(75) 03/11/04

Che buoni, quante pratiche, che belle idee
L'editoriale di ateatro 75
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and1
 
Le Buone Pratiche: programma (quasi) definitivo con le adesioni
Una Banca delle idee per un nuovo teatro
di Franco D’Ippolito, Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and2
 
I verdetti della Commissione ministeriale
Qualche considerazione e una 1/2 proposta
di Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and4
 
Comunicato stampa Le Buone Pratiche
Il teatro italiano e le sue Buone Pratiche in convegno il 6 novembre a Milano
di Ufficio Stampa Le Buone Pratiche

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and5
 
Commissario o drammaturgo?
Perché Sabina Negri farebbe meglio a dimettersi dalla Commissione ministeriale
di Mimma Gallina

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and6
 
Teatro della memoria memoria del teatro
Prefazione a il meglio di ateatro 2001-2003 a cura di Oliviero Ponte di Pino e Anna Maria Monteverdi
di Oliviero Ponte di Pino e Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and10
 
Dal teatro alla rete al libro
Il teatro di Robert Lepage: un percorso di ricerca
di Anna Maria Monteverdi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and14
 
Una tecnica del destino
Prefazione a Anna Maria Monteverdi, Il teatro di Robert Lepage, Edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 2004
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and15
 
Gli anni felici di Sandro Lombardi
Il testo del risvolto
di Dante Isella

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and22
 
Apre con Jan Fabre la nuove sede dell'Out Off a Milano
The Crying Body dal 2 al 6 novembre
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and30
 
Uno spazio curioso
Azionariato popolare per il Teatro Miela
di Rossella Pisciotta

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and50
 
La Cittadella Spettacolo
Il progetto del Teatro Franco Parenti
di Gianni Valle

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro62.htm#62and51
 
369° per non girare su se stessi e tornare al punto di partenza
Sbagliare sempre meglio
di Valeria Orani

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and52
 
Appunti per l'intervento di FAQ - Coordinamento delle compagnie lombarde
Aia Taumastica, aida, Alma Rosè, Animanera, A.T.I.R., delleAli, Figure Capovolte, La Fionda Teatro, Teatro Aperto, Teatro Inverso
di Federica Fracassi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and53
 
Progetto Danzaria: un'idea di promozione dei giovani coreografi
Teatro Giuditta Pasta (Saronno)
di Anna Chiara Altieri

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and55
 
La produzione internazionale
Il ciclo della Tragedia Endogonidia della Socìetas Raffaello Sanzio
di Cosetta Niccolini

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and55
 
Dalla formazione ai mestieri del teatro: una rete di pratiche per la costruzione di nuovi territori del teatro
Dal Teatro Metastasio di Prato
di Massimo Luconi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and57
 
Decalogo degli obblighi e delle responsabilità di un centro culturale comunale
Centro Santa Chiara di Trento
di Franco Oss Noser

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and60
 
Work in progress. Master per la regia teatrale in un teatro stabile di innovazione
Teatro Litta (Milano)
di Antonio Syxty

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and61
 
produzioni patafisiche – arrampicatori teatrali – ferrovie a teatro
Una pratica buona
di Alfredo Tradardi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and62
 
Un suggerimento per piccole formazione ma anche per compagnie normali
Basta un atto
di Nicola Savarese

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and63
 
Fare teatro nei musei
I progetti di Outis
di Angela Lucrezia Calicchio

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and64
 
Un circuito innovativo
Tracce di teatro d'autore
di Federico Toni

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and65
 
Un teatro chiude. Viva il teatro.
La buona pratica del "rewind & party" (Nave Argo Associazione Teatrale – Caltagirone, CT)
di Nicoleugenia Prezzavento e Fabio Navarra

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and66
 
La forza di una bottega d'arte
Non solo una compagnia teatrale
di Fanny & Alexander

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and67
 
Sulla prima edizione del Premio Tuttoteatro.com alle arti sceniche "Dante Cappelletti"
Un concorso aperto a teatro e nuvoe tecnologie
di Mariateresa Surianello

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and68
 
Parola di teatro
Sinergie di competenze per una maggiore e migliore visibilità del teatro
di Valeria Ottolenghi (A.N.C.T.)

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and69
 
La dieta della mail teatrale. Ovvero perché peso 800Kb, mentre il mio medico dice che dovrei pesarne 8?
Consigli dietetici
di Roberto Canziani

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and70
 
Cantieri Goldonetta. I teatri della danza
Un nuovo spazio di progetto a Firenze
di Virgilio Sieni

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and71
 
Un progetto di decentramento e di circuito
Teatri Possibili
di Corrado D'Elia

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and72
 
Scritture al presente
L'esperienza milanese di "città in condominio"
di Roberto Traverso

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and73
 
Dalla Toscana. Una collaborazione fra Università (Pisa, Bologna, Torino, Genova) e Enti locali (il Comune di Livorno)
Al Teatro delle Commedie di Livorno
di Concetta D'Angeli

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and74
 
Gruppo di ricerca sulle mutazioni dell’immaginario giovanile
Generazioni
di Elena Lamberti

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and75
 
Progetti d’Area Associati
Toscana dei Teatri
di Renzo Boldrini, Dimitri Frosali, Dario Marconcini, Gianfranco Pedullà, Riccardo Sottili , Giorgio Zorcù

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and76
 
L’acquisizione del Teatro Carcano per la sua conservazione a spazio teatrale
Una storia milanese
di Nicoletta Rizzato

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and77
 
Teatro di confine ovvero ai confini in libertà
L'esperienza di Olinda
di Rosita Volani

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and78
 
Uscite di emergenza
L'esperienza dell'Anart
di Raimondo Arcolai, Pierluca Donin e Rocco Laboragine

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and79
 
Per una microfisica del teatro
(dal catalogo di "Teatri 90", seconda edizione, 1998)
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and80
 
Per uno stabile corsaro (dieci anni dopo)
Le Albe-Ravenna Teatro
di Marco Martinelli

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and81
 
La nascita di Teatri Uniti
(1988)
di Teatri Uniti (Falso Movimento, Teatro dei Mutamenti, Teatro Studio di Caserta)

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and82
 
Il sostegno di uno spabile a una giovane compagnia
Rapporto tra Teatro Stabile di Genova e Progetto u.r.t.
di Paolo Zanchin

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and83
 
Scenario: un progetto
Progetto Scenario e "incubatore d’impresa"
di Stefano Cipiciani

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and84
 
Un progetto di formazione continua in rete per le arti dello spettacolo
I Cantieri dello spettacolo della Regione Puglia
di Roberto Ricco

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and85
 
Quindici anni di buone pratiche?
La Corte Ospitale: 1989-2004
di Franco Brambila

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and86
 
Il trasferimento di buone pratiche nel settore della cultura
Il benchmarking come strumento di apprendimento
di Rocchina Romano e Valeria Finamore

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and87
 
La Respublica di Elsinor
Racconto di una fusione tra teatri in Lombardia, Toscana , Emilia Romagna
di Stefano Braschi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and88
 
Tecniche e valori di scambio reciproco fra cinema e teatro
La proposta di "Comedy"
di Claudio Braggio

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and89
 
Una ipotesi di stabilità leggera per le periferie
Teatri di Napoli
di Luigi Marsano

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.htm#75and91
 
Sistemi teatrali: competenze, convenzioni, contributi
Il caso bolognese
di Fabio Abagnato

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.asp#75and92
 
Appunti sulla "coproduzione leggera"
Il profetto dell'AMAT
di Gilberto Santini

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro75.asp#75and93
 

 

Che buoni, quante pratiche, che belle idee
L'editoriale di ateatro 75
di Redazione ateatro

 

Basta leggere la lista delle adesioni, affollatissima e ricca di presenze prestigiose. Le Buone Pratiche stanno ottenendo un successo inimmaginabile. Se venire, un giorno potrete dire: «Sì, c’ero anch’io!».
Basta leggere quello che abbiamo messo nella Banca delle Idee: una serie di relazioni di notevole interesse, a volte sorprendenti, che disegnano uno scenario vitale e variegato.
Basta leggere il programma della giornata del 6 novembre, per capire che sarà un incontro denso e intenso, interessante e appassionato. Abbiamo già inserito nella Banca delle Idee anche le relazioni che ci sono arrivate fuori tempo massimo, cercheremo di trovare qualche spazio nel corso della giornata. E ricordiamo che gli sportelli della Banca delle Idee restano aperti, sia per raccogliere nuove Buone Pratiche sia per aprirsi al dibattito sia per offrire informazione e raccogliere reclami. Perché ci sta venendo un dubbio. Le Buone Pratiche sono davvero così buone? Sono tutte così buone? Non potrebbero diventare migliori? O magari diventare ottime pratiche, come ateatro?
A proposito, noi di ateatro abbiamo deciso di farci un regalo, un bellissimo regalo: un volume che raccoglie Il meglio di ateatro 2001-2003, lo pubblica il principe costante, costa solo 15 euro (per 320 pagine...). E vi facciamo leggere in anteprima la prefazione, così in questo ateatro 75 c’è un bel libro. Anzi, ce ne sono tre, di libri che non possono mancare nelle nostre biblioteche. Perché ci sono anche Il teatro di Robert Lepage di Anna Maria Monteverdi (un progetto di ricerca che proprio su questa webzine si è affilato in questi anni, come racconta la stessa autrice in questo numero) e Gli anni felici di Sandro Lombardi – e se volete farvene un’idea, leggete il risvolto di Dante Isella...
Allora, direte, siamo tutti diventati così buoni & bravi? ateatro si è fatto buonista?
Manco per niente, anzi...Tanto per cominciare, si lancia la mobilitazione contro le scandalose decisioni della Commissione ministeriale. E tanto per restare in argomento, Mimma Gallina è andata a vedere lo spettacolo della commissaria Sabina Negri e ne ha tratto qualche interessante considerazione. Tanto interessante che l’ha subito mandata all’interessata in forma di lettera aperta. Così, se volete, potete leggerla anche voi.
Insomma, come potete fare a meno di un numero di ateatro così vibratile e scoppiettante?


 


 

Le Buone Pratiche: programma (quasi) definitivo con le adesioni
Una Banca delle idee per un nuovo teatro
di Franco D’Ippolito, Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino

 


sabato 6 novembre
Civica Scuola d'Arte Drammatica «Paolo Grassi»
via Salasco 4, Milano
dalle 10.00 alle 18.30
registrazione a partire dalle 9.30


Perché le Buone Pratiche (e che cosa sono)

In questi anni il teatro italiano pare avviato verso un crescente degrado. Le grandi istituzioni paiono arroccate nella difesa di rendite di posizione sempre più esigue. Le realtà più vivaci e interessanti faticano a trovare spazio e attenzione. Le soffocanti ingerenze politiche, la mancanza di un sistematico ricambio generazionale, la difficoltà a incontrare il pubblico sono solo vari aspetti di questo disagio. La lista delle lamentele potrebbe essere molto più lunga: ma le diverse manifestazioni della degenerazione del nostro teatro – e in generale della vita culturale del paese – le conosciamo tutti fin troppo bene ed è inutile ripetere la loro litania.
sappiamo anche che, in questa progressiva desertificazione esistono esperienze e pratiche di un teatro vivo e diverso, che spesso nascono e crescono ai margini o al di fuori del sistema teatrale «ufficiale». Sia sul piano artitico saia su quello organizzativo, gestionale, promozionale, informativo, formativo. Sono quelle «lodevoli eccezioni» che tutti apprezziamo ma che non riescono a diventare un modello, sono quelle esperienze interessanti ma eccentriche che non riescono a diventare sistema. Ecco, vorremmo che queste «buone pratiche» potessero essere replicate in altre situazioni e circostanze (con i dovuti aggiustamenti, è chiaro).

Per chi non ne sapesse niente (e per chi vuole ripassare) l’iniziativa era stata lanciata in ateatro 71 e ripresa in ateatro 73.

Abbiamo poi raggruppato – soprattutto per motivi di comodo – le Buone Pratiche in quattro aree principali (produzione, distribuzione, finanziamento, servizi e reti), più un quinto contenitore che riguarda gli intrecci del teatro con altri ambiti, discipline, realtà...
Abbiamo cercato di individuare dei nuclei tematici, ma molte Buone Pratiche si presentano in realtà come «trasversali»: questa scansione non è dunque rigida.
Abbiamo inoltre rilevato con piacere che la nostra iniziativa è stata colta sia da realtà del «nuovo teatro» sia da realtà più consolidate o istituzionali, e che – come era nelle nostre intenzioni – pratiche ambiziose e complesse si integrano con idee operative molto concrete.

Come consultare le Buone Pratiche

E’ possibile consultare le Buone Pratiche censite da ateatro nella Banca delle idee per un nuovo teatro: è già attiva e lo resterà anche in seguito, sia per raccogliere altre Buone Pratiche (ce non possono oviamente essere inserite nel programma del 6) sia per valutare la loro reale efficacia. Per i più diligenti, abbiamo anche distillato dall’archivio di ateatro alcuni materiali preparatori che possono risultare utili (troverete i relativi link nella Banca delle idee, al solito).

Una giornata davvero intensa (e memorabile)

Le relazioni saranno brevi e dovranno avere un carattere eminentemente pratico, con indicazioni concrete; dureranno al massimo 5-8 minuti per dare spazio alla discussione e agli approfondimenti: insomma, per capire se si tratta davvero di una Buona Pratica o no...

Una buona pratica che ci piace condividere è quella dell’editoria dello spettacolo. Sarà allestito un banchetto in cui, nelle pause caffè e buffet, potrete trovare libri, riviste & altro.

Per quanto riguarda il vostro sabato sera nella metropoli lombarda, abbiamo pensato anche a questo. Alle 20.30 Ruggero Cara offrirà una replica gratuita (le prenotazioni verranno raccolte alla Civica Scuola d’Arte «Paolo Grassi» allo 02-58302813, fino a esaurimento posti) del suo divertente (e simpaticamente perverso) Il feticista di Michel Tournier. Nel sito troverete altre info sullo spettacolo (è implicito in questa scelta un caldo invito curare con particolare attenzione un intimo dal tocco fetish).

Naturalmente a Milano in quei giorni ci sono molti altri spettacoli, la segreteria delle Buone Pratiche sarà lieti di aiutarvu a scegliere e prenotare.

Ancora un caldo ringraziamento alla Civica Scuola d’Arte Drammatica «Paolo Grassi» per l’ospitalità e alla Copperativa Danny Rose per l’organizzazione.

IN OGNI CASO PER INFORMAZIONI E COMUNICAZIONI DELL’ULTIMO MINUTO
DA MERCOLEDI’ E’ ATTIVA UNA SEGRETERIA

Segreteria Buone Pratiche:
Cooperativa Danny Rose
info@dannyrose.it
c/o Scuola «Paolo Grassi», via Salasco 4, Milano
tel. 02/58302813 (interni 113 o 114)
mercoledì 3, giovedì 4: ore 10,30/13 e 14,30/17,
venerdì 5: ore 10,30/13 e 14,30/20, sabato 6, dalle 9 in avanti.
Se non siete mai stati alla Paolo Grassi, via Salasco è una traversa che collega via Bocconi e via Ripamonti, parallela a viale Bligny (fra Porta Romana e Porta Lodovica)
Per raggiungere la Paolo Grassi: la fermata MM più vicina è porta Romana/linea 3 (gialla), poi 7/8 min. a piedi
ma passano vicini anche molti tram, autobus & filobus: 9 (viale Bligny), 15 (angolo via Teulié/via Giambologna), 79 (via Bocconi), 90/91 (sulla circonvallazione).

ALBERGHI
Se avete bisogno di una mano per trovare alloggio, vi suggeriamo di scrivere a
viaggi@pocketviaggi.it
con riferimento al convegno «Buone Pratiche» (Paolo Grassi/www.ateatro.it): l'agenzia ha convenzioni speciali con alberghi in zona (ma è difficile trovare sotto gli 80 euro per la singola).
Se avete bisogno di una mano per trovare alloggio, potete anche provare sul forum «Nuovo teatro vecchie istituzioni» chiedendo ospitalità.
In caso di disperazione, da mercoledì potete provare a chiamare la Paolo Grassi...

PROGRAMMA (QUASI) DEFINITIVO


Saluto di Massimo Navone (Direttore della Civica Scuola d’Arte Drammatica «Paolo Grassi»)

Presentazione
di Oliviero Ponte di Pino


1. LE BUONE PRATICHE DELLA PRODUZIONE
introduce Mimma Gallina

Ci riferiamo ai modi di produzione, al sostegno all'attività produttiva e alla gestione delle compagnie e delle imprese di produzione. Alcune pratiche, come le «fusioni», sono funzionali al rafforzamento organizzativo e economico delle imprese (il che può essere anche una condizione di crescita artistica). La necessità del rinnovamento e del ricambio generazionale sembra interpretata con concretezza da alcune realtà istituzionali (circuiti, teatri comunali, ma anche teatri stabili, centri di ricerca-festival), ciascuno dei quali cerca la sua personale soluzione: azioni integrate, messa a disposizione di teatri e servizi, garanzie distributive, convenzioni.
Una delle forme più diffuse (e più apprezzate dai giovani professionisti, che la considerano come – almeno teoricamente – la più aperta), resta probabilmente quella dei «bandi» e dei concorsi (dal Premio Scenario alla Biennale 2005 curata da Romeo Castellucci; e la pratica del concorso sta prendendo piede anche per la scelta dei direttori artistici, vedi quello che sta accadendo a per esempio a Santarcangelo dei Teatri); ma le modalità sono molto differenziate e nei casi più consolidati sono in corso significative revisioni. Chi non è riuscito a trovare in Italia sostegni adeguati, si è inventato modi di produzione su misura, tanto ai massimi livelli di qualità e notorietà internazionale, che a livello diffuso (forse non è un caso che il primato dei progetti Cultura 2000 del 2003 vada all'Italia: ma quasi nessuno se n’è accorto...).
Quando invece i sostegni in Italia ci sono (o sembrano esserci), non è facile lanciare idee su come usarli e avere informazioni corrette.

Per uno stabile corsaro (dieci anni dopo) – Marco Martinelli (Ravenna Teatro) leggi la Buona Pratica
La Res Publica di Elsinor: racconto di una fusione tra teatri in Lombardia, Toscana ed Emilia Romagna – Stefano Braschi (Elsinor)
Il sostegno di un teatro stabile a una giovane compagnia – Paolo Zanchin (URT) relazione stesa in collaborazione con Carlo Repetti (Teatro di Genova) leggi la Buona Pratica
Le produzioni leggere – Gilberto Santini (AMAT) leggi la Buona Pratica
La produzione internazionale: il ciclo della Tragedia Endogonidia – Cosetta Niccolini (Socìetas Raffaello Sanzio) leggi la Buona Pratica
La forza di una bottega d'arte – (Fanny & Alexander) leggi la Buona Pratica
Work in progress. Master per la regia teatrale in un teatro stabile di innovazione – Antonio Syxty (Teatro Litta) leggi la Buona Pratica
Un suggerimento per piccole formazione ma anche per compagnie normali – Nicola Savarese leggi la Buona Pratica
Scenario – Un progetto – Stefano Cipiciani (Premio Scenario) leggi la Buona Pratica
Sulla prima edizione del Premio Tuttoteatro.com alle arti sceniche "Dante Cappelletti" – Mariateresa Surianello leggi la Buona Pratica
Una modesta proposta a Luca Ronconi per le Olimpiadi di Torino 2006 – Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino leggi la Buona Pratica
eccetera

domande e chiarimenti


2. LE BUONE PRATICHE DELLA DISTRIBUZIONE, DELLA GESTIONE E DELLA PROMOZIONE
introduce Franco D’Ippolito

Il «mercato» (anzi, «i mercati») è uno dei problemi nodali del sistema, forse il principale: quindi va salvaguardata la qualità di gestione delle sale e delle istituzioni che programmano. Per qualità intendiamo chiarezza delle funzioni e coerenza nelle scelte (ci fa piacere che una delle nostre buone pratiche sia dedicata alla trasparenza), professionalità nei singoli aspetti, attenzione al pubblico e capacità di incrementarlo e formarlo. Se è vero che esistono aree molto estese di degrado, tuttavia stiamo scoprendo che negli ultimi anni è successo davvero molto.
Negli ultimi tempi si sono sviluppati alcuni «microcircuiti», operanti su dimensioni provinciali (e facenti capo di solito a enti locali) o promossi dalle compagnie (e operanti in più regioni). Qualche singolo teatro comunale si è «reinventato» e gli stessi Circuiti teatrali regionali (o meglio, alcuni fra loro) stanno riflettendo a fondo e cercando di reinventare le loro funzioni (magari tornando alle origini).
La situazione sta cambiando anche nelle periferie delle grandi città – da Milano a Napoli – si stanno creando di fatto reti di sale, con progetti comuni di programmazione, forme di residenza, e stanno nascendo nuovi teatri e progetti di programmazione inediti, e inedite forme di gestione.
Non pensiamo che sia tutto oro quello che luccica, ma che tutto questo stia un po' cambiando la faccia del sistema distributivo.

Un circuito innovativo – Federico Toni (Tracce di teatro d’autore) leggi la Buona Pratica
Una progetto di decentramento e di circuito – Corrado D’Elia (Teatri Possibili) leggi la Buona Pratica
Uscite dall'emergenza – Luca Donin (Arteven) e Raimondo Arcolai (AMAT) leggi la Buona Pratica
I Teatri di Napoli: una ipotesi di stabilità leggera per le periferie – Luigi Marsano (I Teatri di Napoli) leggi la Buona Pratica
Semi di cooperazione – Adriano Gallina (Teatro Verdi, Teatro Blu, Teatro della Cooperativa, Milano) leggi la Buona Pratica
Dalla formazione ai mestieri del teatro: una rete di pratiche per la costruzione di nuovi territori del teatro – Massimo Luconi (Teatro Metastasio, Prato) leggi la Buona Pratica
Decalogo degli obblighi e delle responsabilità di un centro culturale comunale – Franco Oss Noser (Teatro Santa Chiara, Trento) leggi la Buona Pratica
Progetto Danzaria: un'idea di promozione dei giovani coreografi - Giuseppe Carbone (Teatro Giuditta Pasta, Saronno) leggi la Buona Pratica
Cantieri Goldonetta: i teatri della danza – Roberto Mansi (Compagnia Virgilio Sieni) leggi la Buona Pratica
Una casa comune per l'arte – Fabio Biondi (L'Arboreto di Mondaino) leggi la Buona Pratica
produzioni patafisiche – arrampicatori teatrali – ferrovie a teatro – Alfredo Tradardi leggi la Buona Pratica
eccetera

domande e chiarimenti


3. LE BUONE PRATICHE PER L’AUTOFINANZIAMENTO
introduce Mimma Gallina

Funziona l'«azionariato popolare» lanciato per finanziare alcune produzioni? Come riuscire ad acquistare il proprio teatro/spazio e quali vantaggi può portare? Alcuni ci stanno provando e ci racconteranno come hanno fatto. E ancora: sono nati negli ultimi anni assetti proprietari nuovi per il settore dello spettacolo e funzionali a progetti innovativi. Un'analisi dell'economia delle imprese di medie dimensioni (e di alcune più innovative) ci porta a scoprire che è molto più rilevante del previsto l'attività non direttamente di spettacolo: corsi, noleggi, attività editoriale, servizi, la gestione di esercizi pubblici. Sembrava che in Italia questa ricetta non potesse funzionare: ma forse ci siamo sbagliati. E non è neppure detto che tutto ciò mortifichi l'attività creativa: oltre a costituire un mezzo efficace di sensibilizzazione del pubblico. In tutto ciò però, possiamo imparare qualcosa da esperienze riuscite, in settori «confinanti»: vedi per esempio il Festivaletteratura di Mantova.

Uno spazio curioso – Rossella Pisciotta (Teatro Miela) leggi la Buona Pratica
La multidisciplinarietà: una provocazione a pubblico e privato – Gianni Valle (La cittadella della cultura-Teatro Franco Parenti) leggi la Buona Pratica
Il Progetto Nave fantasma: produrre con il contributo (del) pubblico – Renato Sarti (Teatro della Cooperativa di Milano) leggi la Buona Pratica
Un teatro chiude. Viva il teatro. – Nicoleugenia Prezzavento e Fabio Navarra (Nave Argo Associazione Teatrale) leggi la Buona Pratica
Teatro di confine – Rosita Volani (Olinda)leggi la Buona Pratica
L’acquisizione del Teatro Carcano per la sua conservazione a spazio teatrale - Nicoletta Rizzato (Teatro Carcano) leggi la Buona Pratica
Il Festivaletteratura di Mantova: un modello di finanziamento? – Marzia Corraini (Festivaletteratura, Mantova) da confermare
eccetera

domande e chiarimenti


4. LE BUONE PRATICHE DELLE RETI E DEI SERVIZI COMUNI
introduce Daniela Ligurgo (Cooperativa Danny Rose)

L'unione fa la forza. Proprio vero? In teatro l'unione è spesso apparente e la conflittualità abbastanza alta (fra un settore e l'altro e all'interno di aree omogenee. Ci sono però esperienze recenti e interessanti di attività comuni.
Area 06 a Roma, Faq a Milano: in cosa consistono queste associazioni tra compagnie? E hanno funzionato? o possono funzionare? (tanto su un piano politico-rappresentativo che con iniziative concrete). Stanno inoltre nascendo nuovi centri di servizi per il teatro giovane: anche sulla base di esperienze precedenti, dove e come intendono operare e come possono farlo con successo (e in cosa consiste la loro novità?). Ma la pratica delle reti è molto più estesa: anche a livello internazionale e verso discipline diverse dal teatro. Due di esse, Lus e Iris, erano già state segnalate da ateatro .
Non meno interessante lo spazio, la funzione e i modi di fare teatro nei Centri Sociali (che, sul piano nazionale, fanno – tutti – musica, e quasi tutti teatro, anche a livello produttivo). E dunque ancora più interessante un’ipotesi di coordinamento.

FAQ – Coordinamento delle compagnie lombarde – Federica Fracassi (FAQ, Milano) leggi la Buona Pratica
develop.net: teatro, centri sociali e spazi autogestiti – Gian Maria Tosatti (Develop.net) leggi la Buona Pratica
Una società di servizi per il nuovo teatro – Giorgio Andriani (Cooperativa Danny Rose) leggi la Buona Pratica
369° per non girare su se stessi e tornare al punto di partenza – Valeria Orani (369°) leggi la Buona Pratica
Le relazioni internazionali – (Iris) (da confermare) leggi la Buona Pratica
I cantieri dello spettacolo: dalla formazione alle reti – Roberto Ricco (Kismet) leggi la Buona Pratica
eccetera

domande e chiarimenti


5. LE BUONE PRATICHE DI NONSOLOTEATRO
introduce Oliviero Ponte di Pino

Una delle forze del teatro in questi anni è stata la sua capacità di confrontarsi e contaminarsi con ambiti, realtà, discipline, diverse. Insomma, la sua capacità di sconfinare in altri territori. Ma per riuscire a entrare nelle scuole, nelle carceri, negli ospedali psichiatrici, nei musei (evidenziando il rapporto tra il teatro e le arti visive), nei centri sociali – oltre che una serie di motivazioni artistiche, politiche, sociali, di mercato – è necessaria anche una grande immaginazione organizzativa.
Allo stesso modo è interessante la creazione di nuovi spazi polivalenti, in cui si possono intrecciare teatro, musica, cinema, arte, eccetera. E nuove prospettive posso aprirsi attraverso la creazione di rapporti più stabili con le università.
L’intreccio del teatro con i nuovi media in continua evoluzione, dalla televisione a internet (con i loro canali tematici), può aprire nuove prospettive – a proposito, ateatro non è una Buona Pratica, è un’ottima pratica ;-)
E ci sono mille ambiti di intervento in cui è possibile immaginare l’esistenza di altre Buone Pratiche (dalla didattica e pedagogia al sostegno alla nuova drammaturgia).

Fare teatro nei musei: palcoscenici atipici – Angela Lucrezia Calicchio (Outis) leggi la Buona Pratica
Parola di teatro – Valeria Ottolenghi (A.N.C.T.) leggi la Buona Pratica
Dalla Toscana. Una collaborazione fra Università (Pisa, Bologna, Torino, Genova) e Enti locali (il Comune di Livorno) - Concetta D’Angeli leggi la Buona Pratica
La produzione cinematografica – Marcella Nonni (Lus) (da confermare) leggi la Buona Pratica
Un nuovo canale televisivo sperimentale e digitale fatto da giovani – Claudio Braggio leggi la Buona Pratica
Scritture al presente – Roberto Traverso o Renata Molinari (Città in condominio) leggi la Buona Pratica
Un software gestionale per compagnie teatrali – Nicola Cremaschi leggi la Buona Pratica
Realizzare un sito... con RStage è facile come fare una telefonata – Silvio Bastiancich leggi la Buona Pratica
La dieta della mail teatrale, ovvero: perché peso 800 kb mentre il mio medico dice che dovrei pesarne 8? – Roberto Canziani leggi la Buona Pratica
eccetera

domande e chiarimenti


Il professor Michele Trimarchi ci ha garantito la sua collaborazione per un'analisi dell'insieme dei progetti.


DIBATTITO


CONCLUSIONI
(se ce la fanno...)
Oliviero Ponte di Pino, Mimma Gallina, Franco D’Ippolito


LA FEBBRE DEL SABATO 6 (NOVEMBRE)
Hanno finora confermato la loro partecipazione come relatori o osservatori

Monica Abbiati
Giuseppe Adducci
Anna Chiara Altieri
Anna Chiara Altieri
Marco Valerio Amico
Giorgio Andriani
Sandra Angelini
Umberto Angelini
Paolo Aniello
Sonia Antinori
Roberta Arcelloni
Raimondo Arcolai
Sergio Ariotti
Antonio Attisani
Giulia Attucci
Sandro Avanzo
Patrizia Baggio
Cecilia Balestra
Andrea Balzola
Emanuele Banterle
Stefania Barbati
Elena Bari
Tamara Bartolini
Silvio Bastiancich
Roberta Belledi
Marina Belli
Maria Celeste Bellofiore
Francesco Bernardelli
Barbara Bertin
Barbara Bertin
Valentina Bertolino
Teresa Bettarini
Pamela Bettiol
Sonia Bettucci
Fabio Biondi
Fabio Biondi
Maurizio Biosa
Bendetta Blasi
Laura Bolcheni
Maia Borelli
Giacomo Bottino
Silvia Bottiroli
Claudio Braggio
Mario Brandolin
Stefano Braschi
Fabio Bruschi
Monica Bucciantini
Mauro Buttafava
Attilio Caffarena
Francesca Cairo
Angela Lucrezia Calicchio
Renato Callegaro
Giulia Calligaro
Stefania Calò
Elena Cantarelli
Roberto Canziani
Alessandro Caproni
Giuseppe Carbone
Riccardo Carbutti
Marina Casagrande
Elisa Casellato
Alessandra Casini
Walter Cassani
Lucia Castellari
Silvio Castiglioni
Marco Cavalcoli
Loredana Cecchetti
Roberta Celati
Vanessa Chizzini
Luca Ciancia
Nicola Ciancio
Renata Ciaravino
Stefano Cipiciani
Antonella Ciriliano
Alessandra Clementini
Silvia Coggiola
Patrizia Coletta
Andrea Collavino
Chiara Coppola
Elisabetta Cosci
Luisa Costa
Valentina Costa
Shara Cottarozzi
Michele Cremaschi
Giovanna Crisafulli
Silvia Criscuoli
Paolo Crivellaro
Patrizia Cuoco
Giuseppe Cutino
Francesco D’Agostino
Corrado D’Elia
Sergio Dagradi
Marzia D'Alesio
Lori Dall’Ombra
Emanuela Dallagiovanna
Concetta D'Angeli
Giulia Daniele
Davide D'Antonio
Maria Grazia de Donatis
Alessandra De Santis
Lisa Dellupi
Davide Di Pierro
Linda Di Pietro
Armando Di Stasio
Elena Di Stefano
Luca Dini
Lorenzo Donati
Elisabetta Donà
Luca Donin
Francesca Donnini
Miriam Dubini
Paola Dubini
Andrea Facciocchi
Carlo Fait
Silvia Fanti
Alessandra Fava
Edoardo Favetti
Angela Felice
Giovanna Fellegara
Claudia Ferrari
Manuel Ferriera
Valeria Finamore
Davide Fiore
Alessandra Fioretti
Elisa Fontana
Serena Fornari
Federica Fracassi
Giusy Frallonardo
Marco Fratoddi
Tiziano Fratus
Dimitri Frosali
Angela Fumarola
Adriano Gallina
Bruna Gambarelli
Monica Gattini Bernabò
Salvo Gennuso
Marco Giorgetti
Paolo Giorgio
Viviana Gori
Matteo Gorla
Sara Graco
Franca Graziano
Sara Greco
Mariano Grimaldi
Camilla Guaita
Davide Iodice
Federica Jacobelli
Isabella Lagattolla
Roberto Lalli
Elena Lamberti
Alessandro Lay
Salvatore Leto
Cesare Lievi
Marzia Loriga
Massimo Luconi
Massimo Luconi
Piero Maccarinelli
Alessandra Maculan
Deborah Maggiolaro
Giorgia Magnani
Massimo Mancini
Erika Manni
Roberto Mansi
Maria Marelli
Elena Marino
Massimo Marino
Amalia Mariotti
Luigi Marsano
Marco Martinelli
Barbara Mascia
Fabio Masi
Masque
Annalisa Masselli
Stefano Mazzanti
Chiara Merli
Andrea Minetto
Vito Minoia
Renata Molinari
Massimo Momoli
Matteo Moneta
Chiara Montecucco
Angelo Montella
Anna Maria Monteverdi
Fabio Monti
Giangilberto Monti
Antonella Moretti
Athanasios Mougios
Massimo Munaro
Fabrizia Mutti
Fabio Naggi
Giancarlo Nanni
Luciano Nattino
Fabio Navarra
Cosetta Niccolini
Roberta Nicolai
Andrea Nones
Marcella Nonni
Davide Notarantonio
Donato Nubile
Mario Nuzzo
Valeria Orani
Elena Ormezzano
Silvia Ortolani
Franco Oss Noser
Valeria Ottolenghi
Silvia Pacciarini
Cristian Palmi
Giovanna Palmieri
Cristina Palumbo
Ludovica Parmeggiani
Angelo Pastore
Andrea Perrone
Mario Perrotta
Piccolo Parallelo
Debora Pietrobono
Rossella Pisciotta
Laura Pizzirani
Monica Porciani
Emilio Pozzi
Nicoleugenia Prezzavento
Claudia Provvedini
Franco Quadri
Noemi Quarantelli
Enrico Ravaglia
Valeria Ravera
Maria Piera Regoli
Roberto Rettura
Maura Riccardi
Roberto Ricco
Anna Maria Richter
Elisa Rocca
Giuseppe Romanetti
Alessandro Romano
Barbara Romano
Laura Romano
Rocchina Romano
Laura Rossi
Paolo Ruffini
Emilio Russo
Andrea Rustichelli
Beniamino Saibene
Eleonora Sala
Gilberto Santini
Renato Sarti
Nicola Savarese
Giorgia Scalmani
Dalila Sena
Mara Serina
Giancarlo Sessa
Elena Siri
Maria Grazia Solano
Giovanni Soresi
Francesca Sozzi
Giampaolo Spinato
Luca Stetur
Luisa Stritoni
Cinzia Suardi Gaballo
Mariateresa Surianello
Antonio Syxty
Valeria Talenti
Antonio Taormina
Enea Tomei
Federico Toni
Filippo Toppi
Gian Maria Tosatti
Alfredo Tradardi
Roberto Traverso
Elena Trevisan
Tiziana Trimarchi
Pietro Valenti
Gianni Valle
Jessica Valli
Clarissa Veronico
Livio Vianello
Enrico Viceconte
Alessandra Vinanti
Carlotta Vinanti
Daniela Visani
Rossella Viti
Rossella Viti
Rosita Volani
Silvano Voltolina
Pierpaolo Zaino
Claudia Zambianchi
Paolo Zanchin
Giovanni Zani
Francesco Zecca
Salvatore Zinna
Massimo Zuin

E inoltre docenti, studenti e neodiplomati della Civica Scuola d’Arte Drammatica «Paolo Grassi».

L’accesso per coloro che non si sono registrati sarà possibile, compatibilmente con la disponibilità di posti. E’ stato in ogni caso predisposto un servizio di amplificazione nell’atrio della Scuola ed è a disposizione un fascicolo con le schede delle Buone Pratiche.

Tra parentesi, la partecipazione è gratuita (cosa rara di questi tempi): ma vi preghiamo CALDAMENTE di partecipare ai costi di buffet, pulizie, fotocopie... La Civica Scuola d’Arte Drammatica «Paolo Grassi» ci ha concesso gratuitamente gli spazi, le attrezzature e il personale tecnico, mentre la Cooperativa Danny Rose assicura gratuitamente i servizi organizzativi. Ma per il resto dovete darci una mano.

A parte gli scherzi, ci sembra che questa «autoconvocazione zerofinanziata» abbia suscitato un notevole interesse. Evidentemente di questi tempi si avverte la necessità di occasioni di incontro e di scambio: speriamo di essere all’altezza. Delle vostre aspettative, e dei tempi... ;-)


 


 

I verdetti della Commissione ministeriale
Qualche considerazione e una 1/2 proposta
di Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino

 

Ancora una volta la Commissione Ministeriale per lo Spettacolo dal vivo ha emesso i suoi verdetti annuali. E ancora una volta si scatenano discussioni e polemiche, anche se quelli che circolano finora sono dati ancora incompleti e ricostituiti a fatica, raccogliendo informazioni qua e là. Lascia già perplessi il fatto che questi dati non siano stati resi immediatamente noti sul sito del Ministero, visto che si tratta di denaro pubblico destinato a un uso pubblico. Ci piace pensare che non siano stati ancora diffusi perché il direttore generale ci sta ancora meditando, o perché il ministro Urbani non ne ha preso ancora visione. In passato sono state smentite commissioni ben più autorevoli di questa, e dunque c’è ancora da sperare nel buon senso del ministro e del nuovo direttore generale, dottor Nastasi.
Tuttavia in base ai dati che filtrano è già possibile trarre qualche indicazione. Per cominciare è davvero scandaloso che sia ogni volta così difficile trovare un qualche criterio nelle valutazioni delle Commissioni, da sempre troppo sensibili a clientelismi e pressioni di ogni genere: le spinte corporative, compensate più o meno pacificamente all'interno dell'AGIS, e poi le pressioni direttamente politiche.
Per capire come possano funzionare certi meccanismi, tra padrinati di partito e conflitti di interesse, può essere utile leggere quello che scrive in ateatro 75 Mimma Gallina a proposito della drammaturga-commissario Sabina Negri. Ed è chiara anche questa lapidaria considerazione del professor Michele Trimarchi:

«Quello che serve è un'analisi rigorosa. Le modalità del sostegno statale sono il frutto di una stratificazione scomposta e spesso occasionale di giudizi, protocolli e prassi qualche volta elaborati artigianalmente, altre volte negoziati colpevolmente, altre ancora maturati da settori del tutto diversi» («Economia della Cultura» 4/2003, pag. 433).

Per quanto riguarda il 2004, la prima cosa che salta agli occhi è che queste decisioni sono state prese e comunicate a fine ottobre, ovvero quando gran parte dell'attività della compagnie è già stata effettuata - dopo essere stata impostata anche sulla base dei finanziamenti precedenti.
Questo è un primo motivo di scandalo nelle recenti decisioni della Commissione, per quel poco che si riesce a capire. Azzerare in ottobre i finanziamenti ad alcune compagnie significa condannarle alla bancarotta - visti gli impegni presi con i fornitori e con le banche. E' quello che sta succedendo per esempio a Fortebraccio Teatro, Masque, Laminarie, Erbamil... Non a caso si tratta di anelli considerati deboli, senza grande forza di contrattazione politica, dai quali pare facile e indolore dirottare qualche decina di migliaia di euro verso lidi più «opportuni» (ma lo stupore riguarda anche l'esiguità del «bottino»...).
Il secondo motivo di scandalo nasce dal mistero che circonda le «valutazioni qualitative», che non sembrano in alcun modo tener conto dei risultati artistici delle compagnie e ancor meno degli obiettivi conclamati nel regolamento (ricambio, giovani, multidisciplinarità etc.).
A questo punto dell'anno un po' più di buon senso – e un po' meno arroganza – avrebbe dovuto essere sufficiente per limitare i tagli (e conseguentemente gli incrementi che consentono questi tagli: non dimenticate che i soldi sono sempre quelli, anzi, nel 2004 il GFUS ha subito un taglio di 40 milioni, e per di più erosi dall’inflazione). Quest’anno nel suo complesso, a un primo calcolo l'area dell'innovazione (stabili e compagnie) dovrebbe aver perso circa 350.000 euro del FUS, a vantaggio di altri settori.
Va in ogni caso ricordato che tagli e incrementi sono totalmente legittimi (anche se non lo sono più «obiettivamente» a questo punto dell'anno), sulla base di due righette del regolamento tanto voluto da Carmelo Rocca, all’epoca direttore generale dello Spettacolo: «La valutazione qualitativa può determinare una variazione in aumento fino al doppio, ovvero in diminuzione fino all'azzeramento dei costi ammessi ai sensi dell’art. 5». Questo significa che tutti i parametri tecnici «oggettivi» – che vanno dalle repliche alle giornate lavorative, dagli spettatori ai contributi pagati, dalle piazze alle tournée all’estero, etc. – sono ARIA FRITTA rispetto alla valutazione qualitativa, autorevolmente affidata alla Commissione, che può proporre di raddoppiare o azzerare il contributo ministeriale.
Questo metodo è in vigore dallo scorso anno, ma forse un po' di pudore per il ritardo ne aveva frenato un'applicazione sfacciata, anche se alcune linee di tendenza erano già evidenti.
Del resto la qualità artistica è sempre opinabile. Il superamento di criteri puramente quantitativi – la trappola dei numeri – era stato peraltro chiesto soprattutto dall'«area dell'innovazione», che oggi però sembrerebbe la più penalizzata.
Evidentemente si è caduti in un'altra trappola. Perché per il Ministero, evidentemente, andare contro «l’ingessamento del sistema» (una conseguenza del regolamento del 1999, in realtà risultato di una stratificazione ben più sedimentata) vuol dire per esempio: «Diamo 130.000 euro in più a quel bravo guaglione di Tato Russo e ai suoi formidabili musical, perché la famosa interdisciplinarità è il musical, se non ve ne siete ancora accorti). E diamo una giusta punizione a quei "meccanici" di Masque, che poi non fanno neppure vero teatro».
Era un'interpretazione prevedibile: viste le difficoltà economiche in cui versa l'insieme del teatro italiano, considerata la costante progressiva erosione del Fondo Unico dello Spettacolo, a lasciarci per primi le penne sono i più deboli. Anche perché con ogni evidenza nel gioco corporativo Tedarco ha molta meno forza di altre associazioni di categoria. E anche all'interno della categoria ci sono forti e deboli, e alcune delle compagnie «punite» magari non sono neppure associate Tedarco...
In prospettiva, un ulteriore elemento di riflessione riguarda una pratica che pare inaugurata con questa tornata di decisioni: la scelta di accorpare le compagnie e i teatri su base regionale, e dunque il tentativo di «bloccare» in qualche modo i contributi sull'attuale distribuzione territoriale. Se non altro è un criterio, si dirà, in vista del passaggio di competenze in materia di spettacolo alle Regioni. Ma solo i dati complessivi ci consentiranno di capire i criteri applicati regione per regione.
In questa situazione, che cosa possiamo fare? Sappiamo che Tedarco ha già avanzato una richiesta di revisione dei provvedimenti. Ci riserviamo di presentare in occasione all'iniziativa del 6 novembre una petizione per sottoporla alla firma dei presenti (dunque non solo operatori quindi, ma critici, direttori di teatro, docenti universitari ecc.), su questi punti:

1. Chiediamo in primo luogo al ministro Urbani e al direttore generale Nastasi, cui compete la firma delle lettere di assegnazione, di congelare tutte le decisioni che prevedono azzeramenti, ma anche decurtazioni e incrementi molto consistenti, contando (senza retorica) su un minimo di sensibilità e buon senso.

2. In base alla legge sulla trasparenza (e a unminimo criterio di trasparenza), chiediamo che vengano resi immediatamente noti attraverso il sito del Ministero, tutti i dati, precisando la percentuale di qualità e i criteri seguiti. (Questo dovrebbe essere fatto su richiesta delle singole compagnie. Noi chiediamo che questo venga fatto dal Ministero sistematicamente per tutte le compagnie sovvenzionate, sulla base di un minimo criterio di trasparenza.)

3. Nella misura in cui l'attività annunciata sia stata svolta, chiediamo di annullare tutti gli azzeramenti.

4. Nella misura in cui le motivazioni qualitative non si presentino come obiettivamente e fortemente valide, chiediamo di ripristinare i tagli e rivedere gli incrementi.

5. Auspichiamo che queste richieste trovino appoggio da parte dell'AGIS, oltre che di singoli soci delle diverse associazioni.


