In questa pagina, troverete:

1. Le Buone Pratiche del 6 novembre
2. Le Buona Pratiche tardive, che non siamo riusciti a inserire nel programma, già molto intenso, della giornata ma che mettiamo in ogni caso a disposizione del visitatori del sito
3. Una serie di materiali di lavoro diponibili sul sito: ci trovate i testi preparatori delle BP e il Comunicato Stampa dell'incontro, documenti storici (Ivrea '67 e '87, per esempio), eccetera eccetera.

Le Buone Pratiche del 6 novembre


90.2 Le Buone Pratiche 2/2005: il programma
Mira, 13-14 novembre 2005
di BP

 

87.3 Le Buone Pratiche 2.1. Il teatro come servizio pubblico e come valore: lo spettacolo dal vivo tra economia, politica e cultura
Mira, Villa dei Leoni, 13-14 novembre 2005
di Franco D'Ippolito, Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino

 

90.91 Gli iscritti alle Buone Pratiche 2/2005
Prendi la mira e vieni a Mira!
di Redazione ateatro

 

90.7 Perché "Le Buone Pratiche" a Mira
Appuntamento a Villa dei Leoni il 13 e 14 novembre 2005
di Massimo Zuin, Assessore alla Cultura del Comune di Mira

 

90.4 Fornai, mercatanti, pompieri e attori
Una antologia preliminare per le Buone Pratiche
di Redazione ateatro

 

89.4 Il fotoromanzo della Buone Pratiche 2.1
Tutto quello che dovete sapere sull'incontro di Mira (e non avete mai osato chiedere)
di Redazione ateatro

 

89.5 Libera nos alle Buone Pratiche 2.1
La scheda dello spettacolo
di Antonia Spaliviero

 

91.30 Le Buone Pratiche su "Nuova Ecologia": Il calabrone e il bonsai
Brevi cenni di etologia teatrale
di Oliviero Ponte di Pino

 

89.3 La proposta di legge fai-da-te per il teatro
Una Buona Pratica di ateatro in vista delle Buone Pratiche 2/2005
di Redazione ateatro

 

91.40 La proposta di legge per lo spettacolo delle Regioni
con la relazione definitiva
di Coordinamento Regioni

 

91.21 I teatro come servizio pubblico e come valore: alcuni spunti di riflessione
Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi
di Oliviero Ponte di Pino

 

91.22 Coordinate storiche e trasformazione del sostegno pubblico
Le Buone Pratiche 2: interventi & relazioni
di Mimma Gallina

 

91.41 Il progetto di legge Rositani per lo spettacolo
Licenziato dalla Commissione Cultura della Camera e iscritto nel calendario dell'aula
di On. Rositani (e numerosi emendamenti...)

 

91.23 La questione del pubblico
Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi
di Franco D'Ippolito

 

91.24 Risorse culturali e politiche di welfare
Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi
di Michele Trimarchi

 

91.25 Gli spazi e l'identità di un teatro meticcio
Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi
di Gigi Cristoforetti

 

91.26 Un applauso con una sola mano
Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi
di Adriano Gallina

 

91.27 The scissors are on the right or on the left?
Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi
di Alfredo Tradardi

 

91.28 Altre Velocità
Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi
di Altre velocità

 

91.29 Per una politica culturale fondata sui valori: un punto di vista globale
Le Buone Pratiche 2: materiali
di Eduard Delgado

 

91.31 La formazione del pubblico e il rapporto con una comunità
Le Buone Pratiche 2: interventi & relazioni
di Massimo Luconi

 

92.31 Riflessioni su Mira
La Buone Pratiche: interventi & relazioni
di Renato Nicolini

 

92.32 Dissonanze
Le Buona Pratiche 2: relazioni & interventi
di Carmelo Alberti

 

91.58 Piccoli episodi di fascismo quotidiano
Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee
di Motus

 

92.30 Verso un sistema unico dello spettacolo dal vivo in Italia
Le Buone Pratiche 2: interventi & relazioni
di Filippo Del Corno

 

91.50 Lo spazio della performance critica
Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee
di Altre Velocità

 

91.51 Al femminile
Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee
di La Mimosa

 

91.52 Un festival naturale
Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee
di L'ultima luna d'estate

 

90.54 Ottimizzare le risorse per dfiffondere la Conoscenza attraverso il Consumo di Arte e Cultura
Le Buone Pratiche
di Lucia Mazzucato

 

91.55 Adhoc Culture: spazi della transitorietà
Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee
di Lucio Argano

 

91.56 Ariel - software gestionale per le compagnie teatrali
Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee
di Michele Cremaschi

 

91.57 ADAC (Associazione Danza Arti Contemporanee)
Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee
di Martino Baldi

 

90.59 I castelli e l’autonomia della cultura (su alcune buone pratiche)
Le Buone Pratiche
di Alfredo Tradardi

 

90.71 I tagli della Finanziaria allo spettacolo
L'intervento al Senato del 10.11.2005
di Senatrice Vittoria Franco (DS)

 

93.75 I teatrinvisibili a convegno
A Roma dall'11 al 13 gennaio: il programma provvisorio
di Triangolo scaleno teatro

 

93.10 La questione meridionale
RINVIATO L'INCONTRO DI BENEVENTO

"Malevento" è stata una cattiva pratica, ma ci riproveremo...
di Redazione ateatro con Perfida de Perfidis

 

87.2 Le Buone Pratiche 2
Due incontri per un teatro che cambia
di Franco D'Ippolito, Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino

 

87.4 Le Buone Pratiche 2.2. La questione meridionale nel teatro
Dicembre 2005
di Franco D'Ippolito, Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino

 

91.59 Teatri d’arte Mediterranei: Teatri del Centro–Sud in rete
Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee
di Lello Serao

 

92.33 Per un sistema regionale dello spettacolo
La relazione per la Conferenza regionale per lo spettacolo, Firenze, 6 dicembre 2005
di Lanfranco Binni

 

92.2 Non si può essere stupidi e ricchi per più di due generazioni
Perché l'Italia deve aumentare l'investimento in cultura e spettacolo
di Redazione ateatro

 

80.10 Il teatro italiano tra mercati e botteghe: verso il ridisegno dell'assetto economico
Con l'analisi di alcune Buone Pratiche
di Serena Deganutto e Michele Trimarchi

 

114.50 Come sono andate le Buone Pratiche 04?
Un bilancio a caldo
di Redazione ateatro

 

114.51 Il fotoromanzo dell'Emergenza!
Le Buone Pratiche 04 a Milano

Fra dati scoraggianti, progetti inventivi e tensioni ideali il racconto della giornata del 1° dicembre
di Erica Magris

 

114.52 BP04: La pedagogia esplosa dello spettacolo dal vivo
La relazione iniziale di BP04
di Oliviero Ponte di Pino

 

114.55 BP04: Essere è essere percepiti. Note evoluzioniste
(emergenza, visibilità e selezione)
di Adriano Gallina

 

114.58 BP04: Formazione e mercato del lavoro per i professionisti dello spettacolo
(formazione e lavoro)
di Antonio Taormina

 

114.62 BP04: Il razzismo, la memoria
(geografie)
di Patrizia Bortolini

 

114.65 BP04: Oltre i vincoli di genere
(emergenza danza)
di Roberto Castello

 

114.66 BP04: Formazione, qualità e riconoscimento dell'operatore culturale
(formazione)
di Andrea Minetto *

 

114.70 BP04: Ecole des Ecoles il metodo del confronto
(formazione)
di Bruno Fornasari

 

114.71 BP04: Teatri di vetro
(accesso e visibilità)
di Roberta Nicolai

 

104.71 BP04: Teatri di vetro
(visibilità e accesso)
di Roberta Nicolai

 

114.73 BP04: Quando spuntano le ali
(geografie)
di Massimo Luconi

 

114.74 BP04: Bancone di prova
(accesso e visibilità)
di Bancone d prova

 

114.75 BP04: TeatroNet
(accesso e visibilità)
di Rosi Fasiolo

 

114.76 BP04: Kilowatt Festival La selezione dei visionari
(accesso e visibilità)
di Kilowatt Festival

 

114.77 BP04: Il progetto del PiM
(accesso e visibilità)
di PiM

 

114.78 BP04: I bandi del PiM
(accesso e visiblità)
di PM

 

114.79 BP04: Officina Giovani/Cantieri Culturali
(emergenza, visibilità e selezione)
di Teresa Bettarini

 

114.53 BP04: Considerazioni personali (con qualche nota dall’intervento che non ho fatto)
(emergenza lavoro)
di Mimma Gallina

 

114.54 BP04 Documenti: Missione 21. I beni culturali e lo spettacolo
L'Art. 49 della Finanziaria
di Prodi & Co.

 

114.60 BP04: Cinquant'anni di ARCI
(visibiltà)
di Emanuele Patti

 

114.63 BP04: Appunti di sopravvivenza e testimonianze di una coreografa a Milano.
(emergenza danza)
di Barbara Toma

 

75.81 Per uno stabile corsaro (dieci anni dopo)
Le Albe-Ravenna Teatro
di Marco Martinelli

 

75.88 La Respublica di Elsinor
Racconto di una fusione tra teatri in Lombardia, Toscana , Emilia Romagna
di Stefano Braschi

 

75.83 Il sostegno di uno spabile a una giovane compagnia
Rapporto tra Teatro Stabile di Genova e Progetto u.r.t.
di Paolo Zanchin

 

75.93 Appunti sulla "coproduzione leggera"
Il profetto dell'AMAT
di Gilberto Santini

 

75.56 La produzione internazionale
Il ciclo della Tragedia Endogonidia della Socìetas Raffaello Sanzio
di Cosetta Niccolini

 

75.67 La forza di una bottega d'arte
Non solo una compagnia teatrale
di Fanny & Alexander

 

75.61 Work in progress. Master per la regia teatrale in un teatro stabile di innovazione
Teatro Litta (Milano)
di Antonio Syxty

 

75.84 Scenario: un progetto
Progetto Scenario e "incubatore d’impresa"
di Stefano Cipiciani

 

75.68 Sulla prima edizione del Premio Tuttoteatro.com alle arti sceniche "Dante Cappelletti"
Un concorso aperto a teatro e nuvoe tecnologie
di Mariateresa Surianello

 

75.63 Un suggerimento per piccole formazione ma anche per compagnie normali
Basta un atto
di Nicola Savarese

 

70.5 Lettera aperta a Luca Ronconi
A proposito degli spettacoli per le Olimpiadi di Torino 2006
di Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino

 

75.65 Un circuito innovativo
Tracce di teatro d'autore
di Federico Toni

 

75.72 Un progetto di decentramento e di circuito
Teatri Possibili
di Corrado D'Elia

 

75.79 Uscite di emergenza
L'esperienza dell'Anart
di Raimondo Arcolai, Pierluca Donin e Rocco Laboragine

 

75.91 Una ipotesi di stabilità leggera per le periferie
Teatri di Napoli
di Luigi Marsano

 

74.53 Semi di cooperazione
La rete di tre teatri milanesi
di Adriano Gallina per Teatro Blu, Teatro della Cooperativa, Teatro Verdi

 

75.57 Dalla formazione ai mestieri del teatro: una rete di pratiche per la costruzione di nuovi territori del teatro
Dal Teatro Metastasio di Prato
di Massimo Luconi

 

75.60 Decalogo degli obblighi e delle responsabilità di un centro culturale comunale
Centro Santa Chiara di Trento
di Franco Oss Noser

 

75.55 Progetto Danzaria: un'idea di promozione dei giovani coreografi
Teatro Giuditta Pasta (Saronno)
di Anna Chiara Altieri

 

75.71 Cantieri Goldonetta. I teatri della danza
Un nuovo spazio di progetto a Firenze
di Virgilio Sieni

 

74.55 Una casa comune per l'arte
L'Arboreto di Mondaino
di Fabio Biondi, Residenze

 

75.62 produzioni patafisiche – arrampicatori teatrali – ferrovie a teatro
Una pratica buona
di Alfredo Tradardi

 

75.50 Uno spazio curioso
Azionariato popolare per il Teatro Miela
di Rossella Pisciotta

 

75.51 La Cittadella Spettacolo
Il progetto del Teatro Franco Parenti
di Gianni Valle

 

74.56 Progetto Nave fantasma
Produrre con il contributo (del) pubblico
di Renato Sarti (Teatro della Cooperativa)

 

75.66 Un teatro chiude. Viva il teatro.
La buona pratica del "rewind & party" (Nave Argo Associazione Teatrale – Caltagirone, CT)
di Nicoleugenia Prezzavento e Fabio Navarra

 

75.78 Teatro di confine ovvero ai confini in libertà
L'esperienza di Olinda
di Rosita Volani

 

75.77 L’acquisizione del Teatro Carcano per la sua conservazione a spazio teatrale
Una storia milanese
di Nicoletta Rizzato

 

75.53 Appunti per l'intervento di FAQ - Coordinamento delle compagnie lombarde
Aia Taumastica, aida, Alma Rosè, Animanera, A.T.I.R., delleAli, Figure Capovolte, La Fionda Teatro, Teatro Aperto, Teatro Inverso
di Federica Fracassi

 

74.50 develop.net: teatro, centri sociali e spazi autogestiti
prototipo per un sistema teatrale
di Gian Maria Tosatti per develop.net

 

74.52 Una società di servizi per il nuovo teatro
Per le Buone Pratiche
di Danny Rose s.c.

 

75.52 369° per non girare su se stessi e tornare al punto di partenza
Sbagliare sempre meglio
di Valeria Orani

 

73.88 Nasce IRIS, l'associazione sud-europea per la creazione contemporanea
Raccoglie 55 teatri e festival di Francia, Italia, Spagna e Portogallo
di IRIS

 

75.85 Un progetto di formazione continua in rete per le arti dello spettacolo
I Cantieri dello spettacolo della Regione Puglia
di Roberto Ricco

 

75.64 Fare teatro nei musei
I progetti di Outis
di Angela Lucrezia Calicchio

 

75.69 Parola di teatro
Sinergie di competenze per una maggiore e migliore visibilità del teatro
di Valeria Ottolenghi (A.N.C.T.)

 

72.81 Il nuovo cinema che viene dal teatro: sei compagnie emiliano-romagnole e un inedito progetto per il cinema italiano
Fanny & Alexander, Motus, Societas Raffaello Sanzio, Teatro delle Albe, Teatrino Clandestino, Zapruder, Downtown Pictures e Regione Emilia-Romagna
di Associazione Luz

 

75.89 Tecniche e valori di scambio reciproco fra cinema e teatro
La proposta di "Comedy"
di Claudio Braggio

 

75.73 Scritture al presente
L'esperienza milanese di "città in condominio"
di Roberto Traverso

 

74.51 Un gestionale per compagnie teatrali
Un progetto di freeware da costruire insieme
di Michele Cremaschi

 

75.70 La dieta della mail teatrale. Ovvero perché peso 800Kb, mentre il mio medico dice che dovrei pesarne 8?
Consigli dietetici
di Roberto Canziani

 

75.74 Dalla Toscana. Una collaborazione fra Università (Pisa, Bologna, Torino, Genova) e Enti locali (il Comune di Livorno)
Al Teatro delle Commedie di Livorno
di Concetta D'Angeli

 

78.20 La scommessa di «Ubu Settete»
Cronaca di una pratica (buona?)
di Redazione di «Ubu Settete»

 

74.57 Realizzare un sito... con RStage è facile come fare una telefonata
Un originale software/builder
di Silvio Bastiancich

 

77.10 Quel che sarei andato a dire al convegno delle Buone Pratiche se non mi fossi ammalato: una premessa teorica, 6 nodi concreti e 1 conclusione po-etica
Nuovi appunti per uno «stabile corsaro»
di Marco Martinelli

 

77.11 Centro e periferia
Dopo le Buone Pratiche
di Fabio Biondi

 

104.5 BPSUD consuntivo Che senso ha se solo tu ti salvi?
Che cosa è successo a BP3 La questione meridionale del teatro
di Redazione ateatro

 

102.20 Le Buone Pratiche 3/2006: La questione meridionale del teatro
Tutti a Napoli il 7 dicembre!!!

a cura di ateatro
in collaborazione con i Teatri di Napoli, Comune di Napoli e Regione Campania
di Franco D’Ippolito, Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino

 

103.5 BP3 La questione meridionale Le informazioni essenziali
Chi ci sarà, organizzazione e logistica
di Redazione ateatro

 

104.6 BPSUD Che senso ha se solo tu ti salvi
Il testo
di Antonio Neiwiller

 

104.8 BPSUD Un monumentale articolo sull'incontro di Napoli
E non ce lo siamo scritti da soli!
di Mario Nuzzo ("Eolo")

 

104.9 BPSUD Qualche idea sulle regole
In margine alle Buone Pratiche
di Franco D'Ippolito

 

104.45 BPSUD Le residenze: il convegno di Torino
Il report del convegno e la relazione
di Luciano Nattino

 

104.7 BPSUD Le stagioni di Palermo
Il Cartello dei 5 teatri
di Clara Gebbia

 

104.48 BPSUD Materiali Il sipario s'alza a sud
Dal "Sole 24-Ore", 3 dicembre 2006
di Renato Palazzi

 

104.50 BP2006 Bancone di Prova
Un progetto creativo di 4 giovani autori
di Bancone di prova

 

104.51 BPSUD Il ritorno a Itaca
A Napoli, a Napoli
di Claudio Ascoli, Chille de la balanza

 

104.52 BPSUD Alf Laila a Napoli
Con una mail a Oliviero Ponte di Pino
di Roberto Roberto

 

104.60 BPSUD Opportunità e differenze nella diffusione delle esperienze di Teatro Sociale nel Sud e nelle Isole
L'abstract dell'intervento a BPSUD
di Vito Minoia*

 

104.61 BPSUD Materiali La personalità giuridica per chi fa spettacolo: cala il sipario!
Su alcuni aspetti della legge regionale
di Comitato di Discussione del Disegno di Legge Regionale sullo Spettacolo in Campania

 

104.62 BPSUD Materiali Sosteniamo la cultura e lo spettacolo nella Regione Campania
Un appello
di Coordinamento dei produttori e promotori delle attività di cultura e spettacolo della Regione Campania

 

104.63 BP 2006 www.eolo-ragazzi.it
Una rivista per il teatroragazzi
di eolo

 

104.64 BPSUD Teatro e università al Sud
Nota per la costituenda Fondazione CAMPUS TEATRI, Università della Calabria
di Valentina Valentini

 

104.65 BPSUD Voglia di storie
Il nuovo tra innovazione e recupero di un sapere
di Danny Rose

 

94.5 La questione meridionale a teatro
Le Buone Pratiche 3/2006
di Franco D'Ippolito

 



2005BP099
90.2 Le Buone Pratiche 2/2005: il programma
Mira, 13-14 novembre 2005
di BP

 

Per l'impostazione generale dell'incontro, rimandiamo al documento Il teatro come servizio pubblico e come valore.

Quello che segue è un primo schema generale (sebbene provvisorio) delle Buone Pratiche 2/2005: il teatro come serivizio pubblico e come valore.
La prima parte dell’incontro è divisa in quattro sessioni, all’interno delle quali sono previste una serie di relazioni e di interventi. E’ possibile (anzi, è opportuno) prenotare al più presto il proprio intervento all’interno di queste sezioni, segnalandoci anche il titolo.
Aggiorneremo nei prossimi giorni l’elenco dei relatori e degli interventi, man mano che arrivano conferme e iscrizioni.
Nell'utima parte dell'incontro, presenteremo una serie di Buone Pratiche, della legge "fai-da-te" per il teatro di ateatro e annunceremo le Buone Pratiche 3/2206, che si terrà a Benevento all'inizio di gennaio.
Secondo le collaudate regole delle Buone Pratiche, gli interventi dovranno essere brevi (incombe il terribile peperone).


Domenica 13 novembre ’05


15.00
Saluto del Sindaco di Mira Roberto Marcato


15.15
Le Buone Pratiche 2/2005: istruzioni per l'uso


15.30-17.00
Prima sessione. Il ruolo del teatro oggi
Introduzione
Il teatro come servizio e come valore
Oliviero Ponte di Pino

Relazioni (Felice Cappa, Goffredo Fofi, Renato Nicolini, Giampiero Solari)
Interventi (Carmelo Alberti, Paolo Aniello)

Coffee Break


17.15-18.30
Seconda sessione: Il teatro nell’epoca del tramonto del welfare
Introduzione
Coordinate storiche e trasformazione del sostegno pubblico
Mimma Gallina

Relazioni (Michele Trimarchi, Giulio Stumpo, Patrizia Ghedini, Massimo Zuin)
Interventi (Massimo Paganelli/Fabio Masi, Valentina Falorni/Marisa Villa, Lucia Mazzucato, Mario Esposito, Alfredo Tradardi, Daniela Nicolò/Sandra Angelini, Massimo Munaro)

18.30-19.30
Dibattito
Coordina Franco D'Ippolito


20.00
Buffet



21.30
Libera Nos



Lunedì 14 novembre ’05


9.30-11.00
Terza sessione: La questione del pubblico
Introduzione
Quale pubblico per quale teatro
Franco D'Ippolito

Relazioni (Gianantonio Stella)
Interventi (Adriano Gallina, Massimo Luconi, Valeria Orani, Agnese Doria)

Coffee Break


11.15-13.00
Quarta sessione: Un teatro meticcio
Introduzione
Teatro e... (musica, danza, cinema, letteratura, nuovi media...)
Oliviero Ponte di Pino

Relazioni (Andrea Cortellessa, Filippo Del Corno)
Interventi (Gigi Cristoforetti, Roberta Scaglione/Claudia Di Giacomo, Daniela Nicosia)

Pranzo


14.30-14.45
Presentazione e Buone Pratiche 3/2006: La questione meridionale
Franco D'Ippolito

14.45-15.45
Presentazione delle Buone Pratiche pervenute

Coordina Franco D'Ippolito

Le BP finora pervenute sono online

Coffee Break


16.00-16.45
La legge fai-da-te per il teatro di ateatro
a cura di Mimma Gallina
"Relatore" Walter Leonardi
con l'accompagnamento di Flavio Pirini


16.45-18.30
Dibattito conclusivo e saluti


E abbiamo anche lo sponsor!!!


 

2005BP101
87.3 Le Buone Pratiche 2.1. Il teatro come servizio pubblico e come valore: lo spettacolo dal vivo tra economia, politica e cultura
Mira, Villa dei Leoni, 13-14 novembre 2005
di Franco D'Ippolito, Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino

 

Il teatro – e in generale la cultura – può ancora essere considerato ancora un “servizio pubblico”? Con quali modalità e criteri questa categoria può continuare a governare i rapporti tra la scena e la politica?
In altri termini, perché andiamo a teatro? Qual è oggi il “valore” del teatro? Con quali modalità questo “valore” può costituire un criterio per determinare il sostegno pubblico e privato al teatro?
Nel corso degli ultimi decenni il teatro in Italia, come in tutti i paesi europei, ha beneficiato di un fondamentale sostegno pubblico, sia dal governo centrale sia dagli enti locali, in varie forme e con motivazioni articolate anche se non sempre espresse con chiarezza. Molto meno sostanzioso è stato finora nel nostro paese l’intervento dei privati: ed è curioso (e significativo) che nel quadro del loro impegno culturale le fondazioni bancarie e le industrie private abbiamo finora trascurato nella sostanza il teatro. Ferma restando l’opportunità e la necessità di un finanziamento pubblico al teatro, ci pare che oggi vadano riconsiderate e ritrovate le ragioni profonde del sostegno allo spettacolo dal vivo da parte del pubblico e dei privati, e dunque vadano riequilibrati i criteri e le modalità di assegnazione dei finanziamenti.
Sono infatti in corso diversi cambiamenti di ampio respiro che è inutile e sciocco ignorare. E’ possibile indicare, in maniera molto generica e come primo spunto di riflessione, alcuni snodi fondamentali:

- la ridefinizione del ruolo del teatro (e in generale dei valori umanistici) all’interno del sistema culturale e nella mediasfera, anche in considerazione dell’impatto di nuovi media;

- la ricerca di forme espressive, ma anche produttive e organizzative, che superino le barriere tra i diversi generi e le diverse arti, imponendo una riflessione di carattere generale sullo statuto del teatro;

- di conseguenza, una diversa frammentazione del pubblico del teatro e dello spettacolo dal vivo, che suggerisce anche diversi metodi di contatto e di coinvolgimento, sia sul versante della promozione sia su quello delle modalità di fruizione dell’evento da parte dello spettatore;

- il ripensamento del welfare e del concetto stesso di servizio pubblico, che investe anche il sostegno alla cultura, in un quadro che vede una generale diminuzione delle risorse pubbliche;

- le recenti acquisizioni nel campo dell’economia della cultura, che impongono una revisione dei criteri di gestione delle imprese culturali;

- l’impatto della globalizzazione su un versante della cultura legato a un aspetto per sua natura “locale” (per lingua, tradizioni, destinatari) come il teatro;

- in Italia, il passaggio di una serie di competenze in materia di spettacolo dallo Stato alle regioni, e dunque la ridefinizione del rapporto tra governo centrale ed enti locali; e in prospettiva la spinta verso un riequilibro territoriale delle attività di spettacolo dal vivo, e relative sovvenzioni;

- sul versante europeo, dopo un decennio di tentativi non del tutto riusciti (sia sul fronte dei grandi festival-vetrina della cultura europea sia sul versante della formazione), si avverte la necessità di una politica convinta e incisiva a favore della cultura, con reperimento e riequilibrio delle risorse destinate al settore, e si avverte di conseguenza la necessità di definire nuovi criteri di distribuzione delle medesime.

In questo scenario, la nozione di “servizio pubblico” può essere ancora un’utile bussola, ma probabilmente non è più sufficiente. Alcuni artisti e studiosi propongono di affiancare o sostituire questo tradizionale approccio con un altro, che ponga al centro della riflessione e della valutazione il concetto di “valore”.
Un primo problema è che il termine “valore” ha significati e implicazioni diverse a seconda degli ambiti in cui viene usato, anche rispetto al teatro.
In ambito economico, il valore indica la redditività di un investimento.
In ambito politico, il termine si riferisce a quell’insieme di idealità, punti di riferimento collettivi, aspirazioni morali, progettualità condivisi da una società.
In ambito artistico, il “valore” misura l’eccellenza estetica delle opere.
Come è evidente, le implicazioni in questi tre ambiti del termine “valore”, anche applicato al teatro (e in genere allo spettacolo dal vivo), sono diverse e non sempre necessariamente convergenti.

A Mira cercheremo di capire se questi tre approcci sono validi e fecondi, e se nel loro insieme possono offrire elementi e metodi che possano tradursi in metodi di valutazione dell’investimento in cultura; e se e come possono integrarsi all’idea di cultura come “servizio pubblico”.
Per raggiungere questi obiettivi, non vogliamo coinvolgere solo teatranti, operatori e studiosi (e in generale persone interessate primariamente allo specifico teatrale), ma anche personalità della cultura, della politica, dell’economia e in generale della società che possano dare un costruttivo contributo alla discussione. Perché, ne siamo convinti, i problemi del teatro non riguardano solo il teatro e i teatranti, ma l’intera società. Non si tratta solo di questioni tecniche, che gli addetti ai lavori e gli esperti possono risolvere in separata sede, ma di problemi che investono l’intero ambito sociale e culturale e che dunque riguardano tutti noi.

E abbiamo anche lo sponsor!!!


 

2005BP104
90.91 Gli iscritti alle Buone Pratiche 2/2005
Prendi la mira e vieni a Mira!
di Redazione ateatro

 
Nel potente database di ateatro cerchiamo di tenere aggiornato minuto per minuto l'elenco degli iscritti alle Buone Pratiche 2/2005, che si tiene a Mira il 13 e 14 novembre.
Ci viene già molta gente, lo sai?
Per vedere l'elenco, clicca qui.
Se ti sei inscritto via web e non vedi ancora il tuo nome tra i partecipanti, o se ci sono errori nei tuoi dati, manda una mail o telefona ai solerti DannyRose (tel. 3351752301; e-mail info@dannyrose.it).

Se non ti sei ancora iscritto, beh, cosa aspetti?
Clicca qui e avrai tutte le info necessarie.

Insomma, che aspetti? Prendi la mira e vieni a Mira!
(se non sei la Donna Cannone, nel Fotoromanzo delle Buone Pratiche ci sono indicazioni su mezzi di trasporto meno fragorosi).

E abbiamo anche lo sponsor!!!


 

2005BP107
90.7 Perché "Le Buone Pratiche" a Mira
Appuntamento a Villa dei Leoni il 13 e 14 novembre 2005
di Massimo Zuin, Assessore alla Cultura del Comune di Mira

 

L'impegno nella cultura e nello spettacolo è uno degli elementi qualificanti di ogni pubblica amministrazione. Un corretto equilibrio tra eccellenza artistica, funzione sociale ed efficace gestione economica è l'obiettivo a cui deve tendere ogni sana politica culturale. Le Buone Pratiche è una preziosa occasione per meglio precisare questo ambizioso obiettivo, in una fase di difficile e complessa transizione. Per questo il Comune di Mira (che vuole continuare a fregiarsi nei fatti del titolo di "Città della Cultura") è lieto di promuovere e ospitare questi "stati generali del teatro".

E abbiamo anche lo sponsor!!!


 

2005BP109
90.4 Fornai, mercatanti, pompieri e attori
Una antologia preliminare per le Buone Pratiche
di Redazione ateatro

 

Gustavo Modena (1836)
Perché al teatro sì e al fornaio no?
“E teatro qual è, il teatro perpetuo, di tutte le sere: il teatro distrazione, dopo la fatica diurna, ritrovo dei mercanti e degli sfaccendati, è un raduno di gente a veglia, che vale il bigliardo, il caffè, la birreria, il gioco, e nulla più. Tutti sanno rimestare la vecchia diceria, che i Governi debbono incoraggiare, sovvenire di denaro il teatro. Finoché resta quel che è, un commercio, una speculazione di mercatanti, anche quel po’ di dote che alcuni governi gli fanno è un'ingiustizia. Perché al teatro sì ed al fornaio no? Il teatro bottega deve andar del par coi mestieri che pagano patente. Il povero oggi n’è escluso; il povero che non ha il tempo e i denari d’apprendere sui libri doveri d'uomo e di cittadino. - E dovria il teatro tenergli luogo di scuola. - A chi consacrasi dunque la dote dei teatri? ai ricchi. - Quel locale meschino, quella povera luce di candela; quelle nicchie, ritiri di famiglia in uno adunamento della città; quelle separazioni di caste; quell'interesse privato che vegli alla porta e regola il morale dello spettacolo, ne sperdono la magìa: tutto sente di bottega; tutto rimpiccolisce gli animi; niente è solenne; niente è consentaneo allo scopo di formare un popolo. Quella lusca attrappita prudenza che crede riformare andando intorno colle force, ritagliando, puntellando, rincrostando il vecchio edifizio, non farà mai che il teatro non sia un insulso non so che tra la bottega e il bordello. - Per correggerlo bisogna bruciarlo. Bruciar le tavole, bruciarne il morale, bruciarne l'idea.” Gustavo Modena, Il teatro educatore, pubblicato su “l'Italiano”, foglio letterario edito a Parigi, il 31 ottobre 1836. Cfr. Discorsi e scritti di Gustavo Modena, Op. cit.


Paolo Grassi (1946)
Un servizio pubblico, alla stregia della metropolitana e dei vigili del fuoco
“…il teatro, per la sua intrinseca sostanza, è fra le arti la più idonea a parlare direttamente al cuore e alla sensibilità della collettività, … il teatro è il miglior strumento di elevazione spirituale e di educazione culturale a disposizione della società. Noi vorremmo che autorità e giunte comunali, partiti e artisti si formassero questa precisa coscienza del teatro, considerandolo come una necessità collettiva, come un bisogno dei cittadini, come un pubblico servizio, alla stregua della metropolitana e dei vigili del fuoco, e che per questo preziosissimo pubblico servizio nato per la collettività, la collettività attuasse quei provvedimenti atti a strappare il teatro all’attuale disagio economico e al presente monopolio di un pubblico ristretto…”
Paolo Grassi, “Avanti!”, 25 aprile 1946


Luca Ronconi (2002)
Pensare all’esperienza scenica come ad un valore
“Se la nozione politico-sociale di teatro come servizio si è ormai fatta anacronistica e se ciononostante al palcoscenico compete il ruolo culturale e metaforico – mi ostino a credere nel nostro presente sempre più necessario ed insostituibile – di essere luogo di una conoscenza complessa e maturata attraverso l’esperienza, non si dovrebbe allora cominiciare a pensare all’esperienza scenica come ad un ‘valore’, e che proprio in quanto ‘valore’ il teatro andrebbe tutelato e sostenuto?”
Luca Ronconi, “la Repubblica”, marzo 2002


Stefano Rodotà (2005)
Non affidare tutto al mercato
“Sono convinto che una politica culturale serva, perché i poteri pubblici non si possono ritirare dal terreno della cultura. Spero che, indipendentemente dalle parti, tutti siano disposti a riflettere di più su questo punto. Altrimenti, andremo incontro a difficoltà notevoli. (…) Affidare tutto al mercato significherebbe condizionare e distorcere le scelte di chi opera professionalmente nella cultura. Credo, pertanto, nell’assoluta necessità di un’attenzione pubblica che accompagni l’opera dal momento in cui viene pensata fino a quello in cui viene distribuita ai suoi naturali fruitori".
Stefano Rodotà, “Giornale dello spettacolo”, supplemento 2 al n. 654 25 maggio 2005


Alberto Arbasino (2005)
Ma poi chi tirerà fuori i soldi?
“Almeno a Roma, però, non sembra di attraversare un’attuale crisi economica, effettiva e pesante. Ogni mattina arrivano pacchi di inviti a un gran numero di ‘eventi’ che evidentemente forniscono redditi a un gran numero di addetti non a ‘lavori’, ma a ‘iniziative’ dietro cui operano parecchie persone. Mecenati? Parassiti? Volontari? Mercenari? Dilettanti? Addestratori di ‘clientes’ per millenari ‘circenses’ gratuiti dei romani estivi da tenere ‘boni, boni’? Ma chi tirerà poi fuori i soldi? Vespasiano? Domiziano? Massenzio? Prudenzio? La Divina Provvidenza? La propaganda Fide? Le agenzie? Le pizzerie? I volti noti testimonial? I fiduciari dei milionari? I battaglioni di cellulari? I cantanti per le ‘cause’? I passanti, gli utenti dei marciapiedi, gli acquirenti sui tappetini senza scontrini?”
Alberto Arbasino, “l’Espresso”, 25 agosto 2005

Pierluigi Battista (2005)
La libertà artistica e lo Stato erogatore
“Eppure, nessuno che si interroghi sui destini della libertà artistica in una cornice in cui l’arte e la cultura siano costrette a dipendere dal mecenatismo di Stato, stavota non più condizionato dai principeschi gusti di un sovrano o di un signore, ma dalla mutevole combinazione umorale di maggioranze politiche variabili e capricciose. Ignari dei richiami del Marc Fumaroli critico delle degenerazioni dello ‘Stato culturale’, gli artisti, i registi, i musicisti che spingono agli sportelli sempre più affollati dello Stato erogatore, in fondo sono sempre più disposti a riconoscere a Giuseppe Bottai il merito di aver approntato mirabili strumenti e leggi per la tutela dei beni culturali (compresa la munifica generosità di regime con cui venivano foraggiati gli artisti e gli intellettuali del tempo). Tendono tuttavia a sorvolare sulla non secondaria circostanza che la sensibilità per le cose del’arte e della cultura di matrice bottaiana traesse forza nel quadro di uno Stato autoritario che proprio della magnificenza delle arti faceva motivo di supremazia sulle altre nazioni aduse ad abbandonare artisti e poeti alla stretta tentacolare di un mercato senz’anima. Niente è gratuito, e lo Stato erogatore che fissa l’entità delle protezioni in denaro, al contempo esige un prezzo (di libertà) da parte di chi usufruisce dei suoi benefici.”
(Pierluigi Battista, “Corriere della Sera”, 17 ottobre 2005)


 

2005BP110
89.4 Il fotoromanzo della Buone Pratiche 2.1
Tutto quello che dovete sapere sull'incontro di Mira (e non avete mai osato chiedere)
di Redazione ateatro

 

Ebbene sì! (cominciamo con il gossip...)
Il sogno di Mimma Gallina è sempre stato quello di diventare fotografa (purtroppo ce la siamo beccata in teatro).
Ebbene sì! (continuiamo con il gossip...)
Il sogno di Oliviero Ponte di Pino è sempre stato quello di diventare una star del fotoromanzo democratico e progressista (ma per fortuna c'erano Massimo Ciavarro e Alessandro Preziosi...).
Però, almeno una volta nella vita, bisogna provarci.
Ecco dunque nello splendido scenario della Riviera del Brenta (caro alla gang Maniero), grazie all'acuto obiettivo di Mimma e alla intensa interpretazione di Oliviero Il fotoromanzo della Buone Pratiche.

E 1000 grazie al Comune di Mira che rende possibile la realizzazione delle Buone Pratiche 2!

Perché si chiama Villa dei Leoni?

Beh, perché ci sono i leoni, no?
Sono bellissimi e non mordono. A volte fanno le fusa. Finché non si arrabbiano! (fanno parte del servizio d'ordine...)
LE BUONE PRATICHE 2.1

Per questa tornata 2005 delle Buone Pratiche, abbiamo pensato di raccogliere una serie di sguardi esterni sul teatro: filosofi, letterati, economisti, manager, sociologi, futurologi, studiosi dei media, eccetera, ci diranno che cosa ci possiamo (e potremo) aspettare dal teatro. A questi "non-esperti" di teatro stiamo chiedendo una breve relazione.

La nostra idea è provare a incrociare questi sguardi con la nostra esperienza interna al teatro. Visto anche il momento difficile che sta attraversando il nostro teatro, siamo certi che la vostra presenza sarà numerosa. Se volete partecipare (ma partecipare!!!), vi preghiamo di confermare la vostra presenza al più presto a info@ateatro.it

Ovviamente all'interno delle BP 2.1 sarà aperto uno spazio alla presentazione di nuove Buone Pratiche (dopo quelle presentate l'anno scorso). Le modalità sono le stesse dell'anno scorso: dovete inviare una breve relazione (max due cartelle) a info@ateatro.it e provvederemo a pubblicarla sul sito al più presto.
 

Che cosa c'è a Mira?

Di là dal Brenta, c'è la Mira Lanza: l'Arcadia e la Chimica uno accanto all'altro.
Insomma, se i metropolitani hanno una overdose di ossigeno, possono inspirarsi alle ciminiere. Perché qui s'intrecciano tradizione e modernità, arte e scienza, economia e cultura...
Ma la Villa è molto più bella!

Qualcuno dice persino che Porzia, sotto questo loggiato, attendesse il suo Bassanio. Molto romantico...
Insomma, a Mira portateci il fidanzato/fidanzata; ma se volete Danny Rose può organizzare un servizio di dating. (poi, se piove, lì forse si può anche fumare, se proprio non potete farne a meno...)
BP 2.1 INFOLINE

Per tutte le info logistiche che non trovate in questa pagina (e problemi, comunicazioni o altro), ecco i recapiti della Cooperativa Danny Rose
tel. 3351752301
e-mail info@dannyrose.it
 
 
Ma noi dove ci riuniamo?

Il luogo del delitto!
IL PROGRAMMA


Per le partecipazioni e gli interventi annunciati interni al teatro, vedi www.ateatro.it

Domenica 13

ore 15,30 -19,30
relazioni, dibattito

ore 20
buffet

ore 21,30
Libera Nos
rappresentazione riservata ai partecipanti alle Buone Pratiche

Lunedì 14

ore 9,30 -13
relazioni, dibattito

ore 13
pausa lunch

ore 14,30 -18
Conclusione dibattito e presentazione "progetto di legge" di www.ateatro.it

Coffee break previsti in tutte le sezioni
 
Ecco l'ingresso del teatro

Quando abbiamo fatto il sopralluogo, lì davanti era pieno di soprani coreani e tenori giapponesi: pensiamo di portare le Buone Pratiche anche laggiù...
Ma intanto, sospinti da Franco "Cassa del 1/2giorno" D'Ippolito, stiamo pensando di invadere il Sud, con BP 2.1...
Ma quanti saremo? E se siamo troppi?

Per stabilire l'ordine degli interventi ed evitare contestazioni, attiveremo un distributore di tagliandi tipo salumeria (preso dal mercatino lì di fronte).
In ogni caso, siccome la pausa caffè è un rito...

Abbiamo pensato utilizzare un pittoresco luogo di culto per i coffee break.
E al posto del mitico peperone, le campane!

Insomma, chi supera il tempo assegnato per il proprio intervento, verrà interrotto dall'argentino suono delle campane.
Stiamo cercando volontario campanaro, in grado di zittire i relatori sbrodoloni al ritmo della salsa o della mazurca.
PS Così possiamo rilanciare l'asta per il peperone, così ripianiamo un altro pezzetto del deficit di BP1...
QUOTE ADESIONE

Proprio per evitare un altro passivo (siamo poveri...), chiediamo quote di partecipazione (molto popolari!!!).

Euro 10,00
(studenti euro 5,00)
La quota contribuisce ai costi organizzativi, dà diritto alla cartella con i materiali predisposti, al coffee break, alle facilitazioni concordate presso gli alberghi e il self service per il lunch del 14.

Buffet del 13 sera e accesso allo spettacolo Libera nos: euro 10,00
(si prega di confermare la partecipazione contestualmente all'adesione)
 
  
Ci potete arrivare anche a nuoto!

Ma forse per raggiungere Mira è più pratico usare altri mezzi di trasporto!
AUTOBUS
Il Teatro, situato a Mira lungo la Riviera del Brenta all’interno dei Giardini Pubblici di Villa dei Leoni, è facilmente raggiungibile in autobus utilizzando i mezzi ACTV, che partono circa ogni 15-20 minuti da Venezia (piazzale Roma, bus n. 53, partenze ai minuti 25’ e 55’ di ogni ora), Mestre (Piazza XXVII Ottobre, partenze ai minuti 10’ e 40’ di ogni ora), Padova (Stazione Corriere, Piazzale Boschetti, ai minuti ’25 e ’55 di ogni ora). Si scende proprio davanti all’ingresso dei Giardini di Villa dei Leoni, all’altezza del Centro Commerciale “Mirasole” (sì, c'è persino il centro commerciale per le vostre spesucce...).

AUTO
Il Teatro è raggiungibile dall’autostrada A4, uscita Dolo o Mestre, seguendo poi le indicazioni per Mira e imboccando dalla S.S. 11 Riviera Silvio Trentin.

TRENO
Stazione Venezia Santa Lucia, Stazione Mestre –Venezia, Stazione Mira-Mirano (treni locali da Padova e Venezia).

AEREO
Aeroporto Marco Polo - Tessera (VE)
Collegamento da/per Piazzale Roma (Venezia) e Mestre (stazione FS) con autobus urbano ACTV (linee 5 e 15), e da bus navetta ATVO (linee Air Terminal e Fly Bus).

www. actv.it
www. atvo.it
 
C'è persino una mensa: comoda, ottima ed economica
DOVE DORMIRE
Cominciamo dall'ostello (ma in questio caso è meglio avere la macchina):
OSTELLO DI MIRA
Via Giare, 169
30030 Loc.tà Giare di Mira Venezia
Tel. 041 5679203
Fax 041 5676457
mira@casasoleluna.it
PREZZI A PERSONA:
€ 18,50 in camera doppia con bagno
€ 14,00 in camerata

E poi gli alberghi, spesso convenzionati con le Buone Pratiche.

HOTEL ISOLA DI CAPRERA
Riviera Silvio Trentin 13
Mira (VE)
tel. 041-4265255
(€ 50 singola - € 70 doppia – con colazione)

HOTEL RIVIERA DEI DOGI
via Don Minzoni
Mira (VE)
tel. 041-424466
(€ 50 singola - € 70 doppia – con colazione)

HOTEL LA RESCOSSA – VECIA BRENTA
via Nazionale 403
Mira (VE)
tel. 041/423637
(€ 50 singola - € 70 doppia – con colazione)

HOTEL VILLA GOETZEN 30031 Dolo (VE)
VIA MATTEOTTI 6 tel: 041 412600, 041 5102300 singola € 55; doppia € 80,00; € 100,00 tripla; 130 quadrupla; con 1°colazione

HOTEL VILLA DUCALE
Riviera Martiri della Libertà, 75 Località C. Musatti 30031 Dolo, Venezia Tel / fax + 39 041 560 80 20
Singola small: € 75,00 standard € 85; king € 100
Doppia: 110 small; 135 standard; 150 king

RELAIS ALCOVA DEL DOGE
bed & breakfast
Via Nazionale, 39/40 Mira - Venezia Tel. 041424816 – FAX. 0415609373
www.alcovadeldoge.it
doppia € 55,00 con colazione; € 65,00 tripla; doppia uso singola € 50,00 con colazione;

CASA MALVINA
bed & breakfast
Via Nazionale 247
30034 MIRA [VE]
Tel. 0414265976 - Fax 0415625251
www.casamalvina.it

B&B MIRA BUSE
via della Ferrovia 34 – 30034 Mira (VE)
tel/fax 041421392 cell. 3479125950
www.bbmirabuse.venezia.it
info@bbmirabuse.venezia.it

ALLA RIVIERA bed & breakfast
app. con 1 camera matr. con terzo letto + sogg con divano letto doppio
€ 50,00 con colazione; € 40,00 senza
Via Lanza n°1
30034 Mira Porte - Venezia
Tel/fax: +39(0)41 420585
www.allariviera.com
singola € 25.00
doppia € 45.00

"VILLA FELETTO" - BED & BREAKFAST
Via città giardino, 24/26 – 30034 VENEZIA (Mira Porte )
Tel./Fax: 041 4265835
Cell.: 347 8895654, 347 2558221
E-mail: info@villafeletto.com
appartamento con 2 camere - € 60 a camera

FARONHOF BED & BREAKFAST,
Via seriola veneta sx 51, Oriago di Mira, Venezia
Tel. 041 428363 - Fax 041 563 9755 –
E-MAIL: info@faronhof.it
doppia bagno in comune € 35,00 – doppia bagno privato € 45,00 con colazione

B&B VILLA OLANDA,
Riviera Silvio Trentin, 50 - Mira - Venezia
tel. e fax 041 423427


 
E abbiamo anche lo sponsor!!!


 

2005BP111
89.5 Libera nos alle Buone Pratiche 2.1
La scheda dello spettacolo
di Antonia Spaliviero

 

Domenica 14 novembre, alle Buone Pratiche 2.1 a Mira - grazie al sostegno del Comune - sarà possibile assistere allo spettacolo Libera nos. Qui di seguito, qualche info sul lavoro.



ITC 2000 E FONDAZIONE TEATRO STABILE TORINO

Presentano

NATALINO BALASSO

in

LIBERA NOS
Suggestioni dall’opera letteraria di Luigi Meneghello
Testi di Antonia Spaliviero, Gabriele Vacis, Marco Paolini

con
Natalino Balasso e Mirko Artuso

Regia di Gabriele Vacis

Scene di Lucio Diana Scelte musicali di Roberto Tarasco


Libera Nos
nasce in forma di spettacolo teatrale nel 1990 come produzione di Teatro Settimo con Marco Paolini e Mirko Artuso.
L’idea e l’opportunità del riallestimento per la Stagione teatrale 2005/2006, nasce dall’incontro, nell’ambito della seconda edizione di “Domande a Dio” a Torino, tra lo scrittore vicentino Luigi Meneghello e Natalino Balasso dove, insieme a Gabriele Vacis furono letti brani dalla sua opera più amata: “Libera Nos a malo”.
L’accoglienza calorosa del pubblico e l’intesa dell’inedito cast, ha fatto sì che prendesse corpo l’idea di riallestire uno spettacolo che fu molto amato da pubblico e critica, affidando a Natalino Balasso, in una sorta di passaggio del testimone, il ruolo che fu di Marco Paolini.
Libera Nos, cogliendo la fisicità e la poetica della parola meneghelliana, ripercorre attraverso il dialetto vicentino, ma anche con la raffinatezza della lingua italiana scritta, il lieve e terribile tempo in quel paese della vita che è l’infanzia. Ed è proprio il piccolo paese con i suoi esilaranti e talvolta tragici personaggi, la vita paesana, il duro lavoro, le bande, le bambine poi donne, le zie e gli zii, i matti, i professori, le generazioni che arrivano e quelle che vanno, il vecchio ed il nuovo che si affrontano, il luogo in cui prende vita lo spettacolo.
Il dialetto, per chi lo ha posseduto come prima lingua, è anche il riappropriarsi dell’infanzia come momento centrale per decodificare il senso della vita. Trattato in quanto linguaggio che prima di tutto si vede e si sente, quando si incontra con la lingua scritta del vocabolario, ne scaturisce un delirio comico in fondo al quale si finisce inevitabilmente per scoprire che la scomparsa di certi modi di dire le cose, altro non è che la scomparsa di quelle stesse cose.
Lo spettacolo racconta i momenti fantastici e lievi dell’infanzia, della giovinezza, della crescita, con la consapevolezza di maneggiare, insieme al dialetto ed alla lingua scritta, grammatiche ineluttabili, robe che nessun museo può conservare. Si possono solo nominare, finchè qualcuno le ricorda.

Antonia Spaliviero

 

2005BP119
91.30 Le Buone Pratiche su "Nuova Ecologia": Il calabrone e il bonsai
Brevi cenni di etologia teatrale
di Oliviero Ponte di Pino

 

Questo testo è stato pubblicato sulla rivista "Nuova Ecologia", novembre 2005, in occasione delle Buone Pratiche 2/2005 a Mira.

Se dessimo un’occhiata da etologi a quello strano habitat che è il teatro italiano, vedremmo tre diverse specie di animali. Già questa è una prima annotazione significativa: a differenza per esempio dei teatri tedeschi, dove è maggiore la stabilità (e dunque i teatri sono più simili alle piante), dai tempi della Commedia dell’Arte gli spettacoli delle compagnie italiane compiono tournée più o meno lunghe.
Se osserviamo questo microcosmo più da vicino, possiamo dividere il branco degli spettacoli che affollano i pascoli teatrali della penisola in tre diverse specie. Gli animali più grossi (quelli che spesso incassano di più) hanno strane somiglianze con altre creature, quelle che prosperano al cinema e sul piccolo schermo: recital di comici televisivi, adattamenti di film, scorribande di video-soubrette (tettona vulgaris) o di star cinematografiche (hystrio sideralis) alla ricerca di una nuova verginità. Questo theatrum televisivus è il sottoprodotto di altri media, organismi geneticamente modificati da artisti che passano sul palcoscenico per incassare un dividendo di notorietà accumulato altrove. C’è poi un teatro per così dire di cultura (theatrum sapiens), legato soprattutto (ma non solo) alla tradizione dei teatri stabili e della regia: una specie nuova, affermatasi nel dopoguerra con le creazioni di Luchino Visconti e Giorgio Strehler (theatrum sapiens sapiens) soppiantando una specie più antica, gli spettacoli dei grandi attori (theatrum mattatoricum), i “mattatori” di una volta, e ora sostenuta dalle invenzioni di registi come Luca Ronconi e Massimo Castri. Il theatrum sapiens si nutre in buona parte di sovvenzioni pubbliche; alcuni esemplari sono pachidermi dai movimenti cauti e lenti, altri hanno ancora la zampata del genio (vedi Professor Bernhardi di Schnitzler, allestito quest’anno da Ronconi al Piccolo Teatro).
Ai margini, più defilata rispetto ai pascoli più ricchi (i grandi teatri del centro o i megatendoni delle periferie, i padrinati politici più redditizi), si muove la miriade degli spettacoli di piccoli gruppi e compagnie (theatrum novum o novissimum), spesso impegnati sul fronte del nuovo e della ricerca, più agili e veloci ma costretti a muoversi in un ecosistema affollato da un lato da animali più grandi e aggressivi, dall’altro da branchi di loro simili.
Va però subito precisato che, all’interno dell’ecosistema della comunicazione e della cultura, il teatro in generale è stato spinto ai margini, in zone sempre più aride. Se ne parla sempre meno in televisione e sui giornali. La serata teatrale non è più – o è sempre meno – quel rituale borghese riconoscibile e riconosciuto. Così quegli strani animali che sono gli spettacoli teatrali attirano spettatori molto diversi: ci sono quelli condizionati dai grandi mass media, che cercano il carisma delle star e l’evasione (spectator auditel); c’è chi va in cerca di conferme culturali (spectator maestrinus); e chi invece, più curioso, cerca e sveglie il brivido del nuovo (spectator adventuros con la sottospecie del modaiolus) . Anche se ovviamente nella società e nella natura le cose non sono mai così semplici, perché ci sono numerosi ibridi e incroci. Lo spectator adventurosus, quello affascinato da queste creature continuamente mutanti, si raduna di solito in piccole tribù, e solo eccezionalmente si mescola alle grandi mandrie di auditel. Per questo il theatrum novum tende a insediarsi in sale piccole, le sue tournée spesso hanno poche date, e spesso tende a rifugiarsi in quelle riserve naturali e zone di ripopolamento che sono i mille festival estivi che punteggiano la penisola: Santarcangelo, Volterra, Colline Torinesi, Drodesera...
C’è da chiedersi come possano sopravvivere queste creaturine bizzarre, a volte così affascinanti e davvero straordinarie (tanto che spesso le loro tournée li portano spesso fuori d’Italia, anche nei festival più prestigiosi). Per certi aspetti ricordano il volo del calabrone, tozzo e pesante, che secondo le leggi della fisica non potrebbe volare e invece...
...invece da decenni, a partire dagli anni Sessanta, questi piccoli animali, prodigi di ostinazione e passione, anno continuato a vivere e moltiplicarsi, malgrado il sostegno poco convinto della politica. Basta citare gli artefici di alcune tra le creature dalle piume più sgargianti, dalle movenze più seducenti e sconvolgenti: tra gli anni Sessanta e Settanta, Leo De Berardinis e Carmelo Bene, il teatro-immagine di Vasilicò e Perlini, e Nanni, e ancora il Carrozzone-Magazzini di Tiezzi & Lombardi, Giorgio Barberio Corsetti, a Napoli Mario Martone e Toni Servillo (da Falso Movimento e Teatro Sttudio di Caserta ai Teatri Uniti), il Piccolo Teatro di Pontedera, il Teatro dell’Elfo; nel decennio successivo la pattuglia sbocciata in un ecosistema fertilissimo, la Romagna Felix: Societas Raffaello Sanzio, Teatro della Valdoca, Ravenna Teatro-Le Albe, cui seguiranno qualche tempo dopo Motus, Masque, Fanny & Alexander. Ancora, i torinesi Gabriele Vacis e il suo Teatro Settimo, Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa e Walter Malosti con il Teatro di Dioniso. E Tam-Teatromusica, il Teatro del Lemming, il Teatro delle Ariette, l’Accademia degli Artefatti, e molti altri ancora, come se un Linneo psichedelico avesse deciso di inventarsi una folle tassonomia... Senza dimenticare animali solitari come i narratori, con quel teatro della memoria cresciuto nell’ambito del nuovo (ma anche come reazione a esso): Marco Paolini, Marco Baliani, Ascanio Celestini, Davide Enia e i loro mille (ormai) imitatori, in una proliferazione che rischia di apparire parassitaria...
Tutti costoro attingono a varie fonti di energia, al di là delle scarse sovvenzioni. Per cominciare, la tradizione teatrale ha mille sentieri sotterranei: nelle esperienze spesso riemerge un DNA antichissimo, che pareva fossilizzato. Inoltre, se non offre di solito grandi guadagni, il teatro ha un grande vantaggio: farlo costa abbastanza poco, almeno all’inizio, e permette di dire-fare ciò che si vuole. Consente di confrontarsi insieme con una realtà in rapido mutamento, e insieme con il proprio corpo, le proprie parole, le proprie emozioni. Senza mediazioni. Obbliga a mettere a punto un linguaggio, una poetica e un’identità collettive, e a confrontare questa identità con l’intero corpo sociale. Perché il teatro è un’arte collettiva: a differenza dello scrittore o del pittore, il teatrante si confronta, fin dall’inizio, con gli altri, nella progettazione e realizzazione dell’opera, e poi nel confronto con il pubblico. Inutile sottolineare come queste caratteristiche, nel loro insieme, riflettano l’anima politica del teatro – una natura che era già chiara alle origini di quest’arte, nella polis greca.
Proprio in questa sua natura sociale, il teatro – soprattutto in questi ultimi anni – ha trovato nuove fonti di energia e nuovo senso. Il teatro è anche relazione, e dunque può essere utilizzato in ambiti in cui l’identità, la riconoscibilità e i rapporti interpersonali e sociali vivono situazioni difficili: nelle carceri e negli ospedali psichiatrici, o tra gli immigrati, per esempio, e in generale in tutte le situazioni in cui emerge la diversità. Volendo affondare la nostra metafora etologica, potremmo parlare di rapporti simbiotici tra il teatro e questi diversi contesti. Ovviamente quello tra conflittualità e integrazione è un rapporto sempre complesso e difficile. Soprattutto non è detto che porti – al di là dell’utilità sociale – a risultati di qualche interesse artistico. Anche se poi non mancano punte esteticamente alte, anzi altissime: il lavoro ormai ventennale di Armando Punzo nel supercarcere di Volterra; la riflessione poetica sulla diversità di Pippo Delbono, che trova il suo simbolo in Bobò, il microcefalo sordomuto “liberato” dopo quarant’anni di ospedale psichiatrico; il sodalizio con gli immigrati di Marco Martinelli, con gli incroci tra griot senegalesi e fuler romagnoli...
Negli ultimi anni sono stati questi gruppi, queste realtà a cercare di ridefinire il senso del teatro in una società moderna - o post-moderna. Così, mentre il centro della comunicazione sembra spostarsi altrove, mentre finanziaria dopo finanziaria diminuiscono le risorse pubbliche per la cultura (e dunque anche per il teatro), mentre il teatro sembra aver perso le sue aspirazioni nazional-popolari per rivolgersi a piccole élite, i palcoscenici italiani mantengono un imprevedibile fervore: Nelle ultime stagioni sono fiorite nuove e interessanti creature, partendo dall’interesse per il lavoro dell’attore (Valerio Binasco, Antonio Latella, Arturo Cirillo, il gruppo Atir, le Belle Bandiere) dalla scoperta di nuovi autori, dal recupero della danza (Emma Dante e Caterina Sagna)... Insomma, il calabrone continua a volare. E tuttavia questi piccoli animali non sono forse riusciti a crescere abbastanza, e rischiano di restare degli affascinanti bonsai.


 

2005BP120
89.3 La proposta di legge fai-da-te per il teatro
Una Buona Pratica di ateatro in vista delle Buone Pratiche 2/2005
di Redazione ateatro

 

Sono sessant’anni che il teatro italiano aspetta una legge che regoli il settore.

Ah, se ci fosse una legge per il teatro! Così necessaria, e dunque puntualmente promessa dai politici, legislatura dopo legislatura...
Ah, se ci fosse una legge per il teatro! Anticipata da decine di progetti, che vengono annunciati in roboanti convegni, articolati e declinati, e poi affinati in estenuanti mediazioni tra forze politiche ed enti locali… E infine tutti ¬- quello dell’oscuro deputato e quello del grande teatrante, quello del burocrate del partito di massa e quello della soubrette prestata alla politica -¬ invariabilmente abortiti e ignominiosamente sprofondati nell’inferno delle buone intenzioni…
Ah, se ci fosse una legge per il teatro! Surrogata anno dopo anno dalla famigerata circolare e dagli ancora piu malfamati regolamenti, terreno di scontro e mercanto nei corridoi del ministero…
Ah, se ci fosse una legge per il teatro!

(A proposito: bisogna davvero approvarla al più presto, una bella legge per il teatro, adesso che le competenze in materia stanno passando alle Regioni: altrimenti sarà davvero un gran casino!!! Ma i nostri politici forse sperano di finire nei guai per omissione di atti d’ufficio.)

Beh, se ce la facessimo noi, la nostra legge? Noi di ateatro, insomma. Tutti noi, che frequentiamo il sito: proprio come la vogliamo noi, la legge. Titoli, articoli e comma compresi. Potrebbe essere davvero una Buona Pratica, una legge per il teatro popolare e autogestita, mettendo insieme le nostre mille competenze.
Beh, ma non ci riusciamo di sicuro! Una legge fai-da-te? Ma come si fa!
Beh, almeno possiamo provarci. A modo nostro, naturalmente. Cercando di farci venire qualche idea, tutti insieme, aprendo uno spazio nel forum. Mettendo insieme gli articoli, discutendone pubblicamente...

Cioè… insomma… diciamo che potremmo fare così.
Chi vuole (chi tra noi ha ancora un paio di neuroni funzionanti) propone un articolo o due, su un tema che gli sta particolarmente a cuore. Lo posta nel forum (possibilmente non anonimo); può aggiungere qualche breve spiegazione, se pensa che sia utile (ma se bisogna spiegarlo, vuol dire che l’articolo non è gran che!). Chiaramente sui singoli articoli tutti quanti possiamo dire la nostra, postando commenti, approvazioni e dissensi. Emendamenti!!!
(Nota per i megalomani: non mandateci progetti di legge completi. Siamo megalomani, ma non così gravi.)

Dopo di che, vediamo che ne viene fuori. Sarà divertente (abbiamo già in mente un paio di proposte birichine). E magari la mettiamo insieme davvero, questa benedetta Legge per il teatro di ateatro. Probabilmente non sarà gran che, lo sappiamo già. Sembrerà scombinata e utopica, un po’ come ateatro. Ma di certo non sarà molto peggio di quello che è stato proposto e praticato finora.

Per renderci il compito più facile, ecco alcuni dei criteri finora utilizzati nella regolamentazione del nostro teatro.

1. Principio dei principi fondamentali
E’ ovvio che una legge ambiziosa come la nostra deve basarsi su alcuni principi fondamentali. Il progetto di legge Rositani, attuale base di discussione insieme al progetto di legge delle Regioni, è intitolato proprio “Principi fondmentali in materia di spettacolo dal vivo”. Eccone un paio, di questi principi davvero fondamentali:

“Nelle esecuzioni dal vivo è vietato l'utilizzo anche parziale di supporti o di apparecchiature che contengano musica preregistrata.”

“L'insegnamento della danza, limitatamente ad allievi d’età inferiore agli anni 14, è riservata a chi è in possesso di specifico titolo di studio o di adeguato titolo professionale.”

2. Principio del faccio quel cazzo che mi pare
In diverse circolari si è ribadito che i contributi “possono non essere inferiori” a quelli dell’anno precedente (che se ci pensate solo un attimo, capite che non vuol dire proprio niente). Nell’ultimo regolamento, quello che ha portato all’azzeramento dei contributi FUS a diverse compagnie, “la valutazione qualitativa può determinare una variazione in aumento fino al doppio, ovvero in diminuzione fino all'azzeramento dei costi ammessi ai sensi dell'articolo 5”: tradotto in italiano, abbiamo stabilito alcuni criteri oggettivi, che portano a un certo risulato, ma noi ce ne freghiamo e se lo vogliamo azzeriamo tutto.

3. Principio della regola su misura
Si tratta di una variante raffinata del principio precedente. Gli esempi più recenti e clamorosi di provvedimenti ad personam arrivano dai piani più alti del palazzo, ma i regolamenti teatrali (e i concorsi universitari e le gare d’appalto) lo usano da sempre. Per esempio, si legge che “E' riconosciuta ai soggetti che gestiscono una sala teatrale con una capienza non superiore a duecentocinquanta posti ed in presenza dei prescritti requisiti connessi all'agibilità, un’ulteriore valutazione per un progetto di produzione realizzato nella stessa, purché non superiore al trenta per cento del totale delle giornate recitative programmate e secondo i criteri stabiliti per gli organismi di cui all'articolo 14”. Insomma, per fare ricerca bisogna avere meno di 250 spettatori. Ma perché proprio 250, e non 200 o 300? Il sospetto c’è: forse qualche amico del giaguaro ha la sala della misura giusta, e qualche nemico invece…

4. Principio del su-do-ku, o del libero mercato
Si tratta di un capolavoro di enigmistica, furtto senza dubbio frutto di faticose trattative notturne tra eroici operatori, dotati di robuste scorte di Moment®: “Per la quantificazione dei costi di produzione ed ospitalità sono prese in considerazione solo le recite che prevedono compensi a percentuale sugli incassi o per le quali sia corrisposto, nella misura massima, un compenso fisso risultante dalla somma dei compensi lordi, fino al massimale annualmente definito dall'ENPALS, moltiplicata tre volte, con un incremento del 10% per la commedia musicale. Concorrono alla formazione del foglio paga, con esclusione della moltiplicazione di cui sopra, anche le spese delle diarie nella misura massima di euro centoventi pro-capite”. Per la stesura del testo, sospettiamo che i nostri amici abbiano avuto come consulente un esperto di su-do-ku.

5. Principio dello specchietto per le allodole
Beh, la legge eterrnamente promessa e mai approvata sarebbe l’esempio più classico di acchiappagonzi ornitologico. Ma lo sono anche quegli organi istituiti e mai diventati operativi (o grottescamente disfunzionali), come la Consulta dello Spettacolo dele Ministero, e la Consulta territoriale e Consulta tecnico-artistica previste dal nuovo statuto dell’ETI: viste mai?
Del resto provate voi a individuare, assoldare, convocare e mettere d’accordo:
“il Segretario Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali;
il Direttore Generale dello Spettacolo dal Vivo;
il Direttore Generale dell’Ente;
un rappresentante del Ministero della Pubblica Istruzione, dell’Università e della Ricerca;
quattro rappresentanti delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative sul piano nazionale, di cui due per l’attività di produzione e due per l’attività di distribuzione sia teatrale che di danza;
un docente universitario di discipline teatrali;
due rappresentanti della critica teatrale e di danza;
un rappresentante degli attori ed un rappresentante dei danzatori
un rappresentante dei registi;
un rappresentante dei coreografi;
due rappresentanti degli autori;
quattro rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori”.
Ci permettiamo di aggiungere all’elenco un rappresenante delle webzine teatrali, che magari – visto che siamo i migliori - incameriano un paio di gettoni di presenza e il rimborso del viaggio nella capitale…

6. Principio del “Se l’ho fatta giusta mi smentisco subito”
Se per errore l’avete fatta giusta, come rimediare? Anche in questo caso sfortunato, abbiamo una soluzione. Un esempio: il principio della triennalità. Ottima idea, da neutralizzare al più presto. Infatti dopo i primi tre anni ecco il pentimento: “in caso di programmazione triennale, la valutazione qualitativa viene compiuta annualmente”. La triennalità? Fatta! E subito disfatta!
Il numero tre eccita con ogni evidenza la fantasia del legislatore: in passato per incentivare la continuità occupazionale si è prescritta persino la “biennalità nel triennio”;

7. Principio della gran cazzata
Riteniamo inoltre opportuno suggerirvi di proporre qualche palese cazzata. Si sa, le leggi sono una faccenda molto noiosa, e ogni tanto una bella risata allenta la tensione e mette la combriccola di ottimo umore. Per esempio, nel già citato progetto Rositani, fa capolino il meraviglioso Festival degli eponimi:
“Lo stato, in collaborazione con le regioni, incentiva l'istituzione di festival intitolati a:
a) grandi musicisti italiani, autori di musica lirica, sinfonica, leggera e popolare;
b) grandi personaggi del teatro, della danza, del circo;
c) generi musicali, teatrali o tersicorei.”
(Giuro, non l’abbiamo inventato noi, non siamo mica così perversi: a nessuno di noi sarebbe venuto in mente di abbinare l’emissione filatelica obbligatoria alla prima edizione di ciascun festival eponimo, come prevede la proposta.)


POST SCRIPTUM

Per la cronaca, a rileggere i documenti del passato, la legge sul teatro sarebbe già in vigore da tempo.

Se non ve ne siete accorti, è in vigore dal 1979
“Le funzioni delle Regioni e degli enti locali in ordine all'attività di prosa, musicali e cinematografiche, saranno riordinate con le leggi di riforma dei rispettivi settori entro il 31/12/1979.” (DPR n. 616, 24/7/77)

Ah, no, è in vigore dal 1985:
Infatti la Circolare del 31/7/1985 “si configura quale ultimo intervento organico che lo stato opera in via amministrativa prima dell'entrata in vigore della disciplina organica del settore”.

No, scusate, ci siamo sbagliati, è in vigore dal 2003:
“Il presente decreto ha carattere transitorio, in attesa che la legge di definizione dei principi fondamentali di cui all'articolo 117 della Costituzione fissi i criteri e gli ambiti di competenza dello Stato, delle Regioni e delle autonomie locali in materia di spettacolo ed il conseguente trasferimento della quota del Fondo unico per lo spettacolo riservata alle attività di prosa”. (D.M. 27/2/2003, regolamento attualmente in vigore)

Anzi, no:
perché proprio nelle scorse settimane il ministro Rocco Buttiglione ha deciso di non diramare una nuova circolare per la stagione in corso: infatti entro la fine dell’anno, faranno la legge! Senz’altro!
Insomma, se vogliamo dare il nostro contributo questa nostra legge dobbiamo farla in fretta, molto in fretta…


Proponi il tuo articolo della Legge per il teatro fai-da-te nel FORUM DI ATEATRO.


 

2005BP121
91.40 La proposta di legge per lo spettacolo delle Regioni
con la relazione definitiva
di Coordinamento Regioni

 

PROPOSTA DI LEGGE RECANTE I PRINCIPI FONDAMENTALI PER LO SPETTACOLO AI SENSI DELL’ARTICOLO 117, COMMA 3, DELLA COSTITUZIONE

PARTE GENERALE

Articolo 1
(Principi generali)

1.La Repubblica, nel rispetto degli articoli 9, 33 e 117, comma 3, della Costituzione, concorre alla promozione e alla organizzazione delle attività culturali, con particolare riguardo allo spettacolo in tutte le sue componenti.
2. Lo spettacolo è attività di interesse pubblico, rappresenta una componente essenziale della cultura e dell’identità del paese e un fattore di crescita sociale, civile ed economica della collettività.
3. Lo Stato e le Regioni favoriscono la promozione e la diffusione nel territorio nazionale delle diverse forme dello spettacolo, ne sostengono la produzione e la circolazione in Italia e all’estero, valorizzano la tradizione nazionale e locale e garantiscono pari opportunità nell’accesso alla sua fruizione.
4. Nel rispetto del principio di sussidiarietà Stato, Regioni, Comuni, Province, Città metropolitane, soggetti privati collaborano per lo sviluppo dello spettacolo e operano per garantire la libertà di espressione.
5. Lo spettacolo comprende le seguenti attività: musica, teatro, danza, cinema e audiovisivi, circo e spettacoli viaggianti, ivi comprese l’attività degli artisti di strada e le diverse forme dello spettacolo popolare e contemporaneo.
6. Nelle materie disciplinate dalla presente legge, restano ferme le competenze riconosciute alle Regioni a statuto speciale e quelle attribuite alle Province autonome di Trento e Bolzano, in base al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 475.

Articolo 2
(Oggetto e finalità della legge)

1. La presente legge definisce, ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione, i principi fondamentali in materia di spettacolo, nonché i livelli essenziali delle prestazioni da garantire alla collettività, secondo criteri di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza, prossimità ed efficacia favorendo intese e altre forme di collaborazione per assicurare un adeguato ed efficace servizio di utilità sociale.
2. Ai fini della presente legge rientrano nelle attività dello spettacolo le funzioni di produzione, promozione, distribuzione e valorizzazione.

Articolo 3
(Compiti dello Stato)

1. Spetta allo Stato lo svolgimento dei seguenti compiti:
a) l’esercizio delle funzioni riconducibili alla cooperazione internazionale e, in accordo con le Regioni interessate, l’attività promozionale all’estero dello spettacolo;
b) lo svolgimento, in collaborazione con gli osservatori regionali, dell’attività di osservatorio e monitoraggio;
c) il sostegno dello spettacolo viaggiante e dei circhi, con particolare riferimento alla dotazione tecnica e tecnologica dei produttori ed alla disciplina relativa alla utilizzazione degli animali;
d) il sostegno della produzione e della diffusione, in Italia e all’estero di opere cinematografiche salvo quanto previsto all’articolo 11, comma 2, lettere b) e c);
e) la costituzione di un archivio nazionale dello spettacolo, quale rete degli archivi regionali.

Articolo 4
(Conferenza Stato - Regioni)

1. La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, di seguito denominata “Conferenza Stato - Regioni” definisce:
a) i parametri sulla base dei quali effettuare il riparto tra le singole Regioni della quota del Fondo Unico per lo spettacolo ad esse destinato ai sensi del successivo articolo 8. Nella definizione dei suddetti parametri la Conferenza Stato-Regioni si deve attenere a criteri oggettivi, dando preferenza agli indicatori relativi alle attività e a parametri socio-demografici territoriali;
b) gli indirizzi generali per lo svolgimento delle politiche a sostegno delle aree territoriali nelle quali la domanda e l’offerta dello spettacolo si dimostrino insufficienti, anche attraverso specifiche iniziative di promozione e sensibilizzazione da realizzarsi di concerto con le Regioni territorialmente interessate.
2. Gli atti e gli accordi conclusi in sede di Conferenza Stato - Regioni sono recepiti, entro tre mesi dalla loro adozione, con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.
3. Per l’esercizio delle funzioni e dei compiti previsti dalla presente legge la Conferenza Stato – Regioni si avvale di un organismo tecnico paritario istituito con D. P. C. M su proposta della Conferenza Stato – Regioni.

Articolo 5
(La Conferenza Unificata)

1. E’ compito della Conferenza Unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, predisporre le linee di indirizzo generale volte ad assicurare e a promuovere la presenza omogenea e diffusa dello spettacolo su tutto il territorio, con riguardo alle località meno servite.

2. La Conferenza Unificata definisce in particolare:
a) gli indirizzi generali per il sostegno dello spettacolo, secondo principi idonei a valorizzare la qualità, progettualità e l’imprenditorialità;
b) gli indirizzi generali atti a promuovere la presenza delle attività dello spettacolo sul territorio nazionale, perseguendo obiettivi di omogeneità della diffusione, della circolazione e della fruizione, con particolare riguardo alle località meno servite;
c) gli indirizzi generali atti a promuovere la presenza della produzione nazionale e regionale all’estero;
d) gli indirizzi generali per la promozione di progetti speciali concernenti la sperimentazione, la creazione contemporanea, la promozione di nuovi linguaggi artistici e di nuovi protocolli tecnici;
e) i criteri e le modalità e attraverso i quali verificare l’efficacia dell’intervento pubblico.
3. Gli atti e gli accordi conclusi in sede di Conferenza Unificata sono recepiti, entro tre mesi dalla loro adozione, con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Articolo 6
(Compiti delle Regioni e delle Province autonome)

1. Nel rispetto delle attribuzioni di Comuni, Province e Città metropolitane, le Regioni e le Province autonome sono titolari delle funzioni in materia di promozione e valorizzazione delle attività di spettacolo che richiedono unitarietà di intervento e che non siano espressamente riservate dalla presente legge allo Stato, alla Conferenza Stato - Regioni e alla Conferenza unificata.
2. Le Regioni e le Province autonome, in particolare:
a) definiscono la programmazione regionale delle attività di spettacolo e partecipano alla definizione di quella nazionale, favorendo il consolidamento del rapporto dei soggetti con il territorio, promuovendo nuove attività e la distribuzione degli spettacoli;
b) predispongono i progetti finalizzati alla integrazione europea dello spettacolo per la valorizzazione della cultura, della storia e delle tradizioni regionali;
c) curano la formazione, l’aggiornamento e la creazione di nuovi profili professionali;
d) favoriscono la promozione di nuovi talenti, l’imprenditoria giovanile e femminile;
e) tutelano la tradizione collegata ai linguaggi e alle lingue locali;
f) incentivano l’integrazione tra politiche turistiche e politiche culturali e tra politiche culturali e le politiche di promozione e sviluppo del territorio;
g) promuovono, in collaborazione con le Province e i Comuni, gli interventi correttivi, la costruzione, il restauro, l’adeguamento e la qualificazione di sedi;
h) disciplinano l’esercizio cinematografico;
i) favoriscono anche attraverso specifici protocolli di intesa, la collaborazione tra sistema dello spettacolo e mezzi di comunicazione di massa, per assicurare la più ampia informazione sulle attività;
j) favoriscono e sostengono l’accesso al credito delle strutture operanti nell'ambito del proprio territorio;
k) svolgono l’attività di osservatorio e monitoraggio anche attraverso la creazione di banche dati sullo spettacolo promosso e svolto nel territorio regionale;
l) svolgono l’azione di indirizzo e di coordinamento nei confronti degli enti locali, promuovono la stipula di accordi e intese con Province, Comuni e Città metropolitane al fine di consentire un’adeguata valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale, delle infrastrutture tecnologiche, delle risorse professionali e artistiche presenti sul loro territorio.
3. Le Regioni e le Province autonome, ove necessario, adeguano, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le proprie norme di legge e di regolamento, dotandosi di strutture amministrative e degli adeguati strumenti di conoscenza del settore.

Articolo 7
(Compiti di Comuni, Province e Città metropolitane)

1. I Comuni, le Province e le Città metropolitane esercitano tutte le funzioni di base relative alla promozione e alla fruizione dello spettacolo.
2. I Comuni, le Province e le città metropolitane in particolare:
a) partecipano alla programmazione regionale degli interventi per lo spettacolo;
b) partecipano, anche in forma associata, alla costituzione e alla gestione di organismi stabili dello spettacolo, nonché alla distribuzione di spettacoli, concorrendo al relativo finanziamento;
c) concorrono alla promozione e al sostegno dello spettacolo anche mediante il recupero, il restauro, la ristrutturazione e l’adeguamento funzionale e tecnico delle strutture e degli spazi destinati allo spettacolo;
d) favoriscono, nell’attività di promozione e sostegno dello spettacolo, la cooperazione con il sistema scolastico e universitario, con le attività produttive e commerciali e con le comunità locali;
e) garantiscono la più ampia collaborazione tra gli enti e gli organismi operanti nel proprio ambito territoriale;
f) effettuano la rilevazione, a livello locale, di dati statistici e informativi.

Articolo 8
(Fondo unico per lo spettacolo)

1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e sino alla data di entrata in vigore della legge di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, sulla base di accordi conclusi con le Regioni in sede di Conferenza Stato - Regioni, il Governo, su proposta del Ministero dei beni e le attività culturali trasferisce alle Regioni le risorse del Fondo Unico dello Spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163.
2. Per i primi tre anni dall’entrata in vigore della presente legge, il riparto tra le singole Regioni della quota del Fondo Unico dello spettacolo di cui al comma 1 deve avvenire sulla base della media della spesa storica degli ultimi cinque anni.
3. Le Regioni istituiscono nei propri bilanci un fondo per lo spettacolo, alimentato dalle risorse del Fondo Unico per lo spettacolo di cui al comma 1 e da risorse proprie.
4. Una parte delle risorse del Fondo Unico dello spettacolo è destinata a favorire interventi nella aree meno servite, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera b), incentivando la presenza omogenea di attività dello spettacolo nel territorio italiano e garantendo i livelli essenziali per il suo sviluppo.
5. La somma trasferita alle Regioni ai sensi del comma 1 è incrementata annualmente almeno del cinque per cento della dotazione prevista, anche destinando a tale scopo una percentuale dei fondi attribuiti dalla legge agli enti preposti dallo Stato al sostegno finanziario, tecnico-economico ed organizzativo di progetti e altre iniziative di investimento a favore delle attività culturali e dello spettacolo di cui alla legge n.291 del 16 ottobre 2003.

Articolo 9

(Spettacolo dal vivo)

1. La Repubblica riconosce e valorizza le attività professionali nei settori del teatro, della musica, della danza, ne promuove e valorizza lo sviluppo, senza distinzione di generi.
2. La Repubblica sostiene le attività professionali di cui al comma 1) che perseguano i seguenti obiettivi:
a) la produzione artistica classica, popolare e/o contemporanea in tutte le sue diverse forme e modalità espressive;
b) l’incontro tra domanda ed offerta avendo particolare attenzione alle zone meno servite;
c) un rapporto di stabilità tra un complesso organizzato di artisti, tecnici ed amministratori e la collettività di un territorio per realizzare un progetto integrato di produzione, promozione ed ospitalità;
d) la ricerca, la sperimentazione artistica, lo spettacolo per le nuove generazioni;
e) la promozione e formazione del pubblico, soprattutto giovanile;
f) la formazione, la qualificazione e l’aggiornamento professionale del personale artistico e tecnico;
g) l’utilizzo di nuove tecnologie e la sperimentazione di nuovi linguaggi;
h) eventi e manifestazioni a carattere di festival per il confronto tra le diverse espressioni e tendenze artistiche sia italiane che straniere;
i) la conservazione del patrimonio storico e documentario delle arti dello spettacolo, e la sua diffusione attraverso attività editoriali;
j) la diffusione delle attività di spettacolo all’estero;
k) la formazione, lo studio e l’educazione alle discipline dello spettacolo, anche attraverso forme di collaborazione con le istituzioni
l) scolastiche ed universitarie nonché la realizzazione di corsi e concorsi di alta qualificazione professionale.

Articolo 10
(I soggetti)

1. La Repubblica, in particolare, sostiene e valorizza gli enti attualmente operanti nel settore dello spettacolo e in particolare:
a) gli enti pubblici o privati, caratterizzati dalla stabilità del luogo teatrale di svolgimento delle propria attività con riferimento ad una accertata e significativa tradizione di produzione e offerta nei diversi settori dello spettacolo, attività di produzione e promozione nel campo della sperimentazione, della ricerca e del teatro per l'infanzia e la gioventù;
b) le fondazioni lirico - sinfoniche e le istituzioni concertistiche – orchestrali, non aventi scopo di lucro;
c) le imprese di produzione, gli organismi di distribuzione e di formazione dello spettatore, gli esercizi teatrali e cinematografici, le rassegne ed i festival nazionali e internazionali;

d) le associazioni musicali, i complessi bandistici e corali;
e) i soggetti che esercitano attività di spettacolo viaggiante, d’intrattenimento e di attrazione, allestiti a mezzo di attrezzature mobili, all’aperto o al chiuso;
f) gli enti che si prefiggono tra i propri scopi statutari quello di conservare, documentare, valorizzare il patrimonio legato alle attività di spettacolo.

Articolo 11
(Cinema e audiovisivi)

1. La Repubblica promuove le attività cinematografiche e audiovisive quale fondamentale mezzo di espressione artistica, di formazione culturale e di comunicazione sociale e ne riconosce l’interesse generale anche in considerazione della loro importanza economico - industriale.
2. La Repubblica sostiene le attività di cui al comma 1 che perseguano i seguenti obiettivi:
a) la conservazione e la valorizzazione del patrimonio cinematografico e audiovisivo anche attraverso l’istituzione di strutture e servizi idonei;
b) la produzione cinematografica e audiovisiva con particolare riguardo ai nuovi autori anche attraverso l’istituzione di idonei strumenti d’intervento a livello territoriale;
c) il sostegno alla distribuzione e all’esercizio del cinema di qualità;
d) la formazione, la qualificazione tecnica e professionale degli operatori con particolare riguardo all’utilizzo di nuove tecnologie.
e) il rilascio delle autorizzazioni necessarie per l’esercizio cinematografico.

Articolo 12
(Circhi, spettacoli viaggianti, artisti di strada)

1. Lo Stato sostiene i soggetti operanti nel settore del circo e dello spettacolo viaggiante, che svolgano attività volte a favorire:
a) la produzione di spettacoli di significativo valore artistico ed impegno organizzativo, realizzati da enti privati e caratterizzate da un complesso organizzato di artisti, con un itinerario geografico che valorizzi l’incontro tra domanda ed offerta anche con riguardo alle aree meno servite del paese;
b) le iniziative promozionali quali festival nazionali e internazionali;
c) le iniziative di consolidamento e di sviluppo dell’arte di strada e della tradizione circense e popolare mediante un’opera di assistenza, di formazione, di addestramento e di aggiornamento professionali;
d) la diffusione della presenza delle attività di cui al presente articolo all’estero;
e) la ristrutturazione di aree attrezzate;
f) la qualificazione dell’industria dello spettacolo viaggiante anche attraverso l’adozione di registri per l’attestazione del possesso dei necessari requisiti tecnico-professionali di tali attività.
2. Alle esibizioni degli artisti di strada non si applicano le disposizioni vigenti in materia di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche e di commercio ambulante.

DISPOSIZIONI FINALI

Articolo 13
(Riorganizzazione del settore)


1. Entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per il riordino degli enti, organismi e istituzioni pubblici nazionali operanti nel settore dello spettacolo, la cui attività sia prevalentemente sostenuta dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali.
2. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 3, da adottarsi previa intesa con la Conferenza Unificata, sono trasmessi alle Camere per l’acquisizione del parere da parte delle competenti commissioni parlamentari. Le Commissioni parlamentari esprimono il parere richiesto entro quarantacinque giorni dall’assegnazione. Il Governo esamina i pareri resi entro i successivi trenta giorni e ritrasmette i testi con le proprie osservazioni e con le eventuali modificazioni, alla Conferenza Stato - Regioni e alle Camere per il parere definitivo, che esprimono rispettivamente entro trenta e quarantacinque giorni dalla trasmissione dei testi medesimi.
3. Nell’esercizio della delega di cui al terzo comma, il Governo si attiene, oltre ai principi generali stabiliti dalla presente legge, ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) trasformazione in persone giuridiche di diritto privato dei soggetti di cui al comma 3 e in società di diritto privato degli enti dotati di autonomia finanziaria;
b) promozione di una diffusa partecipazione di privati, persone fisiche e giuridiche, al finanziamento e alla gestione dei soggetti di cui al comma 3;
c) in caso di enti soppressi, il personale, i beni e le risorse dell’ente sono trasferite alle Regioni, alle Province ed ai Comuni secondo modalità e criteri stabili dalla Conferenza Unificata.
4. L’ente teatrale italiano, istituito con legge 19 marzo 1942, n. 365, è soppresso.
5. Il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, è abrogato.

Articolo 14
(Interventi finanziari e ausili finanziari)

1. Il governo è delegato ad adottare, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previa deliberazione del consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri dell’Economia e delle Finanze e per i Beni e le attività culturali, uno o più decreti legislativi recanti interventi fiscali in favore delle attività dello spettacolo, secondo i seguenti criteri:
a) parziale fiscalizzazione degli oneri sociali, nei limiti fissati dalla normativa europea;
b) detassazione degli utili reinvestiti, con un tetto massimo di 200.000 euro, nell’attività, nella formazione, nel recupero di spazi e nella innovazione tecnologica;
c) misure di sostegno, anche in forma di prestito d’onore, per nuove iniziative imprenditoriali, giovanili e femminili;
d) introduzione del tax shelter con un tetto complessivo di 250.000 euro a soggetto;
e) introduzione di un premio fiscale proporzionale alla quantità di biglietti venduti nel corso di un anno fiscale;
f) esenzione delle attività dello spettacolo dall’imposta regionale sulle attività produttive;
g) detassazione dei costi pubblicitari e di affissione;
h) deducibilità delle spese inerenti l’attività degli artisti e dei tecnici.
2. Alle attività di spettacolo non si applicano le ritenute di cui all’articolo 28, secondo comma, e articolo 29, ultimo comma del D. P. R. 29 settembre 1973, n.600 e successive modificazioni.
3. All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell’ambito dell’unità revisionale di base corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.


RELAZIONE ALLA PROPOSTA DI LEGGE RECANTE I PRINCIPI FONDAMENTALI PER LO SPETTACOLO AI SENSI DELL’ART. 117, COMMA 3, DELLA COSTITUZIONE

1. Premesse
Le modifiche introdotte al Titolo V della Costituzione e in particolare all’articolo 117 impongono un adeguamento e un rinnovamento alla disciplina dello spettacolo, riconducibile, oggi, alla materia “promozione e organizzazione di attività culturali”, attribuita alla competenza legislativa concorrente delle Regioni.
Il nuovo assetto dei rapporti tra Stato, Regioni e enti locali trova adeguato riscontro nella presente proposta di legge che si propone di semplificare, armonizzare e razionalizzare il panorama legislativo dello spettacolo dettando i principi fondamentali che devono orientare l’azione legislativa delle regioni, definendo altresì il nuovo assetto delle funzioni tra Stato, Regioni e enti locali e la conseguente redistribuzione delle risorse finanziarie.
Nella dizione di “spettacolo” sono ricompresi i settori tradizionalmente ad esso ricondotti, ovverosia la musica, il teatro, la danza, il cinema e gli audiovisivi, il circo e gli spettacoli viaggianti, ivi comprese l’attività degli artisti di strada e le diverse forme dello spettacolo popolare e contemporaneo. I principi fondamentali delineati dalla presente proposta di legge si rivolgono a tutti questi settori.
La parte relativa ai diversi settori della presente proposta è volutamente concisa e generale, essenzialmente finalizzata a delineare i criteri e gli obiettivi che i vari soggetti operanti a diverso titolo nello spettacolo devono perseguire, per potere essere sostenuti dall’azione pubblica.

2. I contenuti della proposta di legge

2.1.
La proposta di legge si compone di tre parti: la parte generale, la parte relativa ai diversi settori e le disposizioni finali.

La parte generale esordisce con due articoli che fungono da premessa alla legge e che nello stesso tempo aiutano a inquadrare lo spettacolo come attività culturale da organizzare e valorizzare. In particolare, essendo una componente essenziale del patrimonio culturale del paese e un fattore di crescita sociale, civile ed economica della collettività, nel rispetto del principio di sussidiarietà, l’articolo 1, comma 4, prevede che lo Stato, le Regioni, gli enti locali, le città metropolitane e i soggetti privati debbano collaborare per favorirne lo sviluppo.
L’articolo 2, comma 2, precisa che le attività dello spettacolo comprendono le funzioni di produzione, promozione, distribuzione e valorizzazione.
Le funzioni di produzione dello spettacolo comprendono ogni attività finalizzata alla creazione o alla trasformazione di opere dell’ingegno, incluse le attività che sovrintendono economicamente al prodotto finale.
Le funzioni di promozione e valorizzazione dello spettacolo comprendono ogni attività diretta a sostenere e sviluppare la conoscenza, la diffusione e la fruizione da parte del pubblico del patrimonio culturale dello spettacolo.
Le funzioni di distribuzione dello spettacolo comprendono tutte quelle attività attraverso le quali la produzione artistica viene portata a contatto con l’utenza territoriale, ivi incluse le differenti forme di esercizio pubblico.
Gli articoli da 3 a 7 definiscono, alla luce anche del nuovo quadro di competenze risultante dal novellato Titolo V della Costituzione, i compiti di Stato, Regioni, Province autonome, Province e Comuni; nonché della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Unificata.
Nel quadro di una legislazione in materia di spettacolo a carattere prevalentemente regionale le competenze statali sono inevitabilmente ridimensionate. La più importante funzione è quella relativa alla gestione della cooperazione internazionale e alla promozione dello spettacolo all’estero, quest’ultima da svolgere in accordo con la Regione specificatamente interessata. Sono state, poi, attribuite allo Stato sia alcune funzioni riconducibili più alla tutela dei beni culturali che alla valorizzazione come la costituzione di un archivio nazionale dello spettacolo, sia altre funzioni come quelle relative alla produzione e alla diffusione in Italia e all’estero delle opere cinematografiche (salvo il sostegno alla distribuzione e all’esercizio del cinema di qualità).

