riferimento alle professionalità non prettamente artistiche che rientrano nella più ampia e indefinita etichetta di organizzatori culturali.

La questione più evidente che bisogna porre, come altri hanno già segnalato, è la confusione e l'abbondanza dell'offerta formativa, la quale, oltre ad avere troppo spesso una qualità discutibile a fronte di costi di accesso molto elevati, risulta indubbiamente sproporzionata rispetto alle reali capacità di assorbimento del mercato.
Una possibile causa di questa sproporzione, che si è accentuata moltissimo negli ultimi anni, è da ricercarsi in due opposte tendenze che hanno investito più che in passato il mondo delle performing arts.
Se da un lato infatti la quota di finanziamento pubblico alle realtà culturali si è drasticamente ridotta e le istituzioni non prettamente commerciali faticano sempre di più a garantire una stabilità ai propri occupati, dall'altro il mercato dello spettacolo commerciale, sull'onda dei grandi show, della logica degli eventi e dell'influenza del mondo della tv (vedi i Gormiti, Cocciante e le Winx per citare i casi più recenti), si è allargato in maniera esponenziale moltiplicando di conseguenza fatturato, professionisti e attenzione mediatica.
Questa situazione ha a sua volta prodotto un'ondata di attenzione che è arrivata fino al mondo della formazione, il quale ha intravisto un terreno fertile, poco esplorato e interessante per attrarre nuovi studenti.
Nel giro di pochi anni e con una concentrazione territoriale impressionante si sono creati una miriade di facoltà, corsi, scuole e accademie sulle professioni dello spettacolo
Milano stessa ne è un esempio emblematico. Una città satura dal punto di vista occupazionale dove i pochi soggetti che potrebbero e dovrebbero permettere un reale inserimento retribuito sono assillati non solo dal ricambio normale dei professionisti ma anche da decine di scuole e università che hanno interesse a piazzare i propri studenti a cui hanno preventivamente assicurato una qualche opportunità di stage formativo.

Pertanto sempre più frequentemente proprio questi enti non sono più interessati a costruire collaborazioni durature con professionisti regolarmente retribuiti ma preferiscono invece affidare ad un numero maggiore di stagisti non pagati gli stessi compiti, guadagnandone sicuramente dal punto di vista contabile ma non in termini di continuità, capitalizzazione dell'esperienza e qualità del lavoro svolto.

Questa è la prima grande emergenza che andrebbe affrontata. Sfrondare in fretta e ridurre la miriade di master e corsi che hanno come risultato la creazione di un enorme quantità di stagisti, non solo troppo spesso poco formati ma anche non sempre consapevoli di cosa è realmente il mondo dello spettacolo.
L'unico effetto che quindi si produce, ed è davvero un'emergenza e una grave responsabilità sia per gli enti di formazione che per i soggetti culturali che, più o meno in buona fede continuano a sfruttare a loro favore questo fenomeno, è la creazione di un vastissimo precariato tra i giovani e un progressivo abbassamento della competenza professionale.
Certo, mi si dirà che per i neodiplomati e laureati c'è sempre la strada, entusiasmante ma faticosissima dell'associazionismo e dell'auto imprenditorialità.
Tuttavia anche questa prospettiva ha come risultato quello di aumentare vertiginosamente il numero di soggetti che si troveranno costretti ad operare in totale concorrenza sempre nello stesso asfittico mercato!
Le emergenze di precarizzazione, sfruttamento e svalutazione qualitativa del lavoro credo siano quindi imputabili alle grandi realtà produttive e formative ma anche alla mancanza di una chiara politica di tutela da parte delle istituzioni.
Se lasciato così questo sistema, produrrà danno non solo ai giovani e agli stessi professionisti/formatori già inseriti ma anche alla qualità generale di tutto il comparto delle arti performative.

Il secondo punto di riflessione riguarda infatti non più i formatori ma proprio tutti i giovani operatori che costituiscono ormai a pieno titolo per numeri e impatto una vera e propria categoria emergente.
Le arti performative ci sono sempre state così come gli attori, i musicisti, i tecnici e gli impresari pure, ma mai come in questi anni si è visto un proliferare di figure che giravano più o meno utilmente intorno alla “cosa artistica”.
Ormai “tutti” sono organizzatori di spettacoli, di eventi, di arte anche solo perché hanno fatto un concerto in oratorio, hanno portato il caffè ad un regista famoso o peggio ancora perché hanno organizzato un dj set in qualche discoteca alla moda.
In effetti il nostro lavoro di operatori culturali è legato alla sfera dei servizi e quindi di per sé viene considerato un po' effimero, difficilmente identificabile e non riconosciuto come portatore di una e vera propria professionalità.
Quello che mi sento dire sempre più spesso quando parlo della mia professioni è che, bene o male, alla fine un po' tutti possono fare il nostro lavoro poiché in qualche modo i progetti e le produzioni si portano sempre a casa.
E allora il problema che i giovani organizzatori si devono porre come EMERGENZA e che poi devono trasformare in BUONA PRATICA, è proprio il modo in cui vengono conclusi e svolti questi lavori.
Nel campo delle performing art il come non è secondario anzi la qualità si basa spesso proprio su quello: come uno interpreta un personaggio, come uno legge un testo, come uno si approccia ad una problematica artistica, come uno arrangia una canzone.
Ecco, credo che ora i nuovi operatori culturali debbano porsi in maniera urgente e prioritaria rispetto al passato anche la questione del COME si lavora dietro le quinte.

Di fronte a questo tipo di emergenza, di molti e nuovi professionisti che si affacciano nel mondo dello spettacolo, bisogna dunque riconoscere e tutelare le competenze e le professionalità specifiche che privilegino sempre di più la qualità del lavoro svolto.
Qualità quindi sia da innalzare nella formazione ma anche da pretendere dai professionisti stessi, che, anche se giovani e alle prime esperienze, saranno sempre meno sostituibili gli uni con gli altri e sempre più riconosciuti all'esterno come una vera e propria categoria professionale.

* Ensemble Sentieri selvaggi / Yawp Produzioni


 


 

BP04: Ecole des Ecoles il metodo del confronto
(formazione)
di Bruno Fornasari

 

La tradizione teatrale europea si fonda da sempre sulla mobilità, sullo scambio, sul confronto di filosofie ed estetiche. I problemi da risolvere sono per tutti essenzialmente due: il problema arte ed il problema professione. Affinché una tradizione, sedimentata in secoli d’esperienza, possa ancora proporsi come lingua viva e necessaria, occorre un confronto sulla pratica del lavoro e sui metodi da applicare, in circostanze sempre più precarie e sempre più mercificate.
Ormai da anni a San Miniato (PI) si tiene un appuntamento annuale sulla formazione nell’arte della scena, Prima del Teatro – Scuola europea per l’arte dell’attore, che raccoglie sotto l’ombrello organizzativo del Teatro di Pisa alcuni dei centri di formazione teatrale più importanti d’Europa. L’appuntamento prevede una serie di seminari della durata media di due settimane incentrati sui vari mestieri del teatro, dall’arte dell’attore all’arte della scrittura.
Questo modulo di scuola estiva è un’importante occasione di scambio d’esperienze, in cui allievi da tutta Europa possono incontrarsi in un ambiente artisticamente stimolante e non performativo, in un clima di condivisione dove prevale l’attenzione al processo più che al risultato.
Nel marzo 2006, da un’idea di Patrick Bourgeois dell’ENSATT di Lione e Roberto Scarpa del Teatro di Pisa, alcune delle scuole più solide, per fama e tradizione, hanno avviato un dialogo attorno alla possibilità di creare un Polo Europeo di Cooperazione Culturale fondante su due attività: un programma pedagogico pluriennale, un festival delle scuole di teatro.
L’ideazione basa sulla premessa condivisa che l’arte non sia insegnabile, e che il solo modo di favorire un suo sviluppo sia quello di accompagnare l’allievo in un percorso di progressiva acquisizione di consapevolezza delle proprie risorse creative.
Un apprendistato, per tornare alla tradizione, che si avvicini più all’artigianato che all’arte, un processo attraverso il quale l’attore possa acquisire strumenti tecnici e critici coi quali affrontare la professione e l’ambiente di lavoro in cui esercitarla.
Data la tendenza inerziale del sistema teatrale, in Europa come in Italia, a far dell’attore un esecutore più che un creatore del ruolo, scopo di questo continuo confronto sul processo, quindi sul metodo, è di resistere alla domanda di attori obbedienti cercando di formare attori intelligenti.
Ad un anno di distanza la fondazione dell’APECC (Associazione Polo Europeo di Cooperazione Culturale) ha dato i suoi primi frutti creando Ecole des Ecoles, un network europeo per la formazione nelle arti del teatro, di cui fanno parte:
Accademia dei Filodrammatici di Milano, Accademia Nazionale Silvio D’Amico di Roma, ENSATT di Lione, Guildhall School di Londra, RESAD di Madrid, Institut del Teatre di Barcellona, Statens Teaterskole di Copenaghen, Teatro di Pisa, Universitat der Kunste di Berlino.
Lo scopo del progetto è quello di esplorare nuovi percorsi di collaborazione tra scuole prestigiose nell’ambito delle arti performative, creando un programma europeo permanente su formazione, creazione e ricerca.
I lavori sono cominciati dall’ideazione e strutturazione di una serie di attività che permettessero ai membri dell’Associazione di conoscere le rispettive realtà pedagogiche, così da poter confrontare problematiche e metodologie sulla base di un’esperienza diretta del lavoro svolto in ogni scuola.
E’ parso subito importante, ai fini della condivisione di un linguaggio, porsi il problema della formazione dei formatori, ipotizzando veri e propri laboratori per docenti, coordinati da professionisti di riconosciuta esperienza nell’ambito della pedagogia teatrale.
Ecco in sintesi alcune delle proposte:
- Masterclass: destinate ai docenti e organizzate in diversi modi: conferenza-laboratorio con un maestro, osservazione di un maestro al lavoro con gli allievi, osservazione di una classe di allievi al lavoro con professionisti e coordinati da un maestro.
- Scambio d’insegnamenti: insegnanti di una scuola della rete invitati a tenere corsi nelle altre scuole.
- Osservazioni: uno o due membri di un’equipe pedagogica vengono ospitati come osservatori dell’attività di una delle scuole della rete, relazionando poi sul lavoro visionato.
- Studio di scrittura: per le scuole che hanno corsi di drammaturgia, concretizzare un programma di scambi tra giovani drammaturghi.
- Progetto Scanner: occasione per la scuola di esporre un problema specifico che abbia dovuto affrontare (una difficoltà o un fallimento), presentandolo come caso di studio.
- Seminari: incontri, per allievi ed insegnanti, con figure autorevoli del panorama teatrale europeo.
- Festival: l’organizzazione di un Festival delle scuole di teatro, con annesse attività pedagogiche e momenti di dibattito.
Il primo appuntamento ufficiale per Ecole des Ecoles si è tenuto nell’estate di quest’anno a Lione.
L’ENSATT, in collaborazione con la regione Rhone-Alpes, ha ospitato dal 9 al 13 di luglio la prima edizione del Festival Rencontres Theatrales, col titolo di Lingue e linguaggi del Teatro, al quale hanno partecipato, con la presentazione di uno spettacolo, alcune delle scuole della rete. Ogni giornata del festival prevedeva sessioni di training ad accesso libero, tenute da docenti dell’ENSATT, la doppia replica dello spettacolo programmato, un dibattito sul tema del giorno ed un dibattito sullo spettacolo presentato; parallelamente si è ricavato uno spazio per tutti gli allievi che avessero voluto presentare un proprio lavoro, con totale libertà di genere e linguaggio, allo scopo di sottolineare il carattere non gerarchico della manifestazione.
Ecco i temi affrontati in dibattito:
- Come formare scrittori per il teatro?
relatore- moderatore Enzo Cormann, ENSATT Lione
- Come insegnare la regia teatrale?
relatore- moderatore Ramon Simò, Institut del Teatre Barcellona

