(68) 04/05/04

Eppur si muove (qualcosa...)
L'editoriale di ateatro 68
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro68.htm#68and1
 
A come impegno…..
Incontro con Simona Gonella-Babelia & C.
di Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro68.htm#68and10
 
Reportage Chernobyl
un progetto
di Roberta Biagiarelli e Simona Gonella

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro68.htm#68and11
 
Un incontro per fabbricanti di sogni
E' possibile costruire un nuovo mercato per il nuovo teatro?
di Franco D’Ippolito

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro68.htm#68and20
 
Caro Oliviero
Un mail su "Palermo, cronaca di una stagione perduta"
di Beno Mazzone

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro68.htm#68and21
 
Le recensioni di "ateatro": Tra verità, menzogna e desiderio
Teatri del Vento, in collaborazione con Institutet for Scenkonst
di Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro68.htm#68and25
 
Le recensioni di "ateatro": Giulietta degli Spiriti da Federico Fellini
Regia di Valter Malosti con Michela Cescon
di Fernando Marchiori

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro68.htm#68and40
 
Le recensioni di "ateatro": Il mondo delle fiabe: Emanuele Luzzati scenografo e illustratore
Un libro e una mostra
di Fernando Marchiori

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro68.htm#68and50
 
La sesta edizione del Premio Hystrio alla Vocazione per giovani attori
Il bando
di Redazione Hystrio

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro68.htm#68and80
 
Subway Letteratura a Milano, Napoli e Roma
Istruzioni per l'uso dei juke-box letterari
di Davide Franzini & Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro68.htm#68and81
 
Un sipario per unire: un convegno a Roma il 20 maggio
Un nuovo pubblico per il teatro, un nuovo teatro per il pubblico
di Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Teatro Eliseo, ETI

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro68.htm#68and82
 
Il butoh a Lerici
La danza di confine dal 14 al 16 maggio
di Associazione Culurale GEST/AZIONE

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro68.htm#68and83
 
Teatro e Storia tra azione e riflessione in seminario a Livorno
Un progetto a cura di Concetta D'Angeli
di La Casa del Teatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro68.htm#68and84
 

 

Eppur si muove (qualcosa...)
L'editoriale di ateatro 68
di Redazione ateatro

 

Noi ci lamentiamo sempre. Che il nostro teatro sta andando a rotoli, che il sistema è bloccato, che i soldi pubblici per la cultura sono pochi e vengono spesi male, che ci dibattiamo in un intrico scandaloso di conflitti d’interessi e clientele e censure...
Esagerati.
Perché qualcosa di bello – e spesso di molto bello e interessante – continua a succedere, magari lontano dalle ribalte dei grandi teatri.
E allora proviamo a trovarlo e a raccontarne un pezzetto, se ci riusciamo, in questo ateatro 68.
Questa volta Anna Maria Monteverdi è andata a parlare con Simona Gonella, che con Roberta Biagiarelli ha realizzato due spettacoli su Srebrenica e Cernobyl (anzi, quello su Cernobyl debutta proprio in questi giorni). E poi ha visto l’anteprima del lavoro che i Teatri del Vento (approfittando della collaborazione di Magdalena Pietruska e Roger Rolin dell’Institutet for Scenkonst) hanno dedicato a Pier Paolo Pasolini (un altro spettacolo che debutta in questi giorni).
Fernando Marchiori ha invece recensito la Giulietta degli spiriti felliniana di Valter Malosti e della neo-diva sexy Michela Cescon (a proposito, se volete vederla prima della cura dimagrante impostale da Matteo Garrone, provate a curiosare nel primo «Autoritratto dell’attore da giovane», che forse le ha portato un po’ di fortuna....).
E poi notizie & altro (anche qualche lamentela, va da sé, e l’annuncio di una importante giornata di studio il 20 maggio prossimo a Roma).
A sproposito, tra poco inizia la nuova edizione di Subway-Letteratura, che quest’anno si allarga a Napoli e Roma e poi chissà... (Trovate qualche info in questo ateatro: perciò diffondete...).


 


 

A come impegno…..
Incontro con Simona Gonella-Babelia & C.
di Anna Maria Monteverdi

 

Simona Gonella insieme con Roberta Biagiarelli, Franco D’Ippolito ed Andrea Soffiantino ha dato vita nel 2002 all’associazione teatrale Babelia & C (newsfrombabelia@hotmail.com; www.babelia.org). I loro spettacoli lanciano un chiaro segnale di attenzione verso tematiche politico-civile più attuali. Finito lo spettacolo rimane l’impegno e la coerenza ideologica. A come Srebrenica ("l’alfabeto del dolore," come aveva titolato Letizia Russo) è lo spettacolo nato nel 1998 e che dopo 160 repliche, una versione in spagnolo e una importante presenza al Festival di Sarajevo per il settimo anniversario della strage di civili musulmani, vorrebbe proseguire nel 2005 con un documentario dedicato alla Bosnia e a Srebrenica, nel decennale della tragedia, legandosi alle associazioni delle vedove di Srebrenica e ai gruppi umanitari e pacifisti internazionali. L’appuntamento con Babelia & C è il 6 maggio ad Argelato al Festival Tracce di teatro d’autore con la prima tappa del nuovo spettacolo Reportage Chernobyl. L’atomo e la vanga. A raccontare, questa volta anche col video in scena, un’altra tragica storia, fatta di morti e contaminazioni radioattive, una storia vicina e già dimenticata, ma di cui rimarrà traccia nella Terra per i prossimi 4 miliardi di anni.

Quando è nata la tua idea di teatro civile e all’interno di quali strutture?

Per quanto mi riguarda ho studiato regia alla Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano, e ho cominciato subito a lavorare con Teatro Settimo a Torino. Da Teatro Settimo a Moby Dick. Ho incontrato in seguito il Piccolo Teatro di Milano, poi mi sono trasferita per un certo periodo all’estero lavorando a Londra per la Royal Shakespearean Company con una regia da La Lupa di Verga e poi Fassbinder al Chichester Theatre Festival e il prossimo anno La mandragola di Machiavelli. Ho lavorato con il Teatro nazionale di Timisoara e in Italia a Bari con la Casa dei doganieri per una riduzione da Simona Vinci, Dei bambini non si sa niente, dal titolo Anfibi rossi . E ancora a Bari con il Koreja Teatro dove ho fatto una regia dal testo di Sarah Kane Psycosis 4:48. La Kane l’ho letta molti anni prima della pubblicazione della traduzione italiana. Si trattava di un esperimento pedagogico nel senso che mi hanno chiesto di lavorare con 5 allieve attrici e per loro ho mescolato il testo con le biografie di personaggi famosi, di donne famose morte suicide: Silvia Path, Marylin Monroe, Virginia Woolf, la Cvetaeva, Amelia Rosselli, la figlia di Carlo Rosselli.



Roberta Biagiarelli.

Cosa lega tra loro queste donne e cosa della loro biografia le unisce alla Kane, a parte l’evento della morte autoindotta?

Io volevo fare un coro con il testo della Kane. Queste donne si sono suicidate, hanno in comune con la Kane il disagio esistenziale. Nel testo della Kane non ci sono "personaggi" e io non volevo farne un monologo. Per me non è affatto un monologo, ha in realtà più personaggi. Ho chiesto alle allieve di scegliere ciascuna uno di questi personaggi, poi sulla base delle loro biografie abbiamo studiato il testo della Kane e attribuito le diverse parti. Uno spettacolo fatto con niente: 5 attrici, 5 sgabelli dipinti di blu, 5 secchi di metallo. Basta. Alcune biglie colorate come "attrezzeria".

Nel tuo lavoro sulla guerra nella ex Jugoslavia, sull’assedio di Srebrenica hai guardato anche alla Kane di Blasted?

In realtà ho incontrato la Kane successivamente. Il lavoro su Srebrenica è iniziato nel 1998, la Kane l’ho scoperta nel 1999.

Come è nata l’idea di A come Srebrenica?

Srebrenica ha una storia curiosa.
Roberta (Biagiarelli) stava a Torino, lavorava al Teatro Settimo per uno spettacolo per ragazzi, Acquarium e aveva conosciuto Giovanna Giovannozzi, amica del giornalista Luca Rastello, l'autore del libro La guerra in casa, e aveva fatto un viaggio post bellico con lui nei Balcani. Aveva incontrato la storia di Srebrenica e sosteneva che andasse raccontata in teatro. E ha chiesto a Roberta se le interessava conoscere questa storia. Roberta mi chiama, ascoltiamo la storia. Giovanna è una storica, non è di formazione teatrale. La storia in sé e una storia di guerra, evidentemente.

Cosa vi ha spinto ad accettare di raccontare questa storia?

La domanda iniziale che si ci siamo fatte è: "Noi, l’11 luglio del 1995 dove eravamo?" Risposta banale: "Al mare". Quello che ci ha mosso è che dall’altra parte del mare c’era la guerra. Come è possibile che a noi che eravamo informate, che seguivamo le notizie, questa cosa ci è passata, soltanto perché eravamo al mare? Il motore è stato questo indignarsi che certe cose non si sappiano. O se si sanno, si sanno in maniera superficiale, veicolate da un certo modo di fare informazione che ben conosciamo. Così nel gennaio del ‘98 abbiamo cominciato il percorso di avvicinamento.Abbiamo letto attentamente il libro La guerra in casa che aveva un capitolo significativo sulla storia di Srebrenica.

Quale è stato il metodo di lavoro, sia di scrittura drammaturgia che scenico-attoriale?

Giovanna si è occupata della scrittura storica, io e Roberta abbiamo studiato i libri accuratamente e ci siamo occupate di dare al testo una forma più teatrale.
Il percorso di scrittura è stato a tappe. A come Srebrenica ha avuto ben 14 versioni. Ogni tanto ci si vedeva, si facevano aggiustamenti. La prima volta che è stato ascoltato lo spettacolo è stato nel 1998 al teatro di Arezzo, al Festival del Teatro e del Sacro che è poi il produttore, anche se è un po’ strano perché non c’è una vera produzione, per una mia scelta. Non volevo musica, scenografia elaborata, luci particolari. Poi l’idea che Roberta ha elaborato mentalmente è stata: "Proviamo a tenere in assedio il pubblico". Si, insomma la gente di Srebrenica tenuta in assedio con le armi, noi volevamo riuscirci con il pubblico ma solo con le parole. Volevamo dare la sensazione di essere cinti da una storia. Roberta ha fatto un grande lavoro. Dal giorno del debutto fino al 2001 lei ha fatto quello che dovrebbero fare tutti quelli che non hanno un testo codificato in mano: cambiava spesso e lo adattava e rimodellava. Ora dura 75 minuti, all’inizio 120, abbiamo lavorato molto sulla sintesi.

Come è stata costruita la particolare gestualità, i micromovimenti intorno alla scarna scenografia, le micro coreografie?

Un certo tipo di gestualità appartiene a entrambe. Quando non hai nessun altro mezzo, mi viene da dirlo all’inglese,quando non hai nessun device cioè non hai altro che corpo e voce, allora devi usare al massimo queste risorse. Queste risorse sono anche gestualità molto ricercate. Geometrie di movimento. In scena ci sono una sedia e un tavolo: abbiamo lavorato sulla geometrizzazione del gesto e dello spazio. Oggetti che delimitano luoghi, luoghi geografici, luoghi fisici. Micromovimenti che devono esserci sempre, l’attrice è sempre in movimento.

Quanto è lasciato alla libertà di interpretazione o di improvvisazione dell’attrice?

Roberta dice che dopo quasi 160 repliche ha raggiunto il giusto grado di libertà all’interno di una struttura ben definita. Semplicemente lo rivive ogni volta, con molta apertura, ma l’improvvisazione non esiste. Esiste all’inizio del processo. Io sostengo che la bellezza del teatro è proprio nell’essere strutturato, a meno di non fare scelte registiche diverse, lo spazio di improvvisazione dell’attore se vuoi è all’interno di questa struttura. Roberta riesce a dare gradi di intensità molto alti, deve dire cose al 100 per 100 terribili ma è lì davanti a raccontartele..Di fronte a certe produzioni in cui gli attori si aggirano sul palcoscenico e cercano di dire disperatamente qualcosa e non c’è rigore, mi irrito; il teatro è un mestiere, non un incidente che capita nella vita, ha regole ferree. Mi appartiene questo rigore forse eccessivo se vuoi; ma quello che mi piace nel mio mestiere è che appunto è un mestiere, posso stare ore o giorni a studiare con un attore come fare una sola cosa. Mi piace poi un teatro agito in cui non vedo il sentimentalismo. Quanto al metodo di cui mi chiedevi, mi piace lavorare con gli interpreti sulla "scientificità" dell’arte dell’attore e al di là dell’artisticità. Gli studi di Laban sono stati un riferimento, una folgorazione e ho provato ad applicarli all’attore: è illuminante. Così come non posso trascurare però i miei anni "terzoteatristi".