Gli articoli 4 e 5 sono stati dedicati alla Conferenza Stato-Regioni e alla Conferenza Unificata, ritenute fondamentali centri di incontro-confronto tra Stato, Regioni ed Enti locali per una serie di ambiti di interesse comune.
In particolare, alla Conferenza Unificata è stato affidato il compito di definire le linee di indirizzo generale volte ad assicurare e a promuovere la presenza omogenea e diffusa dello spettacolo su tutto il territorio nazionale; a tal fine essa deve definire gli indirizzi generali per le azioni pubbliche di sostegno dello spettacolo.
È, invece, demandato alla Conferenza Stato - Regioni la definizione dei parametri sulla base dei quali effettuare il riparto tra le Regioni del FUS e degli indirizzi generali relativi al sostegno delle aree territoriali meno servite.
Le competenze riservate a questi organismi concretano l’evoluzione istituzionale avvenuta con il Titolo V della Costituzione e sanciscono il ruolo fondamentale delle Regioni, insieme allo Stato, nella definizione delle linee generali di indirizzo e promozione delle attività culturali.
Anche in considerazione dell’importanza delle funzioni e della centralità dell’attività della Conferenza Stato-Regioni è stata prevista la creazione di un organismo paritario quale supporto tecnico amministrativo.
Gli atti e gli accordi conclusi sia in sede di Conferenza Stato-Regioni sia in sede di Conferenza Unificata sono recepiti con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.
L’articolo 6 individua, in via residuale, le funzioni delle Regioni e delle Province autonome; esse sono titolari, nel rispetto di Comuni e Province, di tutte le funzioni in materia di promozione e organizzazione delle attività culturali che non richiedano unitarietà di intervento o che non siano espressamente riservate allo Stato, alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Unificata. La citata disposizione prevede inoltre che le Regioni adeguino la propria normativa ai principi fondamentali previsti dalla presente proposta di legge e che a tal fine si dotino delle necessarie strutture amministrative e degli adeguati strumenti di conoscenza nel settore.
L’articolo 7 assegna alle Province e ad i Comuni tutte le funzioni di base relative alla promozione e alla fruizione dello spettacolo, tra le quali vi rientrano la partecipazione alla programmazione regionale degli interventi dello spettacolo e alla costituzione e alla gestione di organismi stabili.

2.2.
L’articolo 8 è dedicato al FUS. Nell’ottica del nuovo riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni e fino a quando non sarà data attuazione all’articolo 119 della Costituzione è previsto che le risorse finanziarie del FUS siano trasferite alle Regioni sì da finanziare l’esercizio delle funzioni connesse alle potestà di cui sono titolari nel rispetto dei principi fondamentali definiti dalla presente proposta di legge.
La proposta di legge prevede disposizioni di carattere transitorio dal momento che per l’esercizio delle funzioni pubbliche regionali l’articolo 119 della Costituzione non consente, salvo che per gli scopi previsti dal comma 5, interventi speciali dello Stato. Quando, dunque, sarà data piena attuazione all’articolo 119 della Costituzione e le Regioni saranno in grado di esercitare la potestà impositiva loro riconosciuta, esse dovranno essere in grado di finanziarie integralmente le funzioni di cui sono titolari. Il ricorso a finanziamenti da parte dello Stato, senza il rispetto dei limiti previsti dal quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione, rischia di diventare uno strumento di ingerenza statale nell’esercizio delle funzioni regionali (cfr. Corte Costituzionale 16/2004 e 49/2004).
L’articolo 8 della proposta, nel prevedere il suddetto trasferimento in via transitoria, individua accanto al criterio della spesa storica altri criteri destinati a incidere in misura progressivamente più consistente.
Nell’ambito dei principi fondamentali dettati in materia di coordinamento della finanza pubblica, l’articolo 8, comma 3, prevede che le Regioni istituiscano nei propri bilanci un fondo unico per lo spettacolo alimentato sia da risorse proprie che da quelle statali.
E’ previsto poi, che una parte delle quote del FUS sia utilizzata, secondo le indicazioni della Conferenza Stato – Regioni, per favorire interventi nelle aree meno servite, incentivando la presenza omogenea di attività dello spettacolo nel territorio italiano e garantendo i livelli essenziali per il suo sviluppo.
2.3. L’ultima parte della proposta è destinata alle attività settoriali dello spettacolo (attività di spettacolo dal vivo, cinema e audiovisivi, spettacoli viaggianti e artisti di strada) e definisce, per ciascun settore, gli obiettivi e le finalità che i progetti devono perseguire per poter essere sostenuti dall’azione pubblica.

Va precisato che con riguardo al circo, agli spettacoli viaggianti ecc., l’azione di contribuzione è svolta dallo Stato in conformità all’articolo 4 che riserva esclusivamente allo Stato tale azione.
2.4. La proposta si conclude con due disposizioni finali. All’articolo 13 è previsto il riordino di enti, organismi e istituzioni pubblici nazionali operanti nel settore dello spettacolo, la cui attività sia prevalentemente sostenuta dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali; la medesima disposizione prevede la soppressione dell’ETI e la contestuale devoluzione del personale, dei beni e delle risorse dell’ente alla Regioni secondo le modalità e i criteri stabiliti dalla Conferenza Stato - Regioni.
L’articolo 14, invece, detta le disposizioni fiscali in favore delle attività dello spettacolo.

ROMA, 16 Giugno 2004


 

2005BP121
91.21 I teatro come servizio pubblico e come valore: alcuni spunti di riflessione
Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi
di Oliviero Ponte di Pino

 



Filippo Del Corno, Oliviero Ponte e di Pino e Andrea Cortellessa sul palco del Teatro di Villa dei Leoni per le Buone Pratiche.

Le primarie dell’Unione, qualche settimana fa, sono state senza dubbio un momento alto di partecipazione e di democrazia. Nell’occasione veniva distribuito un volantino che conteneva il programma per le elezioni del 2006. Mi sono subito scorso il documento, ma in quelle pagine non ho trovato alcune parole che per me sono molto importanti: non ho letto né “cultura” né “spettacolo” né “informazione”.
Sono omissioni politicamente molto significative, mi pare, nell’Italia berlusconiana.
Passa qualche settimana. La finanziaria taglia il FUS. Le periferie francesi esplodono.
Piero Fassino partecipa alla manifestazione del 7 novembre scorso – si intitolava “Fatti non foste a viver come bruti” ed era stata indetta dai DS proprio contro i tagli al FUS – e spiega: “L’ondata di violenza scatenata a Parigi si batte soprattutto con la cultura, la conoscenza reciproca, il valore della coesione sociale”.
Il trafiletto della “Repubblica” (8 novembre) prosegue spiegando che in caso di vittoria del centro-sinistra Fassino ha promesso “un drastico cambiamento di rotta nell’azione del governo, nella convinzione che l’intervento culturale non rappresenta una spesa bensì un investimento. Una società dove si sostiene la cultura diventa più civile”.
“La Stampa” di ieri, 12 novembre, pubblicava una lunga conversazione con Toni Negri a proposito della rivolta nelle periferie francesi. A un certo punto dice: “Il vero film per capire la banlieue non è L’odio di Kassovitz, metallico, freddo. Il vero film è L’esquive, la schivata. Una professoressa cerca di far recitare a una classe arabo-magrebina un testo di Marivaux. All’inizio tutti si applicano. E poi qualcosa si rompe. E proprio le vicende erotiche e affettive che si instaurano tra i ragazzi produrranno la rivolta. Alla fine la classe si rifiuta di recitare Il gioco dell’amore e del caso, che è la commedia della borghesia bianca. Allo stesso modo, anche le ragazze islamo-francesi della banlieue usciranno profondamente modificate, e partecipi di questa rivolta”.

Sono tre piccole notizie di questi giorni. Se avessimo organizzato le Buone Pratiche in un momento diverso ne avremmo trovato di analoghe: ma sono segni come questi che ci hanno indotto a riflettere sul ruolo e sulle prospettive dello spettacolo (e in generale delle cultura) e a organizzare le Buone Pratiche 2.

Il sostegno dello Stato allo spettacolo dal vivo, in Italia, ha avuto il suo momento più alto nell’immediato dopoguerra, con la nascita del Piccolo Teatro e degli stabili. In quella occasione il teatro – e in genere la cultura – sono stati inseriti nell’orizzonte del welfare, del servizio pubblico. In quel momento, forse per l’unica volta, l’elaborazione teorica e la pratica artistica hanno coinciso. Da allora, per così dire, il teatro italiano vive di rendita, grazie al capitale ideale accumulato con quella invenzione.
Ma è ancora valida? O meglio, è ancora sufficiente?
Certo, i suoi principi sono ancora validi. E tuttavia sono cambiate molte, troppe cose, e siamo convinti che sia necessario uno sforzo di analisi, una riflessione, per capire se e come sia possibile arricchire quella eredità.
Abbiamo cercato dunque di individuare alcuni snodi fondamentali, alcune linee di frattura sulle quali è necessario riflettere. Certamente se ne possono trovare altre, forse più importanti, che magari emergeranno anche in questi giorni. Quelle che vogliamo offrire qui a Mira e in ateatro sono solo alcune suggestioni, o provocazioni, sulle quali innescare una discussione e un approfondimento.

Un primo dato, il più evidente, è la crisi del welfare state, all’interno del quale era inscritto anche il sostegno alla cultura e dunque allo spettacolo. E’ impossibile qui analizzare in dettaglio le ragioni e i modi di questa crisi, ed è inutile sottolineare ancora una volta uno dei suoi effetti più immediati e clamorosi nella finanziaria 2005: i tagli al FUS e quelli agli enti locali, che si rifletteranno in maniera devastante sull’intero settore. Val forse però la pena di sottolineare che quella crisi non è esplosa all’improvviso, ma è il frutto di un’onda lunga diversi anni, e che aveva già portato a una sostanziale progressiva riduzione del Fus. A stringere i cordoni della borsa non sono stati i governi di destra o quelli di sinistra, quanto piuttosto la sensazione che quello della cultura e dello spettacolo non fosse un nodo fondamentale, che si trattasse di un settore sostanzialmente parassitario e incline agli sprechi, e che dunque che fosse possibile – e politicamente opportuno – ridimensionare il sostegno pubblico al settore.
Adesso, mi pare, sarebbe necessario lavorare per smantellare questo “comune sentire”: e non credo sarà un compito facile. Per troppi assessorati lo spettacolo, oggi, deve essere “nazional-popolare”, nel senso deteriore che il termine ha assunto oggi: eventi che catturano audience. Se proprio le persone che hanno maggiori responsabilità culturali all’interno della politica culturale del paese lavorano in questa direzione, la situazione è davvero drammatica.

D’altro canto – e il testo di Eduard Delgado pubboucato in ateatro 91 lo sottolinea con grande chiarezza – il potere pubblico da sempre usa e continua a usare la cultura e il teatro per mettere a punto, per trasmettere e per diffondere una serie di valori. Da un lato, ci sono le grandi istituzioni, come teatri nazionali attivi in diversi paesi europei. Dall’altro, le amministrazioni locali fanno grande uso delle varie funzioni sociali dell’attività teatrale: il reinserimento nel corpo sociale di fasce in vario modo emarginate della società passa molto spesso proprio attraverso l’attività teatrale, e spesso con risultati estetici di grande valore (inutile citare in questo contesto nomi fin troppo noti, come Armando Punzo o Pippo Delbono, ch sono le punte esteticamente più alte di un movimento più vasto). In quest’ottica il teatro ha e continua ad avere un uso e un valore sociale e politico di notevole rilievo, anche se come vedremo in un contesto che sta cambiando rapidamente.
Ma a questo punto non si possono non sottolineare le contraddizioni, i conflitti, le ambiguità, che da sempre caratterizzano i rapporti tra gli artisti e il potere, e che – man mano che la società e il sistema dei media diventano più complessi – assume sfumature sempre più sottili e complesse (vedi l’accenno di Pierluigi Battista a Subvention et subversion nell’articolo che ha scritto qualche setimana fa sul “Corriere della Sera”, commentando proprio i tagli al Fus).

In questo quadro si innesca un ulteriore elemento di trasformazione: il passaggio delle competenze in materia di spettacolo alle Regioni, la relativa ridistribuzione di risorse e – forse – la nuova legge che regolerà il settore dopo sessant’anni di regime ministeriale. E’ un tema che su cui si continua a discutere e riflettere, ma che non può non essere strettamente collegato a un altro snodo chiave: il rapporto del nostro paese con l’Europa e con l’evoluzione dello scenario globale. Si è molto discusso, quando si trattava di tracciare la Costituzione europea, se menzionare esplicitamente le radici cristiane dell’Europa. Ma forse c’è anche un’altra istituzione che caratterizza il Vecchio Continente rispetto al resto del mondo: ed è proprio la fitta rete di istituzioni culturali, teatri, festival, rassegne (non solo teatrali, ovviamente, ma anche musicali, di danza, letterari, artistici, cinemtaografici eccetera). Questo vero e proprio tessuto, capillare e articolato, caratterizza – con mille specificità locali e nazionali – lo scenario culturale e sociale dell’Europa: è un patrimonio che non dovrebbe essere disperso, una risorsa che porta e può portare ricadute di grande interesse.
In uno scenario globale questa rete, questo patrimonio assumono un valore ancora maggiore. In questo contesto, il ruolo e la funzione del teatro – a cominciare dalle grandi istituzioni teatrali nazionali – cambiano inevitabilmente. Il rapporto tra locale e globale si trasforma radicalmente, perché cambia la comunità di riferimento.
Cambia anche perché l’orizzonte mediatico e comunicativo in cui si inserisce il teatro subisce continue rivoluzioni. Non a caso in Italia le prime sovvenzioni al teatro coincidono con il primo grande successo del cinema e una profonda crisi economica del settore, che non era in grado di contrastare il nuovo medium. Ciò nonostante, la rivoluzione dei teatri stabili poteva ancora far riferimento a un pubblico nazional-popolare. Da allora sono arrivate nuove rivoluzioni: l’avvento della televisione e poi di internet hanno ridisegnato la medisfera, le modalità percettive e comunicative e l’uso del tempo libero, e dunque anche le caratteristiche dello spettatore teatrale, le sue percezioni e reazioni, le sue esigenze. I nuovi media sono da un certo punto di vista dei concorrenti del teatro; ma dall’altro aprono inedite opportunità su molteplici versanti (ibridazione di diverse forme espressive sulla scena, diffusione delle opere attraverso altri canali, contatti e rapporto con il pubblico a livello di promozione). Il passaggio dalla tv generalista alle reti tematiche, e poi alle radio e alle tv via internet, solo per fare l’esempio più banale, dovrebbe aprire qualche prospettiva anche per una nicchia come quella del teatro (e persino del nuovo teatro).
Quello dell’ibridazione e della contaminazione del teatro con altre discipline, arti e media è del resto uno dei grandi leit motiv di questi anni (e di questo incontro). A livello di normativa, il nostro sistema tende invece a una ferrea divisioni di generi (teatro, musica, danza eccetera), una compartimentazione che è indispensabile superare. Anche dal punto di vista delle economie di scala, non si capisce perché un teatro di prosa non possa o non debba collaborare con un teatro lirico (altro esempio banale). E il nodo diventa ancora più clamoroso (e ancora più rilevante dal punto di vista teorico) nel momento in cui il teatro inizia a interagire con i nuovi media.

In questo scenario, abbiamo cercato una chiave, una sorta di parola d’ordine, che potesse tener conto delle trasformazioni in atto. Il vecchio paradigma, quello del “teatro come servizio pubblico”, appropriato ed efficace nell’era del welfare, non ci sembrava più sufficiente. Così gli abbiamo accostato – più che contrapposto – un altro paradigma: quello del “teatro come valore”.
Va subito sottolineato che si tratta di un concetto aperto, anzi, inevitabilmente aperto. Perché il concetto di valore assume tonalità e sfumature diverse a seconda dei diversi contesti in cui viene utilizzato, e non è esente da rischi.
Dal punto di vista estetico, il valore riguarda l’eccellenza artistica delle opere. Privilegiare il valore significa privilegiare la qualità dei “prodotti”. Ma in questo modo si rischiano di trascurare molti altri elementi per noi fondamentali: il teatro come processo di creazione artistica, ma anche come processo di socializzazione e risocializzazione, per esempio.
Dal punto di vista economico, il valore riguarda – per semplificare drasticamente – il ROI, ovvero il “return on investment”, cioè il reddito prodotto da un investimento. E’ inutile ribadire i danni che ha provocato e continua a provocare una visione rigidamente economicistica della cultura e dello spettacolo: del resto gli stessi economisti hanno messo a punto strumenti molto più raffinati per valutare l’efficacia degli investimenti in ambito culturale e spettacolare, che non si limitano al solo aspetto finanziario.
Dal punto di vista politico, il valori riguardano invece i contenuti che il teatro è in grado di trasmettere e diffondere. Ma nell’ultimo secolo si è vista fin troppa “arte di regime” per non sospettare immediatamente di un approccio del genere.

Insomma, mentre il concetto di servizio pubblico rischia di apparire chiaro ma usurato, quello di valore – che oggi ha in diversi ambiti grande fortuna, e che dunque può essere un utiule grimaldello comunicativo – richiede di essere maneggiato con estrema cura. Tuttavia è uno strumento utile proprio nella pluralità dei suoi significati, nelle sue ambiguità, e anche nei suoi rischi, per meglio definire quella che può essere oggi la funzione del teatro e trovare un equilibrio tra le dinamiche artistiche, interne al lavoro teatrale e al suo specifico comunicativo, e la società nel suo insieme e nelle sue varie articolazioni.
Insomma, il termine “valore” può essere uno strumento adatto a governare la complessità.

Anche se in realtà le cose sono molto più semplici. Se definire il concetto di valore può essere lungo e difficile, può essere utile una esemplificazione, come quella con cui George Steiner conclude la sua conferenza Una certa idea dell’Europa:

“Se i giovani inglesi decidono che David Beckham precede Shakespeare e Darwin nella classifica dei tesori nazionali, se le istituzioni culturali, le librerie, le sale da concerto e i teatri stanno lottando disperatamente per sopravvivere, in un’Europa ancora sostanzialmente ricca e dove la ricchezza ha ancora più voce che nel passato, la colpa, molto semplicemente, è nostra. Allo stesso modo dovrebbe rientrare nei nostri compiti la ridefinizione dell’educazione secondaria e dei media che potrebbe sanare quella colpa. Con il crollo del marxismo nella barbarie della tirannia e nell’assurdità economica abbiamo perso un grande sogno: quello dell’uomo comune che si mette sulle orme segue le tracce di Aristotele e Goethe, come proclamava Trotzkij. Ora che si è liberato da un’ideologia fallimentare, quel sogno può – anzi deve – essere sognato di nuovo. E forse solo in Europa abbiamo i requisiti culturali necessari, quel senso di tragica vulnerabilità della condition humaine, per fornirgli una base. Solo tra i cittadini di Atene e Gerusalemme, spesso così divisi, confusi, è possibile ritrovare la fiducia che non valga la pena di vivere una ‘vita non esaminata’”.


 

2005BP122
91.22 Coordinate storiche e trasformazione del sostegno pubblico
Le Buone Pratiche 2: interventi & relazioni
di Mimma Gallina

 

Quella che segue è la traccia (meno di una relazione, più di una scaletta), del mio intervento a Mira. Ho lasciato qualche passaggio che nel discorso è saltato.



Mimma Gallina e Renato Nicolini a Mira.

a) PERCHE’ E' OPPORTUNO RIFLETTERE SUI PRINCIPI
del fare teatro e del finanziamento pubblico

1. Perché non sono affatto scontati:
per chi fa teatro, per il pubblico, per tutti quelli cui vanno rispiegati da capo (politici e amministratori a destra e a sinistra), a ogni cambio di legislatura (nazionale e locale), di vento e di generazione.

2. Perché lo Stato in Italia (ai vari livelli) non ha mai del tutto recepito la funzione pubblica del teatro (storicamente):
le teorizzazioni legate alla nascita del Piccolo Teatro potrebbero essere lette come una parentesi in una distrazione lunga un paio di secoli e il vuoto legislativo e non è casuale.
(Per questo vorrei che questa discussione non si perdesse troppo in dettaglio: i "parametri" etc., sono importanti ma sono a mio parere una vecchia trappola bizantina in cui più o meno tutti cadono).

3. Perché la situazione nazionale e internazionale sta cambiando
ed è necessario elaborare coordinate precise in cui collocare e interpretare nozioni come valore, servizio, diritti ma anche pubblico, identità, educazione etc.
Siamo in un momento particolarmente delicato, in cui si gioca molto del futuro: con il taglio del Fus e della finanziaria in genere, forse raggiungiamo il punto più basso che ci saremmo immaginati nel rapporto fra Stato e Organizzazione della Cultura, ma se questo orientamento passa (e la gravità resta anche con il "ridimensionamento" del taglio), la scelta potrebbe essere irreversibile (del resto la nostra capacità di adattamento sembra quasi senza limite).
Per essere positivi come è nello spirito delle Buone Pratiche, ci piace pensare che stiamo per toccare il fondo, e questo aiuta a risalire. E'necessaria una spinta di reni, siamo costretti a riflettere, a attrezzarci, e la prospettiva di elezioni non troppo lontane contribuisce a risvegliare qualche ottimismo (per quanto si possa essere rimasti scottati – per singole esperienze e come settore – ANCHE dalla sinistra: già Paolo Aniello ha citato la fine della scorsa legislatura e voleva ricordare, credo, i contributi "extra Fus" reperiti in corner non per il teatro ma a favore di iniziative discutibili).
Non dimentichiamo fra l'altro che il problema è globale: riguarda l'organizzazione della cultura a livello mondiale (a questo proposito rimando all'articolo di Eduard Delgado "Per una politica fondata sui valori" pubblicato su “Economia della Cultura” XIV/2/2004, riportato fra i materiali e che mi sembra illuminante).

Vorrei dire il mio parere a proposito di SERVIZIO E VALORE: la "provocazione" che da qualche anno è nell'aria e che abbiamo voluto rilanciare, non porterà credo a uno scontro sui due termini e magari a negare la consistenza del servizio e la pertinenza e attualità di questo termine (anche se il ragionamento di Ronconi è suggestivo), ma ad aggiornarlo e a precisarne il senso e, parallelamente, a declinare il termine di valore. Già in questa prima fase della discussione sono emerse due accezioni: il valore in sé del teatro, da un lato, e il valore dell'opera, o di un progetto, o del lavoro teatrale di un gruppo, di un teatro (con i conseguenti problemi di "misurazione"). Vorrei aggiungere un terzo livello di riflessione, vorrei cioè che non si dimenticasse (anche riflettendo sulle suggestioni di Delgado), una POLITICA DEI VALORI: il rapporto del mezzo, o dell'arte teatrale con i VALORI. Delgado cerca anche di individuarli e li indica a grandi linee in una prospettiva appunto "globale", strettamente legata ai diritti e, direi, "ecologica" (sostenibilità, memoria, diversità, connettività, creatività, autonomia-sussidiarità, solidarietà). Si potrebbe discutere nel merito dei singoli punti (e qualcosa del genere ricordo anche nelle dichiarazioni di Martone legate alla gestione del teatro di Roma). Ma la sostanza è che il teatro ha senso e trova un suo spazio importante nella società SE/QUANDO rispecchia e interpreta i problemi cruciali del mondo, di un Paese, delle persone (anche se questo ovviamente non basta perchè ci sia teatro). (Di recente sono stata a un festival, quello di Wroclaw (vedi ateatro 90), che si proponeva di indagare se il teatro rispecchi le ansie dell'Europa allargata, e come. L'interesse del festival non stava nel farlo in astratto, ma attraverso una selezione di spettacoli pertinenti, e in alcun i casi di altissimo livello).

b) FINANZIAMENTI

Cosa è successo
(in breve)

- calo del Fus:
56% dall'85 a oggi in rapporto al PIL;
- 1990/2000: incremento (più o meno equivalente) dell'impegno degli enti territoriali e locali nel settore dell'attività culturale (Regioni, Province e soprattutto – in valore assoluto – i Comuni);
- 2000/2005: anche in assenza di dati precisi si ipotizza che l'intervento degli enti locali sia stato stazionario o sia leggermente calato in termini reali;

Situazione attuale e prospettive

Da oggi (con i tagli alla finanziaria) è una certezza il CALO DI ENTRAMBI i livelli pubblici di finanziamento (locale e centrale), anche se non siamo in grado di prevederne con esattezza la dimensione
Gli SPONSOR: come possibile livello sostitutivo, si sono rilevati un mito (incidenza minima/ una politica tutta da fare);
Le FONDAZIONI BANCARIE, che sono invece una realtà importante (almeno per il centro nord), non si sono orientate allo spettacolo che in misura ridicola (in particolare al teatro, cui arriva meno dell'1% dei fondi globali). Inoltre le linee generali e i criteri adottati per orientare i finanziamenti non in tutti i casi sono trasparenti.
Le Fondazioni Bancarie, ma anche Comuni e Regioni, hanno dimostrato una singolare propensione per IL MATTONE, investendo in ristrutturazioni e costruzioni di spazi che non avremo i soldi per gestire senza: o hanno fatto a volte con lungimiranza, ma spesso riflettere e senza perseguire soluzioni meno onerose, quasi come se l'"investimento" immobiliare non fosse una spesa e non avesse una precisa finalizzazione.
A questo proposito rimando all'obiettivo dei "piani regolatori" dello spettacolo dal mio libro Il teatro possibile, Cap. 1).
Le fondazioni bancarie sono quindi un ulteriore interlocutore importante con cui misurarsi e da orientare e convincere (non solo Stato per intenderci: bisogna equilibrare e distribuire le energie).

c) LA POLITICA DEL MINISTRO URBANI (Berlusconi 2)

L'apparente non politica del ministro Urbani
è stata molto rilevante per il settore. Tra i suoi provvedimenti:

- la revisione dei REGOLAMENTI e in particolare lo stop alla triennalità (uno dei provvedimenti più rilevanti – per il risvolto programmatico – del governo precedente);
- la sedicente riforma dell'ETI (al di fuori da ogni confronto parlamentare o con il mondo del teatro nel suo complesso);
- la centralizzazione delle nomine rilevanti (a partire dai vertici dell'ETI, ma anche Arcus e Biennale: dove per la verità questo criterio era già stato introdotto);
- il clientelismo: basti ricordare l'aumento dei soggetti finanziati (molti dei quali non sono poi stati in grado di svolgere l'attività!);
- la discrezionalità (collegata al punto precedente ma non solo): prevista "per regolamento" e che finalmente almeno smaschera i presunti parametri quantitativi e qualitativi (chi ci crede ancora – molti temo – è peggio che ingenuo);
- la vergogna di commissioni incompetenti come mai prima (e continuamente smentite);
- l'ampio utilizzo di fondi extra-Fus, che quando si vuole ci sono (ma utilizzati con criteri ancora più discrezionali: a onor del vero più a favore delle istituzioni nazionali – ETI, Accademia Silvio d'Amico – che degli amici);
- l'istituzione di Arcus, che forse non è proprio "la creatura più bella di questa legislatura" (come ha sostenuto il suo presidente), ma indubbiamente le è molto coerente: una società del tutto priva di trasparenza e figlia del "principio di privatizzazione". (Per inciso: questo malgrado la consapevole-accertata assenza di fondamento del decantato concorso pubblico-privato nel sostegno a beni e attività culturali; anche un cretino oggi ha capito che l'investimento nel settore non è "in sé" quasi mai un beneficio – anche se si può gestire meglio il merchandising! – ma è l'indotto a trarre beneficio e che il problema è quindi una politica articolata del territorio che punti/integri/valorizzi il bene culturale);
- l'assurdo braccio di ferro con le Regioni e perfino con le Commissioni parlamentari (ovvero la strenua volontà di mantenere tutte le decisioni – e tutto il potere e tutto il Fus – al centro, anche in presenza della riforma costituzionale (posizione che ha ritardato di tre anni il possibile iter di una nuova legge).

d) LE POLITICHE DI WELFARE

In questo quadro di azione, emerge a mio parere un disprezzo intollerabile per la "dignità" dell'artista, dell'operatore teatrale, e anche della tanto decantata "impresa" (disprezzo che ha raggiunto il vertice in alcune dichiarazioni del direttore generale del Ministero, Nastasi). Il richiamo all'astratta efficacia gestionale e ai valori economici riconducono del resto anche il "pubblico" (ricordate quei cittadini "liberamente riuniti ad ascoltare una parola da accettare o da respingere"?) a una categoria di marketing, "disciplina" utile e molto mal assimilate peraltro (un po' come in treno, dove da viaggiatori siamo diventati clienti e da protagonisti di un'avventura ci siamo ridotti a polli da spennare).
Questa politica non è a mio parere da sottovalutare, perché, col suo basso profilo, corrisponde a "una concezione del mondo", che sottrae di fatto ogni valore di principio e di prospettiva a quella che non possiamo quindi più definire "politica di welfare", essendo ormai sganciata da qualunque ragionamento sui diritti, sull'accesso, sulla qualità della vita, sulla formazione delle persone etc. Mi sembra in sintesi che l'intervento politico sia regredito a una fase PRE-welfare (senza essere arretrata all'epoca fastosa del Principe, magari), o forse è già approdato a un ormai consolidato POST-welfare (un day after in cui si salvi chi può).
Ma su questo punto vedi le riflessioni ben più approfondite di Michele Trimarchi in ateatro 91.

e) EVOLUZIONE LEGISLATIVA

Su questo punto ci aggiorna Patrizia Ghedini (della regione Emilia Romagna e anche a nome del coordinamento tecnico delle Regioni)
(Inciso: anche chi è intervenuto nel progetto legge "fai-da-te" di ateatro, in non pochi casi dimostra di non aver colto fino in fondo che il passaggio di competenze fra Stato e Regioni – nella prospettiva "concorrente" – è un DATO ACQUISITO, da disciplinare: dobbiamo smetterla di pensare al sostegno pubblico allo spettacolo in una prospettiva statale: non è più così, e personalmente penso che non sia affatto un male e che il passaggio avrebbe dovuto verificarsi già negli anni Settanta).
Vorrei comunque esprimere alcune PREOCCUPAZIONI SULLA EVOLUZIONE LEGISLATIVO-POLITICA (anche a partire dai testi che abbiamo inserito nella cartella documenti e che troverete sul sito):
- la necessità di trovare un accordo può portare a mediazioni verso il basso (un po' troppo verso il basso: è il caso del testo Rositani); le Regioni hanno messo a fuoco alcuni principi e questi devono a mio parere difendere. La legge che hanno elaborato è però anche una LISTA di tutto quello che le stratificazioni ministeriali hanno prodotto negli anni. E questo impedisce di scorgere il nuovo, o semplicemente di adottare nuove prospettive.
- in particolare nel passaggio di competenze penso che si debba evitare di ricalcare il passato prossimo (moltiplicando in brutte copie diffuse i criteri varati dal centro): sta già succedendo, molte leggi regionali (le più recenti) hanno spesso "fotocopiato" alcuni degli orientamenti peggiori dei regolamenti governativi. Inoltre, chi ha deciso che le leggi regionali devono essere nella sostanza uguali? (Questa è ancora una volta una mentalità statalista). Una volta garantiti alcuni diritti di base, a mio parere, viva la differenza.
- temo anche che si appiattiscano i criteri di valutazione su parametri di falsa rilevanza economica-falsa efficacia (va invece azzerata questa perversione – i primi a dirlo sono gli economisti – e bisogna avere il coraggio di ricominciare da capo).
- temo anche che si appiattisca la politica culturale sui "settori culturali": cioè da un lato si rinnovino le divisioni classiche fra settori e all'interno degli stessi, dall'altro si riduca la politica per lo spettacolo allo spettacolo, o quella per i beni culturali ai beni culturali, dimenticando che deve essere parte di una politica sociale e culturale generale (che possa interagire con la formazione, l'informazione, la comunicazione, il turismo, l'integrazione sociale, l'educazione permanente, le politiche giovanili, le politiche del territorio). Speriamo a questo proposito che, almeno negli indirizzi del centro-sinistra per le prossime elezioni, si possa contare su un "effetto banlieue". Questa consapevolezza dovrebbe essere anche dei teatranti, che dovrebbero poter far riferimento a diversi settori dell'amministrazione pubblica, non per moltiplicare le fonti di finanziamento ("furbescamente" come penserebbero certo i funzionari dei diversi organismi statali e locali), ma perchè è così, perchè questa molteplicità corrisponde alla realtà in un teatro fondato sui valori.

f) Considerazioni sugli ENTI LOCALI

Anche nella politica degli enti locali (comuni soprattutto) vedo assieme la possibile salvezza, ma anche un potenziale grande rischio. La salvezza, sta nella consapevolezza abbastanza diffusa di costituire il baluardo, la linea di non arretramento rispetto alle garanzie minime di servizio.
Il timore, sta nel possibile scivolamento delle politiche locali da SOLO ISTITUZIONE a SOLO EVENTO. E nella necessità (probabile a tempi brevi-medi, salvo inversioni di tendenza) di modalità molto selettive di intervento che non credo abbiamo – quasi in nessuna area del paese – trovato criteri meditati di riferimento che non siano il salvataggio dell'esistente.
Il racconto della Notte Bianca di Roma di Giovanna Marinelli è molto chiaro circa il valore sociale, le ricadute e i benefici di un grande '"evento" e credo che tutti si sia consapevoli della complessità della politica culturale di un grande comune. Ma tutti sappiamo anche che molti medi comuni sperperano (non lo dico per moralismo), in grandi concerti e improvvisati eventi, sappiamo anche quanto le realtà consolidate (legittimamente convenzionate e sostenute), possano schiacciare quelle emergenti. E sappiamo anche quanto sia negli anni scaduta la qualità di gestione delle istituzioni culturali comunali (fino quasi a far sparire la figura della direzione artistico-organizzativa: cioè una "strategia" dell'istituzione). Anche i comuni insomma, devono riflettere su minimi comuni denominatori di intervento e sulla responsabilità che rivestono a livello locale e nazionale in questo loro ruolo di garanti del servizio.

g) Considerazioni sugli INVESTIMENTI per la CULTURA con qualche nota sulla SPESA

Torniamo su questo punto per un momento: la contrazione è davvero inevitabile? e progressivamente andrà sempre peggio? (magari un po' meno peggio se cambia governo, ma una progressiva minore disponibilità di risorse è inevitabile).
Io non credo che sia così ineluttabile.
Credo cioè che scelte decise a favore dello spettacolo e della cultura siano possibili, a fronte – ovviamente – di altre contrazioni, in altri campi. Ma anche se un nuovo governo (certo non questo) arrivasse a un effettivo investimento, sarebbe necessaria un'analisi del settore nel suo complesso, delle competenze, dell'efficacia degli interventi, delle diverse politiche e fonti di riferimento (non solo Fus: è chiaro che una alternativa, o una serie di alternative al Fus, va individuata).
Ma a maggior ragione nella situazione presente e in un'ottica pessimista (certo più realistica), è/sarebbe doveroso analizzare seriamente le eventuali aree di spreco, i possibili miglioramenti di gestione.
Non entriamo nel merito della questione delle Fondazioni Lirico Sinfoniche – ma sicuramente il problema della loro gestione, funzione, numero esiste – ma nel settore prosa? Sono presenti aree di spreco:
- gli stabili pubblici: penso – e in questo sono sempre stata d'accordo con Ivo Chiesa – che i nostri stabili soffrano di un "sotto-investimento” (e credo che le istituzioni debbano invece esistere e vadano rafforzate: a certe condizioni, ma questo forse è un altro convengo). Gli sprechi – che ci sono – corrispondono paradossalmente proprio alla rincorsa un po' stupida e molto demodé a "prodotti di lusso" (e non saprei su questa tendenza chi/come potrebbe intervenire, visto che dipende dal "gusto" dei direttori);
- l'ETI: è talmente evidente in questo caso l'improduttività (il rapporto negativo costi/efficacia che si è rivelato irreversibile/irrimediabile), che il suo scioglimento sarebbe logico sotto qualunque amministrazione, e mi sembra inevitabile nella prospettiva del passaggio di competenze (anche le Regioni lo prevedono nel loro progetto di legge: non so se solo ritualmente). In tutti i frangenti più difficili, però, l'ETI si è salvata e sono quasi certa che questa mia considerazione non troverà un riscontro nei fatti e è probabile che si debba discutere – se ci sarà data facilità di discuterne – su una sua, speriamo sostanziale, evoluzione). (Questo non ha niente a che vedere con la buona fede delle persone che all'ETI lavorano – e le cui competenze secondo me potrebbero meglio essere utilizzate altrove – e ringraziamo il direttore e il presidente del messaggio che ci hanno mandato).
- esistono infine singole imprese per cui i contributi pubblici sono eccessivi: a mio parere esistono aree estese di teatro leggero che beneficiano di aiuti eccessivi rispetto agli esiti di mercato; anzi i contributi sono proprio proporzionati a questo successo, e sono convinta che in molti casi si configurino in larga misura come lucro. Forse su questa area del teatro ANCHE questo governo, che l'ha particolarmente incentivata, dovrebbe riflettere (praticamente TUTTI o quasi gli incrementi di un certo rilievo hanno premiato il teatro leggero).
- a livello delle città e delle regioni è poi davvero urgente disegnare piani di sviluppo e piani regolatori, e credo che le forze teatrali dovrebbero spingere in questa direzione.

Il mio intervento più o meno si è interrotto qui – già ho lasciato alcuni passaggi che nel discorso sono saltati.
Avrei voluto in conclusione anche:
- sottolineare i problemi del lavoro nello spettacolo (che nessuno ha toccato);
- ma anche ricordare la fantasia che ha consentito alle compagnie con infinite attività teatrali e extrateatrali di andare avanti e di sviluppare la loro attività (questo era il senso di Buone Pratiche 1)
- e fare un accenno agli osservatori dello spettacolo, nazionali e Regionali.
Su alcuni punti che mi stavano a cuore, sono intervenuti successivamente e più approfonditamente Patrizia Ghedini e Giulio Stumpo (in particolare mi riferisco al "diritto" alla cultura e al teatro come "opportunità" e alla inadeguatezza di parametri economici per "misurare" l'attività teatrale). Sulla necessità di elaborare schemi di riferimento trasversali ai settori ha presentato proposte efficaci Filippo dl Corno (insistendo molto sulla sobrietà della spesa: argomento che condivido ma che può anche essere un boomerang).
Infine – in sede di dibattito – è emersa la proposta tutt'altro che astratta di promuovere un'azione coordinata per vincolare i parlamentari della prossima legislatura a portare l'investimento sulla cultura all'1% del PIL. Mi sembra un'ottima proposta, su cui lavorare in concreto in funzione di Buone Pratiche 2/Sud.


 

2005BP122
91.41 Il progetto di legge Rositani per lo spettacolo
Licenziato dalla Commissione Cultura della Camera e iscritto nel calendario dell'aula
di On. Rositani (e numerosi emendamenti...)

 


Disciplina dello spettacolo dal vivo (t.u. C. 587 e abb.).
NUOVA DISCIPLINA DELLO SPETTACOLO DAL VIVO

Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 1.
(Oggetto e princìpi fondamentali).

1. La presente legge determina i princìpi fondamentali e detta norme di competenza dello Stato in materia di spettacolo dal vivo, nel rispetto delle competenze legislative delle Regioni, definite ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione.
2. Ai fini della presente legge, lo spettacolo dal vivo comprende le seguenti attività culturali compiute alla presenza diretta del pubblico nel luogo stesso dell'esibizione:
a) musica;
b) teatro;
c) danza;
d) circo e spettacolo viaggiante, ivi comprese le esibizioni degli artisti di strada e le diverse forme dello spettacolo popolare e contemporaneo.
3. Costituiscono princìpi fondamentali della materia di cui al comma 1, in particolare:
a) la tutela e la garanzia delle libertà creative ed espressive e del pluralismo, nel rispetto dei principi sanciti dall'articolo 3 e dall'articolo 33 della Costituzione, attraverso la realizzazione della pari opportunità di accesso e di fruizione dello spettacolo dai vivo e con strumenti di coordinamento, collaborazione e perequazione volti a garantire lo sviluppo e la diffusione dello spettacolo dal vivo, armonici ed equilibrati, sull'intero territorio nazionale e ad assicurare gli interventi necessari in favore delle aree e delle regioni meno servite. A tali scopi, e per garantire la specificità dello spettacolo dal vivo come servizio culturale e diffuso sull'intero territorio nazionale, possono essere altresì adottate specifiche forme di intesa e coordinamento tra i diversi livelli di governo della Repubblica.
a) il sostegno e la promozione dello spettacolo dal vivo quale fattore di sviluppo ed elemento fondamentale dell'articolata identità nazionale e del patrimonio artistico e culturale italiano, nelle sue manifestazioni tradizionali e contemporanee senza distinzione di genere;
b) il coinvolgimento e la valorizzazione dell'apporto delle associazioni rappresentative delle categorie operanti nel settore;
c) la promozione dell'innovazione artistica e imprenditoriale, assicurando elevati livelli di educazione e formazione nei diversi settori dello spettacolo dal vivo;
d) la promozione della massima collaborazione tra i soggetti pubblici e privati, a livello internazionale, nazionale, regionale e locale per lo sviluppo e la circolazione delle attività dello spettacolo dal vivo, anche attraverso tecnologie innovative, nonché con specifiche intese, accordi e convenzioni tra Ministeri, regioni, università, istituzioni nazionali di formazione per l'alta specializzazione, associazioni professionali di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale;
f) il sostegno dei soggetti e dei progetti che, con carattere di continuità e con definite finalità culturali, operano nella formazione dei nuovi talenti, nella promozione delle attività creative ed espressive, nell'avviamento al lavoro degli artisti, nella produzione, nella distribuzione e nell'innovazione dei linguaggi, con specifica attenzione alla contemporaneità, alla sperimentazione e alla ricerca, all'attività verso l'infanzia e i giovani, all'interdisciplinarità, alla multimedialità e alle nuove forme di spettacolo che attivano l'interazione con il pubblico, nonché all'integrazione multietnica della cultura;
h) la promozione dell'insegnamento delle discipline artistiche e della conoscenza dei diversi settori dello spettacolo dal vivo, nell'ambito del sistema scolastico e di quello dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica;
i) la promozione e il sostegno di corsi e concorsi di alta qualificazione professionale organizzati da soggetti pubblici e privati che non perseguono fini di lucro, rivolti alla formazione e alla selezione delle diverse figure professionali operanti nei settori dello spettacolo dal vivo;
l) la garanzia di adeguate risorse pubbliche e la promozione dell'apporto di risorse private in favore dei diversi settori dello spettacolo dal vivo.

Art. 2.
(Compiti della Conferenza unificata).

1. In attuazione delle finalità della presente legge, la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, provvede tra l'altro, nelle forme e con le modalità previste dalla normativa vigente, a promuovere e sancire accordi tra Governo, regioni, province, comuni e comunità montane, al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze, per:
a) individuare gli strumenti di cooperazione e solidarietà istituzionale al fine di favorire l'affermazione dell'identità culturale nazionale e regionale e delle minoranze linguistiche e una diffusione equilibrata e qualificata dello spettacolo dal vivo sul territorio nazionale;
b) definire gli indirizzi generali in materia di formazione del personale artistico, tecnico e amministrativo, relativamente alle figure la cui formazione non è riservata alle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica di cui alla legge 21 dicembre 1999, n. 508;
c) promuovere la cultura dello spettacolo dal vivo attraverso la definizione di programmi di interventi specificamente rivolti al mondo della scuola e dell'università;
d) definire linee di indirizzo comune ai fini della programmazione degli interventi relativi alla costruzione, al recupero, all'adeguamento funzionale e tecnologico, alla ristrutturazione e alla eventuale conversione di spazi, strutture e immobili destinati o da destinare allo spettacolo dal vivo;
e)soppresso;
f) individuare i criteri e le modalità per la verifica del rapporto di efficacia ed efficienza tra l'investimento delle risorse pubbliche e il raggiungimento degli obiettivi e delle finalità culturali, attraverso attività di monitoraggio e osservatorio da realizzarsi in collaborazione fra il livello statale, quello regionale e quello locale.

Art. 3.
(Compiti dello Stato).

In base ai princìpi di sussidiarietà e adeguatezza sanciti dall'articolo 118, primo comma, della Costituzione, e nel rispetto della potestà legislativa delle Regioni, spetta tra l'altro allo Stato, anche al fine di promuovere lo sviluppo e il riequilibrio territoriale delle attività di spettacolo dal vivo, di:
a) promuovere e sostenere la diffusione dello spettacolo dal vivo a livello europeo, attivando rapporti di collaborazione e di interscambio tra i Paesi europei al fine di raggiungere un'effettiva integrazione culturale;
b) promuovere il sostegno agli autori, agli artisti interpreti e a tutti gli operatori dello spettacolo dal vivo, anche con particolare riferimento alle iniziative giovanili, di ricerca e di sperimentazione e alle figure professionali legate allo sviluppo delle nuove tecnologie, attraverso interventi in campo fiscale e previdenziale e nelle altre materie di propria competenza, nonché tutelandone la libertà artistica ed espressiva e la proprietà intellettuale;
c) promuovere l'insegnamento della musica, nell'aspetto storico, di educazione all'ascolto e della pratica strumentale e corale, della storia del teatro e delle tecniche di recitazione, della storia della danza e della pratica coreutica e della tradizione circense. A tal fine, nel rispetto dell'autonomia scolastica, è favorito l'inserimento delle relative discipline tra le materie di studio delle scuole dell'infanzia e del primo ciclo dell'istruzione;
d) sostenere l'istruzione e l'alta formazione nelle discipline dello spettacolo dal vivo, con riferimento ai conservatori di musica, agli istituti musicali pareggiati, alle accademie delle belle arti, agli istituti superiori per le industrie artistiche e alle accademie nazionali d'arte drammatica e di danza, nel rispetto dell'autonomia di tali istituzioni, anche in relazione alle nuove figure professionali legate allo sviluppo tecnologico;
e) favorire un'adeguata politica di accesso al credito dei soggetti dello spettacolo dal vivo, individuando gli strumenti più idonei a favorire agevolazioni e sostenere la nuova imprenditoria del settore;
e-bis) favorire un'adeguata politica di accesso al credito dei soggetti dello spettacolo dal vivo, individuando gli strumenti più idonei a favorire agevolazioni e sostenere la nuova imprenditoria del settore, anche avvalendosi dell'Istituto per il credito sportivo, di cui alla legge 24 dicembre 1957, n. 1295, e successive modificazioni, per la costituzione di un apposito fondo di garanzia;
f) sottoscrivere protocolli d'intesa con le emittenti radiotelevisive nazionali per destinare adeguati spazi di programmazione alle produzioni italiane ed europee di spettacolo dal vivo e per riservare spazi d'informazione specializzata al pubblico sulle programmazioni di spettacolo dal vivo. Spazi d'informazione e di promozione dedicati allo spettacolo dal vivo sono altresì previsti dal contratto di servizio tra lo Stato e la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo;
f-bis) assegnare le risorse del Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985 n. 163, destinate ai diversi settori dello spettacolo dal vivo, attraverso criteri e modalità stabiliti con decreti ministeriali non aventi natura regolamentare, sentita la Conferenza unificata.
g) attuare le attività di monitoraggio e osservatorio sull'impiego delle risorse finanziarie statali a sostegno dello spettacolo dal vivo, ai fini e nel rispetto di quanto stabilito ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera f);
h) assicurare la conservazione del patrimonio storico ed artistico e promuovere la diffusione del repertorio classico del teatro greco e romano, anche attraverso accordi di cooperazione culturale con i Paesi dell'area mediterranea;
i) promuovere accordi per la coproduzione di spettacoli dal vivo con i Paesi esteri, in particolare con i Paesi membri dell'Unione europea e con i Paesi appartenenti all'area del Mediterraneo e alle altre aree di maggiore destinazione e provenienza di flussi migratori, al fine di promuovere l'integrazione multietnica delle culture;
l) costituire l'archivio nazionale per lo spettacolo dal vivo, anche in video;
m) favorire lo sviluppo dello spettacolo dal vivo anche attraverso agevolazioni fiscali, fatto salvo quanto stabilito in sede di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.

Art. 4.
(Compiti delle regioni).

1. Nel rispetto delle funzioni dei comuni, delle province, delle città metropolitane e dello Stato, le Regioni promuovono e valorizzano le attività culturali dello spettacolo dal vivo.
2. Spettano alle Regioni, in particolare:
a) l'attuazione dei princìpi fondamentali della legislazione statale, anche attraverso l'adeguamento degli strumenti legislativi e regolamentari;
b) la programmazione regionale degli interventi in materia di spettacolo, con il concorso degli enti locali interessati, con riferimento alla produzione, alla distribuzione e alla circolazione;
c) l'individuazione dei criteri per la definizione del sistema delle residenze multidisciplinari;
d) la promozione di nuovi talenti e dell'imprenditoria giovanile e femminile, anche con la graduale e qualificata estensione alle diverse forme dello spettacolo dal vivo degli strumenti a tale fine previsti dalla legislazione vigente;
e) la tutela delle tradizioni autoctone attraverso la valorizzazione delle lingue e dei dialetti locali;
f) il sostegno di scambi culturali e di iniziative socio-culturali in favore delle comunità regionali presenti all'estero, onde promuovere la conoscenza, la cooperazione, la solidarietà e l'integrazione tra i popoli;
g) la promozione del turismo culturale;
h) la stipula di protocolli d'intesa con le emittenti radiotelevisive per la destinazione di spazi di informazione e promozione dello spettacolo dal vivo sul territorio e per forme integrate di collaborazione;
i) l'attuazione delle attività di monitoraggio e osservatorio sull'impiego delle risorse finanziarie regionali a sostegno dello spettacolo dal vivo, ai fini e nel rispetto di quanto stabilito ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera f).
l) l'attivazione di un sistema unificato di informazione e assistenza agli operatori del settore, denominato «antenna europea», per l'informazione sui programmi, l'individuazione dei partner internazionali, il coordinamento dei progetti e la cura delle domande.
3.Le regioni, anche attraverso la stipula di accordi e di intese con comuni, province e città metropolitane, al fine di conseguire un'adeguata valorizzazione del patrimonio materiale ed immateriale, delle infrastrutture tecnologiche e delle risorse professionali e artistiche dello spettacolo dal vivo presenti sul loro territorio, svolgono azioni relative:
a) alla costruzione, restauro, adeguamento, innovazione tecnologica e qualificazione di sedi e spazi multimediali;
b) alla tutela del patrimonio artistico dello spettacolo dal vivo, attraverso progetti di catalogazione e conservazione audiovisivi e la promozione di centri audiovisivi per la valorizzazione delle iniziative regionali e locali, anche in rete con l'archivio nazionale di cui all'articolo 3, comma 1, lettera l);
c) alla predisposizione di progetti finalizzati alla integrazione europea dello spettacolo e alla valorizzazione della cultura, della storia e delle tradizioni regionali e locali;
d) alla formazione e all'aggiornamento professionale degli operatori dello spettacolo dal vivo, nonché alla creazione di nuovi profili professionali in questo campo.
4. Ferme restando le competenze riconosciute alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi dei rispettivi statuti e delle relative norme d'attuazione, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le regioni adeguano i propri ordinamenti alle disposizioni della presente legge.
5. Le regioni, nell'ambito della propria autonomia finanziaria stabilita dall'articolo 119 della Costituzione, provvedono ad adeguare ai nuovi compiti ad esse spettanti le risorse finanziarie a favore dello spettacolo dal vivo.

Art. 5.
(Compiti dei comuni, delle province e delle città metropolitane).

1. In materia di promozione e fruizione dello spettacolo dal vivo, i comuni, le province e le città metropolitane esercitano le funzioni amministrative proprie e quelle ad essi conferite con legge statale o regionale sulla base dei princìpi di sussidiarietà, di differenziazione e di adeguatezza.
2. I comuni, le province e le città metropolitane concorrono alla promozione e valorizzazione delle attività culturali dello spettacolo dal vivo, tra l'altro:
a) partecipando, con le modalità stabilite dalla normativa regionale, alla definizione della programmazione regionale per lo spettacolo dal vivo;
b) partecipando, anche in forma associata, con assunzione dei relativi oneri, alla costituzione e gestione di soggetti stabili dello spettacolo dal vivo, della distribuzione di spettacoli e delle residenze multidisciplinari e al sostegno di altri soggetti operanti nel proprio ambito territoriale, con erogazione di servizi anche in relazione a finalità turistiche;
c) realizzando interventi di costruzione e di recupero, restauro o adeguamento funzionale e tecnologico delle strutture e degli immobili di loro proprietà da destinare ad attività di spettacolo dal vivo multidisciplinari;
d) favorendo, nell'attività di promozione e sostegno dello spettacolo dal vivo, la cooperazione con il sistema scolastico universitario e dell'alta formazione artistica e musicale e coreutica, con gli operatori economici e con le associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello territoriale e, in generale, con le comunità locali;
e) attuando le attività di monitoraggio e osservatorio sull'impiego delle proprie risorse finanziarie a sostegno dello spettacolo dal vivo, ai fini e nel rispetto di quanto stabilito ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera f).

Art. 6.
(Disciplina transitoria sul Fondo unico per lo spettacolo).

1. A decorrere dal 1o gennaio 2006 e fino alla piena attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, al Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, ad eccezione della quota destinata alle attività cinematografiche, si applicano le disposizioni di cui al presente articolo.
2. Il Ministro per i beni e le attività culturali, con decreti ministeriali non aventi natura regolamentare, ripartisce in settori le quote del Fondo unico per lo spettacolo e, d'intesa con la Conferenza unificata, definisce criteri e modalità di erogazione dei contributi in favore delle attività dello spettacolo dal vivo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, che possono comunque essere adottati qualora l'intesa non sia stata raggiunta entro sessanta giorni dalla data della loro trasmissione alla Conferenza unificata.
3. A decorrere dal 1o gennaio 2006, è abrogato il decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2003, n. 82.

Art. 7.
(Comitato tecnico per lo spettacolo dal vivo).

1. È istituito il Comitato tecnico per lo spettacolo dal vivo, di seguito denominato «Comitato».
2. Il Comitato, presieduto dal Ministro per i beni e le attività culturali, è composto da 32 esperti, di, cui 16 designati dal medesimo Ministro, 8 dalla Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome, 4 dall'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e 4 dall'Unione delle province d'Italia (UPI).
3. I componenti del Comitato, scelti da ciascuna istituzione proporzionalmente tra esperti nelle materie di cui all'articolo 1, comma 2, sono tenuti a dichiarare, all'atto del loro insediamento, di non versare in situazioni di incompatibilità con la carica ricoperta, derivanti dall'esercizio attuale e personale di attività oggetto delle competenze istituzionali del Comitato e delle Commissioni di cui al comma 7.
4. Il Comitato, e le Commissioni di cui ai comma 7, sono nominati con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
5. I componenti del Comitato restano in carica due anni e possono essere confermati.
6. Il Comitato, riunito in seduta plenaria, è integrato da 4 membri designati delle associazioni rappresentative di categoria e 4 membri designati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori del settore. Esso svolge i compiti già attribuiti al Comitato per i problemi dello spettacolo dall'articolo 8, comma 3, del decreto ministeriale 10 giugno 1998, n. 273. Al Comitato in seduta plenaria partecipano anche, senza diritto di voto, il Capo del Dipartimento per lo spettacolo e lo sport del Ministero per i beni e le attività culturali ed il direttore generale competente.
7. Il Comitato, nella composizione di cui al comma 2, si articola in quattro Commissioni per ciascuno dei settori di cui all'articolo 1, comma 2, presiedute dal Direttore Generale per lo spettacolo dal vivo e lo sport. A tali Commissioni sono attribuite le funzioni già proprie delle commissioni consultive per la musica, per la prosa, per le attività circensi e lo spettacolo viaggiante e per la danza, di cui all'articolo 1, commi 59 e 60, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n, 545, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 1996, n. 650.
8. Le Commissioni sono composte ciascuna da 8 esperti, scelti tra quelli di cui al comma 2, proporzionalmente rispetto all'istituzione che li ha designati ed alle materie di competenza.
9. Il Comitato e le Commissioni si avvalgono, anche ai fini dell'espletamento delle attività istruttorie necessarie all'esercizio delle proprie funzioni, delle strutture e del personale del Ministero per i beni e le attività culturali. Ai costi di funzionamento del Comitato e delle Commissioni si provvede nei limiti degli stanziamenti destinati al funzionamento del Comitato per i problemi dello spettacolo e delle Commissioni consultive di cui all'articolo 1, commi 59, 60 e 67 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 545, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 1996, n. 650.
10. Il Ministro per i beni e le attività culturali, con decreto non avente natura regolamentare, entro sessanta giorni alla data di entrata in vigore della presente legge, stabilisce le modalità di funzionamento del Comitato e delle Commissioni.

Capo II
PRINCIPI CONCERNENTI I SINGOLI SETTORI

Art. 8.
(Attività musicali).

1. La musica, quale mezzo di espressione artistica e di promozione culturale, costituisce aspetto fondamentale della cultura ed insostituibile valore sociale, economico e formativo della collettività. Fermo restando quanto disposto dal Capo I, alla musica si applicano in particolare i princìpi fondamentali di cui al presente articolo.
2. La Repubblica sostiene e valorizza le attività musicali di livello professionale in tutti i loro generi e manifestazioni, favorisce la formazione e lo sviluppo delle istituzioniche, nello svolgimento di attività di produzione, distribuzione, coordinamento e ricerca in campo musicale, perseguono, con carattere di continuità, una o più delle seguenti finalità:
a) la conservazione del patrimonio storico della musica di tutti i generi, degli archivi delle istituzioni, nonché la raccolta e la diffusione di documenti e statistiche di interesse musicale;
b) la produzione contemporanea di nuovi autori e la promozione di interpreti ed esecutori nazionali;
c) la sperimentazione e la ricerca di nuovi linguaggi musicali, anche attraverso l'utilizzo di nuove tecnologie;
d) l'incontro tra domanda e offerta musicale, con particolare riguardo alle aree del Paese meno servite, in un'ottica di equilibrio, omogeneità e pari opportunità per la collettività nella fruizione di un servizio culturale;
e) la diffusione della cultura musicale sull'intero territorio nazionale attraverso la distribuzione di opere e la realizzazione di concerti, nonché la promozione e la formazione del pubblico, in particolare giovanile;
f) la realizzazione di eventi e manifestazioni a carattere promozionale e di confronto tra le diverse espressioni e tendenze artistiche italiane e straniere;
g) lo studio e il perfezionamento dello strumento musicale, del canto e della composizione, anche attraverso forme di collaborazione con le istituzioni scolastiche e di alta formazione artistica, musicale e coreutica, secondo quanto previsto dalla legge 21 dicembre 1999, n. 508 e dai regolamenti attuativi;
h) la costituzione di complessi e bande musicali di carattere professionale;
i) la diffusione all'estero della produzione musicale nazionale e la promozione della musica, dei compositori e degli interpreti musicali qualificati, anche attraverso programmi pluriennali organici;
l) la diffusione della musica leggera, popolare e per le immagini quale importante forma espressiva contemporanea e patrimonio artistico culturale di rilevante interesse sociale.
3. In particolare, le fondazioni lirico-sinfoniche, i teatri storici, l'attività lirica minore, le istituzioni concertistico orchestrali, le associazioni musicali, le residenze multidisciplinari, i festival nazionali e internazionali, i complessi bandistici e corali e le attività della musica leggera e popolare, le imprese di produzione, le società di organizzazione, le agenzie di distribuzione e gli organismi di formazione del pubblico costituiscono lo strumento per il perseguimento delle finalità della presente legge.

Art. 9.
(Attività teatrali).

1. Il teatro, quale mezzo di espressione artistica e di promozione culturale, costituisce aspetto fondamentale della cultura ed insostituibile valore sociale, economico e formativo della collettività. Fermo restando quanto disposto dal Capo I, al teatro si applicano in particolare i princìpi fondamentali di cui al presente articolo.
2. La Repubblica sostiene e valorizza le attività teatrali professionali, compreso il teatro di figura, e ne promuove lo sviluppo, senza distinzione di generi, con riferimento alle forme produttive, distributive, di promozione e ricerca che, con carattere di continuità, promuovono:
a) un rapporto di stabilità tra un complesso organizzato di artisti, tecnici e amministratori e la collettività di un territorio per realizzare un progetto integrato di produzione, promozione ed ospitalità;
b) la ricerca, la sperimentazione, il teatro per le nuove generazioni;
c) l'incontro tra domanda e offerta teatrale, con particolare riguardo alle aree del Paese meno servite, in un'ottica di equilibrio, omogeneità e pari opportunità per la collettività nella fruizione di un servizio culturale;
d) una qualificata azione di distribuzione dello spettacolo, di promozione e formazione del pubblico, in particolare giovanile, teso a diffondere la cultura teatrale e a sostenere l'attività produttiva ad essa connessa;
e) la formazione, la qualificazione e l'aggiornamento professionale del personale artistico, tecnico e amministrativo, nonché l'impiego di nuove tecnologie;
f) la realizzazione di eventi e manifestazioni a carattere di festival per il
confronto tra le diverse espressioni e tendenze artistiche sia italiane che straniere;
g) la promozione e il sostegno degli autori italiani e la diffusione della presenza del teatro italiano all'estero.
3. In particolare, i teatri stabili, le imprese di produzione, gli organismi di distribuzione e formazione del pubblico, gli esercizi teatrali e municipali, le rassegne ed i festival nazionali ed internazionali, gli organismi di promozione e di perfezionamento professionale, il teatro di figura e di strada e le residenze multidisciplinari costituiscono lo strumento per il perseguimento delle finalità della presente legge.
4. Nel rispetto del pluralismo delle vocazioni artistiche e culturali e al fine di valorizzare le funzioni omogenee e l'eterogeneità territoriale in cui operano, i teatri stabili ad iniziativa pubblica, di cui all'articolo 11 del decreto del Ministro per i beni e le attività culturali 27 febbraio 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 76 del 1o aprile 2003, elemento storico indispensabile per l'affermazione della cultura teatrale italiana, costituiscono il sistema articolato nelle regioni per la promozione dei valori del teatro nazionale.

Art. 10.
(Attività di danza).

1. La danza, quale mezzo di espressione artistica e di promozione culturale, costituisce, in tutti i suoi generi e manifestazioni, aspetto fondamentale della cultura ed insostituibile valore sociale, economico e formativo della collettività. Fermo restando quanto disposto dal Capo I, alla danza si applicano in particolare i princìpi fondamentali di cui al presente articolo.
2. La Repubblica favorisce lo sviluppo delle attività professionali di danza che, con carattere di continuità, promuovono:
a) un rapporto di stabilità tra un complesso organizzato di artisti, tecnici e amministratori e la collettività di un territorio per realizzare un progetto integrato di produzione, promozione ed ospitalità;
b) la sperimentazione e la ricerca della nuova espressività coreutica e l'integrazione delle arti sceniche;
c) l'incontro tra domanda e offerta della danza, anche con particolare riguardo alle aree del Paese meno servite in un'ottica di equilibrio, omogeneità e pari opportunità per la collettività di usufruire di un servizio culturale;
d) una qualificata azione di distribuzione della danza e di promozione e formazione del pubblico, in particolare giovanile, volta a diffondere la cultura della danza e a sostenere l'attività produttiva;
e) la formazione, la qualificazione e l'aggiornamento professionale del personale artistico, tecnico e amministrativo, nonché l'impiego di nuove tecnologie;
f) la realizzazione di eventi e manifestazioni a carattere di festival per il confronto tra le diverse espressioni e tendenze artistiche sia italiane che straniere;
g) la diffusione della presenza della danza italiana all'estero.
3. In particolare, le imprese di produzione, gli organismi di distribuzione e formazione del pubblico, le attività di ospitalità, gli esercizi teatrali e municipali, le rassegne ed i festival nazionali ed internazionali, ivi compresi i progetti relativi alla danza negli spazi urbani, gli organismi di promozione e di perfezionamento professionale e le residenze multidisciplinari costituiscono lo strumento pubblico per il perseguimento delle finalità della presente legge.

Art. 11.
(Circhi, spettacolo viaggiante, artisti di strada e spettacolo popolare).

1. La Repubblica sostiene e promuove la tradizione circense, gli spettacoli viaggianti, gli artisti di strada e lo spettacolo popolare, riconoscendone il valore sociale e culturale. Fermo restando quanto disposto dal Capo I, alle attività di cui al precedente periodo si applicano in particolare i princìpi fondamentali di cui al presente articolo.
2. La Repubblica, in attuazione di quanto disposto al comma 1, valorizza le attività di cui al presente articolo nelle diverse tradizioni ed esperienze e ne asseconda lo sviluppo attraverso il sostegno a:
a) la produzione di spettacoli di significativo valore artistico ed impegno organizzativo,
realizzati da persone giuridiche di diritto privato caratterizzate da un complesso organizzato di artisti, con un itinerario geografico che valorizzi l'incontro tra domanda e offerta, anche con particolare riguardo alle aree del Paese meno servite in un'ottica di equilibrio, omogeneità e pari opportunità per la collettività nella fruizione di un servizio culturale;
b) iniziative promozionali, quali festival nazionali e internazionali, e attività editoriali;
c) iniziative di consolidamento e sviluppo dell'arte di strada e della tradizione circense e popolare mediante un'opera di assistenza, formazione, addestramento e aggiornamento professionali;
d) la diffusione della loro presenza all'estero;
e) il parziale risarcimento dei danni conseguenti ad eventi fortuiti occorsi in Italia e all'estero;
f) l'acquisto di nuovi impianti, macchinari, attrezzature e beni strumentali;
g) la ristrutturazione di aree attrezzate;
h) la qualificazione dell'industria dello spettacolo viaggiante, anche attraverso appositi sistemi di attestazione del possesso dei requisiti tecnico-professionali necessari per l'esercizio di tali attività.
3. Ai fini dell'attuazione di quanto previsto dal comma 2, lettera h), con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuati i requisiti minimi essenziali delle imprese che svolgono attività di spettacolo viaggiante e gestiscono parchi di divertimento, nonché le singole attrazioni e attività dello spettacolo viaggiante.
4. Alle esibizioni degli artisti di strada non si applicano le disposizioni vigenti in materia di tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche e di commercio ambulante.

Capo III
INTERVENTI PER LA VALORIZZAZIONE E LO SVILUPPO DELLO SPETTACOLO DAL VIVO

Art. 12.
(Disciplina delle professioni di agente e di produttore).

1. Il presente articolo determina i princìpi fondamentali per l'esercizio delle professioni di:
a) agente di spettacolo e rappresentante di artisti, la cui attività consiste nella consulenza, rappresentanza, organizzazione, assistenza, tutela delle attività di singoli o gruppi di artisti, di seguito denominato «agente»;
b) produttore, organizzatore e promoter di manifestazioni musicali, teatrali, di balletto, di seguito denominato «produttore».
2. Le attività professionali di agente e produttore sono incompatibili e in nessun caso possono essere svolte da un unico soggetto né in forma singola, né in forma societaria, né attraverso compartecipazioni.
3. È interdetto l'esercizio delle attività di agente e produttore ai soggetti che abbiano riportato condanne penali o commesso illeciti disciplinari nello svolgimento delle medesime attività.
4. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con accordi in sede di Conferenza unificata, è definito un sistema di certificazione di idoneità per l'esercizio delle attività professionali di agente e produttore, subordinata al possesso di requisiti minimi essenziali e al superamento di uno specifico esame. Il possesso della certificazione di idoneità non è richiesto ai soggetti che, alla data di entrata in vigore della presente legge, svolgono le attività professionali di agente e produttore da almeno tre anni con profitto e continuità, ferma restando la possibilità di conseguire la certificazione medesima su base volontaria.
5. Al fine di evitare la costituzione di posizioni dominanti, anche a livello regionale, nei settori di attività di cui al presente articolo, con le medesime modalità di cui al comma 4 sono definiti altresì:
a) il numero massimo di artisti di cui un agente può avere contemporaneamente la rappresentanza;
b) la percentuale massima di artisti di cui un agente può avere annualmente la rappresentanza nell'ambito delle fondazioni lirico sinfoniche.
6. La violazione delle disposizioni di cui ai commi 2 e 3 nonché l'esercizio delle attività professionali di agente e produttore in contrasto con quanto disposto dai commi 4 e 5 sono puniti con un'ammenda da euro 5.000 a euro 25.000.

Art. 13
(Delega al Governo per il riordino della disciplina concernente le fondazioni lirico-sinfoniche e i teatri stabili ad iniziativa pubblica).

1. Il Governo, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riordino della disciplina concernente le fondazioni lirico-sinfoniche e i teatri stabili ad iniziativa pubblica, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) adeguamento agli articoli 117 e 118 della Costituzione;
b) adeguamento alla normativa comunitaria e agli accordi internazionali;
c) omogeneità di organizzazione, anche sotto il profilo delle procedure di nomina e del riassetto delle competenze e del funzionamento degli organi, tra i quali sono obbligatoriamente previsti:
1) il presidente, che svolge la funzione di legale rappresentante della fondazione e di presidente del consiglio di amministrazione, eletto dal consiglio stesso nell'ambito dei suoi componenti;
2) il consiglio di amministrazione, costituito fino ad un massimo di nove membri, designati dai fondatori, anche privati, in proporzione alle risorse corrisposte al patrimonio della fondazione, con poteri di indirizzo e gestione, cui spetta l'approvazione del programma di attività e dei bilanci e la nomina e la revoca del direttore generale e del direttore artistico;
3)il collegio dei revisori dei conti, che svolge le funzioni ad esso assegnate dalla legge e dal codice civile;
4) il direttore generale, che predispone i bilanci per la loro presentazione al consiglio di amministrazione, e dirige e coordina, nel rispetto dei programmi approvati e dei vincoli di bilancio, le attività della fondazione e il personale, e partecipa alle riunioni del consiglio di amministrazione senza diritto di voto;
5) per le fondazioni lirico-sinfoniche, il direttore artistico, individuato tra direttori d'orchestra e compositori di comprovata professionalità, ovvero tra registi o personalità di comprovata competenza teatrale, che predispone i programmi di attività artistica ed è responsabile della conduzione artistica della fondazione e della realizzazione degli obiettivi del programma artistico e del prodotto finale;
d) previsione, per gli organi di cui alla lettera c), della più ampia autonomia decisionale e di adeguati requisiti di professionalità per i componenti;
e) razionalizzazione e omogeneizzazione dei poteri di vigilanza ministeriale e nuova disciplina del commissariamento;
f) contenimento delle spese di funzionamento, anche attraverso ricorso obbligatorio a forme di comune utilizzo di contraenti, ovvero di organi;
g) programmazione atta a favorire la mobilità e l'ottimale utilizzo delle risorse umane;
h) attribuzione della personalità giuridica di diritto privato ai teatri stabili ad iniziativa pubblica.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1 indicano esplicitamente le disposizioni sostituite o abrogate, fatta salva l'applicazione dell'articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile, e sono adottati previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, che si esprimono entro sessanta giorni dall'assegnazione dei relativi schemi. Decorso tale termine, i decreti legislativi possono essere comunque adottati.
3. Disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi di cui al comma 1 possono essere adottate, nel rispetto degli stessi princìpi e criteri direttivi e con le medesime procedure di cui al presente articolo, entro due anni dalla loro entrata in vigore.
4. Dall'attuazione dei decreti legislativi di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Art. 14.
(Musica dal vivo).

1. Per musica dal vivo si intende la musica eseguita alla presenza diretta del pubblico nel luogo stesso dell'esibizione con strumenti musicali tradizionali o elettrici.
2. Nelle esecuzioni dal vivo è vietato l'utilizzo anche parziale di supporti o di apparecchiature che contengono musica preregistrata. A tal fine il responsabile dell'esecuzione musicale deve rilasciare al gestore del locale o all'organizzatore della manifestazione musicale, prima dell'esecuzione, apposita dichiarazione sottoscritta che attesta che l'esecuzione stessa avverrà dal vivo.
3. L'esecuzione musicale che fa uso parziale e non preponderante di musica preregistrata, effettuata da un massimo di due esecutori ed in ambienti che non consentono la presenza di un pubblico superiore a 100 persone, è definita come «parzialmente dal vivo» e consente di beneficiare di una riduzione dell'imposta sugli intrattenimenti, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, e successive modificazioni, pari al 50 per cento dell'importo che sarebbe dovuto per esecuzioni musicali non dal vivo. A tal fine il responsabile dell'esecuzione musicale deve rilasciare al gestore del locale o all'organizzatore della manifestazione musicale, prima dell'esecuzione apposita dichiarazione sottoscritta che attesta che l'esecuzione rientra nella fattispecie di cui al presente comma.
4. Il gestore del locale o gli organizzatori della manifestazione possono beneficiare della riduzione dell'imposta sugli intrattenimenti di cui al comma 3 solo se in possesso delle relative dichiarazioni.
5. Gli ispettori della SIAE e gli organi di polizia possono effettuare verifiche sui supporti o apparecchiature utilizzati dai musicisti, per verificare che l'esecuzione rientri effettivamente nelle fattispecie di cui al presente articolo.
6. Qualora si accerti la falsità delle dichiarazioni rilasciate ai sensi dei commi 2 e 3, il responsabile è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.000 a euro 10.000, fatte salve le eventuali ulteriori responsabilità civili e penali.

Art. 15.
(Personale docente delle scuole di danza).

1. L'insegnamento della danza, limitatamente ad allievi di età inferiore a 14 anni, è riservato a chi è in possesso di specifico titolo di studio o di adeguato titolo professionale.
2. Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentita l'Accademia nazionale di danza, da adottarsi entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono fissati criteri e modalità per lo svolgimento dell'attività di cui al comma 1.

Art. 16.
soppresso

Art. 17.
(Festival degli eponimi).

1. Lo Stato, in collaborazione con le regioni, incentiva l'istituzione di festival intitolati a:
a) grandi musicisti italiani autori di musica lirica, sinfonica, leggera e popolare;
b) grandi personaggi del teatro, della danza e del circo;
c) generi musicali, teatrali o tersicorei particolarmente finalizzati alla conoscenza e diffusione della cultura dello spettacolo dal vivo.
2. In occasione dell'istituzione di ciascun festival, lo Stato dispone un'emissione filatelica dedicata all'artista o al genere.


Art. 18
(Ente teatrale italiano, Accademia nazionale d'arte drammatica, Accademia nazionale di danza, Istituto Centro europeo Toscolano, Accademia del circo).

Le regioni e gli enti locali interessati, per l'attuazione delle finalità di cui alla presente legge, possono anche promuovere accordi con:
a) l'Ente teatrale italiano, per attività di promozione e per la valorizzazione della cultura teatrale e della danza in Italia e all'estero, nonché per la promozione e la realizzazione di progetti di coproduzione internazionale e di progetti volti alla documentazione e alla conservazione dell'arte teatrale e coreutica italiana, per attività di formazione del pubblico e di educazione alle discipline dello spettacolo e di formazione e aggiornamento professionale, per la diffusione dello spettacolo anche con il supporto delle nuove tecnologie e dell'emittenza radiotelevisiva, da sviluppare anche attraverso accordi di collaborazione con altre istituzioni aventi analoghe finalità;
b) l'Accademia nazionale d'arte drammatica «Silvio D'Amico» e l'Accademia nazionale di danza, per la formazione artistica, per la ricerca didattica, da sviluppare anche in collaborazione con istituzioni estere di pari finalità, nonché per la realizzazione di progetti volti a favorire gli scambi internazionali e l'alta formazione professionale, rispettivamente nei settori del teatro e della danza.
1. Lo Stato, le regioni e gli enti locali interessati, per l'attuazione delle finalità di cui alla presente legge, si avvalgono anche: 2.
a) del Centro europeo di Toscolano, per la formazione e l'alto perfezionamento delle figure professionali che operano nella musica leggera e musica da film, e per la realizzazione di progetti volti a favorire il confronto internazionale delle esperienze; 3.
b) dell'Accademia del circo di Verona, per la formazione e l'alto perfezionamento delle figure professionali e quale strumento di didattica e di conservazione della tradizione storica circense.

Art. 19.
(Modifiche alla legge 21 dicembre 1999, n. 508).

1. Al comma 7 dell'articolo 2 della legge 21 dicembre 1999, n. 508, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:
«i-bis) le procedure, le modalità e i requisiti per l'istituzione sul territorio nazionale di accademie di danza e d'arte drammatica pubbliche e private».
2. Al comma 8 dell'articolo 2 della citata legge 21 dicembre 1999, n. 508, dopo la lettera i), è aggiunta la seguente:
«i-bis) previsione della possibilità, per gli istituti pubblici o privati che svolgono attività d'istruzione in arte drammatica o coreutica, in possesso dei requisiti previsti alle lettere a), b), d), e), f), g) e h) del comma 7, di inoltrare domanda al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ai fini del loro riconoscimento quali istituzioni del sistema dell'alta formazione e specializzazione artistica e musicale ai sensi del comma 1. Il decreto di riconoscimento è emanato dallo stesso Ministro, previo parere del Consiglio nazionale per l'alta formazione artistica e musicale e accertamento del possesso dei requisiti richiesti effettuati da un'apposita commissione nominata dal medesimo Ministro».

Art. 20.
(Delega al Governo per la razionalizzazione della disciplina fiscale e previdenziale in materia di attività di spettacolo dal vivo e interventi diversi).

1. Al fine di promuovere lo sviluppo delle attività di spettacolo dal vivo e di favorire la diffusione della cultura musicale, il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Conferenza permanente per il rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, uno o più decreti legislativi volti a modificare e integrare la disciplina fiscale e previdenziale concernente i diversi settori dello spettacolo dal vivo, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) semplificazione, razionalizzazione e omogeneizzazione dei trattamenti fiscali relativi ai diversi settori e soggetti dello spettacolo dal vivo;
b) inserimento tra gli oneri deducibili delle erogazioni liberali, in denaro, beni o servizi, di persone fisiche e giuridiche in favore di soggetti che operano nello spettacolo dal vivo e per iniziative di recupero, adeguamento funzionale e tecnologico, ristrutturazione di spazi ed immobili da adibire all'attività del settore e per la realizzazione di nuove strutture;
c) progressiva riduzione al 10 per cento dell'aliquota Iva sui fonogrammi, cd, dvd musicali e strumenti analoghi, prevedendo che i soggetti che fruiscono di tale riduzione siano tenuti a praticare almeno una corrispondente riduzione del prezzo al consumatore e attribuendo all'Autorità garante della concorrenza e del mercato il compito di vigilare sul rispetto di tale obbligo, con individuazione delle modalità e delle procedure per sanzionare le eventuali violazioni;
d) introduzione di specifiche agevolazioni e incentivazioni fiscali in favore delle attività della musica leggera e popolare;
e) per gli appartenenti alle categorie dei tersicorei e dei ballerini già iscritti all'Enpals alla data del 31 dicembre 1995, previsione che il diritto alla pensione di vecchiaia sia subordinato al compimento del quarantacinquesimo anno di età per gli uomini e del quarantesimo anno di età per le donne;
f) per tutti i lavoratori artistici e tecnici dello spettacolo dal vivo, riduzione a 80 del numero minimo di giornate lavorative ai fini del conseguimento del diritto alla pensione.
2. All'attuazione dei decreti legislativi di cui al comma 1 si provvede, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, mediante finanziamenti da iscrivere annualmente nella legge finanziaria, in coerenza con quanto previsto dal Documento di programmazione economico-finanziaria.
3. Lo schema di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1 deve essere corredato da relazione tecnica ai sensi dell'articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. I decreti legislativi la cui attuazione determini nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore di provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.
3-bis. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 sono trasmessi, almeno due mesi prima della data di scadenza del termine di cui al medesimo comma 1, alle Camere per l'espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario.
4. L'attività itinerante dello spettacolo dal vivo non è assoggettata alle disposizioni del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sulle direttive e sul calendario per le limitazioni alla circolazione stradale fuori dai centri abitati.
5. Alle attività dello spettacolo dal vivo è esteso, in via di opzione, il regime previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 2002, n. 69, in attesa che il sistema raggiunga la completa funzionalità sotto l'aspetto tecnico e commerciale e, comunque, per i due anni successivi alla data di entrata in vigore della presente legge. Il Ministero dell'economia e delle finanze vigila sull'attuazione delle relative disposizioni, sentite la SIAE e le associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale.
6. soppresso
7. Ai destinatari di contributi in favore delle attività dello spettacolo il Ministero per i beni e le attività culturali può concedere anticipazioni sui contributi da assegnare nella misura del cinquanta per cento del contributo percepito con riferimento all'anno precedente, qualora le competenti commissioni non abbiano reso il prescritto parere entro il 15 marzo dell'anno di riferimento. Le anticipazioni sono concesse solo a soggetti che abbiano presentato regolare istanza nei termini previsti, che siano stati destinatari del contributo per almeno tre anni e che abbiano regolarmente documentato l'attività svolta. Il Ministero per i beni e le attività culturali può disporre il recupero totale o parziale delle somme anticipate.
8. All'articolo 1, comma 6, della legge 11 novembre 2003, n. 310, le parole: «, in conformità al Protocollo d'intesa, sottoscritto a Roma il 21 novembre 2002, tra la regione Puglia, la provincia e il comune di Bari e le parti private» sono soppresse.


 

2005BP123
91.23 La questione del pubblico
Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi
di Franco D'Ippolito

 

La riflessione che sta attraversando tanti operatori teatrali si è concentrata, anche con qualche spunto autocritico, sulla “questione del pubblico”. Non che negli anni scorsi questo tema sia stato assente o trascurato (anzi, ha caratterizzato le più incisive pratiche di molti stabili di innovazione e segnato le più feconde esperienze del Progetto Aree Disagiate), ma non è mai stato posto con tanta convinzione (magari dovuta forse ad una evidente costrizione) al centro delle analisi della crisi, né è mai stato indicato con tanta consapevolezza fra le principali possibili soluzioni all’immobilismo del sistema teatrale italiano, che ha scavato nell’ultimo decennio un fossato sempre più largo fra le generazioni ed i generi, con qualche stretto ed isolato ponte levatoio praticabile a pochi.

In un intervento incredibilmente attuale, benché pubblicato su Il Patalogo 9 – 1986, Luca Ronconi affrontava il “lavoro del pubblico” e scriveva:

“….. non credo si possa dire come dovrebbe essere un teatro se non si pensa prima a che cosa serve, anche se sappiamo che non si può dire a che cosa serve se non si stabilisce prima a chi serve….. non esiste un solo teatro, ma tanti quanti –potenzialmente- possono essere i pubblici e la vitalità del teatro si misura non soltanto sulla qualità degli spettacoli –che è irrinunciabile- ma anche sulla mobilità del pubblico, sulla possibilità che esistano diversi modi di fare teatro che, di volta in volta, cercano il loro pubblico….. gli spettacoli possono essere effettivamente di prima, seconda, terza categoria, ma i generi teatrali non lo sono altrettanto…. Il grosso errore, infatti, è privilegiare dei generi invece di stabilire, in qualche modo, delle differenze al loro interno…. Il problema riguarda la costituzione di un pubblico teatrale che non esiste. E non esiste perché non è messo in condizione di poter scegliere…. sì, l’importante è poter distinguere…. Questo è il teatro che vorrei: un luogo nel quale quello che facciamo serva (al pubblico) per conoscere e riconoscere qualche cosa…..”

Se punto focale dei dibattiti diventa così il pubblico (o meglio i pubblici), si può provare a ri-pensare molte delle analisi finora fatte ed a ri-definire alcuni principi fondamentali nel rapporto artisti/spettatori, progetti artistici/progetti organizzativi, sistema teatrale/sistema politico, a cominciare dalla delicata questione dei finanziamenti pubblici al teatro. Proviamo a ribaltare il pensiero guida della politica culturale delle sovvenzioni dalla difesa della libertà degli artisti (sacrosanta quando non diventa giustificazione per sopravvivere acriticamente) a quello della libertà dei pubblici (non subendone passivamente la domanda quanto piuttosto generandola). E poi a correlare anche ai pubblici le finalità del finanziamento pubblico, ribadendo in funzione dei pubblici il diritto della cultura e del teatro ad attingere alla fiscalità generale per la propria crescita (e non solo per la propria sopravvivenza). Se lo spettacolo (insieme alla letteratura ed all’arte) è elemento ineliminabile del processo educativo e ciò che spinge il fruitore delle attività culturali è il desiderio/bisogno di accrescere il proprio stock di conoscenze, come possiamo sostenere che quanto oggi la stragrande maggioranza dei teatri propone vada in quella direzione e non, piuttosto, nella più sicura ed improduttiva offerta del “già conosciuto”? Il problema sta nella carenza di stimoli per il pubblico e per i creatori, che si sono seduti sulle rendite di posizione con un eccesso di ripiegamento su di sé.

Se nelle grandi città possiamo stimare che i frequentatori di teatro vedono mediamente dai 3 ai 4 spettacoli a stagione, il pubblico teatrale rappresenta quasi il 20% della popolazione a Milano e Trieste, il 15% a Bologna e Firenze, 10% a Roma, Napoli e Torino, il 7% a Genova e Bari ed il 4% a Venezia e Palermo. E se più della metà degli spettacoli prodotti nella stagione 2004/2005 non ha raggiunto le 30 repliche, non si sta costringendo tutto il teatro a fare pur di fare, senza spingerlo a pensare “cosa”, “come” e “per chi” fare?.
Il Rapporto sull’economia della cultura in Italia 1990-2000, curato da Carla Bodo e Celestino Spada, evidenzia come soprattutto nell’ultimo quinquennio in esame si sia prodotto un “eccesso di offerta” dello spettacolo dal vivo: nel 1996 i biglietti venduti sono stati 12.120.966 a fronte di 63.800 rappresentazioni e nel 2000 mentre i biglietti venduti sono rimasti praticamente invariati (12.191.152) il numero delle rappresentazioni è salito a 72.001. E, ancora, nel 2001, 79.849 rappresentazioni hanno avuto pubblico pagante per 11.660.224 spettatori. Se il teatro in quanto “servizio pubblico portatore di valore” non può misurarsi solo con i numeri, non possiamo non considerare un andamento fra produzione e consumo che deve farci riflettere. Io sono convinto che la questione non sta tanto (o soltanto) nel numero di rappresentazioni, che testimoniano la vivacità del sistema produttivo che, nonostante gli attacchi subiti in questi ultimi anni, ha continuato e continua a dare risposte innovative, vitali. Quanto nel non riuscire a trovare, intercettandone la curiosità e l’interesse, il pubblico che non c’è.

Il finanziamento pubblico trova ragioni politicamente difendibili nel sostegno all’ampliamento/ricambio del pubblico, ed è così il pubblico ad essere il vero beneficiario finale delle sovvenzioni. Non basta più limitarsi a sostenere le imprese teatrali (peraltro inadeguatamente e senza regole certe) senza verificare la ricaduta di quell’investimento sul pubblico dei cittadini-contribuenti-spettatori. Appare così necessario quanto meno provare ad introdurre dei correttivi in questa direzione alla finalizzazione dei sussidi pubblici al teatro, a cominciare dal FUS ma coinvolgendo in un confronto aperto e laico le Regioni, i Comuni e le Province che erogano ormai i 2/3 del finanziamento pubblico allo spettacolo dal vivo. Uno di questi correttivi mi pare possa essere lo spostamento di parte delle risorse disponibili, con criteri e modalità diverse per livello istituzionale, dal sostegno all’offerta (produzione) al sostegno della domanda (promozione, marketing, ricerche sul pubblico). Sono convinto, per esempio, che ragionare in termini di sistemi territoriali più o meno ampi (disegnati sulla base della popolazione residente, del pubblico teatrale e delle possibilità di accesso –palcoscenici e sale funzionanti-) possa contribuire a definire un metodo di parametrizzazione del sostegno alla “domanda futura” di teatro capace di promuovere il ricambio del pubblico e, di concerto, delle proposte di spettacolo. Così come mi pare necessario inventare un modello di gestione dei teatri comunali che costringa la gestione pubblica a collaborazioni verticali e/o orizzontali con chi produce spettacolo al fine unico e vincolante di “aprire” gli spazi per almeno 150 giorni l’anno, riportando il luogo teatrale al centro della vita collettiva della propria comunità. Investire risorse pubbliche in questa direzione (ed in altre dello stesso segno) può riallineare l’offerta ad una domanda rinnovata e rinforzata.
La questione della creatività artistica non può più essere affrontata disgiuntamente dalla questione del pubblico, come se fossero due problemi che hanno origini, cause e soluzioni differenti. Il ricambio del pubblico è possibile solo se si cambierà il modo di produrre e di distribuire teatro in Italia.