Questa è solo una prima idea: aspettiamo come sempre suggerimenti e consigli, magari utilizzando il forum «Nuovo teatro vecchie istituzioni». Naturalmente cercheremo inoltre di fornire (se possibile già il 6 novembre, se ci date una mano a raccogliere i dati) tutte le informazioni disponibili sulle assegnazioni attuali, messe a confronto con quelle degli ultimi anni. E’ in corso di costituzione un piccolo gruppo di lavoro, totalmente estraneo alle categorie, che cerchi di analizzare i dati quantitativi di settori e soggetti e di raccogliere elementi «obiettivi» (per esempio la rassegna stampa) di valutazione qualitativa.
Nel caso richieste minimali come quelle sopra esposte (che pensiamo fatte proprie anche dalla lettera predisposta da Tedarco) non venissero accolte, suggeriamo che l'intera area della cosiddetta «innovazione» (ma forse anche quella della stabilità pubblica, come accennato in altre occasioni), elabori nuove forme di rappresentanza, alternative o complementari a quelle offerte dall'AGIS.

Post scriptum
In ogni caso, non intendiamo dedicare la giornata del 6 novembre a una discussione sui contributi ministeriali. La Buone Pratiche è nata proprio per raccogliere indicazioni pratiche e forme di resistenza malgrado il Ministero (e non solo). Insomma, ci sembra un’occasione troppo importante per limitarsi all’indignazione e alla protesta.


 


 

Comunicato stampa Le Buone Pratiche
Il teatro italiano e le sue Buone Pratiche in convegno il 6 novembre a Milano
di Ufficio Stampa Le Buone Pratiche

 

Con cortese preghiera di pubblicazione e diffusione.
Il teatro italiano sta vivendo un momento difficile. Le grandi istituzioni e i maggiori festival paiono attraversare una fase di stallo (e in alcuni casi una evidente crisi), mentre la manovra finanziaria lascia presagire sostanziosi tagli alla cultura. Tuttavia sulle nostre scene si colgono numerosi segni di vitalità, sia sul versante artistico (con varie compagnie prodotte e apprezzate all’estero) sia sul fronte dell’organizzazione.
Uno sguardo attento può infatti cogliere numerose iniziative e realtà di alto livello e di notevole successo, che però rischiano di restare lodevoli eccezioni, che non riescono a incidere sull’insieme di un sistema ingessato. Spesso artisti e organizzatori – due ruoli in diverso modo creativi – sono riusciti a superare le inerzie del teatro italiano per inventare, progettare e sostenere realtà e attività di indiscutibile interesse: altrettanti «fiori nel deserto» che dovrebbero (e potrebbero) diventare un bosco.
Proprio alla ricerca di queste «Buone Pratiche», nel tentativo di delineare una serie di idee guida per le nostre scene, si muove l’incontro ideato da Mimma Gallina, Franco D’Ippolito e Oliviero Ponte di Pino, che si terrà a Milano il prossimo 6 novembre, dalle 10 alle 18, alla Civica Scuola d’Arte Drammatica «Paolo Grassi» in via Salasco 4.
L’indagine è stata articolata in cinque i capitoli principali: la produzione, la distribuzione, il finanziamento, i servizi e le reti, gli intrecci con altri ambiti e discipline. A parlare delle loro «Buone Pratiche» saranno rappresentanti delle grandi istituzioni (stabili e circuiti regionali) e portavoce di gruppi e compagnie off, direttori di piccoli teatri comunali e professori universitari, programmatori di computer e aspiranti direttori di reti tematiche, funzionari di enti pubblici e giovani cooperative di servizi. Sono infatti numerose e articolate le presenze annunciate per un incontro-confronto che si annuncia ricco di contenuti e di proposte.
Molto materiale è già consultabile online: l’iniziativa nasce infatti da un sito web – www.ateatro.it – che ha già messo in rete una «Banca delle Idee» in cui le Buone Pratiche del teatro italiano vengono censite e raccolte e possono essere riprodotte e discusse.


Le Buone Pratiche
Una Banca delle Idee per un Nuovo Teatro
a cura di ateatro
ideazione e (dis)organizzazione Franco D’Ippolito, Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino.

sabato 6 novembre Civica Scuola d'Arte Drammatica «Paolo Grassi» via Salasco 4, Milano dalle 10.00 alle 18.30

Sul sito www.ateatro.it si possono trovare ulteriori informazioni sull’iniziativa e si può consultare la «Banca delle Idee per un nuovo teatro».


 


 

Commissario o drammaturgo?
Perché Sabina Negri farebbe meglio a dimettersi dalla Commissione ministeriale
di Mimma Gallina

 

PER I LETTORI DISTRATTI
Presso il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali è insediata la Commissione Consultiva per la prosa.
La composizione e il funzionamento delle commissione è regolamentato dalla Legge 23 dicembre 1996 n. 650 - Conversione in legge, con modificazioni, del Decreto Legge 23 ottobre 1996 n. 545; ricordiamo in particolare due punti.

Art. 1

Comma 61.
Le commissioni istituite ai sensi dei commi 59 e 60 [ndr commissioni per la musica, per la prosa, per il cinema, per i credito cinematografico, per il circo e gli spettacoli viaggianti, per la danza] sono composte da nove membri, incluso il Capo di Dipartimento dello spettacolo che le presiede. Gli altri componenti sono nominati nel numero di sei dall’Autorità di Governo competente per lo spettacolo e gli altri due, rispettivamente, uno su designazione della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome di Trento e Bolzano, ed uno su designazione della Conferenza Stato-città. Essi sono scelti tra esperti altamente qualificati nelle materie di competenza di ciascuna delle commissioni.

Comma 63.
I componenti delle commissioni istituite ai sensi dei commi 59 e 60 sono tenuti a dichiarare, all’atto del loro insediamento, di non versare in situazioni di incompatibilità con la carica ricoperta, derivanti dall’esercizio attuale e personale di attività oggetto delle competenze istituzionali delle commissioni.


Quest’ultimo articolo procurò uno dei tanti meritati successi d’immagine al ministro Veltroni (anche se poi – come dopo di lui il ministro Melandri – non lo applicò sempre in modo proprio rigoroso: ma questo è un altro discorso: sono tempi passati, e denunce già fatte...). La riforma delle commissioni è stata in effetti una rivoluzione, perché – per tradizione pluridecennale – i componenti erano direttamente espressi dalle categorie sovvenzionate e le «situazioni di incompatibilità» erano la regola.

Nel 2002 il Ministro Urbani ha provveduto a nominare una nuova commissione (sostituendo i componenti in carica con il governo precedente), così composta:

1. Alfredo Giacomazzi - direttore generale per lo Spettacolo dal vivo
2. Giovanni Antonucci - esperto
3. Pasquale Donato - esperto
4. Sabina Negri - esperto
5. Michele Paulicelli - esperto
6. Renato Tomasino - esperto
7. Franco Scaglia - esperto
8. Francesco Carducci Artenisio - conferenza Stato-città: laureato in Economia e Commercio
9. Giancarlo Marinelli - Conferenza rapporti Stato, Regioni e Provincie autonome

ateatro (riprendendo da «Hystrio», dossier ‘retroscena’ n. 1) ha fornito sintetiche informazioni sui signori nominati nella assai criticata rubrica «Who’s who» (a proposito: non sappiamo se abbiamo contribuito in qualche misura alla promozione della signora Spocci da direttore dell’ETI all’INDA).
Recentemente il Ministro ha sostituito Franco Scaglia (che all’interno della Commissione risultava essere uno dei più informati) con Giancarlo Leone, amministratore delegato di Rai Cinema; Alfredo Giacomazzi è stato sostituito da Salvo Nastasi, per un normale avvicendamento legato alla carica di direttore generale per lo Spettacolo dal vivo.
Potremmo entrare nel merito della effettiva competenza di questa commissione, in particolare chiederci se la legge le dia gli strumenti per fare il suo lavoro (su che base si acquisisce una effettiva conoscenza di centinaia di realtà sparse sul teatro italiano? Tanto più che i commissari svolgono il loro lavoro senza compenso, fatto salvo un gettone di presenza per le riunioni).
Proviamo però a soffermarci su un piccolo tassello...

SABINA NEGRI (in CALDEROLI)
Scrivevamo di lei:

giovane drammaturga ed autrice teatrale, molto recentemente emersa sulle scene italiane, negli ultimi 2 anni ha visto messi in scena numerosi suoi testi; consulente artistico del Teatro della Società di Lecco. Non possiamo non ricordare, come narrano le cronache, il suo matrimonio con il Vicepresidente del Senato, il leghista Roberto Calderoli, officiato dall’amico Marco Formentini con ‘rito celtico’.

Forse il tono era un po’ ironico, ma è tutto vero (a parte che la signora Negri è consulente del Comune di Lecco e non del Teatro della Società di Lecco, come la medesima signora ha precisato all’«Espresso», ma la sostanza non ci sembra molto diversa).
Devo confessare che avevo pensato già allora (all’epoca del primo dossier) di fare una qualche azione perché la signora Negri comprendesse le sue incompatibilità, in quanto autore rappresentato da compagnia sovvenzionata e consulente di teatri sovvenzionati, e si dimettesse.
Poi ho ritenuto – ingenuamente – che probabilmente ci sarebbe arrivata da sola, magari cogliendo l’occasione del «rimpasto» imposto dalla sostituzione di Scaglia, per alcuni davvero ingenui motivi:
- perché ho sempre pensato che le donne siano più sensibili degli uomini in materia di conflitto di interessi (anche solo perché manovrano meno interessi);
- perché risultava evidente dall’aumento delle messe in scena dei suoi testi (dopo i Filodrammatici di Milano, il Belli di Roma) che la signora intendeva fare la drammaturga sul serio e a maggior ragione, pensavo, avrebbe preso atto dell’incompatibilità;
- infine (non ridete troppo di me), perché ho sempre pensato che, nell’ambito della Casa delle Libertà, la Lega (do per scontato che la signora sia leghista, o «in quota a») fosse un po’ meno sfacciata degli altri, non tanto in materia di occupazione di potere (dove la Lega non ha niente da invidiare), ma sul piano degli interessi privati in atti d’ufficio: insomma, mi era rimasta l’immagine dei paladini di Mani Pulite (del resto ci era cascato anche uno come Giorgio Bocca); o forse resto patriotticamente convinta dell’onesta di fondo del popolo lombardo (sono nata a Bergamo, cresciuta a Varese, risiedo a Milano e quando mi chiedono di dove sono, mi tocca rispondere: lombarda).
Ma la signora Negri pare non ci pensi proprio a lasciare la commissione, e ancor meno a privarci per un po’ dei suoi testi, così ho scritto la lettera che segue, che invio anche a qualche giornale, fra cui la «Padania».

Lettera aperta a Sabina Negri

Gentile Sabina Negri in Calderoli,

non ci conosciamo, ma è da un po’ che intendevo scriverle personalmente (per quanto pubblicamente), cioè da quando ho curato un dossier sulla triste situazione contemporanea della scena italiana («Retroscena: il teatro italiano nel’era Berlusconi» in due puntate), per le riviste «Hystrio» e www.ateatro.it (inverno scorso).
Volevo già da allora invitarla a meditare sull’incompatibilità della sua attività drammaturgica con la sua presenza nella Commissione ministeriale consultiva che suggerisce (e di fatto assegna) i contributi al teatro italiano.
Ma pensavo che lo avrebbe fatto di sua iniziativa, perché credo che le donne siano sensibili ai problemi di conflitto di interesse, e forse lo sia un po’ anche la Lega (nonostante la ormai pluriennale attività di governo).
L’incompatibilità mi sembra evidente nel momento in cui la legge prevede che i «commissari» non versino «in situazioni di incompatibilità con la carica ricoperta, derivanti dall’esercizio attuale e personale di attività oggetto delle competenze istituzionali delle commissioni».
Essere autore, ed essere rappresentato da compagnie sovvenzionate e percepire diritti d’autore, che sia tramite SIAE o direttamente, se non fosse iscritta (ma anche qualora non li percepisse), configura un caso molto evidente di incompatibilità
Ma lei mi ha davvero deluso: non solo non ci è arrivata da sola – a dimettersi – ma ha accettato (o proposto o addirittura le è stato commissionato, non so) che un suo testo, Al Moulin Rouge con Toulouse Lautrec, venisse rappresentato in questa stagione teatrale, in situazioni ben più remunerative dei piccoli Filodrammatici o Belli (che hanno prodotto suoi testi nel 2003): nientemeno che un debutto al prestigioso Teatro Manzoni di Milano (che fa riferimento ai Gruppi Mediaset e Publitalia), cui seguirà tournée, quasi ovunque (suppongo) in teatri sovvenzionati, come naturalmente sovvenzionati sono i produttori che si sono associati per l’occasione, ben tre: Teatro Filodrammatici, Compagnia del Teatro Moderno, Compagnia di Prosa Maura Catalan.
Per tutte queste rappresentazioni lei percepirà (è una mia illazione, ma se anche così non fosse l’incompatibilità sussisterebbe ugualmente ai sensi dell’articolo sopra citato) i diritti d’autore dovuti: solo al Manzoni, se lo spettacolo registrerà l’incasso medio dello scorso anno, 12.400 euro a rappresentazione (dati AGIS), le sue competenze d’autore non dovrebbero essere inferiori a 30.000 euro lordi. Niente se pensiamo alle tasse che Berlusconi risparmierà con le famose tre aliquote, ma niente male per un comune mortale: per un autore teatrale, quasi un sogno.
Ora, io non voglio pensare che lei, in commissione, riservi una particolare attenzione a tutti i soggetti coinvolti nell’operazione Toulouse Lautrec (produttori e programmatori), penso anzi che probabilmente lei esca con eleganza dalla riunione quando se ne discute (nella prima Repubblica si faceva così: era ovviamente anche più efficace).
Ma non escludo che loro (i teatranti) ci contino un pochino, come contano forse sul fatto che lei potrà appoggiarli direttamente o indirettamente in molte altre situazioni (enti locali etc.) dove la Lega ha voce in capitolo. Non lo escludo. Non per malevolenza, ma perché la gente di teatro ha da sempre il problema della sopravvivenza e ha imparato da secoli ad avere a che fare con i principi: una volta erano Gattopardi e Leoni (come direbbe Tomasi di Lampedusa), oggi lasciamo perdere, ma pur sempre potere è, e un potere gestito in modo molto discrezionale, come abbiamo potuto vedere. Non sta certo a me biasimare chi cerca di proteggersi, anche se volentieri chiederei se era proprio necessario.
Ho visto lo spettacolo – ne vedo molti e in teatri di diversa tipologia – e posso assicurarle che è di quelli che uno proprio vorrebbe cancellare dalla memoria (lei sa bene che non è solo il mio parere).
Produttori e teatri coinvolti sono colleghi seri, hanno fatto spesso operazioni azzeccate e hanno in alcuni casi autentiche sensibilità artistiche e/o quel «fiuto» che si considera la prima qualità dei veri impresari. Il fiuto fa sì – storicamente – che alla politica ci si inchini fino a dove non cozza con il business teatrale (che è uno strano miscuglio di arte, «chiamata» e interesse). Prenda il Manzoni, per esempio: dopo una gloriosa tradizione secolare, e alcuni anni forse esageratamente «leggeri» (diciamo pure: televisivi), ha recuperato un equilibrio invidiabile fra qualità e puro entertainment, nel campo molto delicato del teatro ad alta densità commerciale. Non a caso è la seconda sala italiana (per affluenza e incasso) nella categoria fra 500 e 800 posti, e temo che il pubblico (che non è cretino anche quando è «abbonato», non sceglie cioè singolarmente lo spettacolo ma il «pacchetto») non perdonerà facilmente questo scivolone.
Come è possibile che questi colleghi credessero di fare uno spettacolo buono, e di successo anche commerciale, dal suo testo? Come possono un bravo produttore, un regista capace, un musicista colto, un attore noto e sensibile come Carlo delle Piane (ma sarebbe meglio se restasse nell’ambito del cinema), prendere in considerazione una operazione scolastica, di una banalità imbarazzante, in cui non succede assolutamente niente, in cui perfino dalla Belle Epoque non riesce a uscire un guizzo di vera nostalgia, o di erotismo.
Mentre contavo almeno su un vero cancan (chiedendomi se le ballerine in controluce facevano stretching o mimavano passioni lesbiche) e soffrivo per la povera Milvia Marigliano (che si sforzava encomiabilmente di tenere in piedi il tutto), mi ha preso un grande sconforto: è davvero inquietante che si sia arrivati a questo punto, che il «potere» (un potere in apparenza così piccolo, poi) conti così tanto.
Forse né lo spettacolo né lei meritavate questo sfogo. Siete solo una delle tante metastasi di un sistema gravemente malato, dove i mezzi e gli anticorpi sono sempre meno, dove il mercato è truccato, dove la commissione di cui lei fa parte e che dispone delle solite due lire si permette – nel mese di ottobre – di tagliare, esaltare e azzerare i gruppi teatrali nella più assoluta discrezionalità (e in maniera del tutto legale, del resto: Roma ladrona, come direbbe giustamente qualche suo amico).
Ma arrivo alla conclusione. Provo a immaginare (forse è possibile) che di tutto questo lei non sia consapevole; che sulla incompatibilità non abbia proprio ragionato etc. Allora mi permetto di suggerirle due alternative:
a) se lei vuole sul serio occuparsi del teatro italiano come analista/esperta, allora non scriva per un po’, lasci che le rappresentazioni si esauriscano (con tante scuse pubbliche) e naturalmente devolva tutti i suoi diritti d’autore in beneficenza (una volta si usavano la casa di riposo per attori di Bologna o la Verdi per musicisti a Milano: ma potrebbe anche ridistribuirli fra le compagnie «tagliate», magari quelle lombarde: comunque non c’è che l’imbarazzo della scelta); e dia il buon esempio ai colleghi commissari: vada in giro per l’Italia a vedere spettacoli;
b) se vuole continuare a scrivere e a essere rappresentata, si dimetta immediatamente dalla commissione, ma – mi scusi la franchezza – abbia l’intelligenza (o forse l’umiltà) di ritornare a scuola (ci sono corsi importanti, di tendenze diverse); forse le succederà, in futuro (magari con un cambio di governo, chi sa: un altro colpo di fortuna per lei), di essere rappresentata per quello che scrive e non per quello che rappresenta. d)

Spero di non averla offesa, ma che anzi queste mie considerazioni possano aiutarla, e la saluto cordialmente.

Mimma Gallina


 


 

Teatro della memoria memoria del teatro
Prefazione a il meglio di ateatro 2001-2003 a cura di Oliviero Ponte di Pino e Anna Maria Monteverdi
di Oliviero Ponte di Pino e Anna Maria Monteverdi

 


Sono 320 pagine e costa solo 15 euro, c'è dentro il teatro che ci piace, quello di cui si parla in questo sito. Insomma, che aspettate a comprarlo? Basta andare sul sito della casa editrice, il principe costante, ovvero Vanessa & Valeria...
Ma intanto beccatevi la prefazione, dove proviamo a spiegare un po come funziona ateatro.




«ateatro.it» è una webzine di cultura del teatro e dello spettacolo dal vivo, attiva dall’inizio del 2001, curata da Oliviero Ponte di Pino in collaborazione con Anna Maria Monteverdi, che gestisce anche la sezione «teatro & nuovi media». Nel corso di tre anni ha pubblicato quasi 500 articoli, saggi, notizie, interviste, recensioni, inchieste, editoriali... I suoi forum ospitano centinaia di interventi: notizie, informazioni, polemiche, richieste di aiuto, segnalazioni, pettegolezzi...
«ateatro.it» si è rapidamente affermato come un punto di riferimento e uno spazio di discussione per la parte più viva del teatro italiano, sia per la quantità di dati e informazioni che contiene, sia perché consente un costante scambio di idee sulla situazione delle nostre scene.
La webzine è l’evoluzione di un sito personale, olivieropdp.it, attivo dal 1998, che raccoglie tra l’altro materiali sul nuovo teatro, e in particolare la versione elettronica del volume Il nuovo teatro italiano. Il teatro dei gruppi 1975-1988. Alla fine del 2000, le dimissioni di Mario Martone dalla direzione del Teatro di Roma avevano suscitato un’accesa discussione: nel giro di pochi giorni, senza alcuna sollecitazione, su olivieropdp.it erano state raccolte e pubblicate decine di interventi sul «caso Martone», subito rilanciate in un dossier consultabile on-line. Questa improvvisa mobilitazione è stata un segnale: si avvertiva la necessità di uno spazio di informazione e discussione, flessibile e reattivo, su temi che i mass media tendono a escludere o a trattare con superficialità e che le testate specializzate possono affrontare solo in tempi lunghi. Era anche la riprova che un piccolo sito internet (quello che qualche anno dopo «Repubblica Affari & finanza» avrebbe definito un «blog storico», anche se all’epoca il termine era ancora un esotismo futurista), gratuito, indipendente e interamente autogestito, poteva raggiungere un gran numero di persone e, alla lunga, creare una piccola comunità, diventando una piazza tematica e telematica. Il forum «Fare un teatro di guerra?» è così nato insieme al sito (sulla scia del film di Mario Martone e del convegno omonimo organizzato da Teatro Aperto), in piena continuità con questa esperienza, e con la consapevolezza di un’emergenza che riguarda sia la situazione del teatro italiano sia più in generale l’attuale situazione politica e culturale.
«ateatro.it» è partito come un esperimento un po’ folle, una piccola provocazione: creare una rivista di cultura teatrale in rete, con caratteristiche di gratuità e assoluta indipendenza e autonomia, che accostasse all’attività di documentazione e memoria storica un più attivo intervento sull’attualità, a cominciare dalle battaglie di politica culturale, tentando di aggregare studiosi, osservatori, critici, artisti, in vario modo interessati a quello che di vivo e vitale accade in teatro.
In un momento in cui le tradizionali riviste su carta stavano attraversando un periodo di indiscutibile difficoltà e le riviste on-line erano ancora in una fase embrionale, si trattava anche di stimolare alla scrittura nuovi autori e di raccogliere e rilanciare quello che già veniva prodotto sul versante della cultura dello spettacolo. Si voleva anche, senza una struttura precostituita, passare da una «impresa individuale» a un collettivo di lavoro aperto a nuove collaborazioni, una sorta di rete diffusa - ferma restando la qualità dei contributi. Quasi subito è avvenuto un piccolo miracolo: dopo un numero zero e un numero uno scritti interamente da una sola persona (dunque ancora all’interno della logica del blog, tanto per intendersi), è stato possibile impaginare e pubblicare un numero due raccogliendo unicamente contributi esterni (e in genere non sollecitati). I contributi hanno continuato ad arrivare, numerosi e qualificati, e la redazione si è progressivamente allargata e strutturata, con una cerchia di collaboratori e corrispondenti sempre più vasta. Dopo oltre tre anni di lavoro, grazie soprattutto all’attività di stimolo e coordinamento di Anna Maria Monteverdi, «ateatro.it» è diventato una sorta di impresa collettiva, una rete aperta in grado di raccogliere e rilanciare notizie e temi di discussione.
In questa fase dell’evoluzione di internet è ancora difficile immaginare come un sito di questo tipo, rivolto a una nicchia non particolarmente danarosa (o disposta a spendere) come quella degli appassionati e studiosi di teatro - e di un teatro per di più di un certo tipo ñ, possa generare reddito. Neppure il minimo reddito necessario a sostenere i costi di una redazione on-line attraverso micropagamenti o sponsorizzazioni. Dunque l’unico sistema per garantire la sopravvivenza di una testata di questo genere nel medio termine (senza escludere altre soluzioni quando la rete sarà più matura) consiste in primo luogo nel minimizzare le spese, portandole il più vicino possibile allo zero: questo vale per i collaboratori, ovviamente, che scrivono gratis (e già questo è un indizio della necessità di un’impresa di questo tipo), ma anche e soprattutto per la gestione «tecnica» del sito, totalmente autosufficiente, leggera e facile. Al di là della registrazione del dominio e del costo dello spazio (dell’ordine di poche decine di euro all’anno) il sito non ha costi di gestione. Questo è stato possibile grazie a una minima competenza informatica (nozioni elementari di programmazione, alfabetizzazione in html e asp, qualche informazione sui database) e all’uso di software gratuiti facilmente scaricabili dalla rete. Era un altro aspetto della scommessa di «ateatro.it», in un’era «pre-phpnuke»: verificare se fosse possibile per chiunque aprire e gestire un sito minimamente complesso e dotato di una sufficiente gamma di funzionalità.
All’inizio «ateatro.it» era un sito solo di testi - spesso di testi assai lunghi, in provocatoria controtendenza rispetto alle regole e alle mode del web, ma ideali per essere stampati e conservati - e tutto in italiano. Successivamente sono stati inseriti immagini e poi brani audio e video, ma senza cambiare la natura in primo luogo testuale del sito. Partito come raccolta di pagine statiche, si è arricchito di nuovi servizi, diventando sempre più articolato e versatile, aprendosi a diverse forme di interattività: i forum, la mailing list (con alcune migliaia di iscritti), la locandina (con la possibilità per i visitatori di segnalare gli spettacoli), un motore di ricerca, blog personali, e soprattutto un database nel quale sono confluiti l’archivio della webzine, i link (una pagina nata quando i maggiori motori di ricerca segnalavano appena poche decine di siti teatrali italiani e arrivata nel giro di un anno a censire oltre 400 siti), le news, la mappa del nuovo teatro italiano, il calendario dei festival, un database con la filmografia shakespeariana eccetera.

«ateatro.it» è nato come una sorta di esperimento, su vari fronti.
Il primo, lo si è già accennato, riguarda la possibilità di creare e far crescere un sito indipendente e autosufficiente, ed è ovviamente connesso alla conclamata «democraticità» della rete, e alla possibilità che nell’agorà telematica l’autore possa anche diventare editore di se stesso. Da questo punto di vista, l’esperimento ha avuto successo. Non solo il sito esiste e continua a crescere, ma ha trovato il suo pubblico: diverse centinaia di visite al giorno, migliaia di pagine scaricate, da parte soprattutto di teatranti, studiosi e studenti, dunque un pubblico «qualificato», interessato e competente. Intorno al sito si è raccolta una piccola comunità, che lo usa come punto di raccolta e di scambio di informazioni. Anche se poi l’effettiva partecipazione «attiva» resta al di sotto delle sue potenzialità, per diversi motivi: scarsa alfabetizzazione informatica (una delle attività chiave, soprattutto agli inizi, è consistita nello spiegare personalmente a utenti totalmente ignari del web come collegarsi al sito o inserire messaggi nei forum), timore di esporsi (in un ambiente come quello del teatro, fatto anche di clientele e patti sostanzialmente omertosi), ma soprattutto un atteggiamento che resta ancora fondamentalmente legato alle forme tradizionali della comunicazione unidirezionale («Tu scrivi e io leggo»), che fatica a prendere in considerazione e a praticare le possibilità di interazione offerte dal web. Sintomatica da questo punto di vista è la riluttanza - da parte di chi ritiene di avere un certo ruolo pubblico - a interagire con gli sconosciuti e spesso anonimi interlocutori dei forum: insomma, a mettersi in gioco al di là di ruoli professionali e meriti acquisiti. Perché entrare nell’arena di internet impone di accantonare ogni principio di autorità: resta solo l’autorevolezza conquistata sul campo. Basti pensare alle diverse modalità di ricezione, ai tempi e modi di risposta, di una lettera inviata a un quotidiano rispetto a un post in un forum (o di un mail al webmaster).
Si arriva così a un secondo risvolto di questo esperimento, ovvero al rapporto tra internet e la carta stampata, almeno per quanto riguarda il teatro - e forse un certo tipo di teatro. Non è una novità che negli ultimi anni gli spazi che quotidiani e settimanali dedicano al teatro si stiano riducendo, che le recensioni perdano spazio (e dunque autorevolezza) rispetto ad anticipazioni, presentazioni, interviste. Molto difficilmente sulla stampa a grande diffusione possono trovare posto servizi dedicati al «sistema teatro» nel suo complesso (e nelle sue contraddizioni), se non raramente e spesso in chiave scandalistica o allarmistica. D’altro canto le riviste specializzate si scontrano con le difficoltà della distribuzione, e con tempi di realizzazione e diffusione molto allungati (oltre che con i costi di carta e stampa), e raggiungono un pubblico molto limitato. Diventa così sempre più difficile contribuire alla creazione di una cultura teatrale e a quella formazione del pubblico che è essenziale per i consumi culturali, dove i livelli di gratificazione sono proporzionali alla competenza (insomma, più spettacoli o quadri vedi, più concerti ascolti, più sei in grado di valutarli e apprezzarli). In quest’ottica, disporre di strumenti di informazione e formazione aggiornati e facilmente consultabili (soprattutto per i giovani) diventa utilissimo, e permette di aggirare le strettoie degli altri media.
Inoltre la forma web permette di sperimentare diverse forme di scrittura, rispetto a quelle canoniche della recensione (e non è un caso che in «ateatro.it» le recensioni siano apparse piuttosto tardi), dell’intervista e del saggio accademico. Da un lato l’intento era quello di produrre testi che avessero un respiro un po’ più ampio della normale recensione, che non si consumassero cioè nell’immediatezza dell’evento, ma che andassero a costituire una sorta di memoria a medio termine; dall’altro, di lasciare sempre aperta la possibilità di interazione; e su alcuni spettacoli particolarmente significativi si è infatti deciso di dare spazio a più voci e ad approcci diversi (abbiamo scelto di presentare qualche esempio di «sguardo incrociato» anche in questo volume). Insomma, scrivere di teatro, ma con la massima libertà - anche nella forma - o nel format. Anche nel portare i testi dal web alla carta, è stato inevitabile mantenerli nella loro forma originaria (fatte salve le uniformazioni e correzioni indispensabili), rendendo così conto della ricchezza e della varietà degli approcci, degli stili e delle scritture.
Si è cercato di coniugare la critica militante a un saggismo di taglio più accademico, attingendo in particolare all’opera di alcuni giovani studiosi. Non solo accostando interventi duramente polemici a saggi rigorosi, incursioni ironiche a divagazioni dotte, ma anche e soprattutto cercando di intrecciare linguaggi e prospettive - privilegiando in ogni caso leggibilità e serietà. Cercando poi di dare ampio spazio alla «viva voce» degli artisti. Queste erano le intenzioni programmatiche, che si sono concretizzate in 62 numeri della webzine in tre anni: un ritmo impressionante, che corrisponderebbe a molte centinaia di pagine a stampa. Questa iperproduzione suggerisce peraltro che nel nostro paese si può fare cultura del teatro e dello spettacolo, ma che prima di internet era assai più difficile diffonderla.
A differenza di altri siti e riviste di argomento teatrale, per quanto riguarda la produzione corrente si è preferito non cercare di inseguire l’attualità, in un impossibile tentativo di completezza ed esaustività, quanto piuttosto di seguire con attenzione alcuni artisti, spettacoli e realtà: da un lato monitorando, quasi da «compagni di strada», un percorso artistico (vedi i casi del Teatro della Valdoca e di Danio Manfredini, ai quali sono dedicati saggi monografici poi pubblicati in altri volumi, della Socìetas Raffaello Sanzio, dei Motus o di Luca Ronconi, o ancora l’attenzione ad autori come Pier Paolo Pasolini, Giovanni Testori, Enzo Moscato, solo per fare alcuni esempi); dall’altro offrendo - come già anticipato - più di uno sguardo su una medesima opera. Insomma, il tentativo è quello di fornire alcune indicazioni di metodo, che altri potranno ripercorrere, approfondire e migliorare.
I numeri hanno una struttura modulare, ma non necessariamente tutti i moduli devono essere presenti in ogni numero. L’editoriale in genere riassume il contenuto della rivista, ma spesso affronta tematiche di attualità, con punte anche polemiche; a volte cerca di fare il punto sull’evoluzione della webzine e sulle sue prospettive. Seguono i saggi più «pesanti», spesso raccolti intorno a uno o più temi chiave (quando non accorpati in numeri monografici come quelli via via dedicati al teatro di guerra, al teatro di figura, al teatro ragazzi, al tecnoteatro...). Tocca poi alla sezione «tnm», curata come si è accennato da Anna Maria Monteverdi, sui vari intrecci tra teatro e nuove tecnologie, a cominciare ovviamente dal loro uso sulla scena e nella documentazione, ma con una notevole apertura a intrecci e contaminazioni (con le arti visive, con le street tv, con la rete, eccetera). Seguono le recensioni (di spettacoli, ma anche di libri, dischi, eccetera) e chiudono le notizie, che spesso vengono messe on-line e pubblicate tra un numero e il successivo, ma sono in ogni caso recuperate per essere automaticamente impaginate nel primo numero disponibile.
Questa è un’altra delle differenze tra un sito e un periodico «su carta»: un sito come «ateatro.it» ha sia la possibilità di intervenire e informare «a caldo» (come un quotidiano o un canale radiofonico o televisivo), sia quella di strutturarsi in forma di periodico (con i diversi numeri della webzine), sia di creare un archivio immediatamente consultabile, che si arricchisce progressivamente. Quello della webzine, pubblicata a scadenze più o meno regolari e annunciata da una newsletter che raggiunge la mailing list, è dunque solo uno dei formati in cui è possibile presentare i contenuti sedimentati nel sito. Per fare un esempio, è stato facile isolare l’archivio delle recensioni in una apposita sezione raggiungibile dalla homepage. Ma anche a una prima osservazione di «ateatro.it» si possono cogliere diverse modalità di fruizione dei materiali presenti nell’archivio, secondo logiche ipertestuali che la progettazione del sito ha cercato di sfruttare. Va altresì tenuto presente che la webzine è in continua evoluzione, come l’intera rete, sia per quanto riguarda gli aspetti più direttamente tecnici sia per quanto riguarda la filosofia della comunicazione. Tenendo anche conto delle abitudini e delle competenze dei fruitori, il sito si muove in equilibrio tra le modalità di interazioni già consolidate (e il modello principale in questo caso è quello del periodico di cultura) e quelle rese possibili e suggerite dal nuovo medium.
Nei 62 numeri, pubblicati nel triennio 2001-2003 con una scadenza «irregolare» ma tendenzialmente bisettimanale, i terreni di indagine e intervento sono stati numerosi e diversificati, anche se l’ambito tematico è sempre rimasto circoscritto e la linea editoriale non ha subito cambiamenti. Centrale è ovviamente l’attenzione al teatro, e in particolare al nuovo teatro italiano, che assorbe buona parte della rivista. Una sezione a parte, come già segnalato, merita il rapporto tra il teatro e i nuovi media, di cui peraltro «ateatro.it» aspira a essere una declinazione per certi versi esemplare. Non a caso la sezione «tnm» rappresenta finora un unicum nel panorama della cultura teatrale internazionale (e uno dei punti di forza della webzine), per quanto riguarda sia la quantità sia la qualità dei contributi.
Un altro filone seguito con particolare attenzione (e che in questo volume non può trovare adeguato riscontro, anche perché molti degli interventi sono legati all’attualità) riguarda la politica e l’economia della cultura e dello spettacolo. Questo interesse - grazie anche all’amichevole sostegno e pungolo di Mimma Gallina - ha fatto di «ateatro.it» un interlocutore credibile nelle discussioni sull’assetto istituzionale e sulle prospettive del «sistema teatrale italiano», fino a coinvolgere la webzine nell’ideazione e nell’organizzazione di convegni e incontri, come quelli dedicati al già citato «Teatro di guerra» (Milano 2001) e soprattutto a «Nuovo Teatro Vecchie Istituzioni» (culminato nell’incontro di Castiglioncello, 2002) e alle «Buone Pratiche. Una Banca delle Idee per un nuovo teatro» (Milano 2004); sempre nel 2004 «ateatro.it» ha rilanciato il dossier della rivista (su carta) «Hystrio» a cura di Mimma Gallina sulla situazione del teatro italiano «ai tempi di Berlusconi» (con il corredo di polemiche sulla gestione dell’Eti) e ha ospitato la discussione sul futuro di una manifestazione come Riccione Ttv.
La webzine non ha mai nascosto il suo tono «militante», che si esprime in posizioni spesso polemiche e partigiane; tuttavia la sua ambizione è offrire all’intero teatro italiano notizie, servizi (come la locandina e i programmi dei festival), ma anche spunti di riflessione, commenti e a volte denunce e polemiche. Non tutti i visitatori del sito si riconoscono nelle posizioni della webzine: tuttavia molti teatranti hanno preso l’abitudine di frequentarlo per essere informati sulle novità del mondo del teatro.

Non è stato facile selezionare dal ricco archivio di «ateatro.it» il materiale da inserire in questa antologia. Si è scelto innanzitutto di escludere i testi più legati all’attualità (informazioni, notizie, ma anche polemiche e dibattiti) così come gli editoriali: pubblicarli tutti sarebbe stato impossibile (e forse inutile), e una scelta sarebbe stata difficilmente giustificabile. Si è anche preferito evitare di riproporre testi già pubblicati (o di prossima pubblicazione) in volumi, annuari o riviste facilmente reperibili: per esempio gli interventi relativi a Storie mandaliche di Zonegemma, o i testi di Oliviero Ponte di Pino per i volumi monografici su Danio Manfredini e sul Teatro della Valdoca, o il testo La bella crisi scritto per il volume edito dalla Biennale Teatro dmt danzamusicateatro. report 2002, tutti anticipati on-line, o ancora il dossier teatro di guerra, già raccolto in un volume a cura di Teatro Aperto.
Dopo queste esclusioni dettate dal buon senso, si trattava di decidere un criterio «positivo» in base al quale scegliere e ordinare il materiale. Si sono così evidenziati alcuni temi chiave, che hanno caratterizzato l’attività della webzine in questi anni.
Il punto di partenza sono due omaggi ad altrettanti «padri adottivi», per indicare due punti di riferimento ma anche per mettere in evidenza l’atteggiamento di «ateatro.it» nei confronti della tradizione (e della tradizione del nuovo). Dunque per cominciare alcuni «Appunti su Shakespeare», a volte impertinenti (ma ulteriori note shakespeariane si possono leggere in altre sezioni del volume, a riprova di un costante interesse) e un doveroso «Omaggio al Living Theatre» fatto insieme di approfondimento ed esperienza personale.
Si passa poi ad alcuni «Autoritratti d’attore»: un maestro come Marisa Fabbri (che ci ha purtroppo lasciati, e dunque l’intervista è anche un omaggio e un ricordo di una persona straordinaria) e una miniserie dedicata ad alcuni giovani attori, oltre a una riflessione sulla voce a opera di Nevio Gàmbula. Dopo l’attore, inevitabilmente, la regia esaminata in chiave problematica: in primo luogo un approfondimento su Luca Ronconi (al confine tra teatro e televisione, romanzo, videogame e scienza, soprattutto per ricordare che sul maggiore regista teatrale italiano del dopoguerra non esiste una monografia autorevole, dopo quella di Franco Quadri, ferma però agli anni Settanta), ma anche i russi Dodin e Nekros?ius. Sul versante del nuovo teatro, seguito con particolare attenzione anche attraverso le recensioni (un aspetto che in questa antologia risulta forse sacrificato), abbiamo privilegiato un taglio storico, coerentemente con l’impegno del sito a costruire un archivio della memoria teatrale: questo significa in primo luogo raccogliere testimonianze e tracce, ma anche cercare di riflettere sull’evoluzione del «nuovo» e sulle possibilità di storicizzarlo, sia per quanto riguarda il panorama generale e lo scenario politico, sia per quanto riguarda i singoli gruppi (vedi qui il caso del saggio sulla Socìetas Raffaello Sanzio).
Un altro aspetto che per ragioni di spazio resta un po’ in ombra in questo volume è la drammaturgia (anche se «ateatro.it» ha prestato grande attenzione a questa prospettiva, dando spazio ai «microdrammi» della Maratona di Milano e del Mittelfest, pubblicando tra l’altro in anteprima il testo di Claudio Magris Essere già stai): è stato affrontato in una chiave particolare ma che riteniamo di qualche interesse, ovvero il recupero del mito (un taglio che rimanda non a caso, oltre che al teatro di narrazione, ad alcune esperienze della nuova scena, che spesso si trova a esplorare in parallelo il recupero del mito e le possibilità offerte dalle nuove tecnologie), attraverso una riflessione teorica, le schede di qualche spettacolo e alcuni approfondimenti (Testori, Moscato, Sarah Kane).
Non poteva non trovare ampio spazio in questa selezione il «Teatro di guerra», che come un basso continuo scandisce tutta l’attività del sito, nella sua duplice accezione. Da un lato, gli interventi sullo stallo e la degenerazione del sistema teatrale italiano, sulle difficoltà degli artisti in una fase politica particolarmente ostile. Dall’altro, le aperture su uno scenario più ampio, con le schede relative ad alcuni spettacoli che reagiscono poeticamente e politicamente allo stato delle cose presente. Certo, sono due realtà (o meglio, due ordini di grandezza) diverse e difficilmente paragonabili, le meschine beghe di potere nostrane e una situazione internazionale tragica e con numerosi risvolti criminali: tuttavia finiscono inevitabilmente per intrecciarsi nelle responsabilità etiche e politiche di ciascuno di noi nei confronti del mondo che ci circonda.
Le due sezioni conclusive, «Pane e marionette» e «Maschere e macchine», mettono in corto circuito i due estremi della storia del teatro, andando a esplorare forme antichissime e originarie, di grande tradizione, e il «fronte del nuovo» nelle sue punte più audaci. Tuttavia nella riflessione di «ateatro.it» questi due poli non sono mai stati contrapposti, e anzi risultano profondamente intrecciati. In questa chiave, è fondamentale il saggio-cerniera tra le due sezioni, I giocattoli di Dioniso di Fernando Mastropasqua, che spingendosi in apparenza fino alle origini prime del teatro occidentale, permette di confrontarsi con le esperienze più modernamente radicali e tecnologiche della scena contemporanea.
Ma - anche se ormai è inutile ripeterlo - questa è solo una piccola selezione del materiale pubblicato in tre anni (e molti pezzi qui ripresi avrebbero potuto figurare in più di una sezione: vedi il saggio sul Mercante di Sellars, che avrebbe potuto trovare posto nella riflessione sul rapporto tra teatro e nuove tecnologie o nel «teatro di guerra»). La ricchezza di «ateatro.it» sta anche nell’archivio consultabile on-line, e costantemente arricchito dalla redazione. Non abbiamo mai pensato che le due forme (quella cartacea e quella elettronica) si escludessero a vicenda: proprio la molteplicità dei formati con cui è possibile presentare il materiale raccolto e ordinato nel database spinge a immaginarne altri - comprese dunque la forma-libro o la forma-rivista. Ma è proprio questo database - quella che alcuni ritengono «la forma contemporanea del sapere» - a rendere possibile la sedimentazione di tutti questi diversi formati e che costituisce il nucleo vivo di un «teatro della memoria» che è anche «memoria del teatro».


 


 

Dal teatro alla rete al libro
Il teatro di Robert Lepage: un percorso di ricerca
di Anna Maria Monteverdi

 

Ripensando alla lunga storia di riscritture de Il teatro di Robert Lepage – una storia durata tre anni – il primo pensiero, licenziandolo per gli amici della casa editrice BFS, è stato che in qualche modo avevo riprodotto inconsapevolmente quell'idea che tanto mi aveva affascinato del teatro di Robert Lepage, dell'impossibilità per l'artista, per l'autore, di definire una "fine" all'opera – considerato le numerosissime versioni dei suoi spettacoli, rinnovate anche a distanza di anni. Questa storia della "ghigliottina della prima", della scrittura testuale che arriva alla fine cioè "alla morte dello spettacolo", della creazione interminabile e dell'atto creativo come eterno "non finito", come un "viaggio interminabile di cui non si conosce la destinazione" di cui mi aveva parlato Lepage non solo mi aveva offerto temi e spunti ricchissimi da raccogliere e sviluppare, ma faceva sì che io stessa mi cimentassi in una scrittura che si dava, col passare del tempo, necessariamente come qualcosa di "provvisorio" e non solo per l'abbondanza delle produzioni di Lepage! Mi ero votata all'idea che il mio libro sarebbe stato sempre e comunque un canovaccio su cui riscrivere (io o altri) nuovi pensieri. Quando mi sono resa conto dell'importanza di questo tema del processo anche per la scrittura critica conseguenza diretta della sua idea di teatro, ho capito che solo la grande rete mondiale mi avrebbe aiutato a penetrare gradualmente nei segreti dell'arte di Lepage, offrendo di volta in volta nuove versioni della mia interpretazione dell'opera, alla luce di nuovi spettacoli (o varianti di esso), pensieri, fonti. E così ho iniziato a gettare nel mare del web e senza troppi scrupoli di esattezza "scientifica", testi e saggi in forma di "messaggi nella bottiglia", mettendo insieme i pezzi del puzzle del suo teatro, quel puzzle di Tectonic Plates... Consapevole che questi "appunti" non sarebbero mai stati la mia "scrittura definitiva".



Anna Maria Monteverdi & Robert Lepage.