Come conciliare l’oggettività del racconto - i documenti di guerra, i giudizi del Tribunale dell’Aja, la pulizia etnica operata da Karadzic e Mladic - con le storie personali con il loro grado di umanità? E come raccontare una storia dove come dite nello spettacolo "non era chiaro per niente chi ammazzava chi"?

Con Roberta ci siamo dette che non volevamo essere frontali rispetto alle cose, volevamo essere più umane. Volevamo cogliere l’aspetto più drammatico dell’umanità travolta da una tragedia che è stata molto ben concertata dal mondo civile. C’è la contrapposizione tra esseri umani e tra il mondo ufficiale e le logiche di spartizioni territoriali e Roberta incarna molto bene tutto questo, come narratore non intellettuale ma che lo vive ogni volta sulla pelle. I Capi di imputazione, lei in scena li legge anche se li sa a memoria, ma sono passaggi molto freddi, deve leggerli come ha fatto il Procuratore del Tribunale Penale dell’Aja…. A come Srebernica è giocata su più livelli, Roberta che inizia con un Io ("Io sono nata in un paese davanti al mare"), poi lei che assume su di sé i diversi personaggi che hanno popolato questa storia, poi il piano ufficiale, le informazioni. L’intreccio di questo tre piani dà mobilità alla rappresentazione.Quanto alla scientificità del mio lavoro, questa sta tutta nella ricerca, nello studio delle fonti. Srebrenica è stata per me il modello dell’intervento occidentale. Srebrenica è sul confine tra Serbia e Bosnia. Quando l’esercito serbo entra in terra di Bosnia trova subito Srebrenica, poi gli abitanti fanno resistenza, c’era Naser Oric che mette su un esercito di quarantamila disperati. Subito viene tenuta sotto assedio dalle truppe serbo-bosniache. Il mondo interviene quando si accorge che c’è una altra Sarajevo intorno a Sarajevo. Srebrenica è, come diciamo nello spettacolo, un’isola musulmana in un mare di serbi. Quando il mondo se ne accorge, è con il generale con Philippe Morillon. Ma pur di andarsene di fronte a una popolazione affamata che ti guarda ed è sotto granate serbe, tenuta in scacco, dichiara Srebrenica sotto protezione Onu. E questo andava contro il principio di equidistanza secondo cui l’Onu non si schiera con nessuna delle parti. Da questo momento si segue il paradosso delle Zone protette dall’Onu che come tali non possono essere oggetto di attacchi militari ma che per difenderle non era possibile usare armi! Arrivano caschi blu canadesi e olandesi. E l’8 maggio 1995 il governo olandese apre un’inchiesta sui comportamenti dei soldati di stanza a Srebrenica accusati di aver gettato caramelle ai bambini per farli correre su un campo minato. Per sminare la zona…

Quale l’obiettivo di uno spettacolo del genere, prendere posizione a favore di una delle parti?

Non abbiano fatto uno spettacolo pro contro i serbi o bosniaci,. Abbiamo fatto uno spettacolo contro l’orrore; quando ci hanno contestato di aver fatto uno spettacolo anti-serbo e che dovevamo mostrare anche l’altra parte, abbiamo detto che non volevamo fare la par condicio dell’orrore. E’ stata massacrata Srebrenica dalle truppe serbe, questo è un dato inequivocabile. Ma Srebrenica è anche una cittadina dove il mondo intero ha contribuito a decidere di massacrare la quasi totalità della popolazione maschile. Ma non sapremo mai quante sono state davvero le vittime.
Quando tu affronti un tema come la guerra non è che prendi delle parti, io sto evidentemente dalle parte delle vittime. A come Aggressori A come aggrediti diciamo nello spettacolo. Non c’è giudizio, è solo questo. Srebrenica è un modello di guerra occidentale: gente aggredita privata di tutto e della vita e dimenticata subito dopo.

A Srebrenica c’erano gli osservatori dell’Onu….

Sono arrivati dopo, quasi un anno dopo, esattamente nel 1993, dopo undici mesi dall’inizio dell’assedio. Solo Sarajevo aveva una grande quantità di attenzione internazionale; Srebrenica era ai confini dell’Impero, piccolissima, nessuna agenzia internazionale se ne occupava….

Sulla strage di Srebrenica c’è la responsabilità diretta della Nato che non è intervenuta….

E’ stata la pagina più agghiacciante. Il segretario dell’Onu, Kofi Annan lo ha ammesso. Noi lo diciamo nello spettacolo e ci siamo assunte le responsabilità di questo. L’Onu ha fatto carne da macello a Srebrenica. Questa è una storia umana laceratissima, la storia dei caschi blu che aspettano la Nato e loro non arrivano nonostante la minaccia evidente e le premesse di un massacro annunciato. Ci sono dichiarazioni dei soldati Onu che ammettevano che la Nato doveva intervenire. Non arriva invece nessuno. Sono morti in 9 000 a detta della Croce Rossa, ma ne mancano all’appello 12000.

Voi dite nello spettacolo che Srebrenica era stata venduta.

Il patto di Dayton è chiaro, c’è una spartizione su base etnica. Srebrenica è in territorio serbo. Territorio della Repubblica Serba di Bosnia. Il prezzo della pace, un tradimento. Ma non voglio credere che pensassero che ci sarebbe stato un massacro così.

Come è attualmente la situazione in Bosnia: avete avuto modo di tornarci o di capire come la popolazione vive gli anni dopo il conflitto?

In Bosnia la situazione è tremenda. Scoppierà un’altra guerra, una guerra di povertà, di pane, la grande guerra tribale come è stata vissuta dall’Occidente, dall’Europa, dai media, non è vera. Non è stata una guerra etnica, è stata profondamente politica ed economica, che ha fatto leva su sentimenti di quel genere, ma non è stata guerra civile. "Non ci siamo ammazzati tra fratelli" loro dicono.

Avete girato in molte città spesso fuori dai teatri, chiamate da circoli pacifisti e associazioni di volontariato. Sono questi gli spazi di un nuovo teatro civile? Guardando lo spettacolo mi è venuto in mente che davvero il vostro è un teatro che mi rappresenta molto, non solo come "pacifista" convinta; forse per il fatto che dimostra come il teatro in fondo realizzi al meglio questo momento di autocoscienza e autocritica collettiva. L’evidenza che di fronte a fatti terribili che sembrano inevitabili dobbiamo essere consapevoli che esiste un altro modo di agire e che siamo una moltitudine molto più numerosa di coloro che decidono i destini del mondo e che si spartiscono terre al prezzo di vite umane…



Roberta Biagiarelli.

Lo spettacolo ed in particolare Roberta dal 1998 ad oggi ha conosciuto molte realtà ma non abbiamo incontrato spesso i grandi palcoscenici, soprattutto molti piccoli circuiti, che poi sono quelle che definiamo le realtà battagliere delle società civile. Lo abbiamo fatto anche di fronte alle donne di Srebrenica, alcune le abbiamo incontrate proprio qua in Italia, altre a Sarajevo….

Come è stato accolto lo spettacolo in terra di Bosnia e con quale spirito avete affrontato questa avventura di raccontare cosa è successo a chi l’aveva davvero vissuto?

Ci vuole l’incoscienza, no, no anzi la determinazione . Noi siamo state chiamate per la celebrazione del massacro. Sarajevo ha deciso che dovevamo venire noi. E’ strano, perché vai a parlare di fronte a gente che sa benissimo di cosa stai parlando ma alla fine ti ringrazia perché la cosa di cui hanno sofferto di più è stato proprio il silenzio. Alla fine piangevamo tutti…..bosniaci, italiani…..Lo spettacolo è stato fatto nel cortile della casa dell’esercito, l’unico spazio disponibile!

E Roberta come ha vissuto questa esperienza?

Lei è un’attrice che va a cercare il personaggio, va a cercare la semplicità, non ama i discorsi intellettuali, è molto umana, si assume sulla sua pelle il lavoro teatrale. Per il decimo anniversario, che sarà nel 2005 lei vorrebbe fare un documentario, per raccontare il viaggio in Bosnia alla ricerca delle donne, le relazioni che abbiamo instaurato in questi anni grazie allo spettacolo. Abbiamo anche un diario inedito che ci piacerebbe diffondere. Babelia poi è nata per questo spettacolo, perché Srebrenica non aveva una casa teatrale.
Come ti relazioni con la drammaturgia della guerra in ex Jugoslavia, penso naturalmente alla Biljana Srbljanovic.

La Srbljanovic l’ho letta dopo e in francese. Volevo mettere in scena Giochi di famiglia perché mi interessava quella congiunzione tra storia reale, una guerra e la follia che vi è contenuta. Tutto tenuto su un livello altamente metaforico….

Anche le storie de La trilogia di Belgrado hanno questa caratteristica…Fuoriusciti volontari da una guerra certa che incontrano isolamento ed emarginazione, un’altra guerra senza però avere la forza e le armi adatte a combattere. Il tutto giocato su un livello di ironia tragica…

La Trilogia è più schematica, un testo costruito sulla base di certi personaggi. In Giochi di famiglia c’è più da divertirsi, appunto un po’ più di follia. Lei scrive bene e ha questa capacità di saltare tra i vari generi... Mi chiedo però finito il filone della guerra, cosa farà. Il problema per lei come per altri, è il fenomeno. Esaurito il fenomeno, riuscirà a sopravvivere? Aspetto di capire se nell’esaurimento di un tema emergerà anche qualcosa’altro.

E rispetto alle sue posizioni politiche? Penso ai diari dalla Belgrado bombardata dalla Nato? (ora on line su repubblica.it)

Non ha mai preso posizioni forti e decise come ha fatto Peter Handke dall’altra parte (a favore del nazionalismo serbo, ndc).

Il prossimo progetto?

Lavorare all’estero; non che voglia emigrare, però! Lavoro intanto al progetto per Chernobyl. Dopo aver fondato Babelia, ci siamo detti che volevamo proseguire sul tema dell’impegno civile. La nostra vuole essere una produzione teatrale fondamentalmente politica.

Chernobyl: che storia è?

E’ una storia che abbiamo incontrato per caso a partire da Enkil Bilal, un fumettista francese che ha fatto una serie di tavole su Chernobyl. Poi abbiamo chiesto in libreria quali libri avevano sull’argomento e ci hanno dato soltanto un libro, Preghiera per Chernobyl. Non avevano altro, non esiste più niente! Non per fare sempre i paladini ma ci sono eventi che resteranno nel tempo e nello spazio ma su cui ad un certo momento cala il silenzio. E Chernobyl resterà per i prossimi 4 o 5 miliardi di anni! Perché questi sono i tempi di decadimento dell’uranio. Con Chernobyl per la prima volta il concetto di tempo assume una valenza completamente diversa, che va al di là del tempo umano. E’ partito dal piccolo libro del francese Bilal. Poi ci siamo chieste ancora una volta: "Cosa ti ricordi?" Il punto è questo: ci sono esseri umani che si incontrano con un fenomeno mai visto prima nel mondo. Ci sono contadini, persone normali, che vivono una vita normale e nella loro vita entra un fenomeno se vuoi, ancora più incredibile di una guerra. Lì almeno c’è un nemico che vedi. Ma un’esplosione radioattiva …..Non è mai successa una cosa del genere. A noi interessa parlare di questi esseri umani, insomma: Cosa resta di loro?. A partire da questa storia volevamo fare riflessioni più ampie, di contenuto più strettamente politico, sull’energia, sull’ambiente. Non è un caso che lo spettacolo ha un sostegno concreto di Lega ambiente.

Chernobyl, l’atomo e la vanga: un’altra storia drammatica e emblematica?

Senz’altro emblematica perché è ci porta a riflettere tutti quanti sull’energia. E’ ora di porci domande serie: Perché ne usiamo così tanta, per esempio; e poi emblematica perché dopo Chernobyl non possiamo più dimenticarci di avere un senso di responsabilità nei confronti della razza umana, responsabilità che abbiamo dimenticato
Abbiamo incontrato una storia di esseri umani, questo è sempre il criterio con cui ci muoviamo. La situazione in Bielorussia dove si è verificata la contaminazione a causa del vento al momento dell’esplosione, è una situazione di esseri umani abbandonati, lasciati lì. Gli è passata sopra la testa la tecnologia del XX secolo che non conoscevano e adesso due milioni e mezzo di persone sono contaminate. E a noi piace dare voce a questa gente.