Un altro impedimento (colpevole) alla conquista del pubblico che non c’è deriva dall’attuale asfittica dimensione del mercato distributivo in Italia. Mentre le agenzie private fanno il loro mestiere e possiamo soltanto limitarci a far crescere la domanda di “contemporaneità” (così che anche le agenzie private UTIM, ESSEVUTEATRO e TEATRO 88 offrano spettacoli contemporanei), altro è il discorso che riguarda i circuiti regionali, soggetti della distribuzione pubblica e definiti dalla normativa ministeriale e da molte leggi regionali “organismi di promozione e formazione del pubblico”. L’appiattimento a mere agenzie di distribuzione degli spettacoli che assessori e sindaci richiedono (sulla base del pubblico che c’è) contraddistingue la maggioranza dei circuiti regionali che operano così ben al di sotto delle proprie finalità istituzionali. Le “buone pratiche” del circuito marchigiano e di quello della Basilicata (sul piano della rivitalizzazione dei teatri e di un rapporto con la produzione in funzione della promozione del pubblico che non c’è) evidenziano ancora di più l’impoverimento di funzioni dei circuiti regionali, ancora troppo sordi alla crisi di sistema del teatro italiano.
Anche l’ente nazionale che dovrebbe “riequilibrare” i territori del teatro italiano, sostenendo le realtà che per condizioni geografiche e inadeguatezza delle infrastrutture fanno più fatica a lavorare per il pubblico che non c’è, l’ETI, da troppo tempo latita su questo fronte e paga in credibilità sempre più incerta gli avvicendamenti al vertice. Diventa difficile sostenere la utilità e la necessità così di un soggetto pubblico che riceve una sovvenzione ordinaria (dal FUS) superiore a quanto tutti i soggetti meridionali peninsulari della produzione e della distribuzione e della formazione ricevono dallo stesso FUS. Con sempre meno risorse pubbliche a disposizione, il teatro italiano non può permettersi ancora a lungo di sostenere l’esistente, pena il declino irreversibile.
Ho cercato di semplificare un pezzo di mercato e così, consapevole delle approssimazioni di tale procedimento e delle inevitabili generalizzazioni, ho provato a tradurre in numeri le programmazioni dell’area della stabilità (pubblica, privata e di innovazione) nella stagione 2003/2004. Dal campione preso in esame senza alcuna pretesa e distribuito sul territorio nazionale fra nord, centro e sud, composto da 30 teatri stabili (9 pubblici, 6 privati e 15 di innovazione), mi sembra di scorgere un orientamento abbastanza chiaro di quali siano state le relazioni di mercato che si instaurano in questa area. Complessivamente il 59% (21+38) della programmazione dei teatri stabili pubblici è frutto di spettacoli prodotti dalla stabilità pubblica, mentre questa percentuale scende al 41% (37+4) nella programmazione della stabilità privata ed al 35% (24+11) nella programmazione della stabilità di innovazione.

In una indagine sul pubblico teatrale in Italia di Fabiana Sciarelli e Walter Tortorella, su un campione di popolazione fra i 18 ed i 40 anni, mentre il 48% dichiara di andare a teatro, il 63% esprime la propensione ad andare a teatro: vi è cioè, statisticamente parlando, un 15% di giovani under 40 che andrebbe a teatro, ma non ci va. Fra gli spettatori della stessa fascia d’età, il 40,5% dichiara di non voler incrementare il proprio andare a teatro, mentre il 15,9% lo farebbe in presenza di proposte di spettacoli più interessanti (contemporanei?) ed il 13,1% se il biglietto costasse meno (o se avesse maggiori disponibilità economiche da destinare al teatro).

Mi sembra che un mercato che non c’è non possa promuovere, né formare il pubblico che non c’è.

Mira, 14 novembre 2005


 

2005BP124
91.24 Risorse culturali e politiche di welfare
Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi
di Michele Trimarchi

 

1. Lo spettacolo dal vivo e gli altri settori del comparto culturale sono di norma considerati settori produttivi tradizionali, forse anche arretrati, da proteggere e sostenere in base a fumose motivazioni etiche o all’indimostrabile e dogmatico assunto che la cultura sia un bene in sé. La cultura è, al contrario, la risposta infungibile a una molteplicità di bisogni individuali e sociali, e un’economia avanzata che naviga – sia pure con molte incertezze – verso i valori immateriali della conoscenza deve porsi la questione relativa a quale ruolo la produzione e la diffusione culturale occupino nella scala dei valori fondanti della società.

Si sente dire sempre più spesso che la produzione culturale debba essere ritenuta strategica ai fini dello sviluppo economico del Paese. Frase molto accattivante, ma che non viene declinata in alcun modo, e che nasconde quasi sempre l’immagine tardo-agricola del Bel Paese assediato da turisti stranieri che attivano scambi, occupazione e reddito nelle nostre Città d’Arte.

In altri casi, si dice che la cultura è un po’ la carta d’identità dell’Italia, ma se si va a guardare il dato delle esportazioni di cultura (mostre, spettacoli, convegni, etc.) si deve ammettere che oltre alle relazioni universitarie e di ricerca rimane ben poco. Anche la lirica, con tutto il fardello dei luoghi comuni che continuano a fare da muro a ogni possibile e necessaria analisi, viene esportata in casi eccezionali e occasionali.

E anche invertendo la prospettiva, l’esportazione “in casa” (ossia gli stranieri che assistono ai nostri spettacoli) sono davvero pochi, nonostante il numero elevato dei turisti culturali provenienti da tutti i continenti. Se la prosa può avere qualche difficoltà di lingua, la musica, la danza e la lirica potrebbero attrarre un pubblico internazionale, ma i dati dicono il contrario. D’altra parte, quasi nessuna orchestra italiana viene considerata all’altezza degli standard internazionali, e lo stesso vale per le altre forme di spettacolo (con poche eccezioni di elevatissima qualità).

Come sempre, si riduce l’analisi a una specie di disputa tra contendenti reciprocamente ostili. I meccanismi del finanziamento pubblico, ispirati a una filosofia di generale elemosina e caratterizzati da una temperie da emergenza permanente, non fanno che accentuare questa mancanza di percezione strategica, e al contrario finiscono per istigare i diversi produttori a una dissennata competizione imitativa, dal momento che il principale criterio formale del sostegno pubblico è la qualità artistica e culturale.

Gli elementi strategici dello spettacolo dal vivo sono invece da ricercare in un ribaltamento della situazione attuale. Non più nicchia ecologica da proteggere nonostante l’indifferenza generale, lo spettacolo dal vivo appare prospetticamente come un settore produttivo che utilizza risorse umane, materiali e tecnologiche di prim’ordine, che sperimenta linguaggi, modalità organizzative, stili e prassi avanzati e flessibili, che in qualche misura perpetua, adeguandola a uno zeitgeist in movimento, la temperie tipica della bottega rinascimentale sapendole imprimere la velocità del mondo digitale.


2. Qual è, allora, il valore dello spettacolo dal vivo nella società attuale, e soprattutto in quella possibile? E’ un valore che discende dal nuovo assetto dei bisogni e dei diritti, dalle aspettative emergenti, da un’inedita e tuttora incompleta lettura dell’individuo e della comunità, che appaiono legati nello spazio e nel tempo al proprio territorio e alla propria storia identitaria. Apolide e poco incline alla localizzazione fino a qualche anno fa, l’individuo tende sempre di più a riconoscere sé stesso in un contesto territoriale ben definito, nell’ambito di una comunità permeabile al cambiamento ma non per questo di minor forza identitaria.

In questo contesto, il benessere dell’individuo e della propria comunità di riferimento non può essere liquidato come la mera fornitura materiale di servizi atti a eliminare delle situazioni di svantaggio. C’è di più. L’accesso alla sanità non basta, è indispensabile poter disporre di un adeguato supporto affettivo, di relazioni dignitose, di una sorta di umanizzazione della terapia. Le strade pulite sono una condizione necessaria, ma non sufficiente, dal momento che alla cultura della raccolta differenziata (che si comincia a insegnare fin dall’infanzia) si accosta la sensibilità verso materiali e oggetti riciclati. Anche la sicurezza, con il poliziotto di quartiere, passa attraverso la conoscenza personale, la fiducia, lo scambio quotidiano.

E il teatro? Finché lo si pensa come un settore destinato a pochi iniziati lo si continua a escludere dalla vita normale della comunità, e dunque dalla stessa percezione dei bisogni individuali. E’ un settore in cui si attribuisce troppo peso al prodotto finito, e quasi nessuno al processo. Una bottega artigiana sita in un quartiere viene considerata importante non soltanto per i prodotti che realizza, ma anche – nella stessa misura – per le competenze che raccoglie, per le specializzazioni che attiva, per i processi creativi che attira e stimola. I giovani che guardano dentro la bottega possono trarne ispirazione per il proprio lavoro futuro. Tutti coloro che effettuano degli scambi con la bottega attribuiscono un valore specifico e infungibile alla qualità delle risorse che vi sono coinvolte.

Allo stesso modo, il teatro sviluppa al tempo stesso due principali canali di scambio con la comunità locale (nell’immediato, e in modo facilmente percettibile) e con la comunità nazionale (nel lungo periodo, e in modo più astratto e mediato). Il primo canale è quello del prodotto: tutto ciò che avviene sul palcoscenico è fonte di benessere per gli spettatori, e accresce il livello culturale e il grado di sensibilità di un’intera comunità. Il secondo canale è quello del processo, e coinvolge a monte e a valle una molteplicità di imprese, individui, istituzioni e gruppi informali che al teatro forniscono beni, servizi e partecipazione e dal teatro traggono un ventaglio di opportunità culturali, sociali ed economiche.

Non si tratta di misurare l’impatto finanziario del teatro. Quello è un esercizio piuttosto meccanico che somma gli scontrini e le ricevute occasionate direttamente e indirettamente dal consumo teatrale. Qui la prospettiva è molto più ambiziosa: si tratta di identificare e declinare quella varietà di ricadute sugli individui, sulla comunità e sul territorio che il teatro, e soltanto il teatro, è capace di generare, mostrandosi come la fonte di un accrescimento della qualità che nessun altro settore produttivo può generare. E rispondendo, in questo modo, a un bisogno qualificato che supera la mera esigenza materiale del welfare inteso in senso tradizionale, per collocarsi nell’ambito di un emergente e pervasivo umanesimo.

In altri Paesi del mondo avanzato le imprese si localizzano in centri urbani dall’attività culturale intensa e innovativa: i manager sanno di dover garantire al proprio personale un’elevata qualità della vita. Da noi le città sono ancora retaggio esclusivo di turisti in pullman, di finti centurioni, di bancarellari, di esosi ristoratori per turisti. E i teatri non sono visibili a occhio nudo, un po’ per il primato tutto da discutere dell’arte del passato, un po’ per una certa pretesa esoterica che spesso gli stessi operatori dello spettacolo accreditano come sintomo di vera qualità.


3. Se il teatro è una fucina rinascimentale, è necessario ragionare sui suoi meccanismi. Con il sistema attuale, non si va molto lontano. E le virtuose – e crescenti – eccezioni messe in luce dall’analisi delle buone pratiche non fanno che confermare la regola della stasi burocratizzata. In un mondo efficacemente funzionante, le buone pratiche sarebbero la norma, e non farebbero più impressione.

I meccanismi sui quali è necessario aprire una riflessione laica sono due: da una parte, il finanziamento pubblico; dall’altra, le modalità gestionali e produttive. Il finanziamento pubblico è ormai alle strette. Tra tagli governativi e processi di devoluzione più o meno forzata, possiamo essere sicuri che il sistema non reggerà a lungo. Che fare, allora? Reclamare il ripristino della situazione quo ante appare una mossa miope, se si considera tra l’altro che quando tagli e devoluzione non erano all’ordine del giorno non c’era chi si dichiarasse soddisfatto dei meccanismi del finanziamento pubblico.

Il terrore di perdere le garanzie è, tuttavia, molto forte, a giudicare dalla mancanza quasi assoluta di discussione sui meccanismi a fronte di barricate e adunate per protestare conto i tagli. In un mondo ideale, alla cultura e allo spettacolo sarebbe destinato ben più dello 0,5% del bilancio statale. Ma in un mondo ideale forse le fondazioni liriche non drenerebbero metà del FUS, gli indicatori di qualità – disegnati con perversione bizantina – non esisterebbero, non ci sarebbe il commercio dei borderò, non ci sarebbero teatri che rinunciano al saldo del contributo annuale perché non hanno fatto attività, e così di seguito.

Il finanziamento pubblico del teatro, affidato esclusivamente all’amministrazione dello spettacolo, è riduttivo e paternalistico. Se il teatro è una bottega rinascimentale, le ramificazioni della sua attività toccano vari settori d’interesse della pubblica amministrazione, dall’innovazione alla formazione, dalla socializzazione alla sicurezza. Una strategia che accrediti la capacità di generare benessere da parte del teatro dovrebbe considerare l’ampiezza di questo ventaglio di effetti e di benefici, e dovrebbe essere pronta a negoziare con vari rami dell’amministrazione. Se tutto ciò che avviene sulle tavole del palcoscenico conferisce benessere agli spettatori, tutto ciò che vi si agita intorno genera una cascata di effetti positivi sulla crescita culturale, sociale, professionale, tecnica, organizzativa, economica e finanziaria dell’intera comunità territoriale, delle sue imprese e delle sue istituzioni.

Meccanismi efficaci di finanziamento pubblico implicano la selezione e la definizione di obiettivi specifici (magari diversi per il governo centrale e le amministrazioni regionali e locali), l’elaborazione e la realizzazione di progetti strategici, la negoziazione delle modalità di sostegno pubblico (finanziamento, ma anche tecnologia, servizi, opportunità e altri incentivi), l’accettazione condivisa di un sistema di monitoraggio e valutazione.

Il ridisegno del finanziamento pubblico dello spettacolo non può che procedere di pari passo con una rielaborazione attiva dell’approccio al pubblico, alla società e al mercato da parte dei teatri stessi. Responsabilità organizzativa e gestionale, affidabilità finanziaria, capacità di governo delle risorse umane, intuizione dei bisogni locali, radicamento del teatro nel suo territorio sono le condizion minime perché chi produce e diffonde lo spettacolo dal vivo possa ritenersi pienamente inserito nella realtà contemporanea.

L’impresa teatrale è nella vulgata di oggi un’azienda di piccole dimensioni, sommersa dalla burocrazia, taglieggiata dalle banche, incompresa dal pubblico potere e ignorata dalla società. Il termine “impresa” indica – soprattutto nel nostro caso – l’iniziativa eroica e apparentemente dissennata di chi, intuendo e anticipando lo spirito delle cose, si pone contro la realtà e l’evidenza credendo nella propria capacità di conseguire un risultato. Ecco, l’impresa teatrale può, deve diventare l’avamposto di una visione in cui il valore della conoscenza, il bisogno della condivisione, l’esigenza di una lettura critica siano gli elementi fondanti della società emergente.


 

2005BP125
91.25 Gli spazi e l'identità di un teatro meticcio
Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi
di Gigi Cristoforetti

 

Vorrei rapidamente esaminare il tema del metissage dei linguaggi, della mescolanza delle forme nella scena contemporanea, da tre punti di vista. Quello degli artisti, quello del pubblico, e quello dei programmatori.

L’apertura ai nuovi linguaggi è avvenuta: il circo, il video, l’elaborazione computerizzata del movimento e delle immagini (e quant’altro) nutrono da anni una buona parte degli spettacoli delle nuove generazioni. E’ una mixità artistica che è avvenuta prima di quando è stata teorizzata. E non ha lasciato spazio a discussioni. C’è. Il problema “tecnico” se sia una moda, o se sia necessaria è irrilevante. Irricevibile, si potrebbe dire. Le radici di questo metissage sono sempre le solite: necessità di esplorare ogni dimensione dell’espressione contemporanea, ma anche fuga dai limiti, sentiti come vincolanti, del singolo linguaggio. In particolare, del teatro e della danza.
Il problema vero di cui occuparsi, ormai da anni, è soltanto come organizzare una lettura limpida del fenomeno, e come portarlo al pubblico.

Sul piano della risposta di pubblico, è una questione che non si può porre se non si chiarisce il ruolo del singolo programmatore, del singolo teatro o festival. Il pubblico ha oggi in mano il telecomando, quando è “libero”. Cioè quando non è bloccato in una frequentazione di tipo socializzante , come succede ancora nei teatri di provincia, o quando è organizzato, come avviene con le scuole.
Se è libero sceglie in base all’identità di un luogo o di un programmatore, o di un festival.
La scelta avviene così, ancor prima che per la consapevolezza di voler assistere ad un “linguaggio rinnovato”.
In secondo luogo, il publico è aperto e disponibile, ed ha meno problemi del programmatore ad assistere a qualcosa di curioso, di non codificato. Anzi, ne ha bisogno.
Il successo di pubblico della Festa del Circo di Brescia si deve all’identità nitida della manifestazione, e poi alla curiosità delle forme presentate. A nessuno è importato molto se si assisteva a qualcosa <> o <>. Il Festival Uovo a Milano, o Equilibrio a Roma coprono un vuoto di identità che hanno gli spazi e i teatri tradizionali. Ancor prima che valutare la proposta artistica, dobbiamo renderci conto di questo. Per il pubblico di oggi il teatro non ha più nulla di sacrale in sé. E così, “il teatro” deve conquistarsi la propria identità, e deve farlo confrontandosi con il livello della comunicazione e lo standard dei servizi che appartengono alla contemporaneità.

Ed ecco il terzo punto. Sono troppo pochi, per ora, i luoghi e le istituzioni “teatrali” che hanno assunto questa sfida. Cioè programmare , consapevolmente, la confusione delle arti, il gran calderone senza un’etichetta che è la scena contemporanea. C’è chi lo fa come una bandiera del proprio festival, come scelta poetica, e fa bene, nel vuoto generale. Ma la sfida è diversa. Mancano i luoghi della “normalità”, della “quotidianità” per questi spettacoli.
I Teatri Stabili, i teatri municipali , all’estero fanno anche questo. Da noi la programmazione di uno spettacolo internazionale è quasi riservata al festival ( e quindi con capienze e numero di repliche irrisorie). Il metissage è fumo negli occhi di chi ha comunque qualche risorsa, ma deve difendere il proprio linguaggio istituzionale.
Ed allora, ecco il vero problema. È la forma organizzativa che manca. E’ lo spazio fisico dedicato, la sala teatrale. E quando si apre uno spazio, è come se ci si levasse il pensiero, incastonando lo spettacolo in una stagione che si occupa di tutt’altro.
Senza identità, e senza cercare il pubblico giusto.
La nostra sfida è quindi politica, ancora una volta, prima che artistica. Penso che i vari tasselli siano al posto giusto, ma non faremo il salto di qualità se non ci porremo l’obiettivo consapevole di uscire dalle nicchie. Faccio l’esempio di Brescia, per concludere: non avremo fatto un vero passo avanti finché non passeremo dallo chapiteau (luogo della libertà, ma anche della precarietà), ad un vero teatro, dove ricostruire un’identità stabile dello spettacolo contemporaneo.

Un saluto a tutti


 

2005BP126
91.26 Un applauso con una sola mano
Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi
di Adriano Gallina

 

Mi stimola molto, e vorrei accogliere, l’idea di un momento di riflessione sui principi ed in particolare sulla complessa relazione - filo rosso del convegno – che collega valore e servizio. Trovo lo spunto tanto più interessante quanto più mi pare si tratti soprattutto – a maggior ragione dopo la demistificazione dell’idea di valore operata ieri da Nicolini – di un invito in profondità, a ragionare sul problema del senso del nostro lavoro come orizzonte imprescindibile di un’idea di funzione pubblica, senza convenzionalismi e risposte facili; un invito a tentare di tradurre questo nodo, quindi, anche sul piano della responsabilità e del fondamento deontologico ed etico del nostro mestiere.

Forse sono banale o tradizionalista, ma mi pare che il problema possa ancora essere impostato, fondamentalmente, lungo le linee già individuate, cinquant’anni fa, da Paolo Grassi e Giorgio Strehler nel “Manifesto” del Piccolo Teatro. “Teatro d’arte per tutti”: lo slogan si snoda lungo due poli. Ma la mia sensazione è che, forse, proprio nel carattere rigorosamente unitario di questi due poli, nel loro essere congiunti in un’unica formulazione, si trovi la risposta, l’embrione di risposta, che stiamo cercando di chiarire e razionalizzare in questi giorni. Il valore (l’arte) si connette al servizio (per tutti) in una proposizione che definisce al contempo un oggetto e il suo significato: il teatro pubblico. Il servizio e il valore, aristotelicamente, come forma e materia di un’idea regolativa del lavoro teatrale.

E la dimensione del servizio, soprattutto, acquista – proprio in quanto idea regolativa – i tratti di definizione di un diritto di accesso e d’uso del teatro d’arte. Non la definizione di un’attualità (non siamo nell’ambito del paradossale “Teatro dell’obbligo” di Karl Valentin) ma di una potenzialità. Il teatro pubblico si configura come luogo dell’accesso possibile, e sempre aperto, al teatro d’arte. Cioè come diritto a godere di un valore. Un valore che, con Grotowski, definirei per negazione: “Io non so dire cos’è buon teatro. Ma so certamente dire cosa non lo è”.

La declinazione e la conseguenza di questa visione è un’idea del sostegno pubblico come necessario supporto del permanere di questa potenzialità: finchè l’estensione del godimento di questo diritto è concepita come un valore democratico (quindi anche il servizio è in realtà un valore), l’intervento pubblico si argomenta di principio in termini economici (necessità di percorsi di sostegno alla produzione e alle politiche di agevolazione dell’accesso, alle politiche dei prezzi, ecc.) ma al contempo politici.

In questo presupposto – unitamente alla categoria economica del “consumatore sovrano” – che trova una giustificazione non metafisica o ideologica il sostegno pubblico al teatro. Non cioè argomentazioni più o meno nebulose e generiche – di cui tutti peraltro, facendo questo mestiere, siamo piuttosto convinti – ma la definizione di un diritto congiunta anche sul piano causale all’inequivocabile opzione del consumatore. (1)

Tuttavia – ed è anche per questo che la materia della discussione è di grande attualità – la declinazione fattuale di quell’istanza unitaria si è spesso tradotta, in forma dualistica e dicotomica, nella forma esclusiva del servizio, in un’enfatizzazione della quantità, dell’hic et nunc delle presenze e dell’occupancy. Dalla televisione all’editoria al teatro, così, il primo dei due poli di Grassi – l’arte – è stato declinato (al presente e al passato) lungo la prospettiva della semplificazione. “Per tutti” si è tradotto nel principio del “gradimento”, secondo cui se l’arte non è goduta, se il suo valore d’uso non viene consumato è forse meglio, allora, ridurre le aspettative.
Se servizio deve essere, allora deve essere la risposta ad una domanda attuale, la soddisfazione di quella domanda, il modellare produzione e distribuzione su quella domanda. Il servizio diviene valore in sé, determinando una sostanziale mortificazione dell’istanza artistica.

Sul piano economico, è evidente, questa opzione è del tutto razionale, molto più razionale: lungo questa opzione, tuttavia, l’idea di teatro pubblico si converte a finalità e prassi proprie dell’esercizio e della produzione privata: viene a cadere la prospettiva del futuro e si consuma la rinuncia all’idea formativa, pedagogica e acculturante del teatro d’arte.
E torna ad emergere ed imporsi con forza, così, il tema della ratio del sostegno pubblico a questo teatro.

Molte, in questo percorso, le responsabilità del teatro e delle sue cattive pratiche: dai circuiti, che hanno negli anni tradotto l’idea di promozione e formazione del pubblico in chiave esclusivamente distributiva; all’ETI, che – tanto più oggi, con la nuova presidenza – aspira a recuperare (in questo, anzi, concorrenzialmente con i circuiti stessi) un ruolo di quasi esclusiva diffusione dello spettacolo sulla penisola e nei suoi teatri (e le aree disagiate? E la costruzione di soggetti “di sistema”?); ma responsabilità straordinaria della cosiddetta “dorsale” dei Teatri Comunali, spesso proni – come ricordava ieri Solari – sulle proposte delle agenzie di programmazione (che tuttavia, in una legittima logica privata, non fanno altro che il loro mestiere), altrettanto spesso privi di forme anche soft di direzione artistica, del tutto appiattiti sul gusto dominante e totalmente dimentichi della loro funzione. Per non parlare, infine, di una Stabilità Pubblica sempre più organizzata come un canale televisivo generalista (e con un conseguente “pubblico generalista”).

Detto tutto questo, tuttavia – è stato ricordato a più riprese ieri e anche poco fa da Stella e da D’Ippolito – è inutile nascondersi il fatto che il problema del pubblico, di tutto il pubblico, rimane, ed è grave. Dal recente Rapporto sull’economia della cultura riferito al 2000, a cura di Carla Bodo, emerge rafforzata la tendenza – già denunciata nel rapporto del lustro precedente – alla progressiva e costante divaricazione della forbice che pone in relazione domanda ed offerta di spettacolo a vantaggio di quest’ultima. Si viene a consolidare, cioè, un quadro di eccedenza di rappresentazioni e spettacoli rispetto ad un pubblico in calo. E a questo riguardo viene segnalata dalla Bodo per il secondo lustro consecutivo la necessità – definita peraltro come una “rivoluzione copernicana” - di dirottare una quota dei contributi pubblici a forme di sostegno della domanda, pena il rischio, per il teatro, di riuscire sempre meno a legittimare e giustificare di fronte al mondo della politica il senso del finanziamento. E questo, forse, può essere il cardine, politico ed argomentativo, per percorrere e caldeggiare altre e diverse forme di finanziamento, più legate ai territori e alle realtà locali, alla ricaduta immediata sulle comunità: dalle Regioni alle Provincie e ai Comuni, ovviamente, giù giù fino alle realtà circoscrizionali. E, sul versante del privato, alle Fondazioni Bancarie.

La necessità di un sostegno della domanda è tanto più vera, per ovvi motivi, per l’area dell’innovazione. E mi trovo a condividere questa convinzione per diverse ragioni: anzitutto perché - in tempi di grave contrazione delle risorse pubbliche e nel quadro di un sistema che (avverte la stessa Bodo) sembra congegnato appositamente per salvaguardare rendite di posizione ed escludere nuovi accessi - la prospettiva di vita di una giovane compagnia si identifica con la possibilità di un mercato sostenibile, in grado di corrispondere cachet, garantiti o percentuali accettabili e dignitosi (e quindi con teatri “frequentati”); in secondo luogo perché la prospettiva del sostegno alla domanda, in particolare in aree metropolitane di straordinaria complessità “ecologica” come Milano, può muoversi efficacemente lungo la direttrice “virtuosa” (e, aggiungerei, necessaria) della costruzione ed implementazione di reti cittadine, microcircuiti metropolitani, forme di aggregazione e partenariato tra teatri, percorsi di organizzazione e mobilità orizzontale del pubblico, investimenti promozionali e comunicazionali congiunti. Il quadro di Milano, da sempre ma con una straordinaria accentuazione negli ultimi anni, evidenzia – particolarmente nell’area dell’innnovazione - una proliferazione di forme di stabilità diffusa che – nel loro interesse e nella loro necessità artistica e politica – rischiano tuttavia, senza direttrici di aggregazione, l’ulteriore frammentazione e localizzazione di un pubblico in costante calo.

Forse la prospettiva d’orizzonte è proprio questa. Con un sistema di distribuzione (Stabili d’Innovazione in testa) che non garantisce, non tutela e non offre mercato sostenibile l’opzione della conquista del proprio pubblico è probabilmente, per le compagnie, una necessità. Meno necessaria (o nient’affatto necessaria), è invece la prospettiva della chiusura: è mia convinzione che un senso profondo dell’idea di teatro pubblico, con un pubblico, sia oggi percorribile al contrario solo attraverso forme di azione e lavoro di rete tra luoghi e organismi di produzione che condividono (e sono disposti a negoziare parzialmente) visioni artistiche e progettuali, tensioni politiche e civili. Che la prospettiva del teatro d’arte sia oggi possibile, in particolare nell’area metropolitana, solo se abbandona l’idea dell’esclusività del luogo unico (una sorta di variante del “socialismo in un solo paese”) per divenire realmente sistema.

L'alternativa, temo (ed ecco la ragione dei titoli alternativi di quest'intervento), è il compiacimento un po' snobistico di chi considera il pubblico come una sorta di "male necessario", trovandosi volta per volta nella condizione (anche sonora) di chi "applaude con una sola mano", o di chi cerca di vendere "ottimi gelati al polo nord". O di chi - come il gatto del Cheshire di "Alice nel paese delle meraviglie" - sfoggia uno straordinario sorriso: ma senza corpo.
NOTA

(1) Si tratta di un’argomentazione molto interessante dovuta al Prof. Michele Trimarchi. Falliti (o comunque dimostrati poco (o a-) scientifici) tutti i tentativi di giustificare l’intervento pubblico in forma filosofica, socio-antropologica, pedagogica, ecc. rimane un dato, inequivocabile: tutti i sondaggi che indagano l’opzione dei consumatori relativamente all’opportunità del finanziamento pubblico del teatro danno esito ampiamente positivo. Questo significa che un’ampia maggioranza dei contribuenti (che, ovviamente, in larghissima misura non è pubblico dei teatri) è favorevole a destinare una quota della sua tassazione per garantirsi un diritto potenziale. Un dato, anche a nostro avviso, piuttosto significativo e abbastanza dirimente.


 

2005BP127
91.27 The scissors are on the right or on the left?
Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi
di Alfredo Tradardi

 

Il teatro è una biblioteca pubblica

“La Tragedia Endogonidia è un ampio progetto di ricapitolazione del teatro. In un’epoca in cui proprio il teatro, e le sue leggi di finzione e di retorica, è utilizzato dalla politica e dalla società per fini persuasivi (un riferimento alle ronconiane fatiche olimpiche?), la Societas Raffaello Sanzio sente il bisogno di ripensare questa forma della espressione umana, per ritrovare la forza della sua specificità.”

Così è possibile leggere nel foglio di sala dello spettacolo M.#10 MARSEILLE presentato dalla Societas Raffaello Sanzio al Festival delle Colline Torinesi.

Anche a Torino e in Piemonte il teatro, e la cultura in generale, sono troppo spesso utilizzati “dalla politica e dalla società per fini persuasivi”.

Sui giornali torinesi è possibile cogliere da qualche mese frammenti di una discussione, tutta interna alle segrete stanze, tra assessori, vecchi e nuovi, della regione, della provincia e del comune di Torino.

Ma quello di cui si avverte la necessità è un dibattito pubblico approfondito sulle politiche culturali degli enti locali e sullo stesso concetto di “politica culturale”.

“Un ente pubblico non è tenuto ad elaborare una propria concezione della cultura, bensì a riferirsi alla cultura così come essa vive e agisce e si manifesta nella società civile, ovviamente al fine di amplificare la risonanza di ciò che già esiste e offrire opportunità di attuazione alle forze di ciò che ancora non esiste ma urge e spinge nelle esigenze collettive”, scriveva nel maggio del 1977 l’assessore alla cultura del Comune di Torino Giorgio Balmas, mettendo anche in evidenza la antinomia tra una concezione della cultura come continuità che “insiste sulla necessità di salvaguardare e trasmettere, anche attraverso le istituzioni esistenti, un patrimonio rinnovabile ma non alienabile, di beni formali e sostanziali” e una concezione della cultura come aggregazione “che privilegia gli aspetti innovativi, non solo nei contenuti ma anche nelle forme (e quindi l’emersione dal basso di nuove interpretazioni della cultura, intesa soprattutto come legame comunitario, come potere aggregante)”.

Ma di tutto questo non c’è traccia nei programmi delle varie giunte, come non c’è traccia di una qualche preoccupazione sui temi di fondo dell’etica del pluralismo culturale e del principio dell’autonomia della cultura (del quale si è spesso fatto strame a Torino e dintorni).

Né dell’etica della trasparenza.
A quando un rapporto annuo, da parte dei vari assessori alla cultura, sui progetti culturali finanziati rispetto a quelli presentati?

Né del rapporto tra cultura e democrazia.

La preoccupazione maggiore sembra essere quella di stabilire una qualche improbabile relazione tra cultura e turismo, tra cultura e “diversificazione della economia piemontese” (sic!).

Di “etica del pluralismo culturale” ebbe a parlare uno dei convenuti a BP1.
Io mi permisi di aggiungere, ad un decalogo tutto da scrivere:
1. il principio dell’autonomia della cultura
2. l’etica della trasparenza
3. il teatro come bene comune, pubblico, collettivo

ora potremmo continuare con:

1. non usate il teatro (e la cultura) a fini persuasivi
2. il teatro è uno strumento di democrazia
3. il teatro è uno strumento per ricostruire una democrazia
4. il teatro è un servizio pubblico e un valore democratico
5. il teatro è una biblioteca pubblica

mi fermo perché siamo già a nove!

È possibile che i libri del teatro (gli spettacoli) siano dati a titolo gratuito?
I libri delle biblioteche pubbliche qualcuno propone siano prestati a pagamento.
Il dio mercato anche nelle biblioteche pubbliche secondo i vari bolkestein-frankestein?
Il teatro, malgrado le più rosee previsioni (“non vi è più una pubblica necessità che nutra il teatro”, massimo bontempelli 1926), continua a percorrere i sentieri del mondo, una singolare invariante rispetto ai sistemi sociali ed economici e ai nuovi media.
Ma se il maremoto che sta sconvolgendo il mondo intero provocherà, come sembra, una gigantesca ridistribuzione del reddito, i paesi occidentali saranno sempre più poveri (non saranno le guerre dei bush e dei blair a fermare questo processo).
Ma la povertà non è un problema, è la soluzione sostiene Majid Rahnema (povertà in dizionario dello sviluppo” a cura di wolfgangs sachs oppure in Quando la povertà diventa miseria, Einaudi 2005)

«Cos'è, in realtà, la povertà? Una costruzione dello spirito, un concetto, un vocabolo? Uno stile di vita, la manifestazione di una mancanza, una forma di sofferenza? Si contrappone alla miseria o ne è un sinonimo? Rappresenta un limite arbitrario stabilito dagli esperti per distinguere i poveri dai non poveri o, ancora, è una delle frontiere che separano i comuni mortali dai santi?»

il teatro povero diventerà una necessità e allo stesso tempo “la soluzione” ai problemi del teatro, se di teatro civile e necessario abbiamo bisogno e non di pseudoteatro, utile solo alla politica e alla società per fini persuasivi.
Un teatro povero come una biblioteca pubblica nel quale i libri da comprare sono scelti dal direttore della biblioteca e non dagli assessori, il solo tipo di biblioteca nel quale sia permesso far pagare non un biglietto ma un piccolo ticket, come d’altra già avviene.
Per chiudere: The scissors are on the right or on the left?
Ha cominciato in Piemonte il neo assessore regionale alla cultura, Gianni Oliva, a mostrare la sua collezione di forbici (di sinistra senza scioperi), poi sono seguite le minacce delle finanziarie, forbici anche esse (di destra e quindi con scioperi).
Non è chiaro che cosa ci sia dietro, ad esempio, le forbici “oliva”.
Che sia solo lo strumento necessario per una ridistribuzione delle risorse a favore dei propri clientes?

Mercenasco, 11 novembre 2005


 

2005BP128
91.28 Altre Velocità
Le Buone Pratiche 2: relazioni & interventi
di Altre velocità

 

AV AltreVelocità si propone come un involucro alternativo in cui maturare esperienze di osservazione, dialogo e riflessione anche dilatate nello spazio e nel tempo, sfruttando un nomadismo fluido ma non facile tra critica, studi, laboratori e incontri.
Il tentativo di aggiornare le espressioni di teatro contemporaneo si nutre di uno sguardo non solo riflettente ma anche orientante le tendenze, con l’assunzione di una responsabilità mobile sul territorio, dove mobilità significa anche occasionalità e impulso, consci che l’aspetto più rilevante dei cambiamenti nei quali siamo coinvolti non è solo la loro portata o la velocità rispetto al passato, ma anche la loro simultaneità.
Registrare il presente tenendosi aggiornati sul passato e cercando di anticipare il futuro.
Entrare nei luoghi trascurati dalla critica senza trascurare la varietà dei luoghi della critica, dotarsi degli strumenti per saper, saper fare e saper far fare scelte.
Porre domande in dialogo costante fra arti sceniche e contemporaneità.
AV non vuole parlare lingue correnti. Sedersi su tracciati sicuri. Occupare spazi consueti. L’acheraggio sui siti o sulle pagine dei giornali locali, e la presenza imprevedibile in contesti legati alle arti contemporanee è il tentativo di crearsi uno spazio autonomo, il più possibile svincolato da tempistiche e modalità operative che non siano, dal gruppo, esplicitamente scelte.
È uno dei modi che AV si da per compiere un’azione “eversiva”.
È sottesa l’esigenza di una ridefinizione terminologica, di una focalizzazione di nodi concettuali e tematici con i quali non si può non fare i conti. È presente la volontà di appropriarsi di un vocabolario che si nutra della capacità di leggere la realtà attraverso l’arte (e viceversa)!
Non più trappole per discorsi autoriferiti!
Per questa ragione AV e la sua presunta virtualità è primariamente un luogo di riflessioni interne, di scontri di prospettive, di interessi diversificati, di traiettorie critiche anche antagonistiche. Le figure che lo compongono - Chiara Alessi, Valentina Bertolino, Daniele Bonazza, Piersandra Di Matteo, Lorenzo Donati, Agnese Doria e Rodolfo Sacchettini - sebbene legate da un comune interesse per le arti sceniche contemporanee, hanno sviluppato competenze specifiche in ambiti differenti. Se è evidente che non è più tempo (ormai da un po’) di rigidi confini tra le discipline, né di difesa della separatezza in un orizzonte in cui i fenomeni artistici hanno modificato, in osmosi, la loro fisionomia, AV opta per un atteggiamento critico permeabile e, non per questo, meno rigoroso. Sfruttare l’eterogeneità e la diversificazione delle competenze minando perennemente l’identità del gruppo, rafforzandone l’apertura, mettendo in discussione la comunione di intenti e concentrandosi sulla condivisione di azioni. Un oculato utilizzo delle risorse disponibili, una progettualità in progress, un’altra velocità.


 

2005BP129
91.29 Per una politica culturale fondata sui valori: un punto di vista globale
Le Buone Pratiche 2: materiali
di Eduard Delgado

 

da “Economia della Cultura” – a. XIV, 2004, n.2.

1. Una rivisitazione delle politiche culturali

L’entrata nel nuovo secolo impone una rivisitazione delle politiche la culturali e delle loro prospettive, alla luce dei profondi cambiamenti dal sperimentati della imprese creative in tutto il mondo, e di una nuova consapevolezza sociale sul tema dell’ambiente culturale, specialmente nelle società "a mercato lento". Alcune contraddizioni immediate costituiscono la premessa della nostra analisi:

— le politiche culturali non possono essere capite al di fuori del loro contesto socioeconomico e politico, compreso quello della globalizzazione: ma i riflessi di quest’ultima sulle componenti sociali e politiche della pratica artistica, non sono ancora sufficientemente conosciute;

— i governi e l’opinione pubblica riconoscono il passaggio della sfera culrale da scenari pubblici a scenari privati, e tuttavia gli studi sulle politiche culturali restano fermamente radicati nell’ambito della governance;

— i flussi cultuali vengono descritti come depositari di valori umanistici, e tuttavia le disuguaglianze nello scambio, gli imperi delle comunicazioni e la subordinazione delle arti al commercio e ai media sono più forti che mai.

Dal momento che la rilevanza della cultura nel PNL e nel commercio crescono tutto il mondo, dovrebbe crescere contestualmente il ruolo delle politiche culturali sempre pii:t necessarie in vista della regolazione del mercato culturale. Le società a mercato lento e quelle a mercato rapido dovranno entrambe fronteggiare il problema della gestione del loro bene pubblico più intimo: la cultura. Tutelare e valorizzare il patrimonio culturale diverrà la chiave della coesione locale e della competitività nei confronti dell’esterno.
Il «fattore culturale» è già accettato — di fatto — dal mercato, e diviene il segno principale di distinzione di importanti progetti di tipo commerciale. Tuttavia, tale riconoscimento non discende dalla qualità morale delle attività artistiche, ma dal valore aggiunto portato alla comunicazione d’impresa. Per consolidare un nuovo spazio mondiale per l’interazione culturale — parzialmente o pienamente integrato nelle strutture del mercato convenzionale — le arti e i loro epigoni devono però esigere, per se stessi, che la scena principale sia lasciata ai valori sociali.
Il capitalismo culturale sta sostituendosi al capitalismo industriale, come risulta chiaramente anche dall’evidenza statistica che descrive il progresso strabiliante delle industrie del tempo libero, della cultura e della comunicazione dagli anni Cinquanta in poi. Il modello della pratica culturale borghese — fondato sull’accesso e sulla distinzione — è di venuto, il paradigma di molti tipi di relazioni umane, comprese la politica e i economia. Nello stesso tempo, nuovi movimenti orientati ai va lori guardano alla sfera culturale, alla ricerca di elementi di qualità nel l’esperienza umana e nella solidarietà. La soggettività non è più uno strumento di scelta, ma è divenuta essa stessa oggetto della scelta. La creatività non è più una qualità supplementare dei processi ma il loro stesso esito. È nostra intenzione tuttavia di concentrarci, anziché su queste trasformazioni culturali, sul loro impatto sulle politiche pubbliche; un impatto dominato da una sfida ai valori esistenti, e dalla necessità di metterne a fuoco di nuovi.
Il recupero di una elevata dimensione morale nella sfera culturale, non va vista nella vecchia accezione puritana, ma va considerata come una piattaforma tendente a favorire comportamenti fondati sui valori: perché valori «alternativi», come l’armonia fra mente e corpo, i diritti umani, la spiritualità, la sostenibilità ambientale, la memoria sociale, l’equità e la solidarietà sono stati in circolazione già dal secolo scorso, ma lo loro sostanza è andata progressivamente alienandosi dalle arti e dal patrimonio.
Molte delle difficoltà sperimentate dalla regolazione culturale tradizionale — fin dalla crisi e dalla quasi dismissione delle filosofie del Welfare State — sono dovute al mancato passaggio da politiche fondate sugli obiettivi a politiche fondate sui valori. Infatti il futuro delle politiche culturali è quello di regolare lo spazio culturale pubblico in modo da assicurare il rispetto dei valori, piuttosto che promuovere o gestire la pianificazione culturale strategica. I diritti culturali, l’etica della cooperazione culturale e la difesa dei valori umanistici nelle relazioni culturali (specialmente nella Rete) saranno al centro della politica culturali pubblica nel XXI secolo. Solo in questo modo le politiche culturali riusciranno a collegarsi costruttivamente con le altre aree d’intervento del settore pubblico, come l’educazione, l’ambiente, la salute e la sicurezza della qualità della vita, per fare sì che la cultura occupi un posto centrale in processi orientati al valore delle nostre società.
Come avviene per l’educazione, l’ambiente o la salute, l’ambito pubblico della politica culturale sarà rivendicato e gestito sia da organizzazioni pubbliche, sia da organizzazioni private, il che comporta la creazione di un nuovo meccanismo regolatore eventualmente patrocinato dal l’ONU. Questo tipo di meccanismi, nel caso della cultura, dovrebbero essere basati prevalentemente sull’autoregolamentazione volontaria, ma con un forte monitoraggio internazionale, basato anche sul ricorso a benchmark.

2. I valori all’opera

Nel tradizionale welfare state e nei suoi sistemi di politica culturale, la creatività veniva considerata principalmente al servizio di alcuni valori sociali condivisi. Questo presupposto viene messo in discussione dai valori che si sono andati imponendo al volgere del secolo, nei quali la soggettività e la creatività possono essere privatizzate e vendute sul mercato, non solo come singoli prodotti e atti, ma come identità collettive.
Per contro, mentre il ruolo delle politiche culturali pubbliche è profondamente cambiato, gli strumenti e i metodi di analisi di tali politiche sono ancora radicati nella tradizione occidentale degli anni Settanta, caratterizzata da alcuni coraggiosi presupposti:

a) la pratica culturale è fondamentalmente un esercizio collettivo (ad eccezione dei piu’ facoltosi), che va promosso e regolato dai poteri pubblici;

b) lo stato (a tutti i suoi livelli e con tutte le sue istituzioni) è il solo agente di riflessione e di pianificazione strategica per le arti e per la cultura;

c) la sfera culturale si incentra sulle arti classiche, più il cinema. Le forme della cultura popolare, nel senso moderno del termine, vengono incluse solo marginalmente nelle politiche ufficiali negli anni Ottanta;
br> d) i fenomeni culturali sono alimentati essenzialmente da una dialettica nazionale/locale; l’ internazionalizzazione è tuttora considerata un fatto eccezionale.

La struttura istituzionale che ha funzionato fino agli anni Novanta era perfettamente in grado di gestire questi presupposti: bastava collo care la cultura accanto all’educazione e ad altri servizi alla persona, fornendo i finanziamenti complementari e i sistemi di regolazione.
Tuttavia, le politiche culturali conseguivano solo di rado la stessa rispettabilità amministrativa delle altre aree dell’intervento pubblico, tanto che la salute, l’ambiente, l’occupazione, la sicurezza o l’educazione hanno utilizzato la cultura come supporto per i loro obiettivi principali. Burocrati, amministratori e mediatori tendono a vedere nelle politiche culturali un’appendice dell’educazione, della comunicazione o del tempo libero. E' un paradosso del nuovo millennio che l’area pubblica più trascurata nel XX secolo sia oggi chiamata ad occupare il centro della. scena, bensì non in termini di area di governance, ma piuttosto come fonte generosa di materia prima per l’espansione del mercato. Il danno alle politiche culturali come area di interesse pubblico potrebbe essere irreversibile.
La ragione di ciò risiede in parte nel fatto che le politiche culturali non sono più state propriamente strutturate nell’ambito dell’azione politica convenzionale. Per quanto concerne la cultura, i programmi principali dei partiti si limitano ad una modesta combinazione di politiche di tutela e di accesso, con scarso riferimento a un progetto culturale generale per la società o la comunità.
Il discorso culturale resta sganciato dai diritti e dai valori. Le politiche — di destra o di sinistra — non sono riuscite a introdurre il discorso cul turale nelle aree calde dell’inquietudine sociale: le migrazioni, l’esdusione, la disoccupazione, i diritti dei consumatori, o i diritti umani. Questo potrebbe spiegare come mai in molte aree della coscienza politica, in Europa e in America, l’impegno ambientalista ha Sostituito la battaglia culturale, visto che la sinistra ha rinunciato — ancora una volta — a con siderare la cultura come un’area speciale di «consapevolezza dei valori».
Il conflitto crescente fra l’Europa urbana e quella rurale fa parte di un nuovo divario nel quale i temi culturali possono essere facilmente igno rati, mentre preoccupazioni ambientali correnti — come quelle per la qualità alimentare o per le crisi dell’agricoltura — costituiscono obiettivi chiari e precisi.

3. Politiche per obiettivi

Le politiche culturali pubbliche sono state, storicamente, di vario tipo, in particolare nella tradizione occidentale, dove l’intervento pubblico nel campo delle arti può essere documentato diacronicamente fin dal Rinascimento.

a) Uno dei modelli tradizionali fa riferimento alle politiche guidate dalla magnanimità personale: il volere del Principe che gestisce privilegi, accresce il benessere o il patrimonio ed esercita una influenza diplomatica.
La comunicazione fra il potere e il popolo può essere resa più agevole sottolineando la comunanza dei simboli e la capacità del Principe di legittimarli. I principi cattolici o gli imperatori giapponesi rappresentano modelli diversi di gestione delle arti e del potere.
La crisi delle monarchie assolute e l’emergere della borghesia ridimensiona questa modalità della politica senza eliminarla completamente. I politici contemporanei a volte emulano la politica del Principe e così fanno i leader dell’imprenditoria attraverso la sponsorship aziendale delle arti.

b) In forma corollaria rispetto al profilo del Principe, troviamo politiche come «la ragion di stato», che corrisponde alle pratiche di costruzione dello stato: le arti come corollari dei simboli di stato, insieme all’esercito, al linguaggio e alla moneta. La conservazione dei tesori di stato e il sostegno agli «artisti nazionali» costituisce una parte significativa delle politiche nazionaliste. Questo tipo di meccanismo è ancora molto vivo ai nostri giorni, nonostante l’erosione generata dai processi di integrazione continentale e globale, e la spinta alla diversità culturale interna (dal momento che il fatto che nessuno stato nazione possa essere descritto come «monoculturale») è una realtà contemporanea indiscutibile. Non di meno, le politiche di costruzione dello stato nazionale — trasformate in una difesa disperata dei beni culturali (spésso depredati da contesti coloniali o regionali) — ispirano ancora molte pratiche politiche nel campo della cultura. La «sussidiarità culturale» nell’Unione Europea si ferma ai livelli degli stati, e possiamo individuare forti domande di costruzione nazionale nelle politiche culturali in Africa e in America Latina.

c) Accanto a quelle politiche, troviamo politiche guidate da «obiettivi». Come si sa, la Seconda guerra mondiale introdusse una nuova ondata di assunzione di responsabilità della politica, con la conseguente domanda di assunzione di responsabilità pubblica anche in campo culturale. Le politiche culturali vennero pertanto giustificate per il loro contributo ai processi generali di tipo sociale, politico ed economico sulla base di obiettivi che sono andati cambiando nel corso del XX secolo, secondo modalità che cercheremo di sintetizzare.
È noto che negli anni Cinquanta l’azione culturale pubblica tendeva ad obiettivi di riconciliazione e di ricostruzione: ciò vale particolarmente per l’Europa, ma può essere esteso ad altre regioni del mondo. Negli anni Sessanta, tale ruolo andava ricercato soprattutto nel contributo della cultura alla educazione permanente ed extrascolastica, mentre la logica prevalente degli anni Settanta riguardava l’integrazione delle culture rurali e periferiche nei processi di modernizzazione. Negli anni Ottanta l’obiettivo principale diviene quello dello sviluppo economico, mentre negli anni Novanta è il benessere sociale a dominare la scena (riduzione della disoccupazione, riqualificazione urbana, sviluppo rurale, integrazione degli immigrati, lotta contro l’esclusione sociale).
Sembra che nei primi anni del XXI secolo la spinta principale sarà data dalla valorizzazione delle tecnologie. In altre parole, le principali politiche per la cultura, nel settore pubblico come in quello privato, potrebbero favorire l'uso delle tecnologie della società dell’informazione nella tutela, nella divulgazione, nella comunicazione o nella creatività culturale. Questa non è che una supposizione, anche se avvalorata da molti segnali, come, ad esempio, l’accento posto dalla Unione Europea sull’introduzione degli strumenti della società della informazione nello sviluppo culturale, sia in Europa, sia nelle regioni associate.
Le politiche finalizzate al conseguimento di obiettivi sembrano desti nate a restare, perché ci sarà sempre un ruolo per la politica culturale come supporto ad altri obiettivi socio economici, anche se la costruzione del consenso attorno alle politiche culturali nelle società complesse è divenuta sempre più difficile.
Questi tre tipi di politica hanno strumenti di attuazione distinti. Nel primo tipo, si tratta di un sistema di corte, con le sue gerarchie di rotazione per i «favoriti». Il secondo tipo strumentalizza una struttura statuale con un potere decisionale centralizzato basato sull’esercito, su alleanze con la religione, sui sistemi educativi e sugli interessi coloniali. Il terzo tipo opera attraverso la delega, la devoluzione e il decentramento, in un complesso gioco politico di sfide e di obiettivi.
Oggi possiamo individuare una tendenza capace di sostituire le politiche guidate da obiettivi con politiche guidate da valori. Per politiche orientate ai valori intendiamo quegli sforzi concertati nei quali viene rielaborata e riscritta la linea di fondo del perché la cultura vada sostenuta. Cinque decenni di politiche orientate agli obiettivi non sono riusciti a portare la cultura «dai margini al centro» e a riconoscere «la nostra diversità creativa)). Il ruolo della fenomenologia culturale pubblica nella nostra società è troppo delicato e trascurato per essere mantenuto al li vello di qualsiasi altro esercizio di fissazione di obiettivi politici o economici. Le politiche culturali guidate da valori considerano la cultura un diritto umano, radicato nel nucleo della dignità umana.

4. Test e benckmark

La fenomenologia contemporanea delle relazioni culturali è oggetto di studio privilegiato da una varietà di scienze sociali, specialmente quelle più adatte all’analisi dei rapporti simbolici e di potere all’interno di una particolare struttura sociale, inseparabile oggi da un sistema di interazione culturale di portata mondiale. Ma, i reiterati tentativi di sfruttare il potenziale delle scienze sociali di contribuire alle politiche culturali, hanno finora deluso. Ciò vale non solo per l’analisi delle politiche come corpus specializzato di conoscenza, ma anche per gli studi sulla cultura in generale:

«L’esame del comportamento culturale è stato un incubo storico per gli antropologi. Le teorie funzionaliste e comportamentaliste sono state scartate dalle scienze sociali con la stessa sistematicità con cui esse formulano le proprie leggi.»

Queste difficoltà hanno rallentato il ritmo dell’analisi culturale dal punto di vista antropologico, e hanno quasi negato la possibilità che tali analisi entrassero a fare parte della governance politica. La ragione di tali perplessità può essere dovuta a condizioni avverse, o all’appropriazione degli studi sulle politiche culturali da parte di burocrati ai quali spetterebbe solo di attuarli, o, semplicemente, alla mancanza di interesse per la ricerca. Ma se queste ragioni potrebbero essere plausibili nel mondo occidentale, non lo sono necessariamente in altri emisferi, dove il concetto di politica culturale è stato meno strutturato nelle domande istituzionali di intervento pubblico. Sebbene la sfera pubblica nella vita culturale delle società che si trovano nella metà inferiore dell’indice di Sviluppo Umano delle Nazioni Unite sia perfettamente identificabile e normalmente più vibrante di quanto accada nella «metà superiore», la governance culturale assume una inclinazione diversa a seconda dei suoi diversi stili nel processo di costruzione istituzionale. Comunque, gli antropologi moderni trovano difficile, tanto nelle società premoderne, quanto in quelle industriali, includere nella loro nozione di mutamento sociale le trasformazioni nella pratica artistica e nell’offerta pubblica di cultura, nonostante la popolarità dell’argomento.

«Di questi tempi, gli antropologi si innervosiscono notevolmente quando affrontano la cultura — il che è sorprendente, in apparenza dato che l’antropologia della cultura è un genere di successo. Mentre altri concetti venerabili sono praticamente sbiaditi e scomparsi dal discorso delle scienze sociali, anche un postmodernista può parlare inconsciamente della cultura (tra virgolette, magari.., pensate al destino di concetti come personalità, struttura sociale, classe, o, più di recente, genere sessuale). In effetti, la cultura oggi è più di moda che mai.»

Ma perché le politiche culturali sono state una moda marginale del XX secolo, e non sono riuscite a collocarsi al centro dell’interesse pubblico? Uno degli ostacoli principali è stato tradizionalmente costituito dalla ossessione di produrre valutazioni attendibili e modalità di comparazione. Valutazione, analisi di qualità, comparabilità e stima delle tendenze sono stati argomenti sfuggenti per la comunità degli analisti delle politiche culturali fin dall’inizio della disciplina. Dopo 50 anni di esperienza si può dire che la maggior parte delle difficoltà riguarda la mancanza di correlazioni prevedibili fra obiettivi e attività di benchmarking.
Anche se, alla fine, gli obiettivi della politica culturale possono venire definiti, il modo in cui sono giudicati il loro conseguimento, o meno, varia con i cambiamenti che queste politiche provocano al momento della loro attuazione. Infatti, se è vero che le politiche culturali sono ritenute meccanismi lenti, tuttavia, è spesso sufficiente la sola decisione pubblica di attivarle per trasformare il clima culturale che domina i processi influenzati da tali politiche. Ad aumentare le difficoltà di valutazione, c’è poi il fatto che le politiche culturali sono attuate fino in fondo solo di rado; una particolare tendenza messa in moto dall’azione pubblica può portare infatti a una reazione imprevedibile (da parte della offerta o della domanda) che a sua volta potrebbe condurre a una trasformazione della politica stessa. Le politiche culturali sono strumenti insoliti, nella misura in cui esse tendono ad essere ancillari rispetto ad altri meccanismi e ad avere finalità molteplici. Esse operano tanto sulla percezione dell’ambiente quanto sul comportamento della vita reale; infatti, spesso la domanda di politiche culturali è più forte della insistenza sulla loro attuazione. È per questa ragione. che il benchmarking è possibile solamente in aree altamente regolate, dove l’esame dell’attuazione fa parte integrante della politica. Ciò accade molto raramente nei sistemi culturali aperti: i soli tassi di visita o il numero dei biglietti venduti forniscono una misura molto modesta del successo o del fallimento di una politica, e, in ogni caso, i risultati sono destinati a restare all’interno dei soggetti che li hanno conseguiti, perché è molto difficile ottenere indici di comparabilità fra contesti culturalmente diversi e fra pro cessi che fanno di tutto per essere unici. Uno dei problemi principali dell’analisi culturale riguarda il ben noto fatto che la cultura viene considerata nello stesso tempo oggetto e strumento della definizione. Per tutte queste ragioni, la valutazione delle politiche culturali si è ridotta quasi del tutto a un esercizio interno ad ogni disciplina o area di applicazione, spesso attuato dalla stessa struttura responsabile. Ambiguità fra soggetto e oggetto delle definizioni, fra giudice e parte in causa, sono ostacoli teorici ben lungi dall’essere risolti nel gioco attuale della politica culturale, dove la valutazione costituisce uno dei lati oscuri.
La formulazione e la valutazione delle politiche culturali hanno attirato l’attenzione degli analisti fino dalla fine degli anni Settanta, anche se sono pochi metodi sono stati sperimentati sistematicamente. I tentativi di raggiungere la comparabilità sono stati finora esperimenti coraggiosi di combinare la diversità culturale con la responsabilità comune: un tentativo che sembra autolesionista, forse perché è troppo preoccupato degli obiettivi e troppo poco dei valori. Il ripensamento delle politiche culturali potrebbe beneficiare di un approccio orientato invece ai valori. L’oggetto di questo esercizio è triplice:

— affermare l’universalità dei diritti culturali e pertanto dei valori culturali;

— promuovere un elemento di comparabilità delle politiche sulla base di benchmark comuni;

— sollecitare un dialogo culturale basato sui valori piuttosto che sugli obiettivi «strategici».

5. Revisioni orientate ai valori

Dobbiamo comprendere nella categoria indicata dal termine di «revisioni» sia la formulazione delle politiche, sia la loro valutazione. La sezione che segue è dedicata a suggerire un certo numero di aree di interesse assiologico per le politiche culturali e per la loro attuazione. Questa proposta mira a sollecitare un dibattito sull’argomento, che potrebbe essere ripreso dai professionisti della cultura e dagli esperti di politiche pubbliche e di diritti umani; un dibattito che, si spera possa essere largamente condiviso.

a) Sostenibilità
Il concetto dovrebbe abbracciare una visione armoniosa dei progetti e delle politiche culturali, profondamente radicati nella nozione di sostenibilità ambientale, dove l’energia impiegata nei progetto è congruente con i risultati attesi. La sostenibilità è anche una funzione di un input intensivo di risorse umane unito ad altri input, fra cui le risorse materia li. Le preoccupazioni ambientali non dovrebbero però essere legate sola mente ai limiti materiali, ma anche alle relazioni non materiali fra i progetti artistici e il loro ambito territoriale. Il paesaggio, il linguaggio, il dialetto e i sistemi di riferimento culturali devono contare in un modo o in un altro, per i progetti artistici, per quanto astratti e universali. Questa eco-responsabilità induce una qualità nei progetti e nelle politiche culturali percepibile a diversi livelli: in primo luogo, è una misura di valori universali collegati all’ambiente in senso lato. L’impatto culturale sull’ambiente deve essere valutato sulla base di una nuova obiettività. Secondo, la fissazione di benchmark sulla qualità dei collegamenti fra il progetto culturale e il suo ambiente aiuta a collocare in una nuova prospettiva il rapporto fra cultura autoctona e culture eteroctone. Terzo, l’eco-sostenibilità apre una nuova opportunità per collegare i movimenti di consapevolezza ambientalista al rafforzamento dei valori comuni.

b) Memoria
La memoria come valore riguarda la necessità di «decentramento verticale», cioè il tipo di consapevolezza culturale che si estende, non solo orizzontalmente fra diversi paesaggi e territori, ma anche su base verticale. La qualità che la «memoria» porta ai processi umani in generale e ai processi culturali in particolare implica un senso di continuità nella costruzione delle sensibilità e una responsabilità verso il divenire l’anello di una catena, un veicolo attivo fra passato e futuro. Sotto questa prospettiva, il patrimonio culturale è inteso, non tanto come eredità del passato, ma come prestito dal futuro.
Per contro, il valore della memoria riguarda non solo ciò che si col lega agli ambiti locali, ma anche le memorie trapiantate da differenti tradizioni culturali. Queste «radici mobili>) sono portatrici di differenti modalità di memoria e di modi diversi di considerare il valore del tempo e del patrimonio. La qualità della memoria culturale consiste anche nella condivisione di memorie di altre culture che partecipano oggi dello stesso spazio sociale.

c) Diversità
Il pluralismo culturale è un corollario necessario della diversità; esso corrisponde a una qualità della fecondazione incrociata fra diverse modalità culturali o tradizioni estetiche. Ma, questa ibridazione è veramente fruttuosa solamente quando i (partner) mostrano un grado sufficiente di partecipazione egualitaria. La diversità non è il melting pot e può ancor più difficilmente essere il «salad bowl» se il mix è deciso solo da una frazione degli agenti che intervengono. Intendiamo la diversità come un ((lavoro in corso», dal momento che le forme e i movimenti culturali tendono tanto all’uniformità quanto alla differenza, e il movimento fra imitazione, sfida e originalità è spesso non discernibile. La diversità, pertanto, va intesa come una spinta attiva verso la singolarità e verso le condizioni che la rendono possibile. Come valore, la diversità implica un atteggiamento morale a favore di una differenza creativa.

d) Connettività
Le qualità connettive dovrebbero essere contemplate come un bene per le politiche e i progetti culturali per via del loro corollario sulla diversità. Le politiche culturali che non incoraggiano per quanto possibile la connessione fra progetti dello stesso genere non rispettano l’imperativo della fecondazione incrociata nell’esperienza culturale. Tuttavia, la connettività è anche parte integrale della qualità espressiva di qualsiasi pro posta artistica. La spinta a collegare, a comunicare in maniera interattiva è un valore che stabilisce le fondamenta comuni dell’esperienza culturale che appartiene a tutta l’umanità, ma che sottolinea anche l’imperativo della reciprocità. La connettività culturale esige che si stabilisca la reciprocirà nel tempo e nello spazio come parte dell’esperienza del legame umano attraverso le arti. La connettività è anche una esigenza per un vero universalismo e per il cosmopolitismo, dal momento che essa veicola gli elementi della fiducia e della libertà necessari alla crescita di qualsiasi progetto culturale.
La connettività è un valore anche per altre politiche pubbliche, soprattutto per quelle della sfera socio-educativa. Le politiche culturali non possono più essere valutate solo a partire dal loro impatto diretto sui processi creativi, ma vanno esaminate in rapporto al loro impatto su altre politiche che intervengono sullo stesso contesto sociale.
La morfologia della connettività si riflette nell’etica della cooperazione culturale, come un codice di condotta per assicurare la qualità della reciprocità nelle partnership.

e) Creatività
Mettere la creatività al primo posto è uno degli impegni centrali di qualsiasi autentico progetto culturale. La ricerca della qualità creativa è un imperativo per tutte le parti coinvolte in un processo culturale. La creatività è la spinta verso la produzione di nuovi linguaggi espressivi attraverso combinazioni originali di vecchi linguaggi o l’evoluzione in una direzione completamente nuova. Non è sempre evidente quando e dove si verifichino momenti di rottura nelle arti, e le svolte significative non possono essere colte nell’immediato, ma solo a distanza. Inoltre, piccoli processi creativi possono costruire impercettibilmente una massa critica che alla fine travalica le forme culturali esistenti. La creatività nelle arti può raggiungere forme pure, ma le sue qualità si trovano in ogni attività umana. Spesso la creatività nelle arti è fortemente aiutata dalla scienza, dall’educazione o da decisioni politiche come quelle che stanno alla base delle politiche culturali. La creatività è un valore legato a quello della libertà, ed è altrettanto difficile da definire.

f) Autonomia/Sussidiarità/Prossimità
C’è una qualità speciale nei processi culturali che sono completamente determinati loro stessi dai protagonisti, dove nè i mercanti, nè i mecenati, né i funzionari decidono sui contenuti o sulla struttura. Come ogni valore, questo fa parte dei desiderata difficilmente conseguibili. L’autonomia e l’autogoverno accrescono la gamma delle scelte riguardo alla partnership, facilitano un forte impegno nei confronti del progetto culturale ed esaltano la responsabilità culturale. L’autonomia nei progetti culturali è valore importante nella misura in cui essa si riflette nella cooperazione di alto livello necessaria ad impegnarsi, non solo su obiettivi comuni, ma anche sul terreno sociale ed estetico.

g) Solidarietà
L’impatto culturale sull’ambiente sociale viene valutato normalmente con riferimento all’accesso da parte dei gruppi meno privilegiati, ai risultati educativi e alla partecipazione, alle dinamiche sociali avviate dal pro getto. Questa nozione dovrebbe comprendere elementi che pongano il progetto culturale in rapporto ai temi sociali di natura politica o intellettuale di altre comunità o di altri ambienti. La qualità della responsabilità sociale presuppone una consapevolezza nei confronti delle disuguaglianze, e un appello all’equità nella distribuzione del capitale culturale.
Le politiche culturali socialmente responsabili tenderanno a collegarsi ad altre politiche sociali nei campi della salute, dell’occupazione o della educazione. Soprattutto, la responsabilità sociale nelle arti dovrebbe concretizzarsi nella qualità dell’espressione del dibattito sociale. Si dovrebbe stendere una Carta socio-culturale che fornisca le linee guida per l’esercizio della responsabilità sociale nella elaborazione delle politiche della cultura e delle arti.

h) Diritti culturali
Si ritiene che i diritti culturali esistano quando è possibile avviare su di essi una causa in tribunale. I diritti culturali invece esistono anche se non è possibile applicarli. I detentori dei diritti culturali possono essere singoli individui o comunità. I diritti culturali possono esistere solamente come diritti universali e indivisibili. Essi comprendono il diritto a determinate libertà (di espressione, di lingua, di pratica religiosa, di associazione, di adunanza pacifica, di educazione...), il diritto di accesso (ai mezzi di comunicazione, di espressione, ai beni e ai servizi culturali) e la tutela contro l’intolleranza, il razzismo e la xenofobia. La politica culturale deve favorire e sviluppare i diritti culturali così come sono definiti dall’UNESCO, dall’ONU (Convenzione sui diritti sociali, economici e culturali) e dal Consiglio d’Europa. In questo senso, i diritti culturali come valori devono potersi concretizzare in attività e scambi, ma special mente nella formulazione di nuovi progetti.

Questi esempi di elaborazione di politiche e questi criteri di valutazione intendono affermare il bisogno di ricostruire le politiche culturali sulla base di valori piuttosto che di obiettivi. C’è da aspettarsi che questo dibattito, grazie all’impulso delle comunità che sostengono i diritti culturali, ambientali e della solidarietà, farà da battistrada al rinnovamento dello spazio pubblico culturale nel XXI secolo.

Note

1- Marvin Harris, «Theories of Culture», in Post-modern Times, Alta Mira Press, 1999, p. 21.
2- Adam Kuper, Culture, the Anthropologists account, Cambridge (MA), Harvard University Press, 1999, 226-227


 

2005BP131
91.31 La formazione del pubblico e il rapporto con una comunità
Le Buone Pratiche 2: interventi & relazioni
di Massimo Luconi

 

La funzione sociale del teatro, la forza anche terapeutica di comunicazione, aggregazione e identificazione che una comunità compie attraverso la ritualità teatrale, sono elementi che fanno del teatro, ancora oggi, la forma di comunicazione più diretta e immediata, la sintesi più efficace tra segno, parola e immagine.
In questo nostro periodo storico sopraffatto da indefinite culture, e dove spesso si discute intorno alla crisi dei valori culturali e alla nozione politico sociale del teatro, penso che il Teatro pubblico possa e debba svolgere un ruolo di preparazione e formazione del pubblico, tutelando e dando valore prioritario all’esperienza teatrale, alla funzione culturale del teatro e al rapporto intimo e personale con l’emozione della scena; una funzione che va anche oltre la realizzazione di un programma di qualità-anche se la qualità culturale delle scelte è senz’altro il parametro e l’obiettivo del nostro lavoro.
L’obiettivo è quello di non paralizzare la proposta teatrale con la formula dell' abbonamento, o limitarsi all’apertura di sipario, ma di fare del teatro uno spazio vivo, che cerca percorsi possibili di attenzione e coinvolgimento con un programma di riflessioni intorno al far teatro, amplificandone la valenza culturale e spettacolare e aprendo altri orizzonti oltre la semplice fruizione dello spettacolo.
(proposte di riflessione,di incontro e di scambio culturale come la presentazione di libri, video, mostre)

Non ci sono formule o ricette predefinite ma è necessario lavorare sul campo,stabilire rapporti veri con la comunità e il contesto socio culturale, sollecitando varie tipologie di pubblico e svolgendo anche un ruolo di riferimento per professionisti dei vari linguaggi dello spettacolo, coagulando esperienze spesso informali e magamatiche di forte energia creativa.

E’ anche necessario sottolineare quanto sarebbe importante coinvolgere le amministrazioni locali, necessarie protagoniste di una diversa politica dello spettacolo che non può essere asservita allo sciatto divismo televisivo ma che deve investire sul rischio culturale e sulle nuove generazioni. Sono spesso le stesse amministrazioni, infatti, che contribuiscono, senza forse averne esatta consapevolezza, a determinare quelle “leggi selvagge de facto vigenti nei circuiti teatrali” e a voler imporre scelte non ponderate e non confrontate con le linee progettuali dei teatri pubblici.
Eppure in questo momento storico di crisi della cultura occidentale, nessun altro luogo come il teatro (neppure la scuola) possiede la forza di trasmettere saperi, letteratura, spaccati di vita, ricerca linguistica ed estetica.
Basterebbe crederci e unire in maniera complementare le forze e gli investimenti.
Certo non è facile ritrovare quell’energia catartica, quell’intenzione e quel valore focale all’interno di un contesto socio culturale (dove passano sogni, drammi, pensieri e riflessioni sul nostro vissuto contemporaneo) nella nostra distratta e affannata società.
Alcuni segnali positivi di frequenza di pubblico e soprattutto di attenzione verso il teatro, fanno pensare che siamo in controtendenza e che cioè si torna a prendere tempo per l’ascolto, per emozionarsi e per impegnarsi in una esperienza globale dove il teatro non è un elemento casuale o episodico ma ha un valore formativo e di crescita personale, sia che sia vissuto da protagonisti sulla scena o da attenti spettatori, attori consapevoli di un rapporto intimo e di coinvolgimento totale.
In questo senso è necessario muoversi su un progetto di teatro che indaghi intorno al valore profondo dell’esperienza teatrale, dove l’impegno prioritario,oltre quello di elaborare un programma di qualità, diventi la progettazione di un flusso di rapporti e di energie creative, per la costruzione di un territorio dove il teatro sia uno degli elementi fondanti della crescita di una comunità, consapevoli che il teatro, fa parte del mondo e che il profondo valore culturale e sociale del teatro è anche trasmettere sensazioni profonde, rifllessioni e pensieri.


 

2005BP131
92.31 Riflessioni su Mira
La Buone Pratiche: interventi & relazioni
di Renato Nicolini

 

Cari Mimma ed Oliviero,

forse, anziché perdermi in riflessioni sulla legittimità dell’uso del termine valore dopo Nietzsche, potevo andare direttamente al merito della questione posta da Buone Pratiche 2: se il teatro è un elemento del welfare, può seguire le sorti (declinanti) del welfare; se invece è un valore, qualcosa cioè che attiene alla sfera dell’identità, dei diritti di cittadinanza e della democrazia politica, no, perché è qualcosa in più. Avrei potuto aggiungere che è qualcosa in più anche dal punto di vista economico, poiché produce domanda di beni immateriali e con questa una crescita di qualità delle strutture dell’economia. Poi, seguendo l’onda suggerita di non aspettare passivamente l’inversione della tendenza declinante che ormai caratterizza il FUS, e prendendo atto che ormai i due terzi delle risorse del teatro provengono da altre forze (Enti Locali, etc.), avrei potuto raccontare il caso del Laboratorio Teatrale dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, che è ormai alla sua terza stagione e che è finanziato dall’ARDIS (l’Ente per il Diritto allo Studio della Regione Calabria) ed anche direttamente dall’Università di Reggio Calabria. Ma non è mai troppo tardi per fare una cosa.
Lo spettacolo più importante della nostra stagione 2005, La Fondazione della Città, una “rivista architettonica” sui miti di fondazione della città, che inizia con una disputa tra Alessandro Magno ed i suoi architetti a proposito della fondazione di Alessandria, e prosegue con la Torre di Babele, Roma, Crotone e Sibari, la Città del Sole di Campanella, il terremoto di Reggio raccontato da Norman Douglas, scene da Mahagonny di Brecht e dalla Cimice di Majakovskij, 1984 di Orwell etc., è stata ospite a luglio dell’Estate Romana alla Sapienza, dove ha così colpito Stefano Mollica, responsabile dell’AISLo (Associazione Italiana per lo Sviluppo Locale da invitarla, come spettacolo inaugurale, al Convegno Internazionale che l’AISLo organizza ogni anno, e che quest’anno si è tenuto a Barletta, con la collaborazione del Comune di Barletta e della Regione Puglia, in un luogo federiciano come il cortile del Castello Svevo. Dove La Fondazione è stata rappresentata, il 28 ottobre, in un quadro scenico molto diverso da quello di un teatro tradizionale, senza palcoscenico e senza scenografia che non fosse elettronica.
Il significato dello spettacolo era convergente con la tesi principale del Convegno, che le città sono oggi, proprio perché viviamo nel quadro dell’economia globale, basata sui consumi e sulla produzione di beni immateriali rovesciando i vecchi dogmi dell’industralismo ottocentesco e novecentesco, e lo saranno sempre più in futuro, il motore dello sviluppo.
L’invito a Barletta (cui si è aggiunto dopo l’incontro di Mira un altro invito, a concludere ad inizio agosto 2006 l’annuale Seminario di Architettura di Camerino) non è solo un riconoscimento della qualità del nostro lavoro. E’ un riconoscimento che si estende ai nostri sostenitori istituzionali, l’ARDIS, che non solo ci sostiene economicamente ma ci dà la possibilità di usare un bel teatro come il Teatro Siracusa di Reggio Calabria, e l’Università Mediterranea, che quest’anno ha dotato il Laboratorio di una propria sede. Dove lavoreremo per le scene ed i costumi, e terremo iniziative a carattere seminariale, cui intendiamo invitare scenografi teatrali come Sergio Tramonti, ma anche architetti-scenografi come Franz Prati, e artisti visivi-scenografi come Fabio Massimo Iaquone. Ciò che c’interessa quest’anno – metteremo in scena un mio testo da Le Mille e Una Notte, ed un testo di Giuliano Scabia, Visioni di Gesù con Afrodite - è infatti sperimentare il contributo che altre immaginazioni possono dare allo spettacolo teatrale, e le loro relazioni di reciproca influenza.
Già la rappresentazione di Barletta è stata un primo esperimento in questa direzione, visto che in quell’occasione abbiamo rinunciato ad usare scene e palcoscenico per utilizzare direttamente la scena naturale del Cortile del Castello Svevo – che in sé si costituiva già come una rappresentazione della città. Abbiamo più di una registrazione video dello spettacolo; la versione in teatro a Reggio, frammenti della versione romana, ed infine quella a Barletta. Nel nostro Laboratorio studieremo le differenze.
Sperimenteremo le relazioni tra scena reale e scena virtuale, tra attore reale ed attore virtuale, anche in un corso a contratto, all’interno del corso di laurea in Disegno Industriale, che terrò a Roma, all’Università “Ludovico Quaroni”, assieme a Marilù Prati, che dirige con me il Laboratorio di Reggio; ed anche in un altro che dovremmo condurre in Tunisia, a Nefta, dove abbiamo un progetto di formazione in cooperazione con l’ENAU di Tunisi – partendo sempre dal tema del confronto tre l’immaginario orientale e quello occidentale, basandoci in parte sempre sul testo originario de Le Mille e una Notte – in parte sui miti di Didone e del viaggio.
Barletta è un riconoscimento al lavoro di tutta l’Associazione Culturale “Le Nozze” di Marilù Prati, che gestisce il Laboratorio Teatrale in convenzione con l’Univeristà e con l’ARDIS. C’è un gruppo, ormai folto e sperimentato, di attori studenti e di collaboratori tecnici, come Valentina De Grazia, Nino Minniti e Francesca Chiappetta. In un certo senso ci sentiamo quasi dei privilegiati, abbiamo un organico da Teatro Stabile, tutto basato su un vero volontariato. Quest’adesione si spiega soltanto con la passione, con il fatto che chi partecipa sente di ricevere davvero, in termini di esperienza e di conoscenza, qualcosa in cambio. Una formazione che non si esaurisca nei propri confini disciplinari è particolarmente importante nell’università dei crediti formativi, un terreno inevitabilmente autoreferenziale, che corre il rischio di chiudersi proprio quando magari sta pensando di specializzarsi.
Ed avrei potuto concludere riprendendo il tema principale, quello del teatro come qualcosa di cui non si può fare a meno, e che bisogna fare di tutto per mantenere in vita. Il Laboratorio di Reggio è un vero paradosso, qualcosa che va assolutamente alla rovescia in un’Italia in cui oggi tutto sembra invece congiurare alla distruzione del teatro e della cultura del teatro. C’è una vera persecuzione ideologica (dico ideologica perché si promuove un’altra idea della cultura, quella passiva e mediatizzata, dove la differenza è vista come deviazione e non come potenziale maggiore ricchezza) contro lo spettacolo dal vivo. Si sega la Scala a metà come fosse un fenomeno da circo. Si colpiscono due volte gli Enti Locali che hanno capito, come Veltroni a Roma o Cacciari a Venezia o Bassolino in Campania, il valore economico della cultura.


 

2005BP132
92.32 Dissonanze
Le Buona Pratiche 2: relazioni & interventi
di Carmelo Alberti

 

Il sistema di relazioni umane è basato come sempre su un sistema di valorizzazione (della formazione, del ruolo, della personalità, eccetera) che si auto-determina, di volta in volta, in base alle regole fissate dai vari “protagonisti” sociali. Il valore, dunque, è un fattore provvisorio e funzionale. Invece, quello che è decisamente cambiato nel “valore” del teatro è la sua sintonia (ora si dovrebbe dire meglio: la sua dissonanza) con il tempo e lo spazio dell’immaginazione collettiva. Il carattere “pubblico”, dunque, non corrisponde ad un consumo condiviso e condivisibile: perché si riabbia tale funzione serve un incredibile lavoro preparatorio, per definire una circolarità degli scambi fra partecipanti che siano responsabili del medesimo progetto, che riconoscano la stessa lingua, che diano “valore” a quelle forme teatrali. È opportuno, perciò, spostare decisamente lo sguardo verso la condizione dello spettatore globale, che è divenuto via via (non da poco tempo, da almeno cento anni) un individuo solo, un singolo spettatore, anche quando si muove in gruppo.
Se si rispettano le garanzie di una “buona pratica della rappresentazione” (ed è un nodo da affrontare a parte, una questione che investe i mediatori della messinscena sul versante della coscienza teatrale), forse rimane intatta l’incidenza emozionale del teatro: insomma, ciò che avviene sul palcoscenico finisce per riguardarci. Questo vuol dire che in ogni loro esibizione i promotori artistici debbano garantire (non solamente per istinto) una gamma di livelli interpretativi sempre più ampia (a iniziare dalla fase progettuale). Al minimo si tratta di comunicare almeno il livello della narrazione (della traccia drammatica), come è confermato dalla costante passione per prodotti cinematografici e televisivi, in cui la trama è organizzata su schemi chiari ed elementari (buono, cattivo, eroe, malfattore), che finiscono per riportare indietro persino l’idea della moralità borghese.
Ma la capacità di parlare a tanti, rivolgendosi al singolo, si misura con una scommessa impegnativa, collegata alla condizione “recitativa” che contraddistingue la vita quotidiana. Ciascun individuo, giorno per giorno, rappresenta le proprie “parti” relazionali (impiegato, padre, figlio, amante, utente, ecc.) in modo traumatico (“la vita quotidiana come rappresentazione”), tanto che alla fine (in fase di verifica) il “ruolo” (si legga: la personalità) tende ad assopirsi, oppure a sfumare verso le zone incerte del disagio e della malattia.
Il teatro può svolgere una funzione attiva nella ricerca dell’equilibrio soggettivo quando ingloberà interamente i “valori” elementari che caratterizzano i rapporti quotidiani. Andar verso il pubblico, significa suonare meglio i propri strumenti, per offrire a chi assiste una metodologia interpretativa neutra, allo stato puro, che solleciti la mente e l’immaginazione.
Si è visto, ad esempio, come nella fase d’avvio del teatro-narrazione un attore seduto al centro della scena sia in grado di tessere la trama di un racconto evocativo, che accende in un numero esteso e distinto di spettatori, attraverso meccanismi di consumo immaginativo, fisionomie di personaggi ben visibili. Ma funziona altrettanto bene il recupero di una messinscena clownesca, costruita su alternanza di poesia e ingenuità. Oppure, il dar qualità (in scena) alla sofferenza e alle situazioni d’emarginazione, fino a liberare nell’animo di chi assiste un’energia incontrollabile. Oppure, la vicinanza e la contiguità con il referente (guardandolo negli occhi, lasciando accese le luci della sala), costretto a stare all’erta e a seguire le fasi del gioco scenico. Oppure, l’accentuazione dello scontro fra contesto drammatico e vittima sacrificale. E altro ancora.
La via della teatralità contemporanea si affida meglio alla frammentazione, all’azione circoscritta, meno alla stagionalità. Ciò significa, che le ricorrenti emergenze economiche renderanno sempre più “clandestine” le proposte del teatro non istituzionale.
Rimane la necessità di continuare (o ricominciare, dopo lo strappo provocato dai profeti dell’antiteatralità) a teorizzare, in prossimità delle risultanze della ricerca scenica: il “valore” assoluto rimane ancorato all’esercizio del “pensiero”. La dissonanza del teatro dal valore civile risiede nell’esaltazione degli apporti degli uomini di scena e, insieme, di quelli d’organizzazione.
Lo dimostra la recente storia teatrale del Veneto, che pure possiede un serbatoio storico-culturale enorme, ma boccheggia di fronte alla caduta della funzione di servizio pubblico entro la trappola di micro-organismi gestionali, frammentati territorialmente, preoccupati solo di difendere il proprio spazio. La parte sana della produzione-programmazione regionale è costituita da una rete di professionisti, uno stuolo di organizzatori sapienti che hanno condiviso ogni passaggio della creazione con gli artisti e hanno spiegato (mediando fino allo spasimo) ogni possibilità di sviluppo e di valorizzazione culturale alla classe politica locale.
Occorre, ancora, una svolta nella definizione del “valore” territoriale del teatro, attraverso un’apertura a forme integrate di conoscenze: andare oltre le scritture sceniche nel Veneto comporta un’indagine di natura antropologica non facile, che investe artisti e referenti (visto che la politica offre una risposta dai tempi fin troppo lunghi).
Si tratta, insomma, di perfezionare l’azione di chi sa come migliorare i processi mentre è costretto ad agire restando dentro l’esperimento (quello del rinnovamento e della valorizzazione del teatro).


 

2005BP158
91.58 Piccoli episodi di fascismo quotidiano
Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee
di Motus

 

LAST DAYS
È dal caos di immondizie e macerie che conclude L’Ospite, - un dopo bomba - che guardiamo ancora l’oggi. Dopo il progetto su Pasolini, l’ultimo e disperato Pasolini di Petrolio e Salò, diamo avvio a un nuovo percorso che scava dentro una serie di scomodi rimossi. Dalla caduta del muro si è inaugurata L’età dei crolli - per citare un bel libro di Marco Belpoliti - e lo spettro del nazismo e della epurazione razziale, non è così lontano come si vuol far credere... “Hitler è sopravissuto!” veniva gridato anche in Twin Rooms! Basta fare una semplice ricerca in internet per accorgersi con orrore di quante migliaia di siti neo-nazisti esistono al mondo, dove è possibile acquistare on-line icone, bandiere, musiche e ambigua oggettistica: un mercato immenso che si intreccia con quello sado-maso e degli snuff-movies… Spesso la sede di questi siti è negli Usa, dove il militarismo si incrocia funestamente agli ideali di patria, razza e famiglia, osannati spavaldamente dall’attuale, spregevole, presidente.
Il rombo dei bombardieri, torna a sorvolarci, inquietante e amplificato, per dirigersi in Iraq, dimentico del bagliore del fungo atomico… e il governo italiano approva, sottoscrive, imita, si adegua: il rombo dei bombardieri è assordante in Italia, sostenuto e sottoscritto da un nuovo papa altrettanto oscurantista e medievale. Siamo disperati e preoccupati per le sorti di questo paese in declino artistico e culturale, e chiediamo umilmente aiuto, pur sapendo che forse non esistono isole possibili, immuni dal fascismo quotidiano che governa le relazioni di potere, anche nell’illuminato contesto teatrale.
Questo progetto è l’ultimo nostro tentativo di resistenza qui, e non a caso, sino ad ora, è stato ospitato solo da luoghi anomali, che a loro modo “resistono”, rischiando, tentando di attuare programmazioni non omologate. È dunque evidente come i Piccoli Episodi nascano intrisi di sconfortante malessere: non ci interessa giungere a uno spettacolo, - non è tempo per intrattenimenti - preferiamo lavorare sul filo del baratro, spostandoci con leggerezza, sempre pronti alla fuga (e alla guerriglia). È un progetto che implicitamente suona come addio a un Italia - sotto regime - in cui sta diventando impossibile sopravvivere per compagnie di ricerca indipendenti come la nostra, e non solo per motivi economici! Abbiamo lasciato anche il nostro spazio prove per avviare una formula nomade, fatta di una serie di residenze consecutive che non avrà fine: ci insediamo come pianta rampicante, come virus, come ospiti invadenti nei luoghi, interagendo con gli interni, mutando con gli spazi e in relazione ai progetti in cui la nostra presenza è inserita.
Simuliamo, con pezzi e poveri frammenti, un interno dalla banale normalità, fatto di oggetti, cose, assolutamente riconoscibili, e le facciamo tremare… andiamo a ricercare i segni, le tracce del fascismo ancora predominante proprio nell’infimo, nel quotidiano, perchè “… è nelle abitudini del comune vivere domestico che si annidano i germi che alimentano le ideologie autoritarie…” , fra la polvere nascosta sotto i tappeti, dietro i crocifissi e i merletti, nei rapporti di coppia, in quelli tra padri e figli, fra datore di lavoro e dipendenti, e … fra registi e attori. Parallelamente al lavoro teatrale, stiamo realizzando un interminabile video-catalogo con piccole interviste a giovani attori raccolte durante un workshop che affianchiamo alla residenza artistica. Chiediamo loro di descrivere, davanti a una telecamera, un “piccolo episodio di fascismo quotidiano” subito o a cui hanno assistito: stanno emergendo storie inquietanti anche e soprattutto rispetto al relativismo che la parola “fascismo” oggi assume, che è poi tema centrale del laboratorio.
In scena invece ci sono due soli attori, Ian e Myra, (Dany Greggio e Nicoletta Fabbri), protagonisti-pretesti, desunti dal testo scritto da Fassbinder nel 1969, Pre paradise sorry now ispirato alle reali vicende di due serial killer inglesi arrestati nel 1966, “The moors murderers“, icone pop delle “coppie assassine”… (Myra è morta in carcere nel 2002, mentre Ian, condannato all’ergastolo, viene tuttora alimentato a forza). Nel corso delle residenze, abbiamo lentamente deciso di rinunciare alla messa in scena del testo per estrapolarne pochi frammenti di dialogo e descrizione, confluiti in un evento scenico destrutturato ed evocativo, che slitta continuamente fra le biografie dei due psicopatici inglesi, infervorati dal fascino per il nazismo e tutte le forme di rigida sopraffazione e intolleranza - tipici della frustrazione sociale delle classi medio basse - e i tanti Ian e Myra che abitano le villette a schiera delle periferie, e ogni giorno si recano in ufficio covando un odio irrazionale, rozzo, sempre proiettato verso qualche nuovo nemico. Fassbinder, poco dopo il loro arresto, ha dunque scritto una pièce teatrale che ne conserva addirittura i nomi reali e attraversa pedissequamente le vicende della loro storia, sino alla comparsa di Jimmy - in realtà si chiamava David Smith - un loro parente, che viene fatto assistere al sesto omicidio, per essere “istruito”… e che il giorno successivo li va a denunciare… Il terzo, il voyeur, viene selezionato in ogni città fra i partecipanti al laboratorio, proprio perché Jimmy - colui che assiste muto a eventi terribili - possiamo esserlo tutti.
Il lavoro resta così costantemente in bilico, aperto, adagiato nei luoghi e nelle persone, è mutevole e fragile, come le immagini proiettate sugli schermi in plexiglas coperti di polvere, che possono essere cancellate con un colpo di mano o una luce troppo intensa. Può essere adattato a qualsiasi tipologia di spazio, da un reale appartamento ad una sala teatrale, purché spogliata di quinte e panneggi. Rifiutiamo solo di farlo su palcoscenici all’italiana, in tal caso, come è avvenuto al Teatro Petrella di Longiano, anche il pubblico siede sul palco, condividendo con gli attori quel luogo domestico in cui finisce troppo spesso per riconoscersi, scoprendo, nelle ridicole manie di grandezza dei protagonisti, tanto del proprio comune agire, anche se, sorry, è sempre più facile addossare colpe, e debolezze, a qualcun altro.