Dopo aver visto La face cachée de la lune nel 2000 (in seguito alla visione di altri spettacoli di Lepage anche in versione italiana) ho cominciato più seriamente il mio viaggio di scrittura in rete che solo negli ultimi anni si è – e solo in parte – assestato. Ho "usato" ateatro come finestra, barca, zattera dove gettare ponti, liane, pensieri, e a volte la webzine rappresentava niente più che un approdo momentaneo. Consapevole di poter essere così "usata" da altri per nuovi tronconi di viaggio, altri atterraggi così come a mia volta mi sono attaccata ad altre cime – che si chiamavano Béatrice Picon-Vallin o Irène Perelli-Contos. Altre volte erano funi che non sapevo, agganciandomi, dove mi avrebbero portato. Oliviero Ponte di Pino ha letto dieci, forse di più, versioni di questo "cantiere-libro"e non poteva che essere lui a scrivermi la prefazione, testimone della mia ostinazione critica ma soprattuttto testimone oculare della Trilogie des dragons! E poi amici, studiosi e critici di teatro e di video, che mi sollecitavano a completare il quadro della drammaturgia, della fortuna critica, e persino della questione canadese. Franco Bertolucci della biblioteca di storia contemporanea "Franco Serantini" di Pisa mi regala Negri bianchi d'America, il libro-manifesto dei franco-separatisti del Québec. Ha ragione lui, non potevo non citarlo...Ho raccolto tutto e ho riordinato le idee. Per anni.
In cammino verso Amleto di Fernando Mastropasqua è stato comunque il mio libro-guida, il mio libro-faro. Che non parla di Lepage ma di Shakespeare e di Craig. Prefigurando Lepage, forse proprio nel disegno di copertina di Craig da Scena: uomini che scalano una piramide – la montagna del teatro. Così la mia prima zattera di navigazione è stata Craig. Credo che La faccia nascosta della luna ed Elsinore abbiano molte parentele-legami con i famosi screen e per molto tempo ho cercato di capire attraverso chi e cosa (forse Svoboda?) Craig poteva essere direttamente o indirettamente "precipitato" in Lepage. Mi sono sentita ridicola ad Annecy a chiederglielo. E non ebbi da lui nessuna rivelazione! Borges diceva che "Ogni artista crea il suo predecessore": in fondo la cultura, l'arte, la storia, passa nell'opera... In qualche misura forse vedevo in Lepage quell'artista così grande perché stava realizzando a pieno, attraverso le tecnologie multimediali, l'utopia craghiana di attore e scena.
Questi miei pensieri intorno a Lepage e a Craig sono stati pubblicati progressivamente su ateatro (dal numero 6) e poi in seguito su antologie (Digital performance). All'epoca difendevo un'impostazione critica che voleva confrontare, notandone le similitudini, una rivoluzionaria idea di teatro (cioè non solo di una messa in scena) con un'altra altrettanto dirompente che utilizzava anche la tecnologia. Ho evitato accuratamente la fastidiosa preoccupazione di dover a tutti i costi giustificare l'uso della tecnologia in Lepage per farla accettare agli occhi di umanisti retrogradi, visto che il regista e interprete canadese usa in maniera evidente la scena nel suo complesso (cioè, non solo il video), attraverso il movimento e la luce, come doppio del personaggio nel suo cammino di esplorazione/trasformazione esteriore ed interiore: una doppia metamorfosi è in atto in teatro, ma forse anche tripla, o quadrupla o quintupla.....
A libro pubblicato trovo in Internet un articolo Gordon Craig in the multi-media postmodern world: from the Art of the Theatre to Ex Machina – a firma di Christopher Innes edito di recente per una rivista di teatro canadese.
Non so se il famoso studioso inglese autore di un'importantissima monografia su Craig che studiai all'epoca della mia tesi sulle prime regie del regista, abbia letto i miei articoli sul web. Mi piacerebbe pensarlo; ma in fondo non è importante se il suo pensiero abbia seguito un'onda (e se quell'onda nel caso, sia la mia) ma che la sua riflessione pur affrontando alcuni temi comuni anche ai miei testi, sia andata in una direzione originalissima che mi spinge, adesso, a libro concluso, a nuove riflessioni.
...Continua


 


 

Una tecnica del destino
Prefazione a Anna Maria Monteverdi, Il teatro di Robert Lepage, Edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 2004
di Oliviero Ponte di Pino

 



Se non trovate il libro di amm Il teatro di Robert Lepage, scrivete direttamente all'editore, Biblioteca Franco Serantini, bfspisa@tin.it

Era una notte d’ottobre, fredda e umida. Una notte d’inverno milanese. Fuori dal capannone dell’Ansaldo era scesa la nebbia, il gelo penetrava nelle ossa. Su quella tribuna tremavo, malgrado la coperta in cui mi ero infagottato, come gli altri eroici spettatori. Eravamo lì da sei ore, e non ce ne andavamo. Perché di fronte a noi stava accadendo uno di quei miracoli che capitano ogni tanto agli spettatori di teatro.
Avevamo ormai perso la nozione del tempo, ci lasciavamo trascinare da quel fiume di parole, corpi e immagini, con qualche rara pausa per sgranchirci le gambe e provare a scaldarci con una tazza di tè bollente. Ci stavano raccontando una storia complicata e lontana, una vicenda che attraversava l’intero Novecento, i destini di tre generazioni di immigrati in varie città del Canada. Persone e luoghi per i quali non avremmo dovuto provare alcun particolare interesse: invece eravamo lì da chissà quanto, rapiti, stregati, attenti, malgrado il freddo e la stanchezza.
Davanti a noi non c’era quasi niente. Un rettangolo di sabbia, un gabbiotto di legno, un lampione, un pugno d’attori a dar vita a decine di personaggi, e pochi oggetti d’uso quotidiano, come quelle scarpe (tantissime scarpe...) e quelle scatole – anche se poi si sarebbe scoperto che in quel modo di raccontare gli oggetti avevano un’importanza fondamentale, così come le luci, modulate con grandissima efficacia.
Quello spettacolo era La Trilogie des dragons e il miracolo si era già ripetuto in altri teatri e festival in giro per il mondo, lanciando Robert Lepage nell’olimpo dei grandi inventori del teatro contemporaneo, da inseguire appena possibile in tutte le sue apparizioni. Era un prodigio di semplicità e di complessità, di naturalezza e di sofisticazione: sia nell’intreccio e nella profondità dei temi affrontati (la storia del Canada, l’incontro tra culture), sia nella forma dello spettacolo. Non era così evidente, in quell’occasione, un altro aspetto fondamentale del lavoro del regista canadese: i risvolti autobiografici, che hanno un ruolo centrale in molti dei suoi spettacoli, da Vinci a Le Poligraphe e La face cachée de la lune.
A colpire in quel kolossal povero ma travolgente era in primo luogo la straordinaria capacità di invenzione drammaturgica. Quella di Lepage è sempre una drammaturgia viva e dinamica, materialista e poetica, profondamente innervata nell’essenza del teatro. Parte spesso da un gesto o da un oggetto, che hanno un sempre valore insieme concreto, letterale («Una scarpa è una scarpa è una scarpa...») ma anche metaforico, perché ogni oggetto può essere anche mille altre cose: basta saperlo guardare e mettere in moto l’immaginazione. Dunque il racconto in teatro può procedere in vari modi: letterariamente, diciamo, quando qualcuno ci racconta come avanza la vicenda, o se i personaggi compiono una determinata azione, ma anche – in maniera più palpabilmente teatrale – perché quell’oggetto diventa metafora di qualcos’altro e ci porta all’istante in un altro luogo e in un altro tempo, come in quelle illusioni ottiche in cui si vede un animale che corre e un attimo la stessa figura diventa una bella ragazza che ci sorride. Non è un caso che Robert Lepage sia partito nella sua formazione proprio dal mimo, ovvero dalla capacità di far vedere e sentire l’invisibile, di farci percepire quello che non si può né vedere né sentire.
Il suo è un lavoro creativo che parte spesso da un oggetto, dalla sua materialità, dalla sua forma, dalle sue funzioni, dalla catena di associazioni che evoca. Ugualmente importante – e strettamente legata alla concretezza dell’immaginazione, al flusso continuo delle associazioni, al condensarsi di un sentimento in un oggetto o in una immagine – è la tecnica del montaggio, di cui Lepage è senz’altro un maestro. Nei suoi lavori ci sono sempre una fluidità e una leggerezza che sbalordiscono chi è abituato a confrontarsi con la materialità del teatro, e dunque con la sua pesantezza, con la sua inerzia. Nella sua libertà sintattica, come nell’alternarsi di tragico e comico, di ironia e di dramma, sembra prendere a modello un autore che ha spesso portato in scena, William Shakespeare (che però nei suoi testi non ha mai avuto la minima tentazione autobiografica).
I racconti teatrali di Lepage hanno il ritmo del cinema e del video, la stessa capacità di sintesi e di scarto. Ne usano spesso e con assoluta naturalezza le tecniche (flashback, zoom, campo e controcampo, carrellate, persino dolly...), anche se preservano sempre una palpabile qualità poetica: esemplari in questo senso restano l’oblò-lavatrice-utero di La face cachée de la lune e il muro di Le Poligraphe, oggetti intorno ai quale è possibile sviluppare un intero universo di situazioni e metafore, tessere un plot e costruire una mitologia. E forse non si è sottolineata a sufficienza la complicità creativa che questa lingua teatrale richiede allo spettatore, che diventa in qualche modo autore-creatore grazie alla sua capacità di immaginazione. Sempre dal cinema e soprattutto dal video pare arrivare anche quella capacità di scrivere con la luce e con le ombre, magari con l’uso sapiente delle retroproiezioni, che è un po’ la firma stilistica del regista canadese.
Non è un caso che questa drammaturgia concreta e dinamica si condensi al termine di un lungo percorso laboratoriale, e che gli spettacoli di Lepage continuino a cambiare e crescere per mesi dopo il debutto, replica dopo replica, per trovare una versione definitiva (se la trovano) solo dopo mesi o addirittura anni di repliche; e che la stesura del copione – il «testo», le parole che vengono dette sulla scena – costituisca l’ultima fase del lavoro, una sedimentazione possibile e legittima solo quando lo spettacolo non si replica più, quando è stata esplorata e fissata l’intera gamma delle possibilità.
Questa dimensione programmaticamente anti-letteraria caratterizza peraltro l’intera esperienza del teatro moderno. Proprio il rapporto di Lepage con l’esperienza del teatro del Novecento è uno dei nodi problematici che Anna Maria Monteverdi affronta da un punto di vista sia storico sia teorico. Proprio evidenziando le continuità e le discontinuità rispetto a esperienze analoghe (a cominciare dal nuovo teatro americano, il punto di riferimento più immediato) – e rispetto alle radici visionarie del teatro novecentesco (ovvero i teorici d’inizio secolo, e in particolare Edward Gordon Craig) che le avanguardie teatrali degli anni Sessanta e Settanta sono finalmente riuscite a mettere in pratica – è possibile illuminare l’idea del teatro e dell’uomo che sottende il percorso artistico di Lepage.
In secondo luogo – e questo è il nodo centrale della tesi di dottorato da cui è nato questo libro – al centro della ricostruzione e della riflessione di Anna Maria Monteverdi ci sono l’uso e il ruolo della tecnologia sulla scena. Le magie macchinistiche e scenotecniche di allestimenti come Les Aguilles e l’Opium o Le Poligraphe, rispetto all’essenzialità funzionale del copione scritto, hanno sconcertato più di un critico (anche se probabilmente hanno spiazzato più i critici del pubblico), che ha giudicato i suoi spettacoli «ipertecnologici» e dunque troppo lontani dall’autenticità «naturale» (o umanistica) del teatro, e dunque dalla sua specificità, che dovrebbe contrapporlo ai media più moderni.
In questo senso l’argomentazione di Anna Maria Monteverdi è sottilmente illuminante. In primo luogo fa piazza pulita di alcuni fuorvianti luoghi comuni, riconducendo l’uso della tecnologia alle origini del teatro, alla maschera, e dunque all’essenza profonda del fatto teatrale, alla sua dimensione rituale. Al tempo stesso riconduce (con il sostegno di Lepage) l’invenzione della tecnologia alle origini dell’umanità: perché, riprendendo il filo del ragionamento del regista, troviamo il fuoco alle origini tanto della civiltà quanto del teatro. Dunque, con paradossale ironia, scopriamo che questo teatro «modernissimo» (ma non «postmoderno») nasce dalla necessità di misurarsi con problemi antichissimi, fondanti.
Partendo dallo strettissimo intreccio tra maschera e techne, Anna Maria Monteverdi illustra le diverse funzioni che la tecnologia assume via via nel teatro di Lepage e nel suo rapporto con lo spettatore. Sul primo versante, il nucleo centrale è la relazione con l’Altro, uno dei temi chiave della sua opera, esplorato sulla scena in una duplice declinazione: quella politico-sociale, con le problematiche del multiculturalismo; e quella psicologica, con testi popolati di coppie di fratelli o di alter ego del protagonista-narratore (perché il Doppio è l’incarnazione più inquietante dell’Altro, quella più vicina a noi e dunque più inquietante). Nei confronti del pubblico, assimilando alla scena quello che la tecnologia porta all’interno dell’orizzonte contemporaneo, Lepage gioca sul doppio versante della fascinazione e della demistificazione, del virtuosismo sorprendente e dell’ingegnosità del bricolage. Offre così una riflessione sul suo valore e sul suo effetto sulle nostre vite e sul nostro immaginario. Ma sempre tenendosi lontano da ogni ideologismo, e verificandone l’impatto sulla propria pelle di autore e di attore, perché spesso Lepage è il primo interprete dei suoi spettacoli, ed è lui stesso a collaudarne le complesse (e a volte pericolose) macchine sceniche.
Qui è possibile cogliere una delle possibili chiavi – certamente non l’unica – che permette di leggere l’intera opera di Lepage, nella sua profonda relazione con l’essenza del teatro. Spettacolo dopo spettacolo, sta sedimentando una affascinante mitologia personale, che nasce spesso dalla sua esperienza e da un doloroso percorso di autoanalisi, oltre che dalle sue riflessioni sulla funzione dell’arte e sul ruolo dell’artista. La sua scommessa di umanista nell’era del trionfo della tecnica, così prepotentemente affascinato da Leonardo da Vinci, è che sia possibile trovare un equilibrio tra l’uomo e i suoi «prodotti»: la tecnologia, naturalmente, ma anche la storia, che a essa è intimamente legata. In questo difficile equilibrio – sembrano suggerire alcuni dei suoi spettacoli più riusciti – è possibile scoprire quel filo misterioso che chiamiamo destino. Forse è solo un’illusione, ma permette di inventare un grande teatro, un teatro necessario.


 


 

Gli anni felici di Sandro Lombardi
Il testo del risvolto
di Dante Isella

 

Garzanti pubblica in questi giorni Gli anni felici di Sandro Lombardi. Per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo il risvolto che Dante Isella ha scritto per il libro..



Che cos’è questo libro, Gli anni felici, scritto da un grande attore di teatro nel vivo di una fortunata esperienza ancora in pieno svolgimento? Sbaglierebbe chi si attendesse una raccolta di memorie, un’autobiografia tessuta di ricordi e colorita di aneddoti. Il critico teatrale o lo storico del teatro non mancherà certo di trovarvi un prezioso contributo alla ricostruzione delle vicende sceniche del secondo Novecento, rivissute da un loro protagonista, caro al miglior pubblico. Ma anch’essi saranno sorpresi, e con loro il lettore non professionale, da tutto ciò che di più, e di tutt’altro, gli offrono queste bellissime pagine.
In un’epoca come la nostra in cui la regia ha acquistato l’importanza che sappiamo, l’attore è spesso considerato, diminutivamente, uno strumento dell’orchestra, esaltato nelle sue virtù naturali da chi sa servirsene ai propri fini. Tutt’altra l’immagine che se ne aveva in un passato remoto, quando il suo trasformismo era ammirato e temuto come qualcosa di stregonesco. E come non pensarlo di fronte alla magica capacità di assumere di volta in volta una personalità diversa, di appropriarsene i caratteri e i modi, come se solo a qualcuno, diversamente dai comuni mortali, la sorte avesse concesso di vivere non una ma più vite?
Qualcosa di simile, ma su tutt’altro piano, ci avviene di ammirare leggendo questo libro: che è la carta d’identità di un intellettuale, di apertura europea, capace delle esperienze più disparate, l’una legata all’altra in una coerente unità culturale. Dove la passione dominante per il teatro fa tutt’uno con la raffinata competenza nel campo della musica e soprattutto con gli studi d’arte, approfonditi fino a produrre una pregevole monografia su un raro pittore del Quattrocento francese come Jean Fouquet. Itinerari niente affatto ordinari si dovrà ammettere, non si dice per un teatrante ma per chiunque; a cui sarà da aggiungere, non ultima (anzi qualità riassuntiva di tutte le altre), la rara virtù di chi si dà qui a conoscere, con felice sorpresa, per un sicuro scrittore in proprio. Si tenga pure in conto l’origine toscana di Lombardi; ma non può sfuggire che i nomi che tornano più frequenti sotto la sua penna sono quelli, amati, di un Longhi, di un Pasolini, di un Testori, maestri di generazioni diverse egualmente applicati all’esercizio sapiente della scrittura. Si vedano per un esempio le squisite ecfrasi di opere d’arte, si tratti della Resurrezione di Piero della Francesca a Borgo San Sepolcro o delle rappresentazioni scultoree dei Mesi nelle cattedrali romaniche. E che dire, natura e cultura cooperando tra loro, dei "ritratti" di amici distribuiti lungo l’intiero percorso? Da quello ambientato di Luigi Baldacci allo schizzo di Pasolini apparso, come una visione, sulla piazza del duomo di Arezzo; dal ricordo del giovanissimo storico d’arte Giovanni Agosti, nella sua casa-museo di Milano, al duetto dei due antiquari fiorentini che si propongono come i "buffi" di uno spassoso raccontino alla Palazzeschi. Ma al lettore vorremmo suggerire, per introdurlo al piacere della prosa, proprio i due splendidi capitoli di apertura, Silenzio e Memoria. Qui lo scrittore non è da meno dell’attore applaudito sulla scena.


 


 

Apre con Jan Fabre la nuove sede dell'Out Off a Milano
The Crying Body dal 2 al 6 novembre
di Redazione ateatro

 

Si inaugura il 2 novembre a Milano la nuova sede dell’Out Off. Dopo la gloriosa sede di viale Monte Santo (eh sì, le cantine ci sono state anche a Milano) e l’ex-officina di via Duprè, abilmente ristrutturata, Mino Bertoldo e soci approdano finalmente in un teatro-teatro. E’ l’ex Cinema Eolo, rinato dopo anni di abbandono, ristrutturazioni e complicanze burocratiche, non lontano da via Duprè, all’inizio della testoriana via MacMahon.



Per lanciare la nuova sala, arriva l’ultimo spettacolo di Jan Fabre, The Crying Body. Anche per ricordare che il memorabile The Power of Theatrical Madness arrivò a Milano proprio grazie all’Out Off, ai tempi di «Sussurri & Grida»...
Un grandissimo in bocca al lupo a Mino, Roberto e a tutto lo staff da ateatro!!!

dal 2 al 6 novembre 2004
Teatro Out Off, presenta:
una produzione di Troubleyn (Antwerp-Belgio)
in coproduzione con Theatre de La Ville (paris-France), deSingel (Antwerp-Belgio)
con il supporto del Governo delle Fiandre e la provincia di Antwerp



THE CRYING BODY

direzione, scene e coreografia: Jan Fabre
danzatori/factors: Annabelle Chambon, Cèdric Charron, Els Deceukelier, Ivana Jozic, Geert Vaes
assistente e drammaturgia: Miet Martens
costumi: Jan Fabre, Daphne Kitschen
coordinamento tecnico: Harry Cole

Dopo la trilogia dedicata al corpo (spirituale, fisico, erotico) e al dittico sul corpo.-costume e sul corpo insurrezionale, The Crying Body si articola intorno a quello che Fabre chiama "le lacrime del corpo", cioè le lacrime e la traspirazione, le secrezioni che il corpo produce quando è felice o triste, ansioso o malato, quando è sotto sforzo o prova un desiderio sessuale.
Per il testo di The Crying Body, Fabre si lascia ispirare dalle improvvisazioni e attinge dalla letteratura. Otto attori e danzatori esplorano le frontiere psichiche e mentali dell’uomo, alla ricerca della chiave delle "lacrime del corpo".
Come un artista rinascimentale Jan Fabre ( Anversa 1958) tocca ciascun ambito creativo - arte visiva, scrittura e teatro - con la stessa tensione e la medesima carica di fascino arcano e magia contemporanea. Presente nei più prestigiosi appuntamenti internazionali, tra i lavori più recenti visti in Italia As long as the World Needs a Warrior’s Soul, uno sguardo impietoso a ritmo rock nel disagio contemporaneo, e il monologo teatrale Quando l’uomo principale è una donna presentato la scorsa primavera alla "Fabbrica Europa" di Firenze, nel 2005 sarà il direttore del Festival di Avignone. Jan Fabre è artista residente presso deSingel di Anversa.


 


 

Uno spazio curioso
Azionariato popolare per il Teatro Miela
di Rossella Pisciotta

 

uno spazio curioso
curioso perché imprevedibile
perché non programmabile
perché sorprendente
perché fuori e dentro gli schemi

Teatro Miela 13 anni di vita: chi ci avrebbe scommesso in quella lontana primavera del 1990, quando un gruppo di amici, appassionati, curiosi, politici infiltrati, entrarono per la prima volta nello spazio "spartanamente" ristrutturato dell'ex cinema del Mare, poi Aldebaran, poi palestra della Compagnia unica dei lavoratori portuali, ed infine Teatro Miela, per dare il via ad un'avventura che non è ancora finita e speriamo non finisca mai. In effetti nel progetto Bonawentura (di tofaniana memoria) un pizzico di follia c'era: l'idea era quella di trovare alcuni cittadini disponibili a versare, in contanti o a rate o comunque in qualche modo, un milione a testa, e con il gruzzolo raccolto adattare uno spazio teatrale che fosse poi destinato alla pari dignità delle culture e alle forme artistiche della contemporaneità, il Teatro Miela appunto. In breve, attorno alla ventina di propositori iniziali, si raccolsero più di 300 soci che alla fine resero possibile l'iniziativa. L’adesione di tanti appassionati derivava dal fatto che i proponenti provenivano da un’altra fortunata esperienza, quella de La Cappella Underground, che - nata nel 1968 (e tutt’ora in vita) nello spazio di una cappella sconsacrata come associazione rivolta soprattutto all’arte contemporanea e poi trasformatasi in un cineclub - fu chiusa per motivi di inagibilità negli anni ’80.
Sin dalle prime stagioni venne adottato uno schema che non doveva essere cattivo, se è durato per questi anni e funziona ancora adesso. La cooperativa Bonawentura produce una certa quantità di serate annuali; altre vengono garantite da affitti (spettacoli, convegni, festival, riunioni aziendali). E infine ci sono delle attività considerate interessanti, o particolarmente affini, o artisticamente valide, per le quali il meccanismo è quello della coproduzione. Tutto ciò ha permesso al teatro di essere parzialmente indipendente. Mai, neppure nei momenti di penuria più sentita (e ce ne sono stati molti), il Miela ha rinunciato a produrre eventi, creare eccentriche invenzioni, secondo una filosofia vaga ma pur sempre condivisa da quasi tutti: essere un punto d'approdo, il luogo nel quale possono riverberare esperienze diverse, ai margini dei grandi circuiti. In definitiva, un po’ per intuito e anche per necessità, il Miela si è dimostrato abile nel corso degli anni nel pescare quelli che stanno per "sfondare", magari tra un mese o tra un anno: questo ha permesso in un certo senso di anticipare mode, far conoscere artisti, cantanti, aprire nuove strade percorse poi da istituzioni più forti e protette, e nello stesso tempo mantenere una struttura elastica, con la quale può dialogare facilmente chiunque sia portatore di idee e di proposte.
Proprio per questa struttura così elastica il Miela non è in grado di proporre una programmazione annuale e quindi non può contare sulle entrate anticipate degli abbonamenti. La mancanza dell’abbonamento fa parte anche della politica del teatro: ricercare lo spettatore "motivato", curioso, non abitudinario, e presentare serate (teatrali, musicali…) che non indulgano alla moda ma che siano innovative e critiche. Per questo motivo il Teatro non si serve di un ufficio stampa ufficiale che abbellisce le proposte, convinti che se la proposta è valida, deve essere riconosciuta dalla critica seria e dagli spettatori. Sembra un’ utopia, ma siamo fermamente convinti che la vera cultura non può sottostare completamente alle leggi del mercato. Tutto ciò non è facile, soprattutto oggi quando i contributi sono scarsi, e quando i politici spesso mirano alla quantità degli spettatori che alla qualità dei programmi.
Il Miela ha ospitato e continua ad ospitare centinaia di giornate di spettacolo, giornate di tutti i tipi, dai festival internazionali alle recite scolastiche, dai dibattiti sulla poesia/letteratura (Maraini, Sanguineti, Ceronetti, Mutis, Djebar), al debutto professionale dei gruppetti rock, dalle mostre d'arte contemporanea di giovani che si affacciano alla ribalta a esposizioni di livello internazionale come quelle dedicate a Tina Modotti, a Gao Xingjian, a Monika Bulaj, a rassegne di maestri del cinema (Loach, Kusturica, Kubrick, Fellini, Kaurismaki, Jarman, Jarmush), dal teatro amatoriale alle nuove forme ed esperienze teatrali ("Teatralmente Intrecci"), a progetti rivolti all'arte tecnologica ("Ipermiela", "Mielanext") o alle culture "altre" (I colori della Mongolia, la cultura zingara, viaggio nella cultura yiddish; o ancora S/Paesati, eventi sul tema delle migrazioni, che ha ormai alle spalle 4 anni di attività culturale molto intensa, in cui si sono esplorati i diversi aspetti dei fenomeni migratori sia del passato come del presente, dando la parola ai protagonisti per sentire direttamente la loro esperienza; o ancora i tre anni di Pupkin Kabarett, che ogni lunedì sera ci fa divertire in modo insolito con cantanti da tabarin, illusionisti, stelline del cinema, grafologi, cantautori, poeti da strapazzo e varia umanità allo sbaraglio, coordinati (o meglio scoordinati) dal trio Dongetti / Mizzi / Sangermano. Per chi ancora non lo sapesse questo bizzarro Kabarett è dedicato all'indimenticabile personaggio del comedian "sfigato" Rupert Pupkin (interpretato da Robert De Niro nel film Re per una notte). E poi nel cartellone del Miela c’è la tradizionale festa per il compleanno di Erik Satie che ogni anno dal lontano 1992 raccoglie i suoi appassionati e fan per rendere omaggio a un grande innovatore della cultura del ‘900, o Palcoscenico Giovani alla sua settima edizione, grazie al quale i giovani della regione hanno la possibilità di usufruire gratuitamente delle strutture del Teatro Miela per mettere in scena i loro spettacoli. O ancora MielaNext, un laboratorio video-sonoro e un punto di incontro tra persone, progetti, idee: in uno spazio serale "altro" e "libero", vengono offerti una miscela di videomusicali, videoarte, web-art, musiche "mai sentite" selezionate con gusto e rigore, tra tutto ciò che si trova di nuovo e curioso, dolce o trasgressivo, retrò o di tendenza ma sempre cibo ghiotto per gli occhi e le orecchie. A questo proposito va anche segnalato che il Miela è stato tra i primi teatri ad entrare in internet e ad avere un cybercaffè.
Ma questi sono solo alcuni esempi del variegato cartellone di questi anni di attività, a cui si devono aggiungere eventi "eccentrici" come la manifestazione James Joyce, lavori in corso (1993) che ha visto al suo interno la lettura totale dell'Ulisse di Joyce (36 ore non stop), Chi è l'altro dedicata a Alexander Langer o ancora la lettura totale de La coscienza di Zeno di Svevo, o la partecipazione al Lysistrata Project insieme ad altri 60 paesi del mondo per un "teatro contro la guerra" (3/3/2003).
Grazie a tutto questo è cresciuta all'interno del Miela una capacità professionale nell'ideazione e nella gestione di eventi culturali e di spettacolo, unica proprio per la complessità con la quale il Miela costringe a misurarsi quotidianamente, una professionalità che negli ultimi anni è stata fruttuosamente messa a disposizione di altri enti e della comunità in generale. In questo senso l'attività è "straripata" dalla sede storica e varie manifestazioni sono state organizzate all'esterno, nei caffè triestini (Le vie dei caffè), nelle strade e nelle piazze (StradaSuona), nel Castello di San Giusto e nel parco del Castello di Miramare.

CURRICULUM BONAWENTURA

Bonawentura nasce nel 1988 da un gruppo di operatori culturali e di appassionati che decide di costruire e dar vita ad un centro che sia punto di riferimento per una serie di esperienze frutto di relazioni artistiche, professionalità, talenti esistenti che non trovano a Trieste uno spazio adeguato. Prende allora forma l'idea di una cooperativa di soci che si autotassino: dalla cifra, un milione a testa, nasce il nome, Bonawentura, in ricordo del Signor Bonaventura di infantile memoria.
Tra i soci non mancano nomi importanti come quello del regista Franco Giraldi, del critico Tullio Kezich, ma anche di Alberto Farassino, docente universitario. Questa prima fase culmina con una serie di attività promozionali realizzate in città nel maggio 1988: spettacoli, concerti, proiezioni.
Intanto vengono individuati alcuni spazi, il più promettente è l'ex cinema Aldebaran. Nella primavera del 1989 la Compagnia Portuale cede questo spazio in comodato alla cooperativa fino al 31 dicembre 2000. I lavori di riadattamento, cominciano immediatamente: malgrado ingenti quantità di lavoro volontario, le spese sostenute dalla cooperativa si rivelano più o meno il doppio di quelle preventivate. Con il contributo di oltre trecento soci e un intervento finanziario del Ministero dello Spettacolo, il 3 marzo 1990 viene inaugurato il Teatro Miela dedicato, in accordo con gli eredi, a Miela Reina, artista formidabile, ma anche animatrice culturale alle cui attività si sono formati tutti quelli che in questo angolo di Europa hanno cinquant’anni o più. Il marchio del teatro, fresco e vitale ancora dopo dodici anni, lo disegna Gianfranco Pagliaro.
In questo modo il recupero di uno spazio chiuso ormai da anni ha offerto alla città un centro alternativo per ospitare esperienze cinematografiche, teatrali, musicali, arti figurative e video che per loro stessa natura hanno bisogno di sedi "intermedie", agili ed economiche da gestire. Questo tipo di programmazione, del tutto innovativa all’inizio degli anni ’90 e fortemente criticata dal pubblico conservatore di allora, si è dimostrata vincente col passare del tempo, tanto che altre realtà - fortemente caratterizzate in un solo genere artistico - hanno ampliato i loro cartelloni arricchendoli con proposte differenziate. Le scelte della Coop. Bonawentura hanno sempre come finalità quella di anticipare le nuove tendenze dell’arte contemporanea. In questo modo sin dagli esordi il Teatro Miela diventa un "caso" nazionale per l'iniziativa ed i suoi contenuti culturali, tanto che viene riconosciuta come ente teatrale di interesse regionale.
Inoltre la cooperativa diviene il punto di riferimento, non solo per l'attività culturale d'innovazione, ma anche per decine di associazioni diverse che trovano il partner culturale e tecnico che permette loro di realizzare i loro progetti.
Ad oggi Bonawentura ha realizzato ed ospitato al Miela tantissimi spettacoli (tralasciamo i numeri che vengono spesso sbandierati come segno di importanza), divenendo un centro multimediale aperto alle diversità e complessità dell’espressione artistica contemporanea: teatralità, cinema, video, world music, workshops, progetti speciali, mostre, live arts, virtualità, conferenze, media art, festival, ricerca, performance, training, danza, giochi, digital media technology, incontri, sound, multidisciplinarietà, pubblicazioni, networking, ricerca, musica contemporanea, spazio bar interattivo, cult movie, poesia, fotografia.

Post Scriptum doloroso
Dopo la scadenza del comodato, la Compagnia dei Lavoratori Portuali, proprietaria dello stabile dove si trova il Teatro Miela, ha deciso di vendere lo stabile alla Provincia di Trieste. Dal 2001 a tutt'oggi la sorte del Teatro non è chiara: si parla di ristrutturazione di tutto lo stabile (con i tempi pubblici!) e di nuova destinazione d'uso che prevede quindi lo sfratto del teatro. In questi anni l'attività è continuata senza alcuna chiarezza nei confronti dei nostri attuali "padroni di casa" che non hanno stipulato nei nostri confronti un contratto d'affitto come ripetutamente richiesto da parte nostra, ma che esigono una forma di "penale" per restare nell'immobile di € 4308 mensili, che venendo da un Ente Locale e non più da un privato ci sembra ancor meno opportuno e fa pensare a un atteggiamento di noncuranza di fronte a uno spazio e a un'attività che sono un patrimonio di tutta la città e un patrimonio riconosciuto e aprezzato ben oltre i confini cittadini . Unica gratificazione: un'ondata di mail e lettere di appoggio e adesione da parte del "popolo del Miela".


 


 

La Cittadella Spettacolo
Il progetto del Teatro Franco Parenti
di Gianni Valle

 

E' un progetto che prende il via quasi dieci anni fa quando si verificò la necessità di risanare e mettere a norma la vecchia sala di via Pier Lombardo.

Erano gli anni in cui si stava creando una nuova nomenclatura del teatro italiano con l'identificazione degli organismi (o delle personalità) su cui investire e con lo scoraggiamento (attuato soprattutto manovrando i rubinetti delle sovvenzioni, ma anche in altre forme) degli altri.
Erano tempi in cui la prospettiva di ridurre il sostegno pubblico lasciava poco spazio alla valutazione dei contenuti e dei progetti, mirando a creare uno status il più possibile privo di voci dissenzienti.
In questo quadro la storia del Teatro Franco Parenti, il suo ruolo nella città e nel panorama nazionale, la salvaguardia e lo sviluppo della sua funzione artistica risultarono non interessare l'establishement politico-istituzionale e il progetto della sua ristrutturazione finì per diventare il problema privato di chi ci lavorava dentro. Un problema da risolvere personalmente, con il sostegno dei privati.

Questo è stato l'inizio di un cammino abbastanza avventuroso e che solo ora comincia a vedere il traguardo, che ad ogni passaggio ha spostato il progetto in avanti, rendendolo più complesso e più ambizioso.
La Milano ricca sensibile alla cultura, non era toccata dal problema della messa a norma di un teatro, ma si mostrò interessata a sostenere la creazione di qualcosa di nuovo, che offrisse alla città opportunità culturali diverse.
Con questo obiettivo, nel dicembre 1996 è nata la Fondazione Pier Lombardo (primo esempio italiano di fondazione di partecipazione sul modello anglosassone) che ha raccolto molti importanti nomi dell' imprenditoria, delle istituzioni commerciali, delle banche, ecc.
Sull'impegno dei privati è scattata la partecipazione degli Enti locali secondo un criterio di sussidiarietà che ha portato il Sindaco di Milano a promettere un intervento finanziario pari a quello che effettueranno i privati.

La trasformazione del Teatro Franco Parenti in una vera Cittadella spettacolo avviene mediante la riaggregazione di diversi spazi adiacenti, precedentemente adibiti ad usi commericali. I lavori di valorizzazione e ristrutturazione tra il dicembre 2005 e il gennaio 2006 consegneranno alla città (che ne è proprietaria, avendola data in concessione venticinquennale alla Fondazione) un complesso di 5.200 metri quadrati con tre sale teatrali, alcuni spazi multiuso, una caffetteria con postazioni internet e possibilità di ristorazione e con un accesso all'adiacente Piscina Caimi, per l'uso della quale è stata posta in essere un'altra, apposita convenzione.
Il progetto è curato dall'architetto Michele De Lucchi e dallo scenografo Gianmaurizio Fercioni.

L'aspetto architettonico e strutturale, per altro all'origine di tutto quanto, non è che il riflesso di un diverso problema, quello della gestione e funzionamento di un complesso di queste proporzioni, in una prospettiva di contributi pubblici già insufficenti ora e in futuro prevedibilmente sproporzionati alla mole di attività.

La fisionomia della Cittadella corrisponde a un progetto artistico mirato al confronto e alla contaminazione tra generi diversi, generazioni diverse, culture diverse e diversi tipi di pubblico.
In questi anni la cooperativa Teatro Franco Parenti ha lavorato per creare attorno all'attività teatrale una serie di altre attività, organizzate attraverso strutture dedicate.
Sono nate così la Pier Lombardo Danza, diretta da Susanna Beltrami, per lo sviluppo del lavoro di creazione e di formazione non solo tersicoreo; la Pier Lombardo Culture che promuove le manifestazioni culturali e che figura tra i protagonisti del nuovo trend di eventi filosofici e letterari che richiamano grandi affluenze; la Pier Lombardo Ragazzi e Bambini che cura, sempre in una formula che alterna le rappresentazioni con i laboratori, la formazione del pubblico futuro; la Pier Lombardo Eventi che utilizza i linguaggi e la forza comunicativa del teatro per realizzare manifestazioni al servizio delle aziende.
La multidisciplinarità, in questo senso, appare lo strumento capace di aggirare l'attenzione distratta delle istituzioni e una sfida alla possibilità di reinventare la funzione pubblica dei teatri di seconda generazione, quelli che hanno eroso il ruolo degli stabili pubblici aprendo il ventaglio delle opportunità.
Una sfida che si confronta professionalmente con i modelli "aziendali" cogliendone le tecniche di marketing, comunicazione e controllo di qualità ma non ponendosi come parodia delle regole e degli obiettivi delle aziende economiche.


 


 

369° per non girare su se stessi e tornare al punto di partenza
Sbagliare sempre meglio
di Valeria Orani

 

369° è nata un anno fa dall'intuizione di organizzatori provenienti da diverse esperienze e discipline dello spettacolo.
Il momento storico e sociale che vive la cultura in Italia (ed in particolar modo l’arte rappresentata), è forse il peggiore che la nostra memoria possa ricordare. E’ partendo proprio dallo studio analitico di questa realtà che nasce il nostro progetto organizzativo. Il doppio desiderio è sostenere il ricambio generazionale del pubblico teatrale attraverso la diffusione della cultura contemporanea italiana da un lato, e dare alle formazioni artistiche che possano essere riconoscibili nel panorama professionista contemporaneo, strumenti organizzativi concreti al fine di smantellare la figura dell'artista fac-totum a volte fallimentare, e ristabilire la figura dell'organizzatore e amministratore della produzione (assolutamente fondamentale ma sempre più fuori budget per queste realtà).
Abbiamo iniziato questo percorso in sordina, dedicando il nostro primo anno di vita allo studio e all'investimento di ciò che abbiamo portato come capitale sociale: l'esperienza. Abbiamo lavorato in sinergia con le formazioni artistiche e le organizzazioni (tra cui citiamo Rialto S. Ambrogio di Roma e Armunia) che ci hanno dato fiducia sempre attenti a non metterle a rischio, cercando di "sbagliare sempre meglio".
Abbiamo sperimentato quanto il dialogo possa creare la situazione ideale alla trasformazione in meglio del momento corrente, ed abbiamo individuato quali nostri primi interlocutori:
- le strutture canoniche, i circuiti teatrali, i festival nazionali ed internazionali, perché principali confluenti della veicolazione dei fondi per la cultura, e quindi impegnati al rinnovamento dell’offerta e della fruizione;
- le strutture non convenzionali (quali locali, alberghi, gallerie d’arte, circoli e associazioni culturali), gestite da privati mossi dalla passione per l’arte e convinti sostenitori della cultura.
- le formazioni artistiche che aderiscono al progetto e che rendano possibile da parte nostra l’auto-produzione di eventi e vetrine che possano racchiudere nelle scelte artistiche e organizzative tutti i nostri intenti.
- il pubblico, affinché grazie ad una promozione accurata e meticolosa possa diventare, com’è giusto che sia, l’unica vera risorsa economica.
La sensazione accumulata era quella di avere delle fantastiche auto da corsa chiuse nei garage e delle mulattiere sconnesse a disposizione per farle circolare. La nostra azione si doveva rivolgere verso la possibilità di creare delle strade più praticabili. Prima di risolvere il problema legato alla distribuzione ci dovevamo dedicare alla promozione sia delle formazioni artistiche sia del pubblico
Il nostro "grande" obbiettivo è quello di aprire un dialogo concreto e continuativo tra il mercato tradizionale a quello innovativo.
Il primo passo è stato quello di offrire un aiuto concreto alle formazioni artistiche, dando precedenza a quelle finanziate dallo stato e quindi obbligate a produrre un certo volume di attività, concentrandoci non nella distribuzione diretta degli spettacoli, ma nel fornire strumenti validi di diffusione e promozione a basso costo oltre che, se necessario e richiesto, offrire un punto di riferimento atto alla crescita dell’ entità organizzativa interna alla compagnia (se esistente) o alla creazione di tale figura, il fine è incrementare e non decentrare.
La 369° è oggi per i nuclei artistici che vi hanno aderito, un centro di raccolta, diffusione ed eventuale produzione del materiale informativo, ma anche un punto di riferimento per la risoluzione di problematiche ad-hoc (dalla contrattazione per la chiusura delle date alla discussione contrattuale con gli scritturati passando per il disbrigo delle pratiche ministeriali, ai solleciti di pagamento ecc.).
Ogni formazione artistica aderendo all'associazione sottoscrive un progetto di diffusione e promozione corale:
- un CR-ROM + DVD stampato in 500 copie e inviato due volte l'anno (la prima uscita è in spedizione proprio nella prima settimana di novembre, la seconda edizione sarà inviata a fine aprile) a circa 300 indirizzi di organizzazioni e operatori. All'interno tutto il materiale informativo sulle produzioni (foto ad alta risoluzione, schede tecniche, schede informative, rassegne stampa e video promozionali),
- un sito internet associativo che provvede ad aggiornare oltre che le informazioni contenute sul cr-rom, le date degli spettacoli, e le altre news legate per esempio all'attività laboratoriale.
- una mailing list che attraverso una news letter viene tenuta al corrente delle notizie relative agli appuntamenti e alle iniziative delle singole formazioni artistiche
- un archivio video dove sono custoditi I video integrali dei promo presenti nel DVD e che vengono inviati su richiesta direttamente dall'associazione alle organizzazioni che li richiedano.

Questo l’elenco delle formazioni artistiche che hanno aderito e che ringraziamo:

Teatro
Accademia degli Artefatti
Andrea Cosentino
Alessandro Benvenuti
Bobo Rondelli
Leonardo Capuano e Renata Palminiello
Caterina Venturini
Dioniso
Cosmesi
Fortebraccio Teatro
Patrizia Bettini e Alessandra Vanzi
I Barattieri con Anton Milenin
Libera Mente
Oscar de Summa
Tony Clifton Circus
Valentina Capone

Danza
Antonio Tagliarini
Atacama
Esse p.a.
Excursus
Fabio Ciccalè
Oretta Bizzarri
MAddAI
SAT Compagnia Caputo Senica
Sistemi Dinamici Altamente Instabili

Musica
Patrizio Fariselli
Mish Mash
Dj Soul Messanja (UK)
Cristiano Gullotta
Ecovanavoce

La 369° è nata in seno alla Benvenuti srl di Alessandro Benvenuti; senza la sua complicità, il suo sostegno, la sua ospitalità, sarebbe stato molto difficile anche solo costituirci.

Valeria Orani
369°ass.cult. - centro diffusione cultura contemporanea
Viale dei Quattro Venti, 247
00152 Roma
valeria@369gradi.it


 


 

Appunti per l'intervento di FAQ - Coordinamento delle compagnie lombarde
Aia Taumastica, aida, Alma Rosè, Animanera, A.T.I.R., delleAli, Figure Capovolte, La Fionda Teatro, Teatro Aperto, Teatro Inverso
di Federica Fracassi

 

Nel 2002 si assiste a un rinnovato intensificarsi di confronti, convegni e dibattiti sullo stato del teatro e della ricerca teatrale, che confluiscono negli incontri denominati ‘Nuovo Teatro - Vecchie Istituzioni’, svoltisi a livello nazionale a Rovigo, Santarcangelo, Volterra e Castiglioncello.
Alcune compagnie di produzione con sede in Lombardia partecipano attivamente a questi incontri e sentono la necessità parallela di approfondire il confronto reciproco, di tornare a interrogarsi sul rapporto con la loro regione.
Sono compagnie professioniste, che si conoscono da tempo, che già da vari anni lavorano in Lombardia e sul territorio nazionale, ma che, nel confronto con le istituzioni, non hanno mai messo in rete prima di allora le loro esperienze.
A seguito di questi incontri, nel 2003, nasce un coordinamento indipendente, FAQ, che oggi è formato da Aia Taumastica, aida, Alma Rosè, Animanera, A.T.I.R., delleAli, Figure Capovolte, La Fionda Teatro, Teatro Aperto, Teatro Inverso.
Fin dall’inizio ci siamo interrogati sull’identità di un simile coordinamento, sapendo per esperienza passata che una cosa è parlare e confrontarsi e, altra cosa, è agire insieme di fronte a situazioni concrete.
Non si tratta di essere uguali (saremmo un unico grande gruppo, una multinazionale magari vuota), ma di collaborare nelle diversità.
Questo per noi significa cercare di tracciare dei confini etici, che possano in qualche modo rappresentarci tutti, salvaguardando le nostre differenze.
Il nostro è un coordinamento indipendente, nato spontaneamente da 13 compagnie, con l’intenzione comune di continuare a svolgere un lavoro autonomo, non etichettabile e non spendibile da altri.
Un gruppo la cui forza è nell’azione e che per scelta decide di rimanere informale, senza costituirsi dal punto di vista giuridico. Un coordinamento funzionale alla risoluzione di problemi e scopi ben precisi.
Abbiamo provato a definire la nostra identità anche dandoci delle piccole regole:

1) Essere compagnie di produzione e non compagnie di organizzatori (si intende in questo senso compagnie non legate stabilmente alla gestione o alla programmazione di teatri e altri luoghi di rappresentazione, bensì impegnate nella organizzazione di eventi e spettacoli basati sulla innovazione dei linguaggi e delle poetiche teatrali) Questo per avere uno scopo ben preciso in comune ed evitare spiacevoli conflitti d’interesse che sono purtroppo la norma del nostro settore.
2) Aver lavorato in ambito teatrale da almeno 3 anni, per garantire una professionalità collaudata dei soggetti referenti.
3) Stimare il nostro reciproco lavoro e, al di là delle poetiche, considerarlo serio
4) Essere gruppi composti da due o più individui
5) Tenerci aggiornati sul lavoro svolto e partecipare alle riunioni
6) Prendere insieme le decisioni che di volta in volta ci si presentano
7) Uscire pubblicamente compatti sulle decisioni comuni, parlare in nome di tutti ed evitare personalismi, insomma proteggere le informazioni e il gruppo per un vantaggio comune. Il senso di questo coordinamento è infatti quello di lavorare in prospettiva anche per cambiamenti che magari avverranno tra anni e agevoleranno altre compagnie.