- Multidisciplinarità: la coordinazione dei dipartimenti
relatore – moderatore RESAD Madrid
- Come formare gli attori?
relatore – moderatore Bruno Fornasari, Accademia dei Filodrammatici Milano
- Scambi e politiche culturali in Europa.
L’Accademia dei Filodrammatici, unica scuola italiana a partecipare, ha presentato lo spettacolo La Festa, per gentile concessione di Spiro Scimone, con la regia di Bruno Fornasari e interpretato da Angela Demattè, Andrea Lapi e Dario Merlini, fornendo lo spunto ideale per una riflessione sulla necessità e l’importanza di un metodo di lavoro che non sia sterile formula, ma strumento pratico per l’attore.
Con i Rencontres di Lione e le ulteriori attività di scambio che Ecole des Ecoles si avvia a sostenere (masterclass sul training fisico, 14-18 novembre, Berlino), comincia da parte delle scuole facenti parte l’APECC un percorso di reciproca apertura basato sul metodo del confronto, ossia un approccio al fare teatro che cerchi le proprie risposte nella prassi della scena, e nel dialogo tra Lingue e Linguaggi. Troppo spesso infatti le diversità di approccio, le metodologie e la stessa questione della necessità di un metodo vengono percepiti come posizioni di pensiero conflittuali e tra loro alternative, mentre acquistano potenziale operativo se considerate strettamente complementari.
Ecole des Ecoles si pone da questo punto di vista come il luogo ideale del porre la domanda più che del tutelare la risposta, del confronto di idee più che dell’arroccamento su posizioni, in un rapporto dialettico costante, e non gerarchico, tra analisi teorica e conquista pratica.


 


 

BP04: Teatri di vetro
(accesso e visibilità)
di Roberta Nicolai

 

Un capannone industriale molto grande, uno spazio duro e freddo, un fabbricato degli anni in cui le industrie stavano ancora dentro la città e la città era molto più piccola. Una visione archeologica sconosciuta a molti. Così ci appariva Strike la notte dell’occupazione, il 17 ottobre 2002. Nella frammentarietà dell’incontro tra diversità, vi abbiamo stabilito la nostra casa e buttato dentro tutta la nostra progettualità.
Lo spazio per una compagnia teatrale è tutto. È la possibilità di provare, studiare, elaborare. Lo spazio stabile produce e moltiplica il tempo: tempo per montare e smontare, per tornare indietro, per buttare via tempo, per far entrare gli altri.
Uno spazio come Strike non era solo cemento e cubatura, era un polo di attraversamenti. Questo ha avuto un effetto immediato: ha dato una spinta ai nostri intenti progettuali, ha indirizzato e concretato le nostre energie e ci ha dato la forza di iniziare un nuovo capitolo della nostra esistenza.
Subito dopo le prime rassegne auto-prodotte si è reso necessario coinvolgere le Istituzioni nella nostra progettualità. Resistenze – finanziata dall’ETI nel dicembre 2003 – ha ospitato compagnie riconosciute e realtà più giovani; nell’arco di dieci giorni ha fatto di Strike un luogo di teatro. In quell’occasione Marco Solari si è stabilito per due mesi nello spazio con tutta la sua compagnia e vi ha prodotto il suo spettacolo. Una sorta di residenza. L’ETI ha sostenuto solo in parte l’operazione ma il tst ha guadagnato visioni che venivano da un passato e si lanciavano verso il futuro.
Lo spazio è diventato il nostro angolo visuale, il punto d’osservazione, alimentando il desiderio di contatto con le decine di realtà, artisti, compagnie, gruppi che agitavano la sotto-scena romana.
Da lì è nata l’urgenza del monitoraggio. Non un monitoraggio fatto da tecnici ma da artisti, un cerca persone senza la pretesa di fare del territorio un oggetto di studio, ma con il chiaro intento di sapere chi fossero e quanti fossero i gruppi e quali i contenuti del loro teatro. Solo quando ci siamo trovati in mano il dossier di 260 pagine abbiamo capito che c’erano i presupposti per chiedere, di nuovo e ancora una volta, attenzione e abbiamo cercato un incontro con l’Assessorato alle Politiche Giovanili della Provincia di Roma. Di giovanile l’operazione aveva davvero poco ma l’Assessore Rosa Rinaldi ha subito appoggiato un percorso comprendendo che era in questione una vertenza ben più ampia del semplice Convegno teatrinvisibili, realizzato poi nel gennaio 2006 con il sostegno congiunto dell’Assessorato alle Politiche Giovanili e dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Roma. ZTL zone teatrali libere, la rete di spazi romani che avevamo contribuito a creare, ne ha condiviso il percorso, forte della consapevolezza di aver dato vita, nel tempo, ad una dinamica di riconoscimento tra spazi e artisti della scena contemporanea.
Non credo che un convegno potesse ottenere di più. Ha esclusivamente riaperto un confronto, frammentato negli ultimi anni in infinite istanze individuali, evidenziando come l’attuale modello di città, disegnato dall’Amministrazione, dimentica, nella sua riformulazione urbanistica, nel sistema di distribuzione di risorse e nell’intento di accentramento di poteri, la scena di domani, la più fragile e preziosa per la cultura di un territorio. E ha rimesso in moto l’attenzione esprimendo, attraverso la formulazione di un documento finale, letto alla presenza delle Istituzioni, l’esigenza di un riorganizzazione della politica culturale rispetto alla produzione artistica contemporanea.

La composizione di Teatri di Vetro fiera/mercato del teatro indipendente, 17-27 maggio 2007, è l’indice più chiaro della sua natura artistica e politica: vetrina per una scena tenuta in stato di fragilità dalle disattenzioni della politica culturale della capitale; vetrina per 45 compagnie selezionate in base ad un avviso pubblico che ha mobilitato la scena indipendente del territorio, raccogliendo circa 200 progetti al di là delle generazioni e dei differenziati livelli di emersione. Teatri di vetro ha anche prodotto un catalogo e un portale web destinato a perpetrare il meccanismo di auto monitoraggio messo in campo nel 2005; e ha di nuovo formulato la richiesta di attenzione, di creazione di strumenti che possano riconoscere l’esistente e tutelarlo, di temi di discussione con le parti politiche e gli operatori diventando uno spazio, il Teatro Palladium, e diversi spazi, urbani e privati, che si sono aperti come spazi pubblici denunciando implicitamente l’inaccessibilità degli spazi ufficiali.
Le circa 160 realtà teatrali, compagnie e artisti del tessuto cittadino e provinciale presenti nel catalogo, non esauriscono l’intera scena sommersa, ne esprimono una parzialità e ne testimoniano la ricchezza. È in quella zona oscura del territorio che il nuovo nasce, muta, produce linguaggi e pratiche. È lì che si dà vita non solo a centinaia di spettacoli, ma a rassegne, reti, riviste on-line e cartacee, eventi che intercettano un nuovo pubblico. La scena fragile, in uno scenario amministrativo e politico che si esprime solo a colpi di bando e che accentra poteri e risorse, rischia di essere messa a dura prova di sopravvivenza, materiale e artistica.
Teatri di vetro, alla sua prima edizione, è stata la voce di questa scena. La fotografia di un territorio in fermento in cui si evidenzia la pluralità dei teatri esistenti, la cui complessità di scena metropolitana, di teatro che è molti teatri, richiede agli operatori, ai direttori, ai critici, a tutti coloro che hanno il potere di farlo emergere, l’elaborazione di criteri valutativi nuovi. Ed è sì una fiera/mercato, nel senso che si propone di mettere in contatto le compagnie del territorio con i direttori dei festival e dei teatri, con gli operatori, con la critica e con il pubblico e ridare dignità di lavoro ai mestieri dell’arte, ma è anche e soprattutto l’espressione di uno scenario profondamente mutato per il quale si chiede un intervento innovativo da parte di chi il territorio lo governa e lo amministra.
Tutto questo è il nostro vissuto e il nostro percorso. La nostra identità. Questa soggettività ha incontrato la Fondazione Romaeuropa e gli Assessorati della Provincia di Roma lavorando insieme in una formula che potremmo definire sperimentale, dando vita, attraverso una concreta sinergia, ad un evento nuovo per il nostro territorio.
L’idea della fiera, di teatri di vetro, è un’idea che precede tutto questo, è l’idea di Resistenze. Non è il frutto, ne è la premessa. L’esigenza è la stessa di quando a Strike controsoffittavamo, mettevamo barre per le luci e parlavamo del teatro che verrà. L’esigenza è quella di raccontare un teatro che è sempre un’azione di resistenza e di piacere, nel teatro, nella vita, che sono al fondo nodi indissolubili, perché la prima senza il secondo sarebbe sterile "militanza", il secondo senza la prima non sarebbe autentico, ma solo una brutta imitazione. (da una lettera di Marco Martinelli)
Teatri di vetro, e tutto ciò che porta con sé, rimane il nostro progetto artistico. Noi siamo una compagnia, non siamo organizzatori, non siamo più neanche uno spazio, siamo gente che vive di visioni.
Ed ora siamo a Teatri di Vetro 2
La scena indipendente
direzione artistica e organizzativa triangolo scaleno teatro