Motus
tel fax 0541 326067 – cell. 329 8625523 - relazioni@motusonline.com - www.motusonline.com

 

2005BP230
92.30 Verso un sistema unico dello spettacolo dal vivo in Italia
Le Buone Pratiche 2: interventi & relazioni
di Filippo Del Corno

 

Premessa
Questo testo non vuole essere una proposta di legge articolata tecnicamente, ma un elenco di principi fondamentali che potrebbero ispirare una nuova iniziativa di legge per abolire l’ormai invecchiato strumento del FUS e istituire un Sistema Unico dello Spettacolo dal Vivo.
I principi espressi nascono dall’osservazione di alcune evidenti difficoltà che caratterizzano l’attuale organizzazione dello Spettacolo dal Vivo in Italia:
- Le tradizionali suddivisioni di settore in Prosa/Musica/Lirica/Danza non rispondono in maniera efficace al processo di turbolenta contaminazione che esiste tra le varie discipline dello Spettacolo, e al continuo scambio di pratiche ed esperienze i cui esiti artistici spesso sfuggono a ogni possibile catalogazione di “genere”.
- Le suddivisioni sopracitate tagliano il mondo della produzione spettacolare in spaccati verticali, con il risultato di accorpare in leggi e regolamenti realtà molto diverse tra loro per dimensioni e prassi di gestione; si producono così effetti aberranti per cui, ad esempio, valgono criteri e regole identiche per le domande di finanziamento inoltrate da grandi Fondazioni o da piccole Associazioni culturali.
- I criteri e le procedure di determinazione e erogazione di contributi pubblici sono fortemente disomogenei nei diversi regolamenti prodotti da Stato e Enti Locali. -
I ritardi ormai cronici con cui vengono erogati, e addirittura determinati, i contributi pubblici ai soggetti che producono o distribuiscono lo Spettacolo dal Vivo impediscono una programmazione serena e responsabile; tali ritardi inoltre obbligano i soggetti a gravissime esposizioni debitorie con le Banche, producendo l’effetto perverso e paradossale di impegnare grande parte dei contributi pubblici a pagare gli interessi passivi prodotti dal ritardo con cui i contributi stessi vengono erogati.
- La collaborazione tra soggetti diversi, appartenenti o meno allo stesso settore, non vengono sufficientemente premiati e incentivati, nonostante possano produrre risultati estremamente efficaci nel contenimento dei costi e nella promozione di contenuti artistici e culturali verso un pubblico più vasto e articolato.
- L’Italia soffre in ogni settore della mancanza di un reale ricambio della classe dirigente; nelle attività dello Spettacolo questa mancanza è ancora più grave e sentita soprattutto perché soffoca l’emergere di una nuova generazione di talenti creativi la cui attività viene invece riconosciuta e premiata all’estero. Inoltre la nuova generazione di artisti e operatori, facendo della sobrietà della spesa un parametro imprescindibile, ha dimostrato anche evidenti capacità manageriali. A ostacolare ulteriormente tale ricambio generazionale, che pure viene spesso evocato, concorre anche l’abnorme pratica di consentire ad un’unica persona di ricoprire contemporaneamente più cariche di direzione artistica presso soggetti diversi.
- Il ricambio generazionale della classe dirigente nel campo dello Spettacolo è uno strumento anche per promuovere il necessario ricambio generazionale del pubblico, che appare sempre più urgente.
- Se la nuova generazione di talenti creativi e di operatori trova campo fertile all’estero, l’Italia sembra invece chiudersi a riccio di fronte alla possibilità di aprire le proprie frontiere a esperienze di programmazione e gestione che in altri paesi hanno prodotto risultati estremamente positivi.
- Per chi vuole promuovere la nascita di un nuovo soggetto per produrre spettacolo e innovare così l’esperienza artistica del Paese è difficilissimo accedere a quei contributi pubblici che potrebbero permettere di sperimentare le potenzialità di nuove energie creative al servizio di nuovi progetti.
- Per contro esistono diversi soggetti che hanno da tempo esaurito ogni autentica capacità propositiva e che sopravvivono, grazie a contributi pubblici, solo perché i costi sociali del loro smantellamento risulterebbero troppo onerosi.

A tutte queste difficoltà si potrebbe rispondere con un’azione legislativa che attuasse questi principi:

1) Sistema Unico dello Spettacolo dal Vivo
Si istituisce in Italia un Sistema Unico dello Spettacolo dal Vivo, che comprende quindi tutte le forme di produzione e distribuzione di spettacolo che prevedano un aspetto performativo.

2) Piccole – Medie – Grandi Imprese dello Spettacolo dal Vivo
Il Sistema Unico dello Spettacolo viene suddiviso in tre segmenti basati sulle dimensioni delle diverse imprese:

a) piccole imprese;
b) medie imprese,
c) grandi imprese.

I criteri che sovrintendono a tale suddivisione sono puramente oggettivi: dimensione finanziaria del bilancio annuo della singola impresa, numero e tipologia contrattuale dei dipendenti, numero di produzioni e rappresentazioni.
I regolamenti e i criteri di attribuzione dei contributi si dispongono quindi non più sui tradizionali assi verticali dei singoli generi, bensì su tre assi orizzontali che accomunano tra loro realtà che pur in discipline diverse vivono pratiche progettuali e gestionali estremamente simili.

3) Armonizzazione dei criteri tra Stato e Enti Locali
I criteri di regolamentazione per la determinazione e l’erogazione di contributi pubblici alle imprese del Sistema Unico dello Spettacolo dal Vivo devono essere armonizzati e quindi resi compatibili e conseguenti lungo tutto l’asse Stato centrale – Enti Locali (Regione, Provincia, Comune), pur nel rispetto delle singole autonomie decisionali delle varie Istituzioni.

4) Perentorietà – Tempestività - Trasparenza
Deve essere istituita una forma di garanzia comune a tutte le Istituzioni che provvedono al finanziamento del Sistema dello Spettacolo dal Vivo (dallo Stato al Comune) che rispetti tre parametri fondamentali nella determinazione e nell’erogazione dei contributi: perentorietà, tempestività, trasparenza. La perentorietà deve basarsi su un reciproco rispetto tassativo delle scadenze nelle procedure di:

a) presentazione delle domande di finanziamento;
b) istruttoria relativa alla loro pertinenza;
c) determinazione del contributo;
d) comunicazione dell’avvenuta determinazione.

La tempestività deve produrre un’immediata erogazione dei contributi secondo le procedure previste dalla legge o dal regolamento, e comunque con un minimo del 50% erogato a preventivo e precedentemente alla data di inizio della manifestazione per la quale viene presentata domanda. La trasparenza deve essere garantita con la pubblicazione delle determinazioni di contributo e una relazione su criteri e motivazioni nelle procedure di determinazione.

5) Incentivi alle collaborazioni: reti stabili – reti provvisorie
Incentivi economici devono essere riconosciuti per quei soggetti che promuovono esperienze di collaborazione, soprattutto se multidisciplinari. Gli incentivi economici devono premiare l’istituzione di reti di collaborazione, sia stabili e legate a un progetto pluriennale, sia provvisorie, ossia legate puramente alla realizzazione di un singolo progetto. Le reti di collaborazione potranno essere orizzontali, ossia tra due imprese di dimensione identica, o verticali, tra imprese di dimensioni diverse.

6) Incentivi al ricambio generazionale – quota arancione
Incentivi economici significativi devono essere riconosciuti alle imprese di grande e media dimensione che affidano la direzione artistica a persone che abbiano meno di quaranta anni. È fatto espresso divieto per le medie e grandi imprese di affidare la direzione artistica a persona che abbia già un mandato di direzione in un’altra impresa, a meno che nell’accettare il nuovo mandato non vengano formalizzate dimissioni immediate dal precedente incarico.

7) Incentivi all’internazionalizzazione – quota bandiera
Se la durata di un mandato di direzione artistica è fissato in quattro anni le imprese di grande dimensione devono garantire ogni quattro mandati almeno un mandato a un cittadino straniero.

8) Incentivi alla nascita di nuove imprese e allo smantellamento di imprese finite - quota fiocco
Una quota percentuale delle risorse preposte al finanziamento delle attività dello Spettacolo da Stato e Enti Locali deve essere destinata a soggetti che inoltrano domanda di finanziamento per la prima volta. Un’altra quota percentuale deve essere destinata a coprire i costi sociali della chiusura di imprese che abbiano esaurito la loro attività propositiva e le cui richieste di finanziamento servono evidentemente per la pura sopravvivenza della struttura. All’interno di questa quota una parte dei finanziamenti può essere utilizzata anche per favorire progetti di riconversione di una struttura priva di contenuti artistici e culturali minimamente significativi in una nuova struttura al servizio di una proposta artistico-culturale di forte innovazione.


 

2005BP250
91.50 Lo spazio della performance critica
Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee
di Altre Velocità

 

AltreVelocità è un gruppo di giovani osservatori e critici da tempo attenti al monitoraggio di festival, eventi e spettacoli strettamente connessi alle arti sceniche contemporanee.
Il gruppo AltreVelocità, compare come redazione intermittente, non osserva a tappeto ma raccoglie suggestioni e sguardi, con una presenza al tempo stesso fissa e non stabile, piena di linfa ma senza radici. E’ di solito ospite dell’evento e dei siti dei Festival ospitanti, avvalendosi di pensieri e persone in continuo ricambio, con la comune urgenza di interrogare il presente e le sue arti per scovarne i sommovimenti, sotterranei o evidenti.
Costituito nel maggio 2005 sotto il coordinamento di Massimo Marino, in occasione del festival Contemporanea05 di Prato, il Gruppo AltreVelocità ha rivolto il suo sguardo durante il periodo estivo ad alcune realtà dello spettacolo contemporaneo del territorio nazionale.

Redazione composta da:
Chiara Alessi
Valentina Bertolino
Daniele Bonazza
Piersandra Di Matteo
Lorenzo Donati
Agnese Doria
Rodolfo Sacchettini

AV è apparso a:
Contemporanea05 di Prato
Deficit! di Bologna
Volterrateatro
Lavori in Pelle di Alfonsine (RA)
Rizoma ‘05 di Castello di Malgrate (MS)
Premio Riccione
Vie festival di Modena

AV si può leggere su:
www.contemporaneafestival.it
www.cantieridanza.org
www.accademiacarrara.it
www.riccioneteatro.it/prt/index.html
http://www.viefestivalmodena.com/italiano/news.asp


AV: LO SPAZIO DELLA PERFORMANCE CRITICA

si colloca sul confine del monitoraggio vigile, ma esterno alle dinamiche puramente informative.

Lo sguardo del gruppo sulle realtà che va a indagare è uno sguardo critico parassita e intermittente.

La volontà di restituire connessioni, frutto di migrazioni festivaliere, lo porta a elaborare di continuo forme di pensiero che sono il frutto di queste esperienze.

Cercare di formulare sempre nuove strategie di sguardo sembra essere la sola modalità per poter aderire ai diversi formati delle arti e dei festival presenti sul territorio.

Abituato a una forma lavorativa in corsa, restituisce in tempo reale e grazie all’utilizzo di diverse tecnologie tracce e visioni di ciò che accade nel teatro contemporaneo.

Le forme della presenza variano, AltreVelocità compare sui siti, sulle pagine dei quotidiani locali, produce interviste video, incontri e dibattiti informali e non.

HA REALIZZATO:

9 parole chiave, 4 editoriali, 5 interviste, 6 presentazioni, 20 recensioni, 2 trascrizioni di incontri per Contemporanea05

5 editoriali, 2 presentazioni, 8 recensioni e 3 interviste per Lavori in Pelle

4 editoriali, 12 interviste, 9 recensioni e 9 presentazioni, 8 ore di riprese video per Rizoma (di cui tre montaggi di interviste, spettacoli e un promo richiesto alla fine dal Festival)

4 ore di interviste, un articolo di presentazione del Premio Riccione, 2 articoli di riflessione generale, 5 recensioni di testi vincitori, 9 interviste

Una pagina di quotidiano sulla Gazzetta di Modena, per l’intera durata del Festival Vie (10 giorni), per un totale di più di 40 articoli tra presentazioni, interviste e recensioni, AltreVelocità per l’occasione si è avvalsa anche di collaboratori esterni (retribuiti)





AltreVelocità
C.F. 91258870376
Via Goito 9/2
40126 Bologna
051.228835
per le buone pratiche: 347.4594481
altrevelocita@libero.it
PREGI E DIFETTI:

particolarmente fragile ed esposta al difetto si pone la relazione con i festival che ospitano AltreVelocità, spesso retribuendone la presenza. Confine delicato che mai ha limitato tuttavia la libertà di espressione, che si è sempre posta in modo dialettico a segnalare, se necessario, mancanze o deficienze spesso attribuibili ad un panorama teatrale e performativo.

il rapporto con altre collaborazioni che si è instaurato per l’occasione di Vie pare essere una strada che AltreVelocità vuole percorrere. Sia come momento formativo e laboratoriale per sguardi nuovi, sia attraverso collaborazioni con personalità e competenze specifiche. AltreVelocità, se pur in modo simbolico, ha voluto retribuire i collaboratori, mettendo in pratica ciò che nel teatro pare non essere consuetudine: pagare le persone che lavorano.


 

2005BP251
91.51 Al femminile
Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee
di La Mimosa

 

STORIA: fondata a Bergamo nel 1980, è composta da operatrici ed operatori non professionisti, con competenze sulla comunicazione in settori multimediali ed artistici, quali il teatro, la danza, il canto, la musica, il cinema.
FINALITÀ: Ha per scopo lo svolgimento di attività artistica, attraverso lavoro di ricerca su temi di interesse sociale legati a tematiche della donna, proponendo altresì attività di stimolo culturale.
ATTIVITÀ: Sviluppa la propria attività sociale attorno a tematiche femminili, producendo spettacoli teatrali, creando azioni sceniche e progetti di animazione per congressi, convegni, incontri. Elabora progetti per istituzioni pubbliche e per committenti privati, dove è richiesto un contributo ideativo ed organizzativo che coinvolge vari piani di comunicazione.
SERVIZI OFFERTI: Corsi e seminari di formazione attorno alla comunicazione, la relazione, la vocalità, i linguaggi multimediali. Collaborazione per realizzare progetti culturali con Istituzioni ed Enti, biblioteche, parrocchie ed oratori, associazioni e cooperative presenti sul territorio.
PRINCIPALI INIZIATIVE: collabora con
 l’Amministrazione Comunale di Bergamo e il Consiglio dell Donne del Comune di Bergamo per la direzione artistica e organizzativa di manifestazioni cittadine per 1'8 Marzo, per la progettazione e realizzazione di iniziative tra cui “Progetto infanzia a Bergamo”, ”Per una boccata d’aria pulita”, “I bambini, le bambine e la città”, “Animazione in circoscrizione”, “Prostituzione: parliamone”. 
Il Consiglio delle Donne del Comune di Bergamo e, la Camera di Commercioe Bergamo Formazione,il Comitato per l’Imprenditoria Femminile per le tavole rotonde “Diventare imprenditrici a Bergamo: progetti ed iniziative a disposizione” e “Donne imprenditrici si raccontano”. 
l’Amministrazione Comunale e Provinciale, il Provveditorato, l’A.S.L. di Bergamo per la progettazione e l’animazione di convegni e seminari, tra cui “Genitori & genitorialità”, “Verso una città sostenibile dalle bambine e dai bambini”, “Genitorialità come bene di tutti”.
 l’Amministrazione Comunale di Bergamo, il Sistema Bibliotecario Urbano, le Circoscrizioni e CSC per inziative varie tra cui “Ribalta d’autori”-concorso nazionale per la pubblicazione di scritti inediti. 
 con la Provincia di Bergamo Consulta per le politiche familiari e il Punto Famiglie del Comune di Bergamo- Ufficio diocesano per la pastorale della famiglia-ASL di Bergamo-Consiglio di rappresentanza dei sindaci- C. S.A.di Bergamo- Centro Servizi Bottega del Volontariato -Comune di Treviolo-Cooperative sociali: il Pugno Aperto, Il Cantiere e AEPER-Consorzio provinciale RIBES- Osservatorio Famiglie di Redona- “1° meeting delle associazioni e dei gruppi familiari bergamaschi Le famiglie si incontrano-“
 L’Amministrazione Comunale della città e di vari Comuni della Provincia per video-ricerche su tematiche differenti (il rapporto con gli anziani, i ricordi di donne della Resistenza Partigiana, l’amore tra uomo e donna…). 
 con Ufficio per la Pastorale Sociale- Settore Salvaguardia del Creato Parrocchia S. maria Assunta – valcanale - Diocesi di Bergamo per tavole rotonde e convegni tra cui “L’acqua in valle” Conoscere la montagna:alla scoperta dell’acqua.In Alta Valle Seriana e”Il cambiamento climatico e la responsabilità di tutti” -Parrocchia S. Rocco in Adrara S. Rocco- 
 L’Amministrazione Comunale e l’A.S.L: di altre città, tra cui Sondrio con la realizzazione del progetto “Famiglie e qualità della vita”.
 Con il “Centro Servizi Bottega del volontariato” di Bergamo per attività di inaugurazione sedi 
 Oltre ad associazioni e gruppi femminili per iniziative legate all’8 marzo, associazioni del territorio per mostre e laboratori tra cui “Cinevideoscuola- Rassegna-Concorso Nazionale dell’Audiovisivo”, per convegni e incontri, tra cui “Il corpo esposto, il corpo nascosto” attorno alla sessualità e l’handicap, “Incontro con Piccoli passi per…” attorno alla sofferenza della malattia psichica, ”Decennale del Telefono Amico Provinciale” ed ha curato la registrazione per i corsi di formazione del Telefono Amico Nazionale. 
 Con Bergamo TV per azioni-fiction televisive su tematiche dell’assistenza e del volontariato. 
 Con l’Università agli Studi di Bergamo, Facoltà di Scienze dell’Educazione, per Sociologia dell’Educazione, con interventi relativi all’esperienza in atto di attività espressive con le ragazze ospiti della Comunità Kairòs (Centro Caritas per l’accoglienza di donne vittime della tratta a scopo di sfruttamento sessuale). 
RAPPORTI SIGNIFICATIVI:
 dal 1996 fa parte del Consiglio delle Donne del Comune di Bergamo.
 dal 1999 con L’associazione Aiuto Donna , La comunità Kairos- Caritas di Bergamo e l’Associazione Lule è fondatore dell’Associazione “La Melarancia - Consorzio Nazionale per l’Innovazione Sociale Onlus”, nell’ambito della prostituzione di strada e della tratta di donne a scopo di sfruttamento sessuale. 
 Dal 2005 collabora come consulente con l’Assessorato Pari Opportunità del Comune di Bergamo

 

2005BP252
91.52 Un festival naturale
Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee
di L'ultima luna d'estate

 


E’ un Festival che si basa su un rapporto virtuoso con un territorio, quello del Parco Regionale di Montevecchia e val Curone.
Il Festival si tiene nei primi dieci giorni di settembre, in un tempo quindi ristretto ma su un territorio ampio (10 comuni). La caratteristica più forte è il legame tra gli spettacoli programmati e le location, che sono sempre di grande bellezzza: una chiesetta romanica, un chiostro cinquecentesco, alcune ville del ‘7-800, aie di cascine, il bosco, le cantine di un’azienda vinicola…
La scelta è stata quella di legare i linguaggi teatrali ai siti, e l’abbiamo chiamato Teatro Popolare di Ricerca. Dalla narrazione, alla Commedia dell’Arte, ai Burattini tradizionali, ma anche nuova drammaturgia e danza, laddove ci sia l’aggancio. (elenco dei nomi più noti: Giovanna Marini, Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Lombardi-Tiezzi, Laura Curino, Virgilio Sieni, ecc. Ecc., ma anche un sacco di compagnie giovani, come quelle appena uscite da Scenario). Il risultato è che spesso lo spettacolo visto in quest’atmosfera ha qualcosa in più di quello visto a teatro. E si va alla radice della ricerca , nel segno della tradizione, della memoria, dei dialetti…
Quest’anno, ottava edizione, abbiamo caratterizzato la proposta con il sottotitolo Primizie. Molti artisti hanno presentato anteprime (Vacis-Balasso-Artuso, Allegri, Teatro dell’orsa, Olcese-Margiotta…)
L’organizzazione è fondamentalmente privata, fatta dal Teatro Invito con risorse risibili, che vengono per il 50% dai privati (piccoli sponsor e sbigliettamenti). Come facciamo a organizzare un Festival con più di venti spettacoli, in luoghi non deputati che dobbiamo allestire completamente e che cambiano ogni sera, gestendo circa 5.000 spettatori, con risorse pubbliche che non superano i 30.000€?
Attraverso la complicità col territorio.
I Comuni non hanno soldi ma ci possono prestare le sedie, mettere a disposizione volontari, aiutarci nella distribuzione del materiale pubblicitario. L’Ente Parco ci dà una foresteria, dove a notte si trovano a cenare artisti, tecnici, organizzatori e volontari. Gli agriturismi della zona ci danno alloggi e pasti gratis e ci mettono i loro prodotti (vino, formaggi, salumi, verdure bio), in cambio noi facciamo sempre qualche spettacolo che abbia a che fare col cibo o col vino, e in questo modo si promuove anche l’immagine del territorio, anche da un punto di vista turistico.
Trenta ragazzi danno una mano, in cambio di poter vedere qualche spettacolo o aver riduzioni sui laboratori che si organizzano.
E poi il pubblico è pubblico vero, dove si mischiano gli appassionati che vengono apposta dalle città (Milano,ma anche Lecco, Como, Monza, Bergamo) con la sciura Maria, che abita nel paese e viene per curiosità e magari ritorna l’anno dopo con tutta la famiglia.


 

2005BP254
90.54 Ottimizzare le risorse per dfiffondere la Conoscenza attraverso il Consumo di Arte e Cultura
Le Buone Pratiche
di Lucia Mazzucato

 

Idea all’origine
Attivare una gestione economica del’organizzazione culturale che sviluppi quella visione alternativa che definisce le condizioni di efficienza artistica, come ottimizzazione delle risorse con lo scopo di aumentare la diffusione della Conoscenza attraverso il Consumo di Arte e Cultura.

Background
Le teorie del metodo tradizionale usano parificare il prodotto culturale ad un qualsiasi altro bene di consumo. Ne studia il mercato applicando le leggi della domanda e dell’offerta e della formazione del prezzo.
Concentra buona parte delle sue attività privilegiando esclusivamente gli aspetti economici di produzione del prodotto, lasciando a margine quelli relativi alla distribuzione e al consumo e riconduce, sistematicamente, i problemi alla mancanza di introiti pubblici.
A rafforzo di questa teoria sulla obbligatorietà dei fondi statali chiama in causa la “legge della crescita sbilanciata” di Baumol.
Essa sostiene che le organizzazioni culturali e artistiche per loro natura, sono incapaci di sostenere i costi di produzione, che nemmeno si compensano con un incremento pari della produttività. La causa principale degli elevati costi di produzione spetta all’impossibilità di sostituire il fattore lavoro con la tecnologia. Solamente l’intervento pubblico è in grado di curare questo “morbo”.

Pur tenendo presente l’importanza della produzione di cultura, sembra che a questi economisti tradizionali, non interessi l’analisi della Domanda di Arte e Cultura e dei processi che ne determinano la formazione e diffusione.
Due rimangono gli elementi in ombra, che l’approccio tradizionale non analizza:
• Arte e Cultura sono una risorsa di conoscenza che genera valore e stimola la creatività delle persone.
• Arte e Cultura sono delle risorse che si formano e si trasferiscono con metodi complessi e spesso non lineari a causa della complessità dell’operare degli agenti della Filiera.

Il metodo alternativo basa e accresce le proprie teorie su questi due elementi appena descritti.
Questo approccio si preoccupa di studiare gli effetti diretti e indiretti che il consumo dell’arte ha sul benessere collettivo che altro non è che l’accesso e consumo di arte e cultura da parte del maggior numero di consumatori non specialisti, e si impone di massimizzarlo.
Ha come scopo l’efficienza industriale artistica intesa come ottimizzazione dell’impiego delle risorse, pubbliche e private, con riferimento alla diffusione della conoscenza artistica.
Metodo che attualmente non ha una soluzione di continuità, vista la complessità dell’industria culturale e l’inefficienza della Filiera Artistica


Le persone riempiono i teatri, visitano mostre, accedono ai musei, frequentano ogni tipo di festival, percorrono chilometri per vedere uno spettacolo.
Ma cosa consumano queste persone?
Una domanda alla quale nessuno si è mai posto la necessità di dare una risposta.
Manifestando, così, un disinteresse a ciò che accade nel momento in cui il consumatore accede ad un prodotto artistico.
Si evidenziano i dati di aumento nel numero degli abbonati nei teatri, si sottolineano si gli incrementi di vendita dei libri ecc. ecc., ma non ci si chiede dove è la differenza tra consumo e acquisto.
Si permette al consumatore di fare dell’arte ciò che più gli aggrada lasciando libera l’interpretazione slegata da ogni vincolo. Una sorta di relativismo che permette a chiunque di fare di arte e cultura ciò che più gli aggrada.
Nessuno protesta, tutti gli agenti della filiera stanno a guardare senza opporsi ad uno stato di cose che sminuisce il vero valore dell’arte e della cultura cioè formulare una teoria reale per poi trasmetterla esplicandola senza l’uso del ragionamento.

Per comprendere che il relativismo non è il metodo di approccio basta semplicemente analizzare la natura dell’arte per renderci conto che il suo meccanismo di interpretazione è univoco.

“L’arte esiste per trasmettere conoscenza.”

Il consumatore riesce a percepire una teoria reale attraverso un meccanismo che esclude un ragionamento e che si esplica con altri mezzi e simboli. Chi usufruisce dell’opera d’arte entra in essa e da essa si fa guidare fino a percepire una sensazione “il bello” nel momento in cui arriva alla conoscenza per vie che sono quelle misteriose e magiche della fantasia. Si può certamente affermare che una volta dentro l’arte lo si è per sempre.

Esattamente come la scienza che indaga, scruta, percepisce, sbaglia, si interroga, evolve e trasmette conoscenze con linguaggi tangibili e razionali, così l’arte trasmette conoscenza utilizzando altri linguaggi e strumenti che non sono tangibili, ma non per questo inesistenti


 

2005BP255
91.55 Adhoc Culture: spazi della transitorietà
Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee
di Lucio Argano

 



l.argano@adhoc-culture.com
www.adhoc-culture.com

Con queste poche righe vorrei aderire idealmente allo straordinario ed indispensabile osservatorio sulle evoluzioni in corso nel settore teatrale e dello spettacolo che Oliviero, Mimma, Franco e tutte le altre persone che collaborano con loro stanno portando avanti da tempo coraggiosamente e con entusiasmo.
Più che una buona pratica, mi fa piacere segnalare un “territorio” di sviluppo e contemporaneamente di parziale diversificazione dell’attività spettacolare, che può divenire opportunità, come alcuni trend segnalano anche dal recente libro di Mimma, e che stiamo sperimentando come Adhoc Culture.
La ADHOC CULTURE è una società di consulenza direzionale per il settore culturale che si è occupata in questi anni di supportare, per la parte gestionale, gli architetti nella progettazione ex novo o nella riqualificazione di contenitori culturali. Abbiamo partecipato alla realizzazione ed avvio del nuovo Auditorium di Roma con Renzo Piano, alla progettazione dell’Auditorium di Ravello con Oscar Niemeyer per, del Museo del Viaggio a Lodi per il Touring Club ed in questi giorni siamo coinvolti nella progettazione degli spazi spettacolo della Città dei Giovani, negli ex Mercati Generali a Roma.
Negli ultimi tempi ci siamo anche occupati di attività rivolte all’uso di luoghi non deputati rispetto ad impieghi di tipo culturale. Ad esempio per Unioncamere Lombardia abbiamo redatto un piano strategico di ri-posizionamento dei poli fieristici lombardi cosiddetti di corona, in conseguenza della crescita di Fiera Milano, nel quale molte piste progettuali convalidate sono riferite a possibili usi spettacolari dei quartieri fieristici, anche con iniziative stanziali ed ideate appositamente.
All’interno di questo tema segnalo un programma su cui stiamo lavorando e che abbiamo chiamato “spazi della transitorietà”.
Accanto ai luoghi tradizionali della cultura si stanno aprendo nuovi ambiti per la fruizione culturale all’interno di aree aperte/chiuse che hanno per funzione primaria il passaggio, il movimento.
Paradossalmente i non luoghi, come li ha definiti Marc Augè, non in grado di creare relazioni significative e identità specifica in quanto asset anonimi, dove lo spostamento è il fine ultimo, diventano oggi spazi emblematici della dinamicità della vita contemporanea e vengono “letti” come possibili ambiti dove offrire relazioni, incontri, momenti di svago e cultura e dove conciliare il movimento con il “darsi tempo”.
Il nostro programma articola progetti mirati di spettacolo, arte e cultura verso stazioni ferroviarie e di autobus, aeroporti, metropolitane, porti commerciali e turistici, fino ad arrivare agli hotel ed agli ospedali, dove la transitorietà è legata invece ad altre funzioni. Sono coinvolti gli “ospiti” temporanei (di passaggio) di questi luoghi, ma viceversa le attività sono aperte a pubblico esterno, interessato alla specifica proposta. Massima duttilità dei progetti: iniziative stanziali o episodiche, costruzione “su misura”, allestimento di “zone” in via permanente o temporanea, integrazione con le politiche di comunicazione ed immagine del soggetto gestore. Attualmente sono in fase di discussione, valutazione e prefattibilità progetti per Porto di Salerno, Aeroporto di Pisa, Aeroporto Malpensa, Ospedale di Sassuolo.
Alcune esperienze similari sono Playon agli Aeroporti di Roma, il progetto Gate all’ala mazzoniana della stazione Termini di Roma, la metropolitana di Napoli con il progetto Stazioni d’Arte.


 

2005BP256
91.56 Ariel - software gestionale per le compagnie teatrali
Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee
di Michele Cremaschi

 

Un software per automatizzare le pratiche periodiche più ripetitive che si svolgono nell'ufficio della tipica compagnia teatrale di produzione italiana.
Un software per demandare al computer i compiti più noiosi e amanuensi.
Un software che modifica le soluzioni informatiche fai-da-te, sostituendosi ai mille fogli excel in cui teniamo traccia di repliche o compensi, ai diecimila documenti word per contratti e fatture. Concentrando tutti questi dati in apposite tabelle.
Un software che evita i tanti copia-e-incolla a cui si è costretti quando i dati non sono correlati tra loro, e che è in grado di "capire" il nesso che intercorre tra una tournee, le sue repliche, gli attori che vi prendono parte, il loro contratto....
Un software che compila con un solo click tutta la modulistica enpals (032/U, riepiloghi mensili e trimestrali), inps, per il collocamento, per il ministero, amministrativi, ad uso interno..... senza la necessità di compilarli manualmente, ma attingendo alle informazioni che nel corso del lavoro quotidiano vengono inserite.
Un software, insomma, che faccia risparmiare tempo e fatica al quotidiano lavoro dell'ufficio teatrale.

Ma anche:
un software che vada al di là del compilare i moduli che la burocrazia ci chiede di fare. Che incroci i dati di cui è a conoscenza per generare nuove risposte a nuove domande - che attualmente non riusciamo nemmeno a porci per mancanza di tempo. Che sappia dire con certezza "quanto costava la camera doppia di quell'albergo che abbiamo prenotato quella volta che abbiamo replicato 'Cappuccetto rosso' in quel paesino in provincia di Brindisi di cui non ricordo il nome".... Che sappia aggiornare il sito web della compagnia nottetempo, con le ultime modifiche al calendario delle tournee....

In due parole, un software gestionale. Di quelli sempre presenti negli uffici di qualsiasi attività, anche piccola, per semplificarsi la vita. Di quelli che - finora - sono mancati nel teatro.

Forse è la fine del copia-e-incolla.


 

2005BP257
91.57 ADAC (Associazione Danza Arti Contemporanee)
Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee
di Martino Baldi

 

CHI SIAMO

ADAC (Associazione Danza Arti Contemporanee), fondata nel Marzo 2003 dalle compagnie di danza sostenute dalla Regione Toscana, è un’associazione aperta a tutte le realtà che ne condividano le finalità e che intendano operare per perseguirle.
L’idea di costruire ADAC nasce nel corso della discussione che è seguita alla conclusione dell’esperienza del Centro Regionale Toscana Danza, per favorire la creazione di un sistema per la creazione contemporanea, mettendo a confronto le esigenze delle compagnie, delle istituzioni e degli operatori culturali.
ADAC è dunque un soggetto collettivo per la promozione della danza che si propone come veicolo di dialogo e d’interazione tra i soggetti coinvolti nel settore della danza e della scena contemporanea, per contribuire a rendere funzionali i ruoli e le dinamiche del sistema dello spettacolo, ottimizzando le risorse in campo (fondi, strutture, enti, professio-nalità, competenze, esperienze, idee…).

INTENTI

- definire e realizzare un programma di attività che renda visibile e riconoscibile la scena della danza toscana, valorizzando la qualità artistica delle proposte produttive e potenziando i progetti già attivati dalla Regione e dalle compagnie toscane;
- operare per la costruzione di un organico sistema della danza e dei linguaggi contemporanei del corpo, fondato sulla complementarità e sul ragionato coordinamento delle attività produttive, distributive, promozionali e formative;
- operare per una maggiore programmazione e promozione della danza, attraverso la concertazione tra istituzioni, teatri e soggetti presenti sui territori, nonché mediante collaborazioni e progettualità interregionali ed internazionali legate alla contemporaneità e all'interdisciplinarità;
- operare per favorire il superamento della divisione in generi, sia dal punto di vista operativo che normativo;
- contribuire a diffondere l’informazione sulla scena e sul panorama dell’arte e della cultura contemporanea, anche collaborando a iniziative editoriali;
- rivestire un ruolo attivo nei principali dibattiti e azioni di politica culturale inerenti il settore dello spettacolo

ATTIVITÀ

Tra le attività principali di ADAC nel 2005/2006 segnaliamo:
- la creazione e implementazione di una banca dati dei contatti ADAC (compa-gnie, operatori, giornalisti, media, network, enti e istituzioni regionali, nazionali e internazionali);
- l’attivazione di una newsletter mensile bilingue italiano/inglese che raccoglie e diffonde le attività di danza e relative ai linguaggi contemporanei del corpo programmate in regione;
- l’organizzazione di Passo dopo passo, percorso di aggiornamento qualificato per operatori culturali (sei incontri aperti a tutti su prenotazione);
- l’organizzazione dell’incontro interdisciplinare e interregionale «Una prospettiva condivisa per le arti e lo spettacolo contemporaneo» (vedi scheda);
- costituzione di un archivio storico della danza toscana e realizzazione di una collana edito-riale con monografie sulle compagnie di danza della Toscana.

CONTATTI
Presidente: Roberto Castello (presidenza@adactoscana.it)
Coordinatore: Elena Di Stefano (elenadistefano@libero.it)
Sabato 3 e domenica 4 dicembre ADAC Toscana indice a Firenze un incontro aperto dal titolo
«Una prospettiva condivisa per le arti e lo spettacolo contemporaneo».

Scopo dell'incontro è dare l'avvio a un processo di discussione, aperta a tutti coloro che operano nel campo della danza, del teatro, della musica, delle arti visive, delle arti mediali e della critica, che porti all'individuazione di una prospettiva condivisa per il futuro dello spettacolo e delle arti contemporanee in Italia.

Crediamo sia necessario e urgente che tutti coloro che ritengono le arti e lo spettacolo indispen-sabili funzioni di un sistema sociale libero e democratico, provino ad interrogarsi costruttivamente sulle sue finalità e modalità, su cosa dovrebbe essere e come dovrebbe essere strutturata la produzione e la diffusione delle arti per soddisfare le reali esigenze della società. Ma anche attraverso quali forme, strumenti e concrete prassi di operato si può ridisegnare un contesto fluido e praticabile della creatività che sia aderente all’oggi e sostenibile nel domani. Nessun intervento normativo infatti potrà mai, da solo, rimediare a quella che oggi si presenta sì come una crisi funzionale, ma anche come una più generale crisi di senso e di obiettivi. Una riappropriazione di senso e insieme una visione di modalità e strumenti, dunque, non velleitaria né presuntuosa, ma concreta e propositiva nel cercare attraverso un’analisi critica condivisa gli stimoli per immaginare soluzioni nuove e praticabili.

Il pubblico è poco, non c'è ricambio generazionale ad alcun livello, c'è una cattiva e inattuale riparti-zione delle funzioni e delle risorse, i luoghi per la produzione e la diffusione delle opere sono pochi, c'è un'anacronistica settorialità nella normativa e nella prassi, l'offerta culturale non è ben ripartita sul territorio, le collaborazioni di rete non sono incentivate e le risorse disponibili sono insufficienti.

L'insieme di questi sintomi denota un sistema invecchiato e incapace di rigenerarsi. E' nostra profonda convinzione che la discussione non debba esaurirsi in termini sindacali o corporativi né debba limitarsi alle sedi istituzionali. Il tema infatti riguarda tutti ed è necessario che coinvolga il numero più ampio possibile di soggetti, a partire da chi ha esperienza quotidiana dei problemi,. Per questo chiunque è invitato a partecipare, non in rappresentanza di enti, società o soggetti terzi, ma in ragione delle proprie idee e delle proprie esperienze.

- La prima mezza giornata di lavoro sarà dedicata a interventi programmati e affidati a relatori, il cui scopo è quello di fornire una fotografia di alcuni specifici settori (stabili di innovazione; stabili pubblici; circuiti; danza; enti lirici e musica classica; musica indipendente e contemporanea; arti visive; esperienze atipiche e indipendenti; critica dello spettacolo) con particolare attenzione alla razionalità della loro struttura, all’efficacia del loro funzionamento e all’elasticità e all’apertura verso il rinnovamento e la collaborazione con altri settori. -

Seguiranno due mezze giornate di discussione mediate da un «tavolo di sintesi», che avrà il compito di monitorare gli interventi, tenere la discussione all’interno di un’ottica propositiva, chiedere approfondimenti, guidare il dibattito e redigere in collaborazione con tutti i presenti un documento finale.



Informazioni e adesioni:
Martino Baldi (martino.baldi@gmail.com) tel: 328.8423509
Monica Cerretelli (monicacerretelli@libero.it)


 

2005BP259
90.59 I castelli e l’autonomia della cultura (su alcune buone pratiche)
Le Buone Pratiche
di Alfredo Tradardi

 

Vi interessa dimostrare che si può promuovere il principio dell’autonomia della cultura?
L’autonomia dai processi di petulante fund raising?
Avete bisogno di un castello, di uno dei 109 castelli del Canavese.
Avete bisogno che nel castello, anzi nella torre del castello, abiti uno dei 109 ex-dirigenti Olivetti con propensioni smodate all’immaginazione teatrale.
Uno che sia nato a L’Aquila, città della cabala 99 (lì le cannelle sono 99) e sappia capire la natura abruzzese del Canavese, dove la cabala funziona su base 109.
109 i comuni, 109 i castelli come già detto, 109 i sindaci, 109 gli assessori alla cultura (uno zoo), 109 i dipendenti Olivetti residui dopo le cure dei cosiddetti, almeno a sentire il massimo dei minimi e il minimo dei massimi,(1)
capitani coraggiosi,(2) 109 le lettere 22, un po’ arrugginite, conservate senza alcuna cura nel locale museo civico, 109 i Convegni sul Nuovo Teatro svoltisi a partire dal lontanissimo giugno del 1967.
109 i parroci e 109 i vescovi (ancora intenti a digerire il woytila, ora stanno costruendo le difese contro un pastore tedesco).(3)
Avete bisogno anche di 109 Buone Pratiche (non stiamo qui ad elencarle tutte per permettere alla Gallina Mimma di scriverne in un altro saggio e ponderoso scritto “Il Teatro Impossibile”).

E così è nato nel giugno del 2005 “on the road…” il teater-fest al Castello di Mercenasco, castello dove abita Alfréèd Jarry, pronipote innaturale dell’autore di Ubu Roi, benedicente, l’autore di Ubu Roi, e sorridente e ammiccante con l’immancabile stecchino in una narice.
Due repliche di “Viaggio a Izu” con François Kahn, un “ME & ME” con Rem & Cap, un “Action” di Stalkerteatro, un “Bartleby lo scrivano” con Humberto Brevilheri.

BP n. 1 l’autofundraising, pratica leggermente autolesionista, possibile se amate l’odore di santità e le vesti di mecenate rinascimentale, pratica da utilizzare con la BP n. 2 che prevede di non tenere contabilità alcuna altrimenti non sono esclusi ictus, giramenti di testa, svenimenti et similia.
BP n. 3 attori e registi alla ricerca di incassi al netto SIAE o di un semplice rimborso delle spese le più vive.
BP n. 4 ricambiare le suddette generosità con cene succulente e quindi disporre di amici/che allo stesso tempo cuochi/che esemplari e di vini delle Langhe.
BP n. 5. nominare direttore artistico un giovane
BP n. 6 riuscire anche a trovare attori/attrici disposti a versioni speciali dell’incasso al netto SIAE, pratica sulla quale ritorneremo in separata sede.

Nella conferenza stampa, di fronte naturalmente a 109 giornalisti, abbiamo detto:
Naturalmente un ringraziamento:
• alla signora Benso che ci ha permesso di fare “on the road …” in questo splendido castello
• a voi tutti che avete raccolto il nostro invito
• al direttore artistico di questo festival, il giovanissimo francesco bono, che ha scritto una bellissima tesi di laurea sul convegno per un nuovo teatro che si è tenuto a ivrea nel lontano giugno ‘67
• un ringraziamento denso e intenso a Claudio Remondi e Riccardo Caporossi, e al loro giovane compagno Davide Savignano per averci permesso di inaugurare con “Me & Me” questo teater-fest.
• un dono anch’esso denso e intenso che ci rimanda a un periodo lontano, quando vennero a ivrea nel gennaio del 1979 portando, su iniziativa dell’allora assessore alla cultura, che poi ero io, tre spettacoli, “Sacco”, “Richiamo” e “Pozzo”, due al Giacosa e uno, “Richiamo”, alla palestra Cappuccini.

oggi è un giorno importante per il teatro in generale e per il teatro in canavese in particolare. un giorno storico? esageruma nen!
Ma abbiamo pensato lo stesso di offrivi una piccola cosa perché il nostro è un teatro povero, civile e necessario.

l’8 giugno c’è stata al castello di masino la conferenza stampa di presentazione della stagione del parco culturale del canavese.
250 se non 300 i presenti, i 109 sindaci con i 109 assessori alla cultura + others.
abbiamo ascoltato con molto interesse e acuta attenzione le parole delle autorità, da Mercedes, da poco nominata governatrice del Piedmont, in giù.
come sapete esiste la banalità del bene ma anche quella del male.
esiste anche l’insostenibile leggerezza della parola dei politici sulla cultura.
dopo due ore di leggerezze giulive è stato offerto uno sublime buffet.
20 euro a persona mi è stato detto dall’uomo del catering, 5.000 – 6.000 euro in toto.

noi non possumus per la “contraddizion che nol consente”.
vi offriamo allora:
un oliva, o nera o verde, due pistacchi
mezzo grissino (non è un omaggio a fassino)
un cucchiaio di patate miste a cipolla
un cucchiaio di melanzane anche esse miste a cipolla
un quarto di mela
una fettina di pane e un pizzico di cicoria (per segnalare un Francesco non in odore di santità)
un bicchiere di vino bianco o rosso
acqua a volontà

p.s.: a queste condizioni siamo disposti anche ad ospitare la 109a edizione di BP.

NOTE

(1) Il presidente del consiglio tra Romano Prodi e Giuliano Amato (2) Ci si riferisce a due Attila del neoliberismo, il Debenedetti e il Colaninno (3) Il cattivo esempio viene da un vescovo che scriveva lettere a Berlinguer, Zaccagnini e Craxi, ora anche lui in pensione.


 

2005BP371
90.71 I tagli della Finanziaria allo spettacolo
L'intervento al Senato del 10.11.2005
di Senatrice Vittoria Franco (DS)

 


SENATO DELLA REPUBBLICA ------ XIV LEGISLATURA ------
894a SEDUTA PUBBLICA
RESOCONTO
SOMMARIO E STENOGRAFICO

GIOVEDÌ 10 NOVEMBRE 2005
(Antimeridiana)
_________________

Presidenza del vice presidente MORO,
indi del vice presidente SALVI



FRANCO Vittoria (DS-U). Signor Presidente, signor Vice Ministro, abbiamo letto il maxiemendamento alla legge finanziaria presentato dal Governo con la stessa preoccupazione con la quale avevamo letto il testo della legge stessa. La pesantezza dei tagli al Ministero dei beni culturali resta intatta; il recupero leggero di 85 milioni del Fondo unico per lo spettacolo è evidentemente del tutto insufficiente, circa la metà di ciò che era stato tagliato rispetto alle previsioni della legge finanziaria 2005, pari a 164 milioni; briciole di briciole dunque, che sarà persino difficile ripartire.
Hanno ragione di continuare a preoccuparsi i sovrintendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche che dovranno ridurre le programmazioni o abbassarne la qualità; hanno ragione a gridare la loro sofferenza di operatori della musica, del teatro, del cinema, della danza. Le conseguenze di questi tagli sono state elencate con grande onestà dal senatore Favaro, relatore in Commissione. Non voglio aggiungere niente a quanto lui ha detto nella sua relazione, ma solo leggerne una parte: «Se si analizza il trend storico del FUS, si evince che esso risulta più che dimezzato negli ultimi anni. Le Fondazioni lirico-sinfoniche aggiungerebbero ai cento milioni di euro di indebitamento netto ulteriori 80 milioni di euro di perdite, con il rischio della chiusura totale delle attività. Negli altri settori (musica, prosa, danza, circhi e spettacolo viaggiante), il 30 per cento delle associazioni delle istituzioni non riceverebbe più alcun sostegno da parte dello Stato, con conseguente blocco delle relative attività.
Il Centro sperimentale di cinematografia potrebbe far fronte solo agli stipendi e alle spese obbligatorie, con conseguente blocco dell'attività didattica (...). La Cineteca nazionale potrebbe fare fronte solo agli stipendi e all'attività di manutenzione ordinaria dei macchinari, interrompendo di fatto tutti i programmi di restauro. La Mostra internazionale d'arte cinematografica della Biennale di Venezia avrebbe un fortissimo taglio che, a meno di imprevedibili interventi da parte di privati, metterebbe a rischio lo svolgimento della stessa mostra. Tutti gli altri settori subirebbero fortissimi tagli, dalla produzione alla distribuzione, dall'esercizio alla promozione delle attività cinematografiche italiane all'estero. Inoltre, il numero di film finanziati dello Stato diminuirebbe del 60 per cento».
Signor Vice ministro, lei lo sa, poco cambierà rispetto alle drammatiche previsioni prospettate dal senatore Favaro in Commissione. Restano poi immutati i tagli al Ministero e ai fondi per gli investimenti (circa il 40 per cento); si tratta di stanziamenti per restauri, salvaguardia, manutenzione, adeguamento dei musei, finanziamenti per progetti di recupero che non possono più essere realizzati. Si sottrae in questo modo al Ministero la capacità di esercitare le funzioni minime di tutela previste dalla Costituzione.
Permangono ancora le riduzioni degli stanziamenti annuali destinati alle fondazioni, agli enti e agli istituti culturali non statali, nonché delle risorse per gli istituti centrali, per la Biblioteca centrale Vittorio Emanuele e per il Piano straordinario pluriennale per l'archeologia.
Signor Presidente, signor Vice ministro, colleghi, sono cinque anni che ci troviamo in quest'Aula e in 7a Commissione a denunciare i tagli al settore dei beni e delle attività culturali e al FUS, oltre che a segnalare con forza l'impoverimento progressivo di tutto il settore culturale del nostro Paese. Quest'anno però si è toccato il punto più basso, mettendo a rischio seriamente il nostro patrimonio artistico, il cinema, il teatro dal vivo, gli enti lirici.
Hanno avuto ragione le istituzioni e i sindacati dello spettacolo a scioperare il 14 ottobre scorso. Sono a rischio centinaia di posti di lavoro; sono a rischio istituzioni culturali che costituiscono un tessuto ricco di crescita culturale, umana, civile e sociale. Hanno ragione i cittadini che si sentono deprivati di un diritto primario, quello alla cultura; hanno ragione gli assessori delle Regioni e dei Comuni a denunciare il fatto che, per effetto dei tagli agli enti locali, saranno costretti a chiudere biblioteche, musei e sale.
Provo a immaginare lo scenario delle città che dovranno rinunciare a manifestazioni storiche tradizionali e nelle quali i teatri chiuderanno, si terranno meno concerti e meno spettacoli; i lavoratori saranno licenziati, alcuni musei chiuderanno o resteranno aperti con orari ridotti. Sarà un Paese più povero, più misero, più arido, un Paese più triste.
In questi provvedimenti del Governo - mi riferisco anche alle riduzioni di cassa previste nel maxiemendamento approvato ieri - si legge a chiare lettere una volontà della maggioranza di mortificare la cultura. Come abbiamo detto nei giorni scorsi, il Governo chiude la cultura, ne suona il de profundis. Ci domandiamo il perché di tanto accanimento verso un settore che andrebbe invece valorizzato, innanzitutto perché è una risorsa civile, è parte fondamentale delle relazioni umane, crea coesione sociale ed identità (sappiamo bene quanto l'identità del nostro Paese sia legata al patrimonio artistico, al cinema, all'opera e alla musica) e poi perché in una società post-industriale, i beni immateriali, il sapere, la conoscenza e la cultura acquistano sempre più valore e possono costituire uno dei fattori principali dello sviluppo di un Paese come il nostro.
Una politica lungimirante, oggi più che mai, non considera la cultura un lusso, ma un investimento per il futuro e per i nostri giovani. Noi prendiamo atto del fatto che la capacità creativa del nostro Ministro del tesoro si infrange di fronte alle risorse per la cultura, mentre chiediamo al ministro Buttiglione se sia soddisfatto di quanto stanziato nel maxiemendamento per il suo Ministero, se condivida la scelta di destinare alla cosiddetta legge mancia una serie di marchette per i parlamentari della maggioranza pari 220 milioni di euro, se tutto ciò gli basti per non rassegnare le dimissioni che aveva minacciato. Noi gli vogliamo dire che il mondo della cultura si aspetta anche da lui coerenza.


 

2005BP475
93.75 I teatrinvisibili a convegno
A Roma dall'11 al 13 gennaio: il programma provvisorio
di Triangolo scaleno teatro

 

Triangolo scaleno teatro
Via dei Latini,4
00185 Roma
tel/fax: 06/444.12.18
teatrinvisibili
convegno

11,12,13 gennaio 2006/teatro palladium

tre giorni di incontri, discussioni, scambi tra/con/sul teatro indipendente di Roma e Provincia



L’idea di condurre un’azione di monitoraggio del teatro indipendente di Roma e della Provincia, di gettare uno sguardo attento a questo territorio, di rivolgere lo sguardo del teatrante, spesso e troppo spesso volto all’interno della sua soggettività, al panorama artistico, non a quello visibile e scoperto (che pure sarebbe interessante andare ad indagare a livelli diversi) ma a quello che lavora e produce nella quasi più totale invisibilità, è frutto di componenti diverse:
- l’appartenenza a questo territorio:
il triangolo scaleno è “invisibile” su Roma dal 1991;
- la gestione di uno spazio teatrale:
nell’ultimo triennio il triangolo scaleno ha portato la quasi totalità della sua progettualità all’interno dello Strike spazio pubblico autogestito, conducendovi un’attività di produzione, ospitalità per prove e spettacoli di altre realtà, romane e non, e didattica, promovendo i propri laboratori e ospitando altri nell’ottica di un incrocio sempre desiderato e mai possibile tra allievi e maestri;
- l’incontro con l’Assessorato alle Politiche giovanili della Provincia di Roma:
la partecipazione ai focus group dell’Assessorato alle Politiche Giovanili e ad alcuni incontri ha stimolato la trasformazione di un ragionamento in progetto, nella speranza che proprio l’istituzione potesse diventare referente di una battaglia per i diritti di un’intera fascia di popolazione.

Queste tre componenti sono risultate determinanti e, nel tempo, si sono intrecciate con le esigenze più personali, con la necessità del cambiamento, con la necessità che il nostro lavoro si andasse ad incrociare con la società civile e svolgesse un compito capace di collaborare alla ricostruzione di una speranza.
L’Assessorato ha deciso di finanziare il nostro progetto e noi abbiamo cominciato la ricerca.
L’intento non era, fin dall’inizio, statistico. Volevamo sentire il polso del teatro, incontrare i progetti, le idee, i desideri, le persone… capire se davvero questo nostro territorio è così consunto e sterile come ci è capitato di sentir sostenere da chi lo osserva da fuori. Roma, la metropoli che suscita esigenze e moltiplica le reazioni; non potevamo credere che proprio qui, nel pieno della nostra contemporaneità, caotica e dispersa, proprio qui il teatro soffrisse della mancanza di idee degne di una vita più ampia. Non potevamo credere alle selezioni degli ultimi premi nazionali in cui le realtà romane erano sempre pochissime e in generale girava voce che fosse meglio presentarsi come appartenenti ad una qualsiasi provincia, anche del sud, piuttosto che dichiarare di essere di Roma. E facevamo bene a non crederci perché in realtà questo territorio è ricchissimo. Solo che qui saltare la soglia dall’invisibilità alla visibilità è decisamente molto più difficile che altrove.
Una ricerca affannosa quella che ha caratterizzato il nostro lavoro nel periodo marzo-giugno 2005, una ricerca che ha portato alla conoscenza di realtà radicate, operanti da anni e del tutto ignote, a noi, ad altri e ai più, di realtà nuove, di singoli artisti, di spazi privati. Insomma di un mondo teatrale sommerso produttivo, operante, che crea, alimenta e costruisce la cultura dell’intera città.
Un vero viaggio di scoperta. Spesso ci siamo persi nella lettura delle presentazioni e delle storie che ognuna di queste realtà ha ritenuto di doverci raccontare, un pezzo della loro vita artistica nella sintesi di poche cartelle scritte con cura, foto, elenchi di progetti, desideri, idee, programmazioni, curricula…

La scoperta più sconvolgente è stato constatare il fluire di un’enorme quantità di idee. Idee, un bene prezioso che nel teatro ufficiale sta scomparendo. Il teatro invisibile ha un’infinità di idee. A volte non ha soldi né strumenti per realizzarle, a volte le realizza con i soldi e gli strumenti che ha e quindi difficilmente le realizza in pieno. E anche quando avviene il miracolo e le realizza in pieno, poche centinaia di spettatori potranno godere dell’elaborazione minuziosa, colta, spesso capillare che il teatro invisibile, con una generosità e una vera urgenza di raccontare se stesso e il mondo, produce.
Parlando con critici, teatranti affermati spesso è venuto fuori che il mondo teatrale sommerso è bene che rimanga sommerso perché di fatto porta avanti poetiche, elaborazioni e produce spettacoli inutili, nel senso che non portano nulla di nuovo nel panorama teatrale. Se qualcuno di loro conduce realmente una ricerca innovativa prima o poi emerge. Come se non fosse noto a tutti che le condizioni in cui il processo di crescita di un artista, di un gruppo determinano il suo futuro artistico. Spesso non è il valore artistico a determinare l’emersione di un artista o di un gruppo. Lo stato di totale disattenzione in cui un intero territorio produttivo opera e produce non può essere avallato da un semplice principio estetico, traballante anch’esso. Uno stato democratico deve garantire pluralismo, deve concedere occasioni e opportunità di crescere e confrontarsi e soprattutto un’amministrazione cittadina, provinciale o regionale che sia deve valorizzare ciò che il tessuto artistico del suo territorio produce.
L’attenzione da parte delle istituzioni è, nel migliore dei casi, stagionale: vedi la stagione di Enzimi. Più spesso sono strutture private, vedi Cometa off, Colosseo, Orologio e più di tutti il Teatro Furio Camillo che si aprono al territorio offrendo loro occasioni.


L’indagine
Avremmo dovuto limitarci alle zone indicate nel primo progetto. Non è stato così. E non poteva essere così. Il teatro ha una natura liquida, collocarlo in una zona o in un’altra non è solo difficile, è riduttivo. La città sta viaggiando verso nuove forme, assume nuove facce e le reti, ormai consolidate non soltanto nei movimenti ma anche nell’ambito artistico e teatrale nello specifico, trasformano la possibilità di lettura di un territorio. Avremmo voluto dividere in categorie gli artisti che hanno voluto darci i loro materiali. Ma ci siamo resi conto che dividere e categorizzare un territorio che è in continuo mutamento, che di progetto in progetto, modifica l’ensemble, il cast, che scambia collaborazioni e materiali, che ricicla se stesso e diventa creatore e organizzatore e promotore, offre una fotografia poco aderente alla situazione reale.
Cosa dimostra questa nostra ricerca? Apre domande e chiede a gran forza l’inizio di una nuova epoca.
Da dove nasce tutto questo teatro? Dal desiderio di altro, ma quasi sempre, anche se è un processo che collettivizza gli individui, nasce da un individuo o da due che non riescono più a tenere per sé le immagini e le storie che hanno in testa. In tutte le realtà monitorate c’è sempre un regista, o un drammaturgo è con lui/lei che parli, è lui/lei che ti spiega su cosa lavorano. Ti raccontano la loro urgenza. Dietro di loro una moltitudine. Questo popolo invisibile che opera nella cultura della nostra città, lo fa non perché pagato, lo fa senza uno stipendio e senza un riconoscimento per anni, a volte per decenni. Lo fa perché non può non farlo. E con il loro lavoro arricchiscono il tessuto culturale della città e affrontano le selezioni di sporadici premi, le lunghe anticamere nei teatri ufficiali, sognando il salto in avanti (nel circuito ufficiale?), e continuano a lavorare, progettare, a cercare poche risorse che possano dare forma e vita al teatro che amano.
Abbiamo incontrato tante persone, abbiamo parlato con loro, scambiato impressioni.
Roma e la sua provincia sono un cantiere infinito, un cantiere aperto di gente che lavora sui suoi limiti perché un giorno possa meritare di poter essere visibile, dimenticando che siamo la nazione in cui la meritocrazia ha la percentuale più bassa in Europa. Ci offende da vicino l’immagine che, nel resto del Paese, si ha del nostro territorio: “un buco nero in cui nulla si muove e da cui nulla emerge”. Sappiamo che a Roma, più che altrove, emergere è difficile e in alcuni tratti storici, come l’attuale, praticamente impossibile. Inutile dilungarsi sulle responsabilità e sulla disattenzione che ha condotto a tale situazione. Utile invece confermare la volontà, come Triangolo scaleno, di dare il nostro contributo per contrastare lo stato delle cose e suscitare attenzione intorno al mondo teatrale sotterraneo di Roma e provincia e fare quanto è in nostro potere per sostenerlo.



Il colonialismo della demeritocrazia ha percepito il talento come elemento pericoloso e sovversivo, quindi da esautorare, da distruggere. Respinti dall’ambiente e allontanati dal mestiere, coloro che nella testa portavano effettivamente una parola nuova sono scomparsi e ormai irrecuperabili. Questo è il risultato di una terribile e alla lunga autolesionistica operazione di macelleria generazionale e di un attacco alla democrazia che s’è rivelato alla fine più efficace dello stesso ventennio fascista. La scarsità di talenti nel teatro italiano, anzi per meglio dire la loro invisibilità, è speculare alla crisi di tutta la nostra società, delle fabbriche di automobili, della scuola, delle università, della ricerca scientifica e tecnologica, della vita politica, dei mass-media e dell’informazione, del tessuto industriale, del sistema infrastrutturale, dell’organizzazione statale e chi più si guarda intorno più ne metta. Per questo lo studio commissionato dalla Provincia è un’ottima cosa: per ricominciare, per ricostruire una vita teatrale degna, bisogna pur individuare dove stanno i sopravvissuti e i nuovi nati.

MARCANTONIO LUCIDI
Roma, luglio 2005

teatrinvisibili
convegno

Il progetto teatrinvisibili, azione di monitoraggio del teatro indipendente di Roma e Provincia, realizzato dal triangolo scaleno teatro con il contributo dell’Assessorato alle Politiche Giovanili della Provincia di Roma, ha portato al censimento di circa 130 realtà teatrali del territorio e ha messo in luce le difficoltà e le condizioni in cui tali realtà operano, sopraffatte dall'assenza di risorse, dalla carenza di spazi, dall'impossibilità di emergere dall'invisibilità. Il progetto ha prodotto, oltre ad una rassegna teatrale, contesto vitale in cui abbiamo potuto incontrare gli altri artisti, un libro/guida, in cui ognuna delle realtà ha scelto la modalità di raccontarsi e un dvd che raccoglie ed intreccia alcune interviste. L'immagine che emerge denuncia una situazione allarmante, una chiusura che impedisce la crescita e la circolazione della cultura teatrale e al tempo stesso indica la nascita di un nuovo tessuto culturale e sociale che inventa modelli e, attraverso la sperimentazione, modifica il tradizionale modo di concepire la produzione e la distribuzione teatrale. Il triangolo scaleno teatro con il sostegno della Provincia di Roma - Assessorato alle Politiche Giovanili e Assessorato alle Politiche culturali, intende rilanciare l’iniziativa.

Avevamo concluso la prima fase del lavoro sul teatro indipendente del territorio di Roma e Provincia chiedendo attenzione.
Proponiamo ora di creare uno spazio e un tempo di discussione: un convegno di tre giorni in cui far incontrare i soggetti, le istituzioni, gli uomini che lavorano, vivono, operano, fanno teatro e cultura nel territorio, un momento politico che possa suscitare attenzione sulla situazione della politica culturale nella città di Roma.

Incontrarsi e parlarne non è la soluzione ma è la prima occasione di riconoscimento di esistenza per tutti noi teatrinvisibili.

calendario

11 gennaio ore 16,30
 apertura della Vice Presidente-Assessore alle Politiche Giovanili Rosa Rinaldi
 Vincenzo Vita (Assessore alla Cultura della Provincia di Roma)- intervista video
 triangolo scaleno teatro: presentazione dell’indagine teatrinvisibili: tematiche e problematiche
 proiezione video

Interventi
 Luisa Severi (Rialto Santambrogio)
 Graziano Graziani (ZTL)
 Andrea Felici (Teatro Furio Camillo)
 Giovanna Marinelli Comune di Roma – Assessorato alla cultura
 Giovanna Pugliese – Comune di Roma
 Ciarravano – Assessorato alla Cultura Regione Lazio
 Alessandra Tibaldi – Assessorato alle Politiche Giovanili Regione Lazio
 Luigi Nieri (Regione Lazio)
 Giuliana Pietroboni (Assessorato alla Cultura-Provincia di Roma)
 Rem&Cap (compagnia romana storica del teatro di ricerca)
 Marcantonio Lucidi (critico teatrale)
 Teatrinvisibili prima generazione Andrea Cosentino e Roberto Biselli
 Patrizia Sentinelli
 Umberto Marroni (Consigliere Comunale)
 Area 06
 Roberta Agostini (Commissione Cultura della Provincia di Roma)
 Presidente Caradonna (V Municipio)
 Rosa Rinaldi (Vice Presidente-Assessore alle Politiche Giovanili della Provincia di Roma)


Partecipanti alla discussione
 Le compagnie, i gruppi e gli artisti del teatro indipendente del territorio di Roma e Provincia
 Assessori alla Cultura e Assessori alle Politiche Giovanili dei Comuni della Provincia di Roma
 Direttori dei Teatri dei Comuni della Provincia di Roma
 Assessore alla Cultura del Comune di Roma


 ore 20,00 aperitivo
 ore 21,00 spettacolo “Il castello” compagnia teatrale Triangolo scaleno teatro



12 gennaio ore 16,30

 apertura della Vice Presidente-Assessore ala Politiche Giovanili Rosa Rinaldi

Interventi
 Presidente Smeriglio (XI Municipio)
 Oberdan Forlenza - Teatro di Roma
 Alessandro Berdini - ATCL
 Massimo Paganelli - Armunia
 Pietro Valenti – Ert
 Onofrio Cutaia (progetto Sud – Teatro Mercadante di Napoli)
 Maurizio Barletta (Assessorato alla Cultura della Provincia di Roma)
 Giorgio Barberio Corsetti
 Giuseppe Ferrazza Marco Giorgetti – ETI
 Giancarlo Nanni - Teatro Vascello
 Ulisse Benedetti – Beat 72
 Direttrice Artistica della Fondazione Romaeuropafestival
 Danilo Eccher (Macro)
 Paolo Colombo (Maxi)
 Auditorium (Gaia Morrione)


Partecipanti alla discussione
 Le compagnie, i gruppi e gli artisti del teatro indipendente del territorio di Roma e Provincia
 Presidenti e responsabili cultura dei Municipi di Roma
 Responsabili alla Cultura dei Comuni della Provincia di Roma 

 ore 20,00 aperitivo
 ore 21,00 spettacolo “Il castello” compagnia teatrale Triangolo scaleno teatro



13 gennaio ore 16,30


Interventi
 Prof. Franco Ruffini (Università degli Studi di Roma Tre- DAMS)
 Prof. Giancarlo Sammartano (Università di Roma Tre - DAMS)
 Oliviero Ponte di Pino (Redazione di ateatro)
 Direttrice Artistica della Fondazione Romaeuropafestival
 Arch. Alessandro D’Onofrio
 Prof. Canevacci
 Luca Vitone (Lima – Xing)
 Fondazione Olivetti
 Cecilia Casorati (Accademia di Belle Arti)
 Fiorella Mannoia
 Assessorato alle Politiche Giovanili: una rassegna per i teatrinvisibili


 discussione aperta con le compagnie teatrali indipendenti del territorio di Roma e Provincia

ore 20,00 aperitivo
ore 21,00 spettacolo “il castello” compagnia teatrale Triangolo scaleno teatro


in collaborazione con

ZTL
Teatro indipendente
Il fermento c’è, progressivo ed incessante. Si fa largo chiedendo permesso, in modo non rumoroso ma deciso. E’ la risposta tangibile ed autentica che un certo modo di gestire il teatro e lo spettacolo ha fatto il suo tempo, non piace più, è deleterio, ha l’obbligo, per forza di cose e di natura, di lasciare spazio ed aria a chi ha nuove idee, da dire o da ribadire. Come avviene per gli accadimenti importanti, il fenomeno cresce a dismisura, nonostante l’apparente indifferenza che lo circonda, per poi, una volta gigantesco, obbligare a tenerne conto. Tutto questo è TEATRO INDIPENDENTE. Poco incline al certo e al dato, più propenso a lasciare voce e spazio a chi sente qualcosa da dire e da rappresentare.
Francesca Pistoia

www.visum.it

 

2006BP1001
93.10 La questione meridionale
RINVIATO L'INCONTRO DI BENEVENTO

"Malevento" è stata una cattiva pratica, ma ci riproveremo...
di Redazione ateatro con Perfida de Perfidis

 

Ci abbiamo provato in tutti i modi, ad arrivare in fondo e a rimediare, ma alla fine non ce l’abbiamo fatta.
Per il momento le Buone Pratiche 2.2 La questione meridionale è sospeso.
All’ultimo momento, dopo una lunghissima trattativa dove tutto pareva risolto, il nostro partner, il Comune di Benevento, ha iniziato a frapporre una serie di difficoltà e proporre rinvii che ci hanno indotto – molto a malincuore – a sospendere l’incontro.
Non chiediamo molto, ci facciamo un mazzo quadro, non chiediamo gran che. Ma chiediamo di condividere il progetto con un minimo di partecipazione. Se non c’è entusiasmo e condivisione, è inutile cercare di forzare la mano.
Si sa, queste cose succedono soprattutto se, come noi, non abbiamo santi in paradiso. E anche se le nostre richieste sono minime.
Ma lo faremo, le Buone Pratiche 2.2 La questione meridionale, parola d’onore. Passata la buriana natalizia, ricominciamo a lavorare per trovare una sede e una data adatti. Se qualcuno ci dà una mano, gliene saremo grati: con idee, suggerimenti, spazi.

Quando abbiamo deciso il rinvio, eravamo ovviamente abbastanza abbattuti. Invece, appena le ho raccontato le nostre tribolazioni, quella perfida di Perfida ha cominciato a sghignazzare, e ha iniziato a fare le sue solite illazioni.
“Carissimo, era evidente. Voi di ateatro ne combinate troppe. Rompete le palle. Non avete santi in paradiso. E soprattutto non avete più il fisico. E poi quella di Benevento mica è una giunta di sinistra...”
“Ma che c’entra? Le Buone Pratiche non è un progetto di destra o di sinistra, e nemmeno la campagna dell1%. Si tratta solo di valorizzare la cultura e lo spettacolo: è un’idea così di sinistra?”
“Oltretutto voialtri siete nordici, tu e la Mimma, e vi avranno considerato dei colonizzatori…”
“Ma Franco è un terrone d.o.c.! Geneticamente e psichicamente meridionale, anche se padanamente modificato. Era lui il nostro Mastella!”
“Che ne sai? Magari quello sciupafemmine ha lasciato qualche cuore infranto, da quelle parti, e qualcuno non lo gradisce tra i piedi…”
“Ma dai, sarà stato tanto tempo fa! Mi sembra che adesso abbia messo la testa a posto.”
“Beh, però non era male… Anche l’ultima volta che l’ho visto, un pensierino…”
“Perfida, è un bel ragazzo…”
“E qualcuno magari non avrà gradito… Gelosia… O forse qualche teatrante avrà pensato che voialtri Buonipraticanti andaste a pestargli i piedi, in qualche loro feudo.”
“Sai che feudi, a Benevento! Non ce ne sono più dai tempi dei longobardi, mi pare… E non credo che finora le Buone Pratiche abbia pestato grandi piedi. Anzi, per me ne pesta troppo pochi. Il teatro italiano? Tutte ottime persone, tutti ottimi praticanti, tutti geni dell’arte e inventori si forme organizzative innovative e così astute… A guardare le Buone Pratiche, le nostre scene sono molto meglio del Paradiso terrestre, molto meglio.”
“Te l’ho già detto, a me le Buone Pratiche fanno venire il latte alle ginocchia. Mi sembrano i fioretti teatrali.”
“Lo so, lo so, cara Perfida, che preferisci le pratiche un po’ efferate, ma cerca di contenerti. Non vorrei che Tremonti mettesse la pornotax anche su ateatro, per merito tuo.”
“Non ti preoccupare: negli ultimi tempi mi sono mantenuta casta e pura.”
“Oddio, che ti è successo? Ti sei innamorata?”
“Niente paura, ho avuto da fare e mi sono rimessa in forma per scatenarmi a Capodanno… Poi ti racconterò…”
“No, grazie, abbiamo già abbastanza guai…”
“Ma la brutta figura l’ha fatta Benevento! E ha perso anche un’ottima occasione per ospitare una iniziativa che ha sempre buon risalto: delle Buone Pratiche di Mira ne hanno parlato molti giornali e riviste, eccetera.”
“Non mi consolare troppo, Perfida, che mi commuovo.”
“E’ che siete troppo tranquillini, ragazzi. Se a Mira aveste organizzato una bella orgetta finale, di quelle che dico io, con veline e veloni, invece di fare tutti quei fioretti…”
“Beh, a Mira, nella Padania Infelix, nel Veneto teatralmente sottosviluppato, le nostre Buone Pratiche le abbiamo fatte e con gran successo. Certo che su al Nord…”
“Dal mio punto di vista al Sud ci sono risorse umane di ottima qualità. A giudicare dalla mia esperienza erotica…”
“Non mi riferivo a quella, Perfida. E basta dire sciocchezze… Sono incazzato e sto cercando di restare serio.”
“Sì, pensa tutti quelli a cui state sulle balle, e sono moltissimi!!! Chissà come si divertono, quando leggono che non fate le Buone Pratiche Sud!”
“Ma ti diverti a tormentarmi? Io voglio capire. Perché c’è un fatto. Se non siamo riusciti a organizzare questa puntata delle Buone Pratiche forse vuol dire che una questione meridionale esiste davvero… Io che speravo tanto nell’orgoglio meridionalista, in uno scatto di dignità. C’era un grande interesse, per questo incontro, davvero, aspettative…”
“Su su, non ti abbattere. Vedrai, sono sicuro che qualcuno si farà vivo e vi offrirà di ospitare l’incontro.”
“Sì, a Belluno!”
“Dai, piantala. Mi stai rompendo, quando fai così mi diventi noioso. Anzi, vuol dire che provo a metterci una parolina anch’io. Mentre mi dedico alle mie buone pratiche…”
“Perfida, occhio alla pornotax!!!”
“Beh, in queste settimane giro un po’ tra Puglia e Sicilia, ho qualche amico, gli spiego che i miei amichetti di ateatro sono così tristi, e mentre lo consolo…”
“Perfida, ma stai consolando anche me! Lasciami stare, non ne ho voglia!”
“Dai, non fare così… Ti sembra una Buona Pratica? Vieni qui vicino vicino, che ti coccolo un po’.”


 

2006BP2005BP100
87.2 Le Buone Pratiche 2
Due incontri per un teatro che cambia
di Franco D'Ippolito, Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino

 

Dopo il grande successo dell’incontro sulle Buone pratiche 1, che nel novembre 2004 ha visto a Milano la partecipazione di oltre 400 tra artisti, operatori, studiosi, studenti, critici, ci è sembrato opportuno dare un seguito a quella Ottima Pratica, con due iniziative complementari, una al Nord e una al Sud.
Si parte dunque per Le Buone Pratiche 2. Due incontri per un teatro che cambia.

Perché nel nostro teatro stanno davvero cambiando molte cose, e molte altre devono cambiare. Sono dunque necessari nuovi strumenti e nuove idee. Molto spesso però le necessità impellenti del presente ci impediscono di vedere oltre il nostro interesse immediato e particolare.
Ci sembra perciò utile e indispensabile riprendere a riflettere sulle ragioni di fondo del fare teatro, e sul rapporto tra lo spettacolo dal vivo da un lato e, dall’altro, l’economia (mercato e sponsor compresi), la politica (sovvenzioni comprese), la geografia e la geopolitica (dalle sfide della globalizzazione alla scala europea, dalla regionalizzazione delle competenze dello spettacolo al rapporto con gli enti locali), le altre arti e forme di comunicazione (a cominciare dai nuovi media).

Abbiamo deciso di articolare la seconda sessione delle Buone Pratiche in due incontri.
Le Buone Pratiche 2.1 – di carattere più generale – si terrà il 13 e 14 novembre alla Villa dei Leoni di Mira, grazie all’ospitalità del Comune di Mira, e avrà per tema Il teatro come servizio pubblico e come valore: lo spettacolo dal vivo tra economia, politica e cultura.
Le Buone Pratiche 2.2 si terrà invece tra dicembre 2005 e gennaio 2006 (stiamo ancora definendo la località) e avrà per tema La questione meridionale.

Le caratteristiche degli incontri restano quelle della prima tornata delle Buone pratiche: assoluta indipendenza e libertà, autogestione e trasparenza, partecipazione gratuita, diffusione delle relazioni (sempre gratuita) sul sito www.ateatro.it, discussione aperta sia nel corso dell’incontro sia nei forum Fare un teatro di guerra? NTVI. Stiamo iniziando a raccogliere le adesioni all’indirizzo info@ateatro.it. Nelle prossime settimane, sempre attraverso il sito www.ateatro.it, forniremo le necessarie informazioni logistico-organizzative e vi terremo aggiornati sulle varie fasi della preparazione dell’iniziativa (insomma, come l’altra volta).

Le Buone Pratiche 2, così come l’incontro precedente, vuole dunque offrire un’occasione per il teatro di riflettere sul proprio ruolo, sulla propria situazione e sulla propria evoluzione; e cerca di fornire agli artisti, agli studiosi e agli operatori pubblici e a privati una serie di strumenti di informazione, formazione e analisi. Qui di seguito i documenti preparatori dei due incontri.


 

2006BP2005BP103
87.4 Le Buone Pratiche 2.2. La questione meridionale nel teatro
Dicembre 2005
di Franco D'Ippolito, Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino

 

La questione meridionale del teatro sta nel divario nord-sud dei finanziamenti pubblici alla produzione ed alla distribuzione, delle sale agibili, del numero delle recite programmate, ma non solo. Sta anche nella difficoltà di sviluppare politiche attive di contrasto delle povertà materiali (attraverso l’occupazione diretta ed il vasto indotto che produce) ed immateriali (che attengono alla qualità della vita delle comunità ed al capitale civico dei territori), ma non solo. Sta nella specificità del “pensiero meridiano” e nelle punte d’eccellenza e nei modelli organizzativi ed artistici che funzionano, ma non solo. Sta pure nella condizione di solitudine della passione dei talenti che nessuna legge o regolamento potrà misurare ma che senza quei riferimenti normativi certi continuerà a produrre l’individualismo delle azioni e dei pensieri. E forse sta in altro ancora, nella necessità di un’utopia, di cui il teatro e gli uomini non possono fare a meno.

Noi siamo convinti che dal Sud possa venire una nuova percezione della necessità del teatro e perciò vogliamo far seguire alla riflessione veneta la “presa in diretta” della situazione teatrale meridionale, laddove inizia ad avere visibilità nazionale il talento e la capacità di nuovi soggetti che reclamano l’urgenza di un cambiamento concreto del sistema, per continuare il proprio percorso artistico ed organizzativo. Un passaggio questo già sperimentato nel primo incontro milanese, dai pensieri alle pratiche, perché ciò che ci interessa è quanto si può fare, quanto si può far vivere e crescere di quello che siamo capaci di immaginare.
Vorremmo affidare ad un sociologo la riflessione sulla società civile meridionale e sul rapporto con la sua cultura mediterranea: a cosa può servire il teatro nel superamento della questione meridionale come “palla al piede” del sistema Italia? E poi chiedere al mondo dell’impresa privata quale grado di consapevolezza abbia raggiunto l’imprenditoria privata nel considerare lo sviluppo civile parte irrinunciabile ed imprescindibile dello sviluppo economico del territorio e come, perché, quanto il mondo dell’impresa voglia e possa investire promozionalmente in cultura. Con un economista della cultura vorremmo esaminare i dati statistici del “sotto la media” delle produzioni, delle recite, delle sale teatrali, degli spettatori, delle risorse pubbliche e private del teatro meridionale per poi provocare un confronto fra il teatro che si fa al nord ed il teatro che si fa al sud attraverso la vis polemica di due critici. Uno spazio importante vorremmo dare alle pratiche teatrali meridionali, da quelle svolte negli anni passati a quelle più recenti, attraverso l’analisi delle luci e delle ombre dell’intervento delle isituzioni e degli Enti Locali, del ruolo svolto nel bene e nel male dai circuiti regionali e della capacità a volte scarsa dei teatri e delle compagnie di fare rete, di lavorare insieme. Tra le pratiche da sperimentare con maggiore convinzione proveremo a chiedere ad un critico dell’arte come il teatro possa partecipare dell’aumento dei flussi turistici al sud legati ai Beni culturali. Contiamo anche di riuscire a coinvolgere le regioni meridionali per una riflessione trasversale sulle politiche locali teatrali, sui nuovi assetti Stato/Regioni che stentano a definirsi per le difficoltà di condivisione degli strumenti normativi fra politica e teatro, magari avviando proprio dal sud e con le nuove regioni meridionali una prima ricomposizione degli obiettivi strategici (come ripartire il FUS, a chi e perché, ambito nazionale e rilevanza regionale, solo per fare qualche esempio). Ci piacerebbe che l’incontro meridionale fosse anche capace, con il contributo di tutti i partecipanti, di immaginare un’utopia per il Sud, un pensiero alto non misurabile, che accompagnasse le cose concrete che si possono fare e che si debbono fare e che possa restituire alle donne ed agli uomini meridionali il “sogno del bello”.


 

2006BP2005BP159
91.59 Teatri d’arte Mediterranei: Teatri del Centro–Sud in rete
Le Buone Pratiche 2: Banca delle Idee
di Lello Serao

 

“Teatri d’arte Mediterranei” è un Progetto, per la precisione la Risposta che un nutrito gruppo di compagnie e organismi teatrali del Centro- Sud Italia tenta di dare allo stato di abbandono, di colpevole mediocrità e di assoluta perdita di senso di una consistente parte delle programmazioni teatrali che si realizzano dal Lazio alla Sicilia. L’intero sistema teatro dal suo farsi fino ai giorni nostri ha sofferto un doloroso appiattimento sui parametri ministeriali che hanno monopolizzato il dibattito dentro il teatro e tra il teatro e le istituzioni, che da sole hanno determinato, in massima parte, l'impoverimento della progettualità, e hanno lasciato le imprese di teatro a metà, nella migliore delle ipotesi, tra management di facciata e impossibilità di miglioramento della propria realtà di impresa. Il problema dei costi di uno spettacolo, il problema dei costi di gestione di uno spazio, di un’attività, di un teatro incombe con forza su tutto il sistema, è un condizionamento che impedisce qualunque sviluppo,a volte addirittura mette in difficoltà lo stesso mantenimento degli standard conseguiti; è possibile che non ci sia alternativa alla conservazione degli standard quantitativi? E’ possibile che non ci siano strumenti per invertire tale tendenza mantenendo alto il livello della qualità?
I Teatri d’Arte Mediterranei si danno il compito di formulare alcune risposte a questi interrogativi e ad altri che attanagliano il sistema teatro.
Esistono nel Centro–Sud Italia un gruppo consistente di compagnie e organismi teatrali che hanno sviluppato capacità organizzative e produttive attraverso la pratica quotidiana della produzione di spettacoli, laboratori, incontri,stagioni teatrali, Festival e Rassegne. Sono piccole e medie compagnie fortemente radicate nei territori d’appartenenza, teatranti che da anni gestiscono spazi e progetti in relazione continua con il mondo dell’ associazionismo di base, con tutto il variegato mondo del sociale con sinergie atte a promuovere culturalmente i territori e provando ad avvicinare nuovo pubblico per il Teatro. “Teatri d’arte Mediterranei” è il Progetto che oggi prova a mettere insieme tutte queste nostre pratiche teatrali per dare una Risposta forte al Sistema immobile del teatro centro-meridionale. L’Associazione “Teatri d’arte Mediterranei” nasce per valorizzare e diffondere le produzioni artistiche (spettacoli,realizzazioni teatrali in genere, laboratori, incontri, seminari etc.) delle compagnie e degli organismi teatrali associati. L’Associazione vuole essere lo strumento operativo dei nostri sogni e dei nostri bisogni, per la realizzazione di un rinnovamento radicale in seno al panorama teatrale del Centro-Sud. Non ci mettiamo “in rete” per formalizzare meglio i termini di una contrattazione,come si potrebbe credere, ma per rendere operativo e portare “a sistema” un modo di lavorare,di scambiare esperienze, di creare e distribuire teatro.
Ma quale Teatro?
Un teatro pensato in grande ma fatto in casa.
Il parallelismo tra cucina casalinga e arte scenica, a nostro avviso, inquadra con una certa efficacia la situazione di quei teatri indipendenti che vivono ai margini del sistema teatrale e che lavorano per intercettare un nuovo pubblico. Il concetto del fatto in casa corrisponde a modalità produttive, m anche alla necessità di ritrovare relazioni alchemiche che corrispondono all’artigianato attorale, alla qualità di intelligenza e provocazione delle visioni elaborate, alle quotidiane costrizioni di ogni tipo che siamo chiamati inevitabilmente a ribaltare in creatività, la creatività dei corpi e dei segni. Sono i teatri delle cento città, tenuto conto che il nostro paese non possiede un articolato sistema che ruota attorno alle aree metropolitane, sono quelle residenze mai nate o meglio fatte abortire dall’indifferenza del legislatore, ma che nel concreto vivono perché rispondenti a modalità operative e a necessità e bisogni dei luoghi e dei territori.
Un teatro pensato in grande ma fatto in casa.
Al centro del nostro impegno abbiamo posto la ridefinizione della posizione del teatro rispetto all’intera comunità, elaborando percorsi che provano continuamente a
ri-collocare la nostra arte rispetto alle persone.
Il teatro novecentesco sembra percorso dalla contrapposizione fra “ tradizione” e “avanguardia”. E’ la lettura più facile: più grossolana. La reale dinamica storica si svolge invece fra sistemi teatrali unificati a livello nazionale, ed enclaves, eccezioni, isole non isolate, o come proviamo a fare arcipelaghi. Ovvero isole indipendenti corrispondenti tra loro attraverso un sistema delle relazioni. La comprensione di questa dialettica è essenziale se si vuole pensare la politica teatrale d’oggi ed il problema dell’indipendenza. Le due forze che realmente si scontrano al di sotto dei veli teorici e di gusto, al di sotto delle scaramucce fra poetiche e teoresi avanguardistiche o no, sono quelle di chi pensa ad una riorganizzazione generale del sistema teatrale e quelle di chi invece persegue il mantenimento dello status quo .
Vogliamo avere un interlocutore privilegiato : “ lo spettatore che cerca ”, ovvero quello che non si riconosce negli standard di un’offerta culturale istituita per assecondare la domanda di un teatro d’abitudine che conserva i repertori. E’ lo spettatore che cerca di conoscere il teatro, cosa ben diversa dal “riconoscerlo”, secondo il principio psicologico rassicurante sul quale si fonda la programmazione dei soliti testi, magari interpretati da qualche attore noto,a sua volta riconoscibile.

Schema generale del progetto:

1. Approfondimento di iniziative attraverso scambio di progetti, spettacoli e laboratori da far circolare nei diversi teatri. Incremento del pubblico già presente e promozione di attività per la creazione di un nuovo pubblico trasversale ai diversi bisogni della società multietnica e contemporanea.

2. Allestimento annuale di una vetrina – mercato aperta ed estesa a diversi soggetti promotori di spettacolo e iniziative teatrali dove poter prendere visione delle proposte degli artisti e delle eventuali modalità di promozione e diffusione.

3. Creazione di una manifestazione (Festival) biennale, aperta ai teatri di altri paesi prevalentemente della stessa area del Mediterraneo, ispirata ad un tema di interesse presente nella cultura del momento storico e della società contemporanea


In cosa si è tradotto per ora questo progetto

In un Festival estivo a Formia con 8 giorni di programmazione e animazione nei quartieri interessati.

In un Festival a Loreto Aprutino, a Fara Sabina.

In una piccola rassegna a Caserta, a Caltagirone e a Sermoneta.

In stagioni teatrali partecipate a:
Bari, Cosenza, Napoli, Aversa, Caserta, Formia, Palermo, Atessa, Loreto, Avezzano.


ADERISCONO AI TAM

Aderenti ai TAM

Campania:
Libera Scena Ensemble
La Mansarda
I Mutamenti
Teatro della Bugia

Abruzzo
Teatro del Sangro – Guardiani dell’oca
Teatro del Paradosso
Lanciavicchio

Lazio
Associazione B. Brecht
Opera prima
Teatro Potlach


Sicilia
Agricantus
Teatro Caligola
Nave Argo

Puglia
Teatro Abeliano

Calabria
Centro RAT


 

2006BP2005BP233
92.33 Per un sistema regionale dello spettacolo
La relazione per la Conferenza regionale per lo spettacolo, Firenze, 6 dicembre 2005
di Lanfranco Binni

 

Da anni insistiamo sulla necessità di coniugare progettualità e processi culturali, per costruire i diritti alla cultura attraverso buone pratiche da sperimentare, elaborare, diffondere nello spazio pubblico, nella società di tutti, sull’intero territorio regionale e all’interno di relazioni nazionali e internazionali. L’idea progettuale di un “sistema regionale dello spettacolo” abbiamo iniziato a proporla nel 2000; allora proponemmo, agli enti locali, alle operatrici e agli operatori dello spettacolo in Toscana, di avviare la costruzione di un sistema articolato per reti, strutture e servizi e fortemente orientato alla formazione del pubblico. Già allora era chiaro che a fronte di un’offerta consistente da parte delle compagnie e delle associazioni, la domanda tendeva a diminuire. In condizioni di difficoltà economiche crescenti era prevedibile che il disequilibrio tra offerta e domanda sarebbe aumentato. Per questo avviammo, attraverso progetti di iniziativa regionale, una prima rete di strutture teatrali: i piccoli teatri in gran parte restaurati nei decenni precedenti e spesso rimasti inutilizzati, e che in un’architettura potenziale di sistema iniziarono a svolgere funzioni di “scuola pubblica ai linguaggi dello spettacolo” nei più diversi territori della Toscana. Sviluppammo anche alcune prime reti tematiche, in situazioni di frontiera culturale: il teatro in carcere, la danza, il teatro di strada Era solo un inizio, e l’esperienza è stata generalmente positiva. Con risorse esigue, e modalità di cofinanziamento Regione-enti locali, con il coordinamento delle Province, la rete di “Sipario Aperto” (circa 100 piccoli teatri) ha sostanzialmente svolto le proprie funzioni, spesso incontrandosi con i percorsi di altri progetti regionali come il progetto interculturale “Porto Franco” e il progetto “TRA ART rete regionale per l’arte contemporanea”. La rete tematica del teatro in carcere si è consolidata ed estesa, ed è iniziato un percorso di progettazione di rete anche per il teatro di strada, mentre le attività di danza hanno iniziato a coordinarsi attraverso lo strumento di un’associazione, l’ADAC, promossa dalla Regione. Contemporaneamente abbiamo sostenuto le attività di produzione nei generi tradizionali della musica, della prosa e della danza, attraverso bandi che hanno perseguito obiettivi di innovazione e stabilità, incentivando le residenze delle compagnie e delle associazioni nei teatri, e le loro attività di formazione del pubblico.

Siamo convinti che oggi, in una situazione di attacco senza precedenti alle attività di spettacolo anche in Toscana, le esperienze progettuali e le pratiche finora sviluppate debbano confluire in un disegno progettuale complessivo che permetta di costruire relazioni tra tutte le strutture, le reti e i servizi. Proponiamo dunque di costruire, secondo percorsi definiti e con scadenze di progetto, l’architettura complessiva del sistema toscano dello spettacolo, sulla base di alcune scelte di fondo.

1. “Fare sistema” nel settore dello spettacolo significa sviluppare in un disegno progettuale unitario e condiviso le potenzialità produttive, distributive, formative ed economiche dell’intero settore, dotando ogni territorio di strumenti e servizi sempre più efficaci e qualificati.
Nel processo di costruzione del sistema regionale dello spettacolo, attuando il metodo della co-progettazione e dell’accordo tra istituzioni, enti e associazioni, svolgono un ruolo centrale di impianto di sistema le reti delle strutture e degli spazi per lo spettacolo. Nella “Toscana delle Toscane”, ricca di tradizioni e differenze culturali, un sistema teatrale articolato su due livelli (i teatri grandi e medi, luoghi di produzione, ricerca e formazione di operatori; i piccoli teatri, luoghi di sperimentazione, di educazione ai linguaggi dello spettacolo e di formazione del pubblico) può sostenere obiettivi di forte radicamento territoriale e di coesione dell’intero sistema teatrale, all’interno del complessivo sistema toscano della cultura.
Il nostro modello di sistema regionale dello spettacolo non può non essere policentrico: nelle diverse aree territoriali i teatri grandi, medi e piccoli devono oggi promuovere e stabilire – anche sulla base delle esperienze in corso in diverse aree della Toscana – rapporti di collaborazione e cooperazione sui diversi terreni d’intervento. Non pensiamo a un sistema chiuso; pensiamo piuttosto a un sistema di reti territoriali capaci di interagire con gli altri luoghi dello spettacolo (piazze, edifici monumentali, edifici industriali dismessi e recuperabili a nuovi usi, centri interculturali, istituti culturali e associazioni), con il mondo della scuola, con l’associazionismo.