Quali sono state le conseguenze dell’esplosione?

La radiazione viaggia con il vento, è andata in Bielorussia. Ha fatto un giro che è stato anche ricostruito, in Europa del Nord, nell’Italia del Nord per finire in Grecia. Le conseguenze delle radiazioni sono andate a finire in territori molto lontani, le radiazioni non hanno confini, e in questo senso sono una splendida metafora del nostro mondo…

Cioè che ci ricade comunque addosso quello di cui siamo responsabili come singoli o come collettività?

E che ci ricade addosso quello di cui non siamo responsabili per niente!
La vanga è anche questo. Come in Ucraina, stavano piantando le patate e un giorno gli hanno detto che la terra era malata. Che dovevano andarsene.

Ora è disabitata quella terra?

A parte un territorio di una decina di chilometri di raggio dalla Centrale dove è assolutamente impossibile vivere, in realtà quella è diventata anche terra di profughi, vengono da tutte le parti della ex Unione Sovietica. Dopo l’esplosione dei 4 reattori ne rimanevano ancora tre in funzione e quindi ci sono rimaste ancora persone per occuparsi dello stoccaggio delle scorie. L’ultimo reattore è stato chiuso nel 2001. La gente non voleva far chiudere la centrale perché dava lavoro. Non erano abbastanza informati delle gravi conseguenze del vivere in quelle terre e perché i danni non erano immediati nel fisico, nella salute. Arrivano dopo anni, magari trasmessi alle generazioni future attraverso il terreno, l’acqua…. Tra una povertà certa e una malattia probabile preferivano rischiare…..

La terra malata è l’unica che accoglie i rifiutati della Terra, profughi, poveri: anche questa è una metafora dei nostri tempi?

Sembra incredibile ma è davvero diventata luogo di rifugio, terra di nessuno, alcuni hanno forzato gli sbarramenti già all’epoca dell’incidente, e sono tornati. Nella storia che raccontiamo un uomo torna a riprendere la porta di casa che da generazioni era il catafalco di famiglia e su quella porta metterà la figlia morta in seguito alle radiazioni. Questa testimonianza ad alta densità umana come mi piace dire, ha fatto scattare a Giacomo (Verde, ndc)l’idea di usare la porta come oggetto; non proiettare immagini sullo schermo, quindi ma su un oggetto che appunto sembra una porta e si muove in avanti e all’indietro. La testimonianza del padre sarà proiettata in video. Il padre è Roberto Herlitzka, un attore che amo molto e che ho scelto per il dono della chiarezza, io dico che avevamo bisogno di qualcuno che avesse la capacità di "parlare parole", dire quello che la cosa è. Semplicemente

Lo spettacolo si inserisce in un momento di forte polemica (dopo il recente black out) sulla necessità o meno del nucleare…

Non è uno spettacolo pro o contro il nucleare anche se dopo il black out ci siamo informate. Non c’è un’emergenza elettrica reale, però la si cavalca per dire che bisogna costruire le centrali nucleari, anche perché la scelta del nucleare è anche economica. Acquistiamo energia dalla Francia di notte perché ci costa meno che tenere in attività le nostre centrali, ma non è che ne abbiamo bisogno. Una centrale nucleare costa cifre incredibili sia a costruirle che a mantenerle con standard di sicurezza. Le scorie che produce poi hanno un costo pazzesco. Dove è vantaggioso - e questo Gianni Tamino, uno dei consulenti scientifici che abbaimo interpellato ce lo ha spiegato molto bene - è dove c’è il nucleare militare. Chi ha avuto il militare nucleare come la Francia è chiaro che poi usa le centrali nucleari per l’energia elettrica, ma lui da ambientalista dice che una centrale nucleare contiene un pericolo profondo. Allora è giusto usare una tecnologia che contiene in sé questo pericolo potenziale? In Italia da 20 anni abbiamo un problema con le scorie da smaltire. Lui dice che l’uomo è l’unico essere vivente che progetta prima di realizzare grandi opere, ma se quando progetta non mette un principio fondamentale di precauzione, cosa lasceremo in eredità alle generazioni future?" In fondo fino alla Rivoluzione industriale l’uomo era perfettamente in sincronia con i cicli della natura. Con la Rivoluzione industriale l’uomo ha cominciato a sfruttare risorse per avere energia e per produrre rifiuti che non possono più essere rimessi nel ciclo organico, semplicemente non sono più riciclabili.

Insomma l’insegnamento di Chernobyl non dovrebbe lasciare più dubbi sui pericoli del nucleare?

Abbiamo un punto di vista che è quello che dobbiamo stare attenti alle conseguenze di certa energia, non facciamo una crociata anche se certamente il messaggio non sarà quello di costruire una centrale ovunque!. E non è un caso che in questa cosa nuova ci sia Giacomo Verde. Questa volta, ci siamo dette, vogliamo raccontare una storia ma vogliamo raccontarla anche attraverso altri occhi. Ci siamo sentite un po’ sole, c’era bisogno di un altro piano presente con noi in scena, che ci facesse uscire dal cosmo attore/ attrice-parola-regista. Volevamo usare anche un altro linguaggio.

Come si inserisce il video nella drammaturgia?

Vorremmo che i due piani fossero in parallelo. Quello che non ci piace è il video esplicativo o illustrativo, vogliamo verificare se possono andare insieme, se la storia viaggia. Lo schermo non è fisso, si muove e racconta in maniera non didascalica ma allusiva rispetto a quello che sta dicendo Roberta Biagiarelli. E’ un tentativo, è il mio primo lavoro con il video, ma sono interessata alla commistione di tecniche, di linguaggi.

Quale sarà la struttura dello spettacolo?

Nella prima parte c’è la moglie di uno dei pompieri di Chernobyl che sono morti e che ci permette di dire cosa è successo il 26 aprile 1986, l’evacuazione improvvisa, i danni. Poi c’è una seconda parte dove Roberta interpreta la parte di una moglie dei liquidatori, che sono coloro che hanno costruito il sarcofago, dovevano lavare la strada, interrare, risolvere il problema delle radiazioni.

Sono morti tutti, suppongo.

Molti sì, venivano da tutta la Russia, anche soldati che venivano dall’Afghanistan, volontari o precettati.

Sapevano a cosa andavano incontro?

Non completamente. Le autorità hanno mandato le persone senza dire esattamente la pericolosità della missione. Loro lavoravano 3 minuti sul reattore, poi dovevano scappare perché il livello delle radiazioni era altissimo. In mezzo ci sarà un intermezzo giornalistico, documentaristico. Ha lo stile del reportage, del servizio giornalistico fatto con materiali di archivio, interviste ma tutte sempre "trattate". Vorremmo che questa parola "reportage" fosse un po’ la guida di tutto lo spettacolo

A che punto siete con il progetto e quali saranno le prossime tappe?

La strategia di Chernobyl è andare a tappe, la prima tappa ufficiale sarà il 6 maggio ad Argelato da Federico Toni al Festival "Tracce di teatro d’autore", dove presentiamo un’anteprima con quello che ci sarà. Lo spettacolo è una coproduzione tra Babelia&C e Inteatro di Polverigi.
Poi Marco Zappalaglio di Piccolo parallelo a Romanengo ci ospiterà in residenza a giugno per finire tutto lo spettacolo e per il quale faremo un’altra anteprima nel suo Festival, che sarà pronto in occasione dei Festival estivi: ci ospiterà sicuramente il Festival di Armunia a Castiglioncello.


 


 

Reportage Chernobyl
un progetto
di Roberta Biagiarelli e Simona Gonella

 

La notte del 26 aprile 1986 all’una, ventitre minuti, cinquantotto secondi, vi fu la prima di una serie di esplosioni che distrussero il reattore ed il fabbricato della quarta unità della centrale elettronucleare di Chernobyl. Questo incidente è il più grande disastro tecnologico del XX secolo.



Chernobyl, se ancora oggi a quasi vent’anni di distanza, chiedi ai bambini cos’è, loro ti rispondono: è quella centrale nucleare che stava in Russia, che è esplosa e poi le radiazioni sono arrivate anche qui. Più o meno stessa risposta ottieni dagli adulti, gli adulti medi, si intende, quelli che con i principi scientifici o tecnologici non hanno dimestichezza e tutt’al più si tengono un po’ informati leggendo qua e là. Vale a dire la maggior parte di noi. Ed è vero: Chernobyl era una centrale nucleare situata nell’URSS di allora, più precisamente nella Repubblica Ucraina e le radiazioni hanno contaminato non solo la zona circostante la centrale ma, in maniera infinitamente minore, anche parte dell’Europa e di un po’ di mondo. Ed è vero che della tragedia di Chernobyl, del suo destino e delle migliaia di morti o quasi morti che si porta appresso, ora non ne sappiamo quasi più nulla. Eppure, in tempi di continua emergenza ambientale, con dati sicuramente meno eclatanti dell’esplosione di una centrale nucleare ma non meno preoccupanti e con una diffusa e insufficiente informazione/disinformazione sullo stato del pianeta, per non parlare della nostra scarsa coscienza ambientalista, ricordare e ricordarci di Chernobyl dovrebbe essere fondamentale. Nella tragedia di Chernobyl, e soprattutto in quello che poi ne è seguito, vi è infatti tutta la contraddizione delle moderne società industrializzate: abbiamo bisogno di sempre più energia (nell’accezione più ampia del termine) per mantenere il livello attuale del soddisfacimento dei nostri bisogni/consumi (veri o "drogati" che siano) ma allo stesso tempo sembriamo incapaci di ottenere ciò che desideriamo senza violentare l’ambiente che ci circonda. L’energia e la sua produzione sono diventate sempre più la partita su cui si gioca prepotentemente il nostro futuro; uno sviluppo eco-etologicamente sostenibile è ormai imprescindibile; una maggiore coscienza e cosciente informazione sono urgenti, per non cadere nelle facili trappole delle piccole e grandi disinformazioni di cui siamo oggetto; una memoria di quello che è stato ci connette con i problemi del presente e ci allerta sul futuro. Da un lato il mondo della scienza, con le proposte/risposte alle emergenze ed ai problemi, dall’altra noi, con le nostre scarse conoscenze scientifiche, e i nostri bisogni. L’atomo, da un lato, la vanga, dall’altro. La Scienza e la Terra.
Riflettere su questi temi, dare e fare informazione, interrogarsi e cercare risposte, condividere le nostre idee ci sembra possa e debba essere oggetto di un’indagine artistica.

Da un’intervista al filosofo di origini tedesche Hans Jonas:

Jonas: Lo sfruttamento della natura è diventato una delle abitudini degli uomini, in particolare di quelli della società industrializzata occidentale.

Domanda: Viviamo sotto la minaccia del buco dell’ozono e della catastrofe climatica; l'aria, l’acqua e il suolo sono in vaste parti della terra danneggiati gravemente o già distrutti. Com’è possibile che segnali del genere non conducano a nessun cambiamento radicale del comportamento?

Jonas: Chi non è minacciato personalmente in modo diretto non si sforza di fare una vera revisione del proprio modo di vivere. Nel caso di una minaccia incombente è diverso, individualmente e collettivamente. Quando inizia l’eruzione del vulcano si fugge. Le prospettive lontane però in particolare quando riguardano solo generazioni future, evidentemente non inducono gli uomini a cambiare comportamento.

Domanda: Chernobyl è stato uno shock. Ma ha avuto solo un effetto breve. Dicendo un’eresia ci si potrebbe chiedere se l’umanità non abbia bisogno di più Chernobyl.

Jonas: La domanda non è ingiustificata. E’ cinica e la risposta è altrettanto cinica. Forse l’uomo non può essere portato alla ragione senza seri avvertimenti e senza reazioni già molto dolorose da parte della natura martoriata. Forse deve accadere qualcosa di piuttosto grave perché dall’estasi dei bisogni sempre crescenti e dal loro soddisfacimento illimitato si torni ad un livello che sia compatibile con la sopravvivenza dell’ambiente.