Alla seconda edizione Teatri di Vetro propone una fotografia significativa della scena indipendente aprendo la partecipazione alle realtà di teatro, danza, arti performative della regione Lazio e, in una sezione speciale, ad artisti del territorio nazionale. L’estensione del monitoraggio e del catalogo on-line – che nella prima edizione ha censito 160 compagnie del territorio di Roma e Provincia - renderanno il festival punto di riferimento non soltanto di un territorio ma di un intero ambito del mondo teatrale. Spettacoli, performance e installazioni, selezionate anche per quest’anno attraverso avviso pubblico – con scadenza prevista a gennaio 2008 - saranno ospitate negli spazi del Teatro Palladium – palco e foyer - e all’interno dei luoghi urbani della Garbatella, nell’arco di dieci giorni e in successione serrata; affiancheranno la programmazione artistica spazi di incontro e di approfondimento, che contribuiranno a trasformare l’intero quartiere in una cittadella del teatro, favorendo lo scambio reale tra gli artisti, gli operatori teatrali, i direttori di teatri e di festival e la critica. Attraverso la continuativa connessione con gli spazi indipendenti e gli operatori del territorio romano e nazionale, Teatri di Vetro si propone anche luogo di debutto di nuove produzioni artistiche e polo di promozione della scena contemporanea.


 


 

BP04: Quando spuntano le ali
(geografie)
di Massimo Luconi

 

progetto di sostegno e promozione per giovani professionisti senegalesi nel settore dello spettacolo, delle arti visive, e delle tecnologie digitali, attraverso un percorso di formazione e produzione.


Direzione artistica Massimo Luconi
Direzione didattica prof Paolo Zenoni
Direzione organizzativa Sandra Cristaldi
collaborazione Mauro Petroni, Angela Colucci

in collaborazione con
Università degli Studi di Milano – Bicocca / Facoltà di Sociologia,
APPI, Alliance Française di Ziguinchor/Senegal
con il contributo della Regione Lombardia



Finalità e obbiettivi
Innescare un percorso di cambiamento nella concezione dei rapporti Nord/Sud costruendo una cooperazione in cui anche gli aspetti del sapere e delle attività culturali acquistino valore.
L’iniziativa nasce dalla consapevolezza che la cultura e la ricchezza di risorse artistiche e creative presenti in Senegal costituiscano un terreno di confronto e scambio culturale importante e un’opportunità di sviluppo delle potenzialità di questo Paese.
Gli obiettivi sono di sviluppare le capacità progettuali e artistiche dei giovani senegalesi in campo teatrale, aumentando la formazione del mestiere dell’attore e aumentando le competenze organizzative e tecniche dei gruppi di base.
Offrire supporto organizzativo e formazione a strutture capaci di sviluppare in futuro un’autonoma attività di promozione e circuitazione teatrale anche al di fuori dei confini nazionali.
L’obbiettivo finale del progetto è di mettere in scena in maniera qualificata e altamente professionale uno spettacolo realizzato per la parte artistica, tecnica ,e organizzativa da giovani attori e tecnici, con la possibilità di circuitare in Africa occidentale e in Europa.

Il Senegal di oggi è un paese in grande fermento artistico, culturale e creativo, che dialoga con l’Europa, produce e organizza eventi artistici di alto livello. E la grande capacità della cultura senegalese è di saper unire la profonda tradizione africana agli influssi moderni della cultura europea in uno straordinario esplosivo sincretismo, dove è difficile a volte distinguere cos’è tradizione, cosa è del passato e cosa è dell’oggi.

Prima fase
una formazione laboratoriale concreta finalizzata alla produzione teatrale
realizzata nel Novembre 2006 presso la sede dell’Alliance francaise a Zuiguinchor
30 partecipanti dai 16 ai 30 anni durata 30gg
docenti
Massimo Luconi recitazione,regia,drammaturgia
Mauro Forte fonica e illuminotecnica
Sandra Cristaldi organizzazione
Mauro Petroni conferenza sull’arte contemporanea in Senegal e Africa occidentale.


Laboratorio di orientamento e formazione per giovani che si avvicinano alle professioni dello spettacolo,non solamente per la recitazione ma anche per i ruoli e le professioni legate al mestiere teatrale,(tecnici, organizzatori/amministratori, giovani artisti e musicisti).indirizzato a gruppi teatrali della Casamance e altre regioni del Senegal.
Di particolare significato è l’intervento in Casamance, nel sud del Senegal al confine con la Guinea,un’area decentrata ed economicamente marginale rispetto alla capitale Dakar, nonostante sia una regione di grande ricchezza culturale e di forte legame con la tradizione.
Tematiche trasversali: Interculturalità e sviluppo – aumento della capacità occupazionale e produttiva del settore culturale –valorizzazione e promozione dello spettacolo dal vivo e degli artisti senegalesi - mobilità degli artisti - incontro e scambio fra giovani artisti
Le azioni proposte sono state realizzate attraverso la collaborazione delle istituzioni e dei gruppi e/o associazioni di base e con la ricerca di sinergie con le strutture locali.

Metodologia dell’intervento

Con un innovativo intervento di natura scientifica e formativa, un gruppo di qualificati professionisti e docenti del teatro italiano si è spostato per un mese a Zuiguinchor nel sud del Senegal al confine con la Guinea, sviluppando un processo formativo onterdisciplinare e uno scambio sul terreno della cultura e dello spettacolo con associazioni internazionali (Alliance francaise) e giovani compagnie e gruppi locali.
Il laboratorio si è strutturato su incontri giornalieri di circa 4 ore con un’articolazione della formazione in un modulo teorico e un modulo pratico al fine di favorire anche l’interazione fra i giovani e gli artisti partecipanti all’iniziativa.
Il nucleo centrale è stato il lavoro di analisi e messa in scena su un testo teatrale di tre autori africani del Malawi “Quando spuntano le ali” che ha suscitato forte interesse fra i giovani partecipanti sia per la ricerca espressiva e di modalità di comunicazione teatrale sia per le tematiche insiste nel testo teatrale legate al dibattito ancora oggi molto vivo in Africa,fra cultura del villaggio e modernità.
Abbiamo inoltre verificato e delineato l’aspetto tecnico della realizzazione teatrale,la drammaturgia delle luci,il suono e le tecnologie digitali di ripresa video e montaggio..
Si sono impostate le linee per l’ organizzazione e gestione dello spettacolo dal vivo, che poi saranno sviluppate appieno al momento in cui passeremo nella terza fase, alla realizzazione finale dello spettacolo.

seconda fase:
la preparazione di una produzione teatrale con un gruppo di giovani senegalesi e italiani
realizzata nel Maggio 2007 all’università della Bicocca, Milano
docenti
Massimo Luconi (regia e scenografia)
Iva D’Ali ( ripresa video e montaggio)
durata 30gg

Questa seconda fase si è realizzata in Italia all’auditorium dell’università della Bicocca ed è stata incentrata sulla preparazione per la messa in scena dello spettacolo “Quando spuntano le ali” di Harawa, Kanayongolo, Kerr, un dramma a tesi, asciutto e compatto, impostato con la linearità della parabola e del teatro moralistico.
Per realizzare questo secondo laboratorio maggiormente professionale,sono stati chiamati in Italia 6 tra i 30 partecipanti al laboratorio realizzato in Senegal, dei quali 4 attori ed altri con ruoli tecnici ed organizzativi. Con loro è iniziato il lavoro di preparazione dello spettacolo con una parte di training e una parte di ricerca espressiva e comunicativa delle singole scene del testo.
Il risultato finale di notevole significato artistico ed espressivo ha visto la crescita professionale del gruppo con la messa in scena di 3 delle 8 scene di cui è composto il testo proposte come prove aperte davanti a un pubblico di studenti presso l’Auditorium dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Alcuni momenti significativi dello stage sono stati documentati con un video realizzato e anche montato da un giovane senegalese e con il coordinamento di un operatore professionista.
Gli studenti italiani del master di formazione sullo spettacolo dal vivo, della facoltà di sociologia della Bicocca, hanno partecipato attivamente alle prove e agli incontri che si sono succeduti nell’auditorium della Bicocca e in altri luoghi teatrali della città, e non si sono limitati a un ruolo di spettatori ma hanno fortemente interagito con il gruppo senegalese e hanno contribuito con la loro riflessione e le loro idee alla piena riuscita del progetto complessivo.

terza fase (da realizzare)
conclusione del progetto formativo con una produzione teatrale in Senegal e Italia
il sapere digitale: processo di formazione per operatori e montatori video e formazione di un archivio digitale

Quando spuntano le ali di Harawa, Kanayongolo, Kerr (Malawi),
regia, Massimo Luconi
scenografia Moussà Traorè.
Musiche,Moussà Kala Dieng,Dialy Mady Sissoko, Mirio Cososttini, Mirko Guerrini
Interpreti. giovani attori senegalesi


Due fratelli in un villaggio africano. Uno si accontenta di ciò che è, pensa alla famiglia, lavora per la madre,ambisce a sposare una ragazza del luogo. L’altro frequenta l’università ammira il mondo dei ricchi e le mode occidentali e si innamora di una ragazza che ha i suoi stessi sogni.
Ma nessuno può scegliere la vita,come nessuno può scegliersi le ali. Finiranno entrambi in prigione a rivivere e a raccontare la propria esperienza.
Con un bella invenzione drammaturgica i due fratelli sono costretti a inscenare il proprio psicodramma davanti a un pubblico di spettatori detenuti proprio come i griot (i cantastorie africani).raccontano le storie del villaggio. Uno dei fratelli,quello che è rimasto legato alla tradizione, ripercorre l’ itinerario di vita fino alla prigione,nella speranza di restituire lucidità e coscienza alla mente smarrita del fratello.
Del teatro come forma terapeutica il testo mantiene la struttura e lo sviluppo narrativo impostato sulla gestualità e sul continuo passaggio tra rievocato e agito,dal dramma al racconto orale, mischiando esperienze e influssi del teatro europeo d’avanguardia e modalità didascaliche del teatro tradizionale africano.
Parallelamente al lavoro sul testo un gruppo di giovani coordinati da un tecnico professionista si approprierà delle tecniche di ripresa video e montaggio digitale con l’obbiettivo di trovare anche nuove possibiltià professionali e contribuire a formare un archivio digitale della straordinaria ricchezza culturale della Casamance,una regione dove ancora oggi la musica popolare,la danza e le cerimonie tradizionali sono elementi fortemente radicati nella società e anche fra i giovani.