Una volta stabilita la nostra identità ci siamo interrogati sui possibili nostri interlocutori.
E su quali fossero i nodi politico-burocratici-organizzativi che bloccavano il lavoro delle compagnie di produzione e che noi avremmo voluto superare e migliorare.
Il primo interlocutore naturale che abbiamo identificato è stata la regione Lombardia, che si è resa disponibile di fronte a questa nostra esigenza.
Nel dicembre 2002 ha invitato ATIR e TEATRO APERTO in prima rappresentanza delle compagnie di produzione a presenziare a un tavolo di discussione in cui sarebbero state elaborate proposte e suggerimenti in previsione di una nuova normativa regionale del settore Cultura e Spettacolo.
L’incontro al tavolo regionale con altre rappresentanze e il costante dialogo interno al coordinamento hanno prodotto come risultato un documento consegnato alla regione che delinea contenuti e linee guida relativi alle esigenze delle compagnie di ricerca e alle loro prospettive specifiche, questo nonostante la difficoltà di relazionarsi a soggetti, progetti e consuetudini storicamente inattaccabili.
Questi incontri di discussione in regione infatti sono stati sospesi dopo poco tempo, ma il coordinamento ha proseguito con le sue proposte e richieste.
Nel documento innanzitutto abbiamo proposto una demarcazione dei parametri legislativi di valutazione che differenziasse le compagnie di produzione da altri soggetti (Teatri Stabili di innovazione, Teatri Stabili privati, etc.)
Nel 2002 questi soggetti partecipavano, così come le compagnie, agli stessi articoli della legge regionale, sebbene avessero caratteristiche e gestioni economiche non equiparabili a quelle delle compagnie.
Inoltre erano rare, se non addirittura un’eccezione, le giovani compagnie di ricerca sostenute dalla Regione Lombardia, malgrado il territorio lombardo sia uno dei più ricchi d’Italia di fermento teatrale e malgrado molte compagnie abbiano pieno riconoscimento nel panorama nazionale.
Nonostante i lavori al tavolo regionale non abbiano portato alla stesura di una nuova e aggiornata normativa del settore spettacolo, siamo riusciti ad ottenere un sostanziale miglioramento della normativa vigente.
E’ stato elaborato un nuovo bando in riferimento alla legge 58/1977 in cui sono state accolte alcune delle nostre proposte:

1 - una differenziazione tra le Compagnie e i Teatri che sono diventati Soggetti differenti in relazione al finanziamento Pubblico;
2 - una serie di agevolazioni ai gruppi giovani che ora possono ottenere un finanziamento regionale tramite dei parametri più accessibili.

Faq, in questo momento, si sta attivando per creare un sito in cui promuovere l’attività delle compagnie lombarde (abbiamo iniziato dalle circa sessanta selezionate dal 1996 ad oggi per il progetto ‘Scena Prima’) e sta conducendo un’indagine sulla storia e sullo stato attuale delle compagnie, che hanno partecipato al suddetto progetto.
In passato i gruppi esordienti potevano in sostanza entrare in relazione con la regione solo attraverso ‘Scena prima’(finanziato dalla legge 9/93), istituito nel 1996, in collaborazione con vari teatri milanesi.
L’ultima fase della nostra indagine sarà la tappa di Lunedì 13 dicembre 2004 a Milano, in spazio da definire. Una giornata di incontro organizzato con il sostegno della Regione Lombardia, in cui i dati della nostra ricerca verranno resi pubblici e nella quale verrà aperto un confronto sul progetto ‘Scena Prima’ e sulla sua futura utilità.
Lo scopo di Faq è quello di continuare a lavorare insieme, confrontandoci con altre istituzioni del nostro territorio, con gli enti teatrali e con ulteriori compagnie di produzione e di tentare di connettere in maniera stabile e costruttiva le compagnie lombarde con coordinamenti analoghi operanti in altre regioni italiane.


 


 

Progetto Danzaria: un'idea di promozione dei giovani coreografi
Teatro Giuditta Pasta (Saronno)
di Anna Chiara Altieri

 

I PRESUPPOSTI DELL’INIZIATIVA:
UN NUOVO MODELLO DI CONCORSO COREOGRAFICO
L’obiettivo artistico
era quello di individuare all’interno delle scuole e tra i giovani gruppi di danza linguaggi coreografici e forme espressive di particolare originalità, che dessero la dimensione della molteplicità di forme e linguaggi che la danza offre e della ricchezza creativa del settore.

Da qui l’idea del titolo: il gioco delle forme
Infinite sono le possibilità di ricreare la bellezza delle forme (non solo forme geometriche, ma anche le infinite forme del comunicare e quindi del danzare…) sperimentando il gioco dei movimenti e dei gesti e le possibilità offerte dalla varietà di oggetti e materiali.


Volevamo quindi prima di tutto dare vita ad un momento di incontro-confronto tra giovani coreografi, danzatori, insegnanti, allievi, appassionati del genere, ponendo come sempre l’accento sul segno coreografico e sulle esperienze più innovative. Riteniamo infatti che il confronto tra le diverse esperienze, culture e forme della danza possa offrire una opportunità grande di crescita artistica e personale, alla luce di un’idea di danza fortemente orientata al nuovo, al frutto del lavoro di tutti i giovani coreografi e danzatori che, senza rinnegare le radici della tradizione, abbiano osato spingersi verso territori coreografici inesplorati.

Il modello organizzativo
Non volevamo semplicemente aggiungerci alle numerose esperienze di concorsi già presenti nelle più disparate località italiane ed internazionali. Abbiamo quindi deciso di ribaltare l’originaria idea di concorso con vincitore finale sostituendo all’idea di concorso quella di selezione.
E’ nata quindi l’idea di organizzare un calendario di selezioni dislocate a livello nazionale che consentissero ai gruppi di partecipare senza affrontare costi di trasferta particolarmente onerosi.
I gruppi selezionati sarebbero poi stati invitati a partecipare ad un Galà conclusivo programmato in chiusura della stagione di danza del Teatro Giuditta Pasta.
L’obiettivo successivo è stato poi quello di riproporre il Galà per intero o in forma di estratto ridotto in atre città.
Ben oltre la semplice necessità di operare una selezione per arrivare alla composizione del Galà conclusivo, questo viaggio attraverso l’Italia è stato infatti prima di tutto l’occasione per aprire un osservatorio importantissimo sul panorama di quella danza che si muove lontana dai principali circuiti teatrali ma non per questo è povera di spunti artistici interessanti.
La novità della formula proposta ci ha consentito di ottenere la collaborazione di partner prestigiosi che ci hanno ospitato gratuitamente per le selezioni nella loro città:

AID - Associazione Italiana Danzatori - ROMA
ARTEVEN Circuito Teatrale Regionale e Comune di VENEZIA
SCUOLA DEL BALLETTO DI TOSCANA - FIRENZE
BALLETTO TEATRO DI TORINO

I NUMERI DELL’EDIZIONE 2004
LE SELEZIONI
Sono state effettuate selezioni a:
Roma - Firenze - Mestre - Torino - Saronno
Gruppi partecipanti: 39
Coreografie partecipanti: 45

IL GALA’ CONCLUSIVO
Il Galà conclusivo
è stato presentato a Saronno lo scorso 8 maggio con un programma di 14 gruppi/coreografi e coreografie (comprendenti 4 solisti) per un totale di ben 44 danzatori.
I gruppi provengono da tutta Italia, in particolare dalle province di Milano, Como, Varese, Sondrio, Mantova, Reggio Emilia, Torino, Alessandria, Belluno, Padova, L’aquila e Palermo.
Grande anche la varietà delle forme di danza offerta. Pur avendo come comun denominatore la danza contemporanea, le coreografie proposte hanno mostrato contaminazioni stilistiche interessanti con il classico, la break dance e l’hip hop, fino ad un inatteso tip tap.
Il galà ha incontrato, inaspettatamente per essere una prima edizione-pilota, un notevole successo di pubblico, che ha affollato la sala (500 posti) esprimendo apprezzamento per le coreografie proposte.
Un estratto del Galà composto da una selezione di 6 gruppi verrà riproposto il prossimo 16 novembre a Roma – Teatro Don Bosco nell’ambito della manifestazione Off Broadway organizzata da Mediascena in collaborazione con il Comune di Roma.

Qualche dato economico
Coerentemente con la natura promozionale della manifestazione, i gruppi partecipanti al Galà conclusivo sono stati regolarmente messi in agibilità dall’ente organizzatore ed è stato offerto loro vitto e alloggio oltre ad un rimborso completo per le spese di viaggio sostenute.
La serata del Galà ha previsto un piccolo prezzo di ingresso che ha consentito, unitamente agli incassi derivati dalle quote di partecipazione (mantenute volutamente molto basse), di coprire al 90% il costo complessivo dell’operazione già nel primo anno.

QUALCHE ANTICIPAZIONE SULLA NUOVA EDIZIONE 2005
Abbiamo ritenuto strategico, al fine di ampliare la partecipazione al maggior numero possibile di gruppi, di estendere la rete dei partner e delle selezioni.

CALENDARIO DELLE SELEZIONI

TORINO – sabato 5 marzo 2005
Balletto Teatro di Torino
via Principessa Clotilde 3

PADOVA - domenica 20 marzo 2005
Teatro delle Maddalene
via San Giovanni da Verdara 4

REGGIO EMILIA– mercoledì 23 marzo 2005
Fondazione Nazionale della Danza - ATERBALLETTO
Via Costituzione 39

CATANIA– domenica 3 aprile 2005
Scenario Pubblico
via Teatro Massimo 16

ROMA- sabato 9 aprile 2005
Teatro Greco – Dance Studio
via Leoncavallo 10-16

GRASSINA (FI) - domenica 10 aprile 2005
Centro Studi Danza
di M.G.Nicosia C/o Teatro SMS Piazza Umberto I° 14

NAPOLI– lunedì 11 aprile 2005
Auditorium del Teatro Bellini
via Conte di Ruvo 14

SARONNO (VA) - martedì 19 aprile 2005
Teatro Giuditta Pasta
via I maggio snc

Termine di presentazione domande: venerdì 25 febbraio 2005


 


 

La produzione internazionale
Il ciclo della Tragedia Endogonidia della Socìetas Raffaello Sanzio
di Cosetta Niccolini

 

Il progetto Tragedia Endogonidia ha preso concretamente avvio nell’ottobre 2001 dopo oltre un anno di elaborazioni e riflessioni all’interno della Compagnia Raffaello Sanzio. Il nodo centrale del confronto era la necessità di superare l’automatismo produzione-tournèe e di mettere alla prova modalità e tempi diversi di creazione dell’opera.
Grazie al rovesciamento di prospettiva la Socìetas intendeva sperimentare un dispositivo in cui non fosse la Compagnia ad andare nelle città ma fossero le città a entrare nel processo creativo come mete in una corsa.
Attorno a questa idea di fondo, che si è precisata via via lungo la realizzazione del progetto, la Compagnia ha coinvolto 9 strutture europee disposte ad offrire risorse e mezzi per realizzare ciascuna un tratto di questo itinerario. Data la natura del progetto è parso naturale chiedere il finanziamento nell’ambito di Cultura 2000 progetti pluriennali, finanziamento concesso nel 2002, quando comunque il progetto era stato avviato con un Episodio iniziale completamente autofinanziato dalla Compagnia. Nella Tragedia Endogonidia la produzione dunque non è più un atto iniziale, ma dura per tutta la durata del progetto. L’intero ciclo drammatico è composto da undici singoli Episodi, legati ognuno a una città europea diversa. Il ciclo è stato concepito come un processo di invenzione privo di pause e di repliche: un sistema drammatico in crescita, e gli Episodi sono stati gli stadi del suo cambiamento. Non si è trattato di uno spettacolo concluso che si sposta, ma lo stesso spostamento è diventato via via un criterio dello spettacolo, ovvero un motivo coessenziale di cambiamento.
L’idea strutturale di fondo è quella di un’opera in progressiva evoluzione. Si tratta di un sistema aperto di rappresentazione che, come un organismo, si trasforma nel tempo e nel giro geografico che compie. Questo sistema ha costretto la Compagnia nell’arco della sua evoluzione, a un ripensamento radicale della creazione in primo luogo, ma anche della produzione, dell’allestimento, dell’organizzazione, della distribuzione, e dell’economia: in pratica dell’intero sistema interno alla Compagnia stessa.
Va sottolineato anche un aspetto ‘generativo’del progetto, che non era stato messo a fuoco nel momento della sua proposizione, che riguarda il moltiplicarsi e ramificarsi della creazione in manifestazioni laterali.
Si tratta non solo della produzione di sviluppi autonomi del pensiero ‘sulla’Tragedia come il materiale documentario, ma anche di una persistenza produttiva cresciuta attorno agli Episodi e dipendenti dagli Episodi stessi in cui determinate figure già presenti all’interno del Ciclo possono, così, trovare una sorta di sviluppo monografico. Forse è altresì giusto accennare alla fluidità del supporto che esse adottano: dalla esposizione di oggetti plastici, al concerto; dalla video-installazione, alla azione teatrale.

La Tragedia Endogonidia nell’arco di tre anni si è sviluppata in dieci città, in ognuna delle quali è stato rappresentato un Episodio il cui titolo è formato dalla sigla delle città di riferimento e da un numero progressivo. Il progetto, che impegnerà la Socìetas fino alla fine del 2004, è dunque così suddiviso:

C.#01 CESENA/Socìetas Raffaello Sanzio 25-26 gennaio 2002
A.#02 AVIGNON/Festival d'Avignon 7-15 luglio 2002
B.#03 BERLIN/Hebbel Theater 15-18 gennaio 2003
BR.#04
BRUXELLES/BRUSSEL/Kunsten Festival des Arts 4-7 maggio 2003
BN.#05
BERGEN/International Festival Norway 22-25 maggio 2003
P.#06
PARIS/Odéon Théatre de l’Europe/Festival d’Automne 18-31 ottobre 2003
R.#07
ROMA/Romaeuropafestival 21-30 novembre 2003
S.#08
STRASBOURG/Le Maillon Théatre de Strasbourg 17-20 febbraio 2004
L.#09
LONDON/ London International Festival of Theatre 13-16 maggio 2004
M.#10 MARSEILLE/Les Bernardines/Théatre du Gymnase 20-26 settembre 2004
C.#11
CESENA/Socìetas Raffaello Sanzio 16-22 dicembre 2004


 


 

Dalla formazione ai mestieri del teatro: una rete di pratiche per la costruzione di nuovi territori del teatro
Dal Teatro Metastasio di Prato
di Massimo Luconi

 

Il Teatro Metastasio, negli ultimi anni, si è impegnato in una intensa e organica attività di formazione e orientamento nel settore artistico e tecnico, sia per i giovani professionisti che per i gruppi teatrali non del tutto definiti, aprendo il teatro a progetti di approfondimento del mestiere teatrale. Allo stesso modo ha sviluppato una serie di interventi mirati a sostenere con differenti forme produttive, progetti e spettacoli che nascono e si evidenziano in particolare nel territorio toscano. Il territorio toscano è un punto di riferimento, non per una forma di sciovisnismo o di protezionismo regionale,ma per rivalutare e sottolineare un ruolo di teatro regionale che considerata la giovane età di formazione come Stabile, necessita di articolazione progettuale con le altre istituzioni toscane e richiede modalita complesse e tempi necessariamente lunghi.
La domanda che ci siamo posti più volte era come rapportarsi a tutto quel mondo magmatico,informale e densissimo, soprattutto in Toscana, di esperienze di teatro giovane ,vitali ma non del tutto emerse o formate, spesso borderline con il teatro semiprofessionistico o amatoriale. Abbiamo deciso che l’unica strada possibile anche se la più faticosa era quella di vedere,incontrare,recensire e parlare con tutti.
Abbiamo quindi istituito un osservatorio periodico con l’obbiettivo di selezionare e sostenere nel corso del triennio 2002-2005 alcuni progetti produttivi giovani,di attivare alcune linee di formazione e di costruire una rete con altre istituzioni e realtà teatrali, per valorizzare e circuitare le esperienze comuni.
Nel settembre 2002, un gruppo composto anche da critici e autori come Massimo Marino, Armando Punzo, Andrea Nanni ha incontrato e selezionato, in una settimana di lavoro, oltre settanta gruppi formali e informali del territorio toscano.
Nell’autunno 2003 al Fabbricone la rassegna "I territori del teatro" vede la collaborazione fra Teatro Metastasio e Stabile dell’ Umbria, con l’unione di due diverse rassegne regionali (Il debutto d’Amleto e La Borsa dell’Attore) in un unico progetto.
Questa filosofia di collaborazione interregionale è proseguita a livello progettuale fra i Teatri Stabili delle Regioni del Centro Italia ed in particolare l’ERT Emilia Romagna Teatro, il TSU Teatro Stabile dell’Umbria, il Teatro Metastasio di Prato e Inteatro Stabile di Innovazione delle Marche, che hanno eleborato una proposta denominata "Centro Scena" di sostegno e valorizzazione dei giovani artisti e delle compagnie emergenti e più in generale nei confronti dell’innovazione artistica.
Uno dei punti nodali del progetto, ancora allo stato di elaborazione, prevede l’individuazione da parte dei quattro teatri degli artisti o compagnie di particolare interesse nei confronti delle quali i teatri possano ipotizzare progetti di coproduzione e garantire una visibilità.
Concretamente le direzioni dovrebbero esaminare le realtà considerate più significative presenti in ambito regionale segnalate da ogni teatro e organizzare un percorso che, nel giro di un biennio o triennio, possa dare dei segnali concreti.

Campus per giovani attori,scrittori e registi. Festival di Montalcino 2004
Nella consapevolezza che uno degli aspetti focali del lavoro teatrale è il rapporto fra scrittura teatrale e messinscena, il Teatro Metastasio e il Festival di Montalcino con la collaborazione di Outis hanno organizzato un campus / laboratorio fra giovani autori, registi e autori finalizzato alla progettazione elaborazione progettuale di percorsi dalla drammaturgia alla messinscena.
L'obbiettivo è di costruire uno spazio ideale (forse utopico, ma estremamente utile per il futuro del teatro) che sviluppi una progettazione che nasce da una proposta drammaturgica ma che attraverso la regia e il lavoro con gli attori sfocia nella messinscena.

Collaborazione con Volterra Teatro
In linea con le produzioni Metastasio off e per rafforzarne l’investimento è stato definito un accordo di programma fra Metastasio e Festival di Volterra che ha consentito a alcuni spettacoli giovani prodotti con il contributo del Metastasio un’ulteriore valorizzazione all’interno del Festival di Volterra.

Frequenze di teatro giovane in Toscana
Dalla stagione 2003-2004 con la rassegna frequenze di teatro in Toscana si è aperto anche lo spazio del fabbrichino (una spazio agile e informale di circa 100 posti) a fianco del fabbricone dedicato principalmente a esperienze di teatro giovane o a studi di preparazione alla messinscena. Per alcuni di questi progetti c’è un intervento produttivo del Metastasio , per altri si tratta di una ospitalità che permette di valorizzare alcune esperienze che non troverebbero spazio nella programmazione del Metastasio e del Fabbricone.

Contemporanea festival
Promosso da Regione Toscana, Provincia e Comune di Prato, con scadenza biennale il festival si orienta in particolare al rapporto fra teatro di innovazione, arti visive, spazio scenico, multimedialità e nuove tecnologie.

ATTIVITA DI FORMAZIONE, LABORATORI
Con l’investimento rivolto ai giovani, e in particolare ai gruppi teatrali toscani, l’attività di formazione - si è articolata in una serie di progetti di perfezionamento e orientamento rivolti tanto alle professioni artistiche che tecniche e organizzative

ex machina
Corso di orientamento professionale, finanziato dalla Commissione Europea tramite la Regione Toscana, aperto a giovani fra i 18 e 25 anni, finalizzato ad orientare e avviare alle professioni dello spettacolo.
Il percorso di circa 400 ore strutturato su attività teoriche e pratiche è stato coordinato da Maria Cassi e Leonardo Brizzi e ha visto la partecipazione come docenti di qualificati professionisti sia del settore tecnico e organizzativo.
Da questo corso sono usciti alcuni giovani che attualmente sono assunti all’interno dello staff tecnico e organizzativo del teatro.

L’officina di Rem e Cap
Nell'arco del triennio i due maestri formeranno alla propria scuola un gruppo di giovani attori, in gran parte selezionati all'interno dei gruppi locali pratesi e regionali.

Dalla commedia dell’arte alla maschera moderna
Progetto internazionale di formazione (con sbocchi produttivi) coordinato da Marcello Bartoli, e per cui si stanno definendo rapporti di collaborazione a livello europeo. Il laboratorio è rivolto a giovani attori provenienti da diversi paesi europei (già professionisti: ha quindi carattere di master).

Progetto Massimo Gorky
condotto da Giancarlo Cobelli
Un laboratorio internazionale a carattere di master (rivolto a un selezionato gruppo di giovani), il laboratorio vedrà alcune fasi nettamente distinte la prima propedeutica al lavoro sul testo e alla formazione del gruppo di giovani attori nell’aprile 2005 al teatro Fabbricone.
La seconda fase produttiva sempre al Fabbricone nel febbraio 2006.

Luca Ronconi
In collaborazione con il Teatro stabile di Torino
A trent’anni di distanza dal "laboratorio", Luca Ronconi si riappropria dello spazio del Fabbricone, con un percorso di elaborazione drammaturgica e di preparazione al progetto spettacolare per le olimpiadi di Torino e con una prima fase di laboratorio master per giovani professionisti e per studenti universitari a Prato nel giugno 2005

Collaborazione con Theater an der Ruhr, Germania
Considerate alcune interessanti affinità culturali e socio economiche fra la regione della Ruhr, Prato e la Toscana, l'idea di fondo è di stabilire una serie di relazioni che attraverso il teatro e le varie azioni della progettazione teatrale, possano portare - nell'arco di un biennio - a una riflessione complessiva su alcuni temi di comune interesse, come ad esempio il rapporto con il mondo del lavoro, il teatro e il territorio, i giovani etc.

Collaborazione con il Teatro Baltijskij Dom di San Pietroburgo
attraverso un percorso di scambio e di formazione didattica, si è stabilito un proficuo rapporto con uno dei maggiori teatro russi per elaborare insieme progetti strutturati su preparazione e messa in scena con gruppi misti e fasi di lavoro che si svolgono nei due reciproci paesi.

Il mestiere del teatro
In collaborazione con i gruppi teatrali del territorio pratese
Il teatro metastasio ritiene importante svolgere un ruolo di formazione e di attrazione culturale anche per i tutti gli appassionati e per i gruppi teatrali non definiti propriamente professionisti, aprendo il teatro a progetti di attenzione e approfondimento del mestiere teatrale.
In questo percorso si sono impostati numerosi incontri con i protagonisti della stagione oltre a brevi stages condotti da registi attori e scrittori, che hanno contribuito a sviluppare un forte legame fra i molti gruppi teatrali del terittorio pratese che gravitano intorno al teatro e l’attività produttiva dello Stabile.


E’ anche importante sottolineare quanto sarebbe importante coinvolgere in un discorso complessivo dello sviluppo teatrale le amministrazioni locali, necessarie protagoniste per una diversa politica dello spettacolo che dovrebbe investire sul rischio culturale e sui talenti delle nuove generazioni in una filosofia organica e concertata con il teatro pubblico.
Una riflessione appropriata andrebbe inoltre condotta rispetto alla funzione di servizio pubblico che non può opporsi alla assoluta necessità di difendere l’identità artistica e progettuale dei Teatri Stabili
Riflettere sul concetto di servizio pubblico svincolandosi da quegli schematismi che dividono il teatro in settori divisi fra loro, significa poterlo rifondare per rispondere alle necessità di investimento reale sul teatro italiano su un piano non solo locale ma soprattutto europeo.


 


 

Decalogo degli obblighi e delle responsabilità di un centro culturale comunale
Centro Santa Chiara di Trento
di Franco Oss Noser

 

Da diverso tempo il Centro Santa Chiara di Trento si era posto il problema di rendere pubblico, ma soprattutto trasparente, il proprio bilancio annuale (economico e di attività) nella consapevolezza del proprio ruolo provinciale e di gestore unico degli spazi pubblici per lo spettacolo in città.
La "Carta delle missioni di servizio pubblico per lo spettacolo dal vivo" approvata dallo Stato francese il 22 ottobre 1998 prima e il convegno organizzato nell’ottobre del 1999 a Firenze dalla Banca Mondiale con il Governo italiano e l’Unesco poi hanno dettato i presupposti operativi per redigere la Carta dei doveri e delle responsabilità del Centro.
Inoltre, annualmente, viene redatto e pubblicato il "Rapporto sulle attività" che riporta in sintesi il Conto consuntivo annuale, il dettaglio dell’andamento delle presenze alle Stagioni di Spettacolo organizzate e delle azioni di Formazione del pubblico, il dettaglio dei servizi erogati a soggetti terzi e la coerenza dei vari progetti con gli enunciati della "Carta".
Il Rapporto viene presentato alla stampa, inviato agli amministratori dei Comuni e della Provincia Autonoma di Trento e, in sintesi, pubblicato sul mensile del Centro che viene stampato in 5000 copie ed inviato agli abbonati e alle Istituzioni culturali del Trentino.
Ottobre 2004


 


 

Work in progress. Master per la regia teatrale in un teatro stabile di innovazione
Teatro Litta (Milano)
di Antonio Syxty

 

L’idea di un progetto come Work in Progress è quella di attivare un master dedicato alla regia teatrale, con lo scopo principale di incentivare e sviluppare la professionalità artistica, tecnica e organizzativa di giovani registi della scena lombarda e nazionale.
L’intento è quello di mettere alla prova ogni anno uno o più giovani registi - neodiplomati presso una scuola di formazione teatrale regionale, istituzionalmente riconosciuta - collegandoli con i teatri e con il mondo della produzione teatrale nel suo complesso.
Il progetto ha una struttura triennale e intende investire su uno o più giovani registi all’anno per almeno una produzione all’ anno.
Ogni anno è prevista dapprima una ricerca nei luoghi di formazione deputati assistendo a saggi, studi, prove per individuare una o più personalità artistiche che meritino un investimento di prospettiva.
Evidenziata una rosa di possibili candidati si inizia una fase di colloqui individuali per far emergere motivazioni e aspettative dei giovani registi al fine di selezionare i candidati idonei al progetto work in progress. Work in progress - primo spettatore/un master per la regia teatrale - è infatti un investimento, ma anche l’immissione in un contesto professionale dove tempi, budget, relazione con il pubblico sono variabili che fanno parte di una crescita, per chiunque voglia misurarsi con il teatro.
Per ogni progetto che il master sosterrà, si prevede un percorso di improvvisazioni e prove di almeno un mese, e la messa in scena dello spettacolo per almeno 3 settimane nel cartellone ufficiale della stagione.
Questo è un altro punto qualificante: portare la produzione di work in progress all’incontro con il pubblico e il mercato , prevedendo tutte le azioni promozionali, dalla conferenza stampa alla pubblicità studiata ad hoc, ipotizzate per una produzione della Compagnia stabile.

Nel triennio 2000 2003 il master di regia è andato alla giovane regista Valeria Talenti - diplomata alla Civica Scuola Paolo Grassi di Milano. Il triennio svolto dalla giovane regista candidata ha prodotto un classico della drammaturgia - Leonce e Lena di Buchner-, un testo di drammaturgia derivata - I Malavoglia - e nella conclusione del 2003 , si è confrontata con una prova di regia su commissione della direzione artistica del teatro, lavorando su testi del drammaturgo contemporaneo Harold Pinter.

Il nuovo triennio di Work in progress - a partire dal 2004 - presenta una novità rispetto al precedente: la residenza del regista-candidato prescelto per il master all’interno del Teatro Litta, con una presenza di lavoro strettamente collegata alla direzione artistica e a tutto il lavoro che si viene a svolgere in un teatro.
Questo fattore è - a nostro avviso - fondamentale per stimolare la consapevolezza della propria professione, per approfondire ed espandere il rapporto fra professione della regia e produzione .
Il regista-candidato al master per il nuovo triennio è Carmelo Rifici che - al momento dello scrivente - ha già trascorso il primo anno di lavoro (2004) portando a compimento il suo primo lavoro di regia su un romanzo di Henry James Il giro di vite.

Avere una "visione" del teatro è uno dei punti fondamentali per la carriera e la professionalità di un giovane regista. E’ come dire che le foto le sanno fare molti, dotati di mezzi, tempo, e buona volontà, ma pochi diventano fotografi veri; cioè pochi riescono a condensare in quello scatto una visione del mondo. E - nel caso del teatro - è abbastanza diffuso un comportamento ‘improvvisato’ della propria professione di regista che - il più delle volte perde di consistenza relativa a una cultura della professione, divenuta oggi, fondamentale per una buona riuscita e un’efficacia della produzione teatrale nel nostro paese.
Ecco il perché di questa "bottega della regia", (una definizione forse un po’ presuntuosa), che si contrappone a quello che - per tradizione - è uso comune nella formazione di un regista: quello dell’apprendistato attraverso il lavoro di assistente alla regia, e poi di aiuto regista.
Per concludere, si sta inoltre pensando di dare continuità ad un tavolo di lavoro comune con le istituzioni che sostengono il progetto per rendere sempre più efficaci le azioni che tendono ad un rinnovamento del teatro con le politiche pubbliche per la cultura.


 


 

produzioni patafisiche – arrampicatori teatrali – ferrovie a teatro
Una pratica buona
di Alfredo Tradardi

 

l’arrampicatore teatrale è un personaggio dannunziano e patafisico al tempo stesso, in sintesi un babbuino cinocefalo che ricorda Bosse-de-Nage (vedi figura, Grand Dessin au fusain et pastel d'aprés Gestes et Opinions du Docteur Faustroll, Pataphysicien d'Alfred Jarry), ma che si fa strangolare il 20 di ottobre per risorgere il 22 dello stesso mese in modo da poter partecipare nelle vesti di St. Omnibus, satiro, il 6 novembre, secondo il calendario patafisico, alle Pratiche Buone.
come strangolare l’arrampicatore teatrale e come evitare che risorga con le sue produzioni patafisiche?
una volta i teatri erano beni collettivi, ora il mercato, con la sua santissima trinità, la liberalizzazione, la privatizzazione e la deregolamentazione, li ha aggrediti e gli enti locali li hanno ceduti in uso e disuso ai propri affezionati e affamati clientes affinché vi trionfi il teatro commerciale e mortale (peter brook docet).
ma l’anno rimane di 365 giorni e i clientes lo riempiono, il teatro, per non più di 30 o 40 dei giorni dell’anno medesimo.
come le ferrovie i teatri dovrebbero funzionare 24 ore su 24, sette giorni su sette e di qui in avanti.
come la rete ferroviaria ora affidata a un gestore della rete, i binari-teatri dovrebbero essere affidati ad un gestore, meglio se pubblico, che si impegni solo a "manutenere" gli stessi mentre trenitalie diverse potessero (?) provvedere a farci circolare, sui binari-teatri, treni (spettacoli) non mortali, gli incidenti essendo proibiti.
questa proposta non guarda o riguarda i piccoli di milano, gli stabili-teatri assai in-stabili ormai per noie mortali.
riguarda i teatri di provincia, non i regi, dove si sta accumulando monnezza artistico-culturale, con i sipari ridotti a grandi schermi tv, che si aprono sempre di più su queste facce di "merdra" che ci tormentano quotidianamente sui piccoli schermi.
insomma bisogna togliere ai faccendieri-arrampicatori teatrali un pò di acqua e di terra sotto i piedi.
se i tempi sono bui, se intorno è un deserto, morale, culturale e politico, una qualche funzione dovrebbe pur averla il teatro nel raccogliere frammenti di memoria, seminare frammenti di utopia e costruire frammenti di futuri.
i teatri sono spazi sempre più chiusi da riaprire alla creatività e alla dimensione della verità, questo è il problema, trasformandoli sì in una rete ferroviaria.

alfréèd jarry,
pronipote innaturale del grande alfred
al secolo alfredo tra-dardi,
presidente dell’associazione culturale itàca
presidente e socio unico del cl?b alfred jarry


 


 

Un suggerimento per piccole formazione ma anche per compagnie normali
Basta un atto
di Nicola Savarese

 

Caro Oliviero
più che un'idea si tratta di un suggerimento drammaturgico, soprattutto per piccole formazioni ma anche per compagnie normali più o meno stabili. In altre tradizioni teatrali (particolarmente in Oriente, nel Kabuki, nell'Opera di Pechino ma anche nelle danze indiane) da molti secoli non si mette più in scena un'opera classica per intero ma si sceglie un atto o a volte anche solo alcune scene: il pubblico conosce la storia (che eventualmente può essere ricordata nel programma) e prova piacere e divertimento dal lavoro dell'attore. Del resto, questo avviene anche da noi, in Occidente, quando il melodramma o il balletto fanno scelte analoghe in particolari occasioni. E' vero, siamo in tradizioni cosiddette codificate dunque la partitura dell'attore/danzatore o del cantante è quasi scritta nell'opera. Ma sarebbe bello che, anche da noi, attori e registi sperimentassero di più l'arte dell'attore piuttosto che, come accade oggi quasi sempre, l'arte di un noioso regista. I testi classici antichi e moderni, da Eschilo a Beckett, per intenderci, permettono queste frammentazioni-recital che potrebbero durare un'ora, al massimo un'ora, un'ora e mezzo e quindi costare di meno ed essere più agili in tutto (ricerca di spazi, di pubblico, di denaro).
Insomma si torni a lavorare di più sull'attore teatrale che del teatro è la condizione certa, piuttosto che sulle idee registiche. Ho l'impressione che gli attori teatrali stiano lentamente scomparendo soffocati dallo spettacolo.
A presto
Nicola


 


 

Fare teatro nei musei
I progetti di Outis
di Angela Lucrezia Calicchio

 

Mi piace l'espressione "buone pratiche". Ha il sapore delle cose antiche, fa pensare alle grandi cucine, all'artigianato... alle cose fatte con cura e con amore, in contro tendenza con gli inglesismi da new economy. Eppoi è "pensare positivo", un segnale di generosità che cerca di capitalizzare le esperienze contro una diffusa ansia da concorrenza che circola tra gli addetti ai lavori.
Outis è un organismo che promuove la drammaturgia contemporanea. Un'attività che comprende l'organizzazione di iniziative autonome e di quelle che rispondono a necessità tematiche.
Abbiamo ideato e organizzato alcune rassegne di teatro al di fuori dei luoghi per cosi dire canonici, ossia presso il Padiglione d'Arte Contemporanea, il
Museo Bagatti Valsecchi, Sabbioneta, eccetera.
Al PAC: TRAMEJAZZGALLERY (2002), per la mostra dell'artista iperrealista americano Duane Hanson - 30 sculture più vere del vero -;
TRAMENOTE (2003), per la mostra Utopie quotidiane: l'uomo e i suoi sogni nell'arte dal 1960 ad oggi;
MALDAFRICA per Double Dress, dell'artista nigeriano Yinka Shonibare.
Per il Bagatti Valsecchi, essendo una casa-museo, le quattro rappresentazioni teatrali, si sono ispirate al tema della casa e della famiglia.
Non è la prima volta, ma un elemento di novità è affiorato.
L'intento era quello di uscire dai consueti confini della geografia drammaturgica utilizzando spazi inconsueti e attirando un pubblico incuriosito non solo dai testi che si venivano rappresentando. Iniziative che hanno avuto un immediato ed entusiastico riscontro, tanto è vero che ci siamo trovati di fronte a persone che si sono mosse seguendo non un solo interesse culturale. In un caso la proposta teatrale è stata offerta in un ambiente dove il perno dell'avvenimento era squisitamente artistico - sculture, quadri eccetera - nell'altro caso le pièces, fatte scrivere appositamente, sono state inserite in un ambiente museale, col risultato di trovare dinanzi a noi non solo spettatori o solo visitatori, ma spettatori-visitatori.
Tutto questo ha avuto come premessa il nostro sforzo di scegliere temi e situazioni in sintonia con l'ambiente e lo sfondo, di documentarci, di compenetrarci con gli artisti in questione. Insomma abbiamo studiato e ci ha fatto bene. E' risultata un'operazione estremamente stimolante, convinti come siamo che oggi si debba uscire sempre più spesso dagli angusti spazi corporativi per viaggiare in terreni all'apparenza sconosciuti, o comunque tenuti in poca considerazione come luoghi deputati al "fare" teatro. Questa "trasferta" è stata quanto mai aderente all'imperativo, di fronte al quale non si può mostrare indifferenza o pregiudizi, di affiancare le diverse manifestazioni dell'arte, di intrecciare le spinte immaginative, di misurarsi con i molteplici prodotti della creatività.
La reazione del pubblico è stata per noi incoraggiante: i visitatori richiamati dalla mostra non hanno subìto l'intrusione del teatro e mai l'hanno considerato un "corpo estraneo", ma l'hanno vissuto in quanto naturale contorno e appendice del pensiero dell'artista. Al contempo gli spettatori richiamati dal teatro si sono felicemente sentiti immersi in uno scenario che rimandava ad altri stimoli, ad altre connessioni di pensiero. In entrambi i casi, visibilissimo è stato l'intento di proporre le varie manifestazioni artistiche dell'uomo non come "camere stagne", come terreni ostinatamente non comunicanti. In questo senso siamo più che convinti che oggi la comunicazione - una delle parole chiavi del mondo contemporaneo- si debba attuare non solo tra testo teatrale e pubblico, ma anche tra testo e ambiente, sulla scia di una contaminazione di contenuti e non certo di forme. Non un flusso di pensieri e di emozioni che va da nord a sud, ma una triangolazione che permette di inventare percorsi fantastici e del tutto nuovi. Da questa visione la drammaturgia contemporanea potrebbe uscirne rafforzata e, in qualche caso, emanciparsi dalle secche in cui il teatro la costringe a stare.


 


 

Un circuito innovativo
Tracce di teatro d'autore
di Federico Toni

 

Autore del progetto, direzione artistica e coordinamento: Federico Toni
Ente promotore capofila: Comune di Pieve di Cento - Assessorato alla Cultura
Altri Comuni promotori:
Argelato, Bentivoglio, Castello d'Argile, Castel Maggiore, San Pietro in Casale
Altri enti promotori:
Provincia di Bologna - Invito in Provincia, Fondazione Cassa di Risparmio di Cento

* Tracce di Teatro d'Autore è un ampio e articolato progetto culturale per il territorio realizzato coordinando gli sforzi e ottimizzando le risorse di sei Comuni della Provincia di Bologna.



* Il progetto Tracce è nato dalla volontà di presentare esperienze artistiche teatrali appartenenti al settore della cosiddetta ricerca o sperimentazione costruendo contemporaneamente le premesse e le condizioni per una crescita ed un approfondimento qualitativo del rapporto col pubblico.



* Gli spettatori sono parte determinante nell'ideazione e nella realizzazione del programma e gli sforzi di promuovere e ospitare realtà artistiche in grado coniugare qualità, sperimentazione e comunicabilità hanno prodotto il costante aumento di un pubblico motivato, fedele, partecipe, critico.



* Oggi Tracce, al termine dell'ottava edizione, è una realtà nota a livello nazionale per l'alta qualità delle proposte, per l'originalità e la continuità del progetto.
Il grande apprezzamento, testimoniato oltre che dal pubblico del territorio, dagli addetti ai lavori (artisti, critici, studiosi, direttori artistici e tecnici), si basa in primo luogo sul fatto che Tracce di Teatro d'Autore è un progetto costruito su processi culturali e non sul semplice acquisto di prodotti di spettacolo.


 


 

Un teatro chiude. Viva il teatro.
La buona pratica del "rewind & party" (Nave Argo Associazione Teatrale – Caltagirone, CT)
di Nicoleugenia Prezzavento e Fabio Navarra

 

Ne abbiamo incontrate parecchie, nei nostri 12 anni di storia, compagnie e gruppi con cui abbiamo condiviso idee, poetiche, pratiche e ostinazioni: non ultima quella di rimanere caparbiamente fedeli all’idea di radicare il nostro lavoro in territori spesso problematici. E sempre più spesso, negli ultimi anni, è capitato che molte (troppe) di quelle compagnie abbiano dovuto abbandonare spazi e progetti dei quali tutti ben comprendiamo la significanza in termini di risorse, sogni e sudori investiti.
Eravamo ben consci, dunque, di non rappresentare in alcun modo un’eccezione quando, il 20 Luglio scorso, il nostro padrone di casa ci ha notificato il canonico anno di preavviso per lasciare lo spazio dove dal 1996 abbiamo lavorato e che in tutti questi anni è stato l’unico teatro attivo nella nostra città.
Così, "un po’ per celia e un po’ per non morir", abbiamo cominciato a fare un inventario sia fisico che ideale delle tracce che la nostra presenza ed il nostro fare avevano lasciato in quel luogo. Costumi, pezzi di scenografie, foto, e quintali su quintali di programmi di sala, di rassegne, di festival, di corsi e laboratori (per tacere dell’allarmante quantità di documenti che sono il residuato "bellico" dei nostri quantomai vasti e variegati rapporti epistolari con le istituzioni pubbliche locali e non…) che, oltre a produrre un prevedibile effetto amarcord, ci hanno indotto ad una serie di considerazioni.
Innanzitutto che sono state migliaia nel corso di questi anni le persone, adulti e bambini, che sono passate per il Teatro "Vitaliano Brancati" di Caltagirone ad assistere ad uno spettacolo o a partecipare ad un laboratorio. Che, all’interno delle nostre rassegne, abbiamo ospitato artisti e "cose mai viste" che spesso approdavano in Sicilia per la prima volta (tra cui Ascanio Celestini, il TTB, il Teatro delle Albe e molti altri) o che paradossalmente, pur essendo siciliani, proprio in Sicilia avevano trovato maggiori problemi di visibilità (due esempi emblematici: Scimone & Sframeli e Davide Enia). Che il nostro festival "Teatri in Città", che ha ormai accumulato 11 anni di storia, pur andando avanti quasi sempre al limite della sussistenza è rimasto uno dei pochissimi festival di teatro contemporaneo che si tengono in Sicilia e che fa una media di 350 spettatori (motivati e competenti, aggiungiamo con una punta d’orgoglio) per sera.
Tutto questo messo insieme ci ha riportato alla mente l’incipit di una frase di Pasolini che, all’inizio della nostra avventura, avevamo scelto come viatico: "Nel restare dentro l'inferno con marmorea volontà di capirlo è da cercare la salvezza". E abbiamo deciso che dentro e intorno al nostro teatro si è accumulato un patrimonio di socialità, di esperienze, di relazioni, di idee che sarebbe sciagurato disperdere e che, piuttosto, vogliamo ad ogni costo salvaguardare e rafforzare "rilanciando" e riaffermando l'idea dell’ apertura di un nuovo spazio ancora più bello di quello che lasciamo: una Casa del Teatro (la chiamiamo così nell’attesa che ci venga in mente un nome più figo…) aperta alle più diverse esperienze culturali e che possa diventare un punto di riferimento per il nostro territorio.
Un'idea tramite la quale sperimentare anche un nuovo modello di gestione di uno spazio destinato ad attività culturali, e che sappiamo essere stata realizzata con successo da diverse altre realtà italiane che per noi rappresentano un modello Possibile di condivisione di un progetto culturale tra iniziativa privata e istituzioni pubbliche.
A partire da tale consapevolezza abbiamo ritenuto imprescindibile misurare questo nostro desiderio con le reali aspettative e i desideri della comunità in cui viviamo. E la modalità che ci è sembrata più positiva e più aderente allo spirito con cui, finora, abbiamo vissuto la nostra "ossessione" di (ri)avvicinare al Teatro anche chi non avrebbe mai pensato di voler entrare in un teatro in vita sua è stata quella di organizzare, il 20 di ogni mese (una sorta di ideale conto alla rovescia del tempo che ci separa dalla fatidica data) fino al luglio 2005, una festa nel nostro teatro: quante più occasioni di apertura possibili per uno spazio destinato a chiudere.
Una Festa al Teatro (che chiude) – così abbiamo deciso di chiamare l’iniziativa, in un impeto di creatività… – per offrire di volta in volta, oltre alla nostra normale programmazione stagionale, qualcosa del nostro "fare" teatrale e, allo stesso tempo, accogliere idee, stimoli e spunti creativi dalle persone più disparate: c’è stata una festa con i giovani, un’altra con gli anziani, un’altra ancora con le comunità di stranieri che vivono a Caltagirone e altre sono in programma.
Nel corso di queste feste abbiamo chiesto agli intervenuti, se volevano, di sottoscrivere un documento in cui anche loro testimoniassero, alle istituzioni cittadine, la necessità di poter usufruire di uno spazio quale è stato il Teatro "Vitaliano Brancati" in questi anni e ancora migliore di esso, potendo. Le firme raccolte finora sono più di 1.500 (su 38.000 abitanti) e siamo a meno di metà del conto alla rovescia…
Adesso vorremmo consegnare la testimonianza di questa esperienza anche a tutti gli amici e colleghi le cui "vicende" umane, artistiche e professionali si sono incrociate (e/o si incroceranno) con la nostra. Nella speranza di ricevere anche da loro idee, spunti, stimoli e anche pacche sulle spalle che ci consentano di rafforzare ancora di più la nostra iniziativa e la nostra complessiva progettualità.