COMITATO SCIENTIFICO
Per realizzare le diverse finalità che il progetto si prefigge è imprescindibile la costituzione di un comitato scientifico che ci guidi e ci stimoli nella ricerca, raccolta e selezione dei materiali che andranno poi a costituire l’ossatura del progetto stesso.
Fanno già parte del nostro comitato scientifico: Svetlana Aleksievic - giornalista bielorussa e autrice del libro Preghiera per Chernobyl, di cui verranno utilizzati alcuni estratti nello spettacolo; Alessandro Gori,- giornalista, esperto di questioni legate all’Ucraina ed a Chernobyl;
Gianni Tamino - esperto di fisica nucleare ed ex europarlementare;
Emilio Molinari promotore del Contratto mondiale dell'acqua;
Mario Agostinelli membro del World Forum of Alternatives;

ARTICOLAZIONE DEL PROGETTO

1.Lo spettacolo
Cuore del progetto è la creazione di uno spettacolo teatrale che affronti i temi legati alla storia di Chernobyl e alla sua connessioni con le più attuali tematiche legate all’energia ed alle emergenze ambientali connesse. Il testo prenderà spunto dalle testimonianze dei sopravvissuti al disastro nucleare di Chernobyl contenute nel libro di Svetlana Aleksievic Preghiera per Chernobyl. L’attrice Roberta Biagiarelli "dialogherà" in scena con immagini e filmati che accompagneranno la sua narrazione.
La creazione del video sarà affidata ad un videomaker che seguirà il nostro lavoro di ricerca e documentazione partecipando alla scrittura dello spettacolo. Non una narrazione pura quindi ma una contaminazione di stili, cercando di avvicinarci per l’appunto all’idea di reportage.

2.Il video/cd rom

Integrando i materiali già presenti nel video dello spettacolo, creeremo un altro prodotto video, che conterrà le informazioni raccolte su Chernobyl, interviste, materiali didattici e divulgativi sull’energia e sull’ambiente, utilizzabile in maniera autonoma. Pensiamo soprattutto ad una diffusione in ambito scolastico, in occasione di incontri e conferenze relative al tema dell’energia e dell’ambiente, ad uso delle comunità, nelle biblioteche od in altre strutture sociali.

3.La pubblicazione


Nella forma di un libro/catalogo verranno raccolti ed organizzati i materiali testuali e fotografici utilizzati nella ricerca. La pubblicazione potrà essere diffusa come strumento di conoscenza e approfondimento sui temi trattati così come strumento didattico e divulgativo.

4.Il sito


L’attivazione di un sito internet che contenga immagini, testi e un forum permanente di discussione.

5.Il lavoro sul territorio:


- con le comunità
alle comunità che fossero interessate verranno presentati, nelle forme giudicate più opportune, i vari segmenti del progetto: lo spettacolo con uno o più incontri degli esperti, il video/la pubblicazione con il commento e la partecipazione degli artisti coinvolti, conferenze e incontri con gli esperti e gli artisti.
- gli interventi nelle scuole
a partire dai materiali della ricerca è previsto un ciclo di interventi nelle scuole medie e superiori mirati ad approfondire i temi legati a Chernobyl e all’energia.

6.Collaterali: conferenze ed incontri


I membri del comitato scientifico si sono resi disponibili a partecipare a conferenze ed incontri sui temi trattati dal progetti così come ad integrare la presentazione dello spettacolo con interventi mirati.


 


 

Un incontro per fabbricanti di sogni
E' possibile costruire un nuovo mercato per il nuovo teatro?
di Franco D’Ippolito

 

No, non è che tutto il teatro che discute (almeno così mi pare) si stia lamentando della politica istituzionale in quanto strumento del cambiamento. No, è che noi siamo attoniti di fronte a questa politica istituzionale, sconcertati di fronte al convegno ds del 15 marzo (per gli invitati e soprattutto per il livello del confronto), scandalizzati all’esame delle posizioni del gruppo ds della Regione Puglia espresse nell’incontro del 3 aprile al Festival Meridionale dell’Unità di Taranto, negativamente meravigliati al racconto dell’incontro del 16 aprile al Teatro Vascello su "il teatro e il suo Sud". E non veniteci a dire che criticare tutto ciò significhi impedire una politica del cambiamento!
La politica istituzionale faccia i conti con la realtà del teatro italiano, con quanto Mimma Gallina sta raccontando fassbinderianamente su «Hystrio» ed accetti la sfida di Giovanna Marinelli a governare la cultura anziché occuparla per gestirne gli interessi! (Avere come unico interesse gli italiani è talmente eccezionale che, come le "mani pulite" del ‘75, è divenuto lo slogan elettorale del vice presidente del consiglio.)
Gli ultimi grandi cambiamenti che il teatro italiano ha prodotto sono, a mia memoria e percezione, il movimento dell’avanguardia teatrale (per dirla con un titolo di un famoso libro di Franco Quadri) e quello del teatro ragazzi. In tutti e due i casi "il nuovo che avanza" ha costruito un mercato in cui sperimentarsi, confrontarsi ed affermarsi: le cantine ed il decentramento il primo, il pubblico delle scuole il secondo. Senza quelle nuove modalità di produzione e di distribuzione, in mancanza di quelle nuove relazioni fra artisti ed organizzatori, ma anche fra spettacoli e nuovi spazi e un nuovo pubblico, forse anche quei cambiamenti sarebbero abortiti, sicuramente non sarebbero mai stati riconosciuti dalle istituzioni.
L’Eti di Bruno d’Alessandro, Oreste Lombardi e Alfonso Spadoni sancì quel "nuovo" con le rassegne Ricerca 1 (21 compagnie a Firenze nel ‘72) , Ricerca 2 e Ricerca 3 (33 compagnie in 14 città nel ’73 e nel ‘74). Nel 1975 Ricerca 4 si articolò in una rassegna per 12 compagnie in 6 città del nord, un Progetto Toscana in collaborazione con il TRT e una Sezione Speciale a Salerno, mentre al Sud nacque Proposta per un decentramento pugliese (13 compagnie in 15 città) che si ripeté l’anno dopo con Proposta Due per un decentramento pugliese (18 compagnie in 18 città). Organizzando queste due ultime rassegne ricordo bene quante difficoltà ed ostacoli incontrammo, ma anche quali risultati la forza del progetto artistico ed organizzativo seppe produrre in termini di affermazione del nuovo teatro e di insediamento di nuovo pubblico in nuovi spazi che si aprirono per la prima volta al teatro. E la stessa Eti qualche anno dopo in Umbria sancì istituzionalmente con Giovanna Marinelli il riconoscimento del teatro ragazzi che porterà poi allo Stregatto. E sempre in quegli anni l’esperienza del Teatro Regionale Toscano e dell’ATER aprirono al nuovo teatro spazi abbandonati e costituirono il modello a cui si riferirono i circuiti regionali che andavano nascendo in Abruzzo, in Puglia, in Toscana, in Calabria, intrecciando inedite relazioni fra produzione e distribuzione.
Il nuovo teatro ha bisogno di questo Ente Teatrale Italiano (ma anche di quello del Progetto Teatri a Sud nel triennio 1999/2001); di quella capacità dei circuiti regionali di farsi nuovo mercato e nuovo pubblico che può garantire spazi alla libertà delle nuove generazioni del teatro. Non certo dell’ente "inutile" per la gestione di tipo privatistico dei teatri Quirino, Valle, Pergola e Duse o dei compratori di repliche e ragionieri degli incassi al botteghino che sono oggi la maggior parte dei circuiti regionali.

Forse mi ripeto, ma sono sempre più convinto che il teatro debba produrre da sé il proprio cambiamento e poi, forte di questo, rivendicare una nuova politica della cultura che sancisca il diritto alla libertà degli artisti (dal mercato dei biglietti venduti) e degli organizzatori (dalla intromissione della politica nella gestione delle attività). Cosa impedisce oggi al teatro di produrre il proprio cambiamento così da permettergli di confrontarsi da una posizione di forza con le istituzioni? Non mancano gli artisti, né i progetti culturali, ci sono gli spazi ed il pubblico, ma sono ahimé marginali (se non addirittura estranei) al sistema teatrale italiano, al teatro dei decreti ministeriali, al teatro degli stabili pubblici, privati e di una parte di quelli di innovazione, al teatro dei circuiti regionali, al teatro dell’ente teatrale italiano.
Credo che la consapevolezza del nuovo teatro italiano debba farsi largo fra le lamentele e le difese dei piccoli orticelli: dobbiamo saper gestire ed amministrare le imprese teatrali affinché non sia monetizzabile l’attività bensì finanziata la creatività. Occorre prendere atto con coraggio e con ragionevole presunzione che alcune esperienze artistiche non possono più dire né dare nulla e che la difesa a priori di tutti blocca il sistema, impedisce il ricambio, marginalizza i nuovi talenti e le nuove professionalità, fatti salvi quei "prodotti di successo" spinti al consumo bulimico e poi abbandonati dagli stessi critici e dagli stessi programmatori che li hanno usati in ogni dove e per ogni quando.
La possibilità che ateatro sta offrendo al teatro italiano di confrontarsi, di interrogarsi, di polemizzare con e fra teatranti deve essere colta anche oltre il web. Chiedo a tutti di incontrarci e parlarci, riconoscendoci oltre la firma elettronica, per sperimentare insieme concretamente fin dalla prossima stagione 04.05 la possibilità di essere noi un altro mercato che consenta e tuteli, promovendo spettacoli e spettatori, il rischio dell’arte teatrale, che sostituisca il marketing del pubblico con il marketing della curiosità per i nuovi artisti, per la nuova drammaturgia, per i nuovi linguaggi dello spettacolo dal vivo. Senza organizzatori che scelgono l’arte del teatro piuttosto che il teatro del botteghino e così rinnovano il pubblico, non c’è futuro per nessuno.
ateatro si faccia luogo fisico e per questo un teatro (forse uno stabile d’innovazione?) organizzi un incontro prima della stagione dei festival in cui costruire "un nuovo mercato per il nuovo teatro". Voglio vedere poi se le istituzioni non faranno i conti con il cambiamento che avremo determinato e realizzato.
Non stiamo fermi ad aspettare che la politica istituzionale faccia per noi: quando il Potere dorme tocca a noi teatranti fabbricare i sogni di cui siamo fatti, come diceva Strehler.


 


 

Caro Oliviero
Un mail su "Palermo, cronaca di una stagione perduta"
di Beno Mazzone

 

Caro Oliviero,
desidero ringraziare il Sig. Gianni Valle, che da "esperto" del teatro palermitano, non ha citato nel suo articolo su "Palermo, cronaca di una stagione perduta" l'esistenza del Teatro Libero/Incontroazione, unico Stabile d'Innovazione della Sicilia, che lavora, al di là degli avvicendamenti politici della Città e della Provincia, da 36 anni. Infatti l'articolo del Valle era più ispirato alla valutazione dei fatti teatrali voluti e determinati dai Signori Amministratori del precedente e dell'attuale governo degli enti locali, più che dagli artisti e dagli operatori teatrali della città. Forse ignora l'esistenza di coloro che lavorano e resistono a Palermo, nonostante tutto, e che fuori dall'Italia sono molto più conosciuti. Certamente l'ignoranza non è una nostra colpa. Ma ormai esiste una categoria di artisti di cui si parla per via dell'appartenenza ad uno o più "principi" politici, e poi esiste una categoria di artisti che sono apprezzati e seguiti dal pubblico attento.
Io mi pregio di appartenere a questa seconda categoria.
Per doverosa informazione al lettore di ateatro, ringrazio per l'ospitalità.
Beno Mazzone
regista e direttore del Teatro Libero-Incontroazione di Palermo


 


 

Le recensioni di "ateatro": Tra verità, menzogna e desiderio
Teatri del Vento, in collaborazione con Institutet for Scenkonst
di Anna Maria Monteverdi

 

Magdalena Pietruska e Roger Rolin, attuali direttori dell’Institutet for Scenkonst, lo storico gruppo svedese fondato nel 1971 da Ingmar Lindh e che per molti anni è stato in residenza a Pontremoli (Ms), sono arrivati in Italia per dirigere la compagnia dei Teatri del Vento in uno spettacolo intorno a Pasolini. A Sarzana (SP) a fine aprile presso lo spazio gestito da Toni Garbini del Teatro Ocra è stato possibile vedere un’anteprima del lavoro inserito nel cartellone ufficiale del Teatro Comunale della Spezia e che sarà presentato ufficialmente il 7 maggio ore 21 presso la struttura polifunzionale Dialma Ruggero (La Spezia) e successivamente il 13 maggio presso il Teatro Due Mondi (Faenza). Molti mesi di riflessione collettiva, di concentrazione, di allenamento corporeo, di preparazione, di visione e di letture, di apprendimento. Ogni attore ha scelto brani tratti dall’opera poetica di Pasolini, dalle annotazioni corsare, dai testi teatrali su cui aveva lavorato insieme ad esercizi comuni codificati e materiali personali di improvvisazione.



Foto di Stefano Lanzardo.