Massimo Luconi è stato responsabile di alcuni progetti di cooperazione culturale in Senegal(con l’Ong Acra e con Pavia/Senegal) e in Mali e ha tenuto a Dakar stages di formazione per tecnici e animatori radiofonici e televisivi, realizzando una serie di trasmissioni per la radio senegalese e alcuni filmati sulla società e cultura del Senegal.
Nel marzo 2005 ha ideato come direttore del teatro Metastasio Afrique mon afrique una rassegna sul teatro e cultura senegalese, che si è svolta al teatro Fabbricone e in altri luoghi di Prato e Firenze e che ha visto la presenza dei più interessanti artisti e gruppi teatrali e musicali della effervescente scena senegalese.


 


 

BP04: Bancone di prova
(accesso e visibilità)
di Bancone d prova

 
Bancone di Prova è un progetto creativo nato dal lavoro di un gruppo di autori e una regista, che ha come obbiettivo la scrittura di testi originali per il teatro.
Bancone di Prova si concentra sull’azione necessaria di una scrittura al presente finalizzata alla messa in scena.
La particolarità del progetto Bancone di Prova è l’articolazione del percorso di scrittura: Bancone offre ai suoi autori l’opportunità di alternare al processo individuale di scrittura preziosi momenti di confronto interno con gli altri autori del gruppo e altrettanti momenti di apertura al pubblico durante tutto l’iter creativo.
Si individuano tre appuntamenti nel percorso di scrittura: l’ideazione del soggetto e l’incipit del testo, lo sviluppo della prima metà del testo e la stesura finale. A ciascun appuntamento con la scrittura corrisponde una lettura pubblica, occasione per mettere alla prova l’andamento e l’efficacia dei testi in lavorazione. Tutte le serate aperte sono da intendersi come momenti di lavoro.
Il pubblico che assiste alle letture è cosciente che ciò che vede e ascolta non è un prodotto finito e viene chiamato al termine della serata ad esprimere le proprie impressioni in maniera informale. Nelle letture di Bancone è il testo ad essere messo alla prova, una prova affidata alla parola, all’attore e alla lettura.
Bancone di Prova è un’iniziativa senza scopo di lucro. L’unico pagamento che Bancone accetta, anzi auspica, sono le opinioni, i commenti e ogni forma di critica costruttiva sui lavori che presenta.
 


 

BP04: TeatroNet
(accesso e visibilità)
di Rosi Fasiolo

 
• TeatroNet è un nuovo circuito di scambi teatrali attivo a livello nazionale, nato per favorire la diffusione degli spettacoli di giovani gruppi di teatro e danza all’interno di spazi teatrali in tutta Italia.

• L’obiettivo di questo progetto, sempre aperto a nuove realtà, è quello di creare un sistema di rete solido e di qualità grazie alla condivisione di esperienze e competenze degli artisti e degli operatori.

• L’organizzazione seleziona tutti i partecipanti, garantendo la qualità del circuito e del lavoro di ciascuno, crea inoltre possibilità di confronto dalle quali far nascere collaborazioni e nuove opportunità lavorative ed artistiche.

Nel circuito ciascuno offre qualcosa, con un risultato finale notevole:

• per le compagnie è di fatto un’occasione di incontro e di scambio oltre che una garanzia di organizzazione e circuitazione dei propri spettacoli in spazi attrezzati per ospitarla.
• per i teatri è un’occasione per avere spettacoli selezionati di compagnie professionali, al minor costo possibile e di alta qualità, un contatto diretto con gli artisti e un aiuto nella gestione del calendario;
• per il circuito è un’occasione per creare, attraverso la condivisione e la professionalità degli organizzatori e dei partecipanti, una serie di vantaggi utili per tutti i partecipanti e continue possibilità di apertura alle novità del panorama nazionale.

Ciascuna delle tre parti investe sul proprio lavoro: le compagnie offrono il proprio spettacolo e affrontano le spese di viaggio e di Enpals; gli spazi offrono l’assistenza tecnica, la promozione dello spettacolo, l’ospitalità della compagnia e le spese SIAE; il circuito offre promozione attraverso il sito internet, la realizzazione di materiali di presentazione e di comunicati stampa oltre alla presenza in festival e convegni, in cambio di una quota associativa da parte di teatri e compagnie. Il lavoro segue regole che permettono il funzionamento del circuito con il minor costo possibile, garantendo un buon rapporto qualità/prezzo, uguali servizi per tutti e chiarezza nei rapporti.

Essere parte di TeatroNet vuol dire entrare in un network che cerca una forma alternativa per promuovere la cultura e diffondere il proprio lavoro artistico.


 


 

BP04: Kilowatt Festival La selezione dei visionari
(accesso e visibilità)
di Kilowatt Festival

 
Partiamo dalla fine: ci sono 22 persone che ogni settimana, di sera, si riuniscono per vedere 15-20 minuti di alcuni video di spettacoli teatrali appena realizzati da giovani compagnie professionali, in tutta Italia. Lo scopo è selezionare 7 spettacoli da presentare alla prossima edizione del festival “Kilowatt, l’energia del nuovo teatro”. Questi spettatori–selezionatori si sono definiti “I Visionari”: la loro particolarità è che nessuno tra loro si occupa di teatro a titolo professionale. I Visionari sono studenti, insegnanti, commesse, c’è una libraia, un autista dei pullman, una commessa della Coop, un operaio della Buitoni, una segretaria d’azienda.
Tutto questo si svolge in Valtiberina Toscana, in una zona appenninica al confine tra Umbria, Marche e Romagna, dove abitano poco più di 30.000 persone sparse tra sette differenti e piccoli Comuni. Il centro principale è Sansepolcro (15.000 abitanti), e poi ci sono Anghiari, Pieve Santo Stefano, Monterchi, Caprese Michelangelo, Badia Tedalda e Sestino.
E ora torniamo indietro, all’inizio.

È luglio del 2003 e proprio a Sansepolcro un gruppo di tre giovani teatranti della zona (Luca Ricci, Lucia Franchi, Mirco Ferrara), appena costituitisi in associazione culturale, col nome di CapoTrave, inventano, progettano e realizzano un festival teatrale estivo dedicato all’innovazione e ai giovani. Da subito, il festival si pone l’obiettivo di essere insieme innovativo e popolare. Tra le proposte più interessanti del panorama italiano vengono invitati quegli artisti che usano la loro ricerca per comunicare con un pubblico, il più possibile vasto (tra gli altri, I Sacchi di Sabbia, Oscar De Summa, Toni Tagliarini, Accademia degli Artefatti, Andrea Cosentino, Tony Clifton Circus, Edgarluve, Leonardo Capuano, Roberto Abbiati, CapoTrave). A livello organizzativo e delle strategie di comunicazione, gli organizzatori del festival lavorano per portare a teatro gli adolescenti della zona, gli immigrati riuniti in associazione, i ragazzi che fanno parte di gruppi giovanili, band musicali, gruppi politici, insomma, la parte viva della città. Molti di questi spettatori non sono abituali frequentatori di teatri, tanto meno d’innovazione. L’idea è quella di dare agli artisti un pubblico vero, non il “pubblico da festival”, cioè quello composto quasi esclusivamente da addetti ai lavori. In media, vengono staccati circa 500 biglietti per ogni edizione del festival.
Nel 2006 la Provincia di Arezzo decide di investire su Kilowatt e chiede ai promotori di estenderlo agli altri sei Comuni del territorio: 7 palchi diversi, 14 spettacoli. Ed è in quella occasione che gli spettatori del festival trovano sulle loro sedie un foglio che dice: “Partecipa alla scelta degli spettacoli per Kilowatt 2007”. Rispondono in 12, nasce il gruppo de “I Visionari”.
Da febbraio a marzo del 2007, i Visionari si riuniscono tutte le settimane, per vedere i video che arrivano alla selezione. Giungono 120 dvd, di cui 102 corrispondono ai requisiti del bando. I Visionari li vedono uno ad uno, cercando ogni volta i criteri per avvicinarsi alle opere presentate. Discutono tra loro, a volte litigano, altre chiedono ai teatranti di Capotrave una mediazione o un consiglio. L’ultimo mese devono riunirsi per ben 3 sere alla settimana. Arrivano in fondo al lavoro in 9. E scelgono 5 spettacoli di altrettante compagnie che vengono presentati a Kilowatt 2007: Muta Imago, Malebolge di Lucia Calamaro, Zaches Teatro, Primaquinta di Aldo Rapè, Claudia Galiazzo.
Sono proposte complesse, completamente libere da quei vincoli economici e di garanzia di risultato che avrebbe seguito qualsiasi direttore artistico, sono proposte che mettono da parte i criteri del bello, spettacoli che non compiacciono e quindi si espongono al rischio d non piacere.
Gli spettacoli vengono presentati al festival 2007, il pubblico li apprezza, alcuni più, altri meno, e altrettanto fa un gruppo di operatori invitati a monitorare l’esperimento. Di questo gruppo, non a caso denominato “I Fiancheggiatori” (l’idea è che si mettano a fianco dei Visionari e delle compagnie, non in cattedra…), fanno parte: Luca Scarlini, Valeria Ottolenghi, Roberto Ricco del Kismet di Bari, Giuseppe Romanetti del Teatro di Casalmaggiore (Cr), Rodolfo Sacchettini e Maria Paiato. Insieme, Visionari e Fiancheggiatori producono un Documento di Visione che viene consegnato alla riflessione delle compagnie.
Ed ecco che per l’edizione del 2008 sono 22 i Visionari che chiedono di partecipare alla selezione.