Se voleste saperne di più su chi siamo, cosa facciamo e (magari) per sostegni vari ed eventuali potete consultare il nostro sito: www.naveargo.org


 


 

La forza di una bottega d'arte
Non solo una compagnia teatrale
di Fanny & Alexander

 

Fanny & Alexander non è più (solo) una compagnia teatrale. Da qualche tempo ci presentiamo come bottega d'arte, e abbiamo sviluppato un'antica idea fondante del gruppo, quella di essere un'unione di artisti diversi, e non la macchina produttiva e organizzativa di una compagnia teatrale. Questo significa che non esistono dipendenti, ma persone che cercano (e sperabilmente trovano) dentro F&A la possibilità di creare una propria poetica (quella di attore, regista, organizzatore, intellettuale, musicista, imprenditore etc.).

E' un tentativo, ovviamente imperfetto e incompleto, per cercare la libertà poetica di ciascuno all'interno di una struttura potenzialmente frustrante, quella del gruppo, e farne invece il luogo in cui le idee possono crescere e svilupparsi. E' un percorso che passa attraverso dei rischi: spesso le persone, messe di fronte alla necessità di essere propositive e responsabili, vanno in crisi piuttosto che entusiasmarsi.
Privilegiare gli aspetti d'insieme, cercando di spezzare una piramide gerarchica che si forma naturalmente all'interno del lavoro, può creare inizialmente confusione, all'inizio le soluzioni strutturate con una precisa divisione dei compiti sembrano viaggiare più spedite. Soltanto la tenacia e un estenuante lavoro porta a un equilibrio che fa bene alla creatività, e a volte la confusione viene superata solo dall'abbandono di chi non trova il modo di inserirsi in un ambiente che richiede a ciascuno di essere pienamente presente a se stesso e agli altri.

In ogni caso, è solo così che siamo sopravvissuti fino ad ora ad una distribuzione e una politica teatrali italiane distruttive, talvolta per protervia, altre per incapacità. Bottega d'arte significa che le persone possono stare 10 mesi senza stipendio senza abbandonare la nave. Significa che ciascuno è pronto ad inventare personalmente qualcosa per dare vita al gruppo, mettendo in comune tutti i ricavi delle proprie opere. E significa poter produrre una quantità assai varia di cose. Abbiamo così creato spettacoli, installazioni, concerti, film, seminari e laboratori, incontri pubblici, lavori fotografici, dopotetaro gastronomici, feste danzanti, performance in discoteca, pubblicazioni cartacee e su internet, e abbiamo aperto un nuovo spazio teatrale, indebitandoci fino al 2018.

Lo facciamo in una cittadina trasformata radicalmente dal lavoro di Ravenna Teatro, che ha coltivato in pochi anni una rinascita artistica senza precedenti, rendendo normale in città il teatro d'arte, pane quotidiano per centinaia di ragazzi selvatici ogni anno, e accontentando anche chi non si è ancora stufato della cosiddetta Prosa. Ma anche con la presenza di Ravenna Festival, che apre possibilità di grande impatto, e con un'Amministrazione locale che crede fermamente nella necessità di tenere alto il profilo culturale, non da salotto bene, ma da fucina. La Romagna è ancora, in fondo, il paese delle Case del Popolo e delle Società di Mutuo Soccorso, e a Ravenna i gruppi di teatro e di danza sono molti, e vanno d'accordo.

Da anni ragioniamo sulla nascita di un consorzio artistico. Per ora lo abbiamo fatto a modo nostro fuor di legge in due direzioni: una esterna, col rapporto di stretta collaborazione che abbiamo con Ravenna Teatro, e una interna, consorziandoci tra persone del gruppo, in maniera anarchica e non gerarchica.

I risultati si vedono, i progetti si inanellano l'uno nell'altro, chi sta creando viene tutelato dagli altri, e a sua volta protegge ed integra nel momento giusto il loro lavoro. Un gioco di squadra esigente e chiassoso, in cui essere attrezzati e pronti al litigio è un atto d'amore irrinunciabile.

E' possibile lavorare in ancora maggiore apertura, e dare vita ad un consorzio vero tra compagnie di produzione di entità e natura simili? Ci contiamo, per i prossimi anni.


 


 

Sulla prima edizione del Premio Tuttoteatro.com alle arti sceniche "Dante Cappelletti"
Un concorso aperto a teatro e nuvoe tecnologie
di Mariateresa Surianello

 

Nel suo quinto anno di pubblicazioni la rivista Tuttoteatro.com accoglie i rischi di un altro metodo d’indagine nei territori dello spettacolo dal vivo, proponendosi direttamente nel sostegno e nella promozione di nuove opere. Attraverso l’impegno dell’omonima associazione, che lo istituisce e lo organizza, nasce il Premio Tuttoteatro.com alle arti sceniche "Dante Cappelletti", che ha avuto il suo momento conclusivo al Teatro Valle di Roma il 2 e il 3 ottobre, con l’allestimento in forma di studio scenico degli 8 progetti di spettacolo finalisti.
Alla sua prima edizione il Premio ha incontrato l’urgenza creativa di 138 realtà teatrali anagraficamente eterogenee e sparse su tutto il territorio nazionale - e in molti casi il bando di concorso ha rappresentato la spinta propulsiva alla creazione artistica. Una risposta più che positiva sul piano quantitativo, ma davvero sorprendente per il livello qualitativo. Se lo scopo dell’iniziativa era quello di indagare l’universo teatrale più inquieto, quello che racconta il nostro presente attraverso temi e linguaggi attuali, quel teatro che agita e rende viva la scena contemporanea (è scritto nel bando), i dati emersi definiscono un panorama ricchissimo di forme, contenuti e linguaggi che non può e non deve essere disperso. Anzi, va protetto e sostenuto. Dopo aver creato un’occasione di visibilità importante per gli 8 finalisti selezionati dalla Giuria (composta da Roberto Canziani, Gianfranco Capitta, Massimo Marino, Renato Nicolini, Laura Novelli, Aggeo Savioli, Mariateresa Surianello e presieduta dal Sindaco di Roma Walter Veltroni) tra i 138 pervenuti, si ritiene necessario proseguire l’azione per intercettare interlocutori che possano fornire risorse e spazi.
In particolare, Tuttoteatro.com intende avviare - e talvolta proseguire - il dialogo con le Istituzioni preposte alla promozione dello spettacolo dal vivo, in primo luogo l’Eti e gli Stabili pubblici e privati ma anche di Innovazione, coinvolgendo l’Agis e alcuni spazi autogestiti, per sollecitare l’attenzione verso la produzione e la circuitazione di nuove opere, a partire dagli 8 studi scenici finalisti (la Giuria ha assegnato 6.000,00 euro di contributo alla produzione, ma a uno solo degli 8) e cercando di ragionare anche sugli altri 130 progetti, seguendone il processo di sviluppo fino all’esito compiuto. Un dialogo che si vorrebbe aprire anche all’Università, invitando gruppi di studenti e docenti attenti, e al territorio, attraverso la presenza di compagnie e artisti attivi nelle diverse aree geografiche, intanto italiane.
Un primo momento di incontro si terrà a Roma, nella nuova Casa dei Teatri, nel mese di novembre (la data è in corso di definizione). La riflessione e la discussione sarà alimentata dai critici di Tuttoteatro.com, alcuni dei quali compongono la Giuria del Premio sopracitata, con la partecipazione di artisti e operatori sensibili a queste tematiche che si vogliono sollevare di fronte ai referenti istituzionali. Oltre agli 8 finalisti, all’incontro sono invitati tutti gli artisti candidati al Premio e, naturalmente, tutti coloro che vorranno entrare nel progetto offrendo il proprio contributo di idee e azioni. Quel giorno è in programma anche la proiezione dei video degli 8 studi scenici finalisti del Premio, realizzati lo scorso 2 e 3 ottobre al Teatro Valle.


 


 

Parola di teatro
Sinergie di competenze per una maggiore e migliore visibilità del teatro
di Valeria Ottolenghi (A.N.C.T.)

 

"Ripensare alle forme della visibilità, coinvolgere istituzioni pubbliche e associazioni, ordine dei giornalisti e studiosi, ridisegnando anche la mappa deontologica relativa alla suddivisione dei campi di competenza, mantenendo vivo il dialogo con artisti e studiosi, organizzatori e critici. Antiche questioni? Certo, ma che si sono andate sempre più aggravando. Che fare?":

iniziava così la lettera di convocazione per Parola di Teatro a Castiglioncello/Armunia, l'incontro promosso dall'A.N.C.T., Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, che, affrontando diverse questioni legate all'informazione/ alla formazione della cultura teatrale aveva già in progetto un percorso di appuntamenti diversificati a partire dalle specifiche esigenze dei teatri, degli enti promotori, del territorio.

Davvero numerosi gli intervenuti, specie tenendo conto dell'invito in tempi brevi. E un nuovo, veloce gruppo di studio si è formato poco dopo a Volterra - e tantissime sono state le «adesioni a distanza», di chi, sapendo di questa iniziativa, e non potendo partecipare, dichiarava il proprio esplicito interesse. Le difficoltà dei giornali e il bisogno di magazine televisivi, la visibilità dei festival e delle rassegne concentrate nel tempo, la funzione della critica e la ricerca, lo spazio delle riviste on line e il dialogo con le istituzioni, l'Eti e l'Ordine dei Giornalisti, la formazione, l'aggiornamento dei tanti critici che lavorano nei giornali di provincia e il dialogo con l'università, le alleanze con chi scrive di letteratura, cinema, danza, etc per la rivalutazione del confronto critico con il pubblico/ i lettori dei giornali, e così via.

Moltissime le questioni emerse: pur riconoscendo situazioni estremamente positive nella direzione della crescita della cultura del teatro, specie per quel fenomeno della «provincia della provincia» che disegna «nuove geografie del teatro» (vedi i convegni di Urgnano e Fiorenzuola) con la moltiplicazione di spazi teatrali, nuovi pubblici, tanti spettacoli di pregio, anche della ricerca, flessibili alle origini, è risultato evidente lo stato di disagio diffuso a più livelli, pochissimi soldi, spesso scarsa comprensione e intelligenza da parte degli amministratori, difficoltà di varia natura (non sempre i direttori artistici per esempio possono girare come vorrebbero per vedere gli spettacoli, così da sceglierli, dare loro visibilità al più presto).

Copiosi, aggrovigliati i problemi emersi - e nessuno naturalmente aveva (e credo abbia ora) soluzioni ad effetto rapido. Tante volte è stato citato questo incontro di Milano che già si sapeva avrebbe promosso Oliviero/www.ateatro.it in autunno, immaginando diverse convergenze (in verità allora non era affatto chiaro il tema guida, s'immaginava un appuntamento più squisitamente politico). A Volterra decidendo infine di «utilizzare» – come in effetti si sta facendo ora – tale incontro come cassa di risonanza per Parola di teatro, anche per individuare altre alleanze, diverse direzioni di lavoro.

Ed eccoci qui. A Cartoceto c'è già stata una breve, ma importante tappa di riflessione, legata in particolare alle forme della visibilità degli spettacoli realizzati da persone «diversamente abili» (in molti casi difficile anche il linguaggio della recensione!)

E inevitabilmente si ritorna al Che fare? Intanto, proprio come buona pratica, è bene frantumare tutte le barriere tra uffici stampa, critici, direttori artistici, studiosi per promuovere una «sana» cultura teatrale, attraverso tutte le forme ritenute via via più idonee, incontri, dibattiti, concorsi aperti di recensioni teatrali per le superiori e gli studenti dell'università, esperienze di indagine critica all'interno delle scuole di teatro, e così via. Superando anche ogni rigidità deontologica: oggi chi conosce bene il teatro, ha visto e incontra tante produzioni, scrive, ha competenza e sensibilità, è bene che «spenda» tutto questo sul maggior numero di fronti. Al diavolo la purezza, spesso tanto ipocrita! Certo il regista di uno spettacolo non lo deve recensire, è più che ovvio, così come un critico che affianca in vario modo un teatro, magari curandogli la comunicazione on line, è bene che non scriva degli spettacoli che quello stesso teatro produce. Banalità. Al di là di questo tutto deve essere lecito, anzi incoraggiato! Una vera e propria buona pratica! Non solo perché oggi chi sa tanto di teatro non può vivere di sola critica (ci sono delle eccezioni? forse!) ma anche perché la vasta conoscenza permette, per esempio, di realizzare – o favorire attraverso varie forme di consulenza – delle stagioni, dei festival più direttamente legati alla contemporaneità.

Perché non bisogna dimenticare che al centro di tutto c'è la questione della visibilità, della fruizione degli spettacoli di qualità il più presto possibile e nelle condizioni migliori.

Quali altre buone pratiche a tal fine? Parola di Teatro riprenderà il suo percorso, riallaccerà i fili proprio durante e subito dopo questo convegno. Quale teatro, festival, rassegna vorrà affrontare questa o quella questione? Il problema della contemporaneità e della formazione del pubblico, dell'informazione e del linguaggio della critica, dei giornali locali e nazionali, degli interlocutori istituzionali a più livelli e delle possibili funzioni delle rassegne estive, e così via.

Poiché assai alto è il desiderio di dialogare, di fruire/produrre cultura (vedi anche gli esempi del festival della letteratura di Mantova o della filosofia di Modena, tra l'altro sempre più fitti, non casualmente, di teatro) si ritiene importante, in questi tempi davvero bui, colmi di tanta sofferenza nel mondo e di facile cattiveria anche tra vicini, cercare di cucire reti, definire alleanze, sperimentare, quando e come possibile, sinergie positive: Parola di Teatro è un'occasione per ragionare insieme su singole questioni legate concretamente a specifiche realtà cercando di risolverle. Non solo parole: piuttosto strategie, alleanze di lavoro. E il singolo tema s'inserisce in un quadro più vasto, di maggior respiro, più appuntamenti che avranno anche successivi momenti di confronto generale. Castiglioncello/Armunia, il Castello e l'ottimo Paganelli sono pronti ad accogliere questa riflessione più ampia, magari anche per vedere insieme – spero che Oliviero sia d'accordo – se i modelli di tante buone pratiche abbiano saputo contagiarsi, attecchire, dare buoni frutti. Questo davvero l'augurio!


 


 

La dieta della mail teatrale. Ovvero perché peso 800Kb, mentre il mio medico dice che dovrei pesarne 8?
Consigli dietetici
di Roberto Canziani

 

Nessuna persona dotata di buon senso si metterebbe mai alla guida di una vettura, né sfreccerebbe in autostrada, senza aver prima studiato le regole del Codice della Strada e aver fatto Pratica di Guida.
Chi prende in mano un computer per comunicare ad altri i propri progetti artistici, le proprie idee sul teatro, o magari il debutto di un nuovo spettacolo, ignora talvolta le più Elementari Precauzioni e il Galateo Minimo della Comunicazione via Internet. Con il senso dell'avventura e con l'incoscienza dei principianti, l'artista si proietta in Rete - l'autostrada delle conoscenze - inconsapevole dei rischi, dei disagi, degli incidenti che la sua e-mail, apparentemente innocua, potrà provocare.
In dieci minuti (anche meno) un Decalogo delle Buone Pratiche di Posta nel tempo di Internet. Ad uso di teatranti, organizzatori, uffici stampa e responsabili del marketing.



DECALOGO DELLE BUONE PRATICHE DI POSTA


1. Ricorda: non sei nel cortile di casa tua, ti muovi in rete
Collegare il proprio computer a Internet significa metterlo in rete e farlo interagire con altri computer. Se usi il tuo computer autonomamente, tutti i possibili errori, le perdite di dati, i danni, si limitano a lui soltanto. Se invece sei collegato a Internet, un tuo comportamento pericoloso o sbagliato rischia di danneggiare molti altri utenti. Ricordatene quando senti il clik trrrrrr trrrrrr del tuo computer che si collega.

2. Proteggi te stesso, proteggerai anche gli altri
Acquistare, installare, configurare correttamente e aggiornare con regolarità un programma antivirus è la prima responsabilità che hai nei confronti degli altri. Proteggendo il tuo lavoro e i tuoi dati da minacce e aggressioni sempre più frequenti su Internet, proteggerai anche il lavoro e i dati di coloro che contatti attraverso la posta elettronica, poiché sarai sicuro di inviare loro materiali controllati ed esenti da virus. Ricordati inoltre di fare spesso delle copie (backup) dei tuoi dati importanti e di salvarli da qualche parte. Spesso i computer si ammalano proprio quando ne hai più bisogno.

3. Prima di fare, prova a capire quello che stai facendo
Anche se le recenti tendenze puntano sull'utilizzo immediato degli strumenti informatici (apparecchiature e programmi), farai bene a studiare un po' il funzionamento di quelli che hai intenzione di usare (apparecchi e programmi sono sempre dotati di istruzioni o guide in linea) e ad apprendere quali sono regole di utilizzo per i singoli servizi, come la posta (tutte insieme, queste regole formano la netiquette). Eviterai di compiere errori grossolani e di attirarti le maledizioni di tutti coloro ai quali avrai procurato disagi, problemi, imbarazzi.

4. Rispetta gli altri, sarai rispettato dalle leggi
Preoccuparsi della privacy non è solo cortesia, è un obbligo di legge. Informati sulle disposizioni in materia di tutela dei dati personali (in Italia le più recente sono contenute nel decreto legislativo n.196/2003). Sei perseguibile, se non le rispetti. Quando invii una e-mail a più persone, non diffondere mai gli indirizzi di tutti esponendoli nel campo cc: (l'invio in copia carbone). Inserisci esclusivamente nel campo ccn: (in inglese bcc:, l'invio in copia carbone cieca). Se non sai che cos'è, torna alla regola 3. E studia le istruzioni del tuo programma di posta.

5. Comunica, ma con chi vuole comunicare
L'invio di posta indesiderata (spam) è uno dei flagelli di internet. Se vuoi comunicare con qualcuno, fallo, ma non intasare la sua casella di posta con fotografie non richieste, carta da lettera intestata con loghi e immagini, o altre appendici cosmetiche: animazioni o suoni. Perlomeno assicurati che il destinatario li voglia ricevere. Niente irrita di più che vedere la propria posta bloccata da materiali indesiderati. Per comunicare qualcosa, spesso basta digitare o copiare nella e-mail il messaggio. Evita, con ragionevolezza, gli allegati.

6. Se alleghi qualcosa, fai almeno sapere di che si tratta
Gli allegati sono i veicoli più comuni attraverso cui vengono diffusi i virus. E giustamente sono visti con sospetto. Se tuttavia hai deciso di allegare, assicurati che chi riceve il tuo allegato sappia che cos'è e con che programma lo può aprire e leggere. Dovreste conoscere entrambi il significato delle estensioni, cioè di quelle tre letterine che il sistema operativo Windows (quello più diffuso) appiccica, dopo un punto, alla fine del nome di un file (il sistema Mac, meno diffuso, non le appiccica nemmeno). Le tre lettere ( .doc, .rft, .txt, .jpg, .gif, .pdf, ecc.) indicano il formato in cui il file è stato salvato o il programma che lo ha creato. Non è detto che il destinatario possieda quel programma. Evita di farlo diventare matto.

7. Controlla quanto pesi, te ne saranno tutti grati
Prima di inviare una e-mail o di girarla a qualcun altro con il comando inoltra/forward, controlla il suo peso in kbyte. Pensa che dovrà essere scaricata e che ogni scaricamento ha un costo (di tempo, e anche economico, se il tuo destinatario paga la bolletta telefonica, e pure rilevante se è collegato da un internet point, o da un albergo). Adotta tutte le misure che possono alleggerire le tue e-mail. Per esempio:

- segui le indicazioni della regola 4. (niente carta intestata con loghi e immagini, niente animazioni);
- se i file contengono testo: non usare il formato .doc di Microsoft Word. E' un formato dispendioso, insicuro, possibile veicolo di virus o danni. Usa preferibilmente i formati .rtf e .txt;
- se i file contengono fotografie: verifica il peso delle immagini allegate, spesso possono bastare poche decine di Kbyte invece delle migliaia di una fotografia ad alta definizione. Usa preferibilmente formati noti e ben compressi come .jpg e .gif;
- se i file contengono suoni e immagini in movimento: procurati qualche nozione sui formati specifici. Sono molti e diversi: rischi di trasmettere documenti che non potranno essere ascoltati o visti;
- se i file contengono documenti complessi: ricorda che il formato .pdf (documenti grafici di Adobe Acrobat)è un formato pesante e di gestione piuttosto complicata. Valuta se è proprio indispensabile.

8. Metti in catene le catene, vivrai in un ambiente più pulito
E' poco probabile che tu cada nelle trappole di chi, con la posta elettronica, ti comunica vincite alla lotteria o improbabili guadagni. Ma guardati anche dalle catene di solidarietà (appelli civili e bambini malati) e dai messaggi allarmistici che fanno appello alla tua sensibilità. Nel 98% dei casi si tratta solo di ottenere, con mezzi subdoli, migliaia di indirizzi e-mail, da rivendere a società specializzate, che intaseranno altre caselle, oltre alla tua, con l'invio di spam (la posta indesiderata, spazzatura di rete). Non rispondere e non diffondere. Se sei sfiorato dal dubbio che il messaggio possa rientrare in quel 2% veritiero, controlla all'indirizzo www.attivissimo.net/antibufala.

9. Pensa due volte, anche tre, prima di spedire
Usando la posta elettronica è molto facile fare errori (non solo grammaticali, ma anche di discrezione, opportunità, riservatezza). Rispondere al volo a un messaggio e pentirsi della risposta, inoltrare corrispondenza altrui, dimenticare o sbagliare di allegare documenti, sono comportamenti che la velocità con cui si lavora su Internet rende frequenti. A volte sono peccati veniali. A volte possono costare un'amicizia, o il posto di lavoro. Per quanto è possibile, scrivi off-line (prima di collegarti, o dopo), lascia riposare i messaggi, rileggi, e solo allora premi il bottone dell'invio.

10. Usa la testa, più che la posta
Esiste un'ecologia della Rete. Prova a pensare a Internet come all'ambiente in cui vivi (perché di fatto, ci vivi) e contribuisci a mantenerla efficiente, libera da ostacoli (da fastidio anche a te, se il collegamento a volte soffre). Evita di sprecarne le risorse e i servizi, come la posta. Se per esempio i tuoi messaggi e i tuoi materiali sono tanti, se devono raggiungere molti destinatari e con una certa frequenza, pensa piuttosto a pubblicarli su un sito. E invia per posta solamente il link a quell'indirizzo. E' un comportamento più efficace e più responsabile. Imparalo, e fallo imparare agli altri. Comincia adesso.


 


 

Cantieri Goldonetta. I teatri della danza
Un nuovo spazio di progetto a Firenze
di Virgilio Sieni

 

Si è aperto a Firenze in Oltrarno, nel quartiere di Santo Spirito un nuovo spazio – CANGO, Cantieri Goldonetta Firenze – che esprime tipologicamente un attraversamento di pratiche e visioni.
Il Saloncino da Ballo Goldoni, al tempo dell’inaugurazione, nel 1818, faceva parte del complesso di strutture per lo spettacolo voluto dall’impresario teatrale Gargani.
Oggi CANGO Cantieri Goldonetta è uno spazio aperto verso i linguaggi contemporanei e il loro incrociarsi secondo pratiche diverse, la danza in primis.
CANGO è un luogo unico e inedito: non è un teatro né un centro di arte contemporanea.
CANGO guarda alla durata dilatata delle presenze artistiche. Un tempo flessibile, un laboratorio articolato di presenze, l’incrociarsi di pratiche sui linguaggi contemporanei attraverso laboratori, spettacoli, residenze, work in progress, installazioni, atelier, visioni e esercizi, progetti e presenze internazionali. Uno spazio che nasce pensando al vuoto, lasciando tutto vuoto, solo il piano d’appoggio preparato dove il pubblico non conosce dove stare. Una nuova logica rispetto alla frequentazione canonica che qui si presenta come un continuum di pratiche da condividere secondo una flessibilità e fragilità spaziale rivolta al mutamento.
CANGO è uno spazio fatto di spazi. Tre sale di vari formati (22x9, 13x9, 8x8 con parquet preparato e predisposto per la danza)), più due ballatoi agibili (6x9), spazi della produzione, liberi e flessibili alle necessità installative, performative e di formazione.
CANGO assimila le necessità rivolte ai linguaggi innovativi del corpo e della danza proiettandoli in un contesto senza confini.
CANGO è centro dedito ai linguaggi del corpo, crocevia per artisti provenienti da discipline diverse, la danza innanzitutto, ma anche il teatro, l’arte visiva, la musica.
CANGO vuole creare un forte legame con i percorsi artistici contemporanei e identificarsi come luogo di produzione, formazione, visione e incontro.

INTERVENTO DI RESTAURO DEL COMUNE a fronte di un progetto di utilizzo
L’Amministrazione Comunale, su proposta dell’Assessore alla Cultura del Comune di Firenze con delibera n.990/770 del 30.10.2001 ha espresso il suo orientamento di destinare il Saloncino Goldoni a: "CENTRO PER LA DANZA DI RILIEVO NAZIONALE E INTERNAZIONALE, APERTO AL CONFRONTO CON ALTRE ESPERIENZE ARTISTICHE CONTEMPORANEE".
Virgilio Sieni con un disciplinare datato 24/07/2002 ha avuto l’incarico da parte del Comune di Firenze di elaborare un progetto "CANTIERI GOLDONETTA FIRENZE TEATRI DELLA DANZA" finalizzato a creare nel Saloncino Goldoni un centro artistico e progettuale per lo sviluppo dei linguaggi artistici della danza contemporanea e il suo intrecciarsi alle arti visive, alla musica e al teatro.
Virgilio Sieni ha seguito i lavori di recupero del Saloncino attraverso uno studio analitico sullo spazio in diretto raccordo con il progetto artistico e con l’individuazione e segnalazione delle esigenze tecniche e funzionali alle attività programmate ivi compreso gli allestimenti della struttura.
Con delibera N.990/770 DEL 2.12.2003 è stato affidato a Virgilio Sieni l’incarico di direzione artistica degli eventi che si svolgono al Saloncino Goldoni a partire dal mese di dicembre 2003 fino a tutto il 2004.
Nel 2004 è’ stata stipulata una convenzione tra il Comune di Firenze e la Compagnia Virgilio Sieni Danza per la gestione dello spazio Cantieri Goldonetta della durata di un anno. La Compagnia Virgilio Sieni Danza, per il programma di iniziative per l’anno 2004 e per la realizzazione di tale programma, ha richiesto al Comune di Firenze la concessione in uso gratuito dello spazio nonché un contributo di euro 50.000,00.
Le successive variazioni al programma andranno concordate con L’Assessorato alla Cultura Comune di Firenze.
Nella Convenzione sono distinti gli oneri:
- sono a carico del Comune di Firenze:
- Pagamento delle utenze per il consumo di energia elettrica, acqua e gas
-sono a carico della Compagnia Virgilio Sieni Danza:
- pagamento per il consumo telefonico
- ordinaria manutenzione , sorveglianza, pulizia dei locali
- personale tecnico, organizzativo e artistico
- copertura assicurativa per la Responsabilità Civile verso terzi
- tassa sui rifiuti
La compagnia potrà ricercare per proprio conto forme di sponsorizzazione da parte dei privati quale contributo alla copertura dei costi complessivi del progetto.
L’Amministrazione Comunale si riserva la facoltà di realizzare all’interno dello spazio proprie iniziative gestite direttamente dall’Amministrazione stessa, in giorni concordati con l’assegnatario.

Nessun contributo aggiuntivo sarà dovuto alla Compagnia, che si impegna comunque ad assicurare il servizio di portineria e pulizia.
Le eventuali richieste di utilizzo dello spazio da parte di soggetti diversi dall’Amministrazione, per la realizzazione di iniziative non comprese nel programma presentato dalla Compagnia, saranno esaminate dall’Assessorato alla Cultura del Comune e dal Direttore Artistico Virgilio Sieni.

IDEA NUOVA DI GESTIONE DI UNO SPAZIO DEDICATO ALLA DANZA
Il progetto CANGO - Cantieri Goldonetta – I teatri della danza prevede un uso dello spazio con funzioni differenti:
FORMAZIONE
In stretto contatto coi linguaggi delle altre arti contemporanee, in particolare le arti visive e la musica sono previsti percorsi di studio e di approfondimento sulla danza e i linguaggi del corpo rivolti sia a giovanissimi che ad allievi e professionisti con una formazione già consolidata. Il lavoro degli artisti invitati sarà materiale di studio sui linguaggi della danza, della composizione coreografica, delle arti performative e di tutti gli ambiti artistici e filosofici legati al corpo.
PRODUZIONE - RESIDENZE - OSPITALITÀ
CANGO prevede residenze e ospitalità di artisti, produzione di opere, spettacoli e installazioni nei propri spazi e in altri luoghi dell’Oltrarno (mappatura dei luoghi dell’Oltrarno, Laboratori artigiani). Per periodi di diversa durata compagnie, coreografi e artisti avranno l’opportunità di sviluppare negli spazi i propri percorsi e di interagire con altre discipline, dando vita a una pratica di confronto.
CANGO propone gli artisti e i gruppi con i loro progetti riflettendo sul senso della residenza e dell’incontro favorendo un forum continuo con il pubblico e i frequentatori.
CANGO è la sede di residenza della Compagnia Virgilio Sieni Danza
EVENTI
Saranno presentati spettacoli, performance, esercizi, work in progress, prove e installazioni di artisti contemporanei, chiamati a realizzare anche interventi inediti, segnati dall’intersecarsi di diversi linguaggi e posti anche in stretto contatto con i luoghi dell’Oltrarno.
I materiali utilizzati per lo studio e la progettazione delle opere saranno custoditi in un archivio permanente aperto alla consultazione.
INFANZIA
Verrà dedicato ampio spazio all’infanzia, attraverso visioni ricercate e percorsi didattici articolati in modo da permettere ai giovanissimi di avere esperienza diretta delle potenzialità espressive del corpo. Gli artisti coinvolgeranno i bambini nel processo creativo ponendoli in relazione con i linguaggi contemporanei attraverso laboratori, visioni e installazioni.

CANGO NON È UN CONTENITORE
Alla base della nascita di un luogo come CANGO si trova una precisa volontà di svolgere la molteplicità dei linguaggi dell’arte contemporanea in un confronto continuo. Il senso della contemporaneità risiede in questo: nel rimuovere i rapporti gerarchici tra le discipline e nello sfruttare le differenze come focus per l’invenzione e la creatività.
Si è prospettato un articolato incrociarsi di pratiche artistiche partendo dal corpo, il senso della danza, il corpo disciplinato e aperto ad un’immersione con le altre arti. Quindi non si pensa ad un accumulo e una stratificazione contaminante di stili e tecniche quanto un riconoscimento olistico tra gli ambiti.
Già si vorrebbe annullare la parola "ambito" e "specifico" non per essere generici ma per identificare un percorso artistico nell’insieme di un’energia.
C’è volontà di incrociare le pratiche per dar vita a percorsi inediti.
L’articolazione degli spazi vuole favorire la concomitanza di esperienze da tenere isolate e allo stesso tempo comunicanti.

CANGO E IL QUARTIERE
I Cantieri Goldonetta hanno, tra l’altro, come scopo quello di tracciare una mappa composita e articolata dell’Oltrarno cioè il territorio ampio che accoglie CANGO.
Il forte senso di appartenenza che ancora emerge da questi quartieri della città dovrà indicare i percorsi di orientamento che uniranno tra loro i laboratori artigiani agli spazi pubblici, le ex chiese ai circoli, le piazze alle palestre creando una mappa impermanente di luoghi da curare uno ad uno per un coinvolgimento organico alla vita culturale e sociale.
CANGO vuole rappresentare uno slargo aperto in maniera continua.
- OLTRARNO ATELIER I frequentatori di CANGO, i cittadini escono dagli spazi dei Cantieri per riscoprire, rivedere e ripensare il tessuto urbano in cui vivono e operano. I laboratori artigiani ospiteranno artisti, danzatori, musicisti e altro. I laboratori presenti in Oltrarno si aprono per un incontro tra il mestiere dell’artigiano e le pratiche dell’artista. Un festival di riferimento a cadenza annuale che è soprattutto un crocevia tra artigiani e artisti, una condivisione di pratiche e la scoperta di luoghi unici per la loro energia e il loro formato: un intreccio di sguardi ai quali si aggiunge quello fondamentale del pubblico: una mappatura tra contemporaneità e tradizione.
- WALK Itinerari da compiere a piedi nei luoghi dell’Oltrarno seguendo la mappatura delineata secondo gli eventi programmati. Nuovi tracciati, recuperando il senso del frequentare, dello spostarsi, ridefinendo col movimento l’urbanistica, portando il corpo altrove, riconquistando il senso di presenza. CANGO e gli abitanti dell’Oltrarno impegnati a tracciare insieme una mappatura di luoghi da riscoprire e riutilizzare, ipotizzando nuove destinazioni d’uso. Luoghi riconosciuti e sconosciuti: spazi d’arte (chiese e palazzi), ma anche di lavoro (botteghe artigiane), di attraversamento (strade e piazze) o di frequentazione quotidiana (giardini, circoli, palestre). Lo scopo è quello di coinvolgere organicamente e animare i luoghi di Santo Spirito, San Frediano, Porta Romana e San Niccolò individuati grazie alla nuova mappatura.


 


 

Un progetto di decentramento e di circuito
Teatri Possibili
di Corrado D'Elia

 

CHI SIAMO
Teatri Possibili
è un grande comunità artistica, un movimento aggregativo che ha come scopo la produzione, la diffusione e la circuitazione del teatro, attraverso l'educazione al teatro, la produzione di spettacoli e la formazione di nuovi artisti e di un nuovo pubblico.

Ideatore e fondatore è l’attore e regista Corrado d'Elia .

Nata come Associazione Culturale a Milano nel 1996, si trasforma prima in società di produzione e gestione di eventi e manifestazioni teatrali e dal 2002 in un Circuito Teatrale Indipendente, con le sedi di Legnano, Lugano, Milano, Monza, Trento, Roma, Verona, Firenze e Ancona.
Ogni sede ricalca il modello milanese con proprie specificità territoriali.
Tra le realtà teatrali più attive presenti sul territorio nazionale, la compagnia circuita con gli spettacoli in tutta Italia e all'estero.

Teatri Possibili è riconosciuta dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.

È anche una Comunità virtuale perché il sito www.teatripossibili.it (tra i siti di teatro più visitati in Italia) raccoglie e diffonde le informazioni delle varie sedi, ospita un forum di discussione comune, e offre anche a chi non appartiene alla comunità un servizio gratuito e aggiornato sui casting di teatro, cinema e pubblicità.

Gli obiettivi del circuito
· Incentivare la produzione, la distribuzione e la circuitazione di spettacoli sul territorio nazionale e sovranazionale.
· Promuovere l'aggregazione culturale nelle singole comunità del circuito che si coordinano per gli scopi e i servizi comuni.
· La riqualificazione culturale e la valorizzazione del territorio locale nel rispetto della sua autonomia.
· L' unione, il rafforzamento e il coordinamento di realtà locali, punti di riferimento riconosciuti per le attività culturali e di spettacolo dei territori prescelti, in piena sintonia con le strategie culturali delle Amministrazioni Locali.
· L'aiuto e la mutua assistenza di tutte le realtà tra di loro, coordinando gli sforzi e ottimizzando le risorse.
· La circuitazione degli spettacoli e non dell pubblico, invertendo la tendenza di chi abita in provincia di andare a teatro nei grossi centri
· favorire la nascita, lo scambio e la diffusione di nuove idee, iniziative e conoscenze tra tutte le realtà del circuito
· La formazione di un nuovo pubblico
· La scoperta di nuovi talenti

Il lavoro sui territori

La creazione delle Comunità TP

Su tutti i territori il circuito ha favorito, promosso e incentivato la creazione, lo sviluppo delle comunità TP attraverso:

· l'apertura di nuovi uffici sui territori, punti di riferimento per le informazioni
· l'informatizzazione degli uffici, collegati a internet attraverso linee veloci
· le riunioni con le principali realtà culturali e gli artisti locali, scegliendo poi gli interlocutori che sembravano più adatti
· la formazione di nuovi collaboratori e organizzatori attraverso corsi di organizzazione e tirocinii
· il dibattito e la relazione con gli interlocutori politici, amministrativi e culturali locali
· l'appoggio dei comuni (patrocini, sovvenzioni o appoggi logistici)
· la promozione di corsi di formazione al teatro, con l'intento di stimolare l'associazionismo, la voglia di fare teatro, la creazione di un nuovo pubblico attento e competente, ma anche offrire un approfondito percorso formativo per i futuri professionisti dello spettacolo.
· l'organizzazione di seminari, incontri ed eventi sui territori
· l'ideazione e la creazione di un software avanzato di gestione comune della comunicazione e del sito
· l'implementato delle pagine web locali, dopo test di usabilità con società leader nel settore
· la gestione di sale, stagioni o rassegne teatrali

LE STAGIONI DEI TEATRI E LA PRODUZIONE DI SPETTACOLI
La produzione teatrale è il motore fondamentale del progetto.
Ogni realtà territoriale ha forma e natura giuridica a sé stanti.
La filosofia del Circuito Teatri Possibili è di interagire con le diverse realtà nel pieno rispetto delle loro specificità.

Per questo motivo cerchiamo interlocutori già attivi sul territorio che condividano il progetto in modo da promuovere e fare produzione, in sinergia con altre realtà teatrali solide e già esistenti.

Fanno parte del Circuito Teatri Possibili:

· Teatro Libero di Milnao
· Teatro Belli di Roma
· Studio Foce di Lugano
· Teatro Villoresi di Monza
· Teatro Alcione di Verona
· Teatro Cuminetti di Trento
· Teatro Cestello di Firenze
Grazie alla creazione di carte, tessere e abbonamenti, si offre la possibilità agli spettatori di assistere agli spettacoli di tutto il Circuito ad un prezzo scontato ed accessibile, per garantire a tutti coloro che sono appassionati di teatro un posto in platea anche nelle altre città.

INVESTIMENTI

Le spese sostenute fino a questo momento sono state molto onerose e quasi totalmente auto finanziate dal nostro lavoro e dallo sbigliettamento.

Tra le principali voci di spesa del Circuito:

· Affitto e ristrutturazione sedi:
· Spese di gestione delle suddette:
· Acquisto materiale tecnico (telefoni, PC, cellulari…):
· Assunzione personale dipendente:
· Utilizzo personale in collaborazione:
· Spese di produzione:
· Spese di viaggio:
· Acquisto materiale audio e video:
· Acquisto pubblicazioni, riviste e giornali:
· Spese per la promozione:
· Spese per il restyling del sito:
· Spese per la progettazione e l’implementazione del nuovo sistema di publishing:
· Spese per il passaggio alle fibre ottiche:
· Spese per la formazione del personale:

Le convenzioni
Una delle basi fondanti del progetto è la volontà di diffondere e far girare la cultura teatrale, attraverso più canali. Grazie alle convenzioni con cinema, teatri e librerie, gli utenti del circuito godono di sconti e privilegi in tutti i principali teatri, in alcuni cinema e in molte librerie.
Il nostro intento è quello di estendere e condividere le suddette convenzioni a tutto il territorio nazionale, per creare un circuito culturale che abbia punti di riferimento in più zone d'Italia. Un circuito culturale che favorisca lo scambio e la partecipazione.

IL CIRCUITO... VIRTUALE
La commistione tra innovazioni artistiche e tecnologiche e l’intenso utilizzo di Internet e delle tecnologie di e-commerce per la promozione degli eventi, sono sicuramente tra i fattori critici di successo che hanno contribuito alla formazione di un nuovo pubblico e alla fidelizzazione degli spettatori facendo di Teatri Possibili un caso unico nel panorama italiano, e un modello di sviluppo nel settore.


L’UTILIZZO DEL WEB
Teatri Possibili è una comunità reale (fatta di artisti, di organizzatori, di frequentatori appassionati e di allievi) e contemporaneamente virtuale: il sito www.teatripossibili.it è il sito di teatro più visitato in Italia.

Attualmente gli utenti che ricevono le nostre newsletter sono 55.000

IL NUOVO SISTEMA DI PUBLISHING

La comunicazione tra tutte le comunità che compongono il Circuito Teatri Possibili è di primaria importanza: per questo abbiamo creato un sistema che consenta scambi veloci e completi di informazioni di ogni tipo.

Attraverso la condivisione di documenti on line, la possibilità di dialogare tutti, contemporaneamente, in tempo reale (utilizzando strumenti tecnologici moderni come la video-conferenza) e la consultazione di registrazioni audio e video inerenti agli spettacoli e alla scuola, le comunità sono sempre aggiornate sugli sviluppi, le modifiche e le iniziative del Circuito.

Con questo strumento le comunità possono interagire tra loro e ognuna di esse fornisce il prorio specifico e prezioso apporto alla vita del Circuito.
Il tutto avviene con un nuovo sistema di Publishing studiato ad hoc per la nostra realtà. Con l’aiuto di programmatori e personale esterno abbiamo pensato e creato un sistema che permette l'aggiornamento delle informazioni presenti sul sito e sulla intranet. L'intranet è una rete è che consente la condivisione di documenti e la creazione di un archivio . Ciò permette di migliorare la gestione e il flusso delle informazioni sia verso l'interno che verso l'esterno.

Con l’acquisto di uno strumento di statistiche e reportistica abbiamo la possibilità di verificare i risultati dell'investimento.

Attraverso l’utilizzo di un hosting professionale con backup e firewall abbiamo la possibilità di salvaguardare i nostri dati e creare uno storico, proteggere i documenti da intrusioni, incrementare le performances e personalizzare i servizi.

Grazie all’implementazione e personalizzazione di uno strumento editoriale dedicato alla newsletter ed alla gestione delle comunicazioni di massa come i comunicati stampa, la promozione di iniziative e la comunicazione interna, abbiamo la possibilità di aggiornare quotidianamente gli utenti sulle iniziative e le novità riguardanti il settore teatrale.

La creazione di nuovi servizi ed il miglioramento di quelli già esistenti immergono coloro che si rivolgono a noi tramite il sito in un mondo che miscela cultura teatrale e multimedialità: prenotazione, acquisto di biglietti, iscrizioni a corsi e seminari on-line, consultazione di un archivio multimediale, webcam per video-conferenze e prove degli spettacoli in tempo reale, forum di discussione e scambio di idee, e-commerce, consulenze, possibilità di interagire direttamente segnalando le iniziative culturali del proprio territorio, sono tra gli aspetti più innovativi che caratterizzano il nostro sito, dove gli utenti saranno supportati da nuovi strumenti di navigazione studiati per guidarli nell’orientamento e nella ricerca delle informazioni.

Il tutto avviene su un portale completamente rinnovato da un restyling grafico completo che concorre all’incremento di un approccio comunicativo diretto e semplice.


 


 

Scritture al presente
L'esperienza milanese di "città in condominio"
di Roberto Traverso

 

Siamo un gruppo di autori e scrittori e da un paio di anni lavoriamo a un progetto che si propone di raccogliere e stimolare nuove scritture per raccontare la contemporaneità. Presso il Teatro Out Off abbiamo realizzato la scorsa primavera una prima sperimentale edizione di "Città in condominio": tre appuntamenti di "reading aperti" sul tema della città e delle diverse scritture per raccontarla. Abbiamo raccolto testi di diciotto scrittori, alcuni esordienti, altri che già lavorano e si sono affermati nel mondo del teatro, del cinema, della letteratura, coinvolgendo più di trenta attori. In seguito a questa esperienza largamente positiva, abbiamo rilanciato la proposta con un "presidio" di dieci appuntamenti che, a partire dal 15 dicembre '03, hanno coinvolto sino a ora alcune decine di autori. Se all'inizio è stata la guerra il tema portante, questa volta sono i limiti: la città al limite e i limiti della città. L'iniziativa vuole essere "uno spazio libero" dove accogliere testi e sguardi sul nostro presente sganciati dai tempi della produzione teatrale, per arrivare con un'immediatezza altrimenti inimmaginabile verso una pratica di normale condivisione, con il pubblico, della scrittura e del teatro. La forma è molto agile, senza regia: soltanto la cura dell'autore e la supervisione della nostra "redazione" affinché il testo arrivi con la sola forza della parola.