Lo spettacolo mostra la forza distruttiva e polemica degli scritti pasoliniani contro la morale borghese e contemporaneamente la sua straordinaria voce lirica. Siamo dentro il suo mondo e siamo dentro il quadrato degli attori. Traiettorie di pensiero ci sfiorano, alcune più da vicino quando l’attore rischia di colpirci, ma già ci aveva trafitto con alcuni frammenti di parole che cogliamo nella loro durezza, nella loro forza: «Io so i nomi degli aggressori, dei responsabili...» «Non c’è niente di religioso nel modello della giovane donna e del giovane uomo imposto dalla televisione». «Il fascismo è pragmatico, brutalmente totalitario», «La libertà è incompatibile con l’uomo e l uomo, in fondo, non la vuole».



Foto di Stefano Lanzardo.

Gli attori si passano la voce, si scambiano la parola generando un’onda continua e travolgente che si rifrange nello spazio teatrale come un eco infinito di suoni, mentre i corpi creano geometrie spaziali ben definite e sono frecce viventi contro la società. Pasolini è questa voce che si erge forte e isolata, crocifissa, derisa e sbeffeggiata: le sue parole pesano come macigni, generano in scena risate incontrollabili o mostri, materializzazioni visionarie di questa società frankensteiniana, di un’umanità privata del senso della storia, di una storia comune. Tutti i corpi sono come moltiplicazioni della sua personalità, della sua umanità; sfaccettature che si rivelano ora maschere risonanti l’ideologia ferma e incorruttibile di chi fa una disamina crudele e rigorosa della società attuale, ora sacre rappresentazioni degne della sua visionaria «pittura dialettale», o ancora, carne di realtà. Un attore si ferma sul perimetro estremo del nostro quadrato dove siamo iniziati a una visione nuda - e perciò terrifica e inquietante - della vita. Un solo gesto: è Pasolini che dirige davanti alla macchina da presa e davanti a noi si materializza il suo mondo, di vita e di arte. Tutta la scena è ora popolata dai personaggi che abitano i suoi film, i borgatari, il sottoproletariato, i ragazzi di strada, ma anche la Mater dolorosa con il suo incarnato, fermata in quell’attimo plastico degno di un quadro del Pontormo o del Caravaggio; sono gesti, un viso, un canto, sono fotogrammi di film ad avanzamento rallentato, dotati di un impercettibile movimento e colti nell’instabilità dell’essere. E’ in scena il paradosso, la contraddizione: gli estremi che si incontrano, gli opposti che si conciliano: la violenza e l innocenza, la crudeltà e il sentimento, la brutalità e la bellezza nella vividezza di un quadro che si sta dipingendo in quel momento e che prende forma in una scrittura di corpi. E’ la religione delle cose di Pasolini.



Foto di Stefano Lanzardo.

Arriva a noi la purezza che è verità, il senso del sacro che ha la forma di una canzone popolare o di uno stornello di ninna nanna. E il dolore, e il male connaturato nel piacere. Aggregati di corpi nudi, belli o imperfetti, immacolati, fustigati, martoriati o amati, sacralizzati, idolatrati e violati. Corpi che si combattono e corpi che si amano: «Il corpo nudo è il più bello, è l’unico ponte che possa essere gettato nell’abisso di solitudine che ci separa l’uno dall’altro». Una prova molto intensa quella degli attori, che lascia il pubblico presente in una tensione risolvibile unicamente cercando di indagare, attraverso la voce di Pasolini il nostro universo e il vero volto di quella società che noi stessi abbiamo così malamente costruito. Uno spettacolo che speriamo di incontrare nei festival estivi e nelle programmazioni teatrali della prossima stagione.

Tra verità, menzogna e desiderio
Teatri del Vento, in collaborazione con Institutet for Scenkonst (Svezia)
Con: Giuseppe Boy, Andrea Calbucci, Giovanni Delfino, Luca Gradella, Antonio Lanera, Marcella Zindato
Regia e drammaturgia di Magdalena Pietruska e Roger Rolin


 


 

Le recensioni di "ateatro": Giulietta degli Spiriti da Federico Fellini
Regia di Valter Malosti con Michela Cescon
di Fernando Marchiori

 

«Un circo, una pista da circo, in cui immagino Giulietta in qualche modo inchiodata, come una farfalla raccolta da un entomologo e lì depositata». Su questa folgorante immagine è costruito l’intero spettacolo che Valter Malosti ha ricavato da una delle rare opere narrative di Federico Fellini, la prima idea per quella che nel 1965 sarebbe diventata la sceneggiatura del film Giulietta degli spiriti.
Le scene di Paolo Baroni, le luci di Francesco Dell’Elba e i costumi di Patrizia Tirino hanno avuto buon gioco a sviluppare l’intuizione del regista, ed eccoci di fronte a un circo con il tendone non ancora teso, così da essere insieme esterno e interno, chapiteau e pista, ma appena rialzato al centro intorno alla figurina fasciata di bianco di Michela Cescon perdiventare – in un incrocio percettivo tra micro e macro che continerà per l’intera pièce – la sua gonna increspata e ondivaga. La costrizione impone all’attrice un esercizio attento delle possibilità espressive delle braccia, delle mani, del tronco, sempre in accordo o in opposizione al volto, agli occhi, alla bocca. Ne risulta una partitura precisissima di gesti, movimenti e posture, di equilibri instabili, di minute variazioni.



Cuffia candida e pomelli rossi, la Cescon è una Giulietta fin troppo consapevole di essere insieme la Masina e Fellini, un personaggio costruito sulla personalità dell’attrice felliniana ma sul quale il maestro proiettava in realtà propri ricordi ed emozioni. Forse è questo a trattenerla in un’interpretazione sempre piacevole e a tratti divertente, ma senza molti slanci e senza profondità, in linea con l’adattamento firmato da Vitaliano Trevisan (che non è Ennio Flaiano). » una Giulietta buffa, come la voleva Fellini, ingenua e stupefatta, con le cadenze infantili e il fare da ragazzina sgraziata, anche quando canta, ma è appunto la maschera clownesca e candida della Masina a prevalere, quella fissata nel cinema (già in La strada e nelle Notti di Cabiria ). Mentre anche solo una battuta come "Mai potuta sopportare la mia faccia in uno specchio" ci lascia intravvedere altre strade per accostarsi, in teatro, all’attrice morta dieci anni fa.
Ciononostante, la bravura tecnica della Cescon tesse una trama di azioni fisiche che attraversano la serrata successione di quadri scanditi da stacchi di luce e suono (principalmente rielaborazioni dalla dalla colonna sonora di Nino Rota): Giulietta tradita dal marito, in preda a visioni peccaminose, tra spiritismo e psicanalisi, agenzie d’investigazione e tentativi di emancipazione tardiva con la nuova amica Susy, una mantenuta che dovrebbe insegnarle a diventare una donna da amare (cioè "un po’ più puttana"). La gonna-tendone diventa pista da ballo, sfera di cristallo, mare in cui l’attrice rema e i remi sono le corde con cui muove la marionetta sull’altalena-trapezio sopra la sua testa. Giulietta infatti è diversa, vede cose che nessuno vede, sublima le angosce con i sogni, a ognuno dei quali corrisponde una delle marionette disposte intorno al perimetro del circo. Ma il chiuso cerchio del suo immaginario non è che un tentativo di fuga dai gravami della mentalità cattolica. E anche il suicidio rimane impigliato nel groviglio ormai inestricabile di realtà e allucinazione. Solo trasformando l’indagine sul tradimento del marito in un percorso interiore, affrontando gli spiriti che popolano il suo inconscio, Giulietta può ritrovare quella parte di sé che è stata educata a tradire.

Più che il richiamo a Kleist, è il confronto con il modello beckettiano indicato da Malosti a intrigare: Giulietta come Winnie, il personaggio interrato di Giorni felici. Anche qui, tuttavia, la suggestione è più visiva che concettuale, più tematica (crisi borghese e solitudine esistenziale) che linguistica. Beckettiana non ci sembra Giulietta, semmai la Cescon, la sua franta eloquenza non verbale.
(Visto ad Asolo, nella rassegna Centorizzonti. Donne Regine Signore Divine).


 


 

Le recensioni di "ateatro": Il mondo delle fiabe: Emanuele Luzzati scenografo e illustratore
Un libro e una mostra
di Fernando Marchiori

 

Uscito in occasione della mostra Il mondo delle fiabe: Emanuele Luzzati scenografo e illustratore, il volume La mia scena è un bosco, curato da Andrea Mancini per le edizioni Titivillus, non è semplicemente il catalogo dell’esposizione che sarà a Follonica (Livorno), dal 30 aprile al 23 maggio, dopo il debutto a San Miniato (Pisa). E non è neppure un tentativo di sistematizzazione della estesa quanto variopinta produzione dell’artista ligure. Con modestia critica e corretta prospettiva documentaria, Mancini ha ‘semplicemente’ dato la parola a Luzzati in un lungo dialogo che ne ripercorre i principali lavori, la formazione artistica e intellettuale, gli incontri, le collaborazioni. Di alcuni compagni di strada vengono proposti interventi che si aprono come finestre lungo il percorso cronologico inevitabilmente frammentato (Luzzati è del 1921, una ricostruzione anche strettamente biografica avrebbe dovuto attraversare l’intero Novecento, e sarebbe stato un altro libro). Sono note e documenti, testimonianze scritte per l’occasione o da tempo introvabili, che ci fanno sentire le voci di Tonino Conte, Gianni Rodari, Egisto Marcucci, Paolo Comentale, Federico Fellini, Mara Baronti, Bruno Cesereto, Paolo Valli, Diego Maj, Antonello Pischedda, Fabrizio Montecchi.



E' una strategia quasi mimetica di avvicinamento al mondo di Luzzati, quella scelta dal curatore, che è riuscito a valorizzare e assumere nel suo approccio la pluralità di linguaggi dell’artista e la poliedricità del suo operare. Il caos ordinato e la premeditata confusione che informano l’arte di Luzzati trovano una felice esemplificazione nella testimonianza di Tonino Conte, che descrive l’amico in azione nel suo laboratorio con piglio insieme estroso e metodico, improvvisatore e perfezionista. Ricordando le straordinarie illustrazioni per le fiabe dei fratelli Grimm (che guardano e fanno guardare, "al di là della superficie, la profondità di un pozzo misterioso e pieno di echi", impastando medioevo e infanzia, cultura popolare e romanticismo tedesco), Conte ci mostra anche il "metodo" Luzzati: "La stanza di lavoro si riempiva non solo di fogli pieni di figure, ma anche di libri, fascicoli, riviste continuamente e velocemente consultati. Se trova una faccia o una gamba che gli possono servire non esita a strapparla rovinando un prezioso libro d’arte. La sua enorme raccolta di volumi illustrati è tutta così: Veneri senza gambe, cavalieri senza testa, angeli senza ali".
I risultati si fanno apprezzare anche solo sfogliando il notevole apparato iconografico del volume, che riproduce decine di disegni, bozzetti, modelli, illustrazioni per libri, scenografie, tavole fer film d’animazione. Una sezione di bellissime foto di Maurizio Buscarino è dedicata a La donna serpente, uno degli spettacoli più famosi di Luzzati (per il Teatro Stabile di Genova, con la regia di Egisto Marcucci), che dopo il successo al carnevale di Venezia del 1979 fu portato in tutto il mondo, dalla Cina al Messico.
La conversazione muove dall’idea del teatro come "gioco serio" e delinea subito gli incontri fondamentali e le affinità elettive del giovane Luzzati. Emerge l’importanza del rapporto con Rodari, dagli interventi nelle scuole ("lui raccontava, io disegnavo"), alla messa in scena di alcuni suoi testi (Le storie di Re Mida, La storia di tutte le storie), ma soprattutto la sua lezione "a proposito di bambini, di fantasia, di libertà e nello stesso tempo di regole", il primato pedagogico del fare e del rapportarsi: "[…] non è che lui avesse delle teorie, era prima di tutto il suo modo di lavorare, poi le teorie arrivavano dopo ed erano giustissime. Teorie che vengono dalla pratica e dall’esperienza". C’è naturalmente il Teatro della Tosse, fondato a Genova nel 1976 con Tonino Conte e Aldo Trionfo, e non manca un omaggio al grande Sergio Tofano: "Se cerchi un papà per le mie storie, lo trovi in un’altra storia, cioè il Bonaventura di Tofano", letto ogni settimana, avidamente, sul "Corriere dei Piccoli". Dall’infanzia genovese, dalla cultura ebraica (anche se di un "ebraismo all’italiana, molto all’italiana, molto all’acqua di rose") che riaffiorerà nelle illustrazioni per l’Agadà di Peshua, il racconto di Pasqua, si passa velocemente ai momenti sorgivi della passione artistica: i burattini costruiti fin da bambino, la scelta del disegno quando dovette abbandonare gli studi regolari a causa delle leggi razziali, la scuola d’arte applicata in Svizzera, a Losanna, negli anni delle persecuzioni. Qui Luzzati realizza il suo primo spettacolo insieme ad altri rifugiati, tra cui Alessandro Fersen, Aldo Trionfo, Guido Lopez. Poi il percorso si ramifica in più direzioni per seguire le molteplici attività di Luzzati, in particolare gli importanti sodalizi con Tonino Conte e con Egisto Marcucci. In una delle "finestre" più ampie, lo scenografo dialoga con Diego Maj, Fabrizio Mentecchi e Paolo Valli ricostruendo la lunga collaborazione che ha portato alla realizzazione, tra il 1978 e il 1994, di sei spettacoli di teatro d’ombre, oltre a interventi dell’artista in altri allestimenti di balletto, di lirica e di prosa. E poi ancora costumi, maschere, manifesti, cartoni animati (a cominciare dai celebri titoli di testa del film L’Armata Brancaleone), burattini, ceramiche, libri illustrati (più di 150). "Il mio lavoro – dice Luzzati – è molto sfaccettato: se faccio un lavoro sulla carta, sa di carta; se faccio una cosa in un giardino, sa di alberi".