Questa pratica, buona o cattiva che sia, è figlia dell’idea che il pubblico debba tornare al centro dei processi di creazione dello spettacolo dal vivo. Pasolini lo diceva già nel suo manifesto del 1968, che il pubblico del nuovo teatro dovrà stare in dialogo con gli artisti. Spesso è successo il contrario: che gli artisti hanno creato le loro opere in totale distanza dal pubblico, che il pubblico ha avuto la possibilità di seguirli ma non è quasi mai stato incoraggiato a farlo, e la mediazione tra pubblico e artisti è stata completamente delegata ai direttori di teatri e festival, che si sono trasformati in ventriloqui di un presunto gusto del proprio pubblico, con la neppure velata considerazione che lo spettatore sia incapace di tutelarsi da sé nell’incontro con uno spettacolo.
Un progetto come quello dei Visionari parte dalla domanda sul perché il pubblico abbia perso consuetudine col teatro. E, pur nella convinzione che il teatro è e resterà esperienza di nicchia, risponde con la convinzione che un pubblico maggiore possa “agganciarsi” al teatro d’innovazione contemporaneo. Quindi è qualcosa di più di una provocazione l’idea di sovvertire i criteri di organizzazione del rapporto tra il sistema dello spettacolo e il pubblico. È un’idea di politica culturale.
Il rischio è che, nel tempo, gli stessi Visionari diventino esperti, che cominciano ad adottare i criteri di un direttore artistico, che sotto la pressione delle eventuali critiche di futuri spettatori, o degli operatori, o delle compagnie escluse, finiscano per emulare il meccanismo di scelta degli esperti.
Per adesso il rischio è lontano: I Visionari si lasciano guidare da intuizioni spesso confuse nelle argomentazioni, ma chiarissime nel loro orientamento. Gli spettacoli che scelgono sono quelli che più si espongono a un rischio di relazione col pubblico.
Come dato oggettivo c’è che quest’anno il festival ha superato i 1.000 spettatori nelle 18 repliche proposte. È un numero che doppia quello dell’anno precedente, che certo nasce da un maggiore sforzo di comunicazione, ma forse è la risposta di un territorio che comincia a sentirsi coinvolto in un progetto. Uno spettatore – non era neanche un Visionario – ha detto: “Mi avete fatto pensare che il teatro non inizia né finisce quando mi siedo in sala, ma ha un prima e un dopo con cui si può entrare in contatto”.

Roma, 12 novembre 2007
www.kilowattfestival.it


 


 

BP04: Il progetto del PiM
(accesso e visibilità)
di PiM

 

PiM Spazio Scenico
Associazione Culturale

00 Progetto in sintesi
PiM Spazio Scenico è una casa di cultura, uno spazio pensato come contenitore delle arti, punto di convergenza e ponte tra culture innovative, forma di assemblea cittadina. Per agevolare l’interplay fra chi gestisce la casa di cultura e chi le si accosta per abitarla con progetti, abbiamo delineato sette aree di attività, pensate per essere messe in relazione tra loro creando diverse combinazioni. La figura che sinteticamente esprime questa struttura è quella del Tangram, antico rompicapo cinese il cui nome significa "le sette pietre della saggezza". Il Tangram è composto da sette pezzi (chiamati tan) che, come le sette aree del PiM, possono essere disposti, a partire dalla figura del quadrato, a comporre molte altre forme, sempre seguendo le regole: tutti i pezzi devono essere usati; non è permesso sovrapporre i pezzi.

01 PiM InCantiere È l’area dedicata alla produzione e alla costruzione dei progetti di artisti, un cantiere per chi ha la necessità di completare il proprio lavoro per poi presentarlo al pubblico. Le attività svolte nell’area sono:

• Sviluppo progetti
• Residenze di artisti

02 PiM InProgrammazione La casa di cultura ospita artisti appartenenti al mondo della ricerca e della sperimentazione legati da un uso comune del linguaggio contemporaneo.

• Ospitalità: anteprime e presentazione di studi, incontri e spettacoli conferenza.
• Rassegne: Nuovi linguaggi del centro: selezione mezzo bando
• Imprevisti: poetici, letterari, arti sceniche.
• Frullatore: serate aperte al pubblico, fine del percorso di ricerca Convergenze08.

Il nostro obiettivo non è collezionare artisti di passaggio, ma creare relazioni tra la “persona” e la casa di cultura, tra la casa di cultura e il pubblico che la frequenta.

03 PiM InLaboratorio È il centro della casa di cultura, un luogo protetto per la condivisione attiva di percorsi umani e artistici, luogo di studio e applicazione dei linguaggi espressivi, palestra e spazio creativo per musicisti, danzatori, attori e operatori culturali.

• Laboratorio Aperto: percorso multidisciplinare e drammaturgia.
• Laboratori Annuali: Musica d’insieme, composizione coreografica.
• Seminari, incontri
• Covergenze08: progetto di ricerca.

04 PiM Spazio È il luogo che accoglie le attività del PiM. Lo Spazio è stato realizzato per ospitare oltre a spettacoli, eventi e installazioni, anche laboratori, incontri e quant’altro appartenga all’idea di programmazione multi disciplinare.

• Sala PiM – aperta al pubblico
• Sala Beckett – come sala prove
• Scheda Tecnica

05 PiM Strumenti e Link È l’area che fa capo all’attività organizzativa del PiM, messa a servizio per lo sviluppo dei progetti degli abitanti della casa di cultura.

• Organizzazione
• Ufficio Stampa – Comunicazione - Promozione
• Amministrazione
• Attività di tesseramento – Cittadino Produttore
• Sviluppo network
• Fund Raising

06 PiM Archivio È la memoria del PiM, articolata al suo interno in rassegna stampa e archivio di testimonianze scritte/audio/video/fotografiche delle attività svolte.

07 PiM Sei Tu È la capacità di articolare trasversalmente il proprio progetto nelle sette aree del PiM, la chiave per accostarsi a esso scegliendo di mettere in condivisione qualcosa di sé, della propria esperienza, e del proprio sguardo sul futuro.

Adesso hai tutti gli strumenti per articolare il tuo progetto.
Ora inizia il tuo “rompicapo”!


Responsabili della casa di cultura

Presidente Associazione
Maria Pietroleonardo

Progetto Artistico
Massimo Bologna

Organizzazione
Edoardo Favetti

Logistica
Simone Ricciardi

Ufficio Stampa
Mara Serina – iago studio

Responsabile Grafico
Stefano de Ponti

Responsabile Archivio
Monica Liguoro

Amministrazione – Direzione di sala
Silvia Calì

Volontari
Antonietta Magli, Paola Piacentini, Maristella (Sabbry), Nastia


 


 

BP04: I bandi del PiM
(accesso e visiblità)
di PM

 

Bando di concorso "Chiavi in mano"

Il PiM Spazio Scenico di Milano promuove il bando di concorso “CHIAVI IN MANO”. Il bando è rivolto agli operatori culturali cui viene richiesto di formulare un progetto in grado di promuovere cultura, non necessariamente finalizzato allo spettacolo. Per lo sviluppo del progetto selezionato verranno assegnati 2.500 euro e la possibilità di utilizzare tutte le risorse specificate nell’allegato A.

All’interno della programmazione delle attività per la stagione 2007/2008 la casa di Cultura ha destinato a “CHIAVI IN MANO” nove giorni: 28-29-30 Marzo 2008; 4-5-6-11-12-13 Aprile 2008.

I progetti saranno selezionati dai responsabili della Casa di Cultura dopo attenta valutazione avvalendosi dei seguenti criteri:

• Capacità del progetto di rispondere agli obiettivi di sviluppo della Casa di Cultura

• Volontà dei membri del progetto di dialogare con la struttura creando una relazione equa e portatrice di crescita reciproca.

• Qualità del progetto: qualità dell’analisi e della comprensione dell’argomento trattato; qualità e innovazione dell'idea e della progettazione della proposta; qualità della presentazione.

• Fattibilità del progetto proposto.



Chi intende partecipare deve inviare entro e non oltre il 31 Dicembre 2007 tutta la documentazione richiesta nell’allegato B (sono accettati tutti i tipi di supporti) a:


PiM Spazio Scenico
Via Tertulliano 70
20137 Milano


ALLEGATO A

Sala PiM - Scheda tecnica
• Posti a sedere 99 (con possibilità di aggiunta di ca. 30 strapuntini)
• Palcoscenico: scatola nera con possibilità di ingressi/uscite dal fondo e dal lato dx. Larghezza 5,94m, profondità 6,37m, altezza da terra 0,50m
• Altezza americane zona palco (4 mobili, 2 fisse): 3,87 m
• Altezza americane sala (5 mobili su tutta la profondità): 4,37 m
• Un ampio camerino con bagno.
• N° 1 foyer dimensione: 6 m per 2 m
• Impianto di riscaldamento e condizionamento (foyer compreso)
• Impianto elettrico a norma con le vigenti leggi
• Potenza impegnata:20Kw. A disposizione:22Kw
LUCI
• MIXER 24 CANALI
• 3 DIMMER DMX (6 canali x 3 kw)
• 33 RITORNI (18 ritorni zona palco)
• 15 PC 1000 WATT
• 4 PC 500 WATT
• 2 PAR 1000 WATT
• 2 LUCCIOLE
• 2 STATIVI WIND-UP

AUDIO

§ MIXER 16 CANALI ANALOGICO
§ 2 CASSE ATTIVE 280 WATT SR-TECHNOLOGY
§ CIABATTA CANNON ZONA PALCO ( 16 canali, 4 ingressi )
§ 1 LETTORE CD
§ 2 LETTORI CD PIONEER CDJ 100S + MIXER 2 CANALI DJ LTO DJM-2

VIDEO
• 1 VIDEOPROIETTORE EPSON EMP-TW620
• 1 VIDEOPROIETTORE SONY VPL-ES3
• 1 LETTORE DVD
• 1 CAVO COASSIALE 25 MT.
• CAVERIA ADEGUATA AGLI IMPIANTI
SPAZIO MODULARE
Due pedane mobili danno la possibilità di modificare lo spazio quando le esigenze di scena lo rendono indispensabile. I moduli fissi sono la tribuna e il palco. La disposizione delle sedute modificate assecondando gli assetti di sala.
Ogni modifica dello spazio va concordata con il responsabile di quest’area.