 


 

Dalla Toscana. Una collaborazione fra Università (Pisa, Bologna, Torino, Genova) e Enti locali (il Comune di Livorno)
Al Teatro delle Commedie di Livorno
di Concetta D'Angeli

 

Da quattro anni si svolge a Livorno, presso un piccolo teatro da poco restaurato - Teatro delle Commedie - un’iniziativa che, avviata nel 2000 da Fernando Mastropasqua, docente di Storia del Teatro e dello Spettacolo presso l’Università di Pisa, nella bozza del progetto elaborato, nacque con "l’intenzione di costituire […] degli spazi destinati alla elaborazione di nuove forme dei linguaggi dello spettacolo, di assicurare a quanti lavorano nel settore una visibilità delle loro produzioni, di permettere l’incontro tra cittadini, studenti, insegnanti, operatori, artisti e studiosi per una promozione dell’evento spettacolare, di riportare il teatro, il cinema e la musica, ad essere anche occasione di incontro, di divertimento collettivo, di memoria e di riflessione sul presente. Insomma un teatro che sia Scuola e anche Servizio per la città".
L’iniziativa, che ha ricevuto l’appoggio di amministratori illuminati, è finanziata per intero dal Comune di Livorno. Funziona inoltre come seminario che dà diritto al riconoscimento di crediti per studenti universitari pisani che vi si siano iscritti.
Nel progetto sono coinvolte le Università di Pisa (Corso di Laurea in Cinema Musica Teatro), di Bologna e Torino (i rispettivi Dams) e, da quest’anno, di Genova.

In concreto, nel corso dell’anno, si svolgono quattro seminari, ognuno gestito da un professore che appartiene a una delle università partecipanti che cura la parte teorica servendosi non di lezioni cattedratiche ma d’incontri, che propone un interscambio attivo con i partecipanti. Il docente si sceglie, "per affinità", un artista di teatro (attore, regista, mimo, drammaturgo…), il quale, in diverse forme, spiegherà e dimostrerà la proposta avanzata dal professore.
I quattro seminari si svolgono in totale autonomia, rispettando un tema comune. Per il 2005 sarà "Il racconto comico a teatro: dalla Commedia dell’Arte al Teatro di Narrazione".
In qualche caso è successo che, alla fine dei singoli seminari, si siano tenute delle performances aperte a un pubblico più ampio, numeroso e fervido. Dal prossimo anno l’idea degli organizzatori è di istituzionalizzare quest’ultima prassi (a Fernando Mastropasqua, trasferitosi a Torino, è subentrata Concetta D’Angeli dell’Università di Pisa).
Ogni serie di lezioni dovrebbe perciò concludersi con almeno uno spettacolo teatrale che esplicita le caratteristiche e l’interesse portante della serie, sia sul piano tematico, sia su quello formale.
Attenzione: non si tratta del "saggio finale" realizzato dai partecipanti a scopo dimostrativo, lo spettacolo è affidato agli artisti che fiancheggiano l’intervento universitario, è una sorta di esemplificazione "magistrale" del valore e del contenuto che gli incontri hanno trasmesso (ad esempio: Laura Curino, l’artista attiva nel seminario che aveva per tema conduttore "Il teatro e la storia", concluse con il noto monologo Olivetti).
Il vantaggio della novità che si vuole introdurre nella formula sperimentata "lezioni teoriche-esemplificazione pratica", consiste nel fatto che il livornese e piccolo Teatro delle Commedie (80/90 posti), si garantirebbe una sorta di "stagione" basata su un progetto culturale coerente: gli spettacoli ospitati, senza richiedere grandi apparecchiature tecniche o il concorso di numerosi attori (non lo consentirebbe lo spazio ridotto del teatro), sono non costosi e di buona qualità se sarà stata sagace la scelta dei docenti nell’affiancarsi l’artista al quale, poi, competerà la performance. Un vantaggio rilevante per gli amministratori locali che con limitato impegno economico valorizzano uno spazio non facile da gestire senza rischiare eccessi di provincialismo, eleggendo così un teatro a sede d’iniziative "d’essais". Soprattutto, si rafforzerà la linea progettuale più importante, cioè quella che propone un’accezione morale e rinnovatrice dello spettacolo.
Occasioni teatrali meno casuali, meno affidate alle sole ragioni finanziarie, meno determinate dall’ovvietà pubblicitaria; qua saranno invece suggerite dallo studio e dalla riflessione culturale, pensate sulla base di un percorso di ricerca reale. Lo stesso che, in parallelo, avrà ispirato gli incontri dei seminari.


 


 

Gruppo di ricerca sulle mutazioni dell’immaginario giovanile
Generazioni
di Elena Lamberti

 

Il convegno "Teatro – Educazione – Innovazione", svoltosi alla Città del Teatro di Cascina dal 23 al 25 ottobre 2003, ha fatto emergere l’esigenza di una migliore conoscenza delle mutazioni giovanili e, soprattutto, degli elementi simbolici, emotivi, ideologici, estetici che devono fare da sfondo ad un’ipotesi di verifica relativa al senso di una proposta educativa e artistica, dentro e fuori la scuola. Un’ulteriore riflessione ha evidenziato la necessità di un rinnovato confronto per indagare gli stati d’evoluzione attuali dei progetti teatrali rivolti alle nuove generazioni e, al contempo, di individuare necessità comuni, a partire dal confronto tra i modelli di formazione teatrale attivi nelle scuole della Regione Toscana, sottolineando come il teatro e la scuola vivano attualmente il rischio reale di una ancor maggiore marginalità politica e culturale.
A partire da queste premesse abbiamo ritenuto opportuno proporre la nascita di un organismo di approfondimento denominato "GENERAZIONI – Gruppo di ricerca sulle mutazioni dell’immaginario giovanile", che ha, fra i suoi obiettivi primari, la finalità di animare un rinnovato confronto tra artisti, educatori e studiosi, prefigurando un sistema di progettazione in rete che si fondi su comuni esigenze etiche e culturali, per restituire all’arte la sua peculiare predisposizione alla critica, senza la quale rischierebbe di perdere irrevocabilmente identità e autorevolezza.

Lo sfondo
Il primo incontro per la costituzione del Gruppo di ricerca sulla mutazione dell’immaginario giovanile ha evidenziato alcuni temi da porre sullo sfondo dei futuri appuntamenti di lavoro.
Nel corso dell’incontro è emersa la necessità di riflettere sulla crisi che pare attraversare la scuola ma anche il teatro italiano. Ci sembra necessario, quindi, attivare forme di studio e di scambio che individuino alcuni strumenti attraverso i quali collocare in rete nuovi modelli di progetto che, rispetto alla dimensione culturale e sociale della relazione tra teatro formazione e territorio, siano in grado di operare con complementarietà su taluni obiettivi condivisi, il primo dei quali deve essere la creazione di un’area innovativa d’eccellenza, capace di superare i settori d’appartenenza per costruire un nuovo sistema di relazioni tra artisti, teatri, scuole, università e territori basato sulla qualità e sullo scambio di bisogni reali.
Per consentire un dibattito proficuo ai partecipanti è stata avanzata la richiesta di condividere la nozione di alterità come elemento caratterizzante, in quanto prefiguriamo un’integrazione delle diversità di ricerca nelle esperienze d’arte con finalità sociali, educative e "terapeutiche".Siamo convinti, infatti, che un progetto d’arte che si traduca in un’azione formativa rivolta alla vita sociale, passi in primo luogo dal territorio, dalla scuola, dai gruppi e dagli individui in difficoltà. Fra i suoi scopi primari devono obbligatoriamente annoverarsi la diffusione del teatro e delle arti, la promozione di una più diffusa informazione attorno alle motivazioni etiche che inducono artisti, studiosi, educatori ed operatori culturali di tutta Europa ad elaborare progetti di formazione e di ricerca creativa con finalità socio-terapeutiche, e una maggior messa a fuoco della nozione di alterità, il cui immediato legame con l'esperienza di vita della persona può essere considerato un dato di partenza certo e un elemento fondante per la trasformazione del teatro e dell’arte in generale.
In questa prospettiva assume un alto significato etico mettere in risalto alcuni elementi qualificanti di un progetto formativo di innovazione che, traendo spunto dalla produzione artistica e avvalendosi dello strumento operativo e progettuale del Centro Studi – Formazione della Città del Teatro, si propone di esaltare il mezzo teatrale che consente alle persone, ai gruppi, alle scuole e alle nuove generazioni di prendere consapevolezza delle complessità che caratterizzano la società contemporanea, per migliorare la qualità di vita attraverso l'individuazione di un ventaglio più ampio di soluzioni ai nodi che s'incontrano nel mondo attuale. Riteniamo, infatti, che sia dalla scoperta delle diversità presenti in ognuno di noi, grazie anche alle peculiarità del teatro, che si giunga al valore della reciprocità come caratteristica umana irrinunciabile.

Cosa fare concretamente?
Mettiamo all’orizzonte per il 2005 l’ipotesi di realizzare alcune esperienze, in forma laboratoriale o seminariale, da rivolgere agli operatori, educatori e artisti italiani ed europei. Quali contenuti, idee e formule mettere in campo? Attraverso quali finanziamenti?
Crediamo opportuno che i componenti del gruppo di ricerca debbano portare il proprio contributo di idee e di proposte per la realizzazione di tali iniziative e, poiché gli ambiti di intervento di ciascuno sono differenziati e complessi, le esperienze dovranno essere realizzate in contenitori flessibili e qualificati professionalmente, perciò sarà necessario adottare un sistema di comunicazione per la circolazione delle informazioni e dell’ideazione artistica, coerenti con il livello evolutivo e le identità dei diversi componenti.
A partire da tali considerazioni, le azioni di progetto dovranno agire in relazione ai diversi contesti sociali e in rapporto alle diverse fasi evolutive, con una prevalente tensione verso le giovani generazioni. Occorrerà, anzitutto, rilevare tra le nuove generazioni quegli elementi peculiari di conflitto e di mutazione, in grado di incidere sui processi di produzione artistica. Il teatro ha un forte contenuto educativo, costituisce un fattore eminente dell’educazione e della formazione personale fin dalle sue origini. Responsabilità individuale e collettiva, rapporto tra conscio e inconscio, il problema etico e la sua crisi della civiltà contemporanea, sono tematiche intense che devono fare da sfondo ad un’ipotesi di revisione relativa al senso della proposta teatrale come strumento privilegiato di educazione, prassi educativa e creazione artistica.
Si tratta di superare una fase che, storicamente, ha sancito una funzione generica di teatro educativo e "giovanile" che ha visto e vede la preminenza di testi e metodologie di "servizio", per passare ad una rinnovata azione di "provocazione", che non separi la visione del teatro come esperienza formativa dal teatro come azione d’arte.

Integrazione delle Arti e delle tecnologie
.
Dobbiamo porci obiettivi di elaborazione e di progettazione innovativi, dunque dovremo porre grande attenzione all’integrazione delle diverse discipline artistiche e all’evoluzione – applicazione delle nuove tecnologie con l’arte teatrale. Riteniamo, infatti, che in una prospettiva di qualificazione della progettazione vadano incentivate le contaminazioni tra le arti e le diverse forme di comunicazione, lo sviluppo delle relazioni e degli incontri internazionali che hanno nel processo creativo un elemento essenziale per l'espressione e la qualificazione di quella disciplina. La musica, la danza, la poesia, le arti visive e plastiche ma anche la moda, il cinema, il design, l’informatica, l’urbanistica, i mezzi audiovisivi, sono tutti saperi che contribuiscono all’evoluzione della coscienza sociale. In questo senso l'apprendimento si realizza più efficacemente attraverso il confronto tra culture diverse e l’atteggiamento integrativo

Ambiti di ideazione e di proposta
Ogni componente del gruppo di ricerca dovrà quindi contribuire alla progettualità a partire da una griglia di riferimento che proviamo a indicare schematicamente:
A giornate di studio, workshop, seminari e mostre
B proposte per la valorizzazione delle produzione artistica giovanile.
C proposte per la valorizzazione delle produzione artistica legata al disagio
D individuazione di alcuni progetti pilota europei in grado di costituire un prototipo interessante di scambio e d’innovazione.


 


 

Progetti d’Area Associati
Toscana dei Teatri
di Renzo Boldrini, Dimitri Frosali, Dario Marconcini, Gianfranco Pedullà, Riccardo Sottili , Giorgio Zorcù

 

TOSCANA DEI TEATRI – Progetti d’Area Associati è un’associazione fra soggetti teatrali stabilmente operativi tramite una progettualità diffusa in gran parte del territorio toscano. Identità progettuali che operano abitando teatri, gestendoli e/o dirigendoli tramite accordi di convenzione con Enti, Comuni e Province.
Teatri, architettonicamente piccoli e medi, ma storicamente capaci di generare in termini quantitativi e qualitativi una rilevante attività, che, a partire dal lavoro produttivo in ogni singola realtà, costruisce un complesso percorso di lavoro che integra in un solo disegno organico le funzioni di ospitalità, formazione e produzione.
Luoghi e strutture che, praticando logiche di Progetto d’Area, di ottimizzazione delle professionalità e delle risorse, hanno permesso una quotidiana azione di produzione e diffusione della cultura teatrale. Una realtà complessiva, composta da medie imprese a "stabilità leggera", che costituisce di fatto nel panorama regionale un’interconnessione insostituibile fra i cosiddetti poli d’eccellenza e quei teatri medio-piccoli, che tali sono, non tanto per dimensioni strutturali, quanto per vocazione, capacità, necessità progettuali e politico-culturali.
TOSCANA DEI TEATRI rappresenta un segmento intermedio e una funzione dinamica che evita al sistema regionale un disegno afasico e piramidale. Le realtà che la compongono rappresentano una rete di eccellenza del decentramento progettuale che ha determinato un significativo spostamento di attività in senso quantitativo e qualitativo dai Comuni capoluoghi ad aree più provinciali, soprattutto la cosiddetta linea dell’Arno, come ben fotografa la ricerca realizzata dall’IRPET sullo spettacolo in Toscana dal 1980 al 1988.

TOSCANA DEI TEATRI è formata da Accademia Amiata, Associazione Teatro Niccolini, Giallo Mare Minimal Teatro, Occupazioni Farsesche, Teatro di Buti, Teatro Popolare d’Arte; interessa, attraverso l’attività dei soci fondatori, 18 teatri toscani, ha rapporti istituzionali con altrettanti comuni e 5 province toscane.

TOSCANA DEI TEATRI, al suo atto costitutivo, rappresenta quindi un patrimonio concreto consolidato, che, evolvendo verso un sistema strutturato di reti e progetti d’area toscani, non solo conferma la propria vocazione storica al lavoro sul territorio, ma si candida ad essere interlocutore affidabile nel e per il sistema teatrale regionale su differenti operatività ed obiettivi.

Obiettivo 1
Concertare le programmazioni dei teatri medio-piccoli, d’intesa con il Circuito Regionale, tramite mirate azioni di programmazione di eccellenza nei poli avanzati:
- programmazioni agganciate a progettualità di tipo promozionale e formativo rispetto al territorio in cui vengono presentate;
- valorizzazione della produzione toscana;
- promozione di operazioni produttive ad alto rischio culturale;
- contatti con il mercato internazionale.

Ma l’Associazione può parimenti svolgere un ruolo significativo di promozione del pubblico, di rinnovamento della platea e del palcoscenico, in termini di collaborazione con le vere piccole realtà e le aree di "disagio" teatrale, allo scopo di disegnare un complessivo sviluppo dei teatri medio-piccoli della Toscana, indicandoli così come spazio di elaborazione culturale avanzata, e non come circuito marginale e di ripiego.

Obiettivo 2
Valorizzazione del patrimonio produttivo della Rete TOSCANA DEI TEATRI, soprattutto per ciò che concerne la produzione regionale di Teatro Contemporaneo e di Teatro per le Nuove Generazioni.

Obiettivo 3
Implementazione del ruolo storico, svolto da questi teatri come luoghi di formazione e d’incontro fra professionalità della scena e le comunità, le utenze, i pubblici presenti in queste aree di progetto. Teatri strutturati come laboratori permanenti con punte significative legate soprattutto alla Scuola, ai Giovani e all’Area del Disagio.

Anche per quanto concerne il fronte della Formazione Professionale rispetto ai vari mestieri della scena e le professionalità necessarie alla gestione tecnica ed amministrativa dei Piccoli e Medi Teatri, l’Associazione si pone come un polo naturale di riferimento, capace di qualificate operazioni formative su questi particolari spazi di lavoro che rappresentano una gran parte del tessuto architettonico teatrale regionale.

Obiettivo 4
Nel dibattito che sta avvenendo sul sistema teatrale toscano, può promuovere azioni perché si concretizzi un quadro legislativo capace di leggere, in modo più articolato, il concetto di produzione in rapporto a quello di stabilità, amplificandone le tipologie e i modelli.
Un’azione mirante ad intendere la produzione (com’è pratica comune nei nostri teatri) non solo come un prodotto da tourneé, ma come un elemento, fondante, di un più articolato processo di lavoro culturale. Una strategia produttiva che sappia trovare in un teatro e in un territorio occasioni di germinazione, esplorazione, confronto, moltiplicazione del lavoro di allestimento di un atto scenico (prove aperte, laboratori, incontri, etc).
Modalità di produzione che poco hanno da spartire con l’idea di residenza che nella 45/2000 viene ridotta a requisito di bando, ma che al contrario dovrebbe indicare un insieme di pratiche e funzioni progettuali, che il produrre teatro in un territorio può e deve avere.

Una modalità produttiva complessa che, nel nostro caso, si affianca ad indicatori come:
- il rapporto continuativo fra un teatro e una compagnia, da un lato, ed un territorio, con le sue istituzioni ed associazioni culturali che esprime, dall’altro;
- la continuità produttiva, promozionale e formativa realizzate nei confronti delle utenze dei territori in cui si opera;
- un modello gestionale leggero in relazione ad un forte investimento sugli apparati artistici;
- una qualità produttiva capace di far circolare le proprie produzioni con significativi riscontri in Italia e all’estero.

Segni che, nel loro complesso, tratteggiano un modello di stabilità che non si sovrappone, ma arricchisce il quadro regionale e che dovrebbe, almeno come rete, essere riconosciuto come funzione specifica del sistema teatrale toscano.


Renzo Boldrini (Giallo Mare Minimal Teatro)
Dimitri Frosali (Associazione Teatro Comunale Niccolini)
Dario Marconcini (Teatro di Buti)
Gianfranco Pedullà (Teatro Popolare d'Arte/Teatri Aretini Associati)
Riccardo Sottili (Occupazioni Farsesche)
Giorgio Zorcù (Accademia Amiata)

 


 

L’acquisizione del Teatro Carcano per la sua conservazione a spazio teatrale
Una storia milanese
di Nicoletta Rizzato

 

Quale teatrante non vorrebbe che lo spazio che occupa, la casa in cui dimora non fosse sua? Non tanto per smania di possesso quanto per poter dire "nessuno potrà mai obbligami a uscire, nessuno potrà mai espropriarmi dello spazio fisico nel quale si svolge il mio lavoro".

Purtroppo non a tutti è dato realizzare questo sogno. Noi ci annoveriamo fra quei pochi fortunati. Ma per poter dare un quadro completo bisogna fare qualche passo indietro.
Nella primavera del 1997 viene costituita quella che ancora oggi è la società di gestione del Teatro Carcano. Inizialmente lo scopo della società era esclusivamente produttivo.
Nell’estate di quell’anno viene messa in liquidazione la precedente società di gestione del Carcano e il liquidatore decide, per condurre al meglio quello che si sarebbe trasformato in un Fallimento, di procedere a un affitto di ramo d’azienda della gestione della sala che la nostra società si aggiudica per un importo vicino al miliardo delle vecchie lire a valere sino allo scadere del contratto di locazione nel settembre del 2000.
Un investimento così rilevante partiva dalla fondata speranza che, avendo ereditato attraverso tale operazione il contratto di locazione, fosse possibile arrivare a un equo accordo di rinnovo dello stesso per altri dodici anni.
Purtroppo alcune azioni di disturbo da parte di terzi e del mercato immobiliare in sconsiderata crescita, hanno indotto la proprietà ad alzare il tiro al termine della locazione. La trattativa è stata durissima e si è conclusa nel giugno del 2000 con un accordo molto oneroso se lo si fosse considerato nel suo mero aspetto locativo (un canone annuo di 600 milioni di vecchie lire). "Fortunatamente" quel contratto di affitto conteneva un’ipotesi che probabilmente la proprietà considerava assolutamente irrealizzabile: un’opzione all’acquisto (per ragioni di convenienza fiscale dei promittenti venditori) non dell’immobile, ma della S.P.A. che come unico cespite possedeva per l’appunto il Teatro Carcano.
Uno dei motivi di ostacolo alla realizzazione dell’operazione di acquisto nasceva da una marcata sottovalutazione della nostra impresa a livello ministeriale. Il decreto 490/99 (Forlenza), pur garantendo una notevole regolarità dei meccanismi di erogazione dei contributi, aveva "ingessato" il sistema negando ogni possibilità di miglioramento sino al termine dell’anno 2002.
Per dirla più semplicemente, stante il livello di contributi allora in vigore non sarebbe stata possibile una seria ipotesi economico/finanziaria a sostegno della gestione futura dello stabile.
Pertanto sin dal settembre del 2000 si iniziò a lavorare per la creazione di una Fondazione che acquisisse i fondi necessari all’acquisto. Fondazione alla quale avrebbe partecipato anche la nostra società che avrebbe ceduto il diritto a condizione di condurre l’impresa per almeno i successivi dodici anni.
Purtroppo quell’ipotesi si rivelò impraticabile in quanto non vi fu l’unanime accordo dei tre Enti Pubblici (Regione – Provincia – Comune) a partecipare alla Fondazione in sede di costituzione e dopo quasi due anni di incontri, valutazioni, pronunciamenti e assicurazioni a vario titolo questa strada venne abbandonata.
Confesso che lo scoramento fu notevole, ma ci rimboccammo le maniche e cominciammo a pensare all’ipotesi più remota e a osare l’inosabile: riuscire ad acquistare l’immobile in proprio.
Nel frattempo si era a metà del 2003 e la situazione economico/patrimoniale della società, anche se sempre al limite delle risorse disponibili, ci metteva in grado di tentare di portare a buon fine l’operazione. La finanziabilità della quota parte bancaria non eccede mai, in operazioni del genere, l’80% del totale importo. L’importo totale necessario eccedeva di poco i 3.700.000 euro.
Con quella cifra si sarebbero acquistate per intero le azioni della S.P.A. proprietaria dello spazio immobiliare.
L’obiettivo era quindi di reperire almeno il 20% delle risorse necessarie per un importo che si sarebbe aggirato intorno ai 750.000 euro. Di questa somma la nostra società, ai sensi del patto di futuro acquisto aveva già anticipato 232.000 euro si trattava di trovarne altri 520.000. Operazione non semplice, dal momento che, come è noto, i teatranti non hanno grandi patrimoni alle spalle e rivolgersi a operatori immobiliari sarebbe stato inutile se non nei termini di una cessione che avrebbe configurato una mera speculazione da parte nostra e da parte del contraente. Speculazione che ovviamente non avevamo alcuna intenzione di fare.
Mentre l’operazione di convincimento di alcuni colleghi (alcuni sono rimasti e altri si sono persi per strada) continuava (si sarebbe poi conclusa al limite del tempo concesso) operativamente provvedevamo a istruire una pratica di leaseback. In questa forma di leasing da poco ammessa dalla legge la figura del venditore e dell’acquirente dell’immobile coincidono. Si tratta praticamente di una forma che viene usata per ridare liquidità alle imprese e rimandare a medio termine la restituzione del denaro attraverso l’affitto di uno specifico bene (che non necessariamente è immobiliare). L’aspetto negativo di una simile procedura consiste nell’espropriazione del bene che viene "realmente" venduto alla società finanziaria. Nel caso di insolvenza non sono neanche necessarie pratiche espropriative tipiche dei beni vincolati da ipoteca di primo grado. In altre parole: se le cose vanno storte sei espropriato ancora prima di accorgertene. Ed è un pensiero poco piacevole.
Ma quello che ha reso impossibile proseguire su quella strada è stata la plusvalenza che si sarebbe generata dalla vendita dell’immobile. L’esborso necessario sarebbe stato di circa 660.000 euro che andavano ad aggiungersi ai 750.000 euro per i canoni anticipati. Nel frattempo avevamo sì raccolto questa somma, ma non era ipotizzabile che i 10 soci attingessero ad altre riserve personali avendo impegnato tutto quanto era nelle loro disponibilità..
L’ipotesi è stata quindi scartata alla fine del mese di ottobre del 2003. Il patto sarebbe scaduto, senza alcuna proroga il 31 dicembre successivo. Non ci siamo fermati neanche allora. Abbiamo cominciato, pur con enorme ritardo a bussare alla porta di molte banche sondando la possibilità di ottenere un mutuo ipotecario a lungo termine e sul filo di lana il presidente della Banca Popolare di Milano ha dimostrato un profondo interessamento a tutta la questione valutandola soprattutto dal punto di vista della sua convenienza culturale. E ha preso la migliore decisione possibile: lo spazio di fronte alla Crocetta doveva rimanere un Teatro.
Ma tecnicamente l’operazione non è stata semplice.
In sequenza:
- costituzione di una s.r.l. partecipata oltre che dalla società di gestione del teatro Carcano (che detiene la quota di maggioranza relativa) da altri dieci soci di cui sette già facenti capo al Teatro Carcano e altri tre esterni. Per dovere di riservatezza non dirò i loro nomi, ma sono tutti operatori dello spettacolo e posso quindi assicurare che è esclusa ogni brama speculativa nella loro adesione.
- apporto, proporzionalmente alle quote possedute da ognuno, di un capitale finanziario per 774.000 euro rappresentante il 20% del bene da acquistare;
- erogazione di un finanziamento ponte con tasso di scoperto di conto corrente (anche se inferiore ai tassi in uso, comunque di una certa onerosità) valido sino al 15 luglio dell’anno successivo per poter permettere le seguenti operazioni;
- acquisto da parte della New Company delle azioni in possesso dei soci della S.p.A. con facoltà di controllo del 100% del suo capitale (16 gennaio 2004)
- inizio della procedura di fusione fra la N.C. e la S.p.A. per incorporazione della seconda nella prima. Tutte le procedure di apporto immobiliare dello stabile "Teatro Carcano" alla nuova società compresa la correzione di alcune lacune catastali risalendo il primo atto di apporto all’anno 1928.
- subentro nel rapporto locatizio della N.C. nei confronti della società di gestione. Tale rapporto si concretizza, dal punto di vista dell’onerosità del canone da corrispondere in una somma che si aggira intorno ai 300.000 euro annui. Comunque di grandissimo peso per l’economia di un’azienda teatrale.
- l’ultimazione del processo di fusione (effetto 30 giugno 2004)

- sottoscrizione del mutuo con iscrizione di ipoteca a favore di B.P.M. e contestuale estinzione del finanziamento ponte e del pegno sulle quote della N.C.
- pagamenti per oltre 50.000 euro, a fronte di spese bancarie, somme dovute allo Stato in termini di imposte e registrazioni, onorari notarili e professionali

Descritta in maniera così lineare sembra di una facilità disarmante. Ma il processo è durato oltre un anno e non è mai stato lasciato nelle sole esclusive mani dei professionisti, ma seguito, ideato e concretizzato con grandissimo sforzo e sapienza dallo staff direttivo del Teatro Carcano.
E’stata una grande vittoria della ragione, una grande vittoria degli sforzi di alcuni operatori dello spettacolo, sforzi che durano da oltre otto anni e che dureranno per i prossimi venti (durata del mutuo).
Non abbiamo avuto dagli Enti Locali l’appoggio che ci aspettavamo. Ne sono dispiaciuta. Ma spero che in un futuro questo appoggio si concretizzi in altre forme.
Spero di essere stata sintetica e chiara e di aver illlustrato nei suoi passaggi fondamentali una "buona pratica teatrale".
Vorrei chiudere considerando che, come in qualsiasi impresa che l’uomo inizia, la perseveranza e l’impegno che in essa si trasfondono è fondamentale per la sua riuscita, ma che senza un pizzico di favore del Caso (Fato, Destino, Fortuna, chiamatelo come volete) nulla può andare a buon fine. Noi dobbiamo ringraziare anche questa astratta Entità che governa le nostre vite e che ci ha fatto incontrare le persone giuste.
Grazie per l’attenzione.

Nicoletta Rizzato
Amministratore unico della F.M.N. s.r.l.
Società di gestione del Teatro Carcano

Milano 2 novembre 2004
 


 

Teatro di confine ovvero ai confini in libertà
L'esperienza di Olinda
di Rosita Volani

 

Da quando sono entrata nell’ex manicomio di Milano, non ne sono più uscita.
Nessuna conoscenza di psichiatria, né di impresa sociale, solo alcune sensazioni:
che fosse un luogo in cui poter costruire ( forse perché l’accezione di non luogo poteva offrire scenari inediti e imprevedibili che il teatro potesse essere lo strumento giusto per mettere in contatto il dentro e il fuori che avrei voluto condividere un progetto con il gruppo di persone che già lavorava alla riconversione del Pini Nel 1997 Da vicino nessuno è normale è stato la testa d’ariete che ha permesso al cancello del Pini di aprirsi definitivamente, a un bar di avere clienti, a un pubblico di entrare in un luogo tabù. Questa accadeva quando ancora al Pini abitavano cento persone.
La risposta dei teatranti all’invito ad investire professionalità e energia a fronte di ridotte possibilità economiche è stata ed è di grande disponibilità. La presenza del pubblico che ha scelto e sceglie di varcare il cancello per vedere gli spettacoli, è costantemente cresciuta.
Altri progetti sono nati nel tempo, un laboratorio di teatro per cittadini giovani, Manuale per fondare una città; un progetto collettivo per il 25 aprile, Appunti Partigiani; una rassegna di cultura e salute mentale dal titolo Ma sei fuori? primo progetto nato fuori dal Pini.
L’associazione Olinda e la cooperativa sociale La fabbrica di Olinda sono nate con l’obiettivo di promuovere impresa sociale (Bar e Ristorante, Ostello, Falegnameria) e inclusione sociale di persone con problemi di salute mentale, nell’ambito dei progetti di superamento dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini. Le iniziative culturali sono parte integrante dei progetti promossi da Olinda, come strumento per comunicare alla città il cambiamento avvenuto nell’ex manicomio e come riconversione di un’area considerata dismessa nella periferia nord di Milano
In questi anni migliaia di persone hanno varcato il cancello del Pini, contribuendo a trasformare un luogo di esclusione in un luogo di accoglienza e a ricostruire una cultura di vita pubblica e partecipata.


 


 

Uscite di emergenza
L'esperienza dell'Anart
di Raimondo Arcolai, Pierluca Donin e Rocco Laboragine

 

Stiamo lavorando, o meglio, stiamo cercando di (ri)costruire un nuovo medio mercato nel sistema teatrale italiano. Non è una istanza nuovissima. Da tempo gli esperimenti e le esperienze di alcuni operatori-organizzatori lugimiranti portano alla luce la voglia e la volontà di rinnovare sostanzialmente il rapporto da sempre conflittuale tra produttori e distributori.
Le motivazioni di questo impegno sono molteplici ed in larga parte condivise non solo tra coloro che si occupano di distribuzione. Nascono soprattutto dalla volontà di svolgere una funzione essenziale in modo diverso (molto diverso) e più adeguato ai tempi.
In estrema sintesi due (tra i tanti) sono i problemi da affrontare:
- la maggior parte dei nostri teatri sono situati in Comuni di medie o piccola dimensione. Pur funzionando regolarmente i teatri subiscono gravemente il contraccolpo di una sempre più limitata disponibilità economica. La loro reazione immediata è quella di contrarre fortemente l’attività progettuale e di programmazione.
- dall’altra parte assistiamo ad una lievitazione esponenziale dei costi di produzione che attestano il costo degli spettacoli di medio mercato comunemente inteso tra i 7.000 e i 9.000 euro. Non entro nel merito di una crescita dei cachet che alcuni giustificano ampiamente e altri giudicano totalmente arbitraria. La sostanza è che un teatro (comunale o privato che sia) da 300 posti con una capacità di incasso facilmente calcolabile non può reggere un peso economico così alto.
In questo quadro è evidente che tra le possibilità economiche dei teatri (aggravata in questo caso da una limitata capacità di incasso al botteghino) e le richieste della produzione in aggiunta ai costi di gestione crea una forbice sempre più ampia che nessuno potrà colmare (Stato, Enti Locali, ecc.).
Occorre quindi creare nuovi presupposti e cercare nuove strade affinché esigenze in apparenza difficilmente conciliabili (ri)trovino forti motivazioni comuni.
E’ possibile a mio avviso trovare un punto di equilibrio tra la esigenza di un buon prodotto teatrale che privilegi la qualità e i costi. Magari favorendo - come linea di lavoro - l’attenzione alla drammaturgia contemporanea, ai nuovi talenti, alle nuove generazioni di attori, registi.
Costi compatibili che permettano non solo di non arretrare ma di rilanciare la progettualità forte ben al di la della semplice programmazione dei cartelloni.
La buona pratica è quella di riprendere un dialogo interrotto per troppo tempo che possa sviluppare e coordinare progetti di produzione condivisi sia artisticamente che economicamente.
Per questo l’Associazione dei circuiti si farà promotore già da gennaio di incontri informali in vista della prossima stagione per ragionare su come strutturare operativamente una serie di collaborazioni aperte al mondo della produzione nella piena autonomia di ognuno.
Le articolazioni di questa collaborazione andranno studiate insieme con l’ambizione di contribuire alla realizzazione di un mercato sostenibile bypassando i condizionamenti (di ogni tipo) e le diffidenze che hanno caratterizzato molta parte del nostro lavoro.

Raimondo Arcolai Direttore Amat


 


 

Per una microfisica del teatro
(dal catalogo di "Teatri 90", seconda edizione, 1998)
di Oliviero Ponte di Pino

 

a Eugenio Barba


Nell’attuale orizzonte della comunicazione e della cultura convivono due tendenze apparentemente divergenti. Da un lato una atomizzazione dei gusti, delle affinità e degli stili di vita individuali, giudicati equivalenti dal punto di vista morale ed estetico; e dunque una accettazione delle differenze e spesso una ricerca ostentata della singolarità, della peculiarità (con tutte le illusioni di autentico e liberatorio che questo può comportare). Dall’altro – in quella che possiamo definire "semiosfera" – una feroce omologazione su scala planetaria attraverso i grandi conglomerati dell’informazione e dell’intrattenimento, la creazione di una neolingua fatta di Hollywood e pop-rock, di Olimpiadi, Walt Disney e Nintendo, Microsoft e cnn, United Nations & United Colors, McDonald’s, Nike e Coca Cola, Papa e Che Guevara, delle griffe della moda e dell’oligarchia della finanza e delle mega agenzie di pubblicità, delle grandi reti tv e delle multinazionali dell’editoria e della telefonia, che negli ultimi anni sono stati oggetto di un frenetico balletto di fusioni e integrazioni.
Sul fronte della polverizzazione si crea una infinità – almeno tendenzialmente – di microculture "su misura". Su quello della globalizzazione – altrettanto tendenzialmente – si trasmette una mitologia emotiva onnicomprensiva, in grado di imporre all’intero genere umano un terreno comune (se non di valori almeno di icone e gesti riconoscibili). Da un lato il caos, un pulviscolo ingovernabile e centrifugo, dall’altra l’ordine assoluto, un blocco monolitico e omogeneo, monitorato da implacabili sondaggi e indagini di mercato. La loro sovrapposizione, che determina il nostro stile di vita e il nostro modo di vedere il mondo, tende a produrre una società insieme disarticolata e monolitica, schizofrenica e paranoica, anarchica e iperdeterminata da poteri invisibili – o meglio astratti e intangibili perché paiono procedere secondo leggi trascendenti.
Tuttavia questi due universi compresenti hanno un elemento comune: al loro interno, paiono in qualche modo omogenei, uniformi. Non ammettono singolarità, grumi, coaguli (se tutto è devianza, nulla è più devianza). Non conoscono un centro. Sono due universi ugualmente pervasivi, totalitari, dominabili dal puro consumo. Non prevedono eccezioni e conflitti, se non quelli creati dalla loro soggettiva volontà di potenza. In questo spazio isotropo, molto difficilmente il teatro può dare una prospettiva, un punto di vista; oppure trasmettere un sapere, una tradizione. E nella società dello spettacolo che si celebra di continuo e nel contempo si auto-demistifica (spesso con ironia o autentica forza poetica), anche questo gioco – la rappresentabilità del teatro della vita – rischia di perdere la sua forza eversiva e rivelatrice.
Naturalmente questo mondo (im)perfetto e perfettamente omogeneo è solo una caricatura. Può esistere solo nei romanzi di fantascienza, o nelle utopie di un direttore marketing (o di un manager politico) con qualche perversione filosofica. Naturalmente questa uniformità viene di continuo attraversata da faglie, fratture, tensioni, vischiosità. Che creano così linee di resistenza, aprono linee di fuga, liberano energie.
In un universo che non conosce più centro, queste alterazioni dell’equilibrio diventano il loro stesso centro. Costituiscono un punto d’attrazione che sfugge tanto all’atomizzazione quanto al conglobamento, all’irrigidimento.
È intorno a queste irregolarità e turbolenze del tessuto comunicativo, intorno a questi picchi e avvallamenti del campo energetico, che si addensano e sedimentano microculture, come quelle che possono essere vissute, create ed espresse da una compagnia teatrale. Le culture del teatro si alimentano di questi scarti di energia tra regioni diverse della semiosfera. Usano questi differenziali per raccogliere individualità disperse e per mettere in circolazione il surplus di consapevolezza che esse producono collettivamente.
Ma da cosa possono essere determinati questi addensamenti, questi coaguli? In sostanza, da tutto quello che non entra in questo quadro. Tutto quello a cui in questo contesto non è data parola. Ciò che sfugge al puro consumo.
In primo luogo ci sono naturalmente le vischiosità e i residui di un passato non ridotto a museo o accademia, ma in grado di mobilitare energie e nuovamente riempiti di valori e significati. Questo vuole anche dire (o può voler dire) i classici da rivitalizzare, una tradizione che non ha perso la sua forza (sia la tradizione colta, per riscattarla dalla banalità scolastica in cui viene relegata, sia le tradizioni antagoniste e popolari, per evitarne l’oblio).
Tuttavia ogni prospettiva "neoclassica" pone due problemi. Il primo, e più banale, è che questo legame con la storia può passare per una riterritorializzazione, cioè per il radicamento in un luogo. Non a caso, quando ci si muove in questa direzione, si parla spesso di "teatri nazionali" – una promessa d’identità e continuità, ma anche tutti i rischi di una chiusura localista e provinciale.
Il secondo è che quasi inevitabilmente questa tradizione – ridotta alla sua natura profonda – presuppone un’opzione umanistica: un soggetto forte in grado di offrire una prospettiva e un punto di vista. Ma siamo ormai approdati – è inutile ripeterlo – a un mondo irrimediabilmente post-umanista, e ogni richiamo alla tradizione rischia di contraddire questa consapevolezza. Sarebbe dunque patetico praticare un impossibile ritorno all’umanesimo. Su questo versante, si tratta piuttosto di affrontare, con radicalità, questo nodo nelle sue ambiguità e contraddizioni. Esplorare i confini di un vuoto: il cratere lasciato dalla scomparsa dell’uomo così come lo concepiva e plasmava l’umanesimo. Anche da qui emergono probabilmente la fascinazione per i marginali e gli irregolari, in un ambito sia letterario-artistico sia sociologico-storico; e il richiamo delle origini, il momento in cui la tradizione umanistica gettava (forse inconsapevolmente) le proprie fondamenta. Ecco anche il perseverare inevitabile di una estetica del frammento e del margine – ma in rapporto a un centro e a una identità perduti. E una pratica che tende a lavorare più sui flussi che sui segni.
A queste resistenze si intrecciano le energie messe in moto da quelle che si possono definire "linee di faglia" (che spesso coincidono con i limiti e i fondamenti del soggetto, che la storia della filosofia ben conosce, e che la scena pratica da sempre). Una delle più frequentate è il confine tra l’animato e l’inanimato, tra il corpo e la macchina, partendo dal presupposto che il corpo non è "naturale" ma culturalmente e storicamente determinato, e dunque che è necessario comprendere come venga socialmente determinato. Un’altra linea di faglia è il rapporto con il linguaggio, su un doppio versante. Da un lato il confine io-linguaggio; e dunque anche il corpo come segno, o come campo in cui inscrivere segni. Dall’altro quello tra linguaggio e mondo (anche qui, il presupposto è che il linguaggio sia strumento di comunicazione collettivo, e dunque la sua funzionalità vada verificata in una dimensione sociale). Altre si possono individuare, altre ancora si potranno trovare – man mano che emergono e vengono consapevolmente indagate. Spesso sono linee di faglia imposte da un travolgente sviluppo tecnologico, che a sua volta impone il proprio ritmo anche all’evoluzione con i nuovi media della semiosfera e dunque della percezione di sé e del mondo.
In questo scenario anche la logica della spettacolarizzazione subisce uno slittamento. Lo spettacolo non appare più il meccanismo privilegiato per affermare liricamente una soggettività ridotta a pura apparenza; non è più visto come linguaggio onnicomprensivo con cui mimare e comprendere l’intera realtà (è proprio questo processo di filtraggio della realtà e la sua proiezione nel virtuale che ha portato al trionfo della semiosfera, dove tutto si trasforma prima in spettacolo e poi in merce).
Lo spettacolo – il teatro – diventa a questo punto lo spazio in cui sperimentare, formalizzare ed esprimere le ossessioni di quel microcosmo che è una compagnia teatrale. In questo ambito, la tendenza più avvertibile – ancora una volta – non è dunque verso la ricostituzione di un centro, ma piuttosto verso la consapevole radicalizzazione della propria eccentricità, verso la sperimentazione di forme estreme, verso la vertigine e gli stati alterati di coscienza, verso la provocazione e lo shock percettivi.
Va tuttavia ribadito che quella che si mette in gioco in quello spazio di relazioni che è il teatro non è mai una soggettività (o un’assenza di soggettività) puramente autoreferenziale. Non è una diversità che vuole semplicemente affermare se stessa. E’ una soggettività che in qualche modo chiede di essere riconosciuta come tale, in uno spazio collettivo. Questo accade anche a quelle esperienze che traggono il loro surplus di energie dal piacere e dall’ansia del nuovo, da una spinta vitalistica dalle connotazioni spesso giovanilistiche, adolescenziali. Proiettate alla ricerca di un riconoscimento in questo spazio collettivo, innescano una dialettica che sfugge rapidamente alla pura affermazione di sé.
Il paradosso, se si vuole, è che non esiste più un centro: né per quanto riguarda l’organizzazione della società, né per quanto riguarda la costituzione del soggetto. E tuttavia continuano a esistere dei margini, percepibili ed esplorabili. La scena non può più arrogarsi la funzione di centro (se non in una dimensione esistenziale, personale). Ha piuttosto la vocazione, e forse il dovere, di esplorare questi confini, di perdersi su queste linee al limite del nulla. E’ proprio perdendosi in questa orma, in questa ombra, che il teatro può ritrovare e ritrova la propria forza e la propria necessità.


 


 

Per uno stabile corsaro (dieci anni dopo)
Le Albe-Ravenna Teatro
di Marco Martinelli

 

Caro Oliviero
quello che segue è il testo Per Uno Stabile Corsaro, "manifesto" col quale le Albe, nei primi anni novanta, affrontavano il nodo della propria trasformazione, da piccola compagnia a Centro per la ricerca e la sperimentazione (allora si chiamavano così, quelli che oggi sono diventati Stabili di Innovazione). Eravamo diventati "grandi", ma eravamo rimasti corsari? Il testo è del 1995, quindi intreccia i "buoni propositi" alle "buone pratiche" che avevamo cominciato a mettere in atto per realizzarli. Il vostro convegno arriva a tredici anni dalla formazione di Ravenna Teatro e quindi ci permette un bilancio "pubblico", fatto insieme a tutti quelli che vorranno essere della partita, per ragionare sul paradosso concettuale, l’ossimoro dello "stabile corsaro", sul quale la gente come noi si gioca la propria credibilità, e prima che davanti al mondo, davanti alla propria faccia riflessa nello specchio. Mi piace molto l’idea delle "buone pratiche", l’idea di confrontarsi nella concretezza dei percorsi, così come mi piace la tua rivista in rete, quella sì, decisamente, una "buona pratica". I tempi sono bui, nella loro luccicante idiozia, ma chi ha voglia di non fermarsi al livello dell’opacità generalizzata e paralizzante, si accorge che i fiori continuano a spuntare, le "roselline selvatiche" alla Brecht che nessuno si aspettava, che le isole di intelligenza nell’oceano inquinato resistono e battono bandiera corsara.
Un abbraccio!