2. Il Sistema è uno strumento per “fare spettacolo”, svolgendo funzioni di : formazione del pubblico attuale e potenziale - in una Toscana multiculturale che vuole costruirsi come regione aperta e consapevole del valore delle differenze e delle diversità - ; sostegno alle attività di spettacolo in ogni loro fase: dalla ricerca alla produzione, alla didattica, alla promozione, alla distribuzione; sviluppo del confronto con le esperienze nazionali e internazionali; rafforzamento complessivo dello spettacolo in Toscana su scala regionale, nazionale e internazionale, anche per opporre politiche di rilancio e sviluppo a politiche di disinvestimento.

3. Il Sistema regionale dello Spettacolo

- è un sistema di reti territoriali e tematiche; le reti territoriali si sviluppano nelle singole aree provinciali, a partire dalle reti attuali di “Sipario Aperto” e “Teatri insieme” nelle aree Pisa-Livorno e Arezzo e stabilendo relazioni di cooperazione e collaborazione con i teatri medi e grandi delle aree provinciali; le reti tematiche, su scala regionale, si sviluppano a partire dalle attuali reti del teatro in carcere, della danza e del teatro di strada; questo processo inizia nel 2006 e si estende a tutti i territori provinciali negli anni successivi;

- interviene sull’estensione e qualificazione della domanda (pubblico/pubblici, territorio) attraverso iniziative di informazione e comunicazione, di sperimentazione di “cantieri per lo spettacolo” rivolti ai giovani artisti, di incontri con il pubblico ecc.

- sostiene le attività di produzione delle compagnie e delle associazioni, promuovendo la scelta della contemporaneità e della rilettura del passato nei suoi intrecci con il presente e la sperimentazione interdisciplinare dei linguaggi;

- incrementa le attività di distribuzione, anche in funzione dell’accesso delle giovani compagnie e formazioni musicali al sistema toscano dello spettacolo, e promuove la nuova creatività attraverso “vetrine” e situazioni di confronto;

- realizza strumenti di documentazione e informazione sull’intero sistema dello spettacolo in Toscana, attraverso un “portale” regionale (da progettare e costruire anche con la partecipazione di FTS e altri enti che abbiano già attivato banche dati) e attraverso strumenti a stampa di larga diffusione (guida breve al sistema dello spettacolo, guida ai festival, opuscolo sul teatro in carcere ecc.);

- stabilisce interrelazioni tra il sistema e le altre reti culturali a livello regionale (a partire da arte contemporanea e intercultura, musei e biblioteche, beni culturali) e altri settori d’intervento della Regione Toscana (istruzione e formazione, trasporti, attività produttive, turismo), e tra il sistema toscano e il livello nazionale (a partire dall’Italia centrale) e internazionale (progetti europei, Mediterraneo ecc.).

Sulla base di queste scelte di politica culturale, la Regione sviluppa nel 2006 - attraverso il Piano regionale dello spettacolo - le seguenti azioni in funzione della costruzione del Sistema:

1) costruzione dell’architettura complessiva del sistema (teatri, cinema, spazi, piazze ecc.) nelle aree provinciali di Pisa, Livorno e Arezzo, a partire dalle reti attuali di “Sipario Aperto” e di “Teatri insieme”;

2) progettazione (anche con Fondazione Toscana Spettacolo, Mediateca Regionale Toscana ecc.) e prima implementazione del portale del Sistema regionale dello Spettacolo (attraverso una redazione integrata Regione-enti-territori), e produzione di strumenti di informazione e comunicazione rivolti al grande pubblico, a stampa e on-line (guida breve al sistema dello spettacolo, guida breve ai festival, guida al teatro in carcere);

3) ridefinizione (in collaborazione con le Province toscane) dei “festival” come “cantieri interdisciplinari” innovativi per tematiche e sperimentazione di linguaggi, e promozione del calendario unitario di tutti i festival, superando le separazioni tra i generi;

4) sperimentazione dei primi “cantieri per lo spettacolo”, esperienze laboratoriali in cui maestri e maestre di riconosciuto valore artistico sperimentano con giovani allievi i linguaggi dello spettacolo sulla base delle proprie poetiche;

5) individuazione di possibili “vetrine” per le giovani compagnie e formazioni musicali, nell’ambito del sostegno regionale alle attività di produzione delle compagnie, associazioni ecc., e anche in relazione con l’iniziativa interregionale Centro Scena;

6) definizione di un quadro progettuale finalizzato all’educazione musicale;

7) presenza attiva della Regione Toscana nel coordinamento interregionale e nel coordinamento Stato-Regioni sulla base della proposta di legge per lo spettacolo presentata dalle Regioni nel 2005;

8) definizione di un quadro delle opportunità di finanziamenti europei per lo spettacolo, anche in collegamento con l’assessorato regionale alla formazione professionale;

9) definizione di un quadro di relazioni intersettoriali all’interno della Regione Toscana (istruzione e formazione professionale, turismo, trasporti, attività produttive, ambiente ecc.);

10) adeguamento della normativa regionale (leggi regionali 45/2000, 75/1984, 88/1994) agli obiettivi del Sistema.

In conclusione: il “Sistema Regionale dello Spettacolo” è un progetto/processo. L’idea progettuale del sistema si trasforma in processo reale attraverso azioni e fasi di attuazione. Il 2006 è un anno di transizione per orientare la situazione attuale al nuovo scenario del sistema. Ogni finanziamento regionale sarà da noi considerato e gestito come investimento finalizzato agli obiettivi della costruzione del sistema. La costruzione di un sistema aperto e in divenire, ma saldamente strutturato per reti, strutture e servizi, rende infine indispensabile – ed è una condizione del processo - la sinergia progettuale e operativa tra tutti i livelli istituzionali, tra istituzioni e soggetti privati, per dare forma e concretezza territoriale al disegno strategico regionale.

“Me-ti insegnava: I rivolgimenti avvengono nei vicoli ciechi.” A insegnare è il Brecht del 1934, dall’esilio danese; un anno dopo, nel 1935, parteciperà al Congresso internazionale di Parigi “per la difesa della cultura” dalla peste nera che si sta diffondendo in Europa dall’Italia e dalla Germania. In quegli anni, che fanno parte della nostra storia e della nostra memoria, la cultura è - come sempre - terreno di scontro politico. Come oggi, nelle nuove condizioni della globalizzazione finanziaria, dell’economicismo mercantile e del populismo autoritario, della deculturalizzazione della politica. Grande è la confusione sotto il cielo, e la situazione non è eccellente, è pessima. L’attacco sistematico allo stato sociale, alla cultura come diritto di cittadinanza, alla centralità della conoscenza come condizione dello sviluppo umano e sociale, non ammette obiezioni. Una società di analfabeti e consumatori servili, economicamente ricattati, teledipendenti, condannati a sopravvivere su percorsi miserabili, è di gran lunga preferibile a una società di persone consapevoli dei propri diritti, della propria diversità, della propria centralità. La società dello spettacolo si è rapidamente trasformata in uno spettacolo sociale irto di detriti, macerie, violenza, stupidità. L’alternativa all’incubo della cecità pre-vista da Saramago, alla deriva inesauribile verso l’incapacità e l’impossibilità di vedere, è lo sviluppo di pratiche culturali che coltivino una concezione della cultura come arte della relazione, tra persone, tra presente e passato, tra saper vedere e saper fare. Su questo terreno è eticamente nobile resistere, ma è assai più efficace insistere, costruendo scenari diversi.

Lanfranco Binni
Regione Toscana Giunta regionale
Direzione generale delle politiche formative, beni e attività culturali
Responsabile Settore Spettacolo

Firenze, 6 dicembre 2005


 

2006BP2005BP80
92.2 Non si può essere stupidi e ricchi per più di due generazioni
Perché l'Italia deve aumentare l'investimento in cultura e spettacolo
di Redazione ateatro

 

Stiamo pensando di diffondere questo testo, per raccogliere eventuali adesioni.
Mimma Gallina nel frattempo sta lavorando a un testo più specificamente rivolto al teatro, ma per noi è fondamentale inserire la “vertenza spettacolo” (reintegro del FUS eccetera) in un contesto più ampio.
Quello che ci sembra cruciale è il passaggio da un atteggiamento difensivo (“Basta taglia a cultura e spettacolo”, che presuppone che cultura e spettacolo siano un di lusso, un optional rispetto a spese più importanti), alla rivendicazione del valore strategico del settore.
Questa è una prima versione del nostro appello ai candidati alle prossime elezioni politiche, aperta a suggerimenti e modifiche (insomma, ci piacerebbe sentire il vostro parere; in ogni caso iniziate a diffondere). Dopo di che, proporremo il documento debitamente emendato in occasione delle Buone Pratiche 2.2 a Benevento il 7-8 gennaio 2006 per una prima verifica.


Due citazioni

1.
“Siamo arrivati alla soglia in cui il declino culturale diventa anche economico. Eppure nessuno sembra rendersene conto, fino a non capire che il segreto della crescita e della concorrenza cinese e indiana non è lo sfruttamento brutale, che c’è sempre stato, ma l’alfabetizzazione di centinaia di milioni di lavoratori. Non si può essere stupidi e ricchi per più di due generazioni.”
(Curzio Maltese, “Il Venerdì di Repubblica”, 25 novembre 2005)

2.
“Se il cinema, il teatro, la musica e la danza denunciano un salasso (…) il sistema della tutela statale, i musei, i siti archeologici, gli archivi, le biblioteche non stanno meglio. Diluvia sul bagnato di un paese che destina alla cultura appena lo 0,16% del suo PIL, contro lo 0,50% della media europea, contro lo 0,35% del Portogallo, lo 0,9% della Spagna, l1% della Francia e addirittura l’1,35% della Germania. Un autentico suicidio.”
(Vittorio Emiliani, “l’Unità”, 11 ottobre 2005)


Due fatti

1.
Non esistono statistiche affidabili sulla spesa in cultura e spettacolo dei governi europei, ma è indubbio che l’Italia destina al settore molto meno della media dei suoi partner europei.

2.
In Italia negli ultimi anni l’investimento in cultura e spettacolo si è drasticamente ridotto, finanziaria dopo finanziaria.


L’articolo 9 della Costituzione

In una società moderna, nel mondo globalizzato, la cultura è una risorsa che va adeguatamente valorizzata. Il principio è peraltro stato sancito dalla nostra Costituzione.

Art. 9
“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”


Una richiesta ai candidati al Parlamento

Chiediamo che i candidati al Parlamento si impegnino ad aumentare progressivamente l’investimento del governo in cultura e in spettacolo, fino a raddoppiarne il valore reale nell’arco della legislatura.
Chiediamo altresì ai nostri rappresentanti all’interno degli enti locali di impegnarsi ad aumentare l’investimento in cultura e spettacolo.


 

BP
80.10 Il teatro italiano tra mercati e botteghe: verso il ridisegno dell'assetto economico
Con l'analisi di alcune Buone Pratiche
di Serena Deganutto e Michele Trimarchi

 

Cattedra di Economia dello Spettacolo e dei Media
Università IULM - 1 Via Carlo Bo - 20143 Milano
Tel. +39 02 891412631 - Fax +39 02 891412770
Posta elettronica: michele.trimarchi@iulm.it

Ve l’avevamo promesso nel corso dell’ormai mitico incontro sulle Buone pratiche, e le promesse noi di ateatro cerchiamo di mantenerle. Stiamo parlando della relazione di Serena Deganutto e Michele Trimarchi sugli aspetti economici della Buone pratiche e della relazione di Lori Dall’Ombra sull’attività del Comune di Milano.
Per quanto riguarda il testo di Deganutto e Trimarchi, confluirà nel volume che Mimma Gallina sta pubblicando per Franco Angeli (e al quale stanno collaborando altri amici di ateatro), una riflessione sull’attuale situazione del nostro teatro con una particolare attenzione agli aspetti economici, politici e organizzativi, e una serie di proposte concrete.
Ma per tutto questo c’è ancora tempo: riparleremo a tempo debito del libro di Mimma e delle sue proposte. Per il momento, leggete e riflettete. (n.d.r.)



1. Stasi istituzionale e risposte organizzative

Il settore teatrale italiano si evolve da molti anni all’interno di un paradigma istituzionale ed economico che appare statico e per più d’un verso renitente all’innovazione. Una forte e diffusa avversione al rischio, corroborata sul piano teorico da quelle interpretazioni – fondate sulla legge di Baumol – che vedono lo spettacolo dal vivo “condannato al fallimento” in quanto endemicamente incapace di coprire la massa dei costi con i propri ricavi diretti, sembra aver congelato la struttura del settore.

Le imprese teatrali, tradizionalmente sostenute in proporzioni notevoli dal finanziamento pubblico (le cui dimensioni e dinamiche sono governate da meccanismi sostanzialmente automatici che garantiscono la stabilità a prezzo dell’assenza di capacità innovativa), si trovano negli ultimi anni a fronteggiare una situazione inedita: da una parte, la struttura stessa del sostegno finanziario pubblico viene mantenuta immutata a dispetto di un crescente grado di cristallizzazione del settore; dall’altra i fondi pubblici - massimamente quelli statali – destinati al sostegno del teatro subiscono diminuzioni progressive, senza alcuna ragionevole aspettativa di un effettivo ritorno ai livelli precedenti.

A questo si aggiunga una certa discrasia tra gli aspetti formali e quelli sostanziali. In particolare si consideri che, mentre sul piano dei principi il finanziamento statale viene accordato a fronte della presentazione di un programma di attività e della valutazione della sua caratura culturale, le dinamiche dei fondi statali indicano una quasi assoluta rigidità nella loro evoluzione. In altre parole, le quote del Fondo Unico dello Spettacolo destinate a ciascun teatro rimangono più o meno fisse nel corso degli anni, a mostrare che il destinatario effettivo di tale forma di sostegno è il teatro stesso in quanto tale, e non la sua attività. Pertanto, non essendo l’attività la determinante del finanziamento statale, si può ritenere che i fondi siano stabiliti con un possibile margine di discrezionalità burocratica, derivante dalla valutazione che i dirigenti e i componenti delle Commissioni fanno del “blasone” dei destinatari, indipendentemente dalle variazioni dei loro programmi artistici e culturali.

In questa situazione, già di per sé complicata, si inseriscono nuove incertezze legate al ridisegno istituzionale attualmente in corso, che dovrebbe riallocare attribuzioni e responsabilità tra i diversi livelli di governo e del quale non si intravvede allo stato attuale uno sbocco univoco e incontroverso; al tempo stesso, l’emersione e il consolidamento di nuovi mercati della cultura e dello spettacolo, basati su supporti materiali a elevata tecnologia e capaci di veloce diffusione a costi bassi (si pensi anche soltanto alle ampie possibilità di scaricare files audiovisivi da internet) sembrano emarginare l’attività teatrale a baluardo di un passato non più riproducibile, relegandone le pur varie e vitali manifestazioni a una sorta di museo dello spettacolo destinato a consumatori nostalgici.

E’ vero che in un contesto siffatto la prima e più rilevante mossa spetterebbe allo Stato, che dovrebbe elaborare un disegno istituzionale e una serie di strumenti legislativi capaci di adeguare forme e modi del sostegno pubblico – in un indispensabile coordinamento con i livelli sub-centrali di governo – a una struttura complessa dei mercati: si pensi ai processi osmotici tra letteratura, teatro, televisione e cinema quanto all’utilizzo e allo sviluppo dei testi e delle loro diverse redazioni; o alla complessità di un mercato delle risorse umane (attori, registi, tecnici, esperti di comunicazione, etc.) in cui la formazione del valore passa attraverso le relazioni interne tra spettacolo dal vivo, settori dell’audiovisivo e cinema.

Va tuttavia osservato che la lunga attesa, sia pur legittima e tecnicamente più che giustificata di un radicale intervento da parte del legislatore, non può paralizzare il settore dello spettacolo dal vivo, che comunque porta una rilevante quota di responsabilità soprattutto in merito all’interpretazione proattiva delle trasformazioni delle società, della cultura, e dell’economia. Il dibattito sul sostegno del teatro, sempre acceso e vivace nel nostro Paese, spesso non produce che pressanti richieste di fondi, ignorando quasi del tutto le vistose problematiche legate alla definizione dei principi, dei criteri e dei meccanismi del finanziamento stesso.

Anche se si deve osservare che la riduzione sistematica del valore reale (e talvolta anche di quello nominale) del Fondo Unico dello Spettacolo non fa che minacciare la sopravvivenza stessa del settore. Pertanto, l’effetto delle scelte governative e legislative – voluto o meno che sia – è quello di indurre gli stessi operatori del settore a prestare più attenzione ai problemi dimensionali della finanza del settore, e conseguentemente a preoccuparsi troppo poco di aspetti meno eclatanti ma più importanti in un’ottica di medio-lungo periodo, come la dotazione infrastrutturale, l’adeguamento tecnologico, i network e le cooperazioni, le strategie dell’accesso, l’attrazione del pubblico potenziale.

Naturalmente, questa situazione di paralisi indotta appare dominante ma non del tutto pervasiva: vi sono operatori, imprese e gruppi operanti nel settore teatrale che hanno percepito con un certo anticipo rispetto agli altri la rilevanza sostanziale delle trasformazioni in atto, e hanno avviato una sorta di risposta empirica alla stasi istituzionale, mostrandosi consapevoli della necessità di esplorare nuove e diverse opportunità di crescita, nello sforzo di adeguare la qualità delle proprie risorse e l’incisività delle proprie scelte a un quadro strategico più complesso. Quelle che appaiono come delle buone pratiche rappresentano certamente dei casi di eccellenza nel variegato panorama del teatro italiano, ma soprattutto indicano alcune tra le possibili tendenze lungo le quali il settore teatrale crescerà nei prossimi anni.


2. Un modello rinascimentale, tra invenzione e informalità

I teatri italiani agiscono di norma come delle imprese di diritto privato (qualunque sia la loro etichetta formale, dovuta al consolidamento di una tassonomia burocratica non necessariamente corrispondente alla realtà), i cui programmi vengono valutati e “premiati” dall’istituzione pubblica con un certo ammontare di risorse finanziarie pubbliche. Il meccanismo del finanziamento statale, e spesso quello dei finanziamenti regionali e locali, che in sostanza ne imitano la struttura, appare privo di qualsiasi incentivo alla responsabilità imprenditoriale, nonostante si richiami ricorrentemente a criteri di efficacia e buona gestione e adotti come un parametro rilevante il risultato di pubblico e di finanza; per effetto di tale meccanismo, lo Stato si limita a erogare senza alcuna previsione di monitoraggio e di sanzione, e soprattutto a premiare la costanza dimensionale – causa ultima di un fiorente mercato dei borderò – rispetto all’innovazione linguistica, culturale, organizzativa o finanziaria.

L’attuale disegno del sostegno allo spettacolo mostra non soltanto di considerare il settore incapace di accrescere la propria autonomia finanziaria, ma non appare efficacemente finalizzato alla creazione di un sufficiente processo di ricambio sociale e generazionale del pubblico teatrale. In sostanza, il teatro è trattato come un settore che rischia l’estinzione, anche alla luce della convinzione – tutta da provare e per il momento soltanto intuitiva – che per diventare spettatore è necessario un lungo processo di apprendimento con caratteristiche iniziatiche, e che solo un elevato reddito e un buon grado d’istruzione possono costituire l’indispensabile viatico per poter varcare la soglia di un teatro.

E’ evidente come questa lettura sia paradossale, nella misura in cui imbalsama un settore che per sua natura dovrebbe distinguersi per capacità innovativa e per efficacia strategica; al contrario, gli stessi operatori teatrali spesso finiscono per accreditare questa visione delle cose, accettando di diventare una sorta di branca periferica di una burocrazia dedita a garantire una minima dotazione di “circenses” alle diverse aree del territorio nazionale.

Uscire da questo quadro statico e deresponsabilizzante implica innanzitutto una scelta interpretativa: qual è il ruolo che l’impresa teatrale intende assumere in una società complessa i cui temi di fondo diventano sempre più l’accesso all’informazione e il possesso delle tecniche, la convivenza tra strati sociali e gruppi culturali, la mobilità settoriale e territoriale degli individui e dei gruppi? I termini di uno slogan abusato ma attuale sulla città del prossimo futuro, tecnologia, talento e tolleranza, sembrano tratti direttamente dalla cassetta degli attrezzi del mondo teatrale. Lo spettacolo dal vivo, in questo senso, può porsi tuttora con pieno diritto – come sempre, in definitiva – nel ruolo emblematico di specchio acuto e di settore pilota in una società nella quale la gerarchia dei valori appare sempre più permeata da grandezze intangibili e caratterizzate da un forte contenuto informativo.

Si può osservare, di primo acchito, che per poter svolgere questo ruolo l’impresa teatrale deve liberarsi delle rigide gabbie nelle quali la pone la legislazione statale, regionale e locale; una condizione preliminare per il superamento di questa tassonomia ingessata è lo spostamento del proprio punto focale, dall’identità istituzionale verso l’evoluzione dell’attività. In altre parole, piuttosto che la struttura giuridico-organizzativa, ciò che dà forza al teatro è la sua attività (e dunque la coerenza, la riconoscibilità, l’evoluzione, la capacità di penetrazione e di diffusione della sua attività). Allentare le maglie significa in prima battuta superare i formalismi, e ragionare come una bottega rinascimentale, in cui la produzione è assistita da un processo continuo e piuttosto magmatico di scambi e relazioni con il mondo esterno, dalle altre botteghe a tutti gli interlocutori a monte e a valle.

A ben guardare, il settore teatrale ha sempre operato seguendo un modello organizzativo dai confini poco definiti, caratterizzato da un’acquisizione informale delle risorse umane, attraverso un processo in cui la formazione delle competenze avviene in gran parte durante lo svolgimento dell’attività, in cui la trasmissione del saper fare avviene in modo non strutturato e flessibile; tali caratteristiche generano due effetti paradossalmente opposti; da una parte, le risorse umane acquisiscono un valore crescente attraverso la propria mobilità tra diverse organizzazioni, grazie alla varietà delle esperienze realizzate in diversi contesti creativi e produttivi; dall’altra, le organizzazioni che svolgono la propria attività con continuità maturano nel corso del tempo una sorta di identità qualitativa di tipo stilistico che costituisce l’elemento più rilevante della loro attività produttiva.

Questi aspetti mostrano con chiarezza che le organizzazioni teatrali possono sfruttare in massimo grado le proprie potenzialità assecondando questo modello che abbiamo definito rinascimentale; ciò non deve tuttavia far ritenere che la scelta, più o meno consapevole, di rinunciare alla flessibilità negli ultimi decenni sia stata il frutto di una rinuncia o il sintomo di un atteggiamento passivo; si deve considerare che le trasformazioni della società e della sua gerarchia di valori nel secondo dopoguerra abbia sostanzialmente modificato il ruolo del teatro, non più centrale – sia come divertimento sia come consumo culturale – in una società in corso di democratizzazione e progressivamente attratta da mezzi d’espressione più a buon mercato che comportano un più basso costo d’accesso e d’apprendimento (e pertanto d’apprezzamento).

Se, dunque, la cristallizzazione del settore teatrale in Italia sembra potersi ascrivere a una sorta di “smarrimento” derivante da un veloce e crescente allontanamento della società dal paradigma che dominava fino alle Guerre Mondiali (la “pace dei cent’anni” descritta da Karl Polanyi nella “Grande Trasformazione”(1) essa comincia ad apparire meno giustificata negli anni più recenti, in cui la diffusione della tecnologia informatica e l’articolazione dei mercati culturali in una concatenazione caratterizzata dal diverso supporto materiale ma da un omogeneo contenuto creativo aprono la strada a un nuovo, più pertinente ruolo del teatro.


3. Buone pratiche per una strategia imprenditoriale

I segni di questo mutamento di rotta si cominciano a cogliere in una serie di esperienze, spesso embrionali e certo non consolidate, che danno la traccia di una consapevolezza nuova e più responsabile da parte di alcuni operatori teatrali. Non l’innovazione fine a se stessa, ma la necessità di sperimentare nuove vie alla creazione, alla produzione, all’organizzazione e al finanziamento del settore dello spettacolo dal vivo appare alla base di queste azioni orientate al fine ultimo di restituire al teatro la propria incisività linguistica e simbolica in una società che ha smesso di autocelebrarsi, che si interroga pesantemente sulle proprie dinamiche e sui propri valori, che percepisce se stessa come fragile e mutevole.

L’analisi di alcune di queste “buone pratiche”, lungi dal pretendere l’esaustività, e altrettanto renitente a fornire valutazioni comparative, può mostrarsi utile quanto meno a porre in evidenza alcune tra le possibili vie attraverso le quali il teatro si riposiziona nell’attuale temperie culturale, non soltanto per effetto di una consapevolezza forte sulla nuova ossatura della società, ma anche in conseguenza di una presa d’atto delle proprie più estese e versatili opportunità derivanti dalla tecnologia e dalla stratificazione dei mercati culturali. E’ naturale attendersi ulteriori sperimentazioni nel prossimo futuro, così come forse qualche fallimento di esperienze meno mature e solide. Ma l’ancora è gettata, e il teatro sembra aver comunque abbandonato le rassicuranti sponde della propria istituzionalizzazione.


a) Fanny & Alexander, la bottega dell’arte

Riconversione indirizzata alla differenziazione dell’attività produttiva, finalizzata a un’espansione dell’attività in diversi settori, e alla combinazione di esperienze collettive e individuali, in modo da perseguire efficacemente la crescita e la gratificazione sia dei singoli componenti sia dell’intera compagnia

L’associazione culturale “Fanny & Alexander” si sviluppa in un territorio che si può considerare teatralmente generoso. Conosciuta dal grande pubblico per un festival internazionale e per una notevole attività di prosa, Ravenna rappresenta uno dei poli più interessanti nella recente storia culturale della Regione Emilia-Romagna. Va osservato, sia pure incidentalmente, che si tratta di un caso in cui la presenza di un notevole (nel caso di Ravenna, unico) patrimonio culturale legato all’archeologia, all’arte visiva e all’offerta museale, non impedisce lo sviluppo di una serie di attività culturali rientranti nel settore dello spettacolo. Sono del tutto maggioritari i casi in cui il patrimonio architettonico, artistico e archeologico finisce per agire da zavorra rispetto alla possibilità di sviluppare altre vie d’espressione creativa e culturale.

Il contesto ravennate presenta un altro motivo d’interesse per la particolare importanza strategica che le istituzioni pubbliche attribuiscono alla cultura e allo spettacolo; dall’amministrazione regionale, provinciale e comunale alla Fondazione Cassa di Risparmio (ente giuridicamente privato ma dedito a finalità ampiamente sociali e ad un ruolo di parziale supplenza pubblica), le iniziative culturali sono sostenute e finanziate, anche se la progettualità e la responsabilità rimangono saldamente in capo alle organizzazioni che operano nel settore dello spettacolo dal vivo.

“Fanny & Alexander” si distingue per due aspetti precipui, che mostrano un modello emergente di struttura produttiva: da una parte, la deliberata informalità delle relazioni interne che compongono e scompongono, indefinitamente, gruppi e aggregazioni creative e progettuali all’interno dell’istituzione stessa; dall’altra, la scelta ecumenica di mostrare svariate possibili sfaccettature di un unico discorso culturale, uscendo dalle maglie del teatro e articolando la produzione in attività editoriali, convegni e seminari, attività formative, progetti culturali realizzati con diversi strumenti tecnologici ed espressivi (dall’audiovisivo alla performance), laboratori. In questo senso, particolare importanza risiede nella scelta di realizzare una sorta di “tutorato” maieutico (realizzato dal Teatro Stabile di Innovazione “Le Albe” di Ravenna) nei confronti della variegata attività teatrale svolta nel territorio, contribuendo ad articolare il pubblico e dimostrando che la generosità nei confronti degli operatori meno consolidati e del pubblico è capace di generare stabili effetti positivi di medio periodo.

Il primo aspetto appare particolarmente importante nel processo di generazione del valore (culturale ed economico), in quanto elabora e realizza un modello nel quale le singole individualità vanno a fondersi in una sorta di identità creativa collettiva, tornando in modo del tutto pertinente alla struttura ed alle finalità della bottega, in cui il “nome” è costituito da un coagulo di competenze, esperienze e prodotti che risultano sempre meno facilmente attribuibili a una singola risorsa, ma che al tempo stesso appaiono del tutto riconoscibili dal punto di vista della qualità identitaria.

In questo modo si esce da una delle trappole più insidiose della cultura borghese, il “divismo” anticipato dagli enfants prodige del tardo Settecento (si ricordi che il padre del giovane Beethoven gli abbassava l’età nelle occasioni pubbliche per renderlo più interessante all’uditorio), e consolidato nella figura del concertista à la Liszt. La diluizione identitaria individuale è il modo più efficace per rifiutare un modello culturale che spesso presta più attenzione all’interprete che non all’interpretazione, come testimonia la prassi dell’applauso di sortita, omaggio all’attore prima ancora che cominci a recitare.

Il secondo aspetto, tanto più importante in quanto associato al primo, riguarda la revoca in dubbio delle gerarchie canoniche tra i prodotti culturali. Il discorso culturale di “Fanny & Alexander” si realizza attraverso una molteplicità di mezzi espressivi e di prodotti materiali, ed è ricostruibile compiutamente soltanto a patto di analizzarne l’intera gamma. La vocazione culturalmente poliglotta del consumatore contemporaneo viene riconosciuta, rispettata e alimentata con una strategia del molteplice che esplicita la multidimensionalità dell’offerta culturale, al tempo stesso capace di generare reazioni emotive, cognitive, intellettuali.

E’ un modo del tutto efficace per accreditare uno dei cambiamenti più radicali nei mercati della cultura: la sopravvenuta insufficienza dell’esperienza diretta come unico prodotto culturale rilevante (a fronte di un ventaglio di riproduzioni o sottoprodotti tradizionalmente considerati di grado inferiore). L’articolazione dell’offerta culturale è una risposta razionale e incisiva al bisogno di superare l’esperienza diretta come unica azione culturale, e di inserirla invece in un più ampio spettro di consumi dal contenuto simbolico e informativo capaci di concorrere sostanzialmente a formare il valore culturale complessivo. In altri termini, tutte le attività diverse dalla messa in scena teatrale – e che appaiono caratterizzanti e maggioritarie nella strategia di “Fanny e Alexander” – sono esse stesse offerta culturale, con pari dignità rispetto alle attività da palcoscenico.

Un modello di azione culturale come quello realizzato da “Fanny & Alexander” incorre in un’evidente debolezza di fondo, derivante dalle scarse opportunità di finanziamento pubblico e dalla conseguente necessità di rivolgersi alle entrate di mercato in proporzione elevata per finanziare la propria attività produttiva. E’ possibile trasformare questa fragilità in un elemento di forza? Se si intercettano e si anticipano le aspettative e i bisogni dei consumatori emergenti, e se si allarga il proprio orizzonte strategico a quelle fasce di consumatori potenziali finora tenuti al margine del settore teatrale, si può immaginare un congruo incremento della propria quota di autonomia finanziaria, e dunque una minore dipendenza dalla variabilità (e un minore rischio di condizionamenti) dei finanziamenti pubblici.

Inoltre, potrebbe essere efficace, proprio nell’ottica della bottega e del distretto che ne è un coagulo territoriale, identificare una serie di possibili azioni pubbliche non consistenti nella mera erogazione di denaro, ma nella fornitura di infrastrutture, di tecnologie, di relazioni esterne agevolate, in una parola di opportunità capaci di comportare sensibili riduzioni dei costi e al tempo stesso visibili incrementi di stabilità.


b) Teatro Metastasio di Prato, innovazione e sensibilità sociale

Realizzazione di progetti originali in campi non convenzionali, capaci di moltiplicare reciprocamente lo spessore culturale e l’impegno sociale; particolare attenzione alla formazione dei giovani artisti e alla collaborazione con altri teatri del territorio

L’attività del Teatro Metastasio di Prato attribuisce un valore determinante alle opportunità derivanti dalla collaborazione con le altre istituzioni culturali operanti nel proprio territorio, e realizza una massiccia attività di orientamento e formazione nei confronti di giovani professionisti e di istituzioni teatrali non ancora strutturate e consolidate. Il dato saliente di questa strategia è la consapevolezza che un territorio culturalmente fertile e adeguato tanto sul piano artistico quanto su quello tecnico genera benefici ampi e condivisi.

A monte delle attività svolte, il Teatro Metastasio mostra di attribuire notevole importanza alla conoscenza analitica e critica del territorio teatrale; in questo senso, nel 2002 ha costituito un Osservatorio le cui rilevazioni sono finalizzate alla selezione e al sostegno di una serie di progetti culturali e artistici emergenti (e, in quanto tali, fragili o quanto meno non del tutto consolidate).

Inoltre, il Teatro Metastasio elabora e realizza un intenso programma di collaborazione interregionale; in questo ambito, ha proceduto all’associazione in un unico progetto di due rassegne teatrali (una propria e l’altra realizzata dal Teatro Stabile dell’Umbria); ha inoltre in corso di perfezionamento la proposta di attivare un sistema di sostegno congiunto da destinare a giovani artisti teatrali nell’ambito di un esteso bacino di riferimento che comprende l’Emilia-Romagna (ERT-Emilia-Romagna Teatro), l’Umbria (Teatro Stabile dell’Umbria), le Marche (Inteatro-Stabile di Innovazione delle Marche) e ovviamente la Toscana. Le collaborazioni riguardano anche alcune istituzioni straniere: il Theater an der Ruhr in Germania, con il quale viene realizzato un programma di scambi e riflessioni comuni su una serie di tematiche dell’attività teatrale; il Baltijskij Dom di San Pietroburgo in Russia, con il quale la cooperazione è focalizzata essenzialmente sulle attività formative e didattiche svolte congiuntamente.

Tale scelta, di uscire dai confini regionali con un progetto più complesso, risulta una risposta efficace nei confronti di una dominante tendenza all’isolamento e alla parcellizzazione delle opportunità. Questa risposta appare tanto più incisiva e pertinente quanto più si considera la lunga tradizione teatrale della città di Prato (considerata dagli addetti ai lavori la “capitale” teatrale della Toscana), e il conseguente progetto di mantenerne da una parte la vitalità e il livello senza adagiarsi su allori passati, e di espanderne dall’altra lo spettro di efficacia verso più ampie istanze sociali e partecipative.

L’adozione di una strategia aperta e cooperativa non va interpretata come un segno di consapevole “insufficienza”. Al contrario, essa si basa su una solida e multidimensionale attività artistica e produttiva, caratterizzata dalla realizzazione di una stagione teatrale in senso più canonico (ricca di approfondimenti critici e di occasioni di formazione del pubblico), e dalla programmazione di una serie di attività più segnate da un approccio progettuale (“Finestre sul mondo”, “Teatro ragazzi”, convegni e cicli di letture) e da incursioni culturali in settori contigui (“Rassegna Jazz”, “Filmare il teatro”, concerti di vario genere). In questo modo non soltanto è possibile intercettare le aspettative di fasce pù ampie e diversificate di pubblico, ma si riesce a consolidare, per il teatro, il ruolo e l’immagine di fucina culturale dallo spettro produttivo esteso ed eterogeneo.

Molto intensa è l’attività di formazione realizzata dal Teatro Metastasio; essa spazia da progetti di formazione e orientamento professionale che si avvalgono dei finanziamenti dell’Unione Europea erogati attraverso la Regione Toscana (“Patto ex Machina”), a percorsi formativi destinati a giovani attori (“Officina di Rem e Cap”); dalla Master Class per studenti e giovani professionisti (“Progetto Luca Ronconi”) al Laboratorio Internazionale (“Progetto Massimo Gorky”). Finanziato dalla Regione Toscana, dalla Provincia e dal Comune di Prato, suoi soci fondatori, il Teatro Metastasio interpreta la responsabilità derivantigli dall’uso dei fondi pubblici in un modo del tutto pertinente, e potenzialmente efficace nel moltiplicarne il valore in massimo grado, dal momento che rivolge il proprio interesse e le proprie risorse ad attività che promettono una ricaduta molto estesa e soprattutto che si mostrano capaci di generare flussi di benefici stabili nel lungo periodo (ad esempio, formando attori di qualità, o attirando un pubblico variegato).

Infine, va sottolineata la specifica sensibilità che il Teatro Metastasio mostra nei confronti delle aspettative e dei bisogni di una società complessa, destinando le proprie energie alla formazione e allo scambio con singoli appassionati e compagnie semiprofessionali che operano sul proprio territorio, accrescendone il grado di consapevolezza e il livello qualitativo attraverso iniziative formative specifiche o contatti e scambi regolari; fanno parte di questo filone di attività il Festival di Montalcino e la realizzazione di un Campus per giovani attori, registi e scrittori; la realizzazione di Contemporanea Festival; la collaborazione con Volterra Teatro e tutta una serie di iniziative rivolte al teatro giovane in Toscana.


c) Societas Raffaello Sanzio, la moltiplicazione della specie (teatrale)

Realizzazione di un progetto complesso di creazione e distribuzione di uno spettacolo “autogenetantesi”, in una sorta di evoluzione parallela del linguaggio teatrale da una parte, e dei meccanismi creativi, organizzativi, produttivi e distributivi dall’altra. Apertura di mercati ulteriori con materiali “derivati”

La storia della Societas Raffaello Sanzio la pone in antitesi con i modelli teatrali dominanti in Italia; mentre nel teatro canonico (e amato dalle istituzioni) tutto si realizza intorno a una sede stabile che diventa il centro di irradiamento di attività regolari dalle dimensioni prescritte per regolamento, o nella dimensione itinerante della compagnia di giro storica (a sua volta cratterizzata da modi di produzione, limiti e dimensioni di attività cristallizzati da tradizone e regolamenti), questa compagnia fa della mobilità e della leggerezza e dell’invenzione di proprie modalità produttive il proprio tratto distintivo.
Ovviamente, non si vuole intendere che questo modello sia preferibile, o sostituibile agli altri. In un contesto teatrale articolato, sono necessarie modalità operative diverse e complementari. La lezione che deriva dall’acutezza progettuale della Societas Raffaello Sanzio risiede nello sforzo di interpretare sé stessi come operatori culturali in una società multidimensionale, traendo indirizzi e obiettivi dalle proprie caratteristiche peculiari.

La Tragedia Endogonidia, sistema drammatico in evoluzione, scherza maieuticamente sulla contrapposizione tra i termini, l’uno pilastro del teatro di tutti i tempi che mette a fuoco le molteplici circostanze che conducono alla fine dell’eroe; l’altro biologicamente elementare, a indicare la possibilità di un perpetuo rinnovarsi della specie attraverso una fertilizzazione interna (si tratta di esseri viventi che possiedono, primitivamente, le gonadi sia maschili che femminili). Si parte dal teatro di sempre per arrivare a toccare i numerosi nervi scoperti di una società contemporanea che naviga a vista rischiando la deriva. In questo senso le modalità produttive della Tragedia Endogonidia appaiono una sorta di metafora economica dei suoi contenuti poetici e teatrali. Spostandosi di città in città in tutto il continente europeo per riprodursi in modo pertinente rispetto al contesto in cui viene, di volta in volta, realizzata, la Tragedia Endogonidia è uno spettacolo che rinasce sempre diverso da sé stesso, espandendosi attraverso una varietà di mercati (si pensi alle riproduzioni, ai documenti, alla rielaborazione tematica, etc.) nella misura in cui il territorio se ne renda permeabile.

Il progetto non nasce dal nulla. La Societas Raffaello Sanzio ha tradizionalmente esplorato opportunità produttive che nel contesto istituzionale italiano appaiono minoritarie se non avventurose. La sua attività ha prodotto il paradosso di una compagnia molto più conosciuta all’estero che non in Italia. Ciò non deve far ritenere che sotto il profilo economico-finnaziario la compagnia agisca irresponsabilmente. Al contrario, la scelta di perseguire una strategia idiosincratica si appoggia sul meccanismo del finanziamento per progetti (che potrebbe diventare quanto meno un parziale indirizzo a rinnovamento delle obsolete politiche pubbliche di sostegno del teatro in Italia), utilizzando pienamente opportunità derivanti dai programmi dell’Unione Europea, e negoziando modalità di sostegno ad hoc con gli enti territoriali. Questa scelta ha prodotto anche effetti indesiderati, se si riflette sul taglio dei fondi ministeriali giustificato, acrobaticamente, con la presunta prevalenza degli aspetti ideologici su quelli teatrali secondo gli esperti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

A smentita dell’opinione degli esperti ministeriali, che rivela comunque una certa paura nei confronti di forme non canoniche di produzione teatrale, si deve sottolineare che la Tragedia Endogonidia rifiuta di perseguire il modello del lavoro teatrale compiuto (e quindi capace di inviare allo spettatore “messaggi” precisi e previsti); al contrario, il lavoro si fonda proprio sulla propria capacità laboratoriale di evolvere in corso d’opera, spingendosi su terreni inediti e soprattutto imprevedibili anche sotto il profilo linguistico e culturale. Anziché offrire un prodotto, la compagnia mostra senza reticenze un percorso (ancora il modello della bottega “aperta” che risponde alle mummificazioni istituzionali) di tentativi creativi.

Un problema cruciale, nell’analisi di questa esperienza, è comprendere e valutare in quale misura un modello produttivo siffatto possa rappresentare un punto di riferimento e magari un esempio da imitare, nella prospettiva delle altre istituzioni teatrali italiane. Certo il modello della Societas Raffaello Sanzio può risultare utile per indicare uno tra i possibili percorsi che associano innovazione e responsabilità, discostandosi quanto meno parzialmente dal binario segnato con la definizione dei meccanismi del finanziamento statale (che vengono per lo più imitati pedissequamente a livello regionale e locale) ed elaborando forme di produzione in senso lato che tentino un approccio più incisivo con una società complessa e poco incline alle celebrazioni rituali proprie del meccanismo teatrale tradizionale. Più che imitare il modello, dunque, ciò che appare importante – e che può diventare in qualche misura paradigmatico in un settore teatrale in fase di cambiamento – è avviare un processo di analisi del grado di contatto (e quindi della effettiva capacità dialogica) con la società espresso da parte del teatro contemporaneo.

Va osservato, in conclusione, che l’esperienza della Societas Raffaello Sanzio appare del tutto in linea con le tendenze più interessanti che si manifestano in un altro complesso mercato culturale, quello dell’arte visiva contemporanea che viene racchiusa nell’etichetta ecumenica di “arte pubblica”, in cui non soltanto la pregnanza concettuale e linguistica, ma allo stesso modo le modalità di realizzazione e di inserimento nel contesto territoriale e sociale fanno parte con pari diritto di cittadinanza del “discorso” artistico e culturale. La separazione tra artista e produttore, tra aspetti creativi e scelte organizzative, va sfumando progressivamente, tornando anche per questa via a un paradigma che si libera dai propri vincoli tradizionali per esaltare le proprie caratteristiche artigianali, la propria flessibilità innovativa, la propria necessità di sfruttare la capacità relazionale del prodotto culturale.


4. Buone pratiche per una nuova capacità economica

Altre pratiche suggeriscono ulteriori indirizzi per un’effettiva uscita del sistema teatrale – o quanto meno dei suoi rappresentanti più avanzati – dalle attuali gabbie dell’istituzionalizzazione: staticità e ripetitività nell’offerta, scarsa responsabilità nelle strategie finanziarie, bassi incentivi all’innovazione, insufficiente cultura della cooperazione progettuale. I profili finanziari non sono elementi costitutivi dell’offerta culturale in quanto tale, tuttavia ne costituiscono il necessario sfondo, disegnando con precisione la mappa delle opportunità e dei vincoli che, in qualche misura, ciascuna istituzione teatrale sceglie attraverso l’accettazione totale o parziale del sistema stesso.

Ciò che sembra importante è la necessità di ridefinire i confini e le possibili reciproche interazioni tra le diverse fonti di finanziamento del teatro, tentando di esperire attivamente la disponibilità di nuovi soggetti, primo tra tutti la comunità territoriale, nei confronti di un intervento a sostegno del teatro. Si consideri che anche in questo senso la lettura attuale, fondata sulla bipartizione tra finanziamenti pubblici da una parte e sponsorizzazioni dall’altra, si mostra piuttosto semplicistica, dal momento che i teatri possono elicitare una serie di forme di sostegno e intervento (tra cui ad esempio la fornitura di servizi a elevata tecnologia, lo scambio di servizi specialistici con la concessione del diritto di esclusiva, l’accesso a mercati contigui, etc.) che possono permettere notevoli risparmi di risorse materiali e finanziarie, riducendo il fabbisogno di contributi monetari. In questi casi, anziché aspettare il ridisegno delle forme di intervento pubblico, o l’affermazione della sensibilità individuale di singoli manager aziendali, è il teatro stesso - destinatario del sostegno – a elaborare e realizzare forme di scambio che contribuiscano a ridurre sensibilmente i costi di produzione.


a) Arboreto di Mondaino, la residenza creativa

Realizzazione di un parco teatrale, luogo di residenza per artisti creativi e di formazione teatrale

L’Arboreto è un grande parco che si estende a Mondaino, in Romagna, al confine con le Marche; esso nasce come spazio dedicato agli artisti, all’interno del quale essi possono non solo effettuare le prove dei propri spettacoli ma anche soggiornare. Questo perché, come si legge sul sito web (www.arboreto.org), “coloro che vi soggiornano sono viaggiatori disposti alla sosta che si adagiano sul privilegio della sospensione considerandola ancor più importante della meta”. All’interno di questo enorme spazio verde, che è anche Centro di Educazione Ambientale, gli artisti trovano la pace e la tranquillità necessarie per lavorare e creare. Esso è inoltre sede di numerosi corsi e laboratori, che spaziano in tutti i campi dell’arte.

L’Arboreto nasce nel 1998, con un parco di nove ettari con circa seimila piante, due edifici adibiti a foresteria che possono ospitare 22 persone, la Sala del Durantino per laboratori, prove, dimostrazioni. Nel 2004 all’interno del parco viene inaugurato un nuovo teatro. Nel futuro, l’Arboreto progetta di spostare il peso principale della propria attività sulle residenze creative, riducendo la proporzione dei laboratori. Questo spazio non costituisce per gli operatori teatrali soltanto un’opportunità di formazione, ma anche una possibilità di sosta per fermarsi a riflettere sul proprio lavoro.

L’esperienza dell’Arboreto di Mondaino appare paradigmatica perché affronta uno dei problemi cruciali nella vita evolutiva del teatro come attività culturale creativa, quello delle residenze che in Italia sono prive di una disciplina organica, e in qualche misura ignorate dagli stessi operatori teatrali. L’Arboreto si propone infatti come esempio di residenza “leggera”, e costituisce un’efficace formula di supporto infrastrutturale per artisti teatrali creativi.

Inoltre l’Arboreto organizza una serie di corsi a pagamento (con soggiorno nella residenza gratuito) relativi non solo al teatro, ma ai temi più svariati (ad esempio, un corso tenuto dal cantante di una band giovanile sulla composizione di testi di canzoni); laboratori di teatro, danza, musica, cinema, scrittura e comunicazione; corsi di formazione per professionisti di integrazione posturale; spettacoli per bambini; corsi di educazione ambientale rivolti ai bambini di scuole elementari e medie; cicli di incontri nelle domeniche autunnali sulla salute (“Un thé col dottore”); pubblicazioni (libri e cdrom).

L’Arboreto è sostenuto da Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, cna Rimini, hera Rimini. Le istituzioni pubbliche che incidono sul territorio di riferimento dell’Arboreto (il Comune di Mondaino, il Comune di Riccione, la provincia di Rimini e la Regione Emilia-Romagna) partecipano direttamente all’associazione culturale, fondendo insieme finalità pubbliche e capacità progettuali, e al tempo stesso garantendo una crescita delle attività teatrali e della riserva ambientale in cui queste vengono realizzate che risulti compatibile con gli obiettivi della comunità territoriale e con i principi generali relativi alla valorizzazione della cultura e alla tutela dell’ambiente. L’Arboreto è patrocinato dall’università di Urbino.


b) Teatro Miela, la partecipazione civica

Realizzazione di un sistema di sostegno finanziario diffuso e di gestione dal basso della progettazione teatrale

Il Teatro Miela nasce in seno al progetto Bonawentura che si propose, nel 1990, di trovare alcuni cittadini disposti a versare, in contanti, a rate, o in qualsiasi altro modo, un milione di lire a testa in modo tale da poter adattare con la somma raccolta uno spazio teatrale che ospitasse culture e forme artistiche della contemporaneità. In poco tempo, intorno ai venti organizzatori iniziali si raccolsero più di 300 soci. Il teatro si pone ora come punto d’approdo nel quale possono riverberare esperienze diverse, ai margini dei grandi circuiti.

Il progetto Bonawentura era stato elaborato e intrapreso nel 1988 da un gruppo di operatori culturali e di appassionati, che aveva deciso di dar vita a un centro che fosse il punto di riferimento per una serie di esperienze frutto di relazioni artistiche, professionalità, talenti esistenti ma che non trovavano a Trieste uno spazio adeguato. Nasce allora l’idea di una cooperativa di soci che si autotassino. Individuato lo spazio, e grazie a un finanziamento ad hoc del Ministero dello Spettacolo, nel 1990 viene inaugurato il Teatro Miela. Purtroppo, alla scadenza del comodato, la compagnia proprietaria dell’edificio dove si trova il Teatro Miela decide di vendere lo stabile alla Provincia di Trieste. Dal 2001 ad oggi la sorte del Teatro non è ancora chiara.

Si tratta di un’iniziativa estremamente interessante, ma fragile, a causa della propria posizione deliberatamente marginale all’interno del panorama produttivo teatrale. La ricerca, che il Teatro Miela persegue sistematicamente, di un modello che privilegia le sperimentazioni e le innovazioni senza preoccuparsi dell’eccentricità di molte delle proprie manifestazioni, ha spinto il paradigma organizzativo del Teatro verso un modello caratterizzato da una sorta di dinamica snellezza, che passa attraverso il rifiuto del comodo pilastro degli abbonamenti, che nella percezione del Teatro Miela comportano più costi che vantaggi, anche in considerazione del proprio pubblico prevalente, poco interessato ad autovincolarsi indipendentemente dall’apprezzamento specifico per il progetto teatrale che viene realizzato di volta in volta.

La cooperativa Bonawentura adotta uno schema che le ha permesso, in ogni caso, di mantenersi viva e attiva fino ad ora: essa produce una certa quantità di serate annuali; altre vengono garantite da affitti (spettacoli, convegni, festival, riunioni aziendali). E infine ci sono delle attività considerate interessanti, o particolarmente affini, o artisticamente valide, il cui meccanismo è quello della coproduzione. Tutto ciò ha permesso al teatro di essere particolarmente indipendente. Mai, neppure nei momenti più critici, il Miela ha rinunciato a produrre eventi, creare invenzioni eccentriche, intuendo in anticipo quali spettacoli avrebbero sfondato. Il teatro si sostenta finanziariamente grazie a una gamma estremamente variegata di attività quali, oltre naturalmente agli spettacoli teatrali, letture di poesie, cabaret, mostre, proiezioni cinematografiche.

Se un paradigma produttivo del genere appare probabilmente poco allettante per eventuali finanziatori privati, e se – d’altro canto – un’apertura al mercato potrebbe implicare l’estensione delle attività realizzate a servizi eterogenei (dalla realizzazione di festival all’organizzazione di mostre e altre iniziative relative a settori contigui), si deve osservare che questo tipo di esperienza pone a gran voce l’esigenza che almeno una parte dei finanziamenti pubblici sia svincolata dall’attuale lista di requisiti formali, e consenta invece un sufficiente grado di negozialità tra ente pubblico e destinatario del sostegno, in modo da garantire pari opportunità di accesso ai fondi pubblici a quelle istituzioni culturali che vedrebbero snaturata la propria attività e le proprie strategie di fondo aderendo alle griglie del “teatro di stato”. Si può ritenere che l’ente territoriale maggiormente efficace in questo compito di flessibile determinazione del sostegno al teatro potrebbe essere la Regione.

Paradossalmente, il teatro nasce per dare spazio alle realtà emergenti e innovative, soprattutto quelle triestine. Nonostante questo, e a fronte di un positivo rapporto con la Regione, attualmente le relazioni con gli enti locali sono conflittuali, anche per via dell’ancora irrisolta situazione relativa allo stabile.


c) “La Nave Fantasma”, dalla realtà al palcoscenico

Sottoscrizione popolare per realizzare uno spettacolo che narrasse un fatto realmente accaduto

Lo spettacolo “La nave fantasma”, ispirato a una vicenda realmente accaduta il 25 dicembre 1996 a largo di Portopalo, in Sicilia 2, era un progetto che il Teatro della Cooperativa da tempo desiderava realizzare, sviluppando un tema legato alla sensibilità sociale. Sembrava però molto difficile da portare in scena, per la carenza delle risorse economiche necessarie a finanziarlo. Ma proprio la mancanza di risorse economiche e l’improrogabilità di questa vicenda, il suo carattere umano, sociale e politico, hanno fatto avvertire agli organizzatori la crescente urgenza di dire e di fare qualcosa, non solo per il teatro. E’ stata quindi lanciata una campagna di sottoscrizione popolare per raccogliere i fondi necessari alla produzione. La cifra raccolta sarebbe stata destinata – nell’intenzione dei produttori – non solo alle spese di produzione e promozione dello spettacolo, ma anche alla realizzazione di materiale video, cartaceo e digitale di approfondimento da distribuire in modo capillare e gratuito ai parenti delle vittime, a istituti scolastici, associazioni, circoli e realtà che si occupano di immigrazione.

La notte del 25 dicembre 2003 è stata lanciata una campagna di sottoscrizione popolare per raccogliere i fondi necessari alla produzione. La Nave Fantasma è stata messa in scena l’anno successivo, replicata a lungo a Milano nel teatro gestito dagli stessi produttori, e inserita nei calendari di diversi teatri di tutta la penisola. Il risultato economico tuttavia, è stato irrisorio: 6.000 euro raccolti. Nonostante la scarsa performance economica registrata dalla formula inedita della “sottoscrizione popolare”, lo spettacolo ha registrato il tutto esaurito a Milano (e sta ottenendo risultati analoghi negli altri teatri d’Italia) Rappresenta quindi un caso di pratica teatrale che trova una grande adesione di pubblico ma non adeguate fonti di finanziamento. La questione appare cruciale: fino a che punto si può attribuire un ruolo di supplenza alla comunità locale, se le istituzioni appaiono sorde al fabbisogno finanziario di un’impresa culturale?

Tuttavia, comunque si scelga di rispondere al dilemma, l’esperienza di questo lavoro teatrale mostra un dato fondamentale, se si vuole avviare una seria e completa riflessione sull’atteggiamento del consumatore culturale al di là degli stereotipi che anche gli economisti hanno cotribuito a creare ed a consolidare. Il dato consiste nella forte ed estesa disponibilità degli individui e dei gruppi sociali di partecipare finanziariamente alle sorti del teatro, e sposta l’accento rilevante, della questione dal cruciale punto relativo all’esistenza di un consenso attivo nei confronti del teatro, in direzione della necessaria definizione dei meccanismi più efficaci e pertinenti per mettere in collegamento le risorse della comunità e le attività teatrali (imposte centrali vs. imposte locali, donazioni dirette vs. co-progettazione, incentivi fiscali vs. benefici privati, etc.).

Al contrario, un impatto molto forte delle scelte strategiche adottate in occasione della produzione della Nave Fantasma si è registrato sul piano pubblicitario, con un ritorno d’informazione sulla stampa e presso il pubblico nel suo complesso altrimenti conseguibile soltanto attraverso notevoli investimenti finanziari.


d) Servizi comuni, le economie di scala

Realizzazione di centri per la produzione e la fornitura di servizi a una pluralità di teatri.

Nonostante l’elevato grado di competizione che i teatri mostrano reciprocamente (competizione di solito finalizzata al finanziamento pubblico e non a massimizzare gli spettatori) si deve ritenere che la struttura del sistema teatrale e le singole organizzazioni in esso operanti potrebbero trarre notevole vantaggio sul piano tanto gestionale quanto finanziario dalla messa in comune di un certo numero di servizi. Recentemente sono sorte alcune aggregazioni anche informali, associazioni, cooperative, che si propongono di rappresentare più enti teatrali o che offrono i propri servizi alle compagnie del settore. Non si tratta di un fenomeno nuovo, ma che sta vivendo una ripresa e caratterizzandosi per forme abbastanza originali rispetto al passato.

FaQ, ad esempio è l’organismo che riunisce il teatro giovane milanese (limitatamente alle attività di produzione): un tavolo di confronto che mancava a queste realtà, che sta portando ad elaborazioni critico-organizzative interessanti, e come primo risultato concreto si è qualificato come forma di rappresentanza indipendente nei confronti della Regione Lombardia (un precedente non irrilevante: si tratta infatti di gruppi non aderenti al’AGIS, che è per tradizione l’unico organismo sindacale riconosciuto).

Develop.net consiste nella creazione di un coordinamento tra le strutture teatrali aderenti: l’obiettivo è di creare, dopo un anno di collaborazione estesa, un grande centro di ricerca teatrale indipendente, autogestito e diffuso, con spazi dislocati in tutta Italia. E’ il prototipo di un circuito produttivo e organizzativo alternativo e complementare a quello istituzionale (anche, ma non solo, legato ai centri sociali).

Anche Danny Rose, la cooperativa che ha curato l’organizzazione della conferenza sulle buone pratiche e che è costituita esclusivamente da giovani professionisti provenienti dalla Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi”, costituisce un importante collegamento tra formazione e professione, ancora alla ricerca dei modi e degli ambiti più corretti su cui operare nel campo dei servizi alle compagnie, della gestione di progetti e anche nella qualità di braccio organizzativo esecutivo della Scuola.

369gradi di Roma, invece, si popone come realtà più matura nel settore, anche perchè coloro che ne fanno parte vantano una maggiore esperienza tecnica, e hanno deciso di mettere le proprie competenze al servizio delle compagnie teatrali, focalizzando la propria attività nell’area dei “servizi” alle compagnie: quei lavori “piccoli e scomodi”, ma particolarmente e assolutamente necessari, come l’ufficio stampa o il recupero crediti.

NOTE

1 Karl Polanyi, The Great Transformation, New York, Rinehart & Co., Inc., 1944.
2 Lo spettacolo è la trasposizione teatrale di una vicenda di cronaca che per troppo tempo è passata inosservata: il 25 dicembre 1996 a largo di Portopalo in Sicilia affondò un battello carico di migranti provenienti da India, Pakistan e Sri Lanka. Le vittime furono 283. Ma i mass media, eccetto rare eccezioni, non se ne occuparono e le autorità si mostrarono molto scettiche. Nulla è ancora stato fatto per recuperare il relitto e i corpi delle vittime. Il Teatro della Cooperativa ha realizzato pertanto il progetto di mettere in scena tale dramma. Questo perché il naufragio fantasma rappresenta una sintesi drammatica della vasta problematica connessa al tema dell’immigrazione: la disperazione dei migranti, il silenzio di autorità e media, la ferocia dei trafficanti di esseri umani, la terribile indifferenza e paura della nostra società.


 

BP04050
114.50 Come sono andate le Buone Pratiche 04?
Un bilancio a caldo
di Redazione ateatro

 

Beh, possiamo dire di essere usciti dall'EMERGENZA a testa alta...
A parte gli scherzi, è andata molto bene. Oltre 150 presenze (così tante che non abbiamo fatto ancora il conto preciso), malgrado gli scioperi e le influenze. L'ospitalità della scuola e l'impegno degli allievi del corso organizzatori hanno offerta una cornice piacevole ed efficiente. La giornata è stata ricca e intensa, con moltissime informazioni, mille spunti di riflessione e tante domande aperte. Erica Magris, che ha preso appunti per ore e ore, racconterà la cronaca della giornata.

Cercheremo di pubblicare sul sito anche le relazioni (le Buone Pratiche già sono a disposizione nel forum).

Vogliamo inoltre di tenere alta l'attenzione: la presenza della senatrice Giovanna Capelli (Commissione Istruzione e Beni culturali del Senato), così come l'anno scorso quella dell'onorevole Alba Sasso (vicepresidente Commissione Cultura della Camera), ci confermano l'interese che suscita la nostra iniziativa e la possibilità un dialogo cone le istituzioni.
Naturalmente vi terremo informati.

Il forum è come sempre aperto ai vostri contributi e alle vostre curiosità.


 

BP04051
114.51 Il fotoromanzo dell'Emergenza!
Le Buone Pratiche 04 a Milano

Fra dati scoraggianti, progetti inventivi e tensioni ideali il racconto della giornata del 1° dicembre
di Erica Magris

 

Una Buona Pratica nelle Buone Pratiche: definirei così la giornata di "BP04 Emergenza!", per diverse ragioni. Con ritmi serrati ma ben organizzati - il trillo della torta al cioccolato non è stato impietoso come quello del mitico peperone, anzi, è stato addirittura anticipato da alcuni relatori - figure molto diverse fra loro per competenze e percorsi hanno raccontato da punti di vista altrettanto diversi le possibilità di formarsi, di emergere e di affermarsi nel sistema teatrale italiano attuale. Anche nel quadro non incoraggiante dei dati, gli interventi non sono mai caduti nel lamento e nella polemica: pur manifestando giuste rivendicazioni ed evidenziando problemi oggettivi, sono stati animati dalla volontà di proporre soluzioni, dall'entusiasmo e dalla passione per riuscire a fare ciò in cui si crede.
Fra il pubblico, erano numerosi i giovani - attori, operatori, registi - appena usciti dalle scuole e dagli enti di formazione di cui si è voluto esaminare l'utilità, venuti da diverse parti d'Italia per informarsi e per scoprire nuove opportunità. L'attenzione della platea è rimasta desta e partecipe fino al termine…
...e adesso tocca a me raccontare a chi non c'era come si è svolta questa intensa giornata, cercando di rendere onore all'interesse che i diversi interventi hanno saputo suscitare.



Erica Magris non s’è persa un minuto: grazie da tutta la redazione di ateatro per questo superverbale. Le foto sono di Alice Asnaghi, allieva del corso operatori della Civica: manythanks anche a lei!

Una premessa prima di iniziare: per quanto possibile, in caso di incertezza, ho cercato di verificare, ma non posso garantire al 100% l'esattezza delle cifre citate. Se capiterà che dia i numeri, spero che i relatori reclamino una pronta rettifica!


Introduzione

Ha aperto i lavori Oliviero Ponte di Pino, con un'introduzione che ha chiarito le ragioni dell'iniziativa e ha posto le problematiche che questa edizione di BP si pone l'obiettivo di affrontare (cfr. documento). La riflessione parte dall'osservazione del cambiamento radicale che ha investito negli ultimi anni da un lato la formazione e il passaggio all'esercizio delle professioni teatrali, in particolare quelle organizzative, dall'altro i sistemi della selezione e della visibilità delle nuove leve artistiche. Una situazione in cui la moltiplicazione dei canali di (presunto) accesso al sistema teatrale sembra non significare necessariamente l'aumento effettivo delle opportunità. Da questa premessa, ci si è immediatamente immersi nei dati, grazie al quadro d'insieme disegnato da due "osservatori professionisti" dello spettacolo, Giulio Stumpo e Antonio Taormina.


Il quadro d'insieme: numeri, esigenze e limiti del sistema spettacolo

GIULIO STUMPO dell'Osservatorio dello Spettacolo ha sottolineato un'emergenza che coinvolge giustamente la base stessa di ogni qualsiasi politica per lo spettacolo: i numeri. Raccogliere e conseguentemente interpretare i dati è infatti estremamente difficile, visto che metodi e parametri non omogenei danno luogo a risultati divergenti. L'Osservatorio tenta di arginare questa tendenza alla confusione, partendo proprio dall'analisi delle modalità in cui i numeri sono stati ottenuti e dall'incrocio di diverse fonti, ponendosi inoltre degli obiettivi per stabilire come raccoglierli e come interrogarli. Stumpo passa poi a illustrare i risultati ottenuti, offrendoci un'anticipazione della relazione che verrà presentata a breve in Parlamento (una primizia, quindi!).

I parametri selezionati per valutare la salute e le tendenze del sistema teatrale italiano, sono cinque :

1. Spesa pubblica
2. Spesa privata (incassi)
3. Occupazione
4. Numero dei biglietti venduti
5. Numero degli spettacoli

Per quanto riguarda la spesa pubblica, nel 2006 il taglio del FUS è stato pari al 18%: si è inizialmente passati da uno stanziamento di 464 ad uno di 377 milioni di euro (va osservato che all'editoria, ed in particolare ai quotidiani, un settore che dovrebbe reggersi sul mercato, vengono invece attribuiti 420 milioni di euro). In seguito, col decreto Bersani, il fondo è stato integrato con 50 milioni, ma la perdita è stata comunque pari all'8%, che in qualunque impresa risulterebbe problematica e che lo è quindi anche per lo spettacolo. Ai 427 milioni del FUS bisogna inoltre aggiungere i 20 milioni di euro del fondo di co-finanziamento stato/regioni, di cui però manca ancora un report. Per il momento si può affermare che si tratta del vero elemento di novità introdotto nel sistema dei finanziamenti, ma in cui si è investito molto poco. Ma oltre al FUS, rientrano nell'ambito della spesa pubblica una miriade di altre iniziative che vi ruotano attorno, e che è estremamente difficile valutare. Per esempio i fondi della Commissione Esteri, l'ARCUS, quelli provenienti dal lotto, dall' 8 e dal 5 per mille, quelli elargiti da altri ministeri (Sviluppo Economico, Finanze), dalla Presidenza della Repubblica, senza contare le iniziative degli enti locali. La molteplicità delle unità amministrative da cui questi finanziamenti dipendono rende questi dati, pure fondamentali, difficili da riunire.



L’impeccabile logistica è stata assicurata da alcune allieve del corso operatori, disciplinate da Mimma Gallina: un ringraziamento di cuore per la loro cortesia ed efficienza, ha tutto funzionato alla perfezione.

Anche gli incassi da botteghino non sono facilmente determinabili, a causa della natura anomala della fonte principale di questi dati, la SIAE, un organismo "strano": è privato ma riscuote per conto dello Stato. La SIAE non ha la funzione di fornire statistiche, ma di retribuire gli autori. Il dato più rilevante e sicuro pertanto è quello riguardante l'incasso in biglietteria, mentre risultano più incerti il numero degli spettacoli e degli spettatori. L'anno scorso si sono rilevati poco meno di 950 milioni di euro di incassi. La spesa al botteghino è dunque aumentata del 2%, ma non bisogna lasciarsi ingannare da questo dato positivo, che dipende dai dati riguardanti i circhi, che in precedenza non erano inclusi e che sono cresciuti del 186,7%. Anche in questo caso, bisogna andare a leggere cosa c'è dietro il dato per comprendere la realtà: questo aumento è in realtà dovuto alla tournée italiana del Cirque du Soleil, che ha fatto impennare le entrate.
Un'osservazione ulteriore: bisogna considerare che siamo quindi di fronte a numeri molto piccoli, per cui basta uno spettacolo o un film di successo a modificare completamente i risultati. In conclusione, se si escludono dai calcoli gli incassi dei circi, la spesa per i biglietti è diminuita dello 0,4%.

Per determinare l'occupazione ci si è serviti inizialmente dei dati ENPALS, che pure non sono raccolti a fini statistici, ma per il calcolo dei contributi. L'ENPALS considera quindi le giornate lavorative e le retribuzioni. Grazie a un'indagine più raffinata si evince che nello spettacolo ci sono 140.000 lavoratori; in effetti il numero in realtà corrisponde alle unità di lavoro e non rispecchia quindi la realtà delle persone effettivamente attive. Le giornate medie lavorative sono 61 all'anno, quando significativamente il parametro minimo adottato dall'ENPALS per un anno di lavoro è di 120 giornate. La retribuzione media è di circa 7120 euro all'anno. Tenendo conto che la soglia di povertà relativa per l'ISTAT corrisponde a 11000 euro, si può concludere che il 45% dei lavoratori dello spettacolo è sotto alla soglia della povertà. Se si guarda ai dati d'insieme, le retribuzioni complessive ammontano a 950 milioni di euro, cifra lievemente maggiore agli incassi al botteghino. Da un grafico che classifica le professioni per giornate lavorative e retribuzioni medie, emerge un dato preoccupante: la parte artistica – rappresentata in particolare da concertisti e attori - è quella che ha una situazione più instabile e povera.

A partire dai dati così raccolti, l'Osservatorio ha elaborato un indicatore sintetico dello sviluppo dello spettacolo relativo al periodo 2001 al 2005, per il cui calcolo si è tenuto conto dell'inflazione. Nel quinquennio considerato, la crescita è stata del 4%, ma includendo anche il cinema. In realtà, senza il cinema si è verificata una diminuzione del 0,3%, perché nel cinema sono cresciuti i numeri degli spettacoli (+36%). Nello spettacolo dal vivo invece gli spettacoli sono diminuiti, se pur in maniera quasi irrilevante ( -0,21%), sono diminuite significativamente le giornate lavorative (-15%) e i finanziamenti (-19%), mentre sono aumentate la spesa privata (+8%) e il numero dei biglietti venduti (+19%).

Per concludere con una nota positiva, Stumpo ha comunicato che è stato finanziato un progetto di armonizzazione delle statistiche per gli osservatori regionali: finalmente si è presa di coscienza della necessità di capire come si raccolgono i numeri per poterli interpretare e trarne delle conclusioni, anche operative, corrette.



Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino, Giulio Stumpo e Antonio Taormina.

ANTONIO TAORMINA della Fondazione ATER ha approfondito i dati presentati da Stumpo, focalizzando l'attenzione sulle problematiche legate all'occupazione e alla formazione in ambito teatrale. Dal lavoro congiunto realizzato con Stumpo, i dati relativi al teatro di prosa presentano un aumento del personale artistico (+16%) e tecnico-amministrativo (+13%), mentre diminuiscono le giornate lavorative e le retribuzioni. Non si riscontrano quindi segnali positivi, al limite una continuità con le tendenze passate. Ma, al di là dei numeri, è fondamentale cercare di capire cosa richiede il mercato oggi e come la formazione risponde alle esigenze del mercato.

Il mercato esprime una forte esigenza di figure gestionali e organizzative altamente specializzate, le cui competenze vanno oltre il management, e possono essere piuttosto definite come cultural planning, che comprende quindi discipline come lo sviluppo urbano, l'antropologia culturale, ecc.. Le formazioni richieste dovrebbero essere quindi sempre più avanzate, e preparare professionisti in grado di agire e di reagire alle trasformazioni. Il livello che si chiede oggi è molto superiore a quello di vent’anni fa e paradossalmente, le imprese hanno difficoltà a trovare le persone di cui hanno bisogno, nonostante l'offerta di formazione sia sempre più ampia.

Il problema fondamentale è che la formazione offerta è troppo generica, ed in parte ciò è dovuto alla sovrapposizione della formazione universitaria e professionale. All'inizio degli anni Ottanta, soprattutto in ambito dell'organizzazione, il fondo sociale europeo, le iniziative di alcuni istituti e di alcune regioni hanno permesso lo sviluppo di un valido sistema di formazione professionale, che è però entrato in crisi con la riforma dell'università. All'università sono infatti attribuiti oggi quei compiti che erano invece delle regioni, causando la moltiplicazione dei corsi e degli istituti. Il mondo universitario però ha paura della specializzazione, come dimostra il fatto che proprio parole fondamentali come "organizzazione" e "spettacolo" sembrano essere un tabù nei titoli dei master. La riforma universitaria non ha inciso sul mercato in realtà, ma ha messo in luce la mancanza di strumenti per valutare le esigenze del mercato.
Un'altra carenza del nostro sistema formativo siamo è l'assenza di aggiornamento e di formazione continua: si è cercato di formare nuove figure senza cercare di cambiare quelle già attive. Inoltre, non esistono programmi che permettano di stabilire un dialogo fra gli operatori di enti privati e pubblici.



L’affollata e diligente platea delle Buone Pratiche.

Nel complesso si riscontra un disordine della moltiplicazione, in cui giovani che cercano di costruirsi dei percorsi si trovano di fronte a un'offerta ampia e indiscriminata. Non esistono metodi per valutare la qualità delle formazioni, ad esempio facendo riferimento alle qualità dell'impiego trovato in seguito ad esse, e forse ci sono anche cattivi maestri.

Taormina indica delle possibili soluzioni a questo paradosso innanzitutto nello sviluppo di strumenti per analizzare l'andamento del mercato, che siano attivi ad esempio negli osservatori regionali, e quindi di forme strutturate fra università, enti di formazione, istituti di ricerca ma anche organizzazioni sindacali. Una buona iniziativa in questo senso è l'istituzione di poli formativi da parte di alcune regioni, nei quali si realizzano tutti i processi riguardanti la formazione e l'inserzione professionale, dall'analisi di mercato all'introduzione delle figure formate nel mondo del lavoro. Inoltre, il miglioramento della situazione attuale può basarsi sulla definizione di rapporti sinergici fra Governo e Regioni per creare politiche comuni che coinvolgano la cultura, la formazione, il lavoro, e infine sull'incentivazione delle imprese che vogliono investire in formazione.

Per quanto riguarda il finanziamento della formazione, negli anni Novanta si è creata una situazione anomala dovuta all'intervento del fondo sociale europeo e all'istituzione dei master (nel 1996 per esempio erano attivati 150 corsi di formazione finanziati tutti dal fondo sociale europeo). Mancano completamente i fondi strutturali del ministero dello spettacolo o del ministero dell'università.

Vi è infine la questione fondamentale delle qualifiche professionali, che sono attribuite dalle Regioni sulla base di standard stabiliti dalle Regioni stesse. Mentre il sistema spettacolo è nazionale, le qualifiche sono diverse da regione a regione, e si sovrappongono in alcuni casi a quelle rilasciate dalle università. È un grave problema di cui si è recentemente presa coscienza, anche sulla spinta delle indicative europee. Si è da poco costituito per iniziativa del Ministero del Lavoro un tavolo di discussione con Università, Regioni e Province per confrontare i dati e uniformare le qualifiche. Ma il sistema unificato (nazionale ed europeo) per lo spettacolo è ancora lontano, e i tempi per la sua messa a punto saranno ancora lunghi.

Nelle relazioni di Stumpo e Taormina le parole chiave sono quindi dispersione, mancanza di coordinamento, moltiplicazione e genericità, frammentazione. La mancanza di organizzazione, che penalizza ulteriormente l'innegabile carenza di risorse, rende quindi l'accesso e la visibilità nel mondo dello spettacolo, e nel teatro in particolare, estremamente instabile e difficoltoso sia per gli organizzatori che, soprattutto, per gli artisti. Nuove tendenze sembrano però andare nella direzione di una se pur lenta soluzione di tali disfunzioni strutturali.


Una reazione e una proposta dalle istituzioni

Fuori programma, interviene a questo proposito la SENATRICE GIOVANNA CAPELLI.



La senatrice Giovanna Capelli.

Pur ammettendo che la Commissione Istruzione e Beni Culturali, di cui fa parte, si è per il momento occupata principalmente della pubblica istruzione, afferma che essa può giocare un ruolo centrale in questa fase, in cui sono forti le esigenze di un cambiamento radicale e in cui è stata presentata una nuova proposta di legge per lo spettacolo. Purtroppo il mondo dello spettacolo dialoga principalmente con il Governo, mentre il Parlamento potrebbe e dovrebbe svolgere una funzione determinante per discutere e decidere delle politiche condivise. Come osserva una spettatrice, ciò potrebbe essere dovuto alla mancanza di una legge per il teatro, che ha reso inevitabilmente l'esecutivo il referente principale di un settore regolato da circolari ministeriali. D'altra parte Mimma Gallina evidenzia due problemi : il primo, che nel settore teatrale esiste un fondamentale problema di rappresentanza ; il secondo, che il Parlamento dovrebbe vigilare affinché l'attribuzione dei finanziamenti diventi trasparente, e si emancipi da una gestione clientelare.
L'invito avanzato dalla senatrice Cappelli di costruire una piattaforma di dialogo che agisca tramite l'organizzazione di convegni, di approfondimenti pubblici è comunque significativa e incoraggiante.


Le fondazioni bancarie: una nuova opportunità

Nell'intervento seguente si abbandona temporaneamente l'ambito delle istituzioni pubbliche per esplorare invece una Buona Pratica realizzata da soggetti privati, il cui orientamento è proprio la trasparenza: le fondazioni bancarie.

ANDREA REBAGLIO della Fondazione Cariplo offre una panoramica sulle attività svolte dalle fondazioni bancarie, un sistema recente, la cui costituzione risale al 1990 e la cui reale attività è iniziata alla fine degli anni Novanta.
Le fondazioni bancarie sono soggetti privati ma con finalità di pubblica utilità, deputate ad erogare fondi al territorio. Esistono attualmente in Italia 88 fondazioni, riunite nell'Acri (www.acri.it), un organo volto a stabilire un certo coordinamento nonostante gli inevitabili squilibri dovuti alla loro natura territoriale. I finanziamenti possono essere ottenuti non da individui ma da soggetti formalmente costituiti, siano essi enti no profit, enti pubblici o religiosi.
Spetta alle singole fondazioni determinare i propri ambiti di intervento. Tutte prevedono quello artistico-culturale, per il quale mediamente stanziano il 30% delle risorse. Anche le finalità di statuto e i documenti strategici sono stabiliti singolarmente, ma un dato che le accomuna è la messa a punto di strumenti che permettono di monitorare e valutare i risultati del loro operato. Le possibili modalità di intervento sono molto varie:

- tramite erogazioni territoriali, di solito annuali, e istituzionali, pluriennali;
- attraverso la pratica del bando, molto diffusa e ugualmente diversificata (dal bando generalista a quello estremamente specifico);
- tramite progetto, vale a dire attività in ambiti prioritari con maggiore coordinazione e intervento;
- tramite società strumentali create dalle fondazioni(fondazioni o s.p.a. per perseguire finalità specifiche).

Rebaglio entra poi nel concreto, offrendo una rassegna delle più importanti fondazioni per attività erogativi. Nel complesso, i primi dieci istituti concedono il 70% dei finanziamenti sul territorio nazionale, pari a 850 milioni di euro, di cui un terzo è destinato all'ambito artistico-culturale. Con una certa approssimazione si può affermare che al teatro siano destinati complessivamente a 100 milioni, ma senza tenere conto delle legate invece alla formazione che rientrano in altri ambiti di intervento.

- La Fondazione Monte dei Paschi (www.fondazionemps.it) interviene sul territorio nazionale, attraverso un solo bando, con due tipologie di progetto (fino a 500000 euro con almeno il 20% co-finanziato dal richiedente, per più di 500000 con almeno il 30% co-finanziato dal richiedente).
- In Piemonte sono attive la Compagnia di San Paolo (www.compagnia.torino.it) e quella della Cassa di Risparmio di Torino (www.fondazionecrt.it) , la cui azione è considerevole. San Paolo (che interviene su quattro regioni: Piemonte, Val d'Aosta, Liguria, Campania) eroga a favore di particolari enti, ma emana anche bandi specifici per rassegne e stagioni teatrali. La fondazione della CRT è più strutturata, e realizzata progetti gestiti direttamente dalla fondazione (per esempio la rassegna "Not&Sipari" per il teatro giovanile). Dei 30 milioni erogati, la metà è per lo spettacolo dal vivo.
- Meno impegnate sul fronte dello spettacolo sono le fondazioni del Nord-Est : la fondazione Cariverona (www.fondazionecariverona.org) è più volta al restauro, e quindi le attività di spettacolo finanziate sono spesso legate a luoghi restaurati, mentre nelle attività della fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo (www.fondazionecariparo.it) è piuttosto presente la musica, mentre del tutto assente è il teatro. Un'eccezione in questo senso è la Fondazione Cassamarca (www.fondazionecassamarca.it), che eroga in totale 4 milioni l'anno, ha costituito una società Teatri Spa per la gestione dell'ambito teatrale. Attualmente la società gestisce 5 strutture teatrali finanziate con 3 milioni di euro. Cassamarca è quindi diventata una fondazione operativa.
- La fondazione Cassa di Risparmio di Bologna (www.fondazionecarisbo.it) presenta un'attività teatrale legata al sostegno sul territorio su enti specifici, come Teatri di Vita e Teatro Aperto.
- La fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia (www.fondazionecarige.it) sancisce bando generalista in cui il teatro è previsto tra le linee prioritarie.
- La fondazione Cariplo (www.fondazionecariplo.it) ha un'attività molto ricca, di cui il progetto Être è un esempio (cfr. documento).



Al tavolo, Oliviero Ponte di Pino e Andrea Rebaglio.

Secondo Rebaglio, è necessario che gli operatori teatrali si informino e intervengano in questo ambito, che sta vivendo un momento di trasformazione e sviluppo. Bisogna interagire e insistere con le fondazione, perché sono alla ricerca di idee per diversificare e rendere più efficaci le proprie attività.


Geografie a confronto: Milano e Napoli

Dalla panoramica nazionale sulle attività delle fondazioni e sulle opportunità che esse possono offrire, l'attenzione si è poi spostata sull'esame di alcune realtà territoriali specifiche che stanno vivendo situazioni apparentemente molto lontane: Milano, che da tempo vive una profonda crisi culturale, e Napoli, che invece pare entrata in una fase particolarmente felice.

ANTONIO CALBI si misura con la realtà milanese. Per Calbi, Milano non riesce a intraprendere la strada della sua ridefinizione culturale, a causa di un problema fondamentale di risorse e di regole condivise, che coinvolge più in generale la gestione della città.
Nel secondo dopoguerra, con la fondazione del Piccolo – che, va ricordato, fu fondato da due ventenni con l'appoggio di un sindaco illuminato - il sistema teatrale milanese costituiva un'eccellenza del sistema teatrale italiano. Nei sessant’anni successivi, si sono verificati picchi positivi e cadute negative, che hanno condotto ad un perdita di importanza e di influenza. Il modello romano, che costituisce una serra creativa ineguagliabile rispetto a Milano, secondo Calbi rischia di disperdere le proprie risorse perché, anche se ben organizzato dal punto di vista mediatico, manca di un vero e proprio sistema. In questo senso Milano offriva qualcosa di diverso, forse meno stimolante ma meglio organizzato. Dalla nascita del Piccolo, e in alcuni casi proprio in opposizione a questa istituzione così forte, sono nate infatti altre realtà, fra cui ad esempio Teatridithalia e il Teatro Franco Parenti, creando un tessuto ricco e ben programmato. Negli anni Ottanta e Novanta questo sistema ha subito però un fenomeno di degradazione inevitabile, perché il teatro è inscindibile dalla collettività di cui è lo specchio: la città ha perduto la propria identità culturale, e il teatro non ha più saputo raccontare la nuova realtà in cui si è trovato ad operare. Attualmente il sistema è ancora ricco, perché vi resistono realtà storiche che continuano ad avere fiducia nel futuro, alle quali si aggiungono realtà giovani ed "emergenti", ma è necessario capire come riorganizzarlo.
Una strada potrebbe essere quella della razionalizzazione, anche rispetto al sistema della convenzione che pure fa parte del bagaglio della città e del suo senso civico. Anche se il modello della convenzione permette agli operatori di avere continuità e fiducia, contiene delle aberrazioni e si basa su criteri inefficaci, ad esempio le performance dei teatri sono valutate a volte in modo uniforme, senza una reale assunzione di responsabilità da parte degli organi preposti alla valutazione.
È inoltre importante approfondire il dialogo fra i diversi enti locali, ma anche con le fondazioni, per costituire una vera e propria rete. Infine la questione delle regole e della trasparenza, per cui l'amministrazione si sta dotando di nuovi criteri per gestire finanziamenti anche di piccola entità. Nel complesso, bisogna mirare a costituire un albero orizzontale di relazione con il mondo del teatro, che tenga conto dei suoi diversi rami, delle loro diverse caratteristiche ed esigenze (fondazioni, teatri storici di produzione, piccoli teatri con flessibilità di regolamenti, gruppi indipendenti, teatro amatoriale), in maniera tale che l'operatore non si senta isolato ma parte di un arcipelago articolato. Indubbiamente sono necessarie maggiori risorse, sia da parte delle istituzioni pubbliche, sia dai privati. Milano si deve rilanciare, deve recuperare la crisi che si è meritata con uno scatto di orgoglio, nonostante il rischio sia grande perché non c'è al momento una regia riguardante la vita cittadina.

ANGELO CURTI di Teatri Uniti riscontra la distanza, quasi la complementarietà che separa Milano e Napoli - una ha avuto il primo stabile italiano, l'altra l'ultimo ad esempio – e che le renderebbe, se fosse possibile unirle, una grande città. A proposito del tema dell'"emerso" e dell'"emergenza", Curti richiama l'immagine dell'iceberg, in cui una parte sommersa è invisibile, ma alimenta il movimento e dà sostegno alla parte visibile. Milano forse è un iceberg al contrario, in cui la parte strutturale e visibile manca però di un nutrimento che ne renda possibile il funzionamento, mentre a a Napoli si verifica il contrario.



Angelo Curti.

A proposito dei numeri citati riguardanti i finanziamenti – pubblici e privati – Curti ricorda una frase di Lucio Amelio, una grande figura per i "ragazzi degli anni Settanta" che all'epoca iniziarono a occuparsi di cultura a Napoli, che riuscì a creare un vivace tessuto artistico operando esclusivamente in ambito assolutamente privato: "Il mondo è pieno di soldi, basta saperli trovare". Attualmente però la tendenza all'intervento economico nel settore della cultura è di spostare il centro delle risorse dall'ordinario allo straordinario, il contrario di ciò che avveniva un tempo e che permetteva di normalizzare, di integrare le realtà emergenti. Ad esempio, per Falso Movimento agli inizi il borderò richiesto dal ministero rappresentava una garanzia di stabilità.
Teatri Uniti riceve oggi 365.000 euro dal ministero, che ovviamente non sono sufficienti. Bisogna inventarsi risorse diverse, per una cifra almeno equivalente, trovando vie alternative, che esistono. Anche se Curti lascia aperto il dubbio sul fatto che sia un bene o meno, bisogna accettare questo stato di fatto, diventando flessibili e precari, presentandosi però in maniera più forte nell'industria culturale, stabilendo relazioni con altri contesti, e cercando di esprimere sempre quel valore aggiunto che il pubblico cerca. La tendenza alla precarizzazione è un atteggiamento che coinvolge i soggetti e gli operatori. Secondo Curti, bisogna rivendicare con forza l'aumento del dato assoluto di investimento sulla cultura, e, se pure con risorse minime intervenire con grande forza e visibilità. La visibilità e la selezione sono due cose che non vanno distinte, perché si è selezionati quando si è visibili.

EMANUELE PATTI dell'Arci, illustra le risposte che l'associazione, in particolare nella provincia di Milano, può fornire alle "emergenze" teatrali attuali. L'Arci, che ha cinquant’anni ed è fra le più grandi associazioni culturali e ricreative d'Europa, ha svolto un ruolo importante nella storia del teatro italiano, perché all'interno del suo circuito sono iniziate carriere importanti, come quella di Dario Fo. Attualmente, in particolare a Milano, diverse nuove realtà hanno trovato nell'Arci il loro bacino ideale. La città conta 170 circoli, di cui solo una ventina fanno promozione culturale quotidiana, e può vantare 73.000 soci, a riprova di quel senso civico di cui parlava anche Antonio Calbi. A livello nazionale, gli spazi dell'Arci dedicati alla cultura, in particolare alla musica, sono circa 2000.
Gli spazi Arci vogliono essere presidi di realtà in decadenza, che rischiano la marginalità, in cui è difficile creare aggregazione. L'organizzazione è no profit, ma nonostante tutto riesce a creare dei posti di lavoro, e si basa su un funzionamento orizzontale, non verticale. La forma associativa è prescelta da un buon numero di artisti e operatori, per realizzare il loro sogno nel cassetto.
Il teatro entra in questi luoghi in vari modi : non esiste un vero proprio un settore dedicato alle arti sceniche, ma le iniziative nascono piuttosto da esigenze che vengono dal basso. Una prima ragione per cui gli artisti si rivolgono all'Arci è per avere spazi di rappresentazione e di prova. Un altro momento di contatto sono le rassegne, fra cui alcune hanno continuità e visibilità. Infine, molte compagnie hanno attraversato l'Arci, ed hanno elaborato progetti che poi sono diventati autonomi. Il comitato provinciale ha anche inventato la "Festa del teatro" il 29 ottobre, la cui organizzazione è stata poi ripresa dal comune ed ha assunto dimensioni più vaste. Si richiedeva ai teatri di abbattere il costo del biglietto e in qualche circolo venivano promossi spettacoli di emergenti.
Un'ultima iniziativa, il progetto "Via libera" realizzato con l'appoggio della Fondazione Cariplo per aiutare la circuitazione di eventi nati all'interno dei circoli. Al momento ci sono quattro produzioni teatrali che stanno girando.
Per concludere, secondo Patti, l'attività per il teatro del comitato della provincia di Milano è scarsa, insufficiente, per due motivi principali: da un lato i costi alti del teatro rispetto alla povertà delle risorse Arci, dall'altro la difficoltà dell'associazione a dialogare con singoli soggetti, una rete sarebbe certamente più consona all'organizzazione.
L'emergenza a cui l'Arci riesce a dare una risposta è la mancanza di spazi, a causa della vocazione stessa dell'associazione, che è riempita con istanze che vengono dal basso e che riempiono di contenuti i circoli.

PATRIZIA BORTOLINI, responsabile del settore cultura della Federazione PRC/Sinistra Europea di Milano, interviene fuori programma sulla situazione milanese. Bortolini mette in luce il problema dell'identità, e in particolare dell'intolleranza e della memoria, e sottolinea il fatto che il sistema culturale milanese si è ormai appiattito sul modello e sui contenuti del sistema televisivo privato. In questa crisi bisogna ricostruire il rapporto società-politica e indurre le persone a contribuire al governo.
Nello strettissimo rapporto fra società e teatro che è emerge da questi interventi, il sistema teatrale sta subendo un processo di precarizzazione globale, che investe le figure professionali, gli enti ma anche lo statuto stesso delle arti sceniche nel tessuto sociale, e che sembra incrinare il legame necessario fra visibilità e selezione. In questo contesto, agli operatori, artisti e organizzatori è richiesta una sempre maggiore inventiva e determinazione, ed una capacità di cogliere e provocare le occasioni attraverso canali non istituzionali. Si impone quindi il tema della formazione, vale a dire degli strumenti che il sistema esploso delle formazioni può offrire ai giovani per affrontare questa situazione.