Tra i risultati più "stabili" della sua poetica vi sono le scenografie urbane, le scene che si allargano alla città, che reinventano spazi, funzioni, rapporti. Per il bambino una sedia può diventare torre, treno o montagna, per Luzzati una piazza può diventare un presepio, com’è successo a Porta Nuova a Torino, con la gente che cammina tra Re Magi e pastorelli e si siede tranquillamente accanto a Gesù Bambino. Oppure un parco in degrado a Santa Margherita Ligure (dove "non ci viene nessuno, neppure i drogati", lamentava l’assessore) diventa la scena del Flauto magico, con le squallide statue di gesso che si trasformano nei personaggi dell’opera mozartiana e i luoghi che prendono vita e colore: una scala dove si arrampicano i bambini, un drago e altri mostri da cui escono scivoli, pedane. Interventi simili, con installazioni o progettazione di interi parchi, sono stati realizzati anche a Carpi, a Castelnuovo Rangone, a Casale Monferrato.
Due costanti impediscono di separare in Luzzati l’uomo e l’artista. Da una parte il confronto ininterrotto con il mondo dell’infanzia e della fanciullezza. Perché Luzzati possiede spontaneamente, come scriveva Gianni Rodari, la capacità di rapportarsi ai ragazzi in modo autentico e generoso: "Il segreto, con i bambini e con i ragazzi, non è di truccarsi da bambini, ma di essere e di restare un adulto che però sappia conservare e usare la fantasia, per modo che l’incontro con lui possa avvenire anche su terreni che di solito sono esclusi dal rapporto tra bambini e adulti".
Dall’altra il naturale understatement di chi non si prende troppo sul serio (tranne quando gioca, è chiaro). Luzzati è uno che non ha mai pensato di essere un autore "per ragazzi", ma semplicemente crede che "a volte si incontrano i ragazzi, e può nascerne qualcosa"; uno cui nessuno in famiglia ha mai dato troppa corda "e per me è stato bene così"; che ha realizzato il suo primo lavoro in Italia partendo altissimo (disegnò i costumi per Il cavaliere della rosa alla Scala di Milano) "ma senza crederci troppo, senza montarmi la testa". Sempre insomma, in ogni risposta di Luzzati come in ogni testimonianza su di lui, traspare accanto al dato artistico e poetico anche quello umano. Ed è questo forse il risultato più prezioso del volume, l’averci restituito la figura di uno dei maggiori scenografi viventi senza costringerla in schemi interpretativi e invece delineando il profilo, così raro oggi, di un vero e proprio maestro.
"Io non conosco altre persone – chiede Mancini nelle battute conclusive – che sono così appagate della propria vita, così orgogliose della propria modestia. Tu credi in una figura di questo tipo oppure ritieni di no, credi che stia sbagliando?" E Luzzati, elusivamente saggio: "Io non mi faccio tante domande". "Ma sei contento della tua vita?", incalza l’intervistatore. La risposta andrebbe letta guardando la foto di Buscarino che sul retro di copertina ritrae l’artista sorridente mentre abbraccia una sagoma di Cappuccetto rosso: "Posso essere abbastanza contento, tutto quello che volevo fare l’ho fatto!’

Andrea Mancini, La mia scena è un bosco. Emanuele Luzzati, il teatro e il mondo dei ragazzi, Titivillus Edizioni, Corazzano 2003, pp.236, Euro 16,00.


 


 

La sesta edizione del Premio Hystrio alla Vocazione per giovani attori
Il bando
di Redazione Hystrio

 

Il Premio alla Vocazione per giovani attori, giunto con crescente successo alla sesta edizione, si svolgerà nel giugno 2004 a Milano. Il Premio è destinato a giovani attori entro i 30 anni, allievi o diplomati presso scuole di teatro ma anche autodidatti, che dovranno affrontare un'audizione di fronte a una giuria altamente qualificata composta da direttori di Teatri Stabili, pubblici e privati, e registi. Il Premio consiste in due borse di studio da € 1550 ciascuna per i vincitori del concorso (una per la sezione maschile e una per quella femminile) e in una borsa di studio di perfezionamento intitolata a Gianni Agus. Anche quest'anno il concorso avverrà in due fasi: una pre-selezione riservata a giovani aspiranti attori autodidatti o comunque sprovvisti di diploma di una scuola istituzionale di recitazione; e una selezione finale per chi frequenta o si è diplomato in accademie o scuole istituzionali.

IL BANDO PER LA PRE-SELEZIONE
(fine maggio 2004, Milano)
Le pre-selezioni, riservate a giovani aspiranti attori che, pur sprovvisti di diploma di accademie o di scuole di teatro istituzionali, ritengano di essere in possesso di requisiti tali da giustificare una loro audizione, avranno luogo nel mese di maggio a Milano. Le domande di iscrizione alla pre-selezione del Premio alla Vocazione devono pervenire alla direzione di Hystrio (via Olona 17, 20123 Milano, tel. 02.400.73.256, fax 02.45.409.483, hystrio@fastwebnet.it) entro il 15 maggio 2004 corredate della seguente documentazione: a) un breve curriculum, b) una foto, c) la fotocopia di un documento d'identità, d) indicazione di titolo e autore dei due brani (uno a scelta del candidato e uno a scelta fra una rosa proposta dalla Giuria) e di una poesia o canzone da presentare all'audizione. I brani, della durata massima di dieci minuti e ridotti a monologo, possono essere in lingua italiana o in uno dei dialetti di tradizione teatrale. I candidati che supereranno la pre-selezione parteciperanno alla selezione finale organizzata per il mese di giugno, sempre a Milano. L'ultimo anno di nascita considerato valido per l'ammissione al concorso è il 1974. La quota d'iscrizione è di € 15 per spese di segreteria (da versarsi il giorno dell'audizione).

IL BANDO PER LA SELEZIONE FINALE
(17/18/19 giugno 2004, Milano)
La selezione finale, riservata a giovani diplomandi o diplomati di accademie e scuole istituzionali di recitazione, avranno luogo nel mese di giugno a Milano. Le domande di iscrizione alla selezione finale del Premio alla Vocazione, inoltrate dalle scuole o dai singoli allievi o ex allievi, devono pervenire alla direzione di Hystrio (via Olona 17, 20123 Milano, tel. 02.400.73.256, fax 02.02.45.409.483, hystrio@fastwebnet.it) entro il 6 giugno 2004 corredate della seguente documentazione: a) un breve curriculum, b) una foto, c) l'attestazione di frequenza o il certificato di diploma della scuola, d) la fotocopia di un documento d'identità, e) indicazione di titolo e autore dei due brani (uno a scelta del candidato e uno a scelta fra una rosa proposta dalla Giuria) e di una poesia o canzone da presentare all'audizione. I brani, della durata massima di dieci minuti e ridotti a monologo, possono essere in lingua italiana o in uno dei dialetti di tradizione teatrale. L'ultimo anno di nascita considerato valido per l'ammissione al concorso è il 1974. La quota d'iscrizione è di € 15 per spese di segreteria (da versarsi il giorno dell'audizione).
I brani sono consultabili sul sito: www.hystrio.it o sulla rivista


 


 

Subway Letteratura a Milano, Napoli e Roma
Istruzioni per l'uso dei juke-box letterari
di Davide Franzini & Oliviero Ponte di Pino

 

Dopo il successo degli scorsi anni, «Subway Letteratura», giunto nel 2004 all'edizione numero tre, si espande. Oltre a Milano, che ha lanciato il progetto, la manifestazione tocca anche Napoli e Roma. La tiratura complessiva dei volumetti distribuiti gratuitamente attraverso i «juke-box letterari» arriva quest'anno alla tiratura record di oltre 1.200.000 copie.
L'obiettivo dell'iniziativa è quello di favorire la produzione, la diffusione e il consumo di testi letterari di qualità, in particolare presso i giovani. La formula è ormai nota e collaudata. Per la prosa abbiamo chiesto ai giovani autori under 35 di inviarci racconto della lunghezza massima di 12 cartelle, specificando, oltre al titolo, il genere del racconto e il numero di fermate della metropolitana necessarie per completare la lettura; un qualificato comitato di lettura (composto quest'anno da Erica Berla, Caterina Boncivini, Alessandra Casella, Pepa Cerruti, Giuseppe Culicchia, Luca Doninelli, Davide Franzini, Franz Krauspenhaar, Raul Montanari, Andrea G. Pinketts, Oliviero Ponte di Pino, Francesca Vivona e Alessandro Zaccuri) ha selezionato 11 racconti. A ciascuno dei testi selezionati è stata abbinata una breve presentazione, a firma di uno dei componenti del comitato di lettura.
Per la poesia - altra novità dell'edizione 2004 di «Subway Letteratura» - il comitato composto da Davide Rondoni, Daniele Piccini e Milo De Angelis ha raccolto ed esaminato raccolte composte da tre poesie ciascuna, selezionando la raccolta di Gaia Maggioni più altri 7 testi di giovani poeti.
La numerazione (da 1 a 13) riportata sulle copertine dei libriccini non esprime una graduatoria di merito ma corrisponde semplicemente all'ordine (del tutto casuale) con cui la nostra redazione ha iniziato il proprio lavoro di editing.
A partire dal 12 maggio, questi volumi verranno distribuiti, attraverso i «iuke-box letterari», nella metropolitana di Milano. Una settimana dopo inizierà la distribuzione della metropolitana di Napoli (in concomitanza con il «Maggio dei Monumenti»). In settembre, nell'ambito dell'«Estate Romana», la manifestazione toccherà la capitale.
Sono previsti anche alcuni incontri con i giovani autori nelle diverse città che ospitano la manifestazione.
Un super juke-box letterario è attivo sul sito internet www.subway-letteratura.org. In questo «super juke-box letterario», oltre ai racconti stampati nel 2002 e nel 2003, vengono pubblicati anche i racconti (che abbiano le stesse caratteristiche di quelli in concorso) pervenuti al sito e giudicati artisticamente validi dal comitato di lettura. In due anni di attività sono stati pubblicati on-line circa 262 racconti con 23.000 contatti. Uno specifico Forum permette ai lettori di esprimere le proprie valutazioni sui racconti pubblicati (e sull’insieme della manifestazione).
Il successo dell'iniziativa dipende - oltre che dagli autori e dagli organizzatori - soprattutto dai lettori. Potranno scegliere che cosa leggere (in base al genere e alla lunghezza del percorso). Potranno esprimere il loro giudizio sui racconti utilizzando il forum del sito www.subway-letteratura.org. Potranno consigliare i loro racconti preferiti ad amici e parenti (e magari regalare loro i volumetti).
Buona lettura a tutti!