Marco


PER UNO STABILE CORSARO

1. C'è modo e modo di essere corsari.
Ci siamo posti, in questi anni novanta, una domanda essenziale. Ce la siamo posta a livello teorico e nel contesto del nostro lavoro. La domanda è: può un’istituzione teatrale operare seguendo logiche eretiche, non-istituzionali? Può una compagnia che dirige due teatri lavorare mantenendo e anzi arricchendo la propria identità corsara? C’è modo e modo di essere corsari. C'è quello dell'artista solitario, che vive la scena con tempi e ritmi propri, alieni dalle logiche del mercato e della produzione. Può aver ottenuto segnalazioni e premi, e avere un certo nome, o può essere ancora uno sconosciuto: se è davvero corsaro, lo è in entrambi i casi, senza bisogno di patenti. C'è quello del piccolo gruppo, piccolo per il numero delle persone che lo compongono, ma capace di opere radicali: appartato, come un'isola, sfida l'interiorità dello spettatore, e mette alla prova quotidianamente la propria possibilità di sopravvivenza. C'è quello dell'attore che lavora negli stabili e nei grandi circuiti, la cui recitazione però, a differenza degli impiegati che gli si agitano attorno, conserva e alimenta il fuoco di una segreta, personale presenza. E infine c'è quello di chi costruisce la propria identità costruendosi come Teatro, ovvero come intreccio tra creazione di opere , ospitalità, progetti: luogo deputato nella città. Quello di chi si misura con la polis, con il territorio si diceva una volta, con la Terra vorrei dire io oggi, sconfinando nel simbolico e facendo un po’ la voce grossa.

2. La scommessa di Ravenna Teatro è quella di uno stabile corsaro.
Uno stabile che corre, alla lettera! Uno stabile in movimento! Non un carrozzone fermo, impantanato, lottizzato come ce ne sono tanti. Ma una casa del teatro: fuorilegge. Fuori dalle leggi mortali della noia, del teatro come museo di cere, del potere ai mestieranti.

3. L’energia delle origini.
Nel 1991 il Teatro delle Albe e la Compagnia Drammatico Vegetale hanno dato vita a Ravenna Teatro e il Comune di Ravenna ha affidato alla nuova struttura la direzione artistica dei due teatri della città. Siamo passati dalla forma gruppo (piccola famiglia d’arte) alla forma Stabile (che noi intendiamo come grande famiglia d’arte). Tale passaggio non è stato, e non è ancora, privo di pericoli. Ogni crescita ne ha. Avere la direzione artistica di entrambi i teatri comunali poteva, e può ancora, risolversi in una trappola: nessun filtro magico ci difende dal rischio di diventare dei burocrati, di perderci nella complessità della macchina organizzativa. E' un rischio che abbiamo voluto affrontare: è un rischio che ci tiene svegli ogni giorno, vigili.
Nietzsche ha scritto: "Vogliamo aggrapparci coi denti ai diritti della nostra giovinezza e non stancarci di difendere nella nostra giovinezza il futuro contro gli assalitori delle immagini del futuro." Forse queste parole possono suonare altisonanti e retoriche, a me sembra che mirino dritte al cuore: al cuore del teatro come dell'esistenza. Solo se teniamo accesa in noi una luce fertile e vitale, che Nietzsche chiama giovinezza, che Copeau definiva "l’energia delle origini", solo così possiamo costruire. Quello che ci fa vivi non è il lavorare in un sottoscala o in un teatro con i velluti: quello che ci fa vivi è l'energia della nostra presenza. Esserci. Bruciare.
(Anche se, nove volte su dieci, l'energia corre più forte in un sottoscala.)

4. La casa del teatro a Ravenna sono due: Alighieri e Rasi.
Quando il Comune di Ravenna ci ha proposto di prendere in mano i teatri, abbiamo ritenuto che occorresse un salto di mentalità: pensare al complesso delle nostre attività in relazione alla città intera. La città è l'insieme dei diversi pubblici che la compongono. Fin da subito, abbiamo ragionato in termini di dialettica tra le attività da svolgere all'Alighieri, Teatro di Tradizione, e al Rasi: due occhi vedono meglio di uno. L'Alighieri è rimasto il luogo deputato alla cosiddetta "stagione di prosa": abbiamo lavorato in questo teatro cercando di definire cosa sia la Tradizione oggi, nel contesto dei linguaggi di fine secolo, escludendo dall’ Alighieri i prodotti ‘televisivi’, e intrecciando i lavori di chi, nelle diverse generazioni teatrali, da Strehler a Ronconi a Leo a Moni Ovadia ai Teatri Uniti, sa cosa sia un palcoscenico. La città ha risposto con entusiasmo, e c’è stato un significativo ricambio di spettatori, con l’acquisizione di nuove fasce di pubblico giovanile. Questi risultati si sono poi integrati al lavoro fatto al Teatro Rasi, fucina del nuovo, luogo di invenzione e di ricerca, cantiere in cui non abbiamo pensato in termini di pubblico ma in termini di spettatori critici, lucidi, consapevoli, autori. Le migliaia di abbonati all'Alighieri vanno benissimo, ma se al Rasi parallelamente non coltivassimo i laboratori per le scuole, gli incontri con le nuove generazioni teatrali, gli intrecci con la musica e altre discipline, le stagioni di teatro ragazzi e di teatro contemporaneo, i progetti speciali come Le vie dei canti, Il linguaggio della dea, il Dialogo della città con le sue energie, se non coltivassimo ogni giorno l'arte dello spettatore, anche il più sbandierabile aumento di abbonamenti non avrebbe senso. Il senso è quello di una ecologia teatrale: due occhi (due teatri) vedono meglio di uno. Il senso è restituire alla scena quello che le spetta: luogo vitale di ebbrezze e visioni, in relazione affettiva e critica con la polis. E se dico polis non intendo un’astrazione storica: so bene che viviamo nell’epoca dei grandi media e delle metropoli, nell’epoca del virtuale, ma se dico polis intendo realtà fisiche visibili. Facce. Le facce dei trecento adolescenti che a Ravenna partecipano ai laboratori nelle scuole medie superiori:, dai licei agli istituti tecnici: le conosco tutte. Fanno parte della mia vita di regista , di direttore artistico, di scrittore, così come le facce di tanti ateniesi erano parte viva dell’immaginario e della scrittura di Aristofane. Io amo questo rapporto carnale tra autore e spettatore, che non è in questo caso solo un rapporto tra autore e spettatore, perché con questi adolescenti costruiamo insieme eventi scenici sorprendenti. Giochiamo, affrontiamo il tutto con la stessa vitalità che richiede una partita di calcio, un concerto rock.. Il palco si fa luogo di energie sporche, furibonde, non accademiche, la vita irrompe nel tessuto dei testi antichi, li attraversa senza rispetto, e il linguaggio fisico della scena diventa per chi se ne impossessa più esaltante di un videogame. Le oscenità della commedia antica o i lirismi di Shakespeare rivivono sulla bocca dei quindicenni come lezioni di nuovo teatro, per me e per gli spettatori che le ascoltano. Io amo tutto questo, credo che contenga un segreto essenziale del teatro. Ma forse questo è possibile solo in realtà medio-piccole, circo-scritte, città come Ravenna coi suoi 130.000 abitanti (130.000 come gli abitanti, schiavi compresi, dell’ Atene del V secolo)? Negli ultimi tempi si è parlato di Romagna felix, per la ricchezza che questa terra ha espresso in termini di nuove generazioni teatrali: credo che questo sia in gran parte dovuto a come le tre realtà storiche della ricerca anni 80(Teatro delle Albe, Valdoca, Raffaello Sanzio) si sono spese fisicamente, quotidianamente, attraverso scuole, incontri, collaborazioni, con i tanti giovani che formano oggi le più agguerrite squadre della ricerca anni 90. Non una filiazione, ma un intreccio di biografie, di opere e di percorsi, che ha fatto della nostra regione un esempio efficace e fermentante di ‘coltura teatrale’.

5. Sto parlando, dall'inizio, di corse e corsari.
Quando dico corsaro non intendo il polemista in senso pasoliniano: intendo una capacità di movimento reale nell'universo finto, atrocemente immobile, in cui la Storia ci ha destinati a vivere. Intendo l'essere davvero di corsa. Provo a spiegarmi meglio. Insieme al Kismet Opera di Bari realizzamo, tempo fa, un progetto a due voci dal titolo: Silenzi Corsari. A due voci perché legava insieme due case del teatro, due città, due Italie. Il titolo non inganni; non era un progetto su Pasolini. Era un'altra cosa, Silenzi Corsari: era il provare a interrogarsi, in questi anni novanta, su che cosa resti, impigliato in una palude di detersivi giochi a premio varietà calciatori risse nei salotti televisivi politicanti ladri buffoni che fanno i filosofi e filosofi che fanno i buffoni, del senso della testimonianza intellettuale, quello per cui Pasolini e altri hanno speso un’esistenza. L'intellettuale? Esiste ancora? Dov'è finito? Dove s'è nascosto? L'hanno cacciato? O si è sotterrato? E' visibile solo nelle antologie scolastiche? E' una parola -fossile, residuo di un'epoca geologica che non esiste più? E noi, che spendiamo la vita sul palcoscenico, non siamo anche noi parte di questa razza in estinzione? E ancora: cos'è oggi lo scandalo? I media si nutrono di scandali: piccoli, grandi, deprimenti, ridicoli. Per apparire, quindi essere, devi gridare, scalciare, sgomitare: altrimenti non ci sei, il copione non ti prevede. Cos'è lo scandalo, oggi che, come dice Alda Merini, 'la cosa meno scandalosa è lo scandalo'? Cos'è lo scandalo, oggi che un intero sistema, politico ed economico, è scandalosamente alla deriva? Dobbiamo urlare? Ma urlare dove? Quando? Nelle orecchie di chi? E il teatro, la barchetta di legno su cui poggiamo i piedi, ha ancora voce in capitolo? O è muto da un pezzo? Domande enormi, politttttttiche, per le quali avevamo e abbiamo solo mezze risposte, insufficienti. Una convinzione ci sorreggeva e ci sorregge: è necessario, per sopravvivere, saper praticare il silenzio, una forma attiva, personale, meditata, di silenzio: non rifugiandoti tra i monti, ma restando in città, dentro al Grande Rumore, creandoti una tua silenziosa disciplina di lavoro, in modo da riuscire a sentire la tua voce, prima di tutto, e poi anche quelle degli altri. Se sentirai le voci in mezzo al Grande Rumore (mica quelle dei santi: almeno quella del vicino, per cominciare), allora forse sarai sulla strada giusta, e potrai cominciare a muoverti, ma sì, a correre e creare, e solo allora il tuo sarà diventato un vero silenzio corsaro.

6. In Ravenna Teatro convivono le differenze: non c'è uno stile unitario.
Dentro Ravenna Teatro lavorano due compagnie, il Teatro delle Albe e la Compagnia Drammatico Vegetale: lavora un collettivo di artigiani che talvolta preferisce creare insieme, talvolta preferisce articolarsi in sentieri personali e differenti. Che cosa può chiedere la direzione artistica a tutti questi che lavorano e sudano nella casa del teatro ravennate? Niente e Tutto. Niente, perché ognuno deve avere il diritto di sbagliare in santa pace e piena autonomia, compreso il direttore artistico, scommettendo sulla propria pelle e sul proprio stile. Tutto, perché la scommessa di Ravenna Teatro è quella della fertilità della scena, della magia bianca della scena, del dialogo incessante con le ceneri degli antenati, da Aristofane a Artaud. Chi non è così spiritato da non saper parlare con i morti, verrà cacciato da Ravenna Teatro! Compreso il direttore artistico!

7. Casa in relazione ad altre case.
Della vicinanza con il Kismet di Bari, ho già detto. Ma sono anche altre, le case del teatro a cui ci sentiamo vicini: da Asti a Padova, da Settimo Torinese a Cagliari, da Bologna a Cesena a Popoli attraversano la penisola, e sono i luoghi di una geografia di resistenza teatrale. Che c'è, ben viva, in Italia, in Europa, nel mondo, a dispetto di chi ritiene l'arte scenica un museo addomesticato. Piccola geografia planetaria, che chi ha la ventura di percorrere con i propri spettacoli può verificare anche oltre confine. L’ anno scorso siamo stati invitati a rappresentare Siamo asini o pedanti? a Mulheim, ospiti del Theater an der Ruhr diretto da Roberto Ciulli, regista-filosofo emigrato in Germania trent'anni fa. Anche al Theater an der Ruhr, stabile corsaro nella nazione dei Grandi Stabili Pubblici (per come accoglie gli spettatori, per come inventa il rapporto con la città, per come costruisce cultura teatrale, per come sono all'interno le relazioni tra le persone - persone, non ruoli - e infine anche per gli spettacoli che produce), ci sentiamo vicini, nonostante i chilometri. Una geografia di luoghi differenti, accomunati dalla passione viscerale per il teatro, la malattia di chi continua a vedere nel rituale della scena qualche cosa di necessario, appunto, come le viscere. Eugenio Barba ha definito questa malattia con parole limpide, e con tali parole mi piace concludere qui il mio intervento.
"Quando ci guardiamo attorno e confrontiamo il nostro mestiere con le tecnologie del tempo, o quando confrontiamo le nostre piccole cerchie di spettatori con i pubblici dei mass media, ci sentiamo arcaici. Il teatro ci appare come le vestigia di un'epoca. Se poi confrontiamo queste vestigia così come sono con l'immagine di ciò che furono, lo sgomento aumenta. Il rituale è vuoto. Che cosa vuol dire "rituale vuoto"? Che è insensato, caratterizzato dalla mancanza di valori, qualcosa di degradato? Il vuoto è assenza ma anche potenzialità. Può essere l'oscurità di un crepaccio. Oppure l’immobilità del lago profondo da cui emergono segni di vita inattesa."


Marco Martinelli
autore e regista del Teatro delle Albe
direttore artistico di Ravenna Teatro


 


 

La nascita di Teatri Uniti
(1988)
di Teatri Uniti (Falso Movimento, Teatro dei Mutamenti, Teatro Studio di Caserta)

 

Teatri Uniti è un laboratorio permanente per la produzione e lo studio dell’arte scenica contemporanea, nasce dall’incontro di Falso Movimento, Teatro dei Mutamenti e Teatro Studio di Caserta e dalla analisi comune compiuta sulla necessità di superare lo statuto e la condizione di “gruppo” in una realtà sociale, culturale e politica profondamente diversa quale è quella che si annuncia con gli anni Novanta. La trasformazione del sistema teatrale, del rapporto tra gli artisti e i teatri, è dovuta da un lato alla sparizione del fronte che negli anni in cui i gruppi sono nati divideva ufficialità e sperimentazione,dall’altro alla presa di potere “in progress”, cioè autodivorante e indistruttibile da parte dei mass media. Nei dieci anni in cui sono stati gruppi, Falso Movimento, Teatro dei Mutamenti e Teatro Studio di Caserta hanno affrontato di petto questo passaggio vorticoso che così profondamente sta mutando la nostra cultura, guardando da posizioni diverse a uno stesso orizzonte, sul luogo e sul tempo che sono al di là di questo passaggio. Si sono immersi cioè nell’universo dei media per tenere vivo dentro di essi la forza del teatro e per arricchirsi di un bagaglio linguistico nuovo, di un lessico che permetta il rapporto e il confronto con questo universo.
Ora, Teatri Uniti alza una barriera nei confronto di un sistema teatrale confuso che fa della confusione una forza distruttiva: Teatri Uniti intende progettare e produrre senza limiti formai, senza remore ad affrontare campi ritenuti dominio ella convenzione (la drammaturgia e l’interpretazione del testo) così come senza timore nell’approfondire pratiche oggi sempre meno protette dalla mentalità aggressiva del sistema teatrale (il laboratorio, e la ricerca rivolta al proprio interno, lontana dai facili consensi e dal chiasso dell’informazione). Il teatro come inesauribile macchina civile e cuore vivo di ogni progresso è l’orizzonte comune a cui guardano gli uomini che formano Teatri Uniti, tutti presenti con l’individualità del proprio lavoro e al tempo stesso con la coscienza della funzione collettiva di ogni autentica esperienza teatrale; ed è sempre in questo orizzonte che si prospetta l’incontro, teorico e produttivo, di artisti e studiosi esterni che possano portare il proprio contributo.
Teatri Uniti non è catalogabile in nessun settore produttivo: ripensa al rapporto con la propria città, Napoli, e per lei progetta un teatro pubblico che rinnovi, non che conservi; organizza le proprie compagnie di giro e insieme determina iniziative legate a un solo spazio, è proiettata sia verso l’interiorità dello studio, che verso il capo aspetto del confronto con lo spettatore. Il confuso sistema sociale in cui ci troviamo, usa l’autolimitazione di ogni membro “diverso” per neutralizzarlo, catalogarlo e immetterlo nella propria orbita; non c’è modo, forse, per sfuggire a questo meccanismo, che non sia quello di percorrere senza limiti e senza sosta il territorio che si ha intorno, tenendo sempre ben stretto nel pugno il centro da cui ha origine la corsa, il fondamento del proprio teatro. All’universo delle divisioni e dei frammenti Teatri Uniti contrappone l’utopia dell’unione dei teatri, della ricomposizione dei mosaici, della volontà, ancora viva, di decifrare e cambiare quel che il teatro riflette.
Teatri Uniti da «il Patalogo 11», Ubilibri, Milano, 1988)


 


 

Il sostegno di uno spabile a una giovane compagnia
Rapporto tra Teatro Stabile di Genova e Progetto u.r.t.
di Paolo Zanchin

 

La Compagnia teatrale PROGETTO U.R.T. srl, formata da attori diplomatisi all ‘Accademia d’Arte Drammatica del Teatro Stabile di Genova, nasce nel 1999 anche grazie al "tutoraggio" del Teatro Stabile di Genova.
Il "tutoraggio" era una sorta di appoggio istituzionale, da parte di un Teatro Stabile ad una giovane compagnia autonoma, che serviva come garanzia per il riconoscimento ministeriale della compagnia stessa. Grazie al tutoraggio la compagnia accedeva ai finanziamenti pubblici triennali all’interno dell’allora esistente Progetto Giovani.
Il Teatro Stabile di Genova ha inoltre aiutato il Progetto u.r.t. nel 2001 co-producendo lo spettacolo "Schweyk nella seconda guerra mondiale" di B. Brecht e nel 2003 sempre co-producendo lo spettacolo "Mojo Mickibo" di Owen Mc Cafferty.
Altre forme di collaborazione tra Progetto u.r.t. e Teatro Stabile di Genova si sono sempre verificate negli anni: il Progetto u.r.t. è sempre stato inserito nei cartelloni di prosa dello Stabile; diverse volte ha utilizzato i costumi di proprietà dello Stabile stesso e ha sempre utilizzato, nei giorni prima del debutto, una sala prove a Genova a titolo gratuito.


 


 

Scenario: un progetto
Progetto Scenario e "incubatore d’impresa"
di Stefano Cipiciani

 

L’Associazione Scenario è nata nel 1987, allo scopo di valorizzare nuove idee, progetti e visioni di teatro, in particolare di giovani artisti, individuando nel rapporto fra le generazioni e nella trasmissione dell’esperienza i fondamenti per la vitalità e lo sviluppo della cultura teatrale. Negli anni l’Associazione ha raccolto nuove adesioni, fino a contare attualmente 35 strutture associate, ampiamente distribuite sul territorio nazionale e appartenenti in particolare all’ambito del teatro di innovazione (storicamente rappresentato dalle aree del "teatro ragazzi" e della "ricerca").
In questo quadro si è inserita la principale attività dell’Associazione, ossia il PREMIO SCENARIO, iniziativa nazionale con scadenza biennale che ha trovato il sostegno dell’Ente Teatrale Italiano, copromotore del Premio fino alla sua settima edizione.
Il Premio, che nel 2003 giunge alla sua nona edizione, si rivolge ad artisti esordienti, gruppi di recente formazione, soggetti che abbiano intrapreso un nuovo percorso di ricerca. Articolato in varie fasi, che corrispondono ad altrettanti momenti di incontro, scambio e confronto fra organizzatori e partecipanti, il Premio seleziona progetti originali e inediti destinati alla scena.
Raccogliendo soci in ogni regione d’Italia, l’Associazione Scenario può contare su una struttura articolata su scala nazionale e dotata di organismi operativi (le Commissioni zonali) attivi sul territorio, che svolgono un attento lavoro di osservazione e monitoraggio del nuovo, attraverso momenti di incontro, sostegno e verifica dei progetti elaborati dai giovani artisti.

Nelle prime edizioni il Premio ha rappresentato soprattutto uno stimolo e un incentivo. Un’occasione, anche per giovani che forse non avrebbero altrimenti fatto teatro, per inventare un progetto e lavorarci. Ai suoi esordi, il Premio - oltre a raccogliere giovani di certo già conquistati al teatro - ha soprattutto seminato nuovi, utili contagi.
Da qualche anno a questa parte, in un diverso contesto storico, il Premio più che un incentivo rappresenta una risposta alla straordinaria necessità di teatro nuovamente emergente e alla quale è stato (ed è) sempre più difficile dare risposte istituzionali. E’ significativo considerare che molti degli artisti e delle compagnie più interessanti nel panorama della ricerca contemporanea sono passati attraverso il Premio Scenario, trovandovi un contesto di accoglienza e confronto e, in molti casi, l’opportunità che altrimenti non avrebbero avuto.
Alcuni nomi: Scena Verticale, Carlo Bruni (Area piccola), Gigi Gherzi, Roberto Corona, Miriam Bardini, Lelia Serra, Teatro dei Sassi, Mariano Dammacco (Iapigia Teatro), Davide Iodice (Liberamente), Nuova Complesso Camerata, Anna Redi, Alma Rosè, Erbamill, Teatro delle Ariette, Domenico Castaldo, Patrizio Dall’Argine, Davide Enia, e – soprattutto – Compagnia Sud Costa Occidentale di Palermo, vincitrice dell’ultima edizione del Premio, con lo spettacolo Mpalermu che è stato salutato come una delle espressioni più significative della scena contemporanea giovanile (e non solo).

Per quantificare qualche dato: nel corso delle passate 8 EDIZIONI DEL PREMIO, l’Associazione Scenario ha vagliato oltre 1.000 PROGETTI, dei quali più di 300 sono stati presentati pubblicamente durante le varie tappe; circa 80 sono stati i progetti finalisti, presentati di fronte a un qualificato pubblico di critici, studiosi, operatori, artisti.

Se poi si considera che ogni progetto raccoglieva mediamente 3 o 4 artisti, va aggiunto che dai 3 ai 4.000 giovani hanno dialogato e si sono confrontati in questi anni coi soci di Scenario, ossia con persone di teatro delle generazioni precedenti, e che quanti di loro sono stati selezionati per le tappe (attorno a un migliaio) e per le finali (dai 2 ai 300) sono stati visti da Osservatori critici e Giurie formati dai più significativi artisti, critici e studiosi sul territorio nazionale, coi quali hanno avuto in tutti i casi colloqui e scambi, e alcune volte hanno costruito relazioni destinate anche a durare nel tempo. (Hanno fatto parte dell’Osservatorio critico e della Giuria di Scenario, fra gli altri: Marco Baliani, Riccardo Caporossi, Giancarlo Cobelli, Laura Curino, Pippo Delbono, Raffaella Giordano, Sandro Lombardi, e, fra i critici e studiosi, Antonio Attisani, Antonio Calbi, Stefania Chinzari, Sergio Colomba, Piergiorgio Giacchè, Gerardo Guccini, Renato Palazzi, Andrea Porcheddu, Paolo Ruffini, Cristina Ventrucci, Nicola Viesti).
Scenario lavora nel territorio che precede la formalizzazione della ricerca: accoglie progetti che non sono ancora diventati teatro, ma che appartengono a necessità e linguaggi in via di esplorazione. Vocazione prima di Scenario è perciò quella di documentare e comprendere – oltre che selezionare e premiare – le diverse modalità di avvicinamento al teatro da parte delle giovani generazioni. A questo scopo l’Associazione ha inteso sviluppare il rapporto fra le Commissioni zonali e i partecipanti, attraverso momenti di incontro, sostegno e verifica, non limitati alla fase di selezione, ma protratti lungo tutto il percorso di elaborazione dei progetti.
Le Commissioni zonali, che riuniscono le strutture socie di Scenario, e sono perciò distribuite su tutto il territorio nazionale sono attualmente otto: due in Puglia-Lazio-Campania; tre in Liguria-Lombardia; una in Emilia Romagna; una in Toscana; una in Piemonte-Umbria-Abruzzo-Sardegna.

Alle Commissioni zonali spetta il compito di raccogliere le domande di partecipazione (costituite da una scheda di presentazione del gruppo o dell’artista; una scheda illustrativa del progetto; una scheda introduttiva specificante le ragioni di partecipazione al Premio) e quindi di gestire la fase "Istruttoria", lavorando in tre momenti: valutazione delle proposte pervenute; convocazione e colloquio con tutti i candidati; eventuale incontro (a discrezione delle Commissioni) con i candidati per una breve visione (anche di pochi minuti) del processo di lavoro.
Nei mesi successivi al Premio le Commissioni zonali hanno l'impegno di accompagnare i 4 progetti vincitori fino alla realizzazione dello spettacolo compiuto.
Al di là degli esiti del Premio, le Commissioni zonali continuano a porsi come referenti dei giovani artisti presenti nel territorio, seguendo gli eventuali percorsi e sviluppi dei progetti che non necessariamente hanno superato le varie fasi di selezione.

Altro organismo del Premio è l’Osservatorio critico, formato da quattro membri esterni all’Associazione (critici e studiosi di teatro), dal vincitore della precedente edizione del Premio e da una decina di rappresentanti di Scenario. L’osservatorio critico ha il compito di selezionare i progetti partecipanti alle tappe di selezione. I lavori dell’Osservatorio critico prevedono momenti di scambio collegiale e di incontro con gli artisti concorrenti. Ultimo organismo ad entrare in campo è la Giuria, che valuta i progetti finalisti (sempre nel tempo massimo di 20 minuti) e incontra i partecipanti allo scopo di approfondire i contenuti artistici dei progetti.
La Giuria assegna 1 premio al miglior progetto, e 3 segnalazioni speciali. Per quanto riguarda la nona edizione (appena bandita), si prevede di attribuire un premio di 8.000 euro al miglior progetto come incentivo alla produzione dello spettacolo compiuto, mentre sono ancora da definire le entità delle tre segnalazioni speciali.
Il progetto premiato e i 3 segnalati costituiscono la Generazione Scenario.
L’articolazione del progetto biennale prevede che alla Generazione Scenario siano dedicate iniziative specifiche in diverse zone d’Italia a partire dal debutto dei progetti in forma di spettacoli compiuti.


 


 

Un progetto di formazione continua in rete per le arti dello spettacolo
I Cantieri dello spettacolo della Regione Puglia
di Roberto Ricco

 

Introduzione
Il progetto Cantieri dello spettacolo nasce in un momento di grande consapevolezza delle necessità e dei limiti alla crescita organizzativa da parte delle strutture storiche del teatro pugliese e di forte sviluppo di nuove realtà di buon valore qualitativo. Realtà che abitano centri minori ma che dialogano intensamente con le organizzazioni storiche.
In secondo luogo l’endemica ridotta capacità di spesa delle amministrazioni locali e una conoslidata tradizione di lavoro nell’ambito socioeducativo hanno determinato una capacità delle strutture teatrali ad aggiungere al tradizionale ambito del teatro una serie di attività sostenute da altre fonti economiche (fondi U.E., fondi della scuola, dei servizi sociali, per la formazione professionale) e di un conseguente dialogo con le dirigenze dei relativi uffici amministrativi. Questo dialogo "trasversale", una sempre maggiore dimestichezza con i problemi della formazione, alcune precedenti esperienze sia di lavoro comune che di approccio imprenditoriale ai temi dell’organizzazione per la cultura, sono alla base della nascita del progetto.
La filosofia su cui si basa il progetto può essere riassunta in tre temi fondamentali:
- cercare fuori dalla Puglia quelle esperienze organizzative qualitativamente elevate e riprodurle in loco (benchmarking, per usare un termine d’impresa) con gli adeguati adattamenti (docenti come consulenti)
- rinnovare i contenuti e le pratiche di alcuni aspetti dell’organizzazione della cultura attraverso l’apporto di figure di esperti esterni al settore ma sensibili ai temi della cultura. Attraverso questo dialogo cercare di rinnovare schemi organizzativi che nel nostro settore risultano in forte ritardo rispetto al panorama generale
- attivare le capacità di autoapprendimento delle organizzazioni attraverso modelli di lavoro formativo autonomo e condiviso (i cantieri) e valorizzare le competenze acquisite dalle strutture negli anni precedenti.

Presentazione sintetica del progetto Cantieri dello Spettacolo Cantieri dello spettacolo è ad oggi la più importante esperienza italiana di formazione continua nel settore dello spettacolo. Il progetto si caratterizza per la sua dimensione, per l’articolazione della proposta formativa e per l’innovatività dei modelli di formazione.
Il progetto nasce in Puglia e vede coinvolte cinque realtà teatrali protagoniste del rinnovamento della scena regionale e nazionale negli ultimi venti anni, sostenute da una struttura di formazione, l’ associazione Polimnia, la compagnia teatrale Cerchio di Gesso – Foggia, la compagnia teatrale Crest – Taranto, la compagnia Granteatrino – Bari, i cantieri teatrali Koreja, teatro stabile di innovazione – Lecce e il Teatro Kismet OperA, teatro stabile di innovazione - Bari

Il progetto è finanziato dal programma di Interventi di promozione di Piani Formativi aziendali, settoriali e territoriali di formazione continua dell’Assessorato alla Formazione Professionale della Regione Puglia in attuazione della Legge dello stato 92/2000.

Le principali dimensioni dei Cantieri
- cinque imprese in rete per un totale di 90 occupati nei settori artistico, tecnico, gestionale e amministrativo
- 75 persone coinvolte nei percorsi di formazione
- 950 ore di formazione nel corso di sedici mesi
- 26 differenti moduli formativi
- 2 attività di bilancio di competenze per 75 persone
- 2 incontri informativi pubblici
- sviluppo di un sito web

Gli ambiti tematici dei moduli formativi:
- comunicazione e marketing
- sviluppo di software gestionali
- competenze creative a supporto del lavoro tecnico (luce, suono, scena)
- nuove tecnologie nel settore tecnico
-sviluppo di nuovi modelli di gestione amministrativa, del personale, dell’organizzazione
- sviluppo software di gestione e del botteghino
- progettazione, networking e fund raising in ambito europeo
- promozione culturale in relazione ai progetti di produzione teatrale
- formazione degli spettatori

Per la prima volta verrà sperimentato il modello dei Cantieri, un project work, che trasforma un percorso di ricerca e produzione teatrale in un grande laboratorio di apprendimento destinato alle diverse figure professionali: artistiche, organizzative e tecniche.

Cantieri dello spettacolo è stato avviato nel mese di dicembre 2002 per terminare nel marzo 2003.

I rapporti con le istituzioni
Se la crescita di consapevolezza e dialogo delle imprese teatrali raggiunge risultati positivi in termini di beneficio per la popolazione e il territorio, anche le Pubbliche Amministrazioni dovranno poter trovare forme di collaborazione più ampia per garantirsi migliori risultati nell’azione pubblica.
Oltre allo spettacolo e alla crescita dei livelli di cultura si tratta di benefici che toccano competenze sociali, educative e di sostegno allo sviluppo.
Questo ruolo a più ampio spettro costituisce una caratteristica comune a molte delle organizzazioni e imprese che agiscono sul territorio. Questa omogeneità pone un quesito sull’esistenza di un sistema di imprese culturali che va osservato e valorizzato nell’offerta di collaborazioni di maggiore peso e ampiezza.
Le forme di queste collaborazioni, gli obiettivi, i modi, pur beneficiando di alcuni esempi, non hanno ancora trovato forme adeguate.
Attorno alle opportunità, gli obiettivi e le forme vorremo concentrare l’ultima sezione del convegno, per riflettere su alcuni esempi, dialogare su un possibile sistema e offrire idee per un più efficace sviluppo futuro.


 


 

Quindici anni di buone pratiche?
La Corte Ospitale: 1989-2004
di Franco Brambila

 

Il centro teatrale La Corte Ospitale, nato nel lontano 1989 dalla stretta collaborazione tra il sottoscritto Franco Brambilla, regista ed attuale Direttore artistico del centro, ed Anna Pozzi, all’epoca Assessore alla cultura e, successivamente, Sindaco del Comune di Rubiera, si caratterizzava fin da subito per un impianto progettuale, artistico ed organizzativo del tutto inusuale nel panorama teatrale dell’epoca:
- l’idea della stanzialità e il desiderio di dare respiro alla ricerca, garantendo agli artisti tempi adeguati di elaborazione;
- l’individuazione, all’interno delle attività programmate, dei diversi ambiti della produzione, della promozione, dell’ospitalità, secondo logiche economicamente sostenibili ma non necessariamente legate alla tirannia del mercato;
- la scelta di privilegiare un approccio interdisciplinare, ben prima che divenisse un incentivo ministeriale (ricordiamo lo spettacolo dedicato al futurismo Sintesi e simultaneità, i lavori condotti con Balestrini, Giuliani e Sanguineti e, recentissimo, La ballata di Franz);
- la volontà di aggregare, nelle residenze, personalità artistiche "affini" su progetti monografici che costituivano il nucleo centrale del lavoro a volte di un intero triennio ( si pensi alla nostra decennale collaborazione con J. Svoboda, ai progetti condivisi con I. Ivo, A. Kaiser, A. Celestini, e il sostegno offerto, attraverso una residenza nell’Ospitale, nell’ottobre di quest’anno alla produzione di R. Sarti e B. Storti La nave fantasma);
- l’attitudine ad articolare la programmazione in settori ed iniziative capaci di alimentarsi e sostenersi a vicenda, ad esempio attraverso un rapporto non strumentale con le scuole con le quali è possibile organizzare momenti di informazione e preparazione all’evento su contenuti articolati in un orizzonte più vasto ed interdisciplinare, che consente una qualificata documentazione e diffusione anche editoriale dell’attività teatrale (rinviamo, a tale proposito al Progetto giovani, che vede ogni anno la partecipazione di qualche migliaia di studenti delle Scuole superiori, o all’iniziativa di educazione ambientale T.E.A-Teatro-Ambiente, destinata alla scuola dell’obbligo, che veicola importanti elementi di conoscenza dell’ambiente, attraverso la fruizione di spettacoli appositamente prodotti per tale occasione e nati dalla collaborazione artistica tra Franco Brambilla e Bruno Tognolini );
- il legame con il territorio, inteso anche e soprattutto come relazione diretta tra l’opera, l’azione scenica e l’ambiente fisico, architettonico, sociale e culturale ove il lavoro si colloca, (tra tutti ci corre l’obbligo di citare l’esemplare esperienza scaturita da una nostra produzione del 1997, SS9 Ulysse on the road);
- la valorizzazione, attraverso l’azione teatrale, di contenitori e luoghi non-teatrali (citiamo, tra gli altri, il progetto di trekking teatrale Il Principio del piacere del 1995 o i più recenti Aqua micans e Apocalisse infinita) la scommessa, vinta, di poter contare sulla mobilità di un pubblico disposto a seguire un’offerta culturale realizzata in provincia, purché coesa e coerente, in qualche misura innovativa e diversa rispetto all’omologazione dei teatri circostanti;
- la ricerca, nella stesura dei programmi, di una precisa relazione tra progetto di ospitalità e produzione, ricerca e formazione, documentazione ed informazione;
- il rapporto consolidato attraverso regolari convenzioni ed accordi di programma con gli Enti Locali di diverso livello (Comune di Rubiera, Provincia di Reggio Emilia e Modena, Regione Emilia Romagna) e con le istituzioni culturali, non solo locali o nazionali, ma anche di livello europeo (il nostro centro è socio dell’A.C.C.R, associazione europea che raggruppa le istituzioni culturali che operano, secondo criteri stabiliti da un apposito statuto, in edifici storici restaurati);
- la buona relazione con il mondo dei privati sostenitori (la nostra associazione comprende tra i suoi soci due imprese private, presenti con i loro rappresentanti nel Consiglio di amministrazione, e tra le prime realtà in Italia ha usufruito concretamente delle possibilità offerte dall’Art. 5 del DM 11/4/2001, G. U. 27/07/2001 n. 173 in attuazione dell’art. 38 legge 21/11/2000 n. 342) che rende sostenibile il rapporto tra uscite di bilancio ed intervento statale, che non copre neppure l’importo degli oneri complessivamente versati.
La Corte Ospitale, dunque già nella scelta del nome, ispirato alla denominazione del complesso monumentale cinquecentesco, oggi completamente restaurato, che è divenuto la nostra sede, dotata di sale prova, foresteria, spazi di lavoro, indicava di voler trarre la propria linfa da un impianto progettuale non autoreferenziale, ma al contrario assai articolato, che esprime una specifica attenzione alla cultura del mondo contemporaneo, privilegia l’idea di stanzialità e di identità artistico-culturale attraverso un impianto interdisciplinare che garantisce la riconoscibilità del centro stesso, la continuità del progetto, la sua articolazione in varie fasi per ognuna delle quali sono previsti degli esiti, a volte semplici momenti di incontro, a volte presentazione di uno studio, saldando le peculiarità artistiche a quelle organizzative e realizzative.

Franco Brambilla
Regista della Compagnia Locus Solus e Direttore Artistico de La Corte Ospitale


 


 

Il trasferimento di buone pratiche nel settore della cultura
Il benchmarking come strumento di apprendimento
di Rocchina Romano e Valeria Finamore

 

Abstract
Il settore dei consumi culturali (editoria, spettacolo, arte e turismo) costituisce oggi una delle voci più importanti dell’economia mondiale (Rifkin, 2000). L’offerta di tali servizi incorpora una crescente quantità di valore per il territorio di riferimento. Il "capitale culturale" di cui parla Bordieu (1983) è qualcosa che arricchisce il territorio non solo perché ne accresce l’attrattività e l’identità viste "dall’esterno", ma anche perché la sua crescita è in grado di trattenere il "capitale intellettuale" (…) e di fertilizzare il "capitale sociale", cioè la fiducia alla base del capitale economico (Viceconte, 2003). Il vantaggio competitivo di un’azienda che opera nel settore della cultura è, dunque, strettamente legato al valore che essa riesce a produrre per i propri stakeholder. La crescita di tale valore, inteso come valore socio-economico, è strettamente connessa al miglioramento delle performance aziendali.
Il miglioramento della performance non può essere ottenuto solo con un’analisi introspettiva delle proprie attività (Ceccarelli, Calia, 1995), ma deve essere ricercato analizzando le modalità operative delle realtà aziendali migliori, utilizzando in altre parole le tecniche del benchmarking (1).
L’applicazione di tali tecniche, già ampiamente diffuse nel settore privato (industriale) ed in alcuni settori della Pubblica Amministrazione, costituisce un elemento innovativo nel settore dei beni culturali. Obiettivo del presente lavoro è indagare sulla possibilità di trasferire buone pratiche gestionali nell’ambito delle strutture teatrali. In particolare si procederà allo studio del processo di trasferimento buone pratiche dal Teatro Comunale Borgatti di Cento al Teatro Comunale Gesualdo di Avellino. Il primo, teatro di provincia "schiacciato" territorialmente da importanti teatri di tradizione, si è reso protagonista di un piccolo "miracolo" di crescita economica grazie al ricorso a tre buone pratiche di gestione (Poppi, Masarati, 2003):
- il modello organizzativo-gestionale dell’Istituzione (L. 142/90);
- la metodologia didattica del masterclass;
- la formazione on site.

Lo studio della best practice e del modello di trasferimento ha consentito la formulazione della seguente ipotesi di ricerca: Verificare che il successo del trasferimento di buone pratiche è legato ad alcuni fattori di contesto, in particolare:
- esistenza di una forte sponsorship del vertice rispetto all’iniziativa,
- presenza sul territorio e all’interno dell’azienda beneficiaria del trasferimento di competenze specialistiche (eventualmente da acquisire attraverso processi di selezione e/o formazione);
- forte sensibilizzazione e coinvolgimento degli stakeholder nell’iniziativa.

(1) Il termine "benchmarking" deriva da "bench-mark", termine mutuato dalla agrimensura, che, secondo il dizionario inglese Webster, indica "un segno dell'agrimensore o topografo usato come punto di riferimento stabile, come standard per misurare o valutare qualcosa" (ad esempio, un’altitudine impiegata come riferimento nell'osservazione delle maree).

I WORKSHOP CELEBRATIVO AIDEA GIOVANI
La conoscenza nelle relazioni tra aziende – Venezia, 28-29 maggio 2004

Rocchina Romano
Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento Economia Aziendale
Via Cinthia 26 – Monte Sant’Angelo
081/675080081/675058
roromano@unina.it

Valeria Finamore
Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento Economia Aziendale
Via Cinthia 26 – Monte Sant’Angelo
081/675080081/675058
finamore@stoa.it


 


 

La Respublica di Elsinor
Racconto di una fusione tra teatri in Lombardia, Toscana , Emilia Romagna
di Stefano Braschi

 

Ho voluto intitolare così questo mia breve comunicazione memore di una conversazione a tavola con Massimo Castri che coniò scherzosamente questa definizione di piccola Repubblica di Elsinor volendo ,penso , sottolineare il carattere indipendente e autosufficiente del sistema teatrale che la fusione tra Fontanateatro di Milano , Teatro dell’Arca di Forlì e Aster di Firenze aveva determinato.
Elsinor non è nata da una strategia o da un progetto a tavolino, al contrario si è trattato dell’esito di una condivisione prima tra Teatro dell’Arca e ASTER e poi con Fontanateatro.
Condivisione di cosa?
Non di un progetto artistico in prima battuta (le linee di programmazione e di storia erano troppo lontane tra le tre realtà), quanto piuttosto condivisione della gestione organizzativa ed economica delle nostre imprese affrontando insieme le sfide che la non facile situazione teatrale italiana imponeva.
Credo che alla base del nostro tentativo ci sia stata una fiducia reciproca che liberava il campo dalla paura di scomparire con una propria fisionomia per ognuna delle strutture storiche di partenza.

Alcuni obiettivi e punti di lavoro scaturiti dai primi quattro anni di esperienza:

1) Razionalizzazione dell’organizzazione del lavoro e risparmio di una serie di costi fissi centralizzando varie funzioni e settori : gestione e controllo amministrativo e finanziario, rapporti con le amministrazioni pubbliche, laboratorio scenografico e magazzinaggio, acquisti e gestione dei fornitori e la possibilità di acquisire nuove figure professionali che l’aumento delle dimensioni dell’impresa consentono di sostenere.

2) L’interegionalizzazione è la vera novità del nostro esperimento. Normalmente si è abituati a considerare l’aspetto del radicamento sul territorio solo su base di una unica regione. Essere stabilmente su tre Regioni e tre regioni importanti per il teatro quali Lombardia ,Emilia Romagna e Toscana , significa lavorare sul territorio sapendo che ciò che si fa localmente sta costruendo un circuito nazionale indipendente. Questo nuovo modello di stabilità può essere un piccolo contributo al rinnovamento del sistema teatrale anche in relazione al dibattito su competenze e funzioni tra stato e regioni.

3) Aumento delle possibilità di investimento sia sul piano delle produzioni che sul piano strutturale. Le ultime produzioni di Elsinor nel numero e nella loro qualità non sarebbero state possibili senza il valore aggiunto determinato dalla fusione e così pure la recente ed onerosa ristrutturazione del Teatro Cantiere Florida a Firenze.

4) Mantenere un sano equilibrio tra unità artistica complessiva e autonomia delle singole sedi territoriali consentendo ad ogni Teatro di esprimere una propria immagine distintiva in relazione alla sua storia e al suo rapporto con la città e il territorio.

5) Costruire una modalità di lavoro che sviluppi lo scambio costante di informazioni e di opportunità che lavorare in rete può determinare.