La formazione: innovazione e confronto internazionale

La Scuola d'Arte Drammatica Paolo Grassi offre una formazione diversificata che prepara differenti figure professionali – attori, registi, organizzatori e tecnici – ed è una delle istituzioni storiche del sistema formativo teatrale italiano. MAURIZIO SCHMIDT sottolinea i problemi, gli interrogativi e le trasformazioni che ritiene necessario affrontare in qualità di neodirettore della Scuola. L'esperienza di formazione della Paolo Grassi è stata indirizzata fin dalla sua fondazione verso l'innovazione teatrale, con una tendenza che si è affermata attraverso diverse palingenesi. Il suo problema è che un organismo grande e complesso, che per evitare di perdere le tracce delle sue motivazioni deve periodicamente interrogarsi e mettersi in discussione. Non si tratta solo capire quali sono le esigenze del mercato, ma di prevedere e immaginare ciò che il mercato richiederà, come cambierà, per formare persone che una volta uscite dalla scuola saranno in grado di cambiare il sistema.
Schmidt auspica un superamento del generalismo, inteso come impoverimento della specializzazione finalizzato a stabilire l'essenza di ciò che va comunicato per avviare alla professione. È necessario al contrario uscire dall'ottica dell'avviamento professionale ed entrare invece in quella della formazione permanente, che d'altra parte è una cifra caratteristica della prospettiva di vita e di lavoro dell'artista.
Negli studenti di oggi riscontra un ritardo culturale dovuto alla scuola secondaria, ma anche un ritardo di tipo "esperienzale". È ormai evidente una parificazione inevitabile dell'estrazione sociale degli allievi. Poiché la scuola stessa e la vita a Milano costano molto, la maggior parte dei ragazzi proviene dalla classe media e questo ha delle conseguenze negative sulla carica innovativa e immaginativa. Con queste premesse, la formazione rischia di diventare un momento di chiusura, che assorbe completamente, impedendo di esplorare il mondo proprio nel momento in cui sarebbe più necessario.
L'aspirazione di Schmidt, che a suo avviso è anche una necessità impellente, è creare un luogo con molteplici bacini di utenza, che offra una formazione multiforme e permanente, dall'orientamento al perfezionamento, dove tutte la fasi di pedagogia abbiano casa. Altrimenti, se tutto viene concentrato e rinchiuso in tre anni, tutto diventa privo di esperienza, di legame con la vita, completamente autoreferenziale. Un primo passo già operativo in questa direzione è un lavoro di apertura verso il teatro, verso gli ex-allievi e verso i professionisti.
Per quanto riguarda il rapporto formazione - accesso alla professione, anche se molte cose sono già state fatte, bisogna allungare ulteriormente il trattino fra i due termini. Non si può trascurare l'ex-allievo a 4 o 5 anni dal diploma, quando ha conosciuto le aberrazioni del sistema e proprio allora ha bisogno di trovare la sua strada per riuscire a creare nuovi linguaggi.
Formazione significa acquisire un alfabeto di base che si possa ricomporre in nuovi linguaggi. Il generalismo diffuso delle scuole è nemico di questa visione della formazione, perché i singoli elementi diventano sempre più difficili da ricomporre, e per questo è così raro arrivare all'innovazione.

BRUNO FORNASARI, attore formatosi all'Accademia dei Filodrammatici, presenta Ecole des Ecoles,
un'iniziativa che vede collegate diverse istituzioni europee che si occupano di formazione dell'attore (cfr. documento). Il progetto parte dalla necessità, ugualmente espressa da Schmidt, di un polo culturale di formazione europea, che sia una piattaforma di confronto e un punto di riferimento, in cui ci si ponga il problema della formazione dei formatori, alla ricerca di metodi e non di formule.


Accesso e visibilità: l'apertura del teatro e il superamento dei generi

Le due Buone Pratiche presentate in questa sezione riguardano un modo diverso di guardare al teatro, che tende a superare le distinzioni fra i generi e a proporre una prospettiva unitaria allargata alle arti sceniche.

ANGELA FUMAROLA ha raccontato la storia e le scelte di Armunia, associazione nata nel 1996 per iniziative di diverse amministrazioni lovali con il compito di gestire le attività legate allo spettacolo. Dopo qualche anno in cerca di identità, Armunia ha spostato l'attenzione dal piano dello spettacolo al piano della residenzialità - sfruttando pienamente la potenzialità della sua sede (Castello Pasquini a Castiglioncello) - e a quello del coinvolgimento attivo del territorio.
Ad esempio, il progetto "Teatro fuori di sé", ideato in collaborazione con l'Università di Pisa e Ichnos (Laboratorio filosofico sulla complessità), presenta un diverso approccio al teatro, di cui si parla attraverso la vita. L'iniziativa prevede l'organizzazione settimanale dei "Dialoghi" su parole chiave proposte dai coordinatori, durante i quali ci si riunisce e si discute di diversi argomenti. Non si mira necessariamente a portare la gente a teatro, ma a creare una comunità che riflette e che si confronta.
Inequilibrio costituisce l'incontro dei diversi aspetti della missione di Armunia (spettacolo, residenzialità, rapporto con il territorio), che non si limita solo al festival estivo, ma dura tutta l'anno, in una ricerca continua di nuove forme e di nuove forme di confronto. Inequilibrio esploso, Il progetto è nato per rispondere alle esigenze del patto Stato/Regione, rappresenta in particolare una sintesi degli obiettivi di Armunia. Durante due fine settimana al mese le compagnie in residenza presentano i risultati del loro lavoro, con anteprime, incontri e prove aperte.
Completano l'attività dell'associazione: la dimensione internazionale, con la promozione di incontri fra gli operatori rispetto ai modelli organizzativi e ai progetti artistici; l'intervento in ambito giovanile, con il "Teatro dei ragazzi", che, incrociandosi con gli altri percorsi, offre delle occasioni di collaborazione fra artisti, insegnanti e operatori; l'attenzione alla poesia, con la recente creazione de "Ai margini del bosco", un progetto di contatto diretto fra poeti e pubblico, in cui gli autori scelgono i luoghi in cui evocare il loro lavoro.
L'identità di Armunia si basa quindi sull'esigenza continua di ridefinirsi che la conduce, per usare un gioco di parole, a smarginare dal teatro per rimanere in equilibrio.



Il banchetto-libreria: Hystrio tra gli Ubu e le Principesse.

LINDA DI PIETRO di ADAC Toscana sottolinea con energia che la danza, visto che è meno istituzionalizzata, può offrire lo spunto per ripartire, per inventare nuove formule e nuove forme. Come ha messo in luce il Tavolo Nazionale dei Coordinamenti e delle Reti Regionali della Danza Contemporanea, è evidente la necessità di un'unica legge per lo spettacolo che permetta di superare le barriere di genere, di parlare invece di creazione contemporanea, di nuovi autori contemporanei, e di evitare che le compagnie siano obbligate ad autocertificare la propria attività come danza. Occorre una liberalizzazione del teatro dal vivo che dia gas al motore della libera circolazione delle opere.
Il Tavolo Nazionale ha prodotto una petizione provocatoria contro l'art. 3 comma 3 della bozza di Decreto Ministeriale riguardante il nuovo regolamento per la Prosa, che elimina l'obbligo di qualsiasi percentuale di danza, di giovani emergenti, e di internazionali dalla programmazione dei teatri stabili, pur invocando la interdisciplinarietà. I lavori del Tavolo Nazionale hanno provocato una grande attenzione da parte del Ministero, ma anche fra gli operatori di diversi settori, Concretamente, per facilitare questo processo necessario di apertura dei generi bisognerebbe iniziare a non parlare più di danza, di teatro, ma di arti della scena.
Il Patto Stato/Regioni andava in questa direzione, perché non presentava distinzioni di genere, ma parlava di "spettacolo dal vivo". Purtroppo poi ogni amministrazione ha preso una strada propria.
Il Patto ha rafforzato alcune strutture già esistenti, ma ha anche una proposta interessante di creazione di strutture leggere, entità agili preposte al sostegno dello start up delle compagnie emergenti, per evitare che l'unico metro di identificazione e di ufficialità sia data dal costituirsi come oggetto, contenitore, che domanda dei finanziamenti. In questo senso, è bene guardare a singole importanti esperienze internazionali e all'Europa, cercando di riprendere ad esempio il modello produttivo di Cultura 2000.
Fra i risultati del Patto, ci sono iniziative come il Festival di Dro che finanzia 5 compagnie emergenti per 3 anni, il bando Dimora Fragile del Festival Esterni, che offre servizi e opportunità (materiale tecnico, ospitalità nei festival, ecc.) a 10 giovani compagnie.
Per Di Pietro, tutto questo (nuove forme e nuovi modelli) viene dalla danza perché la danza è marginale, e la marginalità permette una maggiore libertà. La danza può essere quindi una dinamo che lancia buone pratiche coinvolgendo l'insieme delle arti della scena (sul tema vedi anche il documento di Roberto Castello).


Formazione e vocazione: due esperienze

Dopo l'osservazione dei dati, di alcune situazioni geografiche e di alcune realtà "istituzionali", la giornata prosegue con l'ascolto di due esperienze personali, in cui i temi della formazione, dell'accesso al lavoro, della visibilità sono indissolubilmente legati alla passione e all'esigenza di fare del teatro non solo una professione, ma una scelta di vita.

La prima è un'esperienza di attore, avviata da una formazione anomala e soprattutto dall'incontro con una compagnia : ROBERTO MAGNANI racconta infatti il suo percorso al Teatro delle Albe. Mi sembrerebbe proprio un peccato cercare di parafrasare e sintetizzare il suo discorso, preferisco riportarvene le parole che sono riuscita a catturare, spero che Magnani mi perdoni se non sono proprio esatte.

"Faccio parte della Albe da dieci anni, ma con questa mia storia parto da ancora prima, quando quattordicenne sono andato all'istituto tecnico a Ravenna con l'idea di fare da grande il biologo marino. Il giorno dell'iscrizione ho visto appese nell'atrio le fotografie del laboratorio teatrale dell'anno precedente – la Non-scuola delle Albe, appunto - e ho subito chiesto di potermi iscrivere. Lì ho incontrato la prima volta i veri "squali", Maurizio Lupinelli e Marco Martinelli, e me ne sono innamorato. Ho partecipato e ho riconosciuto uno stesso linguaggio nell'intendere il teatro. La Non-scuola sono laboratori per le scuole, e si chiama così perché in realtà non andiamo a insegnare teatro, ma andiamo a giocare con gli adolescenti che sono ancora nessuno, ma potrebbero essere tutto, e in questo gioco, si distruggono i classici attraverso l'improvvisazione. Finito il laboratorio, vado da Marco e dico: "Voglio fare l'attore". Lui mi dice di aspettare, che c'è tempo. Allora io ho fatto il laboratorio per quattro anni, e poi finalmente mi hanno chiesto ciò che io aspettavo fin dall'inizio: partecipare al laboratorio che organizzavano per scegliere 12 attori per uno spettacolo, I Polacchi da Ubu Roi di Jarry, per la cui messa in scena Marco ha riprodotto l'idea originaria di Jarry, il quale aveva creato il personaggio di Ubu con i suoi amici. E sono preso. Poi ci sono state le prove, un'immersione totale nel mondo del Teatro delle Albe. Nel frattempo però avevo sviluppato un disamore totale per la scuola, pari alla passione per il teatro. E forse decido inconsciamente di lasciare la scuola, perché do fuoco al crocifisso a lezione e vengo cacciato. Allora ritorno a teatro e dico "io sono qui". I Polacchi avevano debuttato e la mia vita si rispecchiava completamente all'interno del Teatro delle Albe. Solo chi come me si è rispecchiato completamente, con un incontro reciproco ha iniziato a dedicarsi anche alle altre attività della compagnia. Entriamo a far parte della bottega del Teatro delle Albe, ci siamo mischiati e confrontati con tutti, e a poco a poco abbiamo appreso: si impara facendo, imparando l'economia, la parte tecnica, tutto. Il Teatro delle Albe non si esaurisce nella produzione degli spettacoli, ma è una creazione continua di mondo.
Poi mi capita di tornare all'ITI per fare da guida al laboratorio della Non-scuola: è come l'attraversamento dello specchio. L'anno dopo lo ripeto, e poi tengo sempre più laboratori. L'immersione è sempre più radicale, sempre più piena, perché veniamo fatti soci della cooperativa Ravenna Teatro, che fa parte dei mondi che le Albe creano. Ho avuto una grande fortuna, perché la Non-scuola è un'eccezionalità, un unicum, e sappiamo di essere invidiati. Il fatto di avere una comunità alle spalle implica una grande richiesta, una richiesta di vita, un confronto feroce e quotidiano, perché per fare teatro come lo facciamo noi si richiede la vita, non una professionalità. Bisogna far corrispondere la vita al teatro al 100%. Come soci ci assumiamo sempre più responsabilità e ci rendiamo conto che a Ravenna Teatro il fatto economico non è disunito dall'atto artistico, ma anche questo è creazione di mondo, è una costruzione artistica, tutto è sullo stesso piano. E la concretizzazione dell'idea comunità anarchica è anche qui, perché noi nuovi siamo entrati con lo stesso stipendio proletario di tutti gli altri. Sono cresciuto veramente tanto, ho avuto la possibilità di fare esperienze artistiche importanti. L'ultimo attraversamento dello specchio è arrivato con il rinnovamento dei Palotini: io ero l'unico sopravvissuto, come una sorta di allenatore in campo. Quest'anno ho smesso, ma sono passato dall'altra parte, perché mi sono tramutato in maschera e ho preso le fattezze del Capitano Bordure. È come Pinocchio al contrario, e credo che sia il sogno di ogni attore, diventare una marionetta…".



Oliviero Ponte di Pino tra la Non-Scuola (Roberto Magnani) e il Dams (Claudio Meldolesi).

CLAUDIO MELDOLESI, docente del DAMS di Bologna, invitato a parlare della situazione della formazione nelle università, regala alle BP una riflessione ben più profonda, sul teatro, sulla sua forza e sul suo mistero. Anche in questo caso tento di riprendere le sue parole, chiedendo scusa per eventuali e probabili inesattezze.

"Io sono diplomato attore all'Accademia Silvio D'Amico. Non ero molto bravo, ma avrei potuto ugualmente fare l'attore, il regista, ma poi ho scelto un'altra strada. La cosa per me era ed è importante è che il teatro è un'entità sfasata rispetto alla vita. A teatro non si riflette il mondo, ma si crea mondo, anzi addirittura ha ragione Leo De Berardinis quando dice che la vita imita il teatro. Perché il teatro è una sintesi di esperienza umana che come un fiume ha attraversato le epoche, le etnie, le storie collettive, e ha costituto una seconda natura dell'uomo, una realtà orientata ogni volta a qualcosa. Io penso davvero che il teatro sia il dono degli dei, che l'esperienza del teatro sia una rinascita. Penso a Lessing che diceva che l'attore non ha altra via per conoscersi che imitare l'attore della compagnia che gli somiglia di più, finche l'imitazione non diventi originalità.
Sono tutti i misteri, ma il teatro è mistero. Non c'è identità da trasmettere, ma stimoli, che ognuno raccoglie, interpreta e sviluppa in maniera diversa. Per questo i Palotini funzionavano e per questo le scuole falliscono, perché non hanno senso se uniformano e danno un espressivismo medio. L'entità del teatro non è mai del tutto identificata. Non sapremo mai come recitava la Duse, non era mai del tutto identificata, e pure è stata la fondatrice del nostro tempo teatrale. Perché l'Accademia di Roma e la Civica di Milano sono state così importanti? Perché hanno costituito entità non formalizzate. A Milano erano ingaggiati per certi periodi dei maestri straordinari, come Kantor, e all'accademia c'era a insegnare regia una non regista, la Pavlova, che portava però un patrimonio suggestioni culturali e di desideri di regia.
Il teatro è educazione alla informalità, alla indefinibilità. Un'arte di questo tipo dovrebbe essere più sostenuta dai governi di quanto non sia, perché educa alla complessità. L'informalità è questo elemento non paradossale, perché corrisponde alla dimensione della vita, e chi fa l'attore deve abituarsi alla variabilità delle assegnazioni di valore.
Nel DAMS mi sono trovato bene perché c'erano figure molto distanti tra loro, Scabia e Squarziana, che facevano venire agli allievi la voglia di scoprire un mondo più vasto.
Il Premio DAMS è stato organizzato proprio per i giovani che ricercano lo sviluppo della creatività selvaggia attraverso l'incontro con i maestri. E questo vale anche per gli organizzatori. Bisogna guardare all'origine familistica del lavoro teatrale, alla sistemazione famigliare dei ruoli e alle variabili professionali che si costruivano intorno alla variabile centrale dell'attore. Si trattavadi famiglie anticonformiste, al punto che una compagnia poteva essere affidata a una ragazzina…Questa capacità del nuovo è ciò che ci manca oggi. L'organizzatore, il promotore è un intellettuale, è colui che percepisce quale è il nucleo da affermare in una compagnia e quale è la proposta strategica da formulare. Nel 1963 fondammo il gruppo Teatro Scelta con Gian Maria Volonté e Carlo Cecchi ed è stata una delle cose più belle della mia vita: era l'abbraccio del sociale al teatro, era la scoperta del teatro in posti in cui non era mai arrivato. Tutto è possibile a teatro, questa è la questione. Non dobbiamo sottomere l'idea dell'organizzazione alla pratica del possibile, il possibile deve essere un valore fondamentale ma come infinitudine. In questo senso l'organizzatore è come l'artista. E poi i nemici del teatro sono gli esattori fiscali…"

Al termine degli interventi, Mimma Gallina parte da un'osservazione che Meldolesi avanza nel suo saggio Fondamenti del teatro italiano a proposito della carriera degli attori. Secondo Meldolesi, all'epoca dei grandi attori, si salta sempre una generazione nell'affermazione degli attori: in un sistema più avanzato come quello attuale questo fenomeno continua a verificarsi, come se fosse fisiologico, e riguarda anche gli altri campi professionali di ambito teatrale. Secondo Gallina è una responsabilità condivisa a cui non bisogna sottrarsi, occupando dei posti senza confrontarsi con le giovani generazioni: l'accesso e la visibilità sono il vero nodo da sciogliere perché si possa superare il problema dell'emergenza.


Il circolo vizioso dell'identificazione fra visibilità e selezione

Nel suo intervento ADRIANO GALLINA parte da un'immagine efficace per descrivere l'emergenza: la spiaggia di Riccione ad agosto, una sorta di girone dantesco in cui si lotta furiosamente per accaparrarsi uno spazio minimo che permetta di "stare", e quindi di esistere. Richiamando poi la teoria darwinana, Gallina dimostra che l'identificazione fra la sopravvivenza e l'affermazione, la selezione e la visibilità non permette alle realtà emergenti di svilupparsi e di dare origine al nuovo e al mutante (cfr. documento).

Come commenta però Mimma Gallina, nuove pratiche si stanno diffondendo a contrastare questa tendenza, componendo un panorama molto diverso da quello descritto istituzionalmente. Gli interventi che seguono mostrano proprio alcuni luoghi di questo paesaggio in trasformazione


Accesso e visibilità: energia e condivisione per giovani artisti, organizzatori e nuovi spettatori

TERESA BETTARINI
presenta il progetto Officina Giovani del Comune di Prato, una cittadina in cui l'attività teatrale è molto radicata e ha sempre goduto di grande attenzione. La ricchezza di gruppi e compagnie agisce in un sistema che non è strutturato, più vicino a quello romano che a quello milanese, in cui la dispersione di risorse e energie si accompagna alla nascita di nuove realtà spontanee.
Officina Giovani, nata da un'idea di Massimo Luconi, ha iniziato la sua attività 10 anni fa nello spazio degli ex-macelli. È dedicata ai giovani artisti di varie discipline ed è legata alla peculiarità del suo spazio, una cittadella con vari edifici al suo interno. La struttura è luogo di prove e di lavoro, in cui vengono ospitati anche progetti in collaborazione con altre istituzioni, come con Fabbrica Europa per la danza ad esempio. Ma Officina è anche uno spazio di rappresentazione, dove si lavora per rompere il circolo vizioso della selezione e della visibilità, attraverso l'organizzazione di rassegne settimanali, aperte gruppi giovani ma un po' più affermati, ma anche di debuttanti, a cui partecipino anche operatori. Per ora un capannone è in restauro, e dovrebbe essere pronto per il 2008. Da quel momento saranno avviati progetti di residenze brevi, di qualche mese, per avere l'occasione di incontrarsi con il mondo artistico giovanile che gravita intorno a Officina.
Officina è anche uno spazio laboratoriale, per ora limitato ad alcuni corsi, dove si sono trattati i temi dell'organizzazione teatrale, legati al corso di laurea per organizzatore di "eventi". Frequentando gli studenti Bettarini ha osservato che spesso alle conoscenze di marketing e fund raising non corrispondo altrettante nozioni sul sistema teatrale, percepito come un magma. Per ora i corsi di formazione riguardano l'organizzazione e l'orientamento. Si stanno anche avviando workshop limitati nel tempo, ma interdisciplinari, perché il mettere insieme giovani che mettono da discipline diverse è molto fertile.

Polo di formazione permanente, spazio di crescita, di visibilità e di creazione interdisciplinare, Officina Giovani si inserisce quindi nel filo rosso che passa da un intervento all'altro. Nelle cinque Buone Pratiche (cfr. documenti) presentate successivamente, la voglia di condivisione, l'esigenza di intervento "politico" nel tessuto sociale, ed il desiderio di valorizzare e far circolare le energie creative sono gli elementi forti che accomunano approcci e soluzioni altrimenti molto diverse.



Si presentano le Buone Pratiche: da sinistra, Roberta Nicolai (Teatri di Vetro), Edoardo Favetti (Pim), Adriano e Mimma Gallina, Teresa Bettarini (Officina Giovani), Rosi Fasiolo (Teatro.net), Luca Ricci (Kilowatt Festival), Antonia Pingitore (Bancone di prova).

ROSI FASIOLO di TeatroNet spiega come crearsi un circuito alternativo e indipendente mettendo insieme le forze artistiche in difficoltà. EDOARDO FAVETTI racconta l'esperienza organizzativa altamente innovativa del PiM, una "casa di cultura" che si è volutamente posta al di fuori del mercato per attuare un ideale di incontro e di apertura alla ricerca di rapporto umano fra le persone che fanno arte e quelle che ne usufruiscono. LUCA RICCI presenta l'idea "visionaria", nata pensando al finale dell'Orlando Furioso de Ariosto, in cui la nave con il poema giunge finalmente in porto e i lettori la accolgono festanti, di costruire in un territorio periferico rispetto al teatro un festival – Kilowatt Festival – il cui centro è il pubblico. ANTONIA PINGITORE spiega come la voglia di scoprire nuovi testi che parlino del contemporaneo abbia portato a un'iniziativa laboratoriale spontanea e aperta di confronto fra autori, attori e spettatori, Bancone di Prova. ROBERTA NICOLAI infine presenta un'iniziativa che organizza e porta alla luce il vasto ricchissimo sottobosco della realtà teatrale romana, che, come indica il nome Teatri di Vetro, è altrimenti invisibile, e quindi estremamente fragile.


…e la politica?

Di fronte a questo ricco paesaggio in movimento, la politica sembra invece rimanere ferma, incapace di elaborare una indispensabile griglia interpretativa aggiornata, rimanendo legata ad un approccio quantitativo obsoleto e sganciato dalla realtà. Questa è l'opinione di FILIPPO DEL CORNO, invitato a fare il punto della situazione tre anni dopo il suo polemico intervento a Mira e la sua esperienza in prima persona in ambito politico. Del Corno era partito dalla volontà di incontrare e capire le istanze di realtà apprezzate ma non conosciute. Dall' incontro "Non lavorare stanca" emergeva la richiesta di essere riconosciuti, non aiutati, ma incentivati senza essere inseriti nello stesso sistema della grandi realtà. Bisogna superare un sistema pensato il sistema in termini di generi, e operare una rivoluzione copernicana dell'ideologia sulla base di cui vengo attribuiti i finanziamenti ragionando in termini di fasce orizzontali create sulla base della dimensione degli enti.
La vera emergenza del teatro italiano è che esistono solo due categorie di artisti: i sommersi e i salvati. I primi lo sono indipendentemente dalla qualità del loro lavoro: non riescono a intercettare il potere, e sono costretti a stare sotto la superficie per stabilità, circolazione, capacità di lavorare. Hanno in comune il dato anagrafico, sempre più alto, sono costretti a stare sul mercato – cosa che andrebbe bene se il mercato non fosse drogato - e non hanno alcun problema invece a trovare occasioni di produzione e di distribuzione all'estero.
I secondi sono tali sempre e comunque, secondo il parametro della storicità è una sorta di tabù che difende qualsiasi cosa da qualsiasi intervento, e la scusa del costo sociale di una loro eventuale riduzione. Le risorse che impiegano sono enormi.
Il compito che bisogna provare a dare alla politica in termini di scelte e regole è assumersi l'obiettivo di invertire questa tendenza, salvare i sommersi e sommergere i salvati.


Geografie: l'interculturalismo e l'apertura ad altri mondi

Le ultime due relazioni riguardano un altro tipo della più volte invocata apertura del teatro al mondo, il dialogo con culture diverse. MASSIMO LUCONI spiega un percorso di scambio con giovani senegalesi - profondamente radicati nella tradizione artistica, culturale, familiare africana, ma anche estremamente aperti e ambiziosi - iniziato vent'anni fa senza intenti buonisti e volontaristi (crf. documento).

GERARDA VENTURA racconta la sua esperienza decennale nell'ambito della collaborazione con artisti del sud del mediterraneo interrogandosi sulle motivazioni e sui risultati di questo tipo di operazioni. Gli artisti arabi hanno "scoperto" la rappresentazione in Occidente, perché nei loro paesi questo non esiste, e l'idea di luogo della rappresentazione è stato ugualmente esportato dalla cultura occidentale. Se pure si sono sviluppate una serie di strutture per il teatro e la danza, sono governative e spesso di regimi totalitari. La produzione indipendente non è finanziata, se non dall'UE e da fondazioni, anche americane. Questi artisti stanno cercando forme di creazione contemporanea ma non strettamente legate alla tradizione occidentale, interrogandosi sul senso del fare arte performativa e sul valore dell'incontro e della trasmissione. Per molti di loro il senso del lavoro artistico è sociale e politico, nel senso più ampio, è parte integrante delle loro lotte e delle loro rivendicazioni. Ad esempio per alcuni artisti palestinesi, l'arte è uno strumento per rendere i cittadini responsabili. Incontrare queste esperienze è fondamentale per la realtà italiana, dove al contrario il senso sociale e politico di fare arte sembra essersi perso. Nel momento in cui si parla di mercato, visibilità, non ci si interroga sulla finalità di tutto questo, mentre l'emersione significa dare un senso al rapporto con la cittadinanza e a quello che si vuole esprimere.
L'approccio con culture diverse ha un valore per noi italiani che supera quello della conoscenza, perché permette di riappropriarsi del senso del fare cultura.


Breviario per il giovane emergente

La giornata si chiude con l'ironico intervento della coreografa Barbara Toma, che presenta due liste di Buone Pratiche, una rivolta a se stessa e una a un ideale giovane coreografo. Eccone qualche punto…

1. Buone pratiche per me stessa

mettere sempre in dubbio il mio lavoro;
ripartire con equilibrio le ore trascorse fra il computer, la ricerca di uni stipendio e l'allenamento;
non lavorare gratis;
non cedere alla voglia di essere vista a tutti i costi;
dedicare tempo alla ricerca e studio
difendere il mio mestiere;
battermi perché vengano cambiate le leggi;
abituarmi a ripetere sempre le stesse cose come:
il teatro e la danza sono la stessa cosa, la danza ha bisogno di più visibilità, la Lombardia ha dato alla danza contemporanea lo 0,04% delle sue risorse;
condividere le informazioni e i colleghi;
condividere le informazioni con chi vuole iniziare il mio mestiere.

2. Buone pratiche per un giovane coreografo

chiediti se è proprio questo quello che vuoi fare;
cercati organizzatore;
cercati un coreografo affermato con cui confrontarti;
cerca di crescere sempre e non tornare mai indietro
mantieni bassi i tuoi prezzi;
aggiornati e studia;
fatti vedere all'estero
denuncia ciò che non ti piace;
se non riesci a ottenere buona visibilità, cambia nome, prova con nome straniero, di solito funziona;
Non creare spettacoli su temi che ti interessano, ma cerca temi e collaboratori che rientrano nei bandi;
Non ti scoraggiare di fronte all'insuccesso e non ti montare la testa di fronte al successo, perché non hanno niente a che fare con i tuoi meriti.


In conclusione: l'urgenza nell'emergenza

Le sollecitazioni della giornata sono numerose e invitano a riflettere in maniera più approfondita e specifica su singoli temi. Nell'insieme, quello che personalmente mi ha più colpito è che pure nelle storture del sistema e nella carenza di risorse, si sta disegnando in Italia un paesaggio alternativo molto interessante in cui organizzatori e artisti inventano nuove modalità di incubazione e di lancio del nuovo, rispondendo a una spinta ideale, a un'esigenza profonda di intervenire nella società. Non si tratta solo di affermarsi, ma di incontrare e formarsi il proprio pubblico, recuperando in qualche modo la necessità del teatro, o meglio, delle arti sceniche, nel mondo contemporaneo.



C'è chi pensa al futuro: la creatura di Alessandra Vinanti alla sua prima esperienza di formazione chiede la consulenza di Emanuele Patti.


 

BP04052
114.52 BP04: La pedagogia esplosa dello spettacolo dal vivo
La relazione iniziale di BP04
di Oliviero Ponte di Pino

 
La formazione e la cultura moderne dello spettacolo, come la regia teatrale, in Italia nascono e si affermano con molto ritardo.
Per gli attori, i tradizionali canali di formazione erano essenzialmente due: le famiglie d’arte e le filodrammatiche (non a caso la prima scuola di teatro italiana è l’Accademia dei Filodrammatici, nata nella fine del Settecento su impulso napoleonico). Per quanto riguarda lo studio della storia del teatro, rientrava nella storia della letteratura e non aveva dignità e autonomia.
Allora, per cominciare, qualche data.
1936, fondazione dell’Accademia d’Arte Drammatica di Roma, su impulso di Silvio D’Amico: è la prima scuola di teatro “moderna” del nostro paese, che si fa carico della rivoluzione della regia novecentesca.
1951, fondazione della Civica Scuola d’Arte Drammatica di Milano, da parte di Paolo Grassi e Giorgio Strehler; inizialmente legata al Piccolo Teatro, la “Civica” acquisisce poi una propria autonomia a partire dagli anni Settanta, quando apre tra l’altro il primo corso in Italia di organizzazione teatrale, affidato a Giorgio Guazzotti (seguirà poi la creazione di corsi di animazione, drammaturgia, teatrodanza, eccetera).
1956, viene istituita all’Università Cattolica di Milano, su impulso di Mario Apollonio la prima cattedra italiana di Storia del Teatro.
1963, viene istituita alla Sapienza di Roma, su impulso di Giovanni Macchia, la prima cattedra italiana di Storia del Teatro in un’università statale; viene affidata a Ferruccio Marotti.
1970/71, nasce a Bologna il primo DAMS (Dipartimento Arti Musica e Spettacolo): tra i docenti Umberto Eco, Giuliano Scabia, Luigi Squazina, Lamberto Trezzini, Claudio Meldolesi.
Alla svolta degli anni Settanta non c’è molto altro. Se confrontiamo questo quadro asfittico con lo scenario attuale, la differenza è strabiliante.
Non si sono moltiplicate soltanto le cattedre di storia del teatro: le materie in qualche modo legate allo spettacolo dal vivo sono diventate una vera e propria giungla. Dopo il lungo monopolio bolognese, a cominciare dagli anni Novanta i DAMS hanno iniziato a moltiplicarsi con una velocità vertiginosa: Torino, Roma 3, Trieste, Genova-Imperia, Padova, Palermo, Lecce, Firenze-Prato, Cosenza, Messina... In parallelo, nascono e proliferano le facoltà di Scienze della comunicazione. Si approfondisce l’investimento delle Accademie di Belle Arti sullo spettacolo: l’iniziale interesse per la scenografia si è allarga e approfondisce; basti pensare alla specializzazione dell’Accademia di Brera a Milano (un’altra istituzione con radici settecentesche) sul versante del multimediale, che riflette l’impatto delle nuove tecnologie sia sulle scene sia sulle arti visive.
In parallelo a quanto accaduto per altre discipline, in questi anni si sono moltiplicati anche i master post-universitari (vedi il forum di ateatro).
Accanto a quella sul versante accademico, è esplosa anche la pedagogia dei teatranti: precursori sono stati i seminari del Living Theatre e del Bread & Puppett negli anni Sessanta-Settanta, e poi tutta l’attività del Terzo Teatro, sulla scia del training di Grotowski e Barba. Questi laboratori, workshop, seminari, corsi, prove aperte, hanno offerto fondamentali occasioni di autoformazione per intere generazioni di teatranti. Non è dunque un caso che una profonda vocazione pedagogica faccia parte della cultura del nuovo teatro, e in particolare di alcuni gruppi: esemplari sono i casi di Leo De Berardinis, della “Non Scuola” delle Albe, della Raffaello Sanzio e della Valdoca, ma anche di Danio Manfredini o Remondi & Caporossi, solo per fare alcuni esempi; alcune interessanti chiose potrebbe ispirare il percorso di Renata Molinari, attiva sul coté laboratorial-pedagogico sia con attori e attrici, sia con drammaturghi e dramaturg... Senza dimenticare che, nell’economia della miseria teatrale, per molti artisti e gruppi l’insegnamento è stata a lungo una imprescindibile fonte di reddito; l’interazione tra attività artistica e attività pedagogica è ancora più clamorosa sul versante della danza.
Anche diversi teatri stabili hanno deciso di affiancare l’attività produttiva con centri studi e con scuole di teatro: tra le più prestigiose, la Scuola di Recitazione del Teatro di Genova, che trova una struttura stabile nel 1981 (ma l’attività didattica era iniziata negli anni Sessanta); la Scuola di Teatro del Piccolo, fondata nel 1986 da Giorgio Strehler; la Scuola di Teatro dello Stabile di Torino, fondata nel 1992 da Luca Ronconi. Ma oggi le scuole e i corsi di teatro, danza, eccetera in Italia sono ormai sono decine e decine (il forum di ateatro ne segnala una piccola percentuale).
Questa offerta formativa appare ormai ricchissima, soprattutto se confrontata con il ritardo del nostro paese sul versante della cultura e della formazione teatrale. Vale la pena di sottolineare alcune caratteristiche di questa evoluzione.
In primo luogo si tratta di un’offerta differenziata. Gli enti, istituzioni e realtà che la propongono sono diversi per storia, ordinamento, caratteristiche e obiettivi: possono essere università (a cominciare dai DAMS), scuole superiori, accademie di belle arti, compagnie teatrali, scuole di teatro, enti pubblici. Questa offerta è inoltre indirizzata verso specifiche fasce d’età e il diverso livello formativo che offrono: si parte da attività parascolastiche per studenti liceali, si passa per il livello universitario e parauniversitario, si arriva con i master e i dottorati al livello post-universitario, e ancora oltre.
Contemporaneamente le discipline (e le figure professionali) si moltiplicano: da un lato per un processo di specializzazione e segmentazione; dall’altro per l’emergere di nuove esperienze artistiche, di nuove tecnologie, di nuove pratiche. C’è una vera e propria rincorsa per intercettare il nuovo, per vari motivi: l’aspirazione essere i primi a “mappare” un nuovo territorio e in suoi sviluppi (che si sperano promettenti); il desiderio di rispondere alle mutate esigenze del mercato del lavoro; e magari la speranza di attirare gli studenti-clienti con qualche apertura in grado di appagare qualche curiosità giovanile.
Emerge un secondo elemento. Questo processo pedagogico tende a prolungarsi nel tempo con master post-universitari e stage, anche qui in parallelo a quello che sta avvenendo in altri ambiti. Per certi aspetti, si può configurare addirittura un percorso di formazione permanente. Basti pensare a un progetto come l’Ecole des Maîtres, che raccoglie giovani attori professionisti da tutta Europa per metterli in contatto laboratoriale con il lavoro di alcuni maestri della scena; o all’esperienza di Santa Cristina, la “casa del teatro” che Luca Ronconi si è costruita in Umbria.
Terzo aspetto innovativo, queste esperienze sono spesso sovrapposte tra loro: per esempio la formazione storico-teorica offerta dall’università e quella pratico-esperienziale vissuta in workshop e seminari. Ma s’intrecciano anche l’attività propriamente artistica da un lato, e quella formativa oppure pedagogica dall’altro: si può essere attore e contemporaneamente allievo (o insegnante) in un corso di recitazione, una situazione impensabile in una tradizionale accademia.
Quarto, questa pedagogia interagisce sempre più strettamente con il mondo del lavoro, e in particolare con l’accesso alla professione. Ancora una volta, è un percorso analogo a quello che sta interessando molti altri ambiti. Si è già accennato agli stage presso un teatro, una compagnia, un festival, un ente pubblico, ma si stanno affinando altre forme di tutoraggio, come le residenze per un giovane registi o gruppo o addirittura direttore artistico presso un teatro; più in generale, si moltiplicano bandi che offrono premi di produzione ma anche sostegni e “accompagnamenti” di tipo professionale, organizzativo, eccetera. Come occasioni di reclutamento, ai tradizionali provini si sono affiancati corsi e workshop (generando una serie di problemi di non facile soluzione: per esempio, partecipare a un provino è in linea di principio gratuito, queste esperienze laboratoriali sono in genere a pagamento).
In linea generale, l’ingresso nel mondo del lavoro – in un mondo del lavoro sempre più precarizzato, va aggiunto – non è più una discontinuità, un salto netto, un irreversibile passaggio di status (l’ingresso in compagnia, il concorso universitario con relativa cattedra), ma un processo graduale, che può prevedere anche qualche andirivieni, man mano che gli obiettivi diventano più precisi – ma a volte anche per puro caso, per una curiosità innescata magari proprio dall’offerta di occasioni di formazione e d’incontro.
Allo stesso modo, la professione non è più un’esperienza monolitica ed esclusiva. Si è accennato più volte al doppio binario artistico e pedagogico di molte realtà: per diversi giovani gruppi, lo spettacolo è un lusso che è possibile pagare grazie ai proventi di corsi e scuole, mentre la credibilità dei corsi e delle scuole viene in qualche modo “garantita” dal riconoscimento della qualità artistica degli spettacoli. Allo stesso modo questa credibilità sul versante artistico permette di ampliare l’attività in altre direzioni: innanzitutto l’animazione (in convention aziendali, in resort turistici, nei musei e nelle mostre, in bar e locali, eccetera) e l’intervento sul sociale (nelle scuole, nelle carceri, negli ospedali, con gli immigrati, con gli anziani e in generale nei luoghi del disagio), due attività che hanno iniziato a svilupparsi negli anni Settanta. Poi come organizzatori culturali, cominciando dalla progettazione e realizzazione di festival e rassegne, per arrivare fino alla gestione di uno spazio.
Sono percorsi professionali che richiedono grande flessibilità e creatività, e che possono essere intrapresi individualmente e collettivamente (da un giovane gruppo o compagnia).
Abbiamo dunque, per concludere, una ricchezza e varietà di percorsi formativi davvero straordinaria, almeno in apparenza. Abbiamo inoltre una serie articolata di strumenti che accompagnano di fatto l’ingresso nel mondo del lavoro e offrono prime occasioni di visibilità e selezione: stage, tutoraggi, residenze, e poi il moltiplicarsi dei bandi e dei festival (due temi di cui ateatro a già parlato in diverse occasioni).
Il problema è vedere se tutto questo offre davvero la preparazione necessaria, sia dal punto di vista quantitativo sia dal punto di vista qualitativo.
Ogni anno sono centinaia (o forse migliaia) i giovani che dovrebbero entrare nelle università, nei teatri, nelle compagnie, nel cinema o nella tv, nelle amministrazioni, in un quadro dove i giovani faticano in ogni caso a trovare sbocchi e in una situazione in cui la precarizzazione è sempre più spinta.
Bisogna anche interrogarsi se la moltiplicazione di materie e discipline, e la frammentazione in decine e decine di specializzazioni e figure professionali, risponde a una effettiva necessità, sia culturale sia pragmatica, rispetto alle esigenze del mondo del lavoro.


 

BP04055
114.55 BP04: Essere è essere percepiti. Note evoluzioniste
(emergenza, visibilità e selezione)
di Adriano Gallina

 

Il termine “emergenza” fa venire in mente ad Angelo Curti l’immagine dell’iceberg. A me richiama un’immagine differente, una specie di cerchio dantesco: la spiaggia di Riccione in pieno agosto, una folla di bagnanti pigiati, a mollo fino al dorso, che calpestano altri bagnanti nascosti sotto la superficie dell’acqua, in una continua lotta per prendere fiato, per tirare fuori la testa.
L’idea di “emergenza” mi fa venire in mente, inoltre, una metafora di natura biologica, legata alla teoria dell’evoluzione, che più avanti vorrei adottare come filo argomentativo di quanto andrò dicendo. Perché mi pare che un nodo fondamentale del sistema teatrale italiano – e che è stato per ora solo sfiorato – si identifica con il problema della sopravvivenza che, in larga misura, è a sua volta coincidente con il problema della distribuzione e quindi del mercato.
Sin ad ora abbiamo sentito parlare dell’essere: la formazione, la scuola, l’accesso alle professioni, la produzione. Persino il prezioso bando Cariplo sulle residenze teatrali – che tuttavia si pone e si è posto fortemente il problema del “poi” – si chiama Etre, “essere”. Un tema fondamentale, che tuttavia si colloca - potremmo dire - ad un livello preliminare della vita di una compagnia, quello della nascita. Dopo, però, bisogna divenire e sopravvivere in un sistema teatrale caratterizzato da un tasso di mortalità altissimo.
Un aneddoto che mi pare significativo: quando nel 2001 assunsi la direzione del Verdi, ereditai la fase conclusiva del progetto “Scena Prima”, un’iniziativa – più o meno efficace – di sostegno alla giovani compagnie lombarde. Si trattava, in quell’edizione, di portare a conclusione una nuova formula a cadenza biennale: nell’anno precedente erano state raccolte le candidature di circa 200 nuove formazioni che, drasticamente selezionate nel corso della stagione, si riducevano a circa una decina di compagnie che avrebbero avuto accesso alla fase finale. Bene: dovemmo verificare – ad un anno di distanza – che circa il 60% delle compagnie selezionate (quindi, almeno di principio, le migliori) si era sciolto nell’arco dei mesi di istruttoria, era scomparso, non c’era più. Esistevano, ma non avevano avuto la possibilità di sopravvivere.
E vengo alla mia metafora biologica. Mi piace pensare alla comparsa di una nuova compagnia – e per “nuova” faccio riferimento, banalmente, ad un dato meramente anagrafico, non legato alla qualità, al repertorio, al linguaggio, ai temi, alle prospettive più o meno accentuate di sperimentazione – come ad una specie mutante. Nell’ambiente del teatro, in forma del tutto casuale, viene alla luce un organismo che prima non esisteva. La mutazione e la nascita coincidono con l’essere, come per le compagnie di Scena Prima.
Quando questo avviene in natura, l’ambiente (insieme ai repertori di flessibilità biologica propri dell’organismo) rappresenta il filtro selettivo che determina il tasso di adattamento della nuova specie: l’organismo diviene immediatamente visibile (ossia “selezionabile”) nella sua nicchia e ha dunque inizio, contestualmente alla nascita, il processo della valutazione, la misura delle possibilità di sopravvivenza, la prova di vitalità. La visibilità e la selezione – come diceva ancora Curti – sono simultanei al punto di identificarsi. Pare una banalità, giocata tuttavia su una triplice coimplicazione: il venire alla luce / l’emergenza, in natura, rende immediatamente visibili (“percepibili”) senza mediazioni, e quindi selezionabili. Questo cieco meccanismo, radicale ma del tutto privo di finalità, è ciò che consente in natura la continua apparizione del nuovo e, in sostanza, l’evoluzione stessa (in un’accezione non-valutativa). Consente anche di conseguenza – nella sua cecità – la scomparsa (o l’estinzione) di organismi superati dalle nuove specie: come le bianche farfalle della Londra della rivoluzione industriale, rapidamente soppiantate dalle farfalle nere, mimetizzate nello smog e dunque invisibili ai predatori (il parallelismo con i “salvati” di Filippo Del Corno non è casuale).
Ben differente il processo evolutivo nell’universo della produzione culturale (del teatro in particolare, perché di questo parliamo, ma anche dell’editoria, del pensiero, della conoscenza, della scienza): il processo è orientato e finalistico, si sviluppa in un ambiente – il mercato intermedio, non il pubblico – tutt’altro che cieco (checché ne pensino i teorici un po’ in malafede della “mano invisibile”), giocato su interessi e dinamiche perfettamente leggibili e radicalmente conservative.
In questa selezione innaturale, quel che viene in realtà pre-selezionato dalla nascita è la nascita stessa, l’età puramente anagrafica dell’organismo, il suo essere sic et simpliciter e non il suo essere qualcosa: la qualità, la vitalità, l’adattamento di una nuova compagnia si trovano costretti ad una lunga – lunghissima – fase di invisibilità, di non giudizio, quindi di virtuale inesistenza. E’ come se esistesse la necessità di un’emergenza dell’emergenza in un contesto in cui i bisogni primari devono essere soddisfatti – paradossalmente – proprio attingendo da quell’ambiente per il quale non si è ancora nati.
Ma da qui, anche, la consapevolezza – in un sistema appunto orientato dalle volontà politiche e quindi dalle scelte – della necessità di un sistema di sostegno politico, culturale ed economico volto esattamente a promuovere e tutelare la mutazione, garantirle sopravvivenza e visibilità, ampliarne anche quantitativamente le nicchie ed esporla ad un’autentica selezione nel merito. Questo era – storicamente – il compito attribuito alle Stabilità d’Innovazione, sulle cui inadempienze ho già avuto modo a più riprese di intervenire anche su ateatro.
Un compito disatteso non solo sul terreno della produzione ma anzitutto sul versante della proposta e della vertenza politica e della vitalità organizzativa. Nell’assenza, per molti versi anche economicamente incomprensibile, di un’azione finalizzata all’estensione territoriale di bacini di promozione del giovane teatro, alla rivendicazione istituzionale di un primato dell’innovazione nella determinazione degli orientamenti e della logica dell’investimento pubblico, nella salvaguardia e valorizzazione delle pochissime “aree protette” esistenti (penso per esempio all’isola felice di “Altri Percorsi” in Lombardia, annacquata oggi in un modello di “Circuiti teatrali” totalmente privo di fisionomia; o ancora a “Scena Prima” che, con tutti i suoi difetti, avrebbe forse potuto avere un’evoluzione significativa). Un disimpegno che è tra l’altro all’origine del fenomeno della stabilità diffusa che – ormai da tempo – caratterizza l’evoluzione del nostro sistema teatrale.
Ecco: probabilmente da questa stabilità diffusa, dalle esperienze di residenzialità e da nuovi soggetti anche politici e di rappresentanza occorre ripartire, per provare a ricostruire un tessuto in cui l’emergenza possa arrivare al pubblico (e, perché no?, alla critica), confrontarsi con i suoi naturali interlocutori e ridefinire i contorni di un’economia sostenibile nella quale l’innovazione possa aspirare ad essere investimento ordinario e non follia estiva festivaliera o riserva indiana.


 

BP04058
114.58 BP04: Formazione e mercato del lavoro per i professionisti dello spettacolo
(formazione e lavoro)
di Antonio Taormina

 

Dal lavoro congiunto realizzato con Stumpo, risulta che nel quinquennio 2001/2005 la prosa vede un incremento del numero degli artisti (+17,4%) degli amministrativi (+13,2%) e del personale tecnico (+7,5%), ma subisce complessivamente un decremento delle giornate medie lavorate del 7,9%; gli artisti in particolare, ovviamente la categoria più rappresentata, vedono un calo del 14,3%. Le retribuzioni medie annue si attestano su un –1,9%. Situazioni analoghe si registrano nella musica e nella danza.
Sono dati inequivocabili di una situazione precaria, instabile, caratterizzata da un aumento progressivo di professionisti a fronte di una domanda di mercato pressoché costante.
Volendo tentare una semplificazione si può affermare, anche sulla base di analisi specifiche svolte negli ultimi anni che il sistema dello spettacolo dal vivo oggi richiede:
- figure già codificate, le cui ascendenze sono da ricercarsi nella stessa storia dell’impresariato teatrale, riconducibili all’ambito gestionale-organizzativo, ridisegnate negli aspetti progettuali, direzionali, strategici, relazionali;
- figure ad alto valore innovativo con competenze, ad esempio, nel campo delle tecnologie applicate alla comunicazione e più in generale ai processi produttivi, alle tecniche di palcoscenico
- figure artistiche con un bagaglio di competenze sempre più elevato, in grado di affrontare il livello di competitività delle imprese di produzione; un esempio in tal senso è dato dal settore del musical, in espansione in un paese che non possiede al proprio interno tale tradizione, e dunque neanche scuole adeguate a formarne gli interpreti.

Relativamente all’area gestionale-organizzativa si è di fatto sistematizzato un paradigma di competenze necessarie, attinenti macro aree quali: Legislazione dello Spettacolo, Economia della cultura, Politiche culturali, Gestione economica e amministrativa, Organizzazione dello Spettacolo, Gestione delle risorse umane, Strategie aziendali, Project management, MKT e comunicazione, Nuove tecnologie applicate, Service management, Sviluppo del territorio, oltre alle competenze culturali specifiche.
Si avverte peraltro l’esigenza di una mappatura puntuale e aggiornata delle professioni e dei mestieri dello Spettacolo, con una particolare attenzione verso i nuovi profili. In una visione di prospettiva andranno dunque contemplate figure quali il cultural planner, poiché il settore necessita di figure le cui basi conoscitive vadano oltre il management e le politiche culturali per abbracciare l’economia politica, la sociologia urbana, l’antropologia, le discipline che consentono la lettura del territorio.
Restando su quest’area, si riscontra da alcuni anni una difficoltà da parte delle imprese di reperire personale con caratteristiche e competenze corrispondenti con le effettive attuali esigenze. Si rileva una discrasia: a fronte di una domanda sempre più decisa di figure posizionate su standard di specializzazione elevati si riscontra un’offerta di neo professionisti, con una formazione in massima parte di tipo generalista, slegata da una conoscenza effettiva del settore, nonostante (o forse a causa di questo) un’offerta formativa, complessivamente intesa, in crescita.
Parallelamente si riscontra un’offerta insufficiente per quanto concerne la formazione continua e quella permanente, indirizzata a chi già lavora, finalizzata alla specializzazione e all’aggiornamento, riconducibile all’alta formazione universitaria, seppure queste tipologie formative rappresentino leve strategiche essenziali per attivare processi innovativi. Tale esigenza è particolarmente sentita in una fase come quella attuale caratterizzata, per ovvi motivi, dalla contrazione di assunzioni, mentre i professionisti strutturati avvertono la necessità di attestarsi su livelli sempre più alti di conoscenza e capacità all’interno di un contesto competitivo.
E ancora: lo scenario in essere evidenzia in maniera netta l’assenza di un disegno organico per la formazione degli operatori delle Regioni e degli Enti locali addetti allo spettacolo, che spesso assolvono il duplice ruolo di gestori di eventi e di attività e di erogatori di finanziamenti. E’ sin troppo evidente in questo ambito il richiamo alle previste nuove attribuzioni di competenze, in materia di spettacolo, alle Regioni e agli Enti Locali, in termini di legislazione concorrente, in conseguenza della riforma del titolo V della Costituzione, quali che siano le scelte future.
Si riscontra un certo disordine nella moltiplicazione e caratterizzazione dei corsi; si avverte l’esigenza di forme di coordinamento a livello nazionale.
Da una parte vi sono le imprese (nell’accezione più ampia del termine), e gli stessi operatori, forti di una consapevolezza ormai acquisita dei fabbisogni formativi, dall’altra una domanda anche entusiasta da parte di giovani che hanno già compiuto percorsi di studi superiori o il triennio post riforma universitaria e aspirano ad entrare nel mercato del lavoro; al centro una copiosa offerta fatta di master, corsi di alta formazione universitaria, lauree specialistiche, scuole recitazione e di danza, corsi per figure tecniche e tecnico-artistiche promossi da enti di formazione e scuole specializzati, in parte sostenuti dalle Regioni. L’ampiezza dell’offerta formativa causa in primo luogo un disorientamento nell’utenza e, dato più rilevante, per alcune figure un abbassamento progressivo della capacità di assorbimento da parte del mercato a causa dello squilibrio tra il numero delle persone formate e la domanda reale.
Negli anni Novanta si era creato una sorta di sistema formativo per lo Spettacolo, grazie al lavoro di Università quali il DAMS di Bologna, la Luiss, la Bocconi e scuole come la Civica Paolo Grassi di Milano, la Fitzcarraldo di Torino, l’Ater Formazione, diversi centri di formazione. Tale sistema, in buona parte caratterizzato dall’intervento delle regioni e delle province in virtù dell’utilizzo del Fondo Sociale, che aveva mostrato dei limiti ma anche grande capacità propositiva, è stato in parte esautorato nel suo ruolo con l’avvento della Riforma Universitaria avviata nel 2.000. Tale riforma, per contro, ha evidenziato l’assenza di sistemi di rilevazione tali da consentire una progettazione delle attività formative (ci riferiamo in primo luogo ai master di I e II livello) coerente con le tendenze dell’occupazione e i reali fabbisogni.

Possibili soluzioni

Lo sviluppo di strumenti per analizzare l'andamento del mercato, facendo qui ricorso agli Osservatori regionali dello Spettacolo che stanno vivendo una fase di grande espansione e nella definizione di forme strutturate di collaborazione tra Università, scuole, enti di formazione, soggetti che operano nella ricerca, imprese, associazioni datoriali, rappresentanze sindacali.

Il sostegno alla nascita di nuove realtà (poli di eccellenza) in grado di dialogare con i diversi livelli di governo, stabilizzate sul piano dei finanziamenti pubblici, la cui vision sia favorire l’occupazione e l’evoluzione del settore, che oltre a garantire competenze sul piano imprenditoriale, dispongano di strumenti e metodologie atti a coprire l’intero ciclo che va dall’analisi dei fabbisogni formativi alle azioni finalizzate a favorire l’inserimento in azienda. Si auspica, infatti, come ricaduta della costituzione di poli formativi specializzati, la costruzione di filiere dell’offerta formativa: dai percorsi universitari alla formazione continua, sino all’alta specializzazione conseguita attraverso corsi con un’impostazione internazionale nell’impianto teorico e nelle fasi operative.

La costruzione di sistemi ad hoc che consentano di coniugare domanda e offerta professionale, di porre in relazione interventi con incidenza e rilevanza regionale con progetti nazionali, secondo strategie a medio e lungo termine. Questo in linea e d’intesa con quanto si sta facendo a livello nazionale con la Borsa Continua Nazionale del Lavoro, promossa dal Ministero del Lavoro e dalle Regioni sulla base della Legge 30/03.

Infine la questione delle qualifiche professionali. Attualmente le qualifiche (non si parla ovviamente dei titoli rilasciati dall’Università e dalle altre istituzioni parificate), sono riconosciute dalle Regioni, che in base alla riforma del Titolo V le Regioni hanno acquisito competenza esclusiva sulla formazione.
Ogni Regione è dunque libera di adottare un proprio sistema di qualifiche e standard professionali. Lo Spettacolo, rientra viceversa nella legislazione concorrente Stato-Regioni, con tutto quanto ne consegue.

È un grave problema, che non riguarda ovviamente solo lo spettacolo, di cui si è recentemente preso coscienza, anche per effetto di disposizioni e raccomandazioni europee.
A livello nazionale, nel 2006 è stato attivato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale un Tavolo Unico finalizzato alla definizione di un sistema nazionale di standard minimi professionali, di riconoscimento e certificazione delle competenze e di standard formativi, che coinvolge il Ministero dell’Istruzione, il Ministero dell’Università e della Ricerca, il coordinamento delle Regioni e le Parti sociali.
Ma i tempi per la sua messa a punto di un sistema condiviso in Italia e in Europa saranno ineluttabilmente ancora lunghi.


 

BP04062
114.62 BP04: Il razzismo, la memoria
(geografie)
di Patrizia Bortolini

 

Il titolo di questo incontro parla di emergenze. Anch’io vorrei partire da due di quelle che mi paiono emergenze milanesi: il razzismo e la memoria. Mi spiego.
Nel teatro, luogo multiculturale per antonomasia, forse non si percepisce che invece è ormai dilagato un senso comune ferocemente razzista, si sta, secondo me, sottovalutando l’effetto che hanno fatto, e stanno facendo, sulle persone certe prese di posizione ed affermazioni da parte di politici e giornalisti. L’immigrato è ormai l’untore: stupratore, ladro, spacciatore, omicida. L’uomo nero delle fiabe si incarna in ogni persona con sfumature di colore di varia natura tendenti allo scuro. Basta salire su un mezzo pubblico per assistere a scene incredibili: insulti, gente che li apostrofa come terroristi, una ragazza che parlando di una signora extracomunitaria dice “non è dei nostri”. Un generalizzato fastidio che diventa disponibilità ad accettare qualsiasi soluzione politica per quanto riguarda “gli stranieri” ormai non più solo extracomunitari. Tutto questo è pericoloso, il pericolo è grande anche per tutti i cittadini italiani, un rischio di limitazione della democrazia, perché le restrizioni democratiche finiscono sempre per riguardare tutti.
La seconda emergenza, dicevo, è la memoria. Non intendo la memoria celebrativa, istituzionalizzata, lo studio della storia, che comunque male non farebbe, intendo l’interruzione di una narrazione che ha estirpato senso comune, prodotto anomia e smarrimento di identità. Intendo l’aver lasciato allo sbaraglio, soli e in fila per uno, davanti allo sfruttamento intere generazioni. Per memoria intendo il cosa c’era, prima che fosse rasa al suolo la Stecca degli Artigiani, fabbrica trasformata in luogo d’arte, ora vi saranno dei palazzi, il primo Leoncavallo dove ora c’è un anonima casa, via Morigi che vogliono sfrattare, oppure, ed è ben più grave, le fabbriche dove nel 1944 si fecero gli scioperi durante l’occupazione nazista (Falck, Breda, Magneti Marelli, Pirelli), ed ora ci sono centri commerciali, uffici e università. A Milano si sta cancellando ogni e qualsiasi luogo o segno che abbia rappresentato qualcosa di alternativo al pensiero dominante. Non solo politicamente, ma culturalmente. Non è solo il tempo che passa, ben vengano cambiamenti e novità. La linea è ristabilire l’ordine, cancellare la memoria. Non ricordare che noi eravamo poveri e immigrati, che si lottava per la libertà, la democrazia, per i diritti nel lavoro, che abitavamo nelle case di ringhiera con il bagno fuori, che le donne morivano di aborto clandestino, che non potevano accedere a molte carriere professionali, che potevano essere sposate a forza dall’uomo che le aveva rapite e violentate, era previsto nell’ordinamento giudiziario persino il delitto d’onore, e si deve arrivare agli anni ’70 per cancellarlo! Potrei parlare per ore di quanto abbiamo perso in coscienza e conoscenza. Non si può ricordare tutto, certo, ma qualche fondamento della nostra vita attuale forse varrebbe la pena.
Allora per fare tutto questo abbiamo bisogno, tanto, anche del teatro. Milano ha bisogno del teatro per non dimenticare se stessa . Questo paese ha bisogno di recuperare il senso della democrazia, quello vero e profondo che ci hanno consegnato dopo averla perduta con il fascismo. Non celebrazioni, ma senso quotidiano. Democrazia come dialogo, rapporto, conflitto con i luoghi delle istituzioni, come senso critico, come idea che non siano solamente gli esecutivi a decidere ma esista un rapporto dialettico tra la società e la politica, capisco il timore di cooptazione, ma la politica non può diventare quel luogo, come diceva qualcuno parlando del teatro, dove mentre si parla di politica ci si dimentica la vita. Concludo con una riflessione che attiene la democrazia. In molti interventi si rincorre il problema dei finanziamenti, prima si parlava di trasparenza nell’utilizzo dei fondi pubblici, di senso civico. Si parlava del sistema Milano. Ecco diciamo che su questo vi sono diverse considerazioni da fare che accenno solamente. Per quanto riguarda il primo aspetto dico solo che il Sindaco di Milano è in questo momento indagato, non giudico, tutto potrà risultare legalmente ineccepibile. Rimane il giudizio politico di quegli stipendi a 200.000 euro l’anno (“una novantina di funzionari con stipendi a volte triplicati” da Il Sole 24 ore 29.11.2007, “Una simile indagine è condotta parallelamente anche dalla magistratura contabile della Corte dei Conti. Nel mirino, oltre alla nomina di super dirigenti, la scelta del sindaco di affidare proficue consulenze a professionisti esterni. All'origine dell'inchiesta giudiziaria un esposto dell'opposizione in cui si legge che l'assunzione di super consulenti scelti all'esterno dell'amministrazione grava sul bilancio comunale del 2007 con una spesa di 40 milioni e 607 mila euro: un milione in più rispetto al 2006” da la Repubblica 29.11.2007). Non commento. Poi parliamo dei 19 milioni di euro dati dalla Regione Lombardia alle Comunità montane. Nulla contro di esse, per carità mi chiedo se sia una cifra compatibile visto che si continua a parlare di mancanza di soldi pubblici. E per quanto riguarda il “fare sistema”, non dimentichiamo che il Sistema a Milano c’è. Al Teatro Arcimboldi, costato ai contribuenti decine di milioni di euro, ora si fa Zelig. Bellissimo, sapete di quale rete fa parte. In Triennale c’è un’installazione su Striscia la notizia, nulla in contrario. Ho fatto solo due esempi. Ma le persone che lavorano nello spettacolo credo potrebbero aggiungerne. Passa di lì la strada. Non sempre, ma spesso e volentieri. D’altra parte quando un’azienda controlla televisioni, case editrici, teatri, giornali... Andrebbe aperta una riflessione sulla libertà della cultura, una cultura oltretutto costretta alla precarietà. Precarietà della cultura precaria. Ma qui concludo, con l’annuncio degli Stati Generali della Sinistra a Milano. Questo ambito è quello che vorremmo diventasse casa comune per tutti coloro ai quali questo stato di cose non piace e credono che un mondo diverso sia ancora possibile.


 

BP04065
114.65 BP04: Oltre i vincoli di genere
(emergenza danza)
di Roberto Castello

 

Nello spettacolo italiano l'emergenza non è una novità, per interi settori è una condizione endemica e non è una novità neppure che siano i giovani a pagare il prezzo più alto. Sono i meno protetti, i meno organizzati e in Italia, con ogni evidenza, vale più l'anzianità del merito.
La situazione è immobile e ingessata, i nomi dei direttori artistici delle principali istituzioni dello spettacolo sono da decenni sempre gli stessi, lo stesso è per i registi di punta e gli attori più pagati hanno età imbarazzanti. Gli Stabili pubblici e privati restano complessivamente un inespugnabile fortino della conservazione.
In questo quadro porsi il sacrosanto problema di come consentire ai giovani di formarsi al meglio rischia di essere del tutto irresponsabile dal momento che il lavoro ora come ora è poco, poco pagato e in genere poco motivante per un giovane artista inquieto.
La confusa rincorsa allo spettatore che negli ultimi decenni ha reso le stagioni e le rassegne italiane rassicuranti quanto e più della televisione e la pigrizia intellettuale di chi ha legittimato e rafforzato la convinzione che il teatro sia il luogo in cui si recitano i testi, meglio se classici, a memoria, ha messo strutturalmente ai margini del sistema tutto ciò che oggi potrebbe contribuire a dare dignità alla cultura del nostro paese, tutto ciò che ogni nuovo regolamento e disposizione di legge in teoria dice di voler innanzitutto promuovere e sostenere: la creazione contemporanea, le nuove forme della drammaturgia, la multidisciplinarità e i nuovi linguaggi di cui i giovani, a rigore, dovrebbero essere la naturale espressione.
Sarebbe davvero ora che i regolamenti venissero applicati alla lettera, anche nelle dichiarazioni di intenti. Le leggiamo dovunque da decenni e sono metodicamente disattese nei fatti. Il sospetto è che la loro vera funzione sia quella di ingannare quella vastissima, inquieta, generosa e frammentatissima galassia di artisti e operatori che, non inquadrati ed inquadrabili nei sistemi della lirica e della prosa, per questo stesso fatto, senza eccezione, lavorano al di fuori delle più elementari regole di tutela previdenziale ed assistenziale ma regalano, con la loro disinteressata energia, vitalità e legittimazione ad un sistema delle attività culturali che senza di loro non sarebbe in grado di esistere.

Per smettere di sfruttare ed iniziare ad utilizzare queste energie occorre che la politica dimentichi le corporazioni e rimuova innanzitutto i vincoli di genere, i meno adatti a definire le multiformità delle creazione artistica attuale.
La politica, almeno in ambito culturale, non deve limitarsi ad amministrare il presente, deve chiedersi come sarebbe giusto fosse il futuro ed operare di conseguenza. Gli aumenti di risorse sono del tutto inutili se, come è per lo più avvenuto in occasione del Patto per le Attività Culturali, si traducono in mere spartizioni percentuali fra i soggetti esistenti. Non saranno le poche decine di migliaia di euro elargite qui e là ai soliti vecchi soggetti a fare ripartire lo spettacolo contemporaneo.

L'emergenza è il dovere morale di smettere di sperperare il capitale umano che il nostro paese continua generosamente, ma vanamente, ad esprimere.
Ciò che occorre è una liberalizzazione che imponga il ricambio; rimuova, con una nuova legge unica per lo spettacolo, ogni discriminazione di genere e favorisca la libera circolazione delle opere, di qualsiasi tipo esse siano; premi la qualità; decentralizzi i luoghi delle decisioni favorendo la nascita di reti di nuovi luoghi e nuovi soggetti; renda complessivamente più capillare e qualitativamente alta l'offerta culturale.


 

BP04066
114.66 BP04: Formazione, qualità e riconoscimento dell'operatore culturale
(formazione)
di Andrea Minetto *

 

Ci siamo davvero abituati a lavorare in condizioni di emergenza quotidiana.
E' per questo che mi viene spontaneo superare l'accezione legata alla precarietà economica contingente e riflettere su un altro aspetto, personalmente più vicino, legato alla formazione e all'inserimento lavorativo dei giovani operatori culturali.

Grazie al mio particolare percorso formativo e professionale ho avuto la fortuna di vivere fino a poco tempo fa un doppio ruolo: da una parte quello di professionista (attraverso la mia agenzia di produzione e come organizzatore dell'ensemble Sentieri selvaggi) e dall'altra quello di tipico studente (con il corso in Paolo Grassi e una Laurea in Comunicazione) destinatario degli innumerevoli percorsi di formazione sullo spettacolo.
Questa particolare situazione mi ha permesso di vivere le esigenze di entrambi i versanti , osservando da vicino sia alcune dinamiche dell'offerta e contemporaneamente anche della domanda, sempre però con particolare riferimento alle professionalità non prettamente artistiche che rientrano nella più ampia e indefinita etichetta di organizzatori culturali.

La questione più evidente che bisogna porre, come altri hanno già segnalato, è la confusione e l'abbondanza dell'offerta formativa, la quale, oltre ad avere troppo spesso una qualità discutibile a fronte di costi di accesso molto elevati, risulta indubbiamente sproporzionata rispetto alle reali capacità di assorbimento del mercato.
Una possibile causa di questa sproporzione, che si è accentuata moltissimo negli ultimi anni, è da ricercarsi in due opposte tendenze che hanno investito più che in passato il mondo delle performing arts.
Se da un lato infatti la quota di finanziamento pubblico alle realtà culturali si è drasticamente ridotta e le istituzioni non prettamente commerciali faticano sempre di più a garantire una stabilità ai propri occupati, dall'altro il mercato dello spettacolo commerciale, sull'onda dei grandi show, della logica degli eventi e dell'influenza del mondo della tv (vedi i Gormiti, Cocciante e le Winx per citare i casi più recenti), si è allargato in maniera esponenziale moltiplicando di conseguenza fatturato, professionisti e attenzione mediatica.
Questa situazione ha a sua volta prodotto un'ondata di attenzione che è arrivata fino al mondo della formazione, il quale ha intravisto un terreno fertile, poco esplorato e interessante per attrarre nuovi studenti.
Nel giro di pochi anni e con una concentrazione territoriale impressionante si sono creati una miriade di facoltà, corsi, scuole e accademie sulle professioni dello spettacolo
Milano stessa ne è un esempio emblematico. Una città satura dal punto di vista occupazionale dove i pochi soggetti che potrebbero e dovrebbero permettere un reale inserimento retribuito sono assillati non solo dal ricambio normale dei professionisti ma anche da decine di scuole e università che hanno interesse a piazzare i propri studenti a cui hanno preventivamente assicurato una qualche opportunità di stage formativo.

Pertanto sempre più frequentemente proprio questi enti non sono più interessati a costruire collaborazioni durature con professionisti regolarmente retribuiti ma preferiscono invece affidare ad un numero maggiore di stagisti non pagati gli stessi compiti, guadagnandone sicuramente dal punto di vista contabile ma non in termini di continuità, capitalizzazione dell'esperienza e qualità del lavoro svolto.

Questa è la prima grande emergenza che andrebbe affrontata. Sfrondare in fretta e ridurre la miriade di master e corsi che hanno come risultato la creazione di un enorme quantità di stagisti, non solo troppo spesso poco formati ma anche non sempre consapevoli di cosa è realmente il mondo dello spettacolo.
L'unico effetto che quindi si produce, ed è davvero un'emergenza e una grave responsabilità sia per gli enti di formazione che per i soggetti culturali che, più o meno in buona fede continuano a sfruttare a loro favore questo fenomeno, è la creazione di un vastissimo precariato tra i giovani e un progressivo abbassamento della competenza professionale.
Certo, mi si dirà che per i neodiplomati e laureati c'è sempre la strada, entusiasmante ma faticosissima dell'associazionismo e dell'auto imprenditorialità.
Tuttavia anche questa prospettiva ha come risultato quello di aumentare vertiginosamente il numero di soggetti che si troveranno costretti ad operare in totale concorrenza sempre nello stesso asfittico mercato!
Le emergenze di precarizzazione, sfruttamento e svalutazione qualitativa del lavoro credo siano quindi imputabili alle grandi realtà produttive e formative ma anche alla mancanza di una chiara politica di tutela da parte delle istituzioni.
Se lasciato così questo sistema, produrrà danno non solo ai giovani e agli stessi professionisti/formatori già inseriti ma anche alla qualità generale di tutto il comparto delle arti performative.

Il secondo punto di riflessione riguarda infatti non più i formatori ma proprio tutti i giovani operatori che costituiscono ormai a pieno titolo per numeri e impatto una vera e propria categoria emergente.
Le arti performative ci sono sempre state così come gli attori, i musicisti, i tecnici e gli impresari pure, ma mai come in questi anni si è visto un proliferare di figure che giravano più o meno utilmente intorno alla “cosa artistica”.
Ormai “tutti” sono organizzatori di spettacoli, di eventi, di arte anche solo perché hanno fatto un concerto in oratorio, hanno portato il caffè ad un regista famoso o peggio ancora perché hanno organizzato un dj set in qualche discoteca alla moda.
In effetti il nostro lavoro di operatori culturali è legato alla sfera dei servizi e quindi di per sé viene considerato un po' effimero, difficilmente identificabile e non riconosciuto come portatore di una e vera propria professionalità.
Quello che mi sento dire sempre più spesso quando parlo della mia professioni è che, bene o male, alla fine un po' tutti possono fare il nostro lavoro poiché in qualche modo i progetti e le produzioni si portano sempre a casa.
E allora il problema che i giovani organizzatori si devono porre come EMERGENZA e che poi devono trasformare in BUONA PRATICA, è proprio il modo in cui vengono conclusi e svolti questi lavori.
Nel campo delle performing art il come non è secondario anzi la qualità si basa spesso proprio su quello: come uno interpreta un personaggio, come uno legge un testo, come uno si approccia ad una problematica artistica, come uno arrangia una canzone.
Ecco, credo che ora i nuovi operatori culturali debbano porsi in maniera urgente e prioritaria rispetto al passato anche la questione del COME si lavora dietro le quinte.

Di fronte a questo tipo di emergenza, di molti e nuovi professionisti che si affacciano nel mondo dello spettacolo, bisogna dunque riconoscere e tutelare le competenze e le professionalità specifiche che privilegino sempre di più la qualità del lavoro svolto.
Qualità quindi sia da innalzare nella formazione ma anche da pretendere dai professionisti stessi, che, anche se giovani e alle prime esperienze, saranno sempre meno sostituibili gli uni con gli altri e sempre più riconosciuti all'esterno come una vera e propria categoria professionale.

* Ensemble Sentieri selvaggi / Yawp Produzioni


 

BP04070
114.70 BP04: Ecole des Ecoles il metodo del confronto
(formazione)
di Bruno Fornasari

 

La tradizione teatrale europea si fonda da sempre sulla mobilità, sullo scambio, sul confronto di filosofie ed estetiche. I problemi da risolvere sono per tutti essenzialmente due: il problema arte ed il problema professione. Affinché una tradizione, sedimentata in secoli d’esperienza, possa ancora proporsi come lingua viva e necessaria, occorre un confronto sulla pratica del lavoro e sui metodi da applicare, in circostanze sempre più precarie e sempre più mercificate.
Ormai da anni a San Miniato (PI) si tiene un appuntamento annuale sulla formazione nell’arte della scena, Prima del Teatro – Scuola europea per l’arte dell’attore, che raccoglie sotto l’ombrello organizzativo del Teatro di Pisa alcuni dei centri di formazione teatrale più importanti d’Europa. L’appuntamento prevede una serie di seminari della durata media di due settimane incentrati sui vari mestieri del teatro, dall’arte dell’attore all’arte della scrittura.
Questo modulo di scuola estiva è un’importante occasione di scambio d’esperienze, in cui allievi da tutta Europa possono incontrarsi in un ambiente artisticamente stimolante e non performativo, in un clima di condivisione dove prevale l’attenzione al processo più che al risultato.
Nel marzo 2006, da un’idea di Patrick Bourgeois dell’ENSATT di Lione e Roberto Scarpa del Teatro di Pisa, alcune delle scuole più solide, per fama e tradizione, hanno avviato un dialogo attorno alla possibilità di creare un Polo Europeo di Cooperazione Culturale fondante su due attività: un programma pedagogico pluriennale, un festival delle scuole di teatro.
L’ideazione basa sulla premessa condivisa che l’arte non sia insegnabile, e che il solo modo di favorire un suo sviluppo sia quello di accompagnare l’allievo in un percorso di progressiva acquisizione di consapevolezza delle proprie risorse creative.
Un apprendistato, per tornare alla tradizione, che si avvicini più all’artigianato che all’arte, un processo attraverso il quale l’attore possa acquisire strumenti tecnici e critici coi quali affrontare la professione e l’ambiente di lavoro in cui esercitarla.
Data la tendenza inerziale del sistema teatrale, in Europa come in Italia, a far dell’attore un esecutore più che un creatore del ruolo, scopo di questo continuo confronto sul processo, quindi sul metodo, è di resistere alla domanda di attori obbedienti cercando di formare attori intelligenti.
Ad un anno di distanza la fondazione dell’APECC (Associazione Polo Europeo di Cooperazione Culturale) ha dato i suoi primi frutti creando Ecole des Ecoles, un network europeo per la formazione nelle arti del teatro, di cui fanno parte:
Accademia dei Filodrammatici di Milano, Accademia Nazionale Silvio D’Amico di Roma, ENSATT di Lione, Guildhall School di Londra, RESAD di Madrid, Institut del Teatre di Barcellona, Statens Teaterskole di Copenaghen, Teatro di Pisa, Universitat der Kunste di Berlino.
Lo scopo del progetto è quello di esplorare nuovi percorsi di collaborazione tra scuole prestigiose nell’ambito delle arti performative, creando un programma europeo permanente su formazione, creazione e ricerca.
I lavori sono cominciati dall’ideazione e strutturazione di una serie di attività che permettessero ai membri dell’Associazione di conoscere le rispettive realtà pedagogiche, così da poter confrontare problematiche e metodologie sulla base di un’esperienza diretta del lavoro svolto in ogni scuola.
E’ parso subito importante, ai fini della condivisione di un linguaggio, porsi il problema della formazione dei formatori, ipotizzando veri e propri laboratori per docenti, coordinati da professionisti di riconosciuta esperienza nell’ambito della pedagogia teatrale.
Ecco in sintesi alcune delle proposte:
- Masterclass: destinate ai docenti e organizzate in diversi modi: conferenza-laboratorio con un maestro, osservazione di un maestro al lavoro con gli allievi, osservazione di una classe di allievi al lavoro con professionisti e coordinati da un maestro.
- Scambio d’insegnamenti: insegnanti di una scuola della rete invitati a tenere corsi nelle altre scuole.
- Osservazioni: uno o due membri di un’equipe pedagogica vengono ospitati come osservatori dell’attività di una delle scuole della rete, relazionando poi sul lavoro visionato.
- Studio di scrittura: per le scuole che hanno corsi di drammaturgia, concretizzare un programma di scambi tra giovani drammaturghi.
- Progetto Scanner: occasione per la scuola di esporre un problema specifico che abbia dovuto affrontare (una difficoltà o un fallimento), presentandolo come caso di studio.
- Seminari: incontri, per allievi ed insegnanti, con figure autorevoli del panorama teatrale europeo.
- Festival: l’organizzazione di un Festival delle scuole di teatro, con annesse attività pedagogiche e momenti di dibattito.
Il primo appuntamento ufficiale per Ecole des Ecoles si è tenuto nell’estate di quest’anno a Lione.
L’ENSATT, in collaborazione con la regione Rhone-Alpes, ha ospitato dal 9 al 13 di luglio la prima edizione del Festival Rencontres Theatrales, col titolo di Lingue e linguaggi del Teatro, al quale hanno partecipato, con la presentazione di uno spettacolo, alcune delle scuole della rete. Ogni giornata del festival prevedeva sessioni di training ad accesso libero, tenute da docenti dell’ENSATT, la doppia replica dello spettacolo programmato, un dibattito sul tema del giorno ed un dibattito sullo spettacolo presentato; parallelamente si è ricavato uno spazio per tutti gli allievi che avessero voluto presentare un proprio lavoro, con totale libertà di genere e linguaggio, allo scopo di sottolineare il carattere non gerarchico della manifestazione.
Ecco i temi affrontati in dibattito:
- Come formare scrittori per il teatro?
relatore- moderatore Enzo Cormann, ENSATT Lione
- Come insegnare la regia teatrale?
relatore- moderatore Ramon Simò, Institut del Teatre Barcellona

- Multidisciplinarità: la coordinazione dei dipartimenti
relatore – moderatore RESAD Madrid
- Come formare gli attori?
relatore – moderatore Bruno Fornasari, Accademia dei Filodrammatici Milano
- Scambi e politiche culturali in Europa.
L’Accademia dei Filodrammatici, unica scuola italiana a partecipare, ha presentato lo spettacolo La Festa, per gentile concessione di Spiro Scimone, con la regia di Bruno Fornasari e interpretato da Angela Demattè, Andrea Lapi e Dario Merlini, fornendo lo spunto ideale per una riflessione sulla necessità e l’importanza di un metodo di lavoro che non sia sterile formula, ma strumento pratico per l’attore.
Con i Rencontres di Lione e le ulteriori attività di scambio che Ecole des Ecoles si avvia a sostenere (masterclass sul training fisico, 14-18 novembre, Berlino), comincia da parte delle scuole facenti parte l’APECC un percorso di reciproca apertura basato sul metodo del confronto, ossia un approccio al fare teatro che cerchi le proprie risposte nella prassi della scena, e nel dialogo tra Lingue e Linguaggi. Troppo spesso infatti le diversità di approccio, le metodologie e la stessa questione della necessità di un metodo vengono percepiti come posizioni di pensiero conflittuali e tra loro alternative, mentre acquistano potenziale operativo se considerate strettamente complementari.
Ecole des Ecoles si pone da questo punto di vista come il luogo ideale del porre la domanda più che del tutelare la risposta, del confronto di idee più che dell’arroccamento su posizioni, in un rapporto dialettico costante, e non gerarchico, tra analisi teorica e conquista pratica.


 

BP04071
114.71 BP04: Teatri di vetro
(accesso e visibilità)
di Roberta Nicolai

 

Un capannone industriale molto grande, uno spazio duro e freddo, un fabbricato degli anni in cui le industrie stavano ancora dentro la città e la città era molto più piccola. Una visione archeologica sconosciuta a molti. Così ci appariva Strike la notte dell’occupazione, il 17 ottobre 2002. Nella frammentarietà dell’incontro tra diversità, vi abbiamo stabilito la nostra casa e buttato dentro tutta la nostra progettualità.
Lo spazio per una compagnia teatrale è tutto. È la possibilità di provare, studiare, elaborare. Lo spazio stabile produce e moltiplica il tempo: tempo per montare e smontare, per tornare indietro, per buttare via tempo, per far entrare gli altri.
Uno spazio come Strike non era solo cemento e cubatura, era un polo di attraversamenti. Questo ha avuto un effetto immediato: ha dato una spinta ai nostri intenti progettuali, ha indirizzato e concretato le nostre energie e ci ha dato la forza di iniziare un nuovo capitolo della nostra esistenza.
Subito dopo le prime rassegne auto-prodotte si è reso necessario coinvolgere le Istituzioni nella nostra progettualità. Resistenze – finanziata dall’ETI nel dicembre 2003 – ha ospitato compagnie riconosciute e realtà più giovani; nell’arco di dieci giorni ha fatto di Strike un luogo di teatro. In quell’occasione Marco Solari si è stabilito per due mesi nello spazio con tutta la sua compagnia e vi ha prodotto il suo spettacolo. Una sorta di residenza. L’ETI ha sostenuto solo in parte l’operazione ma il tst ha guadagnato visioni che venivano da un passato e si lanciavano verso il futuro.
Lo spazio è diventato il nostro angolo visuale, il punto d’osservazione, alimentando il desiderio di contatto con le decine di realtà, artisti, compagnie, gruppi che agitavano la sotto-scena romana.
Da lì è nata l’urgenza del monitoraggio. Non un monitoraggio fatto da tecnici ma da artisti, un cerca persone senza la pretesa di fare del territorio un oggetto di studio, ma con il chiaro intento di sapere chi fossero e quanti fossero i gruppi e quali i contenuti del loro teatro. Solo quando ci siamo trovati in mano il dossier di 260 pagine abbiamo capito che c’erano i presupposti per chiedere, di nuovo e ancora una volta, attenzione e abbiamo cercato un incontro con l’Assessorato alle Politiche Giovanili della Provincia di Roma. Di giovanile l’operazione aveva davvero poco ma l’Assessore Rosa Rinaldi ha subito appoggiato un percorso comprendendo che era in questione una vertenza ben più ampia del semplice Convegno teatrinvisibili, realizzato poi nel gennaio 2006 con il sostegno congiunto dell’Assessorato alle Politiche Giovanili e dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Roma. ZTL zone teatrali libere, la rete di spazi romani che avevamo contribuito a creare, ne ha condiviso il percorso, forte della consapevolezza di aver dato vita, nel tempo, ad una dinamica di riconoscimento tra spazi e artisti della scena contemporanea.
Non credo che un convegno potesse ottenere di più. Ha esclusivamente riaperto un confronto, frammentato negli ultimi anni in infinite istanze individuali, evidenziando come l’attuale modello di città, disegnato dall’Amministrazione, dimentica, nella sua riformulazione urbanistica, nel sistema di distribuzione di risorse e nell’intento di accentramento di poteri, la scena di domani, la più fragile e preziosa per la cultura di un territorio. E ha rimesso in moto l’attenzione esprimendo, attraverso la formulazione di un documento finale, letto alla presenza delle Istituzioni, l’esigenza di un riorganizzazione della politica culturale rispetto alla produzione artistica contemporanea.

La composizione di Teatri di Vetro fiera/mercato del teatro indipendente, 17-27 maggio 2007, è l’indice più chiaro della sua natura artistica e politica: vetrina per una scena tenuta in stato di fragilità dalle disattenzioni della politica culturale della capitale; vetrina per 45 compagnie selezionate in base ad un avviso pubblico che ha mobilitato la scena indipendente del territorio, raccogliendo circa 200 progetti al di là delle generazioni e dei differenziati livelli di emersione. Teatri di vetro ha anche prodotto un catalogo e un portale web destinato a perpetrare il meccanismo di auto monitoraggio messo in campo nel 2005; e ha di nuovo formulato la richiesta di attenzione, di creazione di strumenti che possano riconoscere l’esistente e tutelarlo, di temi di discussione con le parti politiche e gli operatori diventando uno spazio, il Teatro Palladium, e diversi spazi, urbani e privati, che si sono aperti come spazi pubblici denunciando implicitamente l’inaccessibilità degli spazi ufficiali.
Le circa 160 realtà teatrali, compagnie e artisti del tessuto cittadino e provinciale presenti nel catalogo, non esauriscono l’intera scena sommersa, ne esprimono una parzialità e ne testimoniano la ricchezza. È in quella zona oscura del territorio che il nuovo nasce, muta, produce linguaggi e pratiche. È lì che si dà vita non solo a centinaia di spettacoli, ma a rassegne, reti, riviste on-line e cartacee, eventi che intercettano un nuovo pubblico. La scena fragile, in uno scenario amministrativo e politico che si esprime solo a colpi di bando e che accentra poteri e risorse, rischia di essere messa a dura prova di sopravvivenza, materiale e artistica.
Teatri di vetro, alla sua prima edizione, è stata la voce di questa scena. La fotografia di un territorio in fermento in cui si evidenzia la pluralità dei teatri esistenti, la cui complessità di scena metropolitana, di teatro che è molti teatri, richiede agli operatori, ai direttori, ai critici, a tutti coloro che hanno il potere di farlo emergere, l’elaborazione di criteri valutativi nuovi. Ed è sì una fiera/mercato, nel senso che si propone di mettere in contatto le compagnie del territorio con i direttori dei festival e dei teatri, con gli operatori, con la critica e con il pubblico e ridare dignità di lavoro ai mestieri dell’arte, ma è anche e soprattutto l’espressione di uno scenario profondamente mutato per il quale si chiede un intervento innovativo da parte di chi il territorio lo governa e lo amministra.
Tutto questo è il nostro vissuto e il nostro percorso. La nostra identità. Questa soggettività ha incontrato la Fondazione Romaeuropa e gli Assessorati della Provincia di Roma lavorando insieme in una formula che potremmo definire sperimentale, dando vita, attraverso una concreta sinergia, ad un evento nuovo per il nostro territorio.
L’idea della fiera, di teatri di vetro, è un’idea che precede tutto questo, è l’idea di Resistenze. Non è il frutto, ne è la premessa. L’esigenza è la stessa di quando a Strike controsoffittavamo, mettevamo barre per le luci e parlavamo del teatro che verrà. L’esigenza è quella di raccontare un teatro che è sempre un’azione di resistenza e di piacere, nel teatro, nella vita, che sono al fondo nodi indissolubili, perché la prima senza il secondo sarebbe sterile "militanza", il secondo senza la prima non sarebbe autentico, ma solo una brutta imitazione. (da una lettera di Marco Martinelli)
Teatri di vetro, e tutto ciò che porta con sé, rimane il nostro progetto artistico. Noi siamo una compagnia, non siamo organizzatori, non siamo più neanche uno spazio, siamo gente che vive di visioni.
Ed ora siamo a Teatri di Vetro 2
La scena indipendente
direzione artistica e organizzativa triangolo scaleno teatro

Alla seconda edizione Teatri di Vetro propone una fotografia significativa della scena indipendente aprendo la partecipazione alle realtà di teatro, danza, arti performative della regione Lazio e, in una sezione speciale, ad artisti del territorio nazionale. L’estensione del monitoraggio e del catalogo on-line – che nella prima edizione ha censito 160 compagnie del territorio di Roma e Provincia - renderanno il festival punto di riferimento non soltanto di un territorio ma di un intero ambito del mondo teatrale. Spettacoli, performance e installazioni, selezionate anche per quest’anno attraverso avviso pubblico – con scadenza prevista a gennaio 2008 - saranno ospitate negli spazi del Teatro Palladium – palco e foyer - e all’interno dei luoghi urbani della Garbatella, nell’arco di dieci giorni e in successione serrata; affiancheranno la programmazione artistica spazi di incontro e di approfondimento, che contribuiranno a trasformare l’intero quartiere in una cittadella del teatro, favorendo lo scambio reale tra gli artisti, gli operatori teatrali, i direttori di teatri e di festival e la critica. Attraverso la continuativa connessione con gli spazi indipendenti e gli operatori del territorio romano e nazionale, Teatri di Vetro si propone anche luogo di debutto di nuove produzioni artistiche e polo di promozione della scena contemporanea.