Responsabili della casa di cultura:

Presidente Associazione
Maria Pietroleonardo

Progetto Artistico
Massimo Bologna

Organizzazione
Edoardo Favetti

Logistica
Simone Ricciardi

Ufficio Stampa
Mara Serina

Responsabile Grafico
Stefano de Ponti

Responsabile Archivio
Monica Liguoro

Amministrazione – Direzione di Sala
Silvia Calì



ALLEGATO B

Documenti da presentare in allegato al progetto:

• Breve profilo del firmatario del progetto
• Breve profilo di altri soggetti eventualmente coinvolti
• Bilancio preventivo
• Lettera motivazionale
• Analisi dettagliata del progetto
• Modalità di utilizzo delle risorse specificate nell’allegato A

Bando di concorso “Rassegna I nuovi linguaggi del centro”

La Casa di Cultura PiM Spazio Scenico di Milano indice un bando di concorso per la rassegna “I nuovi linguaggi del Centro”. La Rassegna sarà inserita all’interno della programmazione delle attività 2007/2008 della Casa di Cultura nel periodo 4-18 Dicembre 2007. La rassegna intende valorizzare giovani gruppi orientati alla ricerca e alla sperimentazione di linguaggi nuovi, propri e personali. Particolare attenzione verrà data alla multidisciplinareità delle proposte e alla contemporaneità dei temi trattati. Il bando è indirizzato a tutti gli artisti (o ai gruppi) che stiano per produrre un lavoro originale inedito nell’ambito delle arti sceniche. Le proposte dovranno soddisfare i seguenti requisiti:

• I partecipanti devono essere residenti in una delle seguenti regioni: Abruzzo, Lazio, Marche, Molise, Toscana, Sardegna e Umbria.
• Per agevolare l’avviamento alla professione di giovani artisti e operatori, è obbligatorio che i gruppi e le compagnie abbiano al loro interno un numero rilevante di appartenenti al di sotto dei 30 anni di età.
• I partecipanti devono presentare le proposte utilizzando il progetto artistico di PiM Spazio Scenico sotto riportato. E’ interesse della Casa di Cultura, infatti, privilegiare i lavori che possano interagire con tutte e sette le aree di attività di PiM Spazio Scenico, garantendone così anche una fattibilità e una indipendenza economica.

Chi intende partecipare deve inviare entro e non oltre il 15 Ottobre 2007 tutta la documentazione possibile (sono accettati tutti i tipi di supporti) inerente il progetto con cui si intende partecipare alla selezione a:

PiM Spazio Scenico - Via Tertulliano, 70 - 20137 Milano


 


 

BP04: Officina Giovani/Cantieri Culturali
(emergenza, visibilità e selezione)
di Teresa Bettarini

 

Officina Giovani/Cantieri Culturali e’ uno spazio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Prato che da anni sta portando avanti un programma rivolto alla produzione artistica giovanile. Uno spazio “pubblico”, gestito dal Comune di Prato, che vuole dare una risposta alle esigenze del mondo artistico giovanile.

Gli spazi di rappresentazione. On stage teatro

Una esigenza delle giovani compagnie, o delle formazioni non convenzionali, e’ sicuramente quella di spazi di rappresentazione dove far vedere il proprio lavoro, confrontarsi con un pubblico, avere l’opportunita’ di presentarsi agli operatori teatrali.
La rassegna On stage teatro e’ nata con questi intenti. Tutti i martedi’ sera, da ottobre fino ad aprile, presentiamo sul palcoscenico della Sala Eventi un giovane gruppo. Talvolta si tratta di gruppi gia’
noti, almeno a coloro che seguono il Teatro emergente, altre volte di gruppi veramente agli esordi, altre ancora di una opportunita’, anche per attori affermati, di sperimentare una fase di studio o di ricerca. Gli spettacoli non sempre rispondono a canoni estetici e professionali di alto livello, ma pensiamo che sia necessario offrire una opportunita’ di rappresentazione, accettando il rischio che questa scelta puo’ comportare.
Adriano Gallina ha sottolineato, nel suo intervento alle Buone Pratiche, che siamo di fronte ad un sistema dove la selezione avviene prima della visione.
Vogliamo offrire la possibilita’ di vedere il lavoro dei gruppi, prima di una successiva, logica, inevitabile selezione.
Lavoriamo sul coinvolgimento di un pubblico giovanile, che va dai ragazzi delle scuole medie superiori, agli universitari, ad un pubblico generico con il quale cerchiamo di attivare spazi di dialogo. La rassegna e’ seguita anche dagli operatori dei teatri o festival della Toscana, per i quali rappresenta comunque una opportunita’ di conoscenza sulle compagnie emergenti.


Workshop

Il tema della formazione e’ uno dei temi ricorrenti quando si parla di ricambio generazionale. Importanza di accesso alla formazione, ma anche rischio di un eccesso di formazione.
La linea che abbiamo seguito a Officina Giovani in questo anno si e’ strutturata su progetti formativi finalizzati prima di tutto alla conoscenza di una pratica organizzativa e delle forme nelle quali il sistema teatrale italiano e’ organizzato. Ci siamo resi conto che spesso,anche fra i giovani usciti dall’Universita’ o che hanno frequentato corsi di managment sullo spettacolo, l’universo teatro e’ un universo informe, dove le differenze fra teatri stabili pubblici, privati, di innovazione, circuiti, o compagnie non e’ ben definita. Ci siamo resi conto dell’importanza di momenti di incontro con gli operatori teatrali e di momenti di informazione sulle pratiche organizzative. Lo scorso anno Mimma Gallina ha tenuto cinque incontri sulle modalita’ di “navigazione” per le giovani Compagnie all’interno del sistema teatrale. Seminario che riprenderemo a febbraio del prossimo anno.
Cosi’ anche per altre discipline. Per la musica: Insider, corso di orientamento all’interno del sistema produttivo musicale condotto da Paolo Naselli Flores.Per l’arte organizzeremo a partire da febbraio un ciclo di incontri con critici, curatori di mostre, galleristi, artisti che parleranno della organizzazione del sistema dell’arte, delle pratiche fondamentali per l’organizzazione di una mostra etc.

Questa attivita’ piu’ propriamente “informativa” si accompagna ad un programma di workshop affidati ad artisti, che si sviluppa come momento di “scambio generazionale” e come opportunita’ di riflessione e di approfondimento interdisciplinare su specifiche tematiche.
Alcuni esempi: nella stagione 2006-2007, Armando Punzo ha condotto un laboratorio focalizzato sulla “destrutturazione” di quelle che sono le comuni convinzioni sul “fare teatro” e di ricerca delle vere motivazioni che spingono a praticarlo.
E’ attualmente in corso un progetto, condotto da Claudia Della Seta (regista italiana che vive e lavora a Tel Aviv) che si articolera’ nel corso di un annno. Partendo dai racconti di in gruppo di donne di culture e nazionalita’ diverse, si sta elaborando una drammaturgia che sara’ messa in scena nel prossimo anno e vedra’ la partecipazione di tutto il gruppo nell’allestimento dello spettacolo.
Altro progetto che iniziera’ alla meta’ di dicembre: Dialoghi sul movimento, progetto della Compagnia Kinkaleri, uno studio sul “movimento, che si sviluppera’ nell’arco di cinque mesi rivolto a giovani danzatori, attori e filosofi che intendono approfondire la propria pratica. La ricerca si svolgera’ in incontri periodici attraverso la commistione della pratica sul corpo e lo sviluppo di un pensiero filosofico coadiuvato dall’intervento di ospiti provenienti da discipline diverse (teatro:Claudia Castellucci, filosofia:Giorgio Agamben, un fisico da individuare ).

Altri corsi sono stati organizzati per le altre discipline. Massimo Barzagli (artista visivo) e Luisa Cortesi (danzatrice) hanno condotto un laboratorio di una settimana che ha prodotto una performance conclusiva dove i partecipanti erano coinvolti in uno gioco di spazi e di percezione visiva. Per l’arte, un laboratorio con Botto e Bruno, giovani artisti torinesi, al quale hanno partecipato giovani provenienti da discipline diverse (arte, teatro, architettura, designer) e’ stato un momento di studio urbanistico su un’ area collocata nel centro urbano di Prato, oggetto di ristrutturazione.
A febbraio Giovanni Ozzola, artista visivo, condurra’ un laboratorio dal titolo “Desire”, un percorso attraverso i desideri individuali, il cui esito finale sara’ una mostra.


Residenze. Spazi di lavoro.

Sono iniziati i lavori di ristrutturazione, all’interno dello spazio degli ex Macelli, dei due capannoni centrali che ospiteranno sale prova per il teatro, uno spazio per rappresentazioni teatrali, atelier per artisti, spazi espositivi, sale di registrazione musica, salette per incontri.
La possibilita’ della struttura di costruire incroci, scambi, occasioni di incontro, offre una grande opportunita’ . Pensiamo ad Officina Giovani come ad una struttura in grado di offrire una risposta alle esigenze delle giovani compagnie di spazi di lavoro. Una struttura in grado di ospitare per residenze brevi (con modalita’ che andremo a definire) il lavoro di gruppi. Come uno spazio dove poter sperimentare e confrontare linguaggi diversi. I progetti di residenza saranno definiti nel corse dei prossimi mesi.



Giovane critica e nuovi media.

La produzione artistica si supporta di un apparato critico in grado di leggerla, interpretarla, diffonderla. La produzione artistica del mondo giovanile, gli intrecci frequenti con nuove tecnologie, con nuovi ritmi e assonanze, spesso sfugge a chiavi di lettura consolidate.
Da qui l’esigenza di nuovi media, di linguaggi interpretativi diversi.
Un percorso sicuramente lungo che Officina Giovani sta sperimentando attraverso un progetto rivolto a giovani giornalisti, seguiti nel loro percorso da quattro tutor (uno per ogni disciplina: Federico Berti e Elisangelica Ceccarelli, Ernesto De Pascale, Luca Scarlini, PierLuigi Tazzi) in un percorso formativo che si e’ sviluppato a partire dallo scorso anno.
Alcuni ragazzi del gruppo hanno gia’ iniziato una collaborazione con radio e quotidiani locali.






L’ organizzazione

La necessita’ di inventarsi quotidianamente forme diverse di programmazione, diverse modalita’ organizzative e promozionali in funzione anche delle diverse discipline (arte, teatro, musica, video), spinge ad un lavoro continuo di sperimentazione anche in ambito organizzativo.
In questo ambito le pratiche in atto prevedono un largo spazio all’associazionismo giovanile che, con freschezza di idee e di intuizioni, costituisce un valido supporto alla struttura.
Il Festival Freeshout, interamente curato e organizzato dall’associazione omonima ne e’ un esempio, ma non solo. Ad aprile 2007 e’ stata ospitata la rassegna Ibsenear, interamente dedicata all’opera di Henrik Ibsen, organizzata dall’Associazione Arteriosa, composta da studenti o neo—laurendi del corso di laurea in Organizzazione di Eventi della Facolta’ di Lettere di Firenze.
Altre associazioni si sono costituite o si stanno costituendo, formate da giovani che vogliono sperimentare una professione in ambito organizzativo. A queste Officina si rivolge, sostenendole nel percorso e offrendo opportunita’ di pratiche organizzative.