 


 

Un sipario per unire: un convegno a Roma il 20 maggio
Un nuovo pubblico per il teatro, un nuovo teatro per il pubblico
di Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Teatro Eliseo, ETI

 

Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Ufficio Studi e Osservatorio dello Spettacolo

Teatro Eliseo
Teatro Stabile di Roma

ETI - Ente Teatrale Italiano

presentano

Un sipario per unire
un nuovo pubblico per il teatro,
un nuovo teatro per il pubblico


Presentazione delle ricerche realizzate dalla Fondazione Rosselli
per conto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Teatro Eliseo

Roma, 20 maggio 2004, Teatro Eliseo


Sessione del mattino
ore 10.00

Saluti

Giuliano Urbani
Ministro per i Beni e le Attività Culturali

Vincenzo Monaci
Presidente onorario del Teatro Eliseo

Domenico Galdieri
Presidente dell’ETI - Ente Teatrale Italiano


CULTURE, ECONOMIE E POLITICHE DEL TEATRO IN EUROPA

Scena, nuovi media e globalizzazione della cultura
Emmanuel Hoog
Presidente dell’INA, Institut National de l’Audiovisuel

Il teatro nel Regno Unito:
alla ricerca di nuove audience

Michael Quine
Senior lecturer in Arts Management alla City University di Londra,
Acting Head of Department

Offerta e domanda teatrale in Spagna:
qualche considerazione

Manuel Cuadrado
Professore dell’Università di Valencia, Departamento Comercialización
e Investigación de Mercados

Il teatro in una società accelerata
Ulrich Khuon
Direttore del Thalia Theater di Amburgo

L’audience teatrale: sfide e opportunità
François Colbert
Chair in Arts Management all’ HEC Montréal,
editor dell’International Journal of Arts Management

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Fabiana Sciarelli
Docente di Discipline dello Spettacolo dell’Università Federico II di Napoli

presenta, in qualità di responsabile di progetto,
la ricerca realizzata dalla Fondazione Rosselli per il Teatro Eliseo
NUOVE TENDENZE DEI TEATRI DI PROSA
Le preferenze del pubblico, l’offerta teatrale, il quadro normativo,
le politiche di marketing

e la ricerca realizzata
per il Ministero per i Beni e le Attività Culturali
IL PUBBLICO DEL TEATRO IN ITALIA
Un’analisi del mercato servito e potenziale
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Il Pubblico come patrimonio del teatro
Enzo Gentile
Vicepresidente AGIS per il teatro


ore 13.30

pausa lavori


Sessione del pomeriggio
ore 14.30

FORME, QUESTIONI DEL TEATRO IN ITALIA


Pubblico, Comunità, Spettatore
Franco Ruffini
Professore di Storia del teatro al DAMS dell’Università Roma Tre,
membro dell’ISTA, International School of Theatre Anthropology,
fondata e diretta da Eugenio Barba

Alcune criticità delle politiche per il teatro
Carla Bodo
Vice Presidente dell’Associazione Economia per la Cultura

Teatro in Italia: un sistema in stallo?
Oliviero Ponte di Pino
Studioso di teatro

Europa delle culture e politiche per il teatro
Lamberto Trezzini
Professore di Organizzazione ed economia dello spettacolo al DAMS dell’Università di Bologna, membro dell’Osservatorio dello Spettacolo dell’Emilia Romagna

Televisione: un sipario aperto?
Franco Scaglia
Presidente New Co. Rai International

Il teatro e la produzione di contenuti audiovisivi nell’era digitale
Antonio Pilati
Autorità per le garanzie nelle comunicazioni

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ore 16.30

coffee break
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Pubblico, pubblici, e poi?
Sergio Escobar
Direttore del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

"Invito a teatro": esempio di politica a favore del pubblico
Paola Iannace
Assessore alla Cultura e Beni Culturali della Provincia di Milano

La politica della città e il teatro
Gianni Borgna
Assessore alla Cultura del Comune di Roma

Politiche del e per il pubblico
Fiorenzo Grassi
Presidente dei teatri stabili privati di interesse pubblico, ANTS-AGIS

Crisi e proposte del teatro privato
Fioravante Cozzaglio
Presidente del Teatro Privato Indipendente, ANTPI-AGIS

Il sistema distributivo dei circuiti
Carmelo Grassi
Presidente dell’Associazione Nazionale Attività Regionale Teatri, ANART-AGIS

Nuovo teatro, nuovo pubblico
Paolo Aniello
Presidente Teatri d’arte contemporanea, TEDARCO

Educazione al teatro e formazione del pubblico
Giorgio Testa
Responsabile del Centro Teatro Educazione dell’ETI

I pubblici del teatro e gli osservatori culturali
Antonio Taormina
Responsabile del Settore Ricerca dell’ATER – Associazione Teatrale Emilia Romagna


Conclude
On. Luigi Mazzella
Avvocato Generale dello Stato,
Ministro per la Funzione Pubblica



Conducono
Antonio Calbi e Velia Rizza




Cura della giornata
Ufficio Studi e Osservatorio dello Spettacolo, Roma
Teatro Eliseo, Roma
ETI – Ente Teatrale Italiano, Roma

Con la collaborazione di

Dipartimento Generale dello Spettacolo dal Vivo
Associazione Generale Italiana dello Spettacolo, Roma
Ambasciata del Canada, Roma
British Council, Roma
Goethe Institut, Roma
Istituto Cervantes, Roma


 


 

Il butoh a Lerici
La danza di confine dal 14 al 16 maggio
di Associazione Culurale GEST/AZIONE

 

COMUNE DI LERICI
Teatro Astoria

In collaborazione con
Associazione Culurale GEST/AZIONE

La danza di confine
II ° Festival di Assoli BUTOH

14-15-16 maggio 2004

Direzione Artistica: ANNALISA MAGGIANI



Yumiko Yoshioka.

Il Butoh…


"Che cosa è il Butoh?" Non è facile rispondere perché il Butoh non desidera essere immobilizzato in una definizione: il numero delle definizioni è tanto grande quanto la pluralità dei danzatori Butoh…Il Butoh è una danza simile ad una spedizione, nella quale viaggiamo con capacità di metamorfosi, il fine del viaggio è aperto."

Andrà in scena, per il secondo anno, il Festival di assoli Butoh, La Danza di Confine che si svolgerà a Lerici (SP) il 14-15-16 Maggio sotto la direzione artistica di Annalisa Maggiani.
Il Festival prosegue il viaggio cominciato lo scorso anno nella "terra di confine", nel territorio tra oriente ed occidente: confine come spazio di passaggio tra culture, arti, stili, in cui la capacità di assorbimento e trasformazione porta alla creazione di nuove appartenenze, alla trasformazione delle reciproche diversità. Una terra in cui il corpo ritrova tutta la sua forza comunicativa e poetica. La danza Butoh è una delle espressioni piú interessanti del teatro danza contemporaneo. Essa ha inizio in Giappone nel ´59 con Tatsumi Ijikata e Kazuo Hono, e si pone quale ribellione alla disumana civilizzazione che ha portato con sé la bomba atomica, la massificazione e l’americanizzazione della società giapponese. La sua ricerca è tesa alla riscoperta del lato arcaico della corporeità in contatto con la nostra parte piú autentica. Lontana dalle forme artistiche della tradizione giapponese come il teatro No ed il kabuki, si ricollega alla danza espressionista europea ampliandone gli orizzonti. La danza Butoh riprende l’eredità della danza espressionista europea e la sviluppa incorporandola nella visione di un corpo-anima-psiche che conserva il suo legame originario con l’universo: il corpo connesso al suo centro ed al centro del cosmo è connesso anche alla sua ombra.
Afferma Annalisa Maggiani: "Abbiamo scelto la formula ‘Festival di Assoli’ perchè nella danza Butoh, come nella nuova danza europea, l’assolo ha un ruolo fondamentale: il danzatore è libero coreografo di se stesso e, usando l’improvvisazione per meglio cogliere l’attimo in divenire, può meglio rappresentare la vita. Secondo il grande Maestro Kazuo Hono, nell’assolo il danzatore può lasciare che "l’anima indossi il cosmo" entrando nel regno di un’originaria memoria del corpo. Lo scorso anno abbiamo cercato di esplorare proprio l’opera del grande solista del Butoh, Kazuo Hono. E’ il grande vecchio della danza: ha 97anni ed è ancora sul palcoscenico! È il fondatore, assieme ad Hijikata, del Butoh ma la sua danza viene da piú lontano, è una danza di frontiera, influenzata dagli incontri di Ohno con l´Occidente".
Anche secondo la studiosa di danza Maria Pia D’Orazi, la quale ha recentemente dedicato un suo testo proprio all’opera e alla figura del fondatore del Butoh (Kazuo Ono, L’Epos, Palermo 2001) "assistere ad un suo spettacolo vuol dire osservare un secolo di vita che scorre ed in quel flusso, riconoscere a tratti il proprio volto, avvertire le contrazioni di un muscolo in fondo al petto, sentire la miseria e la grandezza della condizione umana, assaporarne il mistero e le contraddizioni."
I momenti di approfondimento teorico e di ricerca del Festival verteranno sul tema del corpo portatore di ombra. "Stiamo vivendo – continua Annalisa Maggiani - un momento di profonda polarizzazione : la cultura dominante del corpo lavora sulla sua perfezione, sulla sua estetica, sul mito effimero di una bellezza sempre più artificiale che induce il corpo a nascondere ogni ombra interiore, specchio di una enorme scissione corpo-psiche-anima. E’ possibile che la danza riesca ancora a camminare sul confine tra ‘corpo portatore di modelli’ e corpo portatore di bisogni personali, storie, emozioni?"
Al simposium saranno presenti Maria Pia D’Orazi, studiosa di teatro e danza, specializzata sulla danza Butoh la quale, oltre al già citato testo su Kazuo Ono, ha scritto La nuova danza giapponese, Editori Associati, Roma 1997; Angelo Tonelli, poeta, performer, autore e regista teatrale, noto soprattutto come studioso e traduttore di classici greci e latini.


Aprirà il Festival il vernissage della mostra fotografica su TEN PEN CHII art labor con
foto di Klaus Rabien.
A seguire: Marea, performance di Annalisa Maggiani, che avrà luogo al Castello di San Terenzo con musica dal vivo di Lauro Rossi e videoproiezioni di Mario Morleo. Si tratta di una performance sulla biografia collettiva ed individuale " per un attimo inonda il corpo e sale la nostalgia di dove siamo venuti…il mare, forse ". Annalisa Maggiani, danzatrice e danzamovimento-terapeuta ha fatto parte, per diversi anni, della compagnia di Yumiko Yoshioka a Berlino collaborando in numerosi progetti. Ha poi organizzato la Trilogia del Ritorno in Italia con Yumiko Yoshioka e ha approfondito la tecnica dell’assolo lavorando sull’improvvisazione con Lauro Rossi, Fabrizio Puglisi ed altri musicisti jazz e con artisti visivi.
Il giorno dopo, al Teatro Astoria di Lerici si esibirà invece Yumiko Yoshioka, regista, coreografa e danzatrice Butoh di fama internazionale, danzatrice dal 1977 del gruppo di Carlotta Ikeda Ariadone, partecipante alla prima performance Butoh in Europa con Ko Morobuschi e Carlotta Ikeda (Parigi, Le dernier Eden 1978) già presente in vari progetti nella provincia di La Spezia (1995-2000 ha diretto insieme ad Annalisa Maggiani il progetto-performance La Trilogia del ritorno.
In quest’occasione Yumiko Yoshioka presenterà Bevor the dawn, un assolo sul tema del vacillare tra il sogno e la realtà "nella penombra tra giorno e notte anche i confini tra conscio ed inconscio svaniscono…" .
Ed inoltre: KA-GA-YU, assolo di Hisako Horikawa accompagnata dalla musica dal vivo di Tristan Honsinger , la quale presenterà un assolo che si richiama all’antica espressione giapponese sul fenomeno del vedere tra visibile ed invisibile "l’ombra ondeggiante". Hisako Horikawa danzatrice dal 1978, lavora per oltre vent’anni nella compagnia di MinTanaka Maijuku, è co-fondatrice del laboratorio di meteorologia del corpo, nel 1997 riceve il premio dall’associazione giapponese critici della danza e nel 2001 crea una serie di performance The alley sul rapporto tra sensazioni corporee vita metropolitana.
In quest’occasione le due danzatrici giapponesi condurranno un workshop

Workshop di Hisako Horikawa: THE JOURNEJ INTO THE BODY il viaggio nel corpo: Cerchiamo di incontrare il nostro corpo, sentire quel qualcosa che dorme o che è silenzioso.
La sensazione del corpo è in ogni momento attiva e ci può guidare nel nostro viaggio.

Workshop di Yumiko Yoshioka:
BODY RESONANCE, un passo nella metamorfosi
Basato sul Butoh e sul movimento organico, si intreccia un training dinamico per il flusso dell’energia con elementi della ginnastica giapponese Nogouchi, il training Chi ed un lavoro sull’improvvisazione strutturata. Il lavoro relativo al Butoh si basa sulla combinazione di immagini e stati corporei, il focus è sul processo di metamorfosi.