 

BP04071
104.71 BP04: Teatri di vetro
(visibilità e accesso)
di Roberta Nicolai

 

Un capannone industriale molto grande, uno spazio duro e freddo, un fabbricato degli anni in cui le industrie stavano ancora dentro la città e la città era molto più piccola. Una visione archeologica sconosciuta a molti. Così ci appariva Strike la notte dell’occupazione, il 17 ottobre 2002. Nella frammentarietà dell’incontro tra diversità, vi abbiamo stabilito la nostra casa e buttato dentro tutta la nostra progettualità.
Lo spazio per una compagnia teatrale è tutto. È la possibilità di provare, studiare, elaborare. Lo spazio stabile produce e moltiplica il tempo: tempo per montare e smontare, per tornare indietro, per buttare via tempo, per far entrare gli altri.
Uno spazio come Strike non era solo cemento e cubatura, era un polo di attraversamenti. Questo ha avuto un effetto immediato: ha dato una spinta ai nostri intenti progettuali, ha indirizzato e concretato le nostre energie e ci ha dato la forza di iniziare un nuovo capitolo della nostra esistenza.
Subito dopo le prime rassegne auto-prodotte si è reso necessario coinvolgere le Istituzioni nella nostra progettualità. Resistenze – finanziata dall’ETI nel dicembre 2003 – ha ospitato compagnie riconosciute e realtà più giovani; nell’arco di dieci giorni ha fatto di Strike un luogo di teatro. In quell’occasione Marco Solari si è stabilito per due mesi nello spazio con tutta la sua compagnia e vi ha prodotto il suo spettacolo. Una sorta di residenza. L’ETI ha sostenuto solo in parte l’operazione ma il tst ha guadagnato visioni che venivano da un passato e si lanciavano verso il futuro.
Lo spazio è diventato il nostro angolo visuale, il punto d’osservazione, alimentando il desiderio di contatto con le decine di realtà, artisti, compagnie, gruppi che agitavano la sotto-scena romana.
Da lì è nata l’urgenza del monitoraggio. Non un monitoraggio fatto da tecnici ma da artisti, un cerca persone senza la pretesa di fare del territorio un oggetto di studio, ma con il chiaro intento di sapere chi fossero e quanti fossero i gruppi e quali i contenuti del loro teatro. Solo quando ci siamo trovati in mano il dossier di 260 pagine abbiamo capito che c’erano i presupposti per chiedere, di nuovo e ancora una volta, attenzione e abbiamo cercato un incontro con l’Assessorato alle Politiche Giovanili della Provincia di Roma. Di giovanile l’operazione aveva davvero poco ma l’Assessore Rosa Rinaldi ha subito appoggiato un percorso comprendendo che era in questione una vertenza ben più ampia del semplice Convegno teatrinvisibili, realizzato poi nel gennaio 2006 con il sostegno congiunto dell’Assessorato alle Politiche Giovanili e dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Roma. ZTL zone teatrali libere, la rete di spazi romani che avevamo contribuito a creare, ne ha condiviso il percorso, forte della consapevolezza di aver dato vita, nel tempo, ad una dinamica di riconoscimento tra spazi e artisti della scena contemporanea.
Non credo che un convegno potesse ottenere di più. Ha esclusivamente riaperto un confronto, frammentato negli ultimi anni in infinite istanze individuali, evidenziando come l’attuale modello di città, disegnato dall’Amministrazione, dimentica, nella sua riformulazione urbanistica, nel sistema di distribuzione di risorse e nell’intento di accentramento di poteri, la scena di domani, la più fragile e preziosa per la cultura di un territorio. E ha rimesso in moto l’attenzione esprimendo, attraverso la formulazione di un documento finale, letto alla presenza delle Istituzioni, l’esigenza di un riorganizzazione della politica culturale rispetto alla produzione artistica contemporanea.

La composizione di Teatri di Vetro fiera/mercato del teatro indipendente, 17-27 maggio 2007, è l’indice più chiaro della sua natura artistica e politica: vetrina per una scena tenuta in stato di fragilità dalle disattenzioni della politica culturale della capitale; vetrina per 45 compagnie selezionate in base ad un avviso pubblico che ha mobilitato la scena indipendente del territorio, raccogliendo circa 200 progetti al di là delle generazioni e dei differenziati livelli di emersione. Teatri di vetro ha anche prodotto un catalogo e un portale web destinato a perpetrare il meccanismo di auto monitoraggio messo in campo nel 2005; e ha di nuovo formulato la richiesta di attenzione, di creazione di strumenti che possano riconoscere l’esistente e tutelarlo, di temi di discussione con le parti politiche e gli operatori diventando uno spazio, il Teatro Palladium, e diversi spazi, urbani e privati, che si sono aperti come spazi pubblici denunciando implicitamente l’inaccessibilità degli spazi ufficiali.
Le circa 160 realtà teatrali, compagnie e artisti del tessuto cittadino e provinciale presenti nel catalogo, non esauriscono l’intera scena sommersa, ne esprimono una parzialità e ne testimoniano la ricchezza. È in quella zona oscura del territorio che il nuovo nasce, muta, produce linguaggi e pratiche. È lì che si dà vita non solo a centinaia di spettacoli, ma a rassegne, reti, riviste on-line e cartacee, eventi che intercettano un nuovo pubblico. La scena fragile, in uno scenario amministrativo e politico che si esprime solo a colpi di bando e che accentra poteri e risorse, rischia di essere messa a dura prova di sopravvivenza, materiale e artistica.
Teatri di vetro, alla sua prima edizione, è stata la voce di questa scena. La fotografia di un territorio in fermento in cui si evidenzia la pluralità dei teatri esistenti, la cui complessità di scena metropolitana, di teatro che è molti teatri, richiede agli operatori, ai direttori, ai critici, a tutti coloro che hanno il potere di farlo emergere, l’elaborazione di criteri valutativi nuovi. Ed è sì una fiera/mercato, nel senso che si propone di mettere in contatto le compagnie del territorio con i direttori dei festival e dei teatri, con gli operatori, con la critica e con il pubblico e ridare dignità di lavoro ai mestieri dell’arte, ma è anche e soprattutto l’espressione di uno scenario profondamente mutato per il quale si chiede un intervento innovativo da parte di chi il territorio lo governa e lo amministra.
Tutto questo è il nostro vissuto e il nostro percorso. La nostra identità. Questa soggettività ha incontrato la Fondazione Romaeuropa e gli Assessorati della Provincia di Roma lavorando insieme in una formula che potremmo definire sperimentale, dando vita, attraverso una concreta sinergia, ad un evento nuovo per il nostro territorio.
L’idea della fiera, di teatri di vetro, è un’idea che precede tutto questo, è l’idea di Resistenze. Non è il frutto, ne è la premessa. L’esigenza è la stessa di quando a Strike controsoffittavamo, mettevamo barre per le luci e parlavamo del teatro che verrà. L’esigenza è quella di raccontare un teatro che è sempre un’azione di resistenza e di piacere, nel teatro, nella vita, che sono al fondo nodi indissolubili, perché la prima senza il secondo sarebbe sterile "militanza", il secondo senza la prima non sarebbe autentico, ma solo una brutta imitazione. (da una lettera di Marco Martinelli)
Teatri di vetro, e tutto ciò che porta con sé, rimane il nostro progetto artistico. Noi siamo una compagnia, non siamo organizzatori, non siamo più neanche uno spazio, siamo gente che vive di visioni.
Ed ora siamo a Teatri di Vetro 2
La scena indipendente
direzione artistica e organizzativa triangolo scaleno teatro

Alla seconda edizione Teatri di Vetro propone una fotografia significativa della scena indipendente aprendo la partecipazione alle realtà di teatro, danza, arti performative della regione Lazio e, in una sezione speciale, ad artisti del territorio nazionale. L’estensione del monitoraggio e del catalogo on-line – che nella prima edizione ha censito 160 compagnie del territorio di Roma e Provincia - renderanno il festival punto di riferimento non soltanto di un territorio ma di un intero ambito del mondo teatrale. Spettacoli, performance e installazioni, selezionate anche per quest’anno attraverso avviso pubblico – con scadenza prevista a gennaio 2008 - saranno ospitate negli spazi del Teatro Palladium – palco e foyer - e all’interno dei luoghi urbani della Garbatella, nell’arco di dieci giorni e in successione serrata; affiancheranno la programmazione artistica spazi di incontro e di approfondimento, che contribuiranno a trasformare l’intero quartiere in una cittadella del teatro, favorendo lo scambio reale tra gli artisti, gli operatori teatrali, i direttori di teatri e di festival e la critica. Attraverso la continuativa connessione con gli spazi indipendenti e gli operatori del territorio romano e nazionale, Teatri di Vetro si propone anche luogo di debutto di nuove produzioni artistiche e polo di promozione della scena contemporanea.


 

BP04073
114.73 BP04: Quando spuntano le ali
(geografie)
di Massimo Luconi

 

progetto di sostegno e promozione per giovani professionisti senegalesi nel settore dello spettacolo, delle arti visive, e delle tecnologie digitali, attraverso un percorso di formazione e produzione.


Direzione artistica Massimo Luconi
Direzione didattica prof Paolo Zenoni
Direzione organizzativa Sandra Cristaldi
collaborazione Mauro Petroni, Angela Colucci

in collaborazione con
Università degli Studi di Milano – Bicocca / Facoltà di Sociologia,
APPI, Alliance Française di Ziguinchor/Senegal
con il contributo della Regione Lombardia



Finalità e obbiettivi
Innescare un percorso di cambiamento nella concezione dei rapporti Nord/Sud costruendo una cooperazione in cui anche gli aspetti del sapere e delle attività culturali acquistino valore.
L’iniziativa nasce dalla consapevolezza che la cultura e la ricchezza di risorse artistiche e creative presenti in Senegal costituiscano un terreno di confronto e scambio culturale importante e un’opportunità di sviluppo delle potenzialità di questo Paese.
Gli obiettivi sono di sviluppare le capacità progettuali e artistiche dei giovani senegalesi in campo teatrale, aumentando la formazione del mestiere dell’attore e aumentando le competenze organizzative e tecniche dei gruppi di base.
Offrire supporto organizzativo e formazione a strutture capaci di sviluppare in futuro un’autonoma attività di promozione e circuitazione teatrale anche al di fuori dei confini nazionali.
L’obbiettivo finale del progetto è di mettere in scena in maniera qualificata e altamente professionale uno spettacolo realizzato per la parte artistica, tecnica ,e organizzativa da giovani attori e tecnici, con la possibilità di circuitare in Africa occidentale e in Europa.

Il Senegal di oggi è un paese in grande fermento artistico, culturale e creativo, che dialoga con l’Europa, produce e organizza eventi artistici di alto livello. E la grande capacità della cultura senegalese è di saper unire la profonda tradizione africana agli influssi moderni della cultura europea in uno straordinario esplosivo sincretismo, dove è difficile a volte distinguere cos’è tradizione, cosa è del passato e cosa è dell’oggi.

Prima fase
una formazione laboratoriale concreta finalizzata alla produzione teatrale
realizzata nel Novembre 2006 presso la sede dell’Alliance francaise a Zuiguinchor
30 partecipanti dai 16 ai 30 anni durata 30gg
docenti
Massimo Luconi recitazione,regia,drammaturgia
Mauro Forte fonica e illuminotecnica
Sandra Cristaldi organizzazione
Mauro Petroni conferenza sull’arte contemporanea in Senegal e Africa occidentale.


Laboratorio di orientamento e formazione per giovani che si avvicinano alle professioni dello spettacolo,non solamente per la recitazione ma anche per i ruoli e le professioni legate al mestiere teatrale,(tecnici, organizzatori/amministratori, giovani artisti e musicisti).indirizzato a gruppi teatrali della Casamance e altre regioni del Senegal.
Di particolare significato è l’intervento in Casamance, nel sud del Senegal al confine con la Guinea,un’area decentrata ed economicamente marginale rispetto alla capitale Dakar, nonostante sia una regione di grande ricchezza culturale e di forte legame con la tradizione.
Tematiche trasversali: Interculturalità e sviluppo – aumento della capacità occupazionale e produttiva del settore culturale –valorizzazione e promozione dello spettacolo dal vivo e degli artisti senegalesi - mobilità degli artisti - incontro e scambio fra giovani artisti
Le azioni proposte sono state realizzate attraverso la collaborazione delle istituzioni e dei gruppi e/o associazioni di base e con la ricerca di sinergie con le strutture locali.

Metodologia dell’intervento

Con un innovativo intervento di natura scientifica e formativa, un gruppo di qualificati professionisti e docenti del teatro italiano si è spostato per un mese a Zuiguinchor nel sud del Senegal al confine con la Guinea, sviluppando un processo formativo onterdisciplinare e uno scambio sul terreno della cultura e dello spettacolo con associazioni internazionali (Alliance francaise) e giovani compagnie e gruppi locali.
Il laboratorio si è strutturato su incontri giornalieri di circa 4 ore con un’articolazione della formazione in un modulo teorico e un modulo pratico al fine di favorire anche l’interazione fra i giovani e gli artisti partecipanti all’iniziativa.
Il nucleo centrale è stato il lavoro di analisi e messa in scena su un testo teatrale di tre autori africani del Malawi “Quando spuntano le ali” che ha suscitato forte interesse fra i giovani partecipanti sia per la ricerca espressiva e di modalità di comunicazione teatrale sia per le tematiche insiste nel testo teatrale legate al dibattito ancora oggi molto vivo in Africa,fra cultura del villaggio e modernità.
Abbiamo inoltre verificato e delineato l’aspetto tecnico della realizzazione teatrale,la drammaturgia delle luci,il suono e le tecnologie digitali di ripresa video e montaggio..
Si sono impostate le linee per l’ organizzazione e gestione dello spettacolo dal vivo, che poi saranno sviluppate appieno al momento in cui passeremo nella terza fase, alla realizzazione finale dello spettacolo.

seconda fase:
la preparazione di una produzione teatrale con un gruppo di giovani senegalesi e italiani
realizzata nel Maggio 2007 all’università della Bicocca, Milano
docenti
Massimo Luconi (regia e scenografia)
Iva D’Ali ( ripresa video e montaggio)
durata 30gg

Questa seconda fase si è realizzata in Italia all’auditorium dell’università della Bicocca ed è stata incentrata sulla preparazione per la messa in scena dello spettacolo “Quando spuntano le ali” di Harawa, Kanayongolo, Kerr, un dramma a tesi, asciutto e compatto, impostato con la linearità della parabola e del teatro moralistico.
Per realizzare questo secondo laboratorio maggiormente professionale,sono stati chiamati in Italia 6 tra i 30 partecipanti al laboratorio realizzato in Senegal, dei quali 4 attori ed altri con ruoli tecnici ed organizzativi. Con loro è iniziato il lavoro di preparazione dello spettacolo con una parte di training e una parte di ricerca espressiva e comunicativa delle singole scene del testo.
Il risultato finale di notevole significato artistico ed espressivo ha visto la crescita professionale del gruppo con la messa in scena di 3 delle 8 scene di cui è composto il testo proposte come prove aperte davanti a un pubblico di studenti presso l’Auditorium dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Alcuni momenti significativi dello stage sono stati documentati con un video realizzato e anche montato da un giovane senegalese e con il coordinamento di un operatore professionista.
Gli studenti italiani del master di formazione sullo spettacolo dal vivo, della facoltà di sociologia della Bicocca, hanno partecipato attivamente alle prove e agli incontri che si sono succeduti nell’auditorium della Bicocca e in altri luoghi teatrali della città, e non si sono limitati a un ruolo di spettatori ma hanno fortemente interagito con il gruppo senegalese e hanno contribuito con la loro riflessione e le loro idee alla piena riuscita del progetto complessivo.

terza fase (da realizzare)
conclusione del progetto formativo con una produzione teatrale in Senegal e Italia
il sapere digitale: processo di formazione per operatori e montatori video e formazione di un archivio digitale

Quando spuntano le ali di Harawa, Kanayongolo, Kerr (Malawi),
regia, Massimo Luconi
scenografia Moussà Traorè.
Musiche,Moussà Kala Dieng,Dialy Mady Sissoko, Mirio Cososttini, Mirko Guerrini
Interpreti. giovani attori senegalesi


Due fratelli in un villaggio africano. Uno si accontenta di ciò che è, pensa alla famiglia, lavora per la madre,ambisce a sposare una ragazza del luogo. L’altro frequenta l’università ammira il mondo dei ricchi e le mode occidentali e si innamora di una ragazza che ha i suoi stessi sogni.
Ma nessuno può scegliere la vita,come nessuno può scegliersi le ali. Finiranno entrambi in prigione a rivivere e a raccontare la propria esperienza.
Con un bella invenzione drammaturgica i due fratelli sono costretti a inscenare il proprio psicodramma davanti a un pubblico di spettatori detenuti proprio come i griot (i cantastorie africani).raccontano le storie del villaggio. Uno dei fratelli,quello che è rimasto legato alla tradizione, ripercorre l’ itinerario di vita fino alla prigione,nella speranza di restituire lucidità e coscienza alla mente smarrita del fratello.
Del teatro come forma terapeutica il testo mantiene la struttura e lo sviluppo narrativo impostato sulla gestualità e sul continuo passaggio tra rievocato e agito,dal dramma al racconto orale, mischiando esperienze e influssi del teatro europeo d’avanguardia e modalità didascaliche del teatro tradizionale africano.
Parallelamente al lavoro sul testo un gruppo di giovani coordinati da un tecnico professionista si approprierà delle tecniche di ripresa video e montaggio digitale con l’obbiettivo di trovare anche nuove possibiltià professionali e contribuire a formare un archivio digitale della straordinaria ricchezza culturale della Casamance,una regione dove ancora oggi la musica popolare,la danza e le cerimonie tradizionali sono elementi fortemente radicati nella società e anche fra i giovani.










Massimo Luconi è stato responsabile di alcuni progetti di cooperazione culturale in Senegal(con l’Ong Acra e con Pavia/Senegal) e in Mali e ha tenuto a Dakar stages di formazione per tecnici e animatori radiofonici e televisivi, realizzando una serie di trasmissioni per la radio senegalese e alcuni filmati sulla società e cultura del Senegal.
Nel marzo 2005 ha ideato come direttore del teatro Metastasio Afrique mon afrique una rassegna sul teatro e cultura senegalese, che si è svolta al teatro Fabbricone e in altri luoghi di Prato e Firenze e che ha visto la presenza dei più interessanti artisti e gruppi teatrali e musicali della effervescente scena senegalese.


 

BP04074
114.74 BP04: Bancone di prova
(accesso e visibilità)
di Bancone d prova

 
Bancone di Prova è un progetto creativo nato dal lavoro di un gruppo di autori e una regista, che ha come obbiettivo la scrittura di testi originali per il teatro.
Bancone di Prova si concentra sull’azione necessaria di una scrittura al presente finalizzata alla messa in scena.
La particolarità del progetto Bancone di Prova è l’articolazione del percorso di scrittura: Bancone offre ai suoi autori l’opportunità di alternare al processo individuale di scrittura preziosi momenti di confronto interno con gli altri autori del gruppo e altrettanti momenti di apertura al pubblico durante tutto l’iter creativo.
Si individuano tre appuntamenti nel percorso di scrittura: l’ideazione del soggetto e l’incipit del testo, lo sviluppo della prima metà del testo e la stesura finale. A ciascun appuntamento con la scrittura corrisponde una lettura pubblica, occasione per mettere alla prova l’andamento e l’efficacia dei testi in lavorazione. Tutte le serate aperte sono da intendersi come momenti di lavoro.
Il pubblico che assiste alle letture è cosciente che ciò che vede e ascolta non è un prodotto finito e viene chiamato al termine della serata ad esprimere le proprie impressioni in maniera informale. Nelle letture di Bancone è il testo ad essere messo alla prova, una prova affidata alla parola, all’attore e alla lettura.
Bancone di Prova è un’iniziativa senza scopo di lucro. L’unico pagamento che Bancone accetta, anzi auspica, sono le opinioni, i commenti e ogni forma di critica costruttiva sui lavori che presenta.

 

BP04075
114.75 BP04: TeatroNet
(accesso e visibilità)
di Rosi Fasiolo

 
• TeatroNet è un nuovo circuito di scambi teatrali attivo a livello nazionale, nato per favorire la diffusione degli spettacoli di giovani gruppi di teatro e danza all’interno di spazi teatrali in tutta Italia.

• L’obiettivo di questo progetto, sempre aperto a nuove realtà, è quello di creare un sistema di rete solido e di qualità grazie alla condivisione di esperienze e competenze degli artisti e degli operatori.

• L’organizzazione seleziona tutti i partecipanti, garantendo la qualità del circuito e del lavoro di ciascuno, crea inoltre possibilità di confronto dalle quali far nascere collaborazioni e nuove opportunità lavorative ed artistiche.

Nel circuito ciascuno offre qualcosa, con un risultato finale notevole:

• per le compagnie è di fatto un’occasione di incontro e di scambio oltre che una garanzia di organizzazione e circuitazione dei propri spettacoli in spazi attrezzati per ospitarla.
• per i teatri è un’occasione per avere spettacoli selezionati di compagnie professionali, al minor costo possibile e di alta qualità, un contatto diretto con gli artisti e un aiuto nella gestione del calendario;
• per il circuito è un’occasione per creare, attraverso la condivisione e la professionalità degli organizzatori e dei partecipanti, una serie di vantaggi utili per tutti i partecipanti e continue possibilità di apertura alle novità del panorama nazionale.

Ciascuna delle tre parti investe sul proprio lavoro: le compagnie offrono il proprio spettacolo e affrontano le spese di viaggio e di Enpals; gli spazi offrono l’assistenza tecnica, la promozione dello spettacolo, l’ospitalità della compagnia e le spese SIAE; il circuito offre promozione attraverso il sito internet, la realizzazione di materiali di presentazione e di comunicati stampa oltre alla presenza in festival e convegni, in cambio di una quota associativa da parte di teatri e compagnie. Il lavoro segue regole che permettono il funzionamento del circuito con il minor costo possibile, garantendo un buon rapporto qualità/prezzo, uguali servizi per tutti e chiarezza nei rapporti.

Essere parte di TeatroNet vuol dire entrare in un network che cerca una forma alternativa per promuovere la cultura e diffondere il proprio lavoro artistico.


 

BP04076
114.76 BP04: Kilowatt Festival La selezione dei visionari
(accesso e visibilità)
di Kilowatt Festival

 
Partiamo dalla fine: ci sono 22 persone che ogni settimana, di sera, si riuniscono per vedere 15-20 minuti di alcuni video di spettacoli teatrali appena realizzati da giovani compagnie professionali, in tutta Italia. Lo scopo è selezionare 7 spettacoli da presentare alla prossima edizione del festival “Kilowatt, l’energia del nuovo teatro”. Questi spettatori–selezionatori si sono definiti “I Visionari”: la loro particolarità è che nessuno tra loro si occupa di teatro a titolo professionale. I Visionari sono studenti, insegnanti, commesse, c’è una libraia, un autista dei pullman, una commessa della Coop, un operaio della Buitoni, una segretaria d’azienda.
Tutto questo si svolge in Valtiberina Toscana, in una zona appenninica al confine tra Umbria, Marche e Romagna, dove abitano poco più di 30.000 persone sparse tra sette differenti e piccoli Comuni. Il centro principale è Sansepolcro (15.000 abitanti), e poi ci sono Anghiari, Pieve Santo Stefano, Monterchi, Caprese Michelangelo, Badia Tedalda e Sestino.
E ora torniamo indietro, all’inizio.

È luglio del 2003 e proprio a Sansepolcro un gruppo di tre giovani teatranti della zona (Luca Ricci, Lucia Franchi, Mirco Ferrara), appena costituitisi in associazione culturale, col nome di CapoTrave, inventano, progettano e realizzano un festival teatrale estivo dedicato all’innovazione e ai giovani. Da subito, il festival si pone l’obiettivo di essere insieme innovativo e popolare. Tra le proposte più interessanti del panorama italiano vengono invitati quegli artisti che usano la loro ricerca per comunicare con un pubblico, il più possibile vasto (tra gli altri, I Sacchi di Sabbia, Oscar De Summa, Toni Tagliarini, Accademia degli Artefatti, Andrea Cosentino, Tony Clifton Circus, Edgarluve, Leonardo Capuano, Roberto Abbiati, CapoTrave). A livello organizzativo e delle strategie di comunicazione, gli organizzatori del festival lavorano per portare a teatro gli adolescenti della zona, gli immigrati riuniti in associazione, i ragazzi che fanno parte di gruppi giovanili, band musicali, gruppi politici, insomma, la parte viva della città. Molti di questi spettatori non sono abituali frequentatori di teatri, tanto meno d’innovazione. L’idea è quella di dare agli artisti un pubblico vero, non il “pubblico da festival”, cioè quello composto quasi esclusivamente da addetti ai lavori. In media, vengono staccati circa 500 biglietti per ogni edizione del festival.
Nel 2006 la Provincia di Arezzo decide di investire su Kilowatt e chiede ai promotori di estenderlo agli altri sei Comuni del territorio: 7 palchi diversi, 14 spettacoli. Ed è in quella occasione che gli spettatori del festival trovano sulle loro sedie un foglio che dice: “Partecipa alla scelta degli spettacoli per Kilowatt 2007”. Rispondono in 12, nasce il gruppo de “I Visionari”.
Da febbraio a marzo del 2007, i Visionari si riuniscono tutte le settimane, per vedere i video che arrivano alla selezione. Giungono 120 dvd, di cui 102 corrispondono ai requisiti del bando. I Visionari li vedono uno ad uno, cercando ogni volta i criteri per avvicinarsi alle opere presentate. Discutono tra loro, a volte litigano, altre chiedono ai teatranti di Capotrave una mediazione o un consiglio. L’ultimo mese devono riunirsi per ben 3 sere alla settimana. Arrivano in fondo al lavoro in 9. E scelgono 5 spettacoli di altrettante compagnie che vengono presentati a Kilowatt 2007: Muta Imago, Malebolge di Lucia Calamaro, Zaches Teatro, Primaquinta di Aldo Rapè, Claudia Galiazzo.
Sono proposte complesse, completamente libere da quei vincoli economici e di garanzia di risultato che avrebbe seguito qualsiasi direttore artistico, sono proposte che mettono da parte i criteri del bello, spettacoli che non compiacciono e quindi si espongono al rischio d non piacere.
Gli spettacoli vengono presentati al festival 2007, il pubblico li apprezza, alcuni più, altri meno, e altrettanto fa un gruppo di operatori invitati a monitorare l’esperimento. Di questo gruppo, non a caso denominato “I Fiancheggiatori” (l’idea è che si mettano a fianco dei Visionari e delle compagnie, non in cattedra…), fanno parte: Luca Scarlini, Valeria Ottolenghi, Roberto Ricco del Kismet di Bari, Giuseppe Romanetti del Teatro di Casalmaggiore (Cr), Rodolfo Sacchettini e Maria Paiato. Insieme, Visionari e Fiancheggiatori producono un Documento di Visione che viene consegnato alla riflessione delle compagnie.
Ed ecco che per l’edizione del 2008 sono 22 i Visionari che chiedono di partecipare alla selezione.

Questa pratica, buona o cattiva che sia, è figlia dell’idea che il pubblico debba tornare al centro dei processi di creazione dello spettacolo dal vivo. Pasolini lo diceva già nel suo manifesto del 1968, che il pubblico del nuovo teatro dovrà stare in dialogo con gli artisti. Spesso è successo il contrario: che gli artisti hanno creato le loro opere in totale distanza dal pubblico, che il pubblico ha avuto la possibilità di seguirli ma non è quasi mai stato incoraggiato a farlo, e la mediazione tra pubblico e artisti è stata completamente delegata ai direttori di teatri e festival, che si sono trasformati in ventriloqui di un presunto gusto del proprio pubblico, con la neppure velata considerazione che lo spettatore sia incapace di tutelarsi da sé nell’incontro con uno spettacolo.
Un progetto come quello dei Visionari parte dalla domanda sul perché il pubblico abbia perso consuetudine col teatro. E, pur nella convinzione che il teatro è e resterà esperienza di nicchia, risponde con la convinzione che un pubblico maggiore possa “agganciarsi” al teatro d’innovazione contemporaneo. Quindi è qualcosa di più di una provocazione l’idea di sovvertire i criteri di organizzazione del rapporto tra il sistema dello spettacolo e il pubblico. È un’idea di politica culturale.
Il rischio è che, nel tempo, gli stessi Visionari diventino esperti, che cominciano ad adottare i criteri di un direttore artistico, che sotto la pressione delle eventuali critiche di futuri spettatori, o degli operatori, o delle compagnie escluse, finiscano per emulare il meccanismo di scelta degli esperti.
Per adesso il rischio è lontano: I Visionari si lasciano guidare da intuizioni spesso confuse nelle argomentazioni, ma chiarissime nel loro orientamento. Gli spettacoli che scelgono sono quelli che più si espongono a un rischio di relazione col pubblico.
Come dato oggettivo c’è che quest’anno il festival ha superato i 1.000 spettatori nelle 18 repliche proposte. È un numero che doppia quello dell’anno precedente, che certo nasce da un maggiore sforzo di comunicazione, ma forse è la risposta di un territorio che comincia a sentirsi coinvolto in un progetto. Uno spettatore – non era neanche un Visionario – ha detto: “Mi avete fatto pensare che il teatro non inizia né finisce quando mi siedo in sala, ma ha un prima e un dopo con cui si può entrare in contatto”.

Roma, 12 novembre 2007
www.kilowattfestival.it


 

BP04077
114.77 BP04: Il progetto del PiM
(accesso e visibilità)
di PiM

 

PiM Spazio Scenico
Associazione Culturale

00 Progetto in sintesi
PiM Spazio Scenico è una casa di cultura, uno spazio pensato come contenitore delle arti, punto di convergenza e ponte tra culture innovative, forma di assemblea cittadina. Per agevolare l’interplay fra chi gestisce la casa di cultura e chi le si accosta per abitarla con progetti, abbiamo delineato sette aree di attività, pensate per essere messe in relazione tra loro creando diverse combinazioni. La figura che sinteticamente esprime questa struttura è quella del Tangram, antico rompicapo cinese il cui nome significa "le sette pietre della saggezza". Il Tangram è composto da sette pezzi (chiamati tan) che, come le sette aree del PiM, possono essere disposti, a partire dalla figura del quadrato, a comporre molte altre forme, sempre seguendo le regole: tutti i pezzi devono essere usati; non è permesso sovrapporre i pezzi.

01 PiM InCantiere È l’area dedicata alla produzione e alla costruzione dei progetti di artisti, un cantiere per chi ha la necessità di completare il proprio lavoro per poi presentarlo al pubblico. Le attività svolte nell’area sono:

• Sviluppo progetti
• Residenze di artisti

02 PiM InProgrammazione La casa di cultura ospita artisti appartenenti al mondo della ricerca e della sperimentazione legati da un uso comune del linguaggio contemporaneo.

• Ospitalità: anteprime e presentazione di studi, incontri e spettacoli conferenza.
• Rassegne: Nuovi linguaggi del centro: selezione mezzo bando
• Imprevisti: poetici, letterari, arti sceniche.
• Frullatore: serate aperte al pubblico, fine del percorso di ricerca Convergenze08.

Il nostro obiettivo non è collezionare artisti di passaggio, ma creare relazioni tra la “persona” e la casa di cultura, tra la casa di cultura e il pubblico che la frequenta.

03 PiM InLaboratorio È il centro della casa di cultura, un luogo protetto per la condivisione attiva di percorsi umani e artistici, luogo di studio e applicazione dei linguaggi espressivi, palestra e spazio creativo per musicisti, danzatori, attori e operatori culturali.

• Laboratorio Aperto: percorso multidisciplinare e drammaturgia.
• Laboratori Annuali: Musica d’insieme, composizione coreografica.
• Seminari, incontri
• Covergenze08: progetto di ricerca.

04 PiM Spazio È il luogo che accoglie le attività del PiM. Lo Spazio è stato realizzato per ospitare oltre a spettacoli, eventi e installazioni, anche laboratori, incontri e quant’altro appartenga all’idea di programmazione multi disciplinare.

• Sala PiM – aperta al pubblico
• Sala Beckett – come sala prove
• Scheda Tecnica

05 PiM Strumenti e Link È l’area che fa capo all’attività organizzativa del PiM, messa a servizio per lo sviluppo dei progetti degli abitanti della casa di cultura.

• Organizzazione
• Ufficio Stampa – Comunicazione - Promozione
• Amministrazione
• Attività di tesseramento – Cittadino Produttore
• Sviluppo network
• Fund Raising

06 PiM Archivio È la memoria del PiM, articolata al suo interno in rassegna stampa e archivio di testimonianze scritte/audio/video/fotografiche delle attività svolte.

07 PiM Sei Tu È la capacità di articolare trasversalmente il proprio progetto nelle sette aree del PiM, la chiave per accostarsi a esso scegliendo di mettere in condivisione qualcosa di sé, della propria esperienza, e del proprio sguardo sul futuro.

Adesso hai tutti gli strumenti per articolare il tuo progetto.
Ora inizia il tuo “rompicapo”!


Responsabili della casa di cultura

Presidente Associazione
Maria Pietroleonardo

Progetto Artistico
Massimo Bologna

Organizzazione
Edoardo Favetti

Logistica
Simone Ricciardi

Ufficio Stampa
Mara Serina – iago studio

Responsabile Grafico
Stefano de Ponti

Responsabile Archivio
Monica Liguoro

Amministrazione – Direzione di sala
Silvia Calì

Volontari
Antonietta Magli, Paola Piacentini, Maristella (Sabbry), Nastia


 

BP04078
114.78 BP04: I bandi del PiM
(accesso e visiblità)
di PM

 

Bando di concorso "Chiavi in mano"

Il PiM Spazio Scenico di Milano promuove il bando di concorso “CHIAVI IN MANO”. Il bando è rivolto agli operatori culturali cui viene richiesto di formulare un progetto in grado di promuovere cultura, non necessariamente finalizzato allo spettacolo. Per lo sviluppo del progetto selezionato verranno assegnati 2.500 euro e la possibilità di utilizzare tutte le risorse specificate nell’allegato A.

All’interno della programmazione delle attività per la stagione 2007/2008 la casa di Cultura ha destinato a “CHIAVI IN MANO” nove giorni: 28-29-30 Marzo 2008; 4-5-6-11-12-13 Aprile 2008.

I progetti saranno selezionati dai responsabili della Casa di Cultura dopo attenta valutazione avvalendosi dei seguenti criteri:

• Capacità del progetto di rispondere agli obiettivi di sviluppo della Casa di Cultura

• Volontà dei membri del progetto di dialogare con la struttura creando una relazione equa e portatrice di crescita reciproca.

• Qualità del progetto: qualità dell’analisi e della comprensione dell’argomento trattato; qualità e innovazione dell'idea e della progettazione della proposta; qualità della presentazione.

• Fattibilità del progetto proposto.



Chi intende partecipare deve inviare entro e non oltre il 31 Dicembre 2007 tutta la documentazione richiesta nell’allegato B (sono accettati tutti i tipi di supporti) a:


PiM Spazio Scenico
Via Tertulliano 70
20137 Milano


ALLEGATO A

Sala PiM - Scheda tecnica
• Posti a sedere 99 (con possibilità di aggiunta di ca. 30 strapuntini)
• Palcoscenico: scatola nera con possibilità di ingressi/uscite dal fondo e dal lato dx. Larghezza 5,94m, profondità 6,37m, altezza da terra 0,50m
• Altezza americane zona palco (4 mobili, 2 fisse): 3,87 m
• Altezza americane sala (5 mobili su tutta la profondità): 4,37 m
• Un ampio camerino con bagno.
• N° 1 foyer dimensione: 6 m per 2 m
• Impianto di riscaldamento e condizionamento (foyer compreso)
• Impianto elettrico a norma con le vigenti leggi
• Potenza impegnata:20Kw. A disposizione:22Kw
LUCI
• MIXER 24 CANALI
• 3 DIMMER DMX (6 canali x 3 kw)
• 33 RITORNI (18 ritorni zona palco)
• 15 PC 1000 WATT
• 4 PC 500 WATT
• 2 PAR 1000 WATT
• 2 LUCCIOLE
• 2 STATIVI WIND-UP

AUDIO

§ MIXER 16 CANALI ANALOGICO
§ 2 CASSE ATTIVE 280 WATT SR-TECHNOLOGY
§ CIABATTA CANNON ZONA PALCO ( 16 canali, 4 ingressi )
§ 1 LETTORE CD
§ 2 LETTORI CD PIONEER CDJ 100S + MIXER 2 CANALI DJ LTO DJM-2

VIDEO
• 1 VIDEOPROIETTORE EPSON EMP-TW620
• 1 VIDEOPROIETTORE SONY VPL-ES3
• 1 LETTORE DVD
• 1 CAVO COASSIALE 25 MT.
• CAVERIA ADEGUATA AGLI IMPIANTI
SPAZIO MODULARE
Due pedane mobili danno la possibilità di modificare lo spazio quando le esigenze di scena lo rendono indispensabile. I moduli fissi sono la tribuna e il palco. La disposizione delle sedute modificate assecondando gli assetti di sala.
Ogni modifica dello spazio va concordata con il responsabile di quest’area.



Responsabili della casa di cultura:

Presidente Associazione
Maria Pietroleonardo

Progetto Artistico
Massimo Bologna

Organizzazione
Edoardo Favetti

Logistica
Simone Ricciardi

Ufficio Stampa
Mara Serina

Responsabile Grafico
Stefano de Ponti

Responsabile Archivio
Monica Liguoro

Amministrazione – Direzione di Sala
Silvia Calì



ALLEGATO B

Documenti da presentare in allegato al progetto:

• Breve profilo del firmatario del progetto
• Breve profilo di altri soggetti eventualmente coinvolti
• Bilancio preventivo
• Lettera motivazionale
• Analisi dettagliata del progetto
• Modalità di utilizzo delle risorse specificate nell’allegato A

Bando di concorso “Rassegna I nuovi linguaggi del centro”

La Casa di Cultura PiM Spazio Scenico di Milano indice un bando di concorso per la rassegna “I nuovi linguaggi del Centro”. La Rassegna sarà inserita all’interno della programmazione delle attività 2007/2008 della Casa di Cultura nel periodo 4-18 Dicembre 2007. La rassegna intende valorizzare giovani gruppi orientati alla ricerca e alla sperimentazione di linguaggi nuovi, propri e personali. Particolare attenzione verrà data alla multidisciplinareità delle proposte e alla contemporaneità dei temi trattati. Il bando è indirizzato a tutti gli artisti (o ai gruppi) che stiano per produrre un lavoro originale inedito nell’ambito delle arti sceniche. Le proposte dovranno soddisfare i seguenti requisiti:

• I partecipanti devono essere residenti in una delle seguenti regioni: Abruzzo, Lazio, Marche, Molise, Toscana, Sardegna e Umbria.
• Per agevolare l’avviamento alla professione di giovani artisti e operatori, è obbligatorio che i gruppi e le compagnie abbiano al loro interno un numero rilevante di appartenenti al di sotto dei 30 anni di età.
• I partecipanti devono presentare le proposte utilizzando il progetto artistico di PiM Spazio Scenico sotto riportato. E’ interesse della Casa di Cultura, infatti, privilegiare i lavori che possano interagire con tutte e sette le aree di attività di PiM Spazio Scenico, garantendone così anche una fattibilità e una indipendenza economica.

Chi intende partecipare deve inviare entro e non oltre il 15 Ottobre 2007 tutta la documentazione possibile (sono accettati tutti i tipi di supporti) inerente il progetto con cui si intende partecipare alla selezione a:

PiM Spazio Scenico - Via Tertulliano, 70 - 20137 Milano


 

BP04079
114.79 BP04: Officina Giovani/Cantieri Culturali
(emergenza, visibilità e selezione)
di Teresa Bettarini

 

Officina Giovani/Cantieri Culturali e’ uno spazio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Prato che da anni sta portando avanti un programma rivolto alla produzione artistica giovanile. Uno spazio “pubblico”, gestito dal Comune di Prato, che vuole dare una risposta alle esigenze del mondo artistico giovanile.

Gli spazi di rappresentazione. On stage teatro

Una esigenza delle giovani compagnie, o delle formazioni non convenzionali, e’ sicuramente quella di spazi di rappresentazione dove far vedere il proprio lavoro, confrontarsi con un pubblico, avere l’opportunita’ di presentarsi agli operatori teatrali.
La rassegna On stage teatro e’ nata con questi intenti. Tutti i martedi’ sera, da ottobre fino ad aprile, presentiamo sul palcoscenico della Sala Eventi un giovane gruppo. Talvolta si tratta di gruppi gia’
noti, almeno a coloro che seguono il Teatro emergente, altre volte di gruppi veramente agli esordi, altre ancora di una opportunita’, anche per attori affermati, di sperimentare una fase di studio o di ricerca. Gli spettacoli non sempre rispondono a canoni estetici e professionali di alto livello, ma pensiamo che sia necessario offrire una opportunita’ di rappresentazione, accettando il rischio che questa scelta puo’ comportare.
Adriano Gallina ha sottolineato, nel suo intervento alle Buone Pratiche, che siamo di fronte ad un sistema dove la selezione avviene prima della visione.
Vogliamo offrire la possibilita’ di vedere il lavoro dei gruppi, prima di una successiva, logica, inevitabile selezione.
Lavoriamo sul coinvolgimento di un pubblico giovanile, che va dai ragazzi delle scuole medie superiori, agli universitari, ad un pubblico generico con il quale cerchiamo di attivare spazi di dialogo. La rassegna e’ seguita anche dagli operatori dei teatri o festival della Toscana, per i quali rappresenta comunque una opportunita’ di conoscenza sulle compagnie emergenti.


Workshop

Il tema della formazione e’ uno dei temi ricorrenti quando si parla di ricambio generazionale. Importanza di accesso alla formazione, ma anche rischio di un eccesso di formazione.
La linea che abbiamo seguito a Officina Giovani in questo anno si e’ strutturata su progetti formativi finalizzati prima di tutto alla conoscenza di una pratica organizzativa e delle forme nelle quali il sistema teatrale italiano e’ organizzato. Ci siamo resi conto che spesso,anche fra i giovani usciti dall’Universita’ o che hanno frequentato corsi di managment sullo spettacolo, l’universo teatro e’ un universo informe, dove le differenze fra teatri stabili pubblici, privati, di innovazione, circuiti, o compagnie non e’ ben definita. Ci siamo resi conto dell’importanza di momenti di incontro con gli operatori teatrali e di momenti di informazione sulle pratiche organizzative. Lo scorso anno Mimma Gallina ha tenuto cinque incontri sulle modalita’ di “navigazione” per le giovani Compagnie all’interno del sistema teatrale. Seminario che riprenderemo a febbraio del prossimo anno.
Cosi’ anche per altre discipline. Per la musica: Insider, corso di orientamento all’interno del sistema produttivo musicale condotto da Paolo Naselli Flores.Per l’arte organizzeremo a partire da febbraio un ciclo di incontri con critici, curatori di mostre, galleristi, artisti che parleranno della organizzazione del sistema dell’arte, delle pratiche fondamentali per l’organizzazione di una mostra etc.

Questa attivita’ piu’ propriamente “informativa” si accompagna ad un programma di workshop affidati ad artisti, che si sviluppa come momento di “scambio generazionale” e come opportunita’ di riflessione e di approfondimento interdisciplinare su specifiche tematiche.
Alcuni esempi: nella stagione 2006-2007, Armando Punzo ha condotto un laboratorio focalizzato sulla “destrutturazione” di quelle che sono le comuni convinzioni sul “fare teatro” e di ricerca delle vere motivazioni che spingono a praticarlo.
E’ attualmente in corso un progetto, condotto da Claudia Della Seta (regista italiana che vive e lavora a Tel Aviv) che si articolera’ nel corso di un annno. Partendo dai racconti di in gruppo di donne di culture e nazionalita’ diverse, si sta elaborando una drammaturgia che sara’ messa in scena nel prossimo anno e vedra’ la partecipazione di tutto il gruppo nell’allestimento dello spettacolo.
Altro progetto che iniziera’ alla meta’ di dicembre: Dialoghi sul movimento, progetto della Compagnia Kinkaleri, uno studio sul “movimento, che si sviluppera’ nell’arco di cinque mesi rivolto a giovani danzatori, attori e filosofi che intendono approfondire la propria pratica. La ricerca si svolgera’ in incontri periodici attraverso la commistione della pratica sul corpo e lo sviluppo di un pensiero filosofico coadiuvato dall’intervento di ospiti provenienti da discipline diverse (teatro:Claudia Castellucci, filosofia:Giorgio Agamben, un fisico da individuare ).

Altri corsi sono stati organizzati per le altre discipline. Massimo Barzagli (artista visivo) e Luisa Cortesi (danzatrice) hanno condotto un laboratorio di una settimana che ha prodotto una performance conclusiva dove i partecipanti erano coinvolti in uno gioco di spazi e di percezione visiva. Per l’arte, un laboratorio con Botto e Bruno, giovani artisti torinesi, al quale hanno partecipato giovani provenienti da discipline diverse (arte, teatro, architettura, designer) e’ stato un momento di studio urbanistico su un’ area collocata nel centro urbano di Prato, oggetto di ristrutturazione.
A febbraio Giovanni Ozzola, artista visivo, condurra’ un laboratorio dal titolo “Desire”, un percorso attraverso i desideri individuali, il cui esito finale sara’ una mostra.


Residenze. Spazi di lavoro.

Sono iniziati i lavori di ristrutturazione, all’interno dello spazio degli ex Macelli, dei due capannoni centrali che ospiteranno sale prova per il teatro, uno spazio per rappresentazioni teatrali, atelier per artisti, spazi espositivi, sale di registrazione musica, salette per incontri.
La possibilita’ della struttura di costruire incroci, scambi, occasioni di incontro, offre una grande opportunita’ . Pensiamo ad Officina Giovani come ad una struttura in grado di offrire una risposta alle esigenze delle giovani compagnie di spazi di lavoro. Una struttura in grado di ospitare per residenze brevi (con modalita’ che andremo a definire) il lavoro di gruppi. Come uno spazio dove poter sperimentare e confrontare linguaggi diversi. I progetti di residenza saranno definiti nel corse dei prossimi mesi.



Giovane critica e nuovi media.

La produzione artistica si supporta di un apparato critico in grado di leggerla, interpretarla, diffonderla. La produzione artistica del mondo giovanile, gli intrecci frequenti con nuove tecnologie, con nuovi ritmi e assonanze, spesso sfugge a chiavi di lettura consolidate.
Da qui l’esigenza di nuovi media, di linguaggi interpretativi diversi.
Un percorso sicuramente lungo che Officina Giovani sta sperimentando attraverso un progetto rivolto a giovani giornalisti, seguiti nel loro percorso da quattro tutor (uno per ogni disciplina: Federico Berti e Elisangelica Ceccarelli, Ernesto De Pascale, Luca Scarlini, PierLuigi Tazzi) in un percorso formativo che si e’ sviluppato a partire dallo scorso anno.
Alcuni ragazzi del gruppo hanno gia’ iniziato una collaborazione con radio e quotidiani locali.






L’ organizzazione

La necessita’ di inventarsi quotidianamente forme diverse di programmazione, diverse modalita’ organizzative e promozionali in funzione anche delle diverse discipline (arte, teatro, musica, video), spinge ad un lavoro continuo di sperimentazione anche in ambito organizzativo.
In questo ambito le pratiche in atto prevedono un largo spazio all’associazionismo giovanile che, con freschezza di idee e di intuizioni, costituisce un valido supporto alla struttura.
Il Festival Freeshout, interamente curato e organizzato dall’associazione omonima ne e’ un esempio, ma non solo. Ad aprile 2007 e’ stata ospitata la rassegna Ibsenear, interamente dedicata all’opera di Henrik Ibsen, organizzata dall’Associazione Arteriosa, composta da studenti o neo—laurendi del corso di laurea in Organizzazione di Eventi della Facolta’ di Lettere di Firenze.
Altre associazioni si sono costituite o si stanno costituendo, formate da giovani che vogliono sperimentare una professione in ambito organizzativo. A queste Officina si rivolge, sostenendole nel percorso e offrendo opportunita’ di pratiche organizzative.


 

BP0453
114.53 BP04: Considerazioni personali (con qualche nota dall’intervento che non ho fatto)
(emergenza lavoro)
di Mimma Gallina

 

Notizie dal fronte istituzionale


Questa volta – a differenza di Mira e Napoli – Buone Pratiche non prevedeva spazi specifici di approfondimento delle politiche e della legislazione, ma negli interventi ci sono naturalmente stati molti richiami.

Si possono mettere a fuoco alcuni punti decisamente rilevanti rispetto all’“emergenza”.


- Il progetto di legge ministeriale sul teatro, firmato dall’onorevole Montecchi (che, invitata, ci ha cortesemente informato che non avrebbe potuto intervenire), dovrebbe essere prossimamente discusso presso le commissioni parlamentari, dove ne giacciono – è il caso di ricordarlo – parecchi altri (il testo è stato pubblicato da ateatro); la ragione per cui questa è una notizia è che le perplessità su questo progetto sono talmente diffuse che sia negli ambienti teatrali sia in quelli politici la si riteneva già superata.


- La Commissione Cultura del Senato però – ci ha detto la senatrice Capelli sollecitando un maggior attivismo del settore presso il parlamento – non ha concreti elementi informativi per affrontare con la dovuta consapevolezza i temi dello spettacolo: è il noto problema di come far sentire le proprie esigenze, dell’effettiva rappresentatività e delle strategie di chi viene individuato come referente dalle istituzioni (in primo luogo l’AGIS ma anche i sindacati); il problema è emerso in tutte le quattro edizioni di Buone Pratiche ed è probabilmente una delle ragioni del loro successo e dell’elevata partecipazione: mancano sedi di discussione e di confronto.

- Il patto Stato/Regioni (vedi il documento, il bando e gli esiti sul forum) ha forse il significato di una “prova di concertazione” fra i due livelli dell’amministrazione pubblica (di questo avrebbe dovuto parlarci Patrizia Ghedini, purtroppo influenzata: è stata un’ospite fissa delle precedenti edizioni e la sua competenza ci è molto mancata); tuttavia le caratteristiche di molti progetti selezionati e la loro attuazione nel 2007 rappresenta un’opportunità economica gestita con eccessiva retta, e non la sperimentazione di nuove forme organizzative che ci si attendeva in base al progetto originario. E’ però possibile essere più ottimisti sul 2008 e 2009, o almeno ci si può provare, come ci ha segnalato Ilaria Fabbri dalla Regione Toscana.

- Il FUS sarà incrementato nella misura prevista (50.000 euro, vedi notizie di ateatro), ma siamo ancora molto lontani tuttavia dal recuperare i livelli del 2001 (obiettivo della legislatura), e a maggior ragione da quelli originari, del 1985. (Per inciso: pare che nessuno parli più dell’obiettivo di portare la spesa pubblica per la cultura al famoso 1% del PIL, un obiettivo che pure era nei programmi dell’Unione: anche perché non si sa su cosa e come calcolarlo: i finanziamenti degli enti locali sono difficilmente quantificabili – come ci ha ricordato Giulio Stumpo – e fra un paio d’anni magari qualcuno proverà a dimostrarci che l’abbiamo raggiunto.) La finanziaria per il 2008 però prevede anche altro: oltre ai fondi del patto Stato-Regioni e a quelli speciali a disposizione del Ministro Rutelli (20+20 milioni di euro, che nella legge dell’anno scorso erano stanziati con previsioni triennali), ci sono anche stanziamenti speciali alle fondazioni lirico sinfoniche per altri 20 milioni di euro l’anno per tre anni, il tutto in collegamento con una serie di indicazioni di risanamento (che potete andare a guardarvi nel dettaglio: Art. 49 bis della Finanziaria) e ancora 1,5 milioni di euro al festival di Torre del Lago per il 150° anniversario della nascita di Puccini (Art. 49-quater: ma era davvero indispensabile un articolo in finanziaria?). L’Art. 49-quinquies è invece dedicato al Restauro archeologico di teatri, per cui si stanzia 1 milione di euro (che basterà per rifinire – forse – un paio di sale: e viene il dubbio che anche in questo caso si sarebbe potuto già indicare il (o i) destinatario).

- Ma la trasparenza non è la preoccupazione principale del governo: abbiamo già rilevato denunciato il fenomeno; quello che si sta progressivamente accentuando è lo spostamento delle fonti di finanziamento dai livelli ordinari e regolamentati a canali straordinari; questo non sarebbe è necessariamente un male, se servisse per spezzare la gabbia del FUS; ma questi fondi vengono poi gestiti con una discrezionalità ancora maggiore e spesso con criteri del tutto ignoti. La gestione del FUS non è certo trasparente, e un’ulteriore delusione viene dal fatto che il governo non abbia colto il problema delle commissioni e del loro difficile funzionamento. Ma ancor meno trasparente è quella ARCUS spa (ricordate ne abbiamo già parlato in diverse occasioni), sulla cui gestione la stessa Corte dei Conti nutre forti perplessità. Sul sito www.arcusonline.it si possono trovare i “progetti” finanziati (sono stati pubblicati solo il titolo e i destinatari dei progetti, che però restano abbastanza misteriosi): non mi indigno con troppa facilità (possibile), o se non sembra anche a voi un vero scandalo.



Notizie dal fronte territoriale



Le “geografie” sono una delle aree tematiche abbiamo deciso di articolare la giornata: i progetti e le segnalazioni di interventi che ci pervenivano nella fase di preparazione di BP04 evidenziavano infatti alcune specificità locali, ma anche “territori” trasversali dell’ emergenza, come le problematiche specifiche delle aree metropolitane e le relazioni interculturali, una pratica da privilegiare in una società che sembra esprimere preoccupanti sintomi di razzismo.

A condizioni di svantaggio si affiancano situazioni di apparente vantaggio ed è stato suggestivo in quest’ottica il confronto Milano Napoli, o sentire come offra opportunità molto diverse, da ente a ente, la politica delle fondazioni bancarie (interlocutori sempre più attivi e con cui è necessario confrontarsi); o ancora seguire la battaglia di un giovane festival in una città come Roma, oppure la grande varietà delle esperienze toscane, la precarietà diffusa della danza, il nodo mai risolto della qualità della distribuzione.

(Vale la pena sottolineare che all’incontro del 1° dicembre erano presenti operatori da quasi tutte le regioni d’Italia – sud e isole comprese – e che dunque si trattava di un osservatorio molto vasto).

Il problema della visibilità (che come è stato sottolineato non può che venire prima della selezione: sembra lapalissiano ma non sempre domina la logica nella nostra organizzazione teatrale) si pone ovunque: nei comuni e nelle regioni magari prospere ma i cui finanziamenti al teatro sono spesso irrisori (e in una prospettiva di passaggio di competenze dallo Stato alle Regioni sono persino più preoccupanti i criteri di intervento e la preparazione degli uffici), ma anche città in cui le pubbliche amministrazioni sono così presenti da rischiare di finire nel mirino dell’antitrust, come Roma (vedi ateatro 113) e forse Torino. Di fronte al bisogno di essere visibili – e di restare a galla dopo una prima emersione, magari timida, o dopo perduranti bonacce sulla linea di galleggiamento – ci si attrezza con pratiche che, con modalità più o meno differenti, si stanno diffondendo ovunque, come le residenze, le reti (o comunque le varie forme di aggregazione), la pratica del bando. Questa forma, che più di altre corrisponde al bisogno di correttezza nella competizione, da eccezione solo quattro anni fa (alla prima edizione di BP era infatti stata indicata come una buona pratica emergente), costituisce oggi il “metodo” delle iniziative giovani e di quelle rivolte ad artisti e gruppi giovani, il modello operativo dominante nelle pratiche dell’accesso, alle periferie (geografiche e istituzionali) del sistema.



Notizie dalla trincea



Non ci voleva la tragedia di Torino per ricordarci che nel nostro paese la vera emergenza è il lavoro. Anche se nello spettacolo siamo assai lontani da drammatiche quelle condizioni, forse sarebbe ora che anche in questo settore il problema venisse affrontato seriamente.

Il fatto di vivere e lavorare da sempre in una condizione costituzionalmente precaria ha reso la gente di teatro vaccinata a qualunque crisi e pronta ad adattarsi sempre e comunque alla difficoltà delle circostanze. Al di là dell’istinto di sopravvivenza, questa tendenza è controproducente, sia per i lavoratori e sia per le imprese: non si tratta infatti in questo caso di una contrapposizione di interessi, almeno non prevalentemente, ma di un progressivo deprezzamento, di una perdita di considerazione dello spettacolo dal vivo nel suo complesso, in cui il lavoro (e il lavoratore) è l’anello più debole. Con l’intervento introduttivo di Oliviero, la relazione di Antonio Taormina e tutti gli appassionati interventi sulla formazione e le pedagogie teatrali, si è andati a fondo nel merito delle pratiche di preparazione professionale, del disordine e dell’eccesso, e si è accennato alle forme di accompagnamento al lavoro. Ma non è un problema solo generazionale, e non solo di ricambio: i dati forniti da Giulio Stumpo ci dicono con chiarezza che nel settore le giornate lavorative e il reddito medio sono al di sotto della soglia di povertà. Se è probabile che quasi tutti i lavoratori che risultano da statistiche Enpals facciano nella vita anche altro (per esempio laboratori, corsi eccetera), risulta anche evidente che di spettacolo non si vive. E’ un punto d’approdo molto triste, se si pensa che il lavoro (soprattutto attraverso la forma – oggi impopolare – della cooperativa) è stato negli anni Settanta al centro della crescita vertiginosa del sistema, e che su quella crescita si basa ancora oggi un sistema di spettacolo diffuso. Bisogna approfondire questo punto, e forse elaborare qualche proposta che tocchi in concreto gli strumenti e le politiche che interagiscono direttamente o indirettamente con la questione del lavoro.


- L’assetto dei CCNL di lavoro, fermi da decenni. Credo che ci sia una sostanziale ragione per cui i sindacati non hanno chiesto e ottenuto niente in questi anni (se non irrisori adeguamenti salariali dei minimi): da una posizione di debolezza, rimettere in discussione la parte normativa avrebbe portato ad accordi al ribasso. Nella sostanza, le organizzazioni dei lavoratori e le imprese non hanno saputo o voluto progettare un nuovo assetto del lavoro nel settore dello spettacolo, tenendo conto delle specificità e degli annosi problemi, in un quadro che si andato modificando: il risultato non è stato una tenuta dell’esistente, ma una ulteriore crescita della precarietà, moltiplicando le possibilità di aggirare i contratti stessi e gli obblighi contributivi (del resto assai esosi), e imponendo ai gruppi di introdurre prassi diverse caso per caso e propri regolamenti, quasi sempre non formalizzati. Da almeno trent’anni sarebbe stato necessario introdurre in contratto (e nelle forme contributive) incentivi reali alla durata delle scritture e forme corrispondenti alla pratica associativa; oggi questa necessità deve accompagnarsi a una riflessione sulle trasformazioni delle forme contrattuali introdotte a livello nazionale (legge Biagi eccetera).

- La gestione della disoccupazione: oggi al minimo, legata a contributi non obbligatori e perfino gestita in modo contraddittorio fra le diverse sedi ENPALS: eppure potrebbe costituire quasi una risorsa, un momento di formazione permanente.

- Le norme apparentemente indirizzate al sostegno del lavoro e al ricambio generazionale nei decreti ministeriali: penso al parametro dominante dei costi contributivi e agli incentivi previsti per l’impiego di giovani. Sarebbe lungo spiegare qui perché quasi tutte queste disposizioni siano – e soprattutto si siano rivelate nei fatti – controproducenti e come se ne potrebbero invece immaginare altre, magari da verificare a livello regionale.

- Porre il lavoro, la qualificazione e il ricambio al centro delle ipotesi di riforma dell’area della stabilità, e degli stabili pubblici in particolare (un esempio che mi sta a cuore: non sarebbe più efficace – tanto in termini di occupazione che di qualità, oltre che per gli effetti indiretti sulla produzione drammatica – introdurre l’obbligo di uffici drammaturgia, piuttosto che chiedere per decreto l’allestimento di un testo italiano l’anno o ogni due anni?


Per concludere: ateatro ha deciso di impegnarsi sul tema del lavoro, partendo da un gruppo di studio, in un prima fase ristretto e progressivamente più allargato. Invitiamo chi ha idee e la competenza (soprattutto per la prima fase), nonché il desiderio di partecipare a farcelo sapere. Giancarlo Albori della CGIL-spettacolo di Milano – che aspettavamo il 1° dicembre ma che è rimasto bloccato dalle trattative per la Scala – ha già garantito la sua disponibilità, ma il gruppo è aperto a nuovi contributi.


 

BP0454
114.54 BP04 Documenti: Missione 21. I beni culturali e lo spettacolo
L'Art. 49 della Finanziaria
di Prodi & Co.

 

Capo XVIII

MISSIONE 21 – TUTELA E VALORIZZAZIONE DEI BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E PAESAGGISTICI

Art. 49.

(Utilizzo più razionale delle risorse disponibili per i beni e le attività culturali)

1. Il quarto ed il quinto periodo del comma 8 dell'articolo 3 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, introdotti dall'articolo 1, comma 1143, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono sostituiti dai seguenti: «Gli interventi relativi a programmi approvati dal Ministro per i beni e le attività culturali per i quali non risultino avviate le procedure di gara ovvero definiti gli affidamenti diretti entro il termine del 31 dicembre dell'anno successivo a quello di approvazione sono riprogrammati con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali nell'ambito dell'aggiornamento del piano e dell'assegnazione dei fondi di cui al penultimo periodo del comma 1 dell'articolo 7 del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 237. Le risorse finanziarie relative agli interventi riprogrammati possono essere trasferite, con le modalità di cui alla legge 3 marzo 1960, n. 169, da una contabilità speciale ad un'altra ai fini dell'attuazione dei nuovi interventi individuati con la riprogrammazione, ove possibile, nell'ambito della stessa regione. Entro e non oltre il 31 gennaio di ciascun anno i capi degli Istituti centrali e periferici del Ministero per i beni e le attività culturali, titolari delle predette contabilità speciali, sono tenuti a comunicare alla Direzione generale centrale competente gli interventi per i quali non siano state avviate le procedure di gara ovvero definiti gli affidamenti diretti ai fini della riprogrammazione degli stessi».

2. Allo scopo di sostenere le iniziative di intervento finanziate ai sensi della legge 7 marzo 2001, n. 78, recante tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale, l'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 11, comma 1, della citata legge n. 78 del 2001 è incrementata di 200.000 euro a decorrere dal 2008. Al fine di proseguire la realizzazione di interventi finanziati ai sensi dei commi 3 e 4 dell'articolo 11 della medesima legge 7 marzo 2001, n. 78, è autorizzata la concessione di un contributo quindicennale di 400.000 euro a decorrere da ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010.

Art. 49-bis.

(Disposizioni in materia di fondazioni lirico-sinfoniche)

1. Al decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 12, comma 5, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «una sola volta»;

b) all'articolo 21, al comma 1, la lettera b) è abrogata e dopo il comma 1 è inserito il seguente:

«1-bis. L'autorità di cui al comma 1 dispone in ogni caso lo scioglimento del consiglio di amministrazione della fondazione quando i conti economici di due esercizi consecutivi chiudono con una perdita del periodo complessivamente superiore al 30 per cento del patrimonio disponibile, ovvero sono previste perdite del patrimonio disponibile di analoga gravità»;

c) all'articolo 21, comma 2, le parole: «comunque non superiore a sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «non superiore a sei mesi, rinnovabile una sola volta».

2. Le modifiche di cui al comma 1, lettere a) e c), entrano in vigore a decorrere dal 1º gennaio 2008. I commissari ed i consiglieri di amministrazione che abbiano già superato il limite del mandato decadono con l'approvazione del bilancio dell'anno 2007.

3. La modifica di cui al comma 1, lettera b), entra in vigore dal 1º gennaio 2009 e prende in considerazione, in sede di prima applicazione, gli esercizi degli anni 2008-2009.

4. Ai sensi dell'articolo 1, comma 595, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 per gli anni 2008, 2009 e 2010 alle fondazioni lirico-sinfoniche è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato. Possono essere effettuate assunzioni a tempo indeterminato di personale artistico, tecnico ed amministrativo per i posti specificatamente vacanti nell'organico funzionale approvato, esclusivamente al fine di sopperire a comprovate esigenze produttive, previa autorizzazione del Ministero vigilante. Per il medesimo periodo il personale a tempo determinato non può superare il 15 per cento dell'organico funzionale approvato.

5. È istituito presso il Ministero per i beni e le attività culturali un fondo di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010 al fine di:

a) contribuire alla ricapitalizzazione delle fondazioni lirico-sinfoniche soggette ad amministrazione straordinaria ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367;

b) contribuire alla ricapitalizzazione delle fondazioni lirico-sinfoniche che abbiano chiuso almeno in pareggio il conto economico degli ultimi due esercizi, ma presentino nell'ultimo bilancio approvato un patrimonio netto inferiore a quello indisponibile e propongano adeguati piani di risanamento al Ministero per i beni e le attività culturali, nonché di quelle già sottoposte ad amministrazione straordinaria nel corso degli ultimi due esercizi che non abbiano ancora terminato la ricapitalizzazione.

6. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali non avente natura regolamentare il fondo di cui al comma 5 è ripartito fra tutti gli aventi diritto in proporzione delle differenze negative fra patrimonio netto e patrimonio indisponibile, calcolate nella loro totalità, e delle altre perdite del patrimonio netto, calcolate nella metà del loro valore. Il predetto decreto è adottato entro il 30 giugno di ogni anno a seguito dell'approvazione da parte delle fondazioni lirico-sinfoniche dei bilanci consuntivi dell'esercizio precedente e della presentazione di adeguati piani di risanamento di cui al comma 5. Decorso tale termine, il decreto è comunque adottato escludendo dal riparto le fondazioni che non abbiano presentato il bilancio consuntivo e il prescritto piano di risanamento.

7. Al fine di incentivare il buon andamento e l'imprenditorialità delle fondazioni lirico-sinfoniche, all'articolo 24, comma 1, del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Gli interventi di riduzione delle spese sono individuati nel rapporto tra entità della attività consuntivata e costi della produzione nell'anno precedente la ripartizione, nonché nell'andamento positivo dei rapporti tra ricavi della biglietteria e costi della produzione consuntivati negli ultimi due esercizi precedenti la ripartizione».

Art. 49-ter.

(Disposizioni in materia di istituzioni culturali)

1. A decorrere dal 1º gennaio 2008, gli importi dei contributi statali erogati alle istituzioni culturali ai sensi degli articoli 1, 7 e 8 della legge 17 ottobre 1996, n. 534, sono iscritti in un apposito capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le attività culturali, la cui dotazione è quantificata annualmente ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. A decorrere dalla medesima data, alle istituzioni culturali di cui alla legge 17 ottobre 1996, n. 534, non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 32, commi 2 e 3, della legge 28 dicembre 2001, n. 448.

2. Per l'anno 2008 la spesa autorizzata dagli articoli 7 e 8 della legge 17 ottobre 1996, n. 534, è incrementata di 3,4 milioni di euro.

3. Sono legittimati a richiedere a titolo gratuito la concessione, ovvero la locazione, dei beni immobili di cui all'articolo 9 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 settembre 2005, n. 296, con l'onere di ordinaria e straordinaria manutenzione a loro totale carico, le accademie e le istituzioni culturali non aventi scopo di lucro per lo svolgimento continuativo di attività culturali di interesse pubblico.

4. Le disposizioni di cui al comma 3 si applicano ai contratti in corso, ovvero alle utilizzazioni in corso, alla data di entrata in vigore del citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 296 del 2005, anche per le ipotesi in cui alla stessa data non siano stati posti in essere i relativi atti di concessione o locazione.

5. La stipula degli atti di concessione o locazione di cui al comma 3 è subordinata alla previa regolazione dei rapporti pendenti, con la corresponsione di una somma determinata nella misura annua ricognitoria di euro 150, ferme restando acquisite all'erario le somme già corrisposte per importi superiori.

6. All'onere derivante dal presente articolo, pari a complessivi euro 3,5 milioni per l'anno 2008 e ad euro 100.000 annui a decorrere dal 2009, si provvede mediante utilizzo delle risorse di cui all'articolo 1, comma 1142, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, allo scopo intendendosi corrispondentemente ridotta l'autorizzazione di spesa recata dalla medesima disposizione.

Art. 49-quater.

(Festival pucciniano)

1. Per le celebrazioni del 150º anniversario della nascita di Giacomo Puccini è autorizzato, per l'anno 2008, un contributo straordinario di 1,5 milioni di euro in favore della Fondazione festival pucciniano, con sede in Torre del Lago Puccini.

Art. 49-quinquies.

(Restauro archeologico di teatri)

1. Al fine di consentire interventi di restauro archeologico delle strutture degli edifici antichi di spettacolo, teatri ed anfiteatri è stanziata per l'anno 2008 a favore del Ministero per i beni e le attività culturali la somma di 1 milione di euro.


 

BP0460
114.60 BP04: Cinquant'anni di ARCI
(visibiltà)
di Emanuele Patti

 

Innanzitutto vorrei ringraziare tutti per l'invito, che ci dà la possibilità, in un appuntamento importante come questo, di ricordare che quest'anno stiamo festeggiando i cinquant'anni dell'Arci. Associazione che trova proprio nel movimento operaio, nelle società di mutuo soccorso e nelle case del popolo i suoi valori fondanti e le sue origini.
Oggi quei valori e quelle aspirazioni, si ritrovano, aggiornate nei tempi e nei linguaggi, nella costruzione di un associazionismo di promozione sociale, che trova radicamento in tutto il territorio italiano.
A Milano si parla di circa 170 circoli e di 70.000 soci, che frequentano appunto le nostre basi associative. Per quello che riguarda il rapporto di Arci Milano con gli spazi culturali, assistiamo dal 2001 circa ad una costante crescita di questi luoghi, spesso aperti da cittadini ed artisti, con l'intento di promuovere cultura e aggregazione, al di fuori delle logiche commerciali, in un'ottica di apertura di nuovi spazi sociali.
Nel nostro tessuto, troviamo compagnie teatrali emergenti, ma anche nell'emergenza della carenza di spazi, troviamo nuovi luoghi dove promuovere concerti, mostre, spettacoli ed eventi, spesso luoghi recuperati alla città, e non proprio convenzionali. Il comitato di Milano, proprio per aiutare nella promozione questi circoli, ha proposto ed ottenuto un finanziamento da Fondazione Cariplo, per un progetto "Via Libera", che aveva come obiettivo la circuitazione di produzioni artistiche, tra cui anche alcuni spettacoli teatrali, nei circoli arci di Lombardia. In una città come Milano, probabilmente potremmo fare di più per il teatro, ma da un lato i suoi costi alti, dall'altro la difficoltà di far ragionare le giovani compagnie in un'ottica di rete condivisa, rende questo percorso ancora un po' difficile.


 

BP0480
114.63 BP04: Appunti di sopravvivenza e testimonianze di una coreografa a Milano.
(emergenza danza)
di Barbara Toma

 

Mi chiamo Barbara Toma, sono una coreografa e vivo a Milano.
A tredici anni ho lasciato la mia città natale, Lecce, e sono emigrata all’estero per intraprendere i miei studi di danza.
Sono tornata a vivere in Italia solo dodici anni dopo.

Se è vero, come dice Gerarda Ventura in chiusura del suo intervento, che fare politica non è solo appartenere a un partito, ma che politica sono anche le scelte che facciamo.

Allora io, la mia scelta politica, l’ho fatta nel momento in cui ho deciso consapevolmente di vivere e lavorare in Italia.
La vita di un coreografo in Italia è una battaglia continua. Una lotta alla sopravvivenza. Alla visibilità. Alla possibilità di svolgere, finalmente, semplicemente, il tuo lavoro in pace.
Si tratta di un problema culturale, prima di tutto. Il nostro paese non ha una consapevolezza di cosa significhi danza contemporanea, e quindi non ne conosce le esigenze, non la promuove, non la programma, non la produce, non incentiva i giovani talenti, non la rispetta, non la interpella.

Tante sarebbero le buone pratiche per migliorare la situazione della danza e delle arti performative contemporanee in Italia e a Milano.
Evito di addentrarmi in quelle che potrebbero essere delle buone pratiche per gli altri e parto da me.

Le mie buone pratiche. appunti di sopravvivenza, testimonianze e obbiettivi di una coreografa a Milano

1. considero una buona pratica mettere in dubbio il mio stesso lavoro e chiedermi se vale la pena presentarlo a un pubblico. Interrogarmi insomma sulla necessità-qualità e l’efficienza del mio creare.

2. considero una buona pratica riuscire a trovare un buon equilibrio tra: ore passate al computer, ore passate a cercare di guadagnare soldi e ore passate in studio ad allenarmi/creare.

3. considero una buona pratica rifiutarmi di chiedere a un danzatore di lavorare gratuitamente.

4. considero una buona pratica sforzarmi di delegare ad altri… affidare costumi, luci, scene, grafica, altro a dei professionisti.

5. considero una buona pratica NON inviare il materiale del mio spettacolo a quei festival che NON meritano la mia stima.

6. considero una buona pratica confrontarmi con i colleghi all’estero e mantenere sempre alti gli obbiettivi da raggiungere.

7. considero una buona pratica abituarmi a ripetere sempre le stesse cose, anche se sembrano scontate.
ad esempio:

- che è ridicolo che una città come Milano non abbia una stagione di danza;
- che la danza contemporanea dovrebbe venire incentivata con produzioni e residenze;
- che è tempo di un cambio generazionale di programmatori e critici;
- che è ridicolo che la Regione Lombardia abbia destinato solo lo 0,4% dei fondi per la cultura del 2006 alla danza, cioè meno dello 0,7% destinato alle arti circensi e al teatro di strada... e molto meno dello 3,4% destinato al teatro;
- che siamo nel 2007 e che in realtà sarebbe ora di smetterla di dividere le arti performative contemporanee in diversi settori;
- che c’è una grossa fuga di talenti all’estero e che vengono incentivati solo i 20enni emergenti o i 45enni sopravvissuti. mentre la generazione di mezzo (quella che ha dimostrato di saper emergere e di avere talento e sulla quale bisognerebbe investire) viene invece completamente ignorata;
- che nel teatro italiano ci sono pochissime opportunità e poteri troppo concentrati.

8. considero una buona pratica difendere con forza il mio mestiere.

9. considero una buona pratica battermi affinché vengano cambiate le leggi che regolamentano lo spettacolo dal vivo nel mio paese.
(per esempio aderendo ed essendo attiva nel tavolo dei coordinamenti e delle reti della danza e delle arti performative contemporanee e quindi nel coordinamento regionale lombardo, il C-DAP)

10. considero una buona pratica cercare di mantenere costante il lavoro di ricerca in studio. anche quando non ci sono nuove produzioni.

11. considero una buona pratica condividere le informazioni e aiutare chi vuole intraprendere il mio stesso mestiere (a parte consigliargli di andare all’estero).


Appunti di sopravvivenza
Decalogo di consigli a un giovane coreografo in Italia
(alcuni possono sembrare poco dignitosi. io mi limito a dire come si può sopravvivere. ma non è detto che io sia d’accordo con tutto)

1. chiediti se è davvero questo ciò che vuoi fare…

2. procurati subito una persona per aiutarti nell’organizzazione promozione e vendita dei tuoi lavori.

3. il nostro è un mestiere che si impara e si perfeziona con la pratica. non cedere alle esigenze economiche lavorando a tempo pieno e togliendo cosi tempo alla pratica. cerca lavori notturni o poco impegnativi (barista nei pub, eventi nelle discoteche, animazione alle feste, venditore, nel fine settimana, di appartamenti in multiproprietà, guida turistica, curatore di festival, critico, insegnante di aerobica).

4. cerca sempre di lavorare seguito da un coreografo che stimi, un occhio esterno in grado di darti consigli.

5. se non lo hai già fatto: cerca di danzare per almeno un anno in compagnia con un coreografo famoso. questo ti faciliterà molto per la visibilità, l’accesso ai festival e la richiesta di finanziamenti e sponsor come coreografo.

6. apriti da subito un’associazione culturale!! Ti servirà per ottenere qualunque tipo di finanziamento, e più anziana è più possibilità hai. il sistema ti spingerà a chiedere appoggio ad altre compagnie, già esistenti. NON CADERE NELLA TRAPPOLA! Apriti comunque subito una tua associazione e cerca di lavorare sempre con quella almeno che non ti sia esplicitamente richiesto altro. altrimenti , dopo anni di lavoro, potresti scoprire di NON esistere!

7. cerca di accumulare almeno 78 giorni lavorativi in un anno, in modo da poter ottenere la disoccupazione in estate.

8. cerca di darti ogni anno degli obbiettivi: il primo anno delle apparizioni gratuite per farti vedere, il secondo con rimborso spese, il terzo con un piccolo cachet. cerca di crescere sempre e NON TORNARE MAI INDIETRO!

9. allo stesso tempo cerca di mantenere bassi i tuoi prezzi.

10. cerca di restare aggiornato e di studiare quando puoi.

11. cerca di farti vedere all’estero.

12. segui un corso di video editing, uno di grafic design, uno di comunicazione e uno di marketing.

13. compra Organizzare teatro di Mimma Gallina e tienilo come una bibbia!

14. sii flessibile ma allo stesso tempo cerca di difendere sempre il tuo lavoro!Non permettere a nessuno di non metterti in grado di presentare il tuo lavoro al meglio!

15. se vedi uno spettacolo che non ti piace fischia! lamentati, critica!

16. allenati a scrivere recensioni.

17. abbi il coraggio di denunciare ciò che non ti garba.

18. se riesci ad ottenere una buona visibilità nei primi anni di lavoro. abbi l’accortezza di cambiare nome dopo massimo tre anni!Ai programmatori italiani non piacciono i nomi già sentiti. né quelli italiani!prova con un nome straniero!

19. trovati un compagno/a ricco/a o un mecenate.

20. cerca di entrare nelle grazie di qualche coreografo e/o programmatore che è nel giro “giusto”.

21. non ti curare della qualità del tuo lavoro! pensa solo a come promuoverlo e cosa poter offrire in cambio!

22. mettiti dei soldi da parte per 3 o 4anni. in modo da poter poi organizzare dei tuoi spettacoli per soli programmatori, naturalmente invitati da te e tutti tuoi ospiti…

23. entra a far parte di uno dei network internazionali di artisti.

24. non creare spettacoli intorno a temi che ti premono. piuttosto cerca di scoprire in anticipo quali temi sono richiesti ai bandi più importanti di finanziamenti e basa il tuo lavoro sull’offerta dei bandi.

25. non collaborare con artisti che incontri sul tuo cammino e che ti stimolano. cerca artisti ,di qualunque tipo, che vivono o provengono dai paesi più interessanti per i bandi della comunità europea.

26. non essere onesto nelle contrattazioni. finirai per rimetterci.

27. non spedire un DVD senza telefonare e chiedere prima. e dopo telefona e chiedi conferma dell’arrivo e un parere.

28. qualunque cosa scrivano su di te, ricorda SEMPRE di chiamare e ringraziare!

29. Hollywood insegna. non importa se si parla bene o male. l’importante è che se ne parli! Cerca quindi di inventarti uno scandalo per pubblicizzare il tuo debutto!

30. NON TI DEPRIMERE. Ricorda che i tuoi insuccessi, nel nostro paese, non hanno nulla a che fare con tuoi demeriti.

31. NON ti montare la testa. Ricorda che i tuoi successi, in questo paese, non hanno nulla a che fare con i tuoi meriti!

32. più tardi vieni da me, e ti darò la lista dei pochi programmatori italiani che fanno il loro lavoro con passione e onestà.

33. non perdere tempo con l’invidia. nessun collega in questo paese sta davvero bene. e ricorda che se lavori poco. hai fatto poco il tuo dovere di promoter e manager!

34. se sei ateo smettila subito! le preghiere ti serviranno.



BARBARA TOMA - studia e lavora per più di dieci anni all’estero con maestri di fama internazionale. Diplomata alla School for New Dance Development di Amsterdam. Come danzatrice ha lavorato in diversi progetti in Olanda, Germania ed Austria. Nel 2001/2 ha danzato con la compagnia DEJA’ DONNè . Finalista al concorso di coreografia Città di Bologna '00, vincitrice borsa di studio danceWEB a Vienna. Come coreografa e interprete è stata ospite di diversi festival in Italia e all’estero.Ha portato i suoi lavori a: Cagliari, Lecce, Mantova, Alfonsine, Pavia, Roma, Domaso, Ferrara, Sondalo, Cerrate(Br),Cervia , Roma, Milano,Cagliari,Torino . Tra le sue creazioni:KRUDA (2001),DOOD (2003), GIACOMOGIACOMO (2004),FREEDOM (2006), ORBATA(2007) Nel 2006 ha fondato la compagnia robabramata. Dal 1999 fa parte dello staff insegnanti dello ials di Roma. Dal 2001 insegna regolarmente a professionisti e non tra Roma, Milano ed Amsterdam.
Ha ideato e curato presso il CRT teatro dell’arte di Milano il FESTIVAL int. della nuova danza SHORT FORMATS the survival kit (2005) e the invisible power kit (2006). Ultimamente collabora con il PiM spazio scenico di Milano (dove oltre a ricevere ospitalità e sostegno per i suoi progetti artistici si occupa del network internazionale)
Barbara Toma è tra i fondatori del movimento del tavolo nazionale delle reti e dei coordinamenti della danza e delle arti sceniche contemporanee nonché del C-DAP (coordinamento Lombardo).

 

BP101
75.81 Per uno stabile corsaro (dieci anni dopo)
Le Albe-Ravenna Teatro
di Marco Martinelli

 

Caro Oliviero
quello che segue è il testo Per Uno Stabile Corsaro, "manifesto" col quale le Albe, nei primi anni novanta, affrontavano il nodo della propria trasformazione, da piccola compagnia a Centro per la ricerca e la sperimentazione (allora si chiamavano così, quelli che oggi sono diventati Stabili di Innovazione). Eravamo diventati "grandi", ma eravamo rimasti corsari? Il testo è del 1995, quindi intreccia i "buoni propositi" alle "buone pratiche" che avevamo cominciato a mettere in atto per realizzarli. Il vostro convegno arriva a tredici anni dalla formazione di Ravenna Teatro e quindi ci permette un bilancio "pubblico", fatto insieme a tutti quelli che vorranno essere della partita, per ragionare sul paradosso concettuale, l’ossimoro dello "stabile corsaro", sul quale la gente come noi si gioca la propria credibilità, e prima che davanti al mondo, davanti alla propria faccia riflessa nello specchio. Mi piace molto l’idea delle "buone pratiche", l’idea di confrontarsi nella concretezza dei percorsi, così come mi piace la tua rivista in rete, quella sì, decisamente, una "buona pratica". I tempi sono bui, nella loro luccicante idiozia, ma chi ha voglia di non fermarsi al livello dell’opacità generalizzata e paralizzante, si accorge che i fiori continuano a spuntare, le "roselline selvatiche" alla Brecht che nessuno si aspettava, che le isole di intelligenza nell’oceano inquinato resistono e battono bandiera corsara.
Un abbraccio!

Marco


PER UNO STABILE CORSARO

1. C'è modo e modo di essere corsari.
Ci siamo posti, in questi anni novanta, una domanda essenziale. Ce la siamo posta a livello teorico e nel contesto del nostro lavoro. La domanda è: può un’istituzione teatrale operare seguendo logiche eretiche, non-istituzionali? Può una compagnia che dirige due teatri lavorare mantenendo e anzi arricchendo la propria identità corsara? C’è modo e modo di essere corsari. C'è quello dell'artista solitario, che vive la scena con tempi e ritmi propri, alieni dalle logiche del mercato e della produzione. Può aver ottenuto segnalazioni e premi, e avere un certo nome, o può essere ancora uno sconosciuto: se è davvero corsaro, lo è in entrambi i casi, senza bisogno di patenti. C'è quello del piccolo gruppo, piccolo per il numero delle persone che lo compongono, ma capace di opere radicali: appartato, come un'isola, sfida l'interiorità dello spettatore, e mette alla prova quotidianamente la propria possibilità di sopravvivenza. C'è quello dell'attore che lavora negli stabili e nei grandi circuiti, la cui recitazione però, a differenza degli impiegati che gli si agitano attorno, conserva e alimenta il fuoco di una segreta, personale presenza. E infine c'è quello di chi costruisce la propria identità costruendosi come Teatro, ovvero come intreccio tra creazione di opere , ospitalità, progetti: luogo deputato nella città. Quello di chi si misura con la polis, con il territorio si diceva una volta, con la Terra vorrei dire io oggi, sconfinando nel simbolico e facendo un po’ la voce grossa.

2. La scommessa di Ravenna Teatro è quella di uno stabile corsaro.
Uno stabile che corre, alla lettera! Uno stabile in movimento! Non un carrozzone fermo, impantanato, lottizzato come ce ne sono tanti. Ma una casa del teatro: fuorilegge. Fuori dalle leggi mortali della noia, del teatro come museo di cere, del potere ai mestieranti.

3. L’energia delle origini.
Nel 1991 il Teatro delle Albe e la Compagnia Drammatico Vegetale hanno dato vita a Ravenna Teatro e il Comune di Ravenna ha affidato alla nuova struttura la direzione artistica dei due teatri della città. Siamo passati dalla forma gruppo (piccola famiglia d’arte) alla forma Stabile (che noi intendiamo come grande famiglia d’arte). Tale passaggio non è stato, e non è ancora, privo di pericoli. Ogni crescita ne ha. Avere la direzione artistica di entrambi i teatri comunali poteva, e può ancora, risolversi in una trappola: nessun filtro magico ci difende dal rischio di diventare dei burocrati, di perderci nella complessità della macchina organizzativa. E' un rischio che abbiamo voluto affrontare: è un rischio che ci tiene svegli ogni giorno, vigili.
Nietzsche ha scritto: "Vogliamo aggrapparci coi denti ai diritti della nostra giovinezza e non stancarci di difendere nella nostra giovinezza il futuro contro gli assalitori delle immagini del futuro." Forse queste parole possono suonare altisonanti e retoriche, a me sembra che mirino dritte al cuore: al cuore del teatro come dell'esistenza. Solo se teniamo accesa in noi una luce fertile e vitale, che Nietzsche chiama giovinezza, che Copeau definiva "l’energia delle origini", solo così possiamo costruire. Quello che ci fa vivi non è il lavorare in un sottoscala o in un teatro con i velluti: quello che ci fa vivi è l'energia della nostra presenza. Esserci. Bruciare.
(Anche se, nove volte su dieci, l'energia corre più forte in un sottoscala.)

4. La casa del teatro a Ravenna sono due: Alighieri e Rasi.
Quando il Comune di Ravenna ci ha proposto di prendere in mano i teatri, abbiamo ritenuto che occorresse un salto di mentalità: pensare al complesso delle nostre attività in relazione alla città intera. La città è l'insieme dei diversi pubblici che la compongono. Fin da subito, abbiamo ragionato in termini di dialettica tra le attività da svolgere all'Alighieri, Teatro di Tradizione, e al Rasi: due occhi vedono meglio di uno. L'Alighieri è rimasto il luogo deputato alla cosiddetta "stagione di prosa": abbiamo lavorato in questo teatro cercando di definire cosa sia la Tradizione oggi, nel contesto dei linguaggi di fine secolo, escludendo dall’ Alighieri i prodotti ‘televisivi’, e intrecciando i lavori di chi, nelle diverse generazioni teatrali, da Strehler a Ronconi a Leo a Moni Ovadia ai Teatri Uniti, sa cosa sia un palcoscenico. La città ha risposto con entusiasmo, e c’è stato un significativo ricambio di spettatori, con l’acquisizione di nuove fasce di pubblico giovanile. Questi risultati si sono poi integrati al lavoro fatto al Teatro Rasi, fucina del nuovo, luogo di invenzione e di ricerca, cantiere in cui non abbiamo pensato in termini di pubblico ma in termini di spettatori critici, lucidi, consapevoli, autori. Le migliaia di abbonati all'Alighieri vanno benissimo, ma se al Rasi parallelamente non coltivassimo i laboratori per le scuole, gli incontri con le nuove generazioni teatrali, gli intrecci con la musica e altre discipline, le stagioni di teatro ragazzi e di teatro contemporaneo, i progetti speciali come Le vie dei canti, Il linguaggio della dea, il Dialogo della città con le sue energie, se non coltivassimo ogni giorno l'arte dello spettatore, anche il più sbandierabile aumento di abbonamenti non avrebbe senso. Il senso è quello di una ecologia teatrale: due occhi (due teatri) vedono meglio di uno. Il senso è restituire alla scena quello che le spetta: luogo vitale di ebbrezze e visioni, in relazione affettiva e critica con la polis. E se dico polis non intendo un’astrazione storica: so bene che viviamo nell’epoca dei grandi media e delle metropoli, nell’epoca del virtuale, ma se dico polis intendo realtà fisiche visibili. Facce. Le facce dei trecento adolescenti che a Ravenna partecipano ai laboratori nelle scuole medie superiori:, dai licei agli istituti tecnici: le conosco tutte. Fanno parte della mia vita di regista , di direttore artistico, di scrittore, così come le facce di tanti ateniesi erano parte viva dell’immaginario e della scrittura di Aristofane. Io amo questo rapporto carnale tra autore e spettatore, che non è in questo caso solo un rapporto tra autore e spettatore, perché con questi adolescenti costruiamo insieme eventi scenici sorprendenti. Giochiamo, affrontiamo il tutto con la stessa vitalità che richiede una partita di calcio, un concerto rock.. Il palco si fa luogo di energie sporche, furibonde, non accademiche, la vita irrompe nel tessuto dei testi antichi, li attraversa senza rispetto, e il linguaggio fisico della scena diventa per chi se ne impossessa più esaltante di un videogame. Le oscenità della commedia antica o i lirismi di Shakespeare rivivono sulla bocca dei quindicenni come lezioni di nuovo teatro, per me e per gli spettatori che le ascoltano. Io amo tutto questo, credo che contenga un segreto essenziale del teatro. Ma forse questo è possibile solo in realtà medio-piccole, circo-scritte, città come Ravenna coi suoi 130.000 abitanti (130.000 come gli abitanti, schiavi compresi, dell’ Atene del V secolo)? Negli ultimi tempi si è parlato di Romagna felix, per la ricchezza che questa terra ha espresso in termini di nuove generazioni teatrali: credo che questo sia in gran parte dovuto a come le tre realtà storiche della ricerca anni 80(Teatro delle Albe, Valdoca, Raffaello Sanzio) si sono spese fisicamente, quotidianamente, attraverso scuole, incontri, collaborazioni, con i tanti giovani che formano oggi le più agguerrite squadre della ricerca anni 90. Non una filiazione, ma un intreccio di biografie, di opere e di percorsi, che ha fatto della nostra regione un esempio efficace e fermentante di ‘coltura teatrale’.