 


 

Le recensioni di ateatro I Giganti multimediali di Federico Tiezzi
I giganti della montagna di Luigi Pirandello con la regia di Federico Tiezzi
di Oliviero Ponte di Pino

 

Un paio di stagioni dopo Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, I giganti della montagna hanno suscitato quest’anno l’interesse di Federico Tiezzi: evidentemente l’incompiuta riflessione pirandelliana sulla difficile situazione del teatro e della cultura colpisce un nervo in questo momento particolarmente sensibile.



Nell’attualizzare il testo, Tiezzi opera alcune scelte forti e precise. In primo luogo, il finale: ne ha affidato la stesura a Franco Scaldati, che segue le indicazioni di Stefano Pirandello sulle intenzioni del padre e fa narrare la morte di Ilse da due testimoni, Quacqueo (Alessandro Schiavo) e Diamante (Debora Zuin). Poi – o meglio, per cominciare – trasforma tutti i personaggi in morti, che tuttavia hanno diversi gradi di consapevolezza rispetto al loro stato.



Ne sono consapevoli il Mago Cotrone e i suoi Scalognati, che paiono usciti da una sorta di circo metafisico. Questo stato si appoggia peraltro su alcune battute del testo, come quella di Qaucqueo: “Noi facciamo i fantasmi (....) le apparizioni, per spaventare la gente e tenerla lontana!”. Questa consapevolezza della propria morte la devono invece ancora acquisire i teatranti, gli attori della compagnia della Contessa: sono ancora emotivamente vincolati alla loro vita terrena, ai loro affetti, e tuttavia già presaghi della loro condizione; anche per questo taglio interpretativo si possono trovare supporti nelle battute di Ilse (una Iaia Forte molto lontana dalla fragilità e alle svenevolezze che di solito caratterizza il personaggio): “Quando ci si riduce così, larve di quello che fummo”; e poi, al Conte: “Tu hai la specialità di pensarci (...) quando più mi sento morta”. Naturalmente la massima consapevolezza è quella del mago Cotrone, la sua paradossale saggezza: “Potevo essere anch’io, forse, un grand’uomo (...) Mi sono dimesso. Dimesso da tutto: decoro, onore, dignità, virtù (...) Liberata da tutti questi impacci, ecco che l’anima ci resta grande come l’aria, piena di sole di nuvole, aperta a tutti i lampi...”.



La terza scelta è già implicita nella contrapposizione di circo e teatro, tra l’acrobata e l’attore, che il solito Cotrone definisce con precisione: “Voi attori date corpo ai fantasmi perché vivano – e vivono! Noi facciamo al contrario: dei nostri corpi, fantasmi: e li facciamo ugualmente vivere”. Accanto al circo e al teatro Tiezzi porta infatti in scena, all’interno della sua messinscena dei Giganti, i diversi media: nella colorata scena di Pier Paolo Bisleri, compare all’inizio un vero e proprio teatrino, nel quale agiscono i personaggi; poi verrà utilizzato come schermo cinematografico (anche qui ci sono supporti nel testo, per esempio quando Mara-Mara (Clara Galante) sentito che nel teatro della Villa “ci vogliono fare il cinematografo!”); infine, a richiamare l’impatto della televisione, ecco una colorata proiezione di cartoni animati giapponesi. Il teatrino-tempietto che campeggia al centro della scena ricorda un fondale da pittura metafisica, ma ricorda anche i giochi di costruzioni infantili: la villa degli Scalognati diventa così una sorta di Paese dei Balocchi i personaggi possono liberare la fantasia e giocare con le proprie angosce e ossessioni.
Perché questo mondo di morti e quasi morti, destinati a essere schiacciati dalla forza accattivante dei nuovi media, risulta assai allegro e colorato, a metà tra la provocazione futurista e il gioco infantile. Nei panni del mago Cotrone, Sandro Lombardi è un clown bianco con un fez che pare rubato più a un fumetto d’avventure che all’Oriente: buffo e al tempo stesso lontano, “come se la vita se n’andasse e ne rimanesse una larva malinconica nel ricordo”. Ma i suoi Scalognati (dove spicca con un fitta trama di scene e controscene la Sgricia di Marion D’Amburgo) sono colorati di una sgangherata allegria (i costumi sono di Giovanna Buzzi). Perché forse in fondo, come il regista di questo spettacolo, sanno che malgrado l’impatto dei nuovi media tecnologici, il teatro – questo gioco di fantasmi e di acrobazie – potrà sempre, in qualche modo, ribaltare il gioco, inglobare nel suo meccanismo di opera d’arte totale, inglobare cinema, televisione eccetera. Per quanto marginalizzato e negletto, nel suo “qui e ora” il teatro può giocare a prendersi rivincite come questa, all’insegna della fantasia e dell’invenzione.
D’altro canto questo filtro critico raffredda il pathos estremo del testo pirandelliano. Il palpito – o meglio, il tremito – della vita si è cristallizzato. Le ferite dei personaggi si sono raggelate nella raffinata formalizzazione degli interpreti (come l’esemplare Cromo di Massimo Verdastro). Le fratture che ancora lacerano la realtà restano appena percepibili come segnali ironici, nello slittamento dei diversi piani della rappresentazione. E’ lo stile freddo che caratterizza gli ultimi spettacoli di Federico Tiezzi: una distanza dale cuore caldo delle emozioni, una confezione impeccabile che pare alludere a un vuoto di speranza, alla sconsolante consapevolezza che la nostra azione, estetica o politica, è ormai inefficace, fine a sé stessa e autosufficiente. Ma che proprio per questo dobbiamo portarla a termine nella maniera migliore possibile, con ilare lucidità.


 


 

Firenze: teatro pubblico e area metropolitana
Dal convegno “Il Teatro e la città”
di Mimma Gallina

 

Nel quadro del convegno promosso il 7 dicembre a Firenze dal Comune e dalla Regione sul tema “Il teatro e la città”, cui hanno partecipato amministratori pubblici e operatori teatrali, mi è stato chiesto di intervenire sul tema La produzione teatrale pubblica nel sistema teatrale metropolitano.
Scopo principale dell’incontro era riflettere su ipotesi di missione e gestione della Pergola - per cui l’ETI, come per gli altri teatri direttamente gestiti, ipotizza la “dismissione”- e sui futuri assetti teatrali dell’area metropolitana fiorentina.
L’orientamento rispetto alla Pergola è stato confermato con determinazione dal direttore dell’ente Ninni Cutaia (in coerenza con una direttiva del ministro Rutelli), che ha in qualche misura tranquillizzato circa tempi (non così stretti) e modi (in questa fase l’ente è particolarmente concentrato sulle procedure, che non comportano la cessione della proprietà). Cutaia ha anche raccomandato di non ancorare a modelli rigidi e precostituiti la riflessione sulle forme organizzative (una riflessione appoggiata anche sull’esperienza del Mercadante di Napoli).
L’assessore alla cultura del Comune, lo storico Giovanni Gozzini, ha confermato interesse ma espresso preoccupazione rispetto agli oneri dell’operazione: attualmente il costo totale annuo del teatro è di circa 3 milioni e mezzo di euro – piuttosto elevato se si pensa che non si tratta di un teatro di produzione e le compagnie nell’attuale gestione vanno tutte a percentuale – e la differenza costi ricavi di 2 milioni e mezzo (il costo principale è naturalmente il personale). L’acquisizione da parte degli enti locali auspicata dall’ETI coinvolgerebbe però anche Regione e Provincia. L’assessore ha anche avviato la riflessione su una possibile nuova caratterizzazione della Pergola, per cui auspicherebbe - in sintonia con un progetto lanciato da Massimo Castri già diversi anni fa - una doppia vocazione, legata alle specificità della città: collaborazioni di altro profilo internazionale, e una particolare attenzione alla lingua italiana (dalla tradizione rinascimentale fino alla drammaturgia contemporanea). Tutto questo privilegiando progetti formativi di alto livello, che nel passato già hanno caratterizzato il teatro, in particolare con Gassman e Eduardo (un secondo appuntamento a questo proposito è annunciato l’11 gennaio e consiste in un incontro con “grandi maestri” sul tema della pedagogia teatrale).
Le scelte da prendere per la Pergola presuppongono però due ulteriori ordini di riflessione:
- un ripensamento del panorama teatrale metropolitano, che Gozzini considera eccessivamente frammentato (con 29 teatri) e vorrebbe acquisisse dignità di “sistema”, attraverso una più chiara precisazione delle funzioni di ciascuno, e forme di coordinamento più avanzate di quanto non sia oggi Firenze dei teatri (l’associazione che opera prevalentemente sul terreno della promozione e costituisce un interessante tentativo di fare sistema “dal basso”). Affrontare questi problemi in concreto da parte del Comune significa in prospettiva promuovere in prima persona il coordinamento, anche attraverso forme di consultazione-concertazione con teatri e compagnie, e razionalizzando gli interventi pubblici attraverso “contratti di servizio”;
- la necessità (tanto più in una logica che tende a razionalizzare i progetti e la spesa), di non sovrapporsi al Metastasio di Prato, per assumere invece orientamenti complementari e stabilire forme di collegamento. Il Metastasio assolve infatti dai primi anni Settanta – e formalmente da dieci anni - la funzione di teatro pubblico regionale.
Quest’ultimo punto e la necessità di una pianificazione territoriale dell’attività culturale e di spettacolo è stato ribadito anche dall’assessore alla cultura della Regione, Paolo Cocchi, che (accostando il sistema teatrale a quello sanitario) ha sottolineato come il riassetto del sistema teatrale regionale, con la valorizzazione delle specificità e delle diversità – da salvaguardare - dei singoli territori, sia il fine perseguito anche dal progetto toscano finanziato nel quadro del patto Stato-Regioni.
Anche Riccardo Nencini, per l’Associazione Firenze 2010, ha insistito su questo punto, parlando di attività culturali e pianificazione strategica, sottolineandone la funzione economica e la necessità di potenziarla (no solo palcoscenico, anche indotto).
La Presidente del Metastasio (diretto ora da Federico Tiezzi), Geraldina Cardillo, in una rapida cronistoria dell’attività teatrale pratese, ha ricordato la centralità del teatro per e nella città di Prato, con il restauro del Metastasio negli anni Sessanta, il recupero del Fabbricone, le significative personalità che sono passate di lì e ne hanno fatto una delle capitali moderne del teatro italiano (i più citati Strehler, Ronconi e Castri), un ruolo che certo la città di Firenze non ha saputo assumere.