 


 

Tecniche e valori di scambio reciproco fra cinema e teatro
La proposta di "Comedy"
di Claudio Braggio

 

Nella commedia mi piace trovare quell’armonia tra sentimento ed intelligenza che l’ironia sa ben dare, per questo motivo con altri ci stiamo impegnando a dar vita all’associazione culturale Commedia Community, di cui sono l’attuale vicepresidente, che ha quale scopo la promozione del cinema, dell’audiovisivo e del teatro in forma di commedia, nonché di tutte le forme d’espressione artistica che hanno come caratteristica principale l’umorismo.
Le argomentazioni proposte a questo convegno sulle "Buone Pratiche" sono da riferire al percorso delle iniziative denominate "Comedy" e delle future "Giornate sulla sceneggiatura umoristica di Commedia Community" a partire dall’anno 2005.
Stiamo ipotizzando una struttura stabile, che riproponga ogni anno un percorso fatto di progettualità e scambi di idee e sebbene ci stiamo radicando sul territorio della provincia di Alessandria, non vogliamo considerarlo un limite bensì una semplice collocazione geografica necessaria.
Infatti il primo evento vedrà un raccordo con strutture che si occupano principalmente di cinema non soltanto in Italia, ma anche in alcuni Paesi Europei.
Non consideriamo in modo esclusivo la commedia che nasce come cinematografica, ma sarà questo l’elemento di attenzione nelle giornate di studio, nei workshop teorico-pratico per filmakers e negli incontri con professionisti di settore, ovvero gli autori in primo luogo, che si ritroveranno anche con registi, produttori cinematografici e televisivi e dei new media, finanziatori, eccetera.
Luoghi ed occasioni d’incontro per scambiare idee ed esperienze, avendo come modello strutture similari già attive in altri specifici settori, in cui vengono attivati mercati per la ricerca e la proposta di progetti cinematografici (co-produzioni, cessione diritti, vendita sceneggiature, eccetera).
In queste occasioni vengono attuati in particolar modo due percorsi che sono ad un tempo di proposta e di formazione della proposta stessa secondo standard europei, ovvero di messa a punto del progetto (avverto che è necessario avere in mano almeno il trattamento ed aver sviluppato una buona parte della bibbia).
La prima buona pratica che intendo suggerire concerne due metodi di lavoro che vengano adottati in questo genere di mercati, diffusi in Europa, ma che in Italia al momento si limitano agli annuali "Documentary in Europe" che si svolge a Bardonecchia e "Book Film Bridge" che si sviluppa a latere del Salone del Libro di Torino con la particolarità di trattare dei diritti per la trasposizione in film di un romanzo e viceversa.
A questo proposito vorrei suggerire la creazione di un mercato dei diritti o meglio ancora delle idee teatrali, da porre in rapporto di reciproco scambio con editoria, cinematografia, new media, eccetera, quindi sarebbe opportuno avvalersi di strumenti collaudati strumenti quali sono il match-making ed il pitching.
Il "MATCH-MAKING" vuol essere una opportunità offerta ad autori per proporsi formalmente al mondo produttivo essendo formula di collegamento fra la fase creativa e quella della produzione.
Si tratta sostanzialmente di un laboratorio intensivo di preparazione, a cui si accede con progetti specifici, e solitamente dura almeno un paio di giorni sotto la conduzione di alcuni commissioning editors per le opportune revisioni tecniche e di presentazione per la fase finale.
I progetti vengono quindi presentati a registi e produttori in cerca di nuove idee, avviando una sessione plenaria dei partecipanti, finalizzata all’incontro tra autori che si rendendo disponibili per una sessione di domande e risposte, con l’obiettivo di stabilire un contatto con produttori per arrivare ad un primo contratto di opzione sui loro progetti.
"PITCHING" è un’espressione mutuata dal baseball e significa "lanciare la palla", che nel mondo della produzione televisiva e cinematografica si utilizza per definire il lancio un'idea nella speranza che venga raccolta per essere realizzata.
Nella sostanza si sviluppa nel corso di una giornata con la presentazione pubblica di progetti rivolta a società di produzione cinematografica e televisiva, ma è preceduto da un paio di giornate per un laboratorio di preparazione condotto da esperti produttori e solitamente riguarda progetti selezionati.
Presentazione e discussione per ciascun progetto durano mediamente 15 minuti e l’iscrizione considera ogni singolo progetto che s’intende proporre ed è possibile aggregare ad ogni progetto un secondo partecipante in aggiunta al titolare dell’idea.
Lo scopo è quello di presentare progetti strutturati a distributori e finanziatori, nell’intento di stabilire intese di co-produzione o pre-vendita.
La seconda buona pratica che intendo proporre riguarda aspetti che più attengono al gusto e quindi anche ai contenuti delle idee, giacché considero come utile il rapporto il reciproco scambio che talvolta cinema e teatro attuano.
Il miglior terreno di confronto è certamente quello della commedia e quindi della scrittura umoristica, tutt’altro che aliena dall’eventuale trattazione di argomenti di marcata connotazione sociale e/o politica.
Quel che occorre a tutti noi autori sono la buona pratica e la frequentazione, quindi ritengo necessaria l’organizzazione di seminari work-shop che abbiano quale elemento centrale i vari aspetti di questo rapporto fra teatro e cinema che spesso produce benefici effetti per entrambi i settori dell’espressione artistica (basti pensare ai molti titoli che cinema e teatro condividono felicemente in Francia).
Occorre organizzare incontri di lavoro fra sceneggiatori e commediografi, ma sarebbe bene far lavorare insieme autori di cinema e di teatro in progetti comuni.
La formula del workshop offre possibilità di sviluppo pratico, anche nel caso in cui non conduca ad un progetto professionale, ma v’è pur sempre la possibilità concreta di esercitarsi in tutte le fasi produttive che vanno dalla scrittura alla pre-produzione, dalla realizzazione dell’opera all’editing, in modo da comprendere la totalità del meccanismo che accompagna la nascita di un’idea.
Il lavoro di scrittura, revisione, adattamento secondo standard europei avrà la duplice finalità di renderli leggibili ad interlocutori di settore e conformi alle direttive dell’Unione Europea in materia di finanziamento dei progetti cinematografici.
In questi incontri ci si dovrebbe occupare anche del recupero della memoria (ponendo un accento particolare alla cosiddetta "commedia all’italiana") oltre a considerare quanto viene realizzato in Europa in materia di commedia cinematografica, proponendo attenzione ed analisi per mezzo di proiezioni, dibattiti, incontri con autori e produttori (sino all’individuazione di significativi "case histories", quindi progetti cinematografici che hanno ottenuto successo di pubblico e/o di critica, a cui si cercherà di carpire, con la loro collaborazione, i segreti di quel successo).
Il mercato, la circolazione delle idee viene favorita alla scopo di alimentare il mercato con proposte (soggetti, trattamenti, eccetera) aventi la finalità di creare le condizioni per la loro vendita (opzioni, cessione, sviluppo), che sarà pur sempre trattata in modo diretto dai diretti interessati.
Far agire insieme autori di teatro e di cinema sarebbe anche un moto per avviare un dialogo fra culture, da cui si possono attingere spunti per le storie, giacché una delle forme di crisi della cinema e del teatro è appunto quella legata alla creazione, ovvero all’aridità delle cosiddette "vene artistiche", come pure alla mancanza di confronto fra idee, ma soprattutto fra culture diverse.
Intendiamo quindi cercare risposte alla crisi di idee esplorando i territori di confine e di contaminazione non soltanto fra queste due arti, pur dedicando particolare cura all’ambito della scrittura.
Favorendo sempre la concretezza, poiché l’ambizione è quella di veder realizzati i progetti cinematografici e teatrali che saranno oggetto di studio, senza perder di vista quella connotazione culturale presente nella commedia quale strumento di analisi e rappresentazione della società.
Mi avvio alla conclusione del mio intervento col suggerimento della terza buona pratica, con cui esorto autori di cinema e di teatro a tenere in debita considerazione i moderni molteplici aspetti del fare televisione anche dal punto di vista narrativo.
La diffusione dei sistemi di registrazione (DVD) e delle nuove modalità di fruizione televisiva(digitale, satellitare, on-line), ci fanno considerare tutt’altro che balzano il pensiero della creazione di collane dedicate al teatro ovvero di programmi e addirittura di reti televisive tematiche, che magari sfruttano la principale particolarità della televisione ovvero la ripresa diretta.
Mi riferisco in modo generale al digitale terrestre ed alle cosiddette televisioni di strada o similari, ma con spirito pratico sono rivolto al canale digitale terrestre che presto verrà posto in essere a Torino dalla Rai in collaborazione con Università e molti importanti soggetti pubblici e privati.
Una televisione giovane fatta insieme ai giovani ed a loro essenzialmente rivolta, ma senza quelle intermediazioni e particolare cure che usualmente sfoderano quanti pensano che i giovani siano soprattutto una matura e succulenta quota di mercato e non già dei soggetti in fase di formazione culturale.
Nella ricerca di format da sottoporre anche a questa nuova struttura, naturalmente occorre considerare la commedia, teatrale e cinematografica, quale strumento ottimo per l’osservazione della realtà, libera nell’invenzione di soggetti e linguaggi.
Appare così adeguata l’organizzazione di momenti di riflessione, di confronto, di scambio che siano punto d’incontro tra professionalità del cinema e del teatro e della televisione, favorendo la formazione continua e gli scambi culturali soprattutto in previsione dello sviluppo di progetti
I contenuti dovranno essere focalizzati su:
· Drammaturgia, ovvero abilità narrative e struttura del testo;
· Forme di narrazione e la contaminazione fra generi;
· Crescita professionale e informazione per quanto concerne la scrittura;
· Flessibilità culturale e sensibilità ai temi della società;
· Conoscenza delle moderne tecnologie cinematografiche e televisive;
· Conoscenza del mercato europeo;
· Promozione dell’industria culturale europea e internazionale.
Un progetto che si rivolga all’Europa, individuando quei soggetti che operano in modo professionale o intendono farlo come autori, sceneggiatori, commediografi, registi, produttori e impresari, eccetera.
Una buona proposta?
Semplicemente delle buone pratiche?
O piuttosto desideri che il prossimo anno si avvieranno a divenire realtà grazie all’impegno ed alla determinazione nella ricerca del cambiamento, anzi di governo della crisi in atto.
Ecco perché in chiusura di intervento avanzo la proposta di aprire delle filiali riconosciute di questa nascente "Banca delle idee per il teatro italiano", ciascuna con una vocazione ben precisa e quindi che quella cinematografica venga stabilita nel Basso Piemonte ed eventualmente con sede nella Città di Alessandria.


 


 

Una ipotesi di stabilità leggera per le periferie
Teatri di Napoli
di Luigi Marsano

 

Teatri di Napoli è un progetto artistico teatrale permanente cui il Comune di Napoli ha dato impulso nel 2001 individuando luoghi e spazi metropolitani dove poter far nascere vere residenze teatrali, dove artisti e compagnie, con diversa storia e identità, avessero la possibilità di trovare una casa in cui crescere e far vivere la propria ricerca teatrale, aprendosi al territorio e aprendo il territorio a nuove sensibilità.
L’ipotesi - già contenuta nelle linee di programma dell’Amministrazione Comunale di Napoli - prevedeva un forte intervento sulle aree periferiche della città per sottrarle al degrado e riequilibrare il rapporto centro/periferia.
Questa indicazione politica ha permesso all’Assessore alla Cultura del Comune di Napoli Rachele Furfaro di avviare una ricognizione sugli spazi allocati in quattro aree periferiche e di individuare uno spazio nel centro della città che potesse fungere da elemento di raccordo e di centralità di tutto il progetto.
Un regolare bando, rivolto esclusivamente alle compagnie napoletane del teatro contemporaneo e per le nuove generazioni riconosciute dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (ex art. 17 comma b), ha destinato gli spazi accorpando gruppi diversi tra loro per funzioni e specificità.
Ne è venuta fuori la seguente mappa:

· S. Pietro a Patierno, Masseria Luce / gestione: Rossotiziano e Le Nuvole
· S. Giovanni a Teduccio, Granile delle Arti (già Supercinema) / gestione: Libera Mente e I Teatrini
· Ponticelli, Museo Laboratorio Città dei Bambini / gestione: Crasc, La Riggiola e Scena Mobile
·
Piscinola, Auditorium lotto 14B – via Dietro la Vigna / gestione: Libera Scena Ensemble

Inevasa purtroppo la possibilità di reperire uno spazio centrale (Cinema Italia). Ancora oggi la questione è osteggiata dalla Circoscrizione sul cui territorio insiste l’immobile, privando di fatto il progetto di un segmento fondante.
Nei – purtroppo - tempi lunghi delle necessarie ristrutturazioni degli immobili destinati alle compagnie, e della quindi successiva stipula delle convenzioni di affidamento degli stessi, Teatri di Napoli diventa una realtà in divenire che trova diverse forme di presenza e azione nei territori:

· è una stagione regolarmente programmata da 3 anni al Teatro Area Nord di Piscinola (nella sola sala piccola);
· è una palestra di teatro, la Scialoia, e un appuntamento per i più piccoli nella Biblioteca Labriola di S. Giovanni a Teduccio, in attesa del Supercinema;
· è una Masseria del ‘700, in attesa di definitivo ripristino, estemporaneamente abitata da installazioni, laboratori, set cinematografici a S. Pietro a Patierno;
· è un esperimento teatrale di confine, su un territorio di confine, nel Teatro Museo Laboratorio di Ponticelli.

La rete delle stabilità leggere
Teatri di Napoli si è configurato sin dall’inizio come modello partecipato pubblico/privato con una sua originale strutturazione:

· spazi pubblici condivisi da più compagnie associate che mantengono ognuna la propria autonomia progettuale;
· localizzazione periferica delle strutture individuate;
· collegamento al Teatro Stabile Pubblico (Mercadante);
· direzione artistica coordinata su alcuni segmenti di programmazione.

Non si tratta del consueto decentramento ma di una ipotesi ambiziosa di riequilibrio tra il centro e la periferia di un’area metropolitana con la creazione di poli culturali di eccellenza capaci di modificare i rapporti di appartenenza dei cittadini nei confronti del territorio che abitano.
E quello che si tenta di creare in questi luoghi è una presenza costante nei territori, un abitare gli spazi dando vita di fatto a quel distretto culturale che porta necessariamente le compagnie ad agire in sintonia con tutte le altre componenti culturali e sociali presenti sul proprio territorio, dall’associazionismo alla scuola, e ad esserne dal territorio riconosciute ed accettate.
Potrà nascere così una rete di spazi teatrali periferici che, una volta a regime, si configurerà come un vero e proprio circuito “altro”, non alternativo ai circuiti ufficiali, ma semplicemente diverso, perché agito spesso in spazi non canonici, con modalità di rapporto col territorio che non siano solo belle parole da “manifesto programmatico”.
Una rete che manterrà rapporti saldissimi con il centro, lo Stabile pubblico, e le istituzioni, dei teatri in cui sarà bello venire perché vissuti e abitati quotidianamente.
Nello scorso mese di luglio questa rete è stata testata col festival Teatri di Napoli, un appuntamento estivo voluto dal Comune di Napoli e dalle compagnie associate, 4 giorni intensi di spettacoli di teatro contemporaneo e di teatro per le nuove generazioni.
L’idea semplicissima è stata quella di presentare le ultime produzioni teatrali delle 8 compagnie napoletane insieme ad altre 8 novità di gruppi scelti nel panorama nazionale che, per poetiche e pratiche artistiche, fossero al progetto vicini.
Il tutto presentato alla città ma anche e soprattutto a circa 50 operatori/organizzatori che Teatri di Napoli ha ospitato e “scarrozzato” per Napoli in un tour de force teatrale nelle periferie, alla ricerca del teatro inventato nelle palestre, nei cortili, nelle masserie e nelle nostre sedi provvisorie.
In questa prospettiva di lavoro le nostre compagnie si candidano a diventare quelle che ormai chiamiamo compagnie a stabilità leggera, compagnie cioè che si muovono in spazi e con modalità tutte ancora da sistemare e da ridefinire, assoggettate a un sistema di regole concordate esclusivamente con gli enti locali e con le regioni che sono i punti di riferimento più prossimi a questa esperienza.
I punti di criticità:
·
ritardo nella consegna delle strutture
· mancanza di uno Studio di fattibilità a priori
· ritardo nella stipula delle convenzioni
· mancanza di certezza economica nella fase di avvio del progetto
· mancanza di chiarezza, in alcuni casi con le Circoscrizioni.

Lo stato delle cose
Questo che si sta per chiudere è un anno decisivo per la definizione futura del progetto “Teatri di Napoli”. La bozza di convenzione è arrivata alla sua definizione e quindi si potrà procedere alle assegnazioni definitive secondo criteri che riguarderanno le singole strutture.
Presso l’ex Supercinema di San Giovanni oggi “Granile delle arti” si stanno per terminare i lavori di recupero e se i tempi verranno rispettati si potrà cominciare a programmare a partire dal 2005.
Il Teatro Area Nord dovrebbe poter aprire il cantiere per il ripristino della sala grande entro l’estate 2005 avendo avuto approvato un finanziamento per circa 750.000,00 euro dalla Regione Campania e che si dovrebbero rendere disponibili ora che il bilancio regionale è stato approvato.
Il Teatro della città dei bambini è in fase di recupero essendo il cantiere già aperto, ma essendo inserito in un piano di recupero di un’area molto vasta e articolata per la quale si prevedono lavori complessi potrebbe non farcela per il 2005.
Masseria Luce ha ottenuto un finanziamento per il suo recupero, ma vive una contraddizione non risolta con la Circoscrizione, che aveva previsto l’utilizzo della struttura per finalità diverse. (Museo contadino e utilizzo da parte di associazioni territoriali a carattere amatoriale).
Il cinema Italia che doveva nelle intenzioni essere il punto centrale di incontro delle esperienze sviluppate in periferia rimane inutilizzabile, sebbene sia l’unico spazio già agibile, per contrasti con la Circoscrizione che vorrebbe destinarlo a museo della canzone napoletana.


 


 

Sistemi teatrali: competenze, convenzioni, contributi
Il caso bolognese
di Fabio Abagnato

 

Questo testo, recentemente pubblicato dalla rivista “Economia della Cultura”, è stato scritto nel luglio 2003, e ricostruisce lo stato del sistema teatrale bolognese a quella data.
La lettura va quindi contestualizzata in un prima, dove vi erano convenzioni e soggetti differenti, e in un dopo in divenire, con la nuova Amministrazione di Cofferati, ma soprattutto con altre novità nel quadro nazionale e regionale.



SISTEMI TEATRALI :
competenze, convenzioni, contributi

contributo di
Fabio Abagnato
Funzionario del Servizio Cultura – Regione Emilia Romagna
già resp. Ufficio Spettacolo e giovani artisti – Comune di Bologna




Premessa

Il rapporto tra le Regioni e lo spettacolo
non comincia oggi ed ovviamente ha sempre evidenziato differenze territoriali in larga parte esistenti anche oggi.
Già dal 1977, quando furono fatti i decreti delegati 616,617 e 618, si discuteva dello spettacolo e, si prevedeva l’approvazione di una legge nazionale sulla prosa entro il 31 dicembre 1979. Evento irrealizzato, come si sa.

Da lì alcune regioni trovarono lo spazio autonomo per promulgare alcune leggi finalizzate al sostegno del teatro nel loro territorio, leggi approvate soprattutto nella seconda metà degli anni ’80.
Sono proprio gli anni della istituzione del FUS dell’85 e della circolare Carraro dell’88, episodi fondamentali per meglio orientare la nostra azione istituzionale.

A queste aggiungo quello che presenta più analogie con il momento attuale : l’abolizione del Ministero del Turismo e Spettacolo con il referendum del 1993.

Nei convegni del tempo tutti, mentre da un lato pubblicamente auspicavano le competenze alle regioni, dall’altro plaudivano ad una leggina-ponte di Ciampi che collocava il Dipartimento dello Spettacolo alla Presidenza del Consiglio.

E’ lì che si è persa la grande occasione di riparare ai guasti del FUS, ed è da lì che secondo me si è innescata una azione sempre più difensiva dei rappresentanti del mondo del teatro, che ha prodotto categorie sempre meno corrispondenti al ruolo che i soggetti hanno con la progettualita’ del territorio.

Nonostante ciò, sul finire degli anni Ottanta, mentre il FUS diveniva un po’ come Fort Apache, i Comuni, le Province, le Regioni hanno ristrutturato e aperto teatri e spazi produttivi, hanno promosso festival e rassegne, hanno promosso la creatività giovanile, che soprattutto nel campo delle arti visive e della musica può contare su reti nazionali ed internazionali permanenti e di qualità riconosciuta.

Ma soprattutto hanno letteralmente inventato una nuova giurisprudenza tutta da analizzare, costruita sul campo, fatta di trasversalità disciplinari e anche di approssimazioni successive, che in alcune aree del paese è oggi patrimonio consolidato.

Questa azione culturale è nata per evitare che la politica locale fosse subordinata alle storture evidenziate nella distinzione delle categorie e la conseguente distribuzione delle risorse del FUS.

Cosa sarebbe oggi il teatro in Italia senza l’azione degli enti locali?

Le Leggi Bassanini 59/97 e 112/98 hanno già prodotto nuova legislazione regionale ed il panorama è un po’ a macchia di leopardo, con normative e strumenti amministrativi più o meno rielaborati.

Penso per esempio all’ACCORDO come metodo di concertazione istituzionale e di programmazione capace di “contenere” gli effetti del ricambio nelle politiche locali di maggioranze e referenti: uno strumento che può dare stabilità agli operatori senza limitare l’autonomia degli enti locali.



Sul referendum del 2001 è già stato detto molto e molto è da fare, e aver assegnato alle Regioni una competenza legislativa, esclusiva o concorrente che sia, implica l’improbabilità che lo Stato possa andare a definire qualcosa di più di una normativa generale, eventualmente solo sostitutiva in caso di Regioni inadempienti, anche mentre il Parlamento discute le proposte di legge presentate.

Il 2003 sarà probabilmente, e speriamo sia così, l’ultimo anno in cui il mondo del teatro viene regolato in modo uniforme da circolari, regolamenti o decreti ministeriali.
L’obiettivo di arrivare a far corrispondere con una certa veridicità il rapporto tra attività reale sui territori e categorie di attribuzione, e ammettendo per un momento possa essere obiettivo condiviso, non possiamo che ricostruire funzioni e missioni a partire dalle Regioni e dagli Enti locali.
Negli ultimi venti anni abbiamo assistito al proliferare di categorie, articoli, rappresentanze, senza mai analizzare con rigore le missioni che le realtà riconosciute svolgevano nei territori e a partire da questi.

Perciò io ritengo fuorviante la definizione statica di spettacolo come “bene culturale”, anche se piace a molti operatori, che pensano di aver finalmente ricevuto un riconoscimento istituzionale “alto”;
preferisco accodarmi a chi invece pensa che il teatro sia un diritto ed una risorsa, ovvero uno degli elementi costitutivi del Welfare locale e una delle forme economiche di un territorio, più vicina all’economia sociale ad alti contenuti innovativi e meno alle forme tradizionali di produzione di beni e servizi.

Regionalizzare il FUS significa soprattutto questo, enunciare la mission di ogni realtà e verificarne la rispondenza con costi e obiettivi, poi si potranno confutare o meno categorie che sembrano acquisite dal 1985 ad oggi, ma che non parlano ai cittadini che assistono agli spettacoli; il tutto con gradualità e la stretta collaborazione di Regioni, Province e Comuni, che dovranno promuovere leggi chiare, ma soprattutto dovranno dotarsi di professionalità nuove al loro interno, che sappiano leggere i fenomeni culturali coniugando burocrazia e discipline artistiche; e non sfuggendo alle regole basilari della buona amministrazione, e tra queste nel nostro campo, pur nella discrezionalità insopprimibile, la qualificazione della spesa e la trasparenza delle scelte di fondo.


Nessuno dovrà pensare di esportare modelli nel teatro, e neanche denunciare come scandaloso una mancanza di unitarietà che è già nelle cose, semmai c’è la necessità di favorire relazioni orizzontali tra regioni e sistemi teatrali.
Il sistema bolognese si inserisce in questo contesto, e mi auguro il metodo delle approssimazioni successive e quelle che l’Europa ha denominato “buone pratiche”, possano orientare scelte di politica culturale attraverso il confronto continuo tendendo a riconoscere peculiarità e punti di forza del teatro nelle singole regioni.

La geografia teatrale bolognese
La compresenza di grandi teatri ‘di tradizione’ o ‘a vocazione generalista e di importanti soggetti dell’ambito della ‘ricerca’, l’ampia offerta che va dai legami con la cultura ‘popolare’ alla diffusione della cultura teatrale del novecento, fino alle migliori ed innovative produzioni per il mondo dell’infanzia, indicano la rilevanza della scena bolognese nel panorama nazionale.

L’Amministrazione Comunale ha nel corso degli anni strutturato rapporti diversificati con i soggetti operanti sul territorio, rivelando ed esplicitando un unicum culturale per il rapporto tra numero di abitanti e numero di teatri e compagnie attive.
L’importanza della scena bolognese, soprattutto dal punto di vista della produzione, viene indirettamente confermata dall’analisi dei dati riguardanti i soggetti della provincia di Bologna che hanno ricevuto finanziamenti per il triennio 2000-2002 attraverso l’accordo tra Regione e Provincia, in attuazione della Legge Regionale 13/99 “Norme in materia di spettacolo”, dove circa un terzo dell’importo del finanziamento erogato dalla Regione Emilia-Romagna è stato assorbito dalle realtà bolognesi, a conferma della grande vitalità dell’area e dell’alto livello qualitativo dell’offerta.
Anche il Piano triennale 2003-2005 rafforza questo ruolo con un 40% circa della spesa Regioni/Province sulle attività dell’area bolognese.

Rifuggendo per un attimo dalle categorie ministeriali, si può descrivere la geografia teatrale di Bologna secondo differenti modalità, ma se prendiamo il punto di vista dell’ente locale possiamo giungere alle seguenti definizioni :

a) TEATRI COMUNALI
b) TEATRI CITTADINI CONVENZIONATI c)
d) TEATRI ADERENTI A BOLOGNA DEI TEATRI (non convenzionati)
e) COMPAGNIE E GRUPPI


TEATRI COMUNALI
La gestione dei teatri comunali fu modificata sostanzialmente nel 1994, quando furono attivate le convenzioni (della durata di sei anni) per la riapertura (avvenuta nel 1995) e la conduzione dei tre principali teatri di proprietà comunale (Arena del Sole assegnata alla coop. Nuova Scena, Teatro Testoni assegnato alla coop. La Baracca, Teatro San Leonardo assegnato al teatro laboratorio diretto da Leo de Berardinis).
Da allora ad oggi, quindi, questi tre teatri sono stati, secondo le loro diverse specificità, i punti fermi della programmazione teatrale bolognese. Il valore della specificità, della vocazione di ogni teatro, è stato intenzionalmente coltivato dall’A.C., seppure con risultati non definitivi ed unilaterali, al fine di permettere ad ogni realtà di trovare il proprio pubblico:
l’Arena del Sole come ‘teatro popolare ed internazionale’, cioè generalista;
il Teatro Testoni fu dedicato al ‘teatro per ragazzi’;
e il Teatro San Leonardo, infine, fu affidato all’esperienza di un importante uomo di teatro come Leo de Berardinis perché ne facesse un laboratorio permanente per la sperimentazione e la ricerca teatrale.

Attualmente l’Amministrazione ha ridefinito i rapporti con i primi due gestori fino al 2004, confermandone anche le vocazioni culturali ed è impegnata ad individuare una soluzione gestionale per il Teatro San Leonardo.

Il panorama dei teatri comunali nel 1998 si è arricchito con i “Teatri di Vita”, una struttura di proprietà comunale, affidata in gestione, con un’apposita convenzione finalizzata alla rifunzionalizzazione degli spazi, con una concessione dello spazio della durata di 15 anni; è così nato il “Centro internazionale per le arti della scena”, la cui vocazione è quella di offrire uno sguardo verso il teatro-danza contemporaneo, con particolare attenzione al panorama internazionale.
Investimento nel 2003 di circa 926.000 euro.

TEATRI CITTADINI CONVENZIONATI
Accanto ai Teatri comunali si situano, poi, altri teatri cittadini di proprietà non comunale, condotti con continuità artistica e gestionale (di programmazione ed ospitalità) da realtà con le quali il Comune ha avviato specifiche convenzioni, sulla base di scelte rinnovate o modificate nel luglio 2001, con durata biennale o triennale:

1. Eti –TEATRO DUSE
2. TEATRO DELLE CELEBRAZIONI
3. TEATRO DEHON
4. PALCOREALE/Elsinor

Investimento nel 2003 di circa 150.000 euro.


BOLOGNA DEI TEATRI
Le politiche per il teatro si sono arricchite nel 1998 con l’avvio del progetto ‘Bologna dei Teatri’.
L’adesione iniziale al progetto di ben 12 teatri cittadini, oggi saliti al numero di 19, estremamente diversi tra loro per tipologia di programmazione e modalità di gestione, conferma la validità dell’intuizione che sta alla base di una formula in costante evoluzione, basata sull’adozione di un’unica strategia informativa per la promozione dell’offerta e l’incentivazione al consumo culturale.
Grazie al coordinamento da parte dell’ente pubblico, ai teatri partecipanti all’iniziativa viene offerta la possibilità di ottenere una visibilità molto maggiore rispetto agli sforzi dei singoli, ed ai cittadini si garantisce il diritto all’informazione culturale.

L’impegno da parte del Settore Cultura consiste :
· nella pubblicazione e diffusione di 30.000 guide al sistema teatrale cittadino;
· uscite mensili di manifesti/locandine/programmi;
· inserzioni pubblicitarie sui quotidiani a diffusione locale;
· diffusione dei programmi all’interno di biblioteche, circoli, scuole, facoltà, musei, teatri;
· presenza alle fermate dell’autobus;
· mailing diretta a cittadini che ne fanno richiesta.
Investimento nel 2003 di circa 25.000 euro.

‘Bologna dei Teatri’ è anche il quadro in cui si inseriscono le campagne Cartagiovani e ‘L’Età d’Oro’ per gli anziani, attraverso cui il Comune offre a queste fasce di età una tessera per usufruire di forti sconti (compresi tra il 20 e il 50%) nei teatri.
Una conferma di queste iniziative è stata l’adesione ad esse di altri luoghi di spettacolo della città e della provincia anche non compresi nel cartellone di ‘Bologna dei Teatri’.
Un’altra campagna per incrementare la fruizione culturale, e nello stesso tempo l’uso del trasporto pubblico, è frutto di un accordo tra Comune ed ATC, che prevede sconti del 20% ai possessori di abbonamenti ai mezzi pubblici.
La forza dell’iniziativa intrapresa dall’Amministrazione Comunale con ‘Bologna dei Teatri’ risiede nell’idea di trasformare un potenziale punto debole, la segmentazione del panorama teatrale cittadino, talmente ricco da poter risultare disorientante, in un punto di forza, garanzia di un pluralismo di offerte a cui l’utente ha la possibilità di accedere in un unico momento informativo. L’obiettivo raggiunto è dunque di soddisfare ad un tempo le esigenze di visibilità, di interazione con l’istituzione e con il pubblico proprie degli operatori teatrali, nonché le esigenze informative e formative degli spettatori.

Teatri aderenti a ‘BOLOGNA DEI TEATRI’ per la stagione 2002-2003
(oltre ai comunali e ai convenzionati)

1. Fondazione TEATRO COMUNALE (rapporto regolato da una convenzione specifica, con contributo di circa 1.400.000 euro)
2. TEATRO ALEMANNI
3. SALA TEATRO SAN MARTINO
4. LA CASA DELLE CULTURE E DEI TEATRI TEATRO RIDOTTO (spazio di quartiere)
5. TEATRO DELLE MOLINE - T.N.E. (sub-concessione spazio)
6. CENTRO LA SOFFITTA (attività dell’Università)
7. TEATRO DEL NAVILE
8. HUMUSTEATER (spazio di quartiere)
9. EUROPAUDITORIUM - PALAZZO DEI CONGRESSI
10. SIPARIO CLUB ASSOCIAZIONE CULTUTRALE
11. ACCADEMIA 96 TEATRO DEI DISPERSI

In questo elenco permangono soggetti artistici e spazi molto differenti sia per il contesto in cui operano sia per la continuità ed il livello culturale della proposta complessiva, ma è innegabile che attraverso il progetto Bologna dei teatri il Comune è in grado di monitorare la totalità del sistema dell’offerta spettacolare, se si escludono luoghi non esclusivamente deputati e altri spazi di aggregazione giovanile, tipo LINK o TPO.

COMPAGNIE e Gruppi
Esiste a Bologna un panorama variegato e sempre in via di definizione di compagnie, professionali ed amatoriali, nuovi e “storici”, che non gestiscono spazi e che divengono più o meno continuativamente interlocutori dell’Amministrazione attraverso il contesto dei finanziamenti relativi alle Libere Forme Associative, un fondo unico del Comune a cui afferiscono tutte le associazioni cittadine iscritte ad apposito Albo, e la cui destinazione per iniziative culturali ammonta nel 2003 a 250.000 euro.

Tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001 la riflessione sulle giovani compagnie e sul contributo che l’A. C. può dare al loro sviluppo è maturata, portando all’individuazione di un’ulteriore tipologia di convenzione teatrale che potremmo definire di “terzo livello” e che giunge a configurare, appunto, la possibilità di una rapporto innovativo tra l’A. C. e il territorio del nuovo teatro.
Le convenzioni di “terzo livello” finora stipulate sono quelle con Teatrino Clandestino e Laminarie, più alcuni progetti musicali :
per un totale di circa 90.000 euro.


Si tratta di convenzioni biennali “per il sostegno alle attività di compagnie operanti per il rinnovamento della scena teatrale”, che prevedono un finanziamento alle attività del gruppo con un accento posto sul processo creativo e sulla produzione spettacolare, e che si basano sulla convinzione che il sostegno stabile ai progetti culturali, da un lato, debba prescindere dalle attività di gestione e, dall’altro, non possa essere affrontato con la normativa che regola i contributi annuali alle associazioni culturali.

Oltre le convenzioni, i contributi
Le modalità di intervento e sostegno che l’A.C. ha elaborato nel corso degli anni si sono necessariamente diversificate per rispondere meglio allo specifico delle diverse realtà.
Se da una parte, infatti, le convenzioni valorizzano il rapporto tra A.C. e teatri cittadini, i servizi e i sostegni alle attività delle associazioni agiscono per la decisiva trasformazione da emergenza a risorsa del fermento delle realtà giovanili. Solo grazie a queste formula, durante gli anni passati, si è potuto contribuire in modo deciso alla crescita (artistica e produttiva) dei giovani gruppi teatrali bolognesi.

Tra le compagnie nate alla fine degli anni ottanta e nel corso dei novanta, alcune delle più significative sono proprio quelle bolognesi. Ma ciò non stupisce più di tanto, se si tiene conto del terreno assai fertile che Bologna offriva (ed offre), da una parte, con la presenza all’Università del corso di laurea in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo (D.A.M.S.), che “garantiva intanto approfondimento teorico, seminari sempre affollati e contatti continui con studiosi e artisti”, oltre ad ingrossare, con la sua massa di studenti, le fila degli aspiranti artisti e di un ampio pubblico esperto ed attento, e dall’altra, con un lavoro dell’ente locale che “integrava le lacune o le cecità delle sovvenzioni statali con interventi di sostegno economici e culturali” .

Uno dei progetti più significativi in questo contesto è il Concorso/Festival Iceberg, rassegna di giovani artisti selezionati per discipline artistiche giunta alla sesta edizione, che si presenta come uno straordinario strumento di monitoraggio ed individuazione delle realtà giovani meritevoli di sostegno da parte dell’A. C.
Oggi questo progetto dialoga costantemente con concorsi analoghi della Regione Toscana, del Comune di Roma, del Comune di Milano e della Regione Lombardia, oltre al Premio Scenario, che è un riferimento per molti operatori ed artisti.

L’ondata teatrale di cui si è parlato finora si è caratterizzata per alcune peculiarità che la distinguono nettamente da quelle dei decenni precedenti.
Uno dei punti principali riguarda la tendenza alla sperimentazione dei linguaggi e delle modalità creative, spesso anche senza una finalità esclusiva rivolta allo spettacolo inteso nel senso tradizionale del termine.
La riflessione sulle giovani compagnie e sul contributo che l’A. C. può dare al loro sviluppo è maturata, e si delinea la necessità di sostenere in forme efficaci il processo creativo e la produzione spettacolare, prescindendo dalle attività di gestione.

Il bisogno primario per le giovani compagnie rimane tuttavia quella degli spazi di lavoro e dei servizi; il sostegno economico alla produzione è stato fondamentale (e continua ad esserlo) per le realtà artistiche in grado di programmare la propria produzione (ha reso possibili molte delle creazioni più interessanti della nuova generazione teatrale), d’altro canto ha rischiato di omologare identità artistiche.
L’emergenza di ogni gruppo di teatro, infatti, rimane sempre quella di trovare uno spazio come sede legale o luogo di lavoro e scambio artistico.

L’apertura di nuovi teatri (come è avvenuto massicciamente nel 1996) non è stata una risposta efficace per la nuova creatività, che ha la sua esigenza principale nella produzione.
La maggior parte di questi giovani gruppi non si pone, e non vuole porsi, il problema della gestione (con scambi all’interno di un mercato protetto), bensì esclusivamente quello della propria ricerca artistica.

Soluzioni adottate
Non essendo quasi mai possibile, per motivi finanziari, soddisfare tutte le esigenze, l’Amministrazione Comunale, ovvero Settori e Quartieri, hanno cercato strade che permettessero di rispondere alle necessità, e la valutazione odierna è che in questa direzione non sia stato creato nulla di efficace in forma permanete e strutturale.

Le soluzione principali sono state due:

1. l’evoluzione delle sale prova dei quartieri in forma convenzionata o autogestita dai gruppi che le utilizzavano, come è avvenuto nelle ex scuole F.lli Cervi ( oggi denominate Humus ), o nell’ex centro giovanile F.lli Rosselli;
2. le convenzioni pluriennali stipulate con i gestori dei teatri, che prevedevano un’azione in questo senso: l’impegno dei gestori a concedere ai nuovi gruppi teatrali lo spazio per le prove e lo spettacolo al solo rimborso dei costi vivi.

Tuttavia la vera sfida in questo campo sarà quella di optare per la creazione di un vero ed efficiente centro di servizi alla produzione, che offra un sostegno concreto e flessibile, attento alla qualità e al pluralismo.

La sola scelta di affidare gli spazi in esclusiva alle compagnie, a fronte di un contributo per un servizio “chiavi in mano”, ha insegnato che pur in presenza di autonomia imprenditoriale, qualità dell’offerta ed economicità nel servizio, non si è ottenuto un grado di apertura necessario alle proposte che giungevano dalla città e in special modo dalle nuove formazioni; ed è alla base di ciò che si ritiene tale modalità una soluzione gradita alle realtà artistico-imprenditoriali, a volte necessaria per riaprire spazi teatrali, ma non consigliabile quando il sistema deve dare risposte plurime e differenziate.

Al fine di coniugare questa esigenza con la creatività bolognese, lo spazio può avere come attività prevalente le attività performative, ma all’interno di un dialogo tra le discipline che nell’ultimo decennio ha prodotto sempre più commistioni, anche sostenuto dall’evoluzione tecnologica.


Considerazioni e proposte per il futuro

Dopo quasi trenta anni dalla stipula della prima convezione per la gestione di uno spazio teatrale gli enti locali, quelli delle Aree metropolitane soprattutto, potrebbero riorganizzare il sistema delle convenzioni, che, fermo restando le titolarità degli immobili, possa ricostruire criteri e modalità del sostegno, un sostegno che non può che produrre aumenti di investimento negli anni a venire.

Quali nuove convenzioni?
Il sistema delle convenzioni potrebbe essere articolato secondo quattro campi d’azione:

1. Adesione ai progetti di promozione del sistema e di incentivazione al consumo
un contributo fisso per le agevolazioni al pubblico previste dal progetto, correlate alla capienza delle sale, e l’impegno a promuovere anche la programmazione degli altri teatri, anche mediante abbonamenti trasversali;

2. Vocazione artistica e imprenditoriale
il tentativo è quello di favorire, a tutti i livelli della programmazione e della progettazione teatrale, il definirsi di vocazioni specifiche, tanto nelle scelte artistiche quanto in quelle gestionali, affinché, per quanto possibile ciascuna realtà si metta in relazione diretta con il suo pubblico, che potrà muoversi all’interno di un’offerta ricca e diversificata.L’onere di questa parte di contributo è legata al progetto artistico.

3. Servizi al sistema cittadino
Per le compagnie cittadine, nuove e/o consolidate, va considerata come necessità prioritaria quella dello spazio per produrre o per presentare gli spettacoli e non essendo possibile soddisfare tutte le esigenze, bisogna cercare strade che permettano di rispondere con i palcoscenici esistenti alle necessità di molti; la sfida per l’A.C., oltre alla sopraccitata creazione di un centro di servizi alla produzione, è premiare i teatri che sostengono la creatività bolognese erogando contributi a stagioni ultimate, oppure riservandosi un adeguato numero di giornate di programmazione da destinare gratuitamente per prove e spettacoli alle compagnie che lo richiedono secondo un progetto condiviso;

4. Struttura della programmazione
questo quarto campo d’azione riguarda la crisi di crescita dell’offerta produttiva e distributiva, che non privilegia una equa presenza della programmazione lungo l’arco dell’anno solare e che, soprattutto, non è sincronizzata con alcuni eventi delle città e del panorama regionale; i rapporti con i teatri cittadini devono incentivare, dunque, un’offerta spalmata anche in stagioni non canoniche del teatro, per arrivare ad una copertura continua senza periodi di sovraofferta, sostenendo l’utilizzo produttivo delle sale anche a stagione iniziata e comprendendo nel contributo anche i progetti estivi più consolidati negli ultimi anni.

Ovviamente tutto ciò è un punto di vista territoriale, da riorganizzare sulla base di altri strumenti di monitoraggio e valutazione annunciati nel Piano triennale regionale, che tuttavia sviluppano maggiormente una lettura approfondita dell’aspetto produttivo e meno l’organizzazione dell’offerta dentro al sistema metropolitano.

In conclusione
Sappiamo quanto è difficile ragionare di ciò con gli operatori, spesso difensori dell’autonomia artistica quanto gli assessori di turno del loro libero arbitrio, ma riteniamo con qualche ragionevole elemento che le autonomie sia politiche sia culturali, saranno tanto più difendibili quanto più inserite in un quadro di stabilità normativa, di certezza dei criteri di giudizio e di condivisione dei percorsi di analisi culturali ed economiche.

La regionalizzazione dello spettacolo è obiettivo raggiungibile solo se la parte sana e innovativa del teatro italiano la saprà interpretare senza titubanze e se saprà accompagnare il processo di appropriazione delle nuove competenze da parte di Regioni, province ed enti locali.


 


 

Appunti sulla "coproduzione leggera"
Il profetto dell'AMAT
di Gilberto Santini

 

L'AMAT (Associazione Marchigiana Attività Teatrali) è l'organismo - espressione di 87 Amministrazioni comunali, delle 4 Amministrazioni provinciali, di 2 Comunità Montane e della Regione Marche - che opera per coordinare e gestire (in collaborazione e d'intesa con gli Enti Locali) la "promozione e diffusione del teatro e dello spettacolo da vivo nella rete dei teatri delle Marche", come recita lo statuto. Attiva dal 1976, si tratta di una realtà teatrale unica per diffusione sul territorio e per capillarità di rapporti con il pubblico, chiamata a confrontarsi con la specificità di una regione con 1.500.000 abitanti che vanta un numero molto elevato di teatri funzionanti e di dimensioni medio-piccole, fra cui 61 teatri storici costruiti fra i primi del Settecento e il 1920, situati in comuni relativamente popolati e a poca distanza uno dall’altro.
Proprio a partire da questa realtà così complessa ed articolata e in una situazione generale del mercato teatrale italiano in cui da tempo è diventato complicato trovare spettacoli di qualità a costi sostenibili, nasce il progetto cosiddetto di “co-produzione leggera". Una semplicissima constatazione e un'idea altrettanto semplice stanno alla base di questo progetto. La constatazione è che ad ogni stagione ci si imbatte in una sorta di empasse di programmazione: esaurita rapidamente la circuitazione degli spettacoli 'maggiori' (sempre più costosi e ingombranti, quindi appannaggio dei teatri e delle città più ‘dotate’), sono sempre meno gli allestimenti davvero interessanti, di cui condividere le ragioni che li hanno fatti nascere, che con passione si vorrebbero promuovere e far arrivare al pubblico. Perché non stringere allora con gli attori e i registi che più stimiamo un rapporto che nasca prima, costruendo insieme - questo è un'altra delle peculiarità del progetto - l'allestimento fin dalla scelta del testo o dell'autore da rappresentare.
Che cosa si può offrire? Molte cose. Innanzitutto - questa l'idea semplice - la stessa fisionomia,dell’Amat, cioè il mosaico dei tanti teatri della regione. Mettere a disposizione degli artisti questa ricchezza. Un bel giro in alcuni di essi (in genere almeno sei recite).
Poi un bel teatro in cui poter svolgere con calma l'ultimo periodo di prove (10 o 15 giorni), felici di poter condividere con il calore discreto della gente e la bellezza dei luoghi la particolare concentrazione che accompagna il momento del debutto.
E poi la passione per il teatro, la voglia di lavorare per/sul pubblico, accompagnando queste permanenze con prove aperte, incontri con gli artisti, attività di approfondimento, in modo da chiarire ancora di più il senso di un progetto in cui ritrovare in maniera più lucida il senso del proprio fare. E' così che, ad esempio, Elena Bucci e Marco Sgrosso (Le Belle Bandiere) hanno allestito Le amicizie pericolose, da Les liaisons dangereuses di Choderlos De Laclos, Eugenio Allegri e Gabriele Vacis hanno riletto il Cyrano di Rostand, Iaia Forte, Tommaso Ragno e Valerio Binasco si sono confrontati con Tradimenti di Pinter, fino ad arrivare al pluripremiato Sabato, Domenica e Lunedì di Eduardo De Filippo nella lettura intelligente e fortunatissima di Toni Servillo.
Nel progetto c'è una condizione, che tutto rimanga "leggero" (tenere a mente il Calvino delle Lezioni americane è d'obbligo). Innanzitutto perché i progetti produttivi che ne derivano non devono gravare in maniera particolare - nessun oneroso impegno economico o organizzativo - né sui comuni coinvolti né sull'Amat. Ma "leggero" perché i rapporti che ne nascono - tra l’Amat stessa , gli artisti e il pubblico delle città - portano una ventata nuova in un panorama a volte asfittico.

Gilberto Santini
consulente artistico Amat


 



Appuntamento al prossimo numero.
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