Info e iscrizioni : 0187-917041/ 348-7939246
E-mail: info@gest-azione.de

E inoltre: Domenica 16 Maggio al Forum "a confronto con il Butoh" al castello di San Terenzo, per il Finissage saranno presenti altre danzatrici e danzatori con brevi assoli a partire da uno fino a sette minuti . Riprendendo le parole di invito di Annalisa Maggiani: "Questo forum vuol essere terra di confronto e scambio nel processo di creazione di un’appartenenza. Invitiamo performer e danzatori che si sono incontrati con il Butoh e lo hanno fatto parte del loro lavoro e poetica a danzare un loro assolo scegliendo un luogo nel Castello di San Terenzo. Mettiamo a disposizione questo splendido luogo che ha 1000 angoli in cui si può danzare improvvisare ed ascoltare".

Per chi volesse partecipare entro il 5 Maggio inviare il proprio curriculum con una traccia del proprio assolo e con il titolo all’indirizzo: info@gest-azione.de

Mostra Fotografica su TEN PEN CHII art labor
foto di Klaus Rabien entra nella terra di confine prendendo un gruppo che gioca sul confine di più arti e culture: Ten –il cielo, Chi- la terra, Pen- il cambiamento, la ultima i sta per "altro": se il cielo cambia, cambia anche la terra. In giapponese queta parola significa: Catastrofe naturale.
Ten pen chii Art labor è un gruppo interdisciplinare tedesco-giapponese nato negli anni ’90 a Schloss Bröllin dall’ incontro tra Yumiko Yoshioka, lo scultore Joachim Manger.Ha al suo attivo numerose produzioni e co-produzioni ( in Italia con Gest/azione). Suo scopo è esprimere la relazione tra l’uomo, la natura manipolata dall’uomo e la tecnologia. Yumiko Yoshioka e Joachim Manger mettono a confronto il fragile corpo umano con la anonima durezza dell’apparato artificiale. Il gruppo lavora e collabora con artisti di tutto il mondo; in N-yoin portato in tournèè in Germania ed Europa (4 settimane di repliche a Berlino tra il 1996 ed il 1997) Annalisa Maggiani comincia a far parte delle compagnia. Klaus Rabien ha seguito le evoluzioni del gruppo ed espone una serie di foto che illustrano le produzioni
Mario Morleo è Kameramen e videoartista berlinese.
Il suo lavoro unisce le due discipline, la documentazione e la video-arte, ha seguito tutte leproduzioni di Ten Pen Chii e documentato Ex-It il convegno quadriennale con sede a Schloss Brollin sulla reltà del Butoh in Europa ed occidente.

Tristan Honsinger, violoncellista, è uno dei più affermati esponenti della musica improvvisata contemporanea. Il suo percorso artistico spazia dal jazz alla composizione di musiche per spettacoli di danza, di teatro, alle performance, ai testi sia scritti che improvvisati, un artista unico nel suo genere.Oltre a essere un collaboratore abituale di musicisti come Steve Lacy, Cecil Taylor, Evan Parker, Peter Kowald, Derek Bailey, Leo Smith, Charles Gayle, Louis Moholo, Barre Phillips, Anthony Braxton, Honsinger è anche leader di gruppi . Ha inciso una enorme quantita di cd con tutti i protagonisti dell’improvvisazione europea e si esibito nei festival più importanti in USA, Europa, Giappone, India.

Lauro Rossi trombonista di fama internazionale, dell´Italian instabile Orchestra, del Sud Ensemble, les Anarchistes ha collaborato con Nexus, Elton Dean, Keith Tippet , Giancarlo Schiaffini, Giorgio Gaslini,Glenn Ferris, Enrico Rava, Eugenio Colombo, Gianluigi Trovesi, Salvador Garcia, Giovanni Majer, Antonello Salis ed altri.
Collabora da anni con Annalisa Maggiani nella ricerca dell’incontro di corpo e suono nell’assolo.





PROGRAMMA FESTIVAL

Venerdì 14 maggio
Castello di San Terenzo
Ore 17.00
apertura della mostra fotografica di Klaus Rabien sul gruppo interdisciplinare
Ten Pen chii Art Labor (Berlino- coreogr. Yumiko Yoshioka),
video e video- installazione di Mario Morleo.
Ore 19.00
performance di apertura "Marea" di Annalisa Maggiani Musica dal vivo: Lauro Rossi

Sabato 15 maggio
palestrina comunale di Lerici
Ore 10.00-16.00
workshop con Yumiko Yoshioka e Hisako Horikawa
Ore 17.00
Sala Consiliare del comune di Lerici
discussione con Maria Pia D’Orazi, Angelo Tonelli & guest
"Il corpo portatore di modelli, il corpo ombra e la danza di confine"
e Proiezione di video sul Butoh e la danza che sta al confine tra oriente ed occidente, tra contemporaneo ricerca ed archetipi
Ore 21.00
teatro Astoria:
Assolo di Yumiko Yoshioka "Bevor the dawn" (Schloss Bröllin)
Assolo di Hisako Horikawa "Ka-ga-yo-u" (Tokio) Musica dal vivo: Tristan Honsinger

Yumiko Yoshioka e Hisako Horikawa condurranno un seminario con la presentazione pratica del loro stile e poetica presso la palestrina comunale di Lerici sabato 15 e domenica 16 maggio dalle 10.30 alle 16.00

Domenica 16 maggio
palestrina comunale di Lerici
Ore 10.00-16.00
workshop con Yumiko Yoshioka e Hisako Horikawa
Ore 17.00 alle 20.00
Castello di San Terenzo
Forum "a confronto con il Butoh": danzatori italiani ed europei allievi di coreografi Butoh mostreranno brevi assoli in diversi luoghi del castello .

INFO:
biglietteria del teatro Astoria, Via Gerini,40 Lerici tel. 0187-952253
teatroastoria@comune.lerici.sp.it
info@ gest-azione.de www.gest-azione.de
per lo stage: 0187-917041/ 348-7939246/ 0187-960281


 


 

Teatro e Storia tra azione e riflessione in seminario a Livorno
Un progetto a cura di Concetta D'Angeli
di La Casa del Teatro

 

Sezione Teatro 2004
A cura di Concetta D’Angeli
Con il patrocinio di DAMS Torino e Bologna e CMT Università di Pisa
Teatro e Storia tra azione e riflessione

Sono aperte le iscrizioni al nuovo progetto de La Casa del Teatro che, con il patrocinio dei DAMS di Torino e Bologna e del C.M.T. dell’Università di Pisa, invita studenti, attori ed appassionati dell’arte del palcoscenico, ad affrontare un articolato corso teorico-pratico sul tema Teatro e Storia tra azione e riflessione .
Curato da Concetta D’Angeli, il percorso che fornirà crediti formativi agli universitari che vi parteciperanno svilupperà attraverso tre seminari tra maggio e settembre una riflessione comune del rapporto tra la storia ed il teatro partendo però da approcci ed interpretazioni differenziati: tre momenti diversi, quindi, autonomi come modalità e prassi, non sovrapponibili e, pertanto, frequentabili anche separatamente.

La Sezione Teatro 2004 si articolerà, quindi, in tre seminari dalla durata di una settimana ciascuno: il primo sarà quello di Roberto Tessari, Direttore del Dams di Torino, Il Teatro come luogo dell’antistoria. Dal 3 al 5 maggio compresi (con orario 16-20) le lezioni verteranno dalle origini del fenomeno teatro in rapporto ai rituali di evocazione d un mondo altro e delle tipologie drammaturgiche e sceniche anche moderne in quanto esempi di un simile rapporto. Il laboratorio prevede uno stage di pratica teatrale condotto da Antonio Damasco.
Il secondo percorso si terrà dal 26 al 29 maggio (orario 16-20), e sarà curato dal DAMS di Bologna; docente Marco De Marinis che tratterà dei Fondamenti del teatro moderno: il testo e l’attore. Un riesame. Seguirà un laboratorio di pratica teatrale (dal 3 al 6 giugno, con orario 9.30-13 e 14-16.30) con Michele Monetta e Lina Salvatore di ICRA Project Il Teatro delle partiture, avente l’obbiettivo di individuare il difficile passaggio ed il rapporto tra movimento scenico cosiddetto naturale a quello artificiale.
Infine dal 27 settembre al 1° ottobre, curato dal CMT dell’Università di Pisa, si terrà il laboratorio di Concetta D’Angeli Storia e Teatro: un lavoro che evidenzierà l’uso di eventi storici per la scrittura di testi teatrali. Insieme a lei dal 29 settembre al 1 ottobre l attrice e drammaturga torinese Laura Curino che con Riccardo Bani coinvolgeranno i frequentanti a scrivere un breve testo teatrale con relativo spettecolo.
L’iscrizione a ciascun seminario è di 50 Euro.

Per informazioni
Comune di Livorno Politiche dello Spettacolo, p.za Municipio 1, tel. 0586/820572, fax 0586/820587, spettacolo@comune.livorno.it.
Segreteria Casa del Teatro presso CEL Via Goldoni 83, tel. 0586/204221 fax 0586/899920, e-mail lfaucci@celteatrolivorno.it;
Dipartimento Storia delle Arti Università di Pisa Lungarno Mediceo p.za S. Matteo 2


NUOVO TEATRO DELLE COMMEDIE
Via Terreni, n. 5 tel. 0586/404021

"Teatro e Storia"
SEZIONE TEATRO 2004
A cura di Concetta d’Angeli
Con il patrocinio del Dams di Torino e di Bologna e del CMT dell’Università di Pisa

9 aprile ore 21.30
Introduzione al progetto 2004 a cura di Concetta D’Angeli "Teatro e storia tra azione e riflessione". Conferenza e presentazione di materiali audiovisivi:
Fernando Mastropasqua "Teatro come Angelus Novus" (la maschera dal cratere di Pronomos a Carmelo Bene) Anna Maria Monteverdi "Teatri di Guerra. I nuovi autori e l’esperienza della guerra: Sarah Kane e Biljana Srbljanovic"

3, 4 e 5 maggio dalle ore 16,00 alle ore 20,00 Laboratorio a cura del DAMS di Torino
Roberto Tessari "Il teatro come luogo dell’antistoria": dalle origini del fenomeno teatro in rapporto ai rituali di evocazione d’un mondo altro; le tipologie drammaturgiche e sceniche anche moderne, in quanto esempi d’un simile rapporto.
Il laboratorio comprende uno stage di pratica teatrale a cura di Antonio Damasco

Dal 26 al 29 maggio dalle ore 16,00 alle ore 20,00 Laboratorio a cura del DAMS di Bologna
Marco De Marinis "Fondamenti del teatro moderno: il testo e l’attore: un riesame".

Dal 3 al 6 giugno (dalle ore 9,30 alle 13 e dalle ore 14,00 alle 16,30)
Michele Monetta e Lina Salvatore (ICRA PORJECT) Laboratorio di pratica teatrale
"Il Teatro delle Partiture".
Lo stage è indirizzato ad allievi di teatro, attori professionisti, danzatori, registi e allievi di accademie d’arte e conservatori musicali; ha come obiettivo l’individuazione del difficile passaggio e rapporto tra il movimento scenico cosiddetto "Naturale" a quello "Artificiale".

Dal 27 settembre al 1° ottobre Laboratorio a cura del CMT di Pisa
Concetta D’Angeli "Storia e Teatro"
Dal 29 settembre al 1° ottobre Laboratorio di drammaturgia con Laura Curino
1 ottobre ore 21.30 Olivetti spettacolo di Laura Curino

Iscrizione
Per informazioni e iscrizione: Comune di Livorno, Ufficio Spettacolo 0586 820572, email: spettacolo@comune.livorno.it Segreteria Casa del Teatro, tel 0586 204221 Nuovo Teatro delle Commedie, Via Maria Terreni 5, 0586 404021
Comune di Livorno Politiche dello Spettacolo Piazza Municipio 1, 57123 Livorno tel. 0586/820572 fax 0586/820587 spettacolo@comune.livorno.it
Cel Teatro di Livorno Via Goldoni 83, 57125 Livorno tel. 0586/204211 fax 0586/899920 email cel@mclink.it
Dipartimento Storia delle Arti Università di Pisa Lungarno Mediceo Piazza San Matteo 2, 56127 Pisa


 



Appuntamento al prossimo numero.
Se vuoi scrivere, commentare, rispondere, suggerire eccetera: olivieropdp@libero.it
copyright Oliviero Ponte di Pino 2001, 2002