Vengo al mio tema, un po’ambiguo, che consentiva però qualche riflessione interessante, teorica e operativa, e soprattutto di porsi alcune domande.
Ambiguo perché:

Che osa si intende esattamente per produzione teatrale pubblica?
E che cosa si intende per area metropolitana (e fiorentina in particolare)?

1) Brevemente su quest’ultimo punto: i confini dell’area metropolitana fiorentina sono chiari, con il territorio comunale di Firenze e i comuni dell’hinterland (Scandicci, Sesto Fiorentino eccetera), ma - in una logica più avanzata di programmazione territoriale e in molti ambiti dell’economia - ci si orienta a considerare l’“area vasta” che include i territori di Prato e Pistoia (del resto le tre città distano una ventina di chilometri e altrettanti minuti d’auto l’una dall’altra).
Nel nostri caso, non si tratta solo di precisare e progettare funzioni diverse e complementari delle organizzazioni teatrali (obiettivo non facile): ci si deve interrogare anche sul bacino di utenza potenziale e sulla mobilità effettiva e potenziale del pubblico. A questo proposito non ci sono dati precisi, se non una ricerca del Metastasio di alcuni anni fa, che aveva indicato nel 10% gli spettatori provenienti dalla provincia di Firenze (molti o pochi?). Pensare in concreto a un’“area vasta” teatrale presuppone e comporta analisi, obiettivi, progetti di promozione del pubblico.

2) Ancora più complesso chiedersi cosa sia oggi la produzione teatrale pubblica, che cosa possa oggi essere il teatro pubblico, che e cosa rappresenti o possa rappresentare nell’area fiorentina (le riflessioni che seguono le ho esplicitate solo in parte a Firenze).
a) Breve premessa: l’idea originaria di teatro pubblico e la funzione pubblica del teatro – collocata in Italia nel secondo dopoguerra col Piccolo di Milano - è riconducibile all’intreccio indissolubile di due obiettivi mai sconfessati, per quanto declinati negli anni in modo molto diverso: accesso e qualità. Voglio ricordarlo perché può succedere di dimenticare o trascurare uno dei due poli nell’operare scelte politico-amministrative e il tema che il convegno affronta è proprio quello del ridisegno territoriale.
b) Dagli anni Settanta in avanti, progressivamente in tutta Italia, questa funzione non è assolta solo dagli Stabili Pubblici, ma da una rete di soggetti, pubblici/a partecipazione pubblica/indipendenti.
c) Il sistema dei finanziamenti (statali, regionali, locali) certifica (o dovrebbe certificare) la funzione pubblica delle singole organizzazioni (che, con le necessarie differenze e specificità, devono garantire la qualità e contribuire alla diffusione del teatro). Il meccanismo è inceppato perché sono guasti i modi di valutazione, ma questo è un altro discorso.
d) In quest’ottica si sono formati sistemi metropolitani, più o meno evoluti, che hanno visto scelte e ruoli delle pubbliche amministrazioni differenti (pensiamo per esempio a quanto siano diversi gli assetti e le politiche a Milano, Torino e Roma), e che quasi ovunque sono oggi da rivedere. Nel frattempo però il tessuto e i bisogni delle aree metropolitane stanno mutando e il teatro (e la sua organizzazione) rischia di non cogliere le nuove emergenze sociali e le nuove frontiere dell’accesso: periferie, marginalità, composizione demografica ed etnica, nuove povertà. Puntare a un sistema di strutture integrate a partire dalla definizione delle missioni e dalla valutazione dei progetti e dell’attività è certo corretto, ma non può prescindere anche da questa riflessione socio-territoriale.
e) Quale è la funzione del teatro pubblico propriamente detto (gli stabili pubblici), in questa situazione? Cosa può essere oggi? E soprattutto: un sistema articolato ha bisogno di riferimenti istituzionali? Io credo di sì, perché penso che intorno a istituzioni funzionanti si possano definire meglio le specificità, valorizzare le differenze, promuovere un’offerta di qualità diffusa (è la stessa ragione per cui credo nella scuola e nell’università e nella ricerca pubbliche e ritengo che lì debba esserci il meglio a costi sostenibili per la collettività e a prezzi accessibili). Sono convinta però che possano esserci forme diverse, forme da inventare rispetto all’attuale teatro pubblico, perché se abbiamo una certezza è che ormai in Italia non funziona in genere troppo bene (né sul piano della qualità - i teatri d’arte - né dell’accesso: almeno in un’ottica aggiornata di arte e accesso). Il teatro pubblico è necessario solo in quanto (o nella misura in cui) può essere riformato.

3) Venendo alla Toscana, e a Firenze, una parentesi storica. Vale la pena di soffermarsi sulle considerazioni – espresse anche dell’assessore Gozzini - rispetto alla storia delle istituzioni teatrali pubbliche in Toscana: ovvero la sequenza di fallimenti e dismissioni. Perché è potuto accadere?
Il primo teatro stabile, la Rassegna dei Teatri Stabili, il Teatro Regionale Toscano, la prima forma della Fondazione Toscana Spettacolo, l’Ente Teatro Romano di Fiesole, il Balletto di Toscana, il Teatro della Compagnia, il Teatro Niccolini.
Esperienze gloriose, tutte fallite: studiandole una per una potremmo andare a scoprire perché è successo. Ma che cosa hanno in comune queste vicende, in controtendenza con l’andamento nazionale? Solo i progetti e le iniziative indipendenti sembrano avere qualche speranza di vita a Firenze; in ambito pubblico fa eccezione proprio Pergola, che però è emanazione di un’organizzazione nazionale, anzi statale. La risposta non ce l’ho, non può essere nelle solite banalità sulla litigiosità toscana, ma è certo che nel settore del teatro gli enti pubblici hanno lasciato morire (o partire) i loro figli migliori

3) Il sistema teatrale fiorentino si caratterizza per alcune particolarità recenti:

- un’evoluzione e crescita spontanea dalla fine degli anni Novanta, che può aver portato alla polverizzazione, ma di certo rivela dinamismo e capacità di integrazione fra presenze storiche e fermenti recenti e ha registrato una buona risposta di pubblico;

- questo nonostante sostegni/investimenti piuttosto modesti da parte del Comune e della Regione, un elemento che non aiuta le organizzazioni teatrali a sollevarsi da livelli in qualche caso ai limiti della sussistenza;

- la capacità indipendente di coordinarsi sul piano promozionale (con Firenze dei teatri)

- sono però molti i vuoti politici, come si è detto, e quelli artistici: non mancano le eccellenze, i progetti innovativi, ma i riferimenti di alto profilo sono in effetti carenti.

4) Rispetto al ruolo storico e attuale della Pergola, non bisogna dimenticare che si tratta di un teatro di programmazione. E’ stata una programmazione di qualità alterna a seconda delle direzioni che si sono succedute: buona tradizione, a volte pura convenzione, qualche apertura all’innovazione, sempre un po’ con il Manuale Cancelli del teatro in mano. Ma con alti e bassi la Pergola resta un teatro speciale, con una collocazione e una funzione importante in rapporto a un’area estesa del sistema teatrale (come ha ricordato Roberto Toni, soffermandosi anche sulla necessità improrogabile di ridare attenzione e qualificare il sistema distributivo) e al pubblico. Questa funzione era e credo sia reale: qualunque scelta non può prescindere da questa considerazione. Per questo motivo vedo un rischio “ecologico” nella dismissione, se non viene realizzata con molta cautela (e anche per i costi).

Per concludere alcune domande

Se ci si propone di creare un vero e proprio “sistema” metropolitano, è necessaria un’analisi e autoanalisi che porti a individuare e colmare i vuoti; ma serva anche valorizzare quello che c’è, con la logica pragmatica e progettuale del “piano regolatore”; è positivo che il Comune di Firenze svolga un ruolo protagonista, ma non invasivo, e auspicabile che le forme e l’organizzazione che metterà in campo siano le più agile possibili, ma è anche necessario che si trovino risorse adeguate (in un’economia ridotta al minimo, non è realistico pensare che una razionalizzazione porti a risparmi immediati o economie di scala, solo dopo una fase di rafforzamento questo potrà verificarsi).
E’ necessario un polo produttivo a gestione pubblica di alta qualità? E quale vocazione/missione/identità dovrà avere questo polo (e per la città?) La vocazione internazionale è certo convincente (e ci si potrebbe confrontare con interessanti modelli stranieri). La questione della lingua mi sembra un progetto suggestivo e da perseguire ma un po’ forzato, un po’ intellettualistico come linea portante di un teatro.
In ogni caso è davvero opportuno che la Pergola diventi un teatro di produzione? Ed è concretamente possibile una “federazione” Prato/Firenze che veda magari un alternarsi/integrarsi di attività produttiva e progetti internazionali e pedagogici di alto profilo?
Forse sì (a dispetto della storia).
Purché anche la caratteristica e la funzione di teatro di programmazione venga salvaguardata (magari riequilibrandola anche attraverso altre sale).
Purché l’”opportunità” Pergola non diventi una “minaccia” per il resto del sistema.
Purché si pensi a un modello ad hoc: ho scritto “federazione” Prato/Firenze. Non è solo la storia teatrale locale a sconsigliare grandi istituzioni e accorpamenti, ma anche il buon senso. Semmai forme di coordinamento agili, collaborazioni istituzionalizzate eccetera. La leggerezza, insomma. (Per la verità nessuno nel convegno del 7 ha parlato di grande istituzioni, superstabili eccetera, ma siccome la voce girava e gira la precisazione non mi sembra superflua).

E’ importante che il processo di discussione e le scelte avvengano con molta trasparenza, e forse un po’ questo convegno serviva a scoprire la carte: speriamo si proceda così.


 



Appuntamento al prossimo numero.
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