5. Sto parlando, dall'inizio, di corse e corsari.
Quando dico corsaro non intendo il polemista in senso pasoliniano: intendo una capacità di movimento reale nell'universo finto, atrocemente immobile, in cui la Storia ci ha destinati a vivere. Intendo l'essere davvero di corsa. Provo a spiegarmi meglio. Insieme al Kismet Opera di Bari realizzamo, tempo fa, un progetto a due voci dal titolo: Silenzi Corsari. A due voci perché legava insieme due case del teatro, due città, due Italie. Il titolo non inganni; non era un progetto su Pasolini. Era un'altra cosa, Silenzi Corsari: era il provare a interrogarsi, in questi anni novanta, su che cosa resti, impigliato in una palude di detersivi giochi a premio varietà calciatori risse nei salotti televisivi politicanti ladri buffoni che fanno i filosofi e filosofi che fanno i buffoni, del senso della testimonianza intellettuale, quello per cui Pasolini e altri hanno speso un’esistenza. L'intellettuale? Esiste ancora? Dov'è finito? Dove s'è nascosto? L'hanno cacciato? O si è sotterrato? E' visibile solo nelle antologie scolastiche? E' una parola -fossile, residuo di un'epoca geologica che non esiste più? E noi, che spendiamo la vita sul palcoscenico, non siamo anche noi parte di questa razza in estinzione? E ancora: cos'è oggi lo scandalo? I media si nutrono di scandali: piccoli, grandi, deprimenti, ridicoli. Per apparire, quindi essere, devi gridare, scalciare, sgomitare: altrimenti non ci sei, il copione non ti prevede. Cos'è lo scandalo, oggi che, come dice Alda Merini, 'la cosa meno scandalosa è lo scandalo'? Cos'è lo scandalo, oggi che un intero sistema, politico ed economico, è scandalosamente alla deriva? Dobbiamo urlare? Ma urlare dove? Quando? Nelle orecchie di chi? E il teatro, la barchetta di legno su cui poggiamo i piedi, ha ancora voce in capitolo? O è muto da un pezzo? Domande enormi, politttttttiche, per le quali avevamo e abbiamo solo mezze risposte, insufficienti. Una convinzione ci sorreggeva e ci sorregge: è necessario, per sopravvivere, saper praticare il silenzio, una forma attiva, personale, meditata, di silenzio: non rifugiandoti tra i monti, ma restando in città, dentro al Grande Rumore, creandoti una tua silenziosa disciplina di lavoro, in modo da riuscire a sentire la tua voce, prima di tutto, e poi anche quelle degli altri. Se sentirai le voci in mezzo al Grande Rumore (mica quelle dei santi: almeno quella del vicino, per cominciare), allora forse sarai sulla strada giusta, e potrai cominciare a muoverti, ma sì, a correre e creare, e solo allora il tuo sarà diventato un vero silenzio corsaro.

6. In Ravenna Teatro convivono le differenze: non c'è uno stile unitario.
Dentro Ravenna Teatro lavorano due compagnie, il Teatro delle Albe e la Compagnia Drammatico Vegetale: lavora un collettivo di artigiani che talvolta preferisce creare insieme, talvolta preferisce articolarsi in sentieri personali e differenti. Che cosa può chiedere la direzione artistica a tutti questi che lavorano e sudano nella casa del teatro ravennate? Niente e Tutto. Niente, perché ognuno deve avere il diritto di sbagliare in santa pace e piena autonomia, compreso il direttore artistico, scommettendo sulla propria pelle e sul proprio stile. Tutto, perché la scommessa di Ravenna Teatro è quella della fertilità della scena, della magia bianca della scena, del dialogo incessante con le ceneri degli antenati, da Aristofane a Artaud. Chi non è così spiritato da non saper parlare con i morti, verrà cacciato da Ravenna Teatro! Compreso il direttore artistico!

7. Casa in relazione ad altre case.
Della vicinanza con il Kismet di Bari, ho già detto. Ma sono anche altre, le case del teatro a cui ci sentiamo vicini: da Asti a Padova, da Settimo Torinese a Cagliari, da Bologna a Cesena a Popoli attraversano la penisola, e sono i luoghi di una geografia di resistenza teatrale. Che c'è, ben viva, in Italia, in Europa, nel mondo, a dispetto di chi ritiene l'arte scenica un museo addomesticato. Piccola geografia planetaria, che chi ha la ventura di percorrere con i propri spettacoli può verificare anche oltre confine. L’ anno scorso siamo stati invitati a rappresentare Siamo asini o pedanti? a Mulheim, ospiti del Theater an der Ruhr diretto da Roberto Ciulli, regista-filosofo emigrato in Germania trent'anni fa. Anche al Theater an der Ruhr, stabile corsaro nella nazione dei Grandi Stabili Pubblici (per come accoglie gli spettatori, per come inventa il rapporto con la città, per come costruisce cultura teatrale, per come sono all'interno le relazioni tra le persone - persone, non ruoli - e infine anche per gli spettacoli che produce), ci sentiamo vicini, nonostante i chilometri. Una geografia di luoghi differenti, accomunati dalla passione viscerale per il teatro, la malattia di chi continua a vedere nel rituale della scena qualche cosa di necessario, appunto, come le viscere. Eugenio Barba ha definito questa malattia con parole limpide, e con tali parole mi piace concludere qui il mio intervento.
"Quando ci guardiamo attorno e confrontiamo il nostro mestiere con le tecnologie del tempo, o quando confrontiamo le nostre piccole cerchie di spettatori con i pubblici dei mass media, ci sentiamo arcaici. Il teatro ci appare come le vestigia di un'epoca. Se poi confrontiamo queste vestigia così come sono con l'immagine di ciò che furono, lo sgomento aumenta. Il rituale è vuoto. Che cosa vuol dire "rituale vuoto"? Che è insensato, caratterizzato dalla mancanza di valori, qualcosa di degradato? Il vuoto è assenza ma anche potenzialità. Può essere l'oscurità di un crepaccio. Oppure l’immobilità del lago profondo da cui emergono segni di vita inattesa."


Marco Martinelli
autore e regista del Teatro delle Albe
direttore artistico di Ravenna Teatro


 

BP102
75.88 La Respublica di Elsinor
Racconto di una fusione tra teatri in Lombardia, Toscana , Emilia Romagna
di Stefano Braschi

 

Ho voluto intitolare così questo mia breve comunicazione memore di una conversazione a tavola con Massimo Castri che coniò scherzosamente questa definizione di piccola Repubblica di Elsinor volendo ,penso , sottolineare il carattere indipendente e autosufficiente del sistema teatrale che la fusione tra Fontanateatro di Milano , Teatro dell’Arca di Forlì e Aster di Firenze aveva determinato.
Elsinor non è nata da una strategia o da un progetto a tavolino, al contrario si è trattato dell’esito di una condivisione prima tra Teatro dell’Arca e ASTER e poi con Fontanateatro.
Condivisione di cosa?
Non di un progetto artistico in prima battuta (le linee di programmazione e di storia erano troppo lontane tra le tre realtà), quanto piuttosto condivisione della gestione organizzativa ed economica delle nostre imprese affrontando insieme le sfide che la non facile situazione teatrale italiana imponeva.
Credo che alla base del nostro tentativo ci sia stata una fiducia reciproca che liberava il campo dalla paura di scomparire con una propria fisionomia per ognuna delle strutture storiche di partenza.

Alcuni obiettivi e punti di lavoro scaturiti dai primi quattro anni di esperienza:

1) Razionalizzazione dell’organizzazione del lavoro e risparmio di una serie di costi fissi centralizzando varie funzioni e settori : gestione e controllo amministrativo e finanziario, rapporti con le amministrazioni pubbliche, laboratorio scenografico e magazzinaggio, acquisti e gestione dei fornitori e la possibilità di acquisire nuove figure professionali che l’aumento delle dimensioni dell’impresa consentono di sostenere.

2) L’interegionalizzazione è la vera novità del nostro esperimento. Normalmente si è abituati a considerare l’aspetto del radicamento sul territorio solo su base di una unica regione. Essere stabilmente su tre Regioni e tre regioni importanti per il teatro quali Lombardia ,Emilia Romagna e Toscana , significa lavorare sul territorio sapendo che ciò che si fa localmente sta costruendo un circuito nazionale indipendente. Questo nuovo modello di stabilità può essere un piccolo contributo al rinnovamento del sistema teatrale anche in relazione al dibattito su competenze e funzioni tra stato e regioni.

3) Aumento delle possibilità di investimento sia sul piano delle produzioni che sul piano strutturale. Le ultime produzioni di Elsinor nel numero e nella loro qualità non sarebbero state possibili senza il valore aggiunto determinato dalla fusione e così pure la recente ed onerosa ristrutturazione del Teatro Cantiere Florida a Firenze.

4) Mantenere un sano equilibrio tra unità artistica complessiva e autonomia delle singole sedi territoriali consentendo ad ogni Teatro di esprimere una propria immagine distintiva in relazione alla sua storia e al suo rapporto con la città e il territorio.

5) Costruire una modalità di lavoro che sviluppi lo scambio costante di informazioni e di opportunità che lavorare in rete può determinare.


 

BP103
75.83 Il sostegno di uno spabile a una giovane compagnia
Rapporto tra Teatro Stabile di Genova e Progetto u.r.t.
di Paolo Zanchin

 

La Compagnia teatrale PROGETTO U.R.T. srl, formata da attori diplomatisi all ‘Accademia d’Arte Drammatica del Teatro Stabile di Genova, nasce nel 1999 anche grazie al "tutoraggio" del Teatro Stabile di Genova.
Il "tutoraggio" era una sorta di appoggio istituzionale, da parte di un Teatro Stabile ad una giovane compagnia autonoma, che serviva come garanzia per il riconoscimento ministeriale della compagnia stessa. Grazie al tutoraggio la compagnia accedeva ai finanziamenti pubblici triennali all’interno dell’allora esistente Progetto Giovani.
Il Teatro Stabile di Genova ha inoltre aiutato il Progetto u.r.t. nel 2001 co-producendo lo spettacolo "Schweyk nella seconda guerra mondiale" di B. Brecht e nel 2003 sempre co-producendo lo spettacolo "Mojo Mickibo" di Owen Mc Cafferty.
Altre forme di collaborazione tra Progetto u.r.t. e Teatro Stabile di Genova si sono sempre verificate negli anni: il Progetto u.r.t. è sempre stato inserito nei cartelloni di prosa dello Stabile; diverse volte ha utilizzato i costumi di proprietà dello Stabile stesso e ha sempre utilizzato, nei giorni prima del debutto, una sala prove a Genova a titolo gratuito.


 

BP104
75.93 Appunti sulla "coproduzione leggera"
Il profetto dell'AMAT
di Gilberto Santini

 

L'AMAT (Associazione Marchigiana Attività Teatrali) è l'organismo - espressione di 87 Amministrazioni comunali, delle 4 Amministrazioni provinciali, di 2 Comunità Montane e della Regione Marche - che opera per coordinare e gestire (in collaborazione e d'intesa con gli Enti Locali) la "promozione e diffusione del teatro e dello spettacolo da vivo nella rete dei teatri delle Marche", come recita lo statuto. Attiva dal 1976, si tratta di una realtà teatrale unica per diffusione sul territorio e per capillarità di rapporti con il pubblico, chiamata a confrontarsi con la specificità di una regione con 1.500.000 abitanti che vanta un numero molto elevato di teatri funzionanti e di dimensioni medio-piccole, fra cui 61 teatri storici costruiti fra i primi del Settecento e il 1920, situati in comuni relativamente popolati e a poca distanza uno dall’altro.
Proprio a partire da questa realtà così complessa ed articolata e in una situazione generale del mercato teatrale italiano in cui da tempo è diventato complicato trovare spettacoli di qualità a costi sostenibili, nasce il progetto cosiddetto di “co-produzione leggera". Una semplicissima constatazione e un'idea altrettanto semplice stanno alla base di questo progetto. La constatazione è che ad ogni stagione ci si imbatte in una sorta di empasse di programmazione: esaurita rapidamente la circuitazione degli spettacoli 'maggiori' (sempre più costosi e ingombranti, quindi appannaggio dei teatri e delle città più ‘dotate’), sono sempre meno gli allestimenti davvero interessanti, di cui condividere le ragioni che li hanno fatti nascere, che con passione si vorrebbero promuovere e far arrivare al pubblico. Perché non stringere allora con gli attori e i registi che più stimiamo un rapporto che nasca prima, costruendo insieme - questo è un'altra delle peculiarità del progetto - l'allestimento fin dalla scelta del testo o dell'autore da rappresentare.
Che cosa si può offrire? Molte cose. Innanzitutto - questa l'idea semplice - la stessa fisionomia,dell’Amat, cioè il mosaico dei tanti teatri della regione. Mettere a disposizione degli artisti questa ricchezza. Un bel giro in alcuni di essi (in genere almeno sei recite).
Poi un bel teatro in cui poter svolgere con calma l'ultimo periodo di prove (10 o 15 giorni), felici di poter condividere con il calore discreto della gente e la bellezza dei luoghi la particolare concentrazione che accompagna il momento del debutto.
E poi la passione per il teatro, la voglia di lavorare per/sul pubblico, accompagnando queste permanenze con prove aperte, incontri con gli artisti, attività di approfondimento, in modo da chiarire ancora di più il senso di un progetto in cui ritrovare in maniera più lucida il senso del proprio fare. E' così che, ad esempio, Elena Bucci e Marco Sgrosso (Le Belle Bandiere) hanno allestito Le amicizie pericolose, da Les liaisons dangereuses di Choderlos De Laclos, Eugenio Allegri e Gabriele Vacis hanno riletto il Cyrano di Rostand, Iaia Forte, Tommaso Ragno e Valerio Binasco si sono confrontati con Tradimenti di Pinter, fino ad arrivare al pluripremiato Sabato, Domenica e Lunedì di Eduardo De Filippo nella lettura intelligente e fortunatissima di Toni Servillo.
Nel progetto c'è una condizione, che tutto rimanga "leggero" (tenere a mente il Calvino delle Lezioni americane è d'obbligo). Innanzitutto perché i progetti produttivi che ne derivano non devono gravare in maniera particolare - nessun oneroso impegno economico o organizzativo - né sui comuni coinvolti né sull'Amat. Ma "leggero" perché i rapporti che ne nascono - tra l’Amat stessa , gli artisti e il pubblico delle città - portano una ventata nuova in un panorama a volte asfittico.

Gilberto Santini
consulente artistico Amat


 

BP105
75.56 La produzione internazionale
Il ciclo della Tragedia Endogonidia della Socìetas Raffaello Sanzio
di Cosetta Niccolini

 

Il progetto Tragedia Endogonidia ha preso concretamente avvio nell’ottobre 2001 dopo oltre un anno di elaborazioni e riflessioni all’interno della Compagnia Raffaello Sanzio. Il nodo centrale del confronto era la necessità di superare l’automatismo produzione-tournèe e di mettere alla prova modalità e tempi diversi di creazione dell’opera.
Grazie al rovesciamento di prospettiva la Socìetas intendeva sperimentare un dispositivo in cui non fosse la Compagnia ad andare nelle città ma fossero le città a entrare nel processo creativo come mete in una corsa.
Attorno a questa idea di fondo, che si è precisata via via lungo la realizzazione del progetto, la Compagnia ha coinvolto 9 strutture europee disposte ad offrire risorse e mezzi per realizzare ciascuna un tratto di questo itinerario. Data la natura del progetto è parso naturale chiedere il finanziamento nell’ambito di Cultura 2000 progetti pluriennali, finanziamento concesso nel 2002, quando comunque il progetto era stato avviato con un Episodio iniziale completamente autofinanziato dalla Compagnia. Nella Tragedia Endogonidia la produzione dunque non è più un atto iniziale, ma dura per tutta la durata del progetto. L’intero ciclo drammatico è composto da undici singoli Episodi, legati ognuno a una città europea diversa. Il ciclo è stato concepito come un processo di invenzione privo di pause e di repliche: un sistema drammatico in crescita, e gli Episodi sono stati gli stadi del suo cambiamento. Non si è trattato di uno spettacolo concluso che si sposta, ma lo stesso spostamento è diventato via via un criterio dello spettacolo, ovvero un motivo coessenziale di cambiamento.
L’idea strutturale di fondo è quella di un’opera in progressiva evoluzione. Si tratta di un sistema aperto di rappresentazione che, come un organismo, si trasforma nel tempo e nel giro geografico che compie. Questo sistema ha costretto la Compagnia nell’arco della sua evoluzione, a un ripensamento radicale della creazione in primo luogo, ma anche della produzione, dell’allestimento, dell’organizzazione, della distribuzione, e dell’economia: in pratica dell’intero sistema interno alla Compagnia stessa.
Va sottolineato anche un aspetto ‘generativo’del progetto, che non era stato messo a fuoco nel momento della sua proposizione, che riguarda il moltiplicarsi e ramificarsi della creazione in manifestazioni laterali.
Si tratta non solo della produzione di sviluppi autonomi del pensiero ‘sulla’Tragedia come il materiale documentario, ma anche di una persistenza produttiva cresciuta attorno agli Episodi e dipendenti dagli Episodi stessi in cui determinate figure già presenti all’interno del Ciclo possono, così, trovare una sorta di sviluppo monografico. Forse è altresì giusto accennare alla fluidità del supporto che esse adottano: dalla esposizione di oggetti plastici, al concerto; dalla video-installazione, alla azione teatrale.

La Tragedia Endogonidia nell’arco di tre anni si è sviluppata in dieci città, in ognuna delle quali è stato rappresentato un Episodio il cui titolo è formato dalla sigla delle città di riferimento e da un numero progressivo. Il progetto, che impegnerà la Socìetas fino alla fine del 2004, è dunque così suddiviso:

C.#01 CESENA/Socìetas Raffaello Sanzio 25-26 gennaio 2002
A.#02 AVIGNON/Festival d'Avignon 7-15 luglio 2002
B.#03 BERLIN/Hebbel Theater 15-18 gennaio 2003
BR.#04
BRUXELLES/BRUSSEL/Kunsten Festival des Arts 4-7 maggio 2003
BN.#05
BERGEN/International Festival Norway 22-25 maggio 2003
P.#06
PARIS/Odéon Théatre de l’Europe/Festival d’Automne 18-31 ottobre 2003
R.#07
ROMA/Romaeuropafestival 21-30 novembre 2003
S.#08
STRASBOURG/Le Maillon Théatre de Strasbourg 17-20 febbraio 2004
L.#09
LONDON/ London International Festival of Theatre 13-16 maggio 2004
M.#10 MARSEILLE/Les Bernardines/Théatre du Gymnase 20-26 settembre 2004
C.#11
CESENA/Socìetas Raffaello Sanzio 16-22 dicembre 2004


 

BP106
75.67 La forza di una bottega d'arte
Non solo una compagnia teatrale
di Fanny & Alexander

 

Fanny & Alexander non è più (solo) una compagnia teatrale. Da qualche tempo ci presentiamo come bottega d'arte, e abbiamo sviluppato un'antica idea fondante del gruppo, quella di essere un'unione di artisti diversi, e non la macchina produttiva e organizzativa di una compagnia teatrale. Questo significa che non esistono dipendenti, ma persone che cercano (e sperabilmente trovano) dentro F&A la possibilità di creare una propria poetica (quella di attore, regista, organizzatore, intellettuale, musicista, imprenditore etc.).

E' un tentativo, ovviamente imperfetto e incompleto, per cercare la libertà poetica di ciascuno all'interno di una struttura potenzialmente frustrante, quella del gruppo, e farne invece il luogo in cui le idee possono crescere e svilupparsi. E' un percorso che passa attraverso dei rischi: spesso le persone, messe di fronte alla necessità di essere propositive e responsabili, vanno in crisi piuttosto che entusiasmarsi.
Privilegiare gli aspetti d'insieme, cercando di spezzare una piramide gerarchica che si forma naturalmente all'interno del lavoro, può creare inizialmente confusione, all'inizio le soluzioni strutturate con una precisa divisione dei compiti sembrano viaggiare più spedite. Soltanto la tenacia e un estenuante lavoro porta a un equilibrio che fa bene alla creatività, e a volte la confusione viene superata solo dall'abbandono di chi non trova il modo di inserirsi in un ambiente che richiede a ciascuno di essere pienamente presente a se stesso e agli altri.

In ogni caso, è solo così che siamo sopravvissuti fino ad ora ad una distribuzione e una politica teatrali italiane distruttive, talvolta per protervia, altre per incapacità. Bottega d'arte significa che le persone possono stare 10 mesi senza stipendio senza abbandonare la nave. Significa che ciascuno è pronto ad inventare personalmente qualcosa per dare vita al gruppo, mettendo in comune tutti i ricavi delle proprie opere. E significa poter produrre una quantità assai varia di cose. Abbiamo così creato spettacoli, installazioni, concerti, film, seminari e laboratori, incontri pubblici, lavori fotografici, dopotetaro gastronomici, feste danzanti, performance in discoteca, pubblicazioni cartacee e su internet, e abbiamo aperto un nuovo spazio teatrale, indebitandoci fino al 2018.

Lo facciamo in una cittadina trasformata radicalmente dal lavoro di Ravenna Teatro, che ha coltivato in pochi anni una rinascita artistica senza precedenti, rendendo normale in città il teatro d'arte, pane quotidiano per centinaia di ragazzi selvatici ogni anno, e accontentando anche chi non si è ancora stufato della cosiddetta Prosa. Ma anche con la presenza di Ravenna Festival, che apre possibilità di grande impatto, e con un'Amministrazione locale che crede fermamente nella necessità di tenere alto il profilo culturale, non da salotto bene, ma da fucina. La Romagna è ancora, in fondo, il paese delle Case del Popolo e delle Società di Mutuo Soccorso, e a Ravenna i gruppi di teatro e di danza sono molti, e vanno d'accordo.

Da anni ragioniamo sulla nascita di un consorzio artistico. Per ora lo abbiamo fatto a modo nostro fuor di legge in due direzioni: una esterna, col rapporto di stretta collaborazione che abbiamo con Ravenna Teatro, e una interna, consorziandoci tra persone del gruppo, in maniera anarchica e non gerarchica.

I risultati si vedono, i progetti si inanellano l'uno nell'altro, chi sta creando viene tutelato dagli altri, e a sua volta protegge ed integra nel momento giusto il loro lavoro. Un gioco di squadra esigente e chiassoso, in cui essere attrezzati e pronti al litigio è un atto d'amore irrinunciabile.

E' possibile lavorare in ancora maggiore apertura, e dare vita ad un consorzio vero tra compagnie di produzione di entità e natura simili? Ci contiamo, per i prossimi anni.


 

BP107
75.61 Work in progress. Master per la regia teatrale in un teatro stabile di innovazione
Teatro Litta (Milano)
di Antonio Syxty

 

L’idea di un progetto come Work in Progress è quella di attivare un master dedicato alla regia teatrale, con lo scopo principale di incentivare e sviluppare la professionalità artistica, tecnica e organizzativa di giovani registi della scena lombarda e nazionale.
L’intento è quello di mettere alla prova ogni anno uno o più giovani registi - neodiplomati presso una scuola di formazione teatrale regionale, istituzionalmente riconosciuta - collegandoli con i teatri e con il mondo della produzione teatrale nel suo complesso.
Il progetto ha una struttura triennale e intende investire su uno o più giovani registi all’anno per almeno una produzione all’ anno.
Ogni anno è prevista dapprima una ricerca nei luoghi di formazione deputati assistendo a saggi, studi, prove per individuare una o più personalità artistiche che meritino un investimento di prospettiva.
Evidenziata una rosa di possibili candidati si inizia una fase di colloqui individuali per far emergere motivazioni e aspettative dei giovani registi al fine di selezionare i candidati idonei al progetto work in progress. Work in progress - primo spettatore/un master per la regia teatrale - è infatti un investimento, ma anche l’immissione in un contesto professionale dove tempi, budget, relazione con il pubblico sono variabili che fanno parte di una crescita, per chiunque voglia misurarsi con il teatro.
Per ogni progetto che il master sosterrà, si prevede un percorso di improvvisazioni e prove di almeno un mese, e la messa in scena dello spettacolo per almeno 3 settimane nel cartellone ufficiale della stagione.
Questo è un altro punto qualificante: portare la produzione di work in progress all’incontro con il pubblico e il mercato , prevedendo tutte le azioni promozionali, dalla conferenza stampa alla pubblicità studiata ad hoc, ipotizzate per una produzione della Compagnia stabile.

Nel triennio 2000 2003 il master di regia è andato alla giovane regista Valeria Talenti - diplomata alla Civica Scuola Paolo Grassi di Milano. Il triennio svolto dalla giovane regista candidata ha prodotto un classico della drammaturgia - Leonce e Lena di Buchner-, un testo di drammaturgia derivata - I Malavoglia - e nella conclusione del 2003 , si è confrontata con una prova di regia su commissione della direzione artistica del teatro, lavorando su testi del drammaturgo contemporaneo Harold Pinter.

Il nuovo triennio di Work in progress - a partire dal 2004 - presenta una novità rispetto al precedente: la residenza del regista-candidato prescelto per il master all’interno del Teatro Litta, con una presenza di lavoro strettamente collegata alla direzione artistica e a tutto il lavoro che si viene a svolgere in un teatro.
Questo fattore è - a nostro avviso - fondamentale per stimolare la consapevolezza della propria professione, per approfondire ed espandere il rapporto fra professione della regia e produzione .
Il regista-candidato al master per il nuovo triennio è Carmelo Rifici che - al momento dello scrivente - ha già trascorso il primo anno di lavoro (2004) portando a compimento il suo primo lavoro di regia su un romanzo di Henry James Il giro di vite.

Avere una "visione" del teatro è uno dei punti fondamentali per la carriera e la professionalità di un giovane regista. E’ come dire che le foto le sanno fare molti, dotati di mezzi, tempo, e buona volontà, ma pochi diventano fotografi veri; cioè pochi riescono a condensare in quello scatto una visione del mondo. E - nel caso del teatro - è abbastanza diffuso un comportamento ‘improvvisato’ della propria professione di regista che - il più delle volte perde di consistenza relativa a una cultura della professione, divenuta oggi, fondamentale per una buona riuscita e un’efficacia della produzione teatrale nel nostro paese.
Ecco il perché di questa "bottega della regia", (una definizione forse un po’ presuntuosa), che si contrappone a quello che - per tradizione - è uso comune nella formazione di un regista: quello dell’apprendistato attraverso il lavoro di assistente alla regia, e poi di aiuto regista.
Per concludere, si sta inoltre pensando di dare continuità ad un tavolo di lavoro comune con le istituzioni che sostengono il progetto per rendere sempre più efficaci le azioni che tendono ad un rinnovamento del teatro con le politiche pubbliche per la cultura.


 

BP109
75.84 Scenario: un progetto
Progetto Scenario e "incubatore d’impresa"
di Stefano Cipiciani

 

L’Associazione Scenario è nata nel 1987, allo scopo di valorizzare nuove idee, progetti e visioni di teatro, in particolare di giovani artisti, individuando nel rapporto fra le generazioni e nella trasmissione dell’esperienza i fondamenti per la vitalità e lo sviluppo della cultura teatrale. Negli anni l’Associazione ha raccolto nuove adesioni, fino a contare attualmente 35 strutture associate, ampiamente distribuite sul territorio nazionale e appartenenti in particolare all’ambito del teatro di innovazione (storicamente rappresentato dalle aree del "teatro ragazzi" e della "ricerca").
In questo quadro si è inserita la principale attività dell’Associazione, ossia il PREMIO SCENARIO, iniziativa nazionale con scadenza biennale che ha trovato il sostegno dell’Ente Teatrale Italiano, copromotore del Premio fino alla sua settima edizione.
Il Premio, che nel 2003 giunge alla sua nona edizione, si rivolge ad artisti esordienti, gruppi di recente formazione, soggetti che abbiano intrapreso un nuovo percorso di ricerca. Articolato in varie fasi, che corrispondono ad altrettanti momenti di incontro, scambio e confronto fra organizzatori e partecipanti, il Premio seleziona progetti originali e inediti destinati alla scena.
Raccogliendo soci in ogni regione d’Italia, l’Associazione Scenario può contare su una struttura articolata su scala nazionale e dotata di organismi operativi (le Commissioni zonali) attivi sul territorio, che svolgono un attento lavoro di osservazione e monitoraggio del nuovo, attraverso momenti di incontro, sostegno e verifica dei progetti elaborati dai giovani artisti.

Nelle prime edizioni il Premio ha rappresentato soprattutto uno stimolo e un incentivo. Un’occasione, anche per giovani che forse non avrebbero altrimenti fatto teatro, per inventare un progetto e lavorarci. Ai suoi esordi, il Premio - oltre a raccogliere giovani di certo già conquistati al teatro - ha soprattutto seminato nuovi, utili contagi.
Da qualche anno a questa parte, in un diverso contesto storico, il Premio più che un incentivo rappresenta una risposta alla straordinaria necessità di teatro nuovamente emergente e alla quale è stato (ed è) sempre più difficile dare risposte istituzionali. E’ significativo considerare che molti degli artisti e delle compagnie più interessanti nel panorama della ricerca contemporanea sono passati attraverso il Premio Scenario, trovandovi un contesto di accoglienza e confronto e, in molti casi, l’opportunità che altrimenti non avrebbero avuto.
Alcuni nomi: Scena Verticale, Carlo Bruni (Area piccola), Gigi Gherzi, Roberto Corona, Miriam Bardini, Lelia Serra, Teatro dei Sassi, Mariano Dammacco (Iapigia Teatro), Davide Iodice (Liberamente), Nuova Complesso Camerata, Anna Redi, Alma Rosè, Erbamill, Teatro delle Ariette, Domenico Castaldo, Patrizio Dall’Argine, Davide Enia, e – soprattutto – Compagnia Sud Costa Occidentale di Palermo, vincitrice dell’ultima edizione del Premio, con lo spettacolo Mpalermu che è stato salutato come una delle espressioni più significative della scena contemporanea giovanile (e non solo).

Per quantificare qualche dato: nel corso delle passate 8 EDIZIONI DEL PREMIO, l’Associazione Scenario ha vagliato oltre 1.000 PROGETTI, dei quali più di 300 sono stati presentati pubblicamente durante le varie tappe; circa 80 sono stati i progetti finalisti, presentati di fronte a un qualificato pubblico di critici, studiosi, operatori, artisti.

Se poi si considera che ogni progetto raccoglieva mediamente 3 o 4 artisti, va aggiunto che dai 3 ai 4.000 giovani hanno dialogato e si sono confrontati in questi anni coi soci di Scenario, ossia con persone di teatro delle generazioni precedenti, e che quanti di loro sono stati selezionati per le tappe (attorno a un migliaio) e per le finali (dai 2 ai 300) sono stati visti da Osservatori critici e Giurie formati dai più significativi artisti, critici e studiosi sul territorio nazionale, coi quali hanno avuto in tutti i casi colloqui e scambi, e alcune volte hanno costruito relazioni destinate anche a durare nel tempo. (Hanno fatto parte dell’Osservatorio critico e della Giuria di Scenario, fra gli altri: Marco Baliani, Riccardo Caporossi, Giancarlo Cobelli, Laura Curino, Pippo Delbono, Raffaella Giordano, Sandro Lombardi, e, fra i critici e studiosi, Antonio Attisani, Antonio Calbi, Stefania Chinzari, Sergio Colomba, Piergiorgio Giacchè, Gerardo Guccini, Renato Palazzi, Andrea Porcheddu, Paolo Ruffini, Cristina Ventrucci, Nicola Viesti).
Scenario lavora nel territorio che precede la formalizzazione della ricerca: accoglie progetti che non sono ancora diventati teatro, ma che appartengono a necessità e linguaggi in via di esplorazione. Vocazione prima di Scenario è perciò quella di documentare e comprendere – oltre che selezionare e premiare – le diverse modalità di avvicinamento al teatro da parte delle giovani generazioni. A questo scopo l’Associazione ha inteso sviluppare il rapporto fra le Commissioni zonali e i partecipanti, attraverso momenti di incontro, sostegno e verifica, non limitati alla fase di selezione, ma protratti lungo tutto il percorso di elaborazione dei progetti.
Le Commissioni zonali, che riuniscono le strutture socie di Scenario, e sono perciò distribuite su tutto il territorio nazionale sono attualmente otto: due in Puglia-Lazio-Campania; tre in Liguria-Lombardia; una in Emilia Romagna; una in Toscana; una in Piemonte-Umbria-Abruzzo-Sardegna.

Alle Commissioni zonali spetta il compito di raccogliere le domande di partecipazione (costituite da una scheda di presentazione del gruppo o dell’artista; una scheda illustrativa del progetto; una scheda introduttiva specificante le ragioni di partecipazione al Premio) e quindi di gestire la fase "Istruttoria", lavorando in tre momenti: valutazione delle proposte pervenute; convocazione e colloquio con tutti i candidati; eventuale incontro (a discrezione delle Commissioni) con i candidati per una breve visione (anche di pochi minuti) del processo di lavoro.
Nei mesi successivi al Premio le Commissioni zonali hanno l'impegno di accompagnare i 4 progetti vincitori fino alla realizzazione dello spettacolo compiuto.
Al di là degli esiti del Premio, le Commissioni zonali continuano a porsi come referenti dei giovani artisti presenti nel territorio, seguendo gli eventuali percorsi e sviluppi dei progetti che non necessariamente hanno superato le varie fasi di selezione.

Altro organismo del Premio è l’Osservatorio critico, formato da quattro membri esterni all’Associazione (critici e studiosi di teatro), dal vincitore della precedente edizione del Premio e da una decina di rappresentanti di Scenario. L’osservatorio critico ha il compito di selezionare i progetti partecipanti alle tappe di selezione. I lavori dell’Osservatorio critico prevedono momenti di scambio collegiale e di incontro con gli artisti concorrenti. Ultimo organismo ad entrare in campo è la Giuria, che valuta i progetti finalisti (sempre nel tempo massimo di 20 minuti) e incontra i partecipanti allo scopo di approfondire i contenuti artistici dei progetti.
La Giuria assegna 1 premio al miglior progetto, e 3 segnalazioni speciali. Per quanto riguarda la nona edizione (appena bandita), si prevede di attribuire un premio di 8.000 euro al miglior progetto come incentivo alla produzione dello spettacolo compiuto, mentre sono ancora da definire le entità delle tre segnalazioni speciali.
Il progetto premiato e i 3 segnalati costituiscono la Generazione Scenario.
L’articolazione del progetto biennale prevede che alla Generazione Scenario siano dedicate iniziative specifiche in diverse zone d’Italia a partire dal debutto dei progetti in forma di spettacoli compiuti.


 

BP110
75.68 Sulla prima edizione del Premio Tuttoteatro.com alle arti sceniche "Dante Cappelletti"
Un concorso aperto a teatro e nuvoe tecnologie
di Mariateresa Surianello

 

Nel suo quinto anno di pubblicazioni la rivista Tuttoteatro.com accoglie i rischi di un altro metodo d’indagine nei territori dello spettacolo dal vivo, proponendosi direttamente nel sostegno e nella promozione di nuove opere. Attraverso l’impegno dell’omonima associazione, che lo istituisce e lo organizza, nasce il Premio Tuttoteatro.com alle arti sceniche "Dante Cappelletti", che ha avuto il suo momento conclusivo al Teatro Valle di Roma il 2 e il 3 ottobre, con l’allestimento in forma di studio scenico degli 8 progetti di spettacolo finalisti.
Alla sua prima edizione il Premio ha incontrato l’urgenza creativa di 138 realtà teatrali anagraficamente eterogenee e sparse su tutto il territorio nazionale - e in molti casi il bando di concorso ha rappresentato la spinta propulsiva alla creazione artistica. Una risposta più che positiva sul piano quantitativo, ma davvero sorprendente per il livello qualitativo. Se lo scopo dell’iniziativa era quello di indagare l’universo teatrale più inquieto, quello che racconta il nostro presente attraverso temi e linguaggi attuali, quel teatro che agita e rende viva la scena contemporanea (è scritto nel bando), i dati emersi definiscono un panorama ricchissimo di forme, contenuti e linguaggi che non può e non deve essere disperso. Anzi, va protetto e sostenuto. Dopo aver creato un’occasione di visibilità importante per gli 8 finalisti selezionati dalla Giuria (composta da Roberto Canziani, Gianfranco Capitta, Massimo Marino, Renato Nicolini, Laura Novelli, Aggeo Savioli, Mariateresa Surianello e presieduta dal Sindaco di Roma Walter Veltroni) tra i 138 pervenuti, si ritiene necessario proseguire l’azione per intercettare interlocutori che possano fornire risorse e spazi.
In particolare, Tuttoteatro.com intende avviare - e talvolta proseguire - il dialogo con le Istituzioni preposte alla promozione dello spettacolo dal vivo, in primo luogo l’Eti e gli Stabili pubblici e privati ma anche di Innovazione, coinvolgendo l’Agis e alcuni spazi autogestiti, per sollecitare l’attenzione verso la produzione e la circuitazione di nuove opere, a partire dagli 8 studi scenici finalisti (la Giuria ha assegnato 6.000,00 euro di contributo alla produzione, ma a uno solo degli 8) e cercando di ragionare anche sugli altri 130 progetti, seguendone il processo di sviluppo fino all’esito compiuto. Un dialogo che si vorrebbe aprire anche all’Università, invitando gruppi di studenti e docenti attenti, e al territorio, attraverso la presenza di compagnie e artisti attivi nelle diverse aree geografiche, intanto italiane.
Un primo momento di incontro si terrà a Roma, nella nuova Casa dei Teatri, nel mese di novembre (la data è in corso di definizione). La riflessione e la discussione sarà alimentata dai critici di Tuttoteatro.com, alcuni dei quali compongono la Giuria del Premio sopracitata, con la partecipazione di artisti e operatori sensibili a queste tematiche che si vogliono sollevare di fronte ai referenti istituzionali. Oltre agli 8 finalisti, all’incontro sono invitati tutti gli artisti candidati al Premio e, naturalmente, tutti coloro che vorranno entrare nel progetto offrendo il proprio contributo di idee e azioni. Quel giorno è in programma anche la proiezione dei video degli 8 studi scenici finalisti del Premio, realizzati lo scorso 2 e 3 ottobre al Teatro Valle.


 

BP112
75.63 Un suggerimento per piccole formazione ma anche per compagnie normali
Basta un atto
di Nicola Savarese

 

Caro Oliviero
più che un'idea si tratta di un suggerimento drammaturgico, soprattutto per piccole formazioni ma anche per compagnie normali più o meno stabili. In altre tradizioni teatrali (particolarmente in Oriente, nel Kabuki, nell'Opera di Pechino ma anche nelle danze indiane) da molti secoli non si mette più in scena un'opera classica per intero ma si sceglie un atto o a volte anche solo alcune scene: il pubblico conosce la storia (che eventualmente può essere ricordata nel programma) e prova piacere e divertimento dal lavoro dell'attore. Del resto, questo avviene anche da noi, in Occidente, quando il melodramma o il balletto fanno scelte analoghe in particolari occasioni. E' vero, siamo in tradizioni cosiddette codificate dunque la partitura dell'attore/danzatore o del cantante è quasi scritta nell'opera. Ma sarebbe bello che, anche da noi, attori e registi sperimentassero di più l'arte dell'attore piuttosto che, come accade oggi quasi sempre, l'arte di un noioso regista. I testi classici antichi e moderni, da Eschilo a Beckett, per intenderci, permettono queste frammentazioni-recital che potrebbero durare un'ora, al massimo un'ora, un'ora e mezzo e quindi costare di meno ed essere più agili in tutto (ricerca di spazi, di pubblico, di denaro).
Insomma si torni a lavorare di più sull'attore teatrale che del teatro è la condizione certa, piuttosto che sulle idee registiche. Ho l'impressione che gli attori teatrali stiano lentamente scomparendo soffocati dallo spettacolo.
A presto
Nicola


 

BP112
70.5 Lettera aperta a Luca Ronconi
A proposito degli spettacoli per le Olimpiadi di Torino 2006
di Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino

 

Caro Luca, il suggerimento che segue potrà sembrare ingenuo o forse provocatorio: invece è una proposta su cui abbiamo meditato e che non ci sembra del tutto balzana. Dei progetti per Torino/Olimpiadi 2006 si è scritto molto, anche se non sappiamo gran che degli spettacoli che realizzerai in quell’occasione. Perché finora si è parlato soprattutto di soldi: i cinque, sette o otto miliardi di euro (a seconda delle fonti) destinati un progetto articolato, che ti vede artefice unico, e che, se abbiamo capito bene, prevede l'allestimento di cinque diversi spettacoli in altrettante sedi: cinque luoghi «simbolici» di una città che è diventata anche simbolo della fine o della trasformazione dell'era industriale. In linea con alcune delle tue ricerche più recenti, questi spettacoli-evento tratteranno temi di carattere scientifico, filosofico, economico, intrecciando il linguaggio del teatro con altri «generi», linguaggi, discipline. E’ una direzione di ricerca che abbiamo apprezzato e continuiamo ad apprezzare, e che ci pare trovare eco in altre esperienza della scena contemporanea.
Il programma è interessante anche per l'impostazione organizzativa: ogni produzione – se abbiamo capito bene – si appoggia a un teatro/ente coproduttore, che ospiterà la fase preparatoria dei diversi progetti nel corso del 2005, per poi presentarli, nella versione finale, dopo il debutto torinese. Precisiamo subito che non siamo «pauperisti»: non entriamo dunque nel merito del costo del progetto, che evidentemente corrisponde alle necessità del lavoro. Oltretutto sappiamo bene che, come per Infinities, nel budget vanno previsti i costi di approntamento degli spazi, nessuno dei quali è già teatrale (e questo è un ulteriore elemento di interesse). E restiamo ammirati dalla tua ben nota – ma sempre straordinaria e sorprendente, o se preferisci felice – capacità produttiva (anche perché, oltre ai cinque spettacoli torinesi, nei prossimi anni ne allestirai anche altri, da Milano a Roma...).
Ciò nonostante ci permettiamo farti la nostra modesta proposta.
Se invece di cinque spettacoli a Torino tu ne facessi solo quattro? Se i mezzi destinati al quinto progetto li mettessi a disposizione di altri?
Non altri qualsiasi, ovviamente, ma persone e progetti scelti da te, sulla stessa linea di pensiero e di lavoro, che ti accompagnino in questa nuova avventura. Ci sono in Italia diversi artisti giovani (e magari meno giovani) cui non mancano le idee, le capacità, la buona volontà: ma a loro mancano mezzi (soldi). E' probabilmente vero che il genio emerge comunque, in ricchezza e in povertà, ma con quale fatica! I pochi mezzi a disposizione il teatro italiano tende insieme a disperderli in mille rivoli e a concentrarli su pochi (che se lo meritino o meno). Il sistema del teatro pubblico non offre opportunità serie di ricambio generazionale e di ricerca – se non molto di rado. I festival hanno budget risicatissimi, oppure rincorrono eventi. E se dal circuito internazionale ci arriva la notizia che il nostro teatro non è poi così male, l'accesso è circoscritto a specifici linguaggi, internazionali appunto (ci riferiamo anche alla tua conversazione con Quadri su «Repubblica» del 25 marzo): gruppi e spettacoli che se spesso rappresentano punte di eccellenza, non di rado si modellano sulle regole dell'import-export. E se queste sono le tendenze di sempre, aggiungi che la deriva politica culturale del nostro paese ha chiuso e sta chiudendo ulteriori spazi. I tempi per mettere a fuoco e valutare i progetti ci sarebbero (e i progetti interessanti, ne siamo certi, non mancherebbero). Supponiamo – da spettatori informati – che diversi artisti stiano attualmente lavorando su percorsi affini, e che dunque la coerenza generale dell’iniziativa sarebbe salvaguardata. E siamo convinti che il tuo impegno nella scelta degli artisti e dei lavori costituirebbe una garanzia per i partner (Enti locali, comitato olimpico, teatro stabile), incuriosirebbe stampa e pubblico, sarebbe apprezzata a livello sia locale sia internazionale.
Una apertura di questo genere, oltretutto, ben corrisponde alla tua autentica vocazione pedagogica, a una costante attenzione ai giovani e alla formazione che si è concretizzata in diverse occasioni: in scuole, corsi di teatro, masterclass, e soprattutto nelle compagnie che hai formato.
Non si tratterebbe solo un bel gesto, ma anche di arricchire un progetto già articolato con alcune ipotesi di lavoro diverse. La quota di risorse da dirottare in questa direzione, anche nell'ipotesi minima (se il teatro stabile non caricasse troppo le spese generali, s'intende), sarebbe comunque eccezionale rispetto agli standard produttivi «indipendenti».
Siamo certamente ingenui, parliamo a titolo personale, non avendo alle spalle né istituzioni né pulpiti autorevoli. Probabilmente – per mille ragioni pratiche che non stentiamo a immaginare – la nostra proposta sarà difficilmente praticabile. E tuttavia ci sembra che un impegno come quello profuso per «teatralizzare» le prossime Olimpiadi meriti almeno una riflessione.
Buon lavoro e a presto

Mimma Gallina
Oliviero Ponte di Pino


 

BP201
75.65 Un circuito innovativo
Tracce di teatro d'autore
di Federico Toni

 

Autore del progetto, direzione artistica e coordinamento: Federico Toni
Ente promotore capofila: Comune di Pieve di Cento - Assessorato alla Cultura
Altri Comuni promotori:
Argelato, Bentivoglio, Castello d'Argile, Castel Maggiore, San Pietro in Casale
Altri enti promotori:
Provincia di Bologna - Invito in Provincia, Fondazione Cassa di Risparmio di Cento

* Tracce di Teatro d'Autore è un ampio e articolato progetto culturale per il territorio realizzato coordinando gli sforzi e ottimizzando le risorse di sei Comuni della Provincia di Bologna.



* Il progetto Tracce è nato dalla volontà di presentare esperienze artistiche teatrali appartenenti al settore della cosiddetta ricerca o sperimentazione costruendo contemporaneamente le premesse e le condizioni per una crescita ed un approfondimento qualitativo del rapporto col pubblico.



* Gli spettatori sono parte determinante nell'ideazione e nella realizzazione del programma e gli sforzi di promuovere e ospitare realtà artistiche in grado coniugare qualità, sperimentazione e comunicabilità hanno prodotto il costante aumento di un pubblico motivato, fedele, partecipe, critico.



* Oggi Tracce, al termine dell'ottava edizione, è una realtà nota a livello nazionale per l'alta qualità delle proposte, per l'originalità e la continuità del progetto.
Il grande apprezzamento, testimoniato oltre che dal pubblico del territorio, dagli addetti ai lavori (artisti, critici, studiosi, direttori artistici e tecnici), si basa in primo luogo sul fatto che Tracce di Teatro d'Autore è un progetto costruito su processi culturali e non sul semplice acquisto di prodotti di spettacolo.


 

BP202
75.72 Un progetto di decentramento e di circuito
Teatri Possibili
di Corrado D'Elia

 

CHI SIAMO
Teatri Possibili
è un grande comunità artistica, un movimento aggregativo che ha come scopo la produzione, la diffusione e la circuitazione del teatro, attraverso l'educazione al teatro, la produzione di spettacoli e la formazione di nuovi artisti e di un nuovo pubblico.

Ideatore e fondatore è l’attore e regista Corrado d'Elia .

Nata come Associazione Culturale a Milano nel 1996, si trasforma prima in società di produzione e gestione di eventi e manifestazioni teatrali e dal 2002 in un Circuito Teatrale Indipendente, con le sedi di Legnano, Lugano, Milano, Monza, Trento, Roma, Verona, Firenze e Ancona.
Ogni sede ricalca il modello milanese con proprie specificità territoriali.
Tra le realtà teatrali più attive presenti sul territorio nazionale, la compagnia circuita con gli spettacoli in tutta Italia e all'estero.

Teatri Possibili è riconosciuta dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.

È anche una Comunità virtuale perché il sito www.teatripossibili.it (tra i siti di teatro più visitati in Italia) raccoglie e diffonde le informazioni delle varie sedi, ospita un forum di discussione comune, e offre anche a chi non appartiene alla comunità un servizio gratuito e aggiornato sui casting di teatro, cinema e pubblicità.

Gli obiettivi del circuito
· Incentivare la produzione, la distribuzione e la circuitazione di spettacoli sul territorio nazionale e sovranazionale.
· Promuovere l'aggregazione culturale nelle singole comunità del circuito che si coordinano per gli scopi e i servizi comuni.
· La riqualificazione culturale e la valorizzazione del territorio locale nel rispetto della sua autonomia.
· L' unione, il rafforzamento e il coordinamento di realtà locali, punti di riferimento riconosciuti per le attività culturali e di spettacolo dei territori prescelti, in piena sintonia con le strategie culturali delle Amministrazioni Locali.
· L'aiuto e la mutua assistenza di tutte le realtà tra di loro, coordinando gli sforzi e ottimizzando le risorse.
· La circuitazione degli spettacoli e non dell pubblico, invertendo la tendenza di chi abita in provincia di andare a teatro nei grossi centri
· favorire la nascita, lo scambio e la diffusione di nuove idee, iniziative e conoscenze tra tutte le realtà del circuito
· La formazione di un nuovo pubblico
· La scoperta di nuovi talenti

Il lavoro sui territori

La creazione delle Comunità TP

Su tutti i territori il circuito ha favorito, promosso e incentivato la creazione, lo sviluppo delle comunità TP attraverso:

· l'apertura di nuovi uffici sui territori, punti di riferimento per le informazioni
· l'informatizzazione degli uffici, collegati a internet attraverso linee veloci
· le riunioni con le principali realtà culturali e gli artisti locali, scegliendo poi gli interlocutori che sembravano più adatti
· la formazione di nuovi collaboratori e organizzatori attraverso corsi di organizzazione e tirocinii
· il dibattito e la relazione con gli interlocutori politici, amministrativi e culturali locali
· l'appoggio dei comuni (patrocini, sovvenzioni o appoggi logistici)
· la promozione di corsi di formazione al teatro, con l'intento di stimolare l'associazionismo, la voglia di fare teatro, la creazione di un nuovo pubblico attento e competente, ma anche offrire un approfondito percorso formativo per i futuri professionisti dello spettacolo.
· l'organizzazione di seminari, incontri ed eventi sui territori
· l'ideazione e la creazione di un software avanzato di gestione comune della comunicazione e del sito
· l'implementato delle pagine web locali, dopo test di usabilità con società leader nel settore
· la gestione di sale, stagioni o rassegne teatrali

LE STAGIONI DEI TEATRI E LA PRODUZIONE DI SPETTACOLI
La produzione teatrale è il motore fondamentale del progetto.
Ogni realtà territoriale ha forma e natura giuridica a sé stanti.
La filosofia del Circuito Teatri Possibili è di interagire con le diverse realtà nel pieno rispetto delle loro specificità.

Per questo motivo cerchiamo interlocutori già attivi sul territorio che condividano il progetto in modo da promuovere e fare produzione, in sinergia con altre realtà teatrali solide e già esistenti.

Fanno parte del Circuito Teatri Possibili:

· Teatro Libero di Milnao
· Teatro Belli di Roma
· Studio Foce di Lugano
· Teatro Villoresi di Monza
· Teatro Alcione di Verona
· Teatro Cuminetti di Trento
· Teatro Cestello di Firenze
Grazie alla creazione di carte, tessere e abbonamenti, si offre la possibilità agli spettatori di assistere agli spettacoli di tutto il Circuito ad un prezzo scontato ed accessibile, per garantire a tutti coloro che sono appassionati di teatro un posto in platea anche nelle altre città.

INVESTIMENTI

Le spese sostenute fino a questo momento sono state molto onerose e quasi totalmente auto finanziate dal nostro lavoro e dallo sbigliettamento.

Tra le principali voci di spesa del Circuito:

· Affitto e ristrutturazione sedi:
· Spese di gestione delle suddette:
· Acquisto materiale tecnico (telefoni, PC, cellulari…):
· Assunzione personale dipendente:
· Utilizzo personale in collaborazione:
· Spese di produzione:
· Spese di viaggio:
· Acquisto materiale audio e video:
· Acquisto pubblicazioni, riviste e giornali:
· Spese per la promozione:
· Spese per il restyling del sito:
· Spese per la progettazione e l’implementazione del nuovo sistema di publishing:
· Spese per il passaggio alle fibre ottiche:
· Spese per la formazione del personale:

Le convenzioni
Una delle basi fondanti del progetto è la volontà di diffondere e far girare la cultura teatrale, attraverso più canali. Grazie alle convenzioni con cinema, teatri e librerie, gli utenti del circuito godono di sconti e privilegi in tutti i principali teatri, in alcuni cinema e in molte librerie.
Il nostro intento è quello di estendere e condividere le suddette convenzioni a tutto il territorio nazionale, per creare un circuito culturale che abbia punti di riferimento in più zone d'Italia. Un circuito culturale che favorisca lo scambio e la partecipazione.

IL CIRCUITO... VIRTUALE
La commistione tra innovazioni artistiche e tecnologiche e l’intenso utilizzo di Internet e delle tecnologie di e-commerce per la promozione degli eventi, sono sicuramente tra i fattori critici di successo che hanno contribuito alla formazione di un nuovo pubblico e alla fidelizzazione degli spettatori facendo di Teatri Possibili un caso unico nel panorama italiano, e un modello di sviluppo nel settore.


L’UTILIZZO DEL WEB
Teatri Possibili è una comunità reale (fatta di artisti, di organizzatori, di frequentatori appassionati e di allievi) e contemporaneamente virtuale: il sito www.teatripossibili.it è il sito di teatro più visitato in Italia.

Attualmente gli utenti che ricevono le nostre newsletter sono 55.000

IL NUOVO SISTEMA DI PUBLISHING

La comunicazione tra tutte le comunità che compongono il Circuito Teatri Possibili è di primaria importanza: per questo abbiamo creato un sistema che consenta scambi veloci e completi di informazioni di ogni tipo.

Attraverso la condivisione di documenti on line, la possibilità di dialogare tutti, contemporaneamente, in tempo reale (utilizzando strumenti tecnologici moderni come la video-conferenza) e la consultazione di registrazioni audio e video inerenti agli spettacoli e alla scuola, le comunità sono sempre aggiornate sugli sviluppi, le modifiche e le iniziative del Circuito.

Con questo strumento le comunità possono interagire tra loro e ognuna di esse fornisce il prorio specifico e prezioso apporto alla vita del Circuito.
Il tutto avviene con un nuovo sistema di Publishing studiato ad hoc per la nostra realtà. Con l’aiuto di programmatori e personale esterno abbiamo pensato e creato un sistema che permette l'aggiornamento delle informazioni presenti sul sito e sulla intranet. L'intranet è una rete è che consente la condivisione di documenti e la creazione di un archivio . Ciò permette di migliorare la gestione e il flusso delle informazioni sia verso l'interno che verso l'esterno.

Con l’acquisto di uno strumento di statistiche e reportistica abbiamo la possibilità di verificare i risultati dell'investimento.

Attraverso l’utilizzo di un hosting professionale con backup e firewall abbiamo la possibilità di salvaguardare i nostri dati e creare uno storico, proteggere i documenti da intrusioni, incrementare le performances e personalizzare i servizi.

Grazie all’implementazione e personalizzazione di uno strumento editoriale dedicato alla newsletter ed alla gestione delle comunicazioni di massa come i comunicati stampa, la promozione di iniziative e la comunicazione interna, abbiamo la possibilità di aggiornare quotidianamente gli utenti sulle iniziative e le novità riguardanti il settore teatrale.

La creazione di nuovi servizi ed il miglioramento di quelli già esistenti immergono coloro che si rivolgono a noi tramite il sito in un mondo che miscela cultura teatrale e multimedialità: prenotazione, acquisto di biglietti, iscrizioni a corsi e seminari on-line, consultazione di un archivio multimediale, webcam per video-conferenze e prove degli spettacoli in tempo reale, forum di discussione e scambio di idee, e-commerce, consulenze, possibilità di interagire direttamente segnalando le iniziative culturali del proprio territorio, sono tra gli aspetti più innovativi che caratterizzano il nostro sito, dove gli utenti saranno supportati da nuovi strumenti di navigazione studiati per guidarli nell’orientamento e nella ricerca delle informazioni.

Il tutto avviene su un portale completamente rinnovato da un restyling grafico completo che concorre all’incremento di un approccio comunicativo diretto e semplice.


 

BP203
75.79 Uscite di emergenza
L'esperienza dell'Anart
di Raimondo Arcolai, Pierluca Donin e Rocco Laboragine

 

Stiamo lavorando, o meglio, stiamo cercando di (ri)costruire un nuovo medio mercato nel sistema teatrale italiano. Non è una istanza nuovissima. Da tempo gli esperimenti e le esperienze di alcuni operatori-organizzatori lugimiranti portano alla luce la voglia e la volontà di rinnovare sostanzialmente il rapporto da sempre conflittuale tra produttori e distributori.
Le motivazioni di questo impegno sono molteplici ed in larga parte condivise non solo tra coloro che si occupano di distribuzione. Nascono soprattutto dalla volontà di svolgere una funzione essenziale in modo diverso (molto diverso) e più adeguato ai tempi.
In estrema sintesi due (tra i tanti) sono i problemi da affrontare:
- la maggior parte dei nostri teatri sono situati in Comuni di medie o piccola dimensione. Pur funzionando regolarmente i teatri subiscono gravemente il contraccolpo di una sempre più limitata disponibilità economica. La loro reazione immediata è quella di contrarre fortemente l’attività progettuale e di programmazione.
- dall’altra parte assistiamo ad una lievitazione esponenziale dei costi di produzione che attestano il costo degli spettacoli di medio mercato comunemente inteso tra i 7.000 e i 9.000 euro. Non entro nel merito di una crescita dei cachet che alcuni giustificano ampiamente e altri giudicano totalmente arbitraria. La sostanza è che un teatro (comunale o privato che sia) da 300 posti con una capacità di incasso facilmente calcolabile non può reggere un peso economico così alto.
In questo quadro è evidente che tra le possibilità economiche dei teatri (aggravata in questo caso da una limitata capacità di incasso al botteghino) e le richieste della produzione in aggiunta ai costi di gestione crea una forbice sempre più ampia che nessuno potrà colmare (Stato, Enti Locali, ecc.).
Occorre quindi creare nuovi presupposti e cercare nuove strade affinché esigenze in apparenza difficilmente conciliabili (ri)trovino forti motivazioni comuni.
E’ possibile a mio avviso trovare un punto di equilibrio tra la esigenza di un buon prodotto teatrale che privilegi la qualità e i costi. Magari favorendo - come linea di lavoro - l’attenzione alla drammaturgia contemporanea, ai nuovi talenti, alle nuove generazioni di attori, registi.
Costi compatibili che permettano non solo di non arretrare ma di rilanciare la progettualità forte ben al di la della semplice programmazione dei cartelloni.
La buona pratica è quella di riprendere un dialogo interrotto per troppo tempo che possa sviluppare e coordinare progetti di produzione condivisi sia artisticamente che economicamente.
Per questo l’Associazione dei circuiti si farà promotore già da gennaio di incontri informali in vista della prossima stagione per ragionare su come strutturare operativamente una serie di collaborazioni aperte al mondo della produzione nella piena autonomia di ognuno.
Le articolazioni di questa collaborazione andranno studiate insieme con l’ambizione di contribuire alla realizzazione di un mercato sostenibile bypassando i condizionamenti (di ogni tipo) e le diffidenze che hanno caratterizzato molta parte del nostro lavoro.

Raimondo Arcolai Direttore Amat


 

BP204
75.91 Una ipotesi di stabilità leggera per le periferie
Teatri di Napoli
di Luigi Marsano

 

Teatri di Napoli è un progetto artistico teatrale permanente cui il Comune di Napoli ha dato impulso nel 2001 individuando luoghi e spazi metropolitani dove poter far nascere vere residenze teatrali, dove artisti e compagnie, con diversa storia e identità, avessero la possibilità di trovare una casa in cui crescere e far vivere la propria ricerca teatrale, aprendosi al territorio e aprendo il territorio a nuove sensibilità.
L’ipotesi - già contenuta nelle linee di programma dell’Amministrazione Comunale di Napoli - prevedeva un forte intervento sulle aree periferiche della città per sottrarle al degrado e riequilibrare il rapporto centro/periferia.
Questa indicazione politica ha permesso all’Assessore alla Cultura del Comune di Napoli Rachele Furfaro di avviare una ricognizione sugli spazi allocati in quattro aree periferiche e di individuare uno spazio nel centro della città che potesse fungere da elemento di raccordo e di centralità di tutto il progetto.
Un regolare bando, rivolto esclusivamente alle compagnie napoletane del teatro contemporaneo e per le nuove generazioni riconosciute dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (ex art. 17 comma b), ha destinato gli spazi accorpando gruppi diversi tra loro per funzioni e specificità.
Ne è venuta fuori la seguente mappa:

· S. Pietro a Patierno, Masseria Luce / gestione: Rossotiziano e Le Nuvole
· S. Giovanni a Teduccio, Granile delle Arti (già Supercinema) / gestione: Libera Mente e I Teatrini
· Ponticelli, Museo Laboratorio Città dei Bambini / gestione: Crasc, La Riggiola e Scena Mobile
·
Piscinola, Auditorium lotto 14B – via Dietro la Vigna / gestione: Libera Scena Ensemble

Inevasa purtroppo la possibilità di reperire uno spazio centrale (Cinema Italia). Ancora oggi la questione è osteggiata dalla Circoscrizione sul cui territorio insiste l’immobile, privando di fatto il progetto di un segmento fondante.
Nei – purtroppo - tempi lunghi delle necessarie ristrutturazioni degli immobili destinati alle compagnie, e della quindi successiva stipula delle convenzioni di affidamento degli stessi, Teatri di Napoli diventa una realtà in divenire che trova diverse forme di presenza e azione nei territori:

· è una stagione regolarmente programmata da 3 anni al Teatro Area Nord di Piscinola (nella sola sala piccola);
· è una palestra di teatro, la Scialoia, e un appuntamento per i più piccoli nella Biblioteca Labriola di S. Giovanni a Teduccio, in attesa del Supercinema;
· è una Masseria del ‘700, in attesa di definitivo ripristino, estemporaneamente abitata da installazioni, laboratori, set cinematografici a S. Pietro a Patierno;
· è un esperimento teatrale di confine, su un territorio di confine, nel Teatro Museo Laboratorio di Ponticelli.

La rete delle stabilità leggere
Teatri di Napoli si è configurato sin dall’inizio come modello partecipato pubblico/privato con una sua originale strutturazione:

· spazi pubblici condivisi da più compagnie associate che mantengono ognuna la propria autonomia progettuale;
· localizzazione periferica delle strutture individuate;
· collegamento al Teatro Stabile Pubblico (Mercadante);
· direzione artistica coordinata su alcuni segmenti di programmazione.

Non si tratta del consueto decentramento ma di una ipotesi ambiziosa di riequilibrio tra il centro e la periferia di un’area metropolitana con la creazione di poli culturali di eccellenza capaci di modificare i rapporti di appartenenza dei cittadini nei confronti del territorio che abitano.
E quello che si tenta di creare in questi luoghi è una presenza costante nei territori, un abitare gli spazi dando vita di fatto a quel distretto culturale che porta necessariamente le compagnie ad agire in sintonia con tutte le altre componenti culturali e sociali presenti sul proprio territorio, dall’associazionismo alla scuola, e ad esserne dal territorio riconosciute ed accettate.
Potrà nascere così una rete di spazi teatrali periferici che, una volta a regime, si configurerà come un vero e proprio circuito “altro”, non alternativo ai circuiti ufficiali, ma semplicemente diverso, perché agito spesso in spazi non canonici, con modalità di rapporto col territorio che non siano solo belle parole da “manifesto programmatico”.
Una rete che manterrà rapporti saldissimi con il centro, lo Stabile pubblico, e le istituzioni, dei teatri in cui sarà bello venire perché vissuti e abitati quotidianamente.
Nello scorso mese di luglio questa rete è stata testata col festival Teatri di Napoli, un appuntamento estivo voluto dal Comune di Napoli e dalle compagnie associate, 4 giorni intensi di spettacoli di teatro contemporaneo e di teatro per le nuove generazioni.
L’idea semplicissima è stata quella di presentare le ultime produzioni teatrali delle 8 compagnie napoletane insieme ad altre 8 novità di gruppi scelti nel panorama nazionale che, per poetiche e pratiche artistiche, fossero al progetto vicini.
Il tutto presentato alla città ma anche e soprattutto a circa 50 operatori/organizzatori che Teatri di Napoli ha ospitato e “scarrozzato” per Napoli in un tour de force teatrale nelle periferie, alla ricerca del teatro inventato nelle palestre, nei cortili, nelle masserie e nelle nostre sedi provvisorie.
In questa prospettiva di lavoro le nostre compagnie si candidano a diventare quelle che ormai chiamiamo compagnie a stabilità leggera, compagnie cioè che si muovono in spazi e con modalità tutte ancora da sistemare e da ridefinire, assoggettate a un sistema di regole concordate esclusivamente con gli enti locali e con le regioni che sono i punti di riferimento più prossimi a questa esperienza.
I punti di criticità:
·
ritardo nella consegna delle strutture
· mancanza di uno Studio di fattibilità a priori
· ritardo nella stipula delle convenzioni
· mancanza di certezza economica nella fase di avvio del progetto
· mancanza di chiarezza, in alcuni casi con le Circoscrizioni.

Lo stato delle cose
Questo che si sta per chiudere è un anno decisivo per la definizione futura del progetto “Teatri di Napoli”. La bozza di convenzione è arrivata alla sua definizione e quindi si potrà procedere alle assegnazioni definitive secondo criteri che riguarderanno le singole strutture.
Presso l’ex Supercinema di San Giovanni oggi “Granile delle arti” si stanno per terminare i lavori di recupero e se i tempi verranno rispettati si potrà cominciare a programmare a partire dal 2005.
Il Teatro Area Nord dovrebbe poter aprire il cantiere per il ripristino della sala grande entro l’estate 2005 avendo avuto approvato un finanziamento per circa 750.000,00 euro dalla Regione Campania e che si dovrebbero rendere disponibili ora che il bilancio regionale è stato approvato.
Il Teatro della città dei bambini è in fase di recupero essendo il cantiere già aperto, ma essendo inserito in un piano di recupero di un’area molto vasta e articolata per la quale si prevedono lavori complessi potrebbe non farcela per il 2005.
Masseria Luce ha ottenuto un finanziamento per il suo recupero, ma vive una contraddizione non risolta con la Circoscrizione, che aveva previsto l’utilizzo della struttura per finalità diverse. (Museo contadino e utilizzo da parte di associazioni territoriali a carattere amatoriale).
Il cinema Italia che doveva nelle intenzioni essere il punto centrale di incontro delle esperienze sviluppate in periferia rimane inutilizzabile, sebbene sia l’unico spazio già agibile, per contrasti con la Circoscrizione che vorrebbe destinarlo a museo della canzone napoletana.


 

BP205
74.53 Semi di cooperazione
La rete di tre teatri milanesi
di Adriano Gallina per Teatro Blu, Teatro della Cooperativa, Teatro Verdi

 

La stagione di Teatro Blu, Teatro Verdi e Teatro della Cooperativa si caratterizza quest’anno per la decisa apertura ad una nuova dimensione progettuale, tramite l’organizzazione comune di due veri e propri Festival, accomunati dal titolo "Dentro la festa. A teatro al di là del rito".
L’iniziativa è concentrata su due precisi periodi dell’anno (la giornata internazionale della donna e la festa dei lavoratori). Da qui il titolo del progetto: da un lato, l’opportunità "promozionale" di veicolare l’attenzione ormai piuttosto rituale che le due scadenze comunque ogni anno ridestano; dall’altro, e più significativamente, la possibilità di oltrepassare attraverso le arti della scena proprio questa dimensione di ritualità forzata, riproponendo un’approfondita riflessione sul senso straordinariamente attuale e sulle ragioni fondanti di queste celebrazioni.
L’intero programma, così, si snoda attraverso l’organizzazione di due veri e propri festival, ciascuno sviluppato nell’arco di due settimane con spettacoli ospitati contemporaneamente nei tre teatri. Per entrambi i festival è prevista una promozione specifica e – fermo restando che le ospitalità sono inserite organicamente nell’ambito di ciascun cartellone – forme di abbonamento trasversale ad hoc che consentano al pubblico di assistere ad ogni allestimento. Proprio per questo è possibile parlare correttamente di "festival" e non di "rassegna": si tratta di manifestazioni coerenti sul piano tematico e delle scelte artistiche, che possiedono il carattere di concentrazione temporale, presentando una quantità notevolmente elevata di spettacoli garantendone nel contempo un’accettabile tenitura.

Una breve sintesi numerica dei due progetti evidenzia l’ospitalità di 12 spettacoli per complessive 96 recite, con una media di 8 recite a spettacolo.

Le ragioni del progetto
Il progetto muove da alcune motivazioni (e ha in sé delle implicazioni) che oltrepassano – e con ciò a nostro avviso valorizzano – il dato strettamente artistico e gli elementi contingenti o accidentali dell’iniziativa:

(a) La promozione dell’innovazione teatrale
Una funzione essenziale nel panorama nazionale, che peraltro nel corso degli ultimi anni evidenzia una progressiva contrazione – in particolare nell’area milanese – limitando drasticamente le reali possibilità di nuove emergenze artistiche e, con ciò, le reali prospettive di formazione dei pubblici e di evoluzione del gusto.
(b) La cooperazione tra strutture teatrali
Un segnale che riteniamo essenziale, volto ad oltrepassare in parte – procedendo per affinità progettuali – le numerose ragioni di frammentazione e frattura che caratterizzano il panorama milanese, il suo definirsi spesso per steccati anziché per obiettivi comuni. Il progetto – che è fondato sulla discussione e successiva condivisione delle scelte, quindi anche su una relazione sanamente dialettica – da un lato amplia considerevolmente i confini di un mercato possibile per il nuovo teatro, dall’altro sperimenta il grado di mobilità dei nostri pubblici (che non è affatto sovrapponibile, almeno non meccanicamente, alla formula di "invito a teatro", priva per definizione di un’omogeneità di area). Lungo la linea di questo convegno, ci piace poter pensare a quest’iniziativa come ad un seme sul terreno dei possibili cambiamenti "virtuosi" del nostro sistema.
(c) La dimensione di festival
Un dato progettuale che, a nostro parere, agisce come moltiplicatore funzionale dell’intera iniziativa. Nella possibilità di introdurre elementi di unità tematica, di contiguità e continuità temporale, di promozione congiunta e reciproca, di forme di abbonamento trasversali. Una dimensione che porta con sé, tra l’altro, la possibilità di interrompere brevemente la strutturazione esclusivamente lineare delle programmazioni cittadine per introdurre caratteristiche di sincronicità nei cartelloni, con una conseguente (almeno lo speriamo, visti i tempi bui delle redazioni spettacolo) amplificazione della risonanza.

Ecco, ci pare che – a prescindere come dicevamo dai dati specifici del progetto – sia interessante evidenziare come, in questa "buona pratica", siano impliciti:

1. La comunicazione tra operatori in fase di programmazione.
2. La capacità di (e la disponibilità a) negoziare parzialmente le scelte artistiche.
3. Il riconoscimento delle affinità come elemento (sembra naturale ma nella prassi non lo è affatto) di coesione anziché di divisione concorrenziale.

E (riprendendo due spunti del mio intervento di Napoli) se questa prassi – che è essenzialmente comunicativa ma che possiede nel contempo straordinarie valenze organizzative ed economiche di scala – divenisse patrimonio operativo comune, normalità (un po’ come in Francia)? Lo divenisse non solo all’interno delle città ma anche tra i teatri di uno stesso territorio? O fra le stabilità di innovazione? Se imparassimo a parlarci prima anziché – post festum – dirci: "Ah, lo ospito anch’io", o – più spesso – "Ah è bello? L’avessi saputo!"?
Cosa accadrebbe? Non saremmo un po’ più vicini al miraggio del "farsi sistema"? Ad un possibile circuito alternativo? Alla dignità di una – almeno relativa – autonomia possibile?

 

BP206
75.57 Dalla formazione ai mestieri del teatro: una rete di pratiche per la costruzione di nuovi territori del teatro
Dal Teatro Metastasio di Prato
di Massimo Luconi

 

Il Teatro Metastasio, negli ultimi anni, si è impegnato in una intensa e organica attività di formazione e orientamento nel settore artistico e tecnico, sia per i giovani professionisti che per i gruppi teatrali non del tutto definiti, aprendo il teatro a progetti di approfondimento del mestiere teatrale. Allo stesso modo ha sviluppato una serie di interventi mirati a sostenere con differenti forme produttive, progetti e spettacoli che nascono e si evidenziano in particolare nel territorio toscano. Il territorio toscano è un punto di riferimento, non per una forma di sciovisnismo o di protezionismo regionale,ma per rivalutare e sottolineare un ruolo di teatro regionale che considerata la giovane età di formazione come Stabile, necessita di articolazione progettuale con le altre istituzioni toscane e richiede modalita complesse e tempi necessariamente lunghi.
La domanda che ci siamo posti più volte era come rapportarsi a tutto quel mondo magmatico,informale e densissimo, soprattutto in Toscana, di esperienze di teatro giovane ,vitali ma non del tutto emerse o formate, spesso borderline con il teatro semiprofessionistico o amatoriale. Abbiamo deciso che l’unica strada possibile anche se la più faticosa era quella di vedere,incontrare,recensire e parlare con tutti.
Abbiamo quindi istituito un osservatorio periodico con l’obbiettivo di selezionare e sostenere nel corso del triennio 2002-2005 alcuni progetti produttivi giovani,di attivare alcune linee di formazione e di costruire una rete con altre istituzioni e realtà teatrali, per valorizzare e circuitare le esperienze comuni.
Nel settembre 2002, un gruppo composto anche da critici e autori come Massimo Marino, Armando Punzo, Andrea Nanni ha incontrato e selezionato, in una settimana di lavoro, oltre settanta gruppi formali e informali del territorio toscano.
Nell’autunno 2003 al Fabbricone la rassegna "I territori del teatro" vede la collaborazione fra Teatro Metastasio e Stabile dell’ Umbria, con l’unione di due diverse rassegne regionali (Il debutto d’Amleto e La Borsa dell’Attore) in un unico progetto.
Questa filosofia di collaborazione interregionale è proseguita a livello progettuale fra i Teatri Stabili delle Regioni del Centro Italia ed in particolare l’ERT Emilia Romagna Teatro, il TSU Teatro Stabile dell’Umbria, il Teatro Metastasio di Prato e Inteatro Stabile di Innovazione delle Marche, che hanno eleborato una proposta denominata "Centro Scena" di sostegno e valorizzazione dei giovani artisti e delle compagnie emergenti e più in generale nei confronti dell’innovazione artistica.
Uno dei punti nodali del progetto, ancora allo stato di elaborazione, prevede l’individuazione da parte dei quattro teatri degli artisti o compagnie di particolare interesse nei confronti delle quali i teatri possano ipotizzare progetti di coproduzione e garantire una visibilità.
Concretamente le direzioni dovrebbero esaminare le realtà considerate più significative presenti in ambito regionale segnalate da ogni teatro e organizzare un percorso che, nel giro di un biennio o triennio, possa dare dei segnali concreti.

Campus per giovani attori,scrittori e registi. Festival di Montalcino 2004
Nella consapevolezza che uno degli aspetti focali del lavoro teatrale è il rapporto fra scrittura teatrale e messinscena, il Teatro Metastasio e il Festival di Montalcino con la collaborazione di Outis hanno organizzato un campus / laboratorio fra giovani autori, registi e autori finalizzato alla progettazione elaborazione progettuale di percorsi dalla drammaturgia alla messinscena.
L'obbiettivo è di costruire uno spazio ideale (forse utopico, ma estremamente utile per il futuro del teatro) che sviluppi una progettazione che nasce da una proposta drammaturgica ma che attraverso la regia e il lavoro con gli attori sfocia nella messinscena.

Collaborazione con Volterra Teatro
In linea con le produzioni Metastasio off e per rafforzarne l’investimento è stato definito un accordo di programma fra Metastasio e Festival di Volterra che ha consentito a alcuni spettacoli giovani prodotti con il contributo del Metastasio un’ulteriore valorizzazione all’interno del Festival di Volterra.

Frequenze di teatro giovane in Toscana
Dalla stagione 2003-2004 con la rassegna frequenze di teatro in Toscana si è aperto anche lo spazio del fabbrichino (una spazio agile e informale di circa 100 posti) a fianco del fabbricone dedicato principalmente a esperienze di teatro giovane o a studi di preparazione alla messinscena. Per alcuni di questi progetti c’è un intervento produttivo del Metastasio , per altri si tratta di una ospitalità che permette di valorizzare alcune esperienze che non troverebbero spazio nella programmazione del Metastasio e del Fabbricone.

Contemporanea festival
Promosso da Regione Toscana, Provincia e Comune di Prato, con scadenza biennale il festival si orienta in particolare al rapporto fra teatro di innovazione, arti visive, spazio scenico, multimedialità e nuove tecnologie.

ATTIVITA DI FORMAZIONE, LABORATORI
Con l’investimento rivolto ai giovani, e in particolare ai gruppi teatrali toscani, l’attività di formazione - si è articolata in una serie di progetti di perfezionamento e orientamento rivolti tanto alle professioni artistiche che tecniche e organizzative

ex machina
Corso di orientamento professionale, finanziato dalla Commissione Europea tramite la Regione Toscana, aperto a giovani fra i 18 e 25 anni, finalizzato ad orientare e avviare alle professioni dello spettacolo.
Il percorso di circa 400 ore strutturato su attività teoriche e pratiche è stato coordinato da Maria Cassi e Leonardo Brizzi e ha visto la partecipazione come docenti di qualificati professionisti sia del settore tecnico e organizzativo.
Da questo corso sono usciti alcuni giovani che attualmente sono assunti all’interno dello staff tecnico e organizzativo del teatro.

L’officina di Rem e Cap
Nell'arco del triennio i due maestri formeranno alla propria scuola un gruppo di giovani attori, in gran parte selezionati all'interno dei gruppi locali pratesi e regionali.

Dalla commedia dell’arte alla maschera moderna
Progetto internazionale di formazione (con sbocchi produttivi) coordinato da Marcello Bartoli, e per cui si stanno definendo rapporti di collaborazione a livello europeo. Il laboratorio è rivolto a giovani attori provenienti da diversi paesi europei (già professionisti: ha quindi carattere di master).

Progetto Massimo Gorky
condotto da Giancarlo Cobelli
Un laboratorio internazionale a carattere di master (rivolto a un selezionato gruppo di giovani), il laboratorio vedrà alcune fasi nettamente distinte la prima propedeutica al lavoro sul testo e alla formazione del gruppo di giovani attori nell’aprile 2005 al teatro Fabbricone.
La seconda fase produttiva sempre al Fabbricone nel febbraio 2006.

Luca Ronconi
In collaborazione con il Teatro stabile di Torino
A trent’anni di distanza dal "laboratorio", Luca Ronconi si riappropria dello spazio del Fabbricone, con un percorso di elaborazione drammaturgica e di preparazione al progetto spettacolare per le olimpiadi di Torino e con una prima fase di laboratorio master per giovani professionisti e per studenti universitari a Prato nel giugno 2005

Collaborazione con Theater an der Ruhr, Germania
Considerate alcune interessanti affinità culturali e socio economiche fra la regione della Ruhr, Prato e la Toscana, l'idea di fondo è di stabilire una serie di relazioni che attraverso il teatro e le varie azioni della progettazione teatrale, possano portare - nell'arco di un biennio - a una riflessione complessiva su alcuni temi di comune interesse, come ad esempio il rapporto con il mondo del lavoro, il teatro e il territorio, i giovani etc.

Collaborazione con il Teatro Baltijskij Dom di San Pietroburgo
attraverso un percorso di scambio e di formazione didattica, si è stabilito un proficuo rapporto con uno dei maggiori teatro russi per elaborare insieme progetti strutturati su preparazione e messa in scena con gruppi misti e fasi di lavoro che si svolgono nei due reciproci paesi.

Il mestiere del teatro
In collaborazione con i gruppi teatrali del territorio pratese
Il teatro metastasio ritiene importante svolgere un ruolo di formazione e di attrazione culturale anche per i tutti gli appassionati e per i gruppi teatrali non definiti propriamente professionisti, aprendo il teatro a progetti di attenzione e approfondimento del mestiere teatrale.
In questo percorso si sono impostati numerosi incontri con i protagonisti della stagione oltre a brevi stages condotti da registi attori e scrittori, che hanno contribuito a sviluppare un forte legame fra i molti gruppi teatrali del terittorio pratese che gravitano intorno al teatro e l’attività produttiva dello Stabile.


E’ anche importante sottolineare quanto sarebbe importante coinvolgere in un discorso complessivo dello sviluppo teatrale le amministrazioni locali, necessarie protagoniste per una diversa politica dello spettacolo che dovrebbe investire sul rischio culturale e sui talenti delle nuove generazioni in una filosofia organica e concertata con il teatro pubblico.
Una riflessione appropriata andrebbe inoltre condotta rispetto alla funzione di servizio pubblico che non può opporsi alla assoluta necessità di difendere l’identità artistica e progettuale dei Teatri Stabili
Riflettere sul concetto di servizio pubblico svincolandosi da quegli schematismi che dividono il teatro in settori divisi fra loro, significa poterlo rifondare per rispondere alle necessità di investimento reale sul teatro italiano su un piano non solo locale ma soprattutto europeo.


 

BP207
75.60 Decalogo degli obblighi e delle responsabilità di un centro culturale comunale
Centro Santa Chiara di Trento
di Franco Oss Noser

 

Da diverso tempo il Centro Santa Chiara di Trento si era posto il problema di rendere pubblico, ma soprattutto trasparente, il proprio bilancio annuale (economico e di attività) nella consapevolezza del proprio ruolo provinciale e di gestore unico degli spazi pubblici per lo spettacolo in città.
La "Carta delle missioni di servizio pubblico per lo spettacolo dal vivo" approvata dallo Stato francese il 22 ottobre 1998 prima e il convegno organizzato nell’ottobre del 1999 a Firenze dalla Banca Mondiale con il Governo italiano e l’Unesco poi hanno dettato i presupposti operativi per redigere la Carta dei doveri e delle responsabilità del Centro.
Inoltre, annualmente, viene redatto e pubblicato il "Rapporto sulle attività" che riporta in sintesi il Conto consuntivo annuale, il dettaglio dell’andamento delle presenze alle Stagioni di Spettacolo organizzate e delle azioni di Formazione del pubblico, il dettaglio dei servizi erogati a soggetti terzi e la coerenza dei vari progetti con gli enunciati della "Carta".
Il Rapporto viene presentato alla stampa, inviato agli amministratori dei Comuni e della Provincia Autonoma di Trento e, in sintesi, pubblicato sul mensile del Centro che viene stampato in 5000 copie ed inviato agli abbonati e alle Istituzioni culturali del Trentino.
Ottobre 2004


 

BP208
75.55 Progetto Danzaria: un'idea di promozione dei giovani coreografi
Teatro Giuditta Pasta (Saronno)
di Anna Chiara Altieri

 

I PRESUPPOSTI DELL’INIZIATIVA:
UN NUOVO MODELLO DI CONCORSO COREOGRAFICO
L’obiettivo artistico
era quello di individuare all’interno delle scuole e tra i giovani gruppi di danza linguaggi coreografici e forme espressive di particolare originalità, che dessero la dimensione della molteplicità di forme e linguaggi che la danza offre e della ricchezza creativa del settore.

Da qui l’idea del titolo: il gioco delle forme
Infinite sono le possibilità di ricreare la bellezza delle forme (non solo forme geometriche, ma anche le infinite forme del comunicare e quindi del danzare…) sperimentando il gioco dei movimenti e dei gesti e le possibilità offerte dalla varietà di oggetti e materiali.


Volevamo quindi prima di tutto dare vita ad un momento di incontro-confronto tra giovani coreografi, danzatori, insegnanti, allievi, appassionati del genere, ponendo come sempre l’accento sul segno coreografico e sulle esperienze più innovative. Riteniamo infatti che il confronto tra le diverse esperienze, culture e forme della danza possa offrire una opportunità grande di crescita artistica e personale, alla luce di un’idea di danza fortemente orientata al nuovo, al frutto del lavoro di tutti i giovani coreografi e danzatori che, senza rinnegare le radici della tradizione, abbiano osato spingersi verso territori coreografici inesplorati.

Il modello organizzativo
Non volevamo semplicemente aggiungerci alle numerose esperienze di concorsi già presenti nelle più disparate località italiane ed internazionali. Abbiamo quindi deciso di ribaltare l’originaria idea di concorso con vincitore finale sostituendo all’idea di concorso quella di selezione.
E’ nata quindi l’idea di organizzare un calendario di selezioni dislocate a livello nazionale che consentissero ai gruppi di partecipare senza affrontare costi di trasferta particolarmente onerosi.
I gruppi selezionati sarebbero poi stati invitati a partecipare ad un Galà conclusivo programmato in chiusura della stagione di danza del Teatro Giuditta Pasta.
L’obiettivo successivo è stato poi quello di riproporre il Galà per intero o in forma di estratto ridotto in atre città.
Ben oltre la semplice necessità di operare una selezione per arrivare alla composizione del Galà conclusivo, questo viaggio attraverso l’Italia è stato infatti prima di tutto l’occasione per aprire un osservatorio importantissimo sul panorama di quella danza che si muove lontana dai principali circuiti teatrali ma non per questo è povera di spunti artistici interessanti.
La novità della formula proposta ci ha consentito di ottenere la collaborazione di partner prestigiosi che ci hanno ospitato gratuitamente per le selezioni nella loro città:

AID - Associazione Italiana Danzatori - ROMA
ARTEVEN Circuito Teatrale Regionale e Comune di VENEZIA
SCUOLA DEL BALLETTO DI TOSCANA - FIRENZE
BALLETTO TEATRO DI TORINO

I NUMERI DELL’EDIZIONE 2004
LE SELEZIONI
Sono state effettuate selezioni a:
Roma - Firenze - Mestre - Torino - Saronno
Gruppi partecipanti: 39
Coreografie partecipanti: 45

IL GALA’ CONCLUSIVO
Il Galà conclusivo
è stato presentato a Saronno lo scorso 8 maggio con un programma di 14 gruppi/coreografi e coreografie (comprendenti 4 solisti) per un totale di ben 44 danzatori.
I gruppi provengono da tutta Italia, in particolare dalle province di Milano, Como, Varese, Sondrio, Mantova, Reggio Emilia, Torino, Alessandria, Belluno, Padova, L’aquila e Palermo.
Grande anche la varietà delle forme di danza offerta. Pur avendo come comun denominatore la danza contemporanea, le coreografie proposte hanno mostrato contaminazioni stilistiche interessanti con il classico, la break dance e l’hip hop, fino ad un inatteso tip tap.
Il galà ha incontrato, inaspettatamente per essere una prima edizione-pilota, un notevole successo di pubblico, che ha affollato la sala (500 posti) esprimendo apprezzamento per le coreografie proposte.
Un estratto del Galà composto da una selezione di 6 gruppi verrà riproposto il prossimo 16 novembre a Roma – Teatro Don Bosco nell’ambito della manifestazione Off Broadway organizzata da Mediascena in collaborazione con il Comune di Roma.

Qualche dato economico
Coerentemente con la natura promozionale della manifestazione, i gruppi partecipanti al Galà conclusivo sono stati regolarmente messi in agibilità dall’ente organizzatore ed è stato offerto loro vitto e alloggio oltre ad un rimborso completo per le spese di viaggio sostenute.
La serata del Galà ha previsto un piccolo prezzo di ingresso che ha consentito, unitamente agli incassi derivati dalle quote di partecipazione (mantenute volutamente molto basse), di coprire al 90% il costo complessivo dell’operazione già nel primo anno.

QUALCHE ANTICIPAZIONE SULLA NUOVA EDIZIONE 2005
Abbiamo ritenuto strategico, al fine di ampliare la partecipazione al maggior numero possibile di gruppi, di estendere la rete dei partner e delle selezioni.

CALENDARIO DELLE SELEZIONI

TORINO – sabato 5 marzo 2005
Balletto Teatro di Torino
via Principessa Clotilde 3

PADOVA - domenica 20 marzo 2005
Teatro delle Maddalene
via San Giovanni da Verdara 4

REGGIO EMILIA– mercoledì 23 marzo 2005
Fondazione Nazionale della Danza - ATERBALLETTO
Via Costituzione 39

CATANIA– domenica 3 aprile 2005
Scenario Pubblico
via Teatro Massimo 16

ROMA- sabato 9 aprile 2005
Teatro Greco – Dance Studio
via Leoncavallo 10-16

GRASSINA (FI) - domenica 10 aprile 2005
Centro Studi Danza
di M.G.Nicosia C/o Teatro SMS Piazza Umberto I° 14

NAPOLI– lunedì 11 aprile 2005
Auditorium del Teatro Bellini
via Conte di Ruvo 14

SARONNO (VA) - martedì 19 aprile 2005
Teatro Giuditta Pasta
via I maggio snc

Termine di presentazione domande: venerdì 25 febbraio 2005


 

BP209
75.71 Cantieri Goldonetta. I teatri della danza
Un nuovo spazio di progetto a Firenze
di Virgilio Sieni

 

Si è aperto a Firenze in Oltrarno, nel quartiere di Santo Spirito un nuovo spazio – CANGO, Cantieri Goldonetta Firenze – che esprime tipologicamente un attraversamento di pratiche e visioni.
Il Saloncino da Ballo Goldoni, al tempo dell’inaugurazione, nel 1818, faceva parte del complesso di strutture per lo spettacolo voluto dall’impresario teatrale Gargani.
Oggi CANGO Cantieri Goldonetta è uno spazio aperto verso i linguaggi contemporanei e il loro incrociarsi secondo pratiche diverse, la danza in primis.
CANGO è un luogo unico e inedito: non è un teatro né un centro di arte contemporanea.
CANGO guarda alla durata dilatata delle presenze artistiche. Un tempo flessibile, un laboratorio articolato di presenze, l’incrociarsi di pratiche sui linguaggi contemporanei attraverso laboratori, spettacoli, residenze, work in progress, installazioni, atelier, visioni e esercizi, progetti e presenze internazionali. Uno spazio che nasce pensando al vuoto, lasciando tutto vuoto, solo il piano d’appoggio preparato dove il pubblico non conosce dove stare. Una nuova logica rispetto alla frequentazione canonica che qui si presenta come un continuum di pratiche da condividere secondo una flessibilità e fragilità spaziale rivolta al mutamento.
CANGO è uno spazio fatto di spazi. Tre sale di vari formati (22x9, 13x9, 8x8 con parquet preparato e predisposto per la danza)), più due ballatoi agibili (6x9), spazi della produzione, liberi e flessibili alle necessità installative, performative e di formazione.
CANGO assimila le necessità rivolte ai linguaggi innovativi del corpo e della danza proiettandoli in un contesto senza confini.
CANGO è centro dedito ai linguaggi del corpo, crocevia per artisti provenienti da discipline diverse, la danza innanzitutto, ma anche il teatro, l’arte visiva, la musica.
CANGO vuole creare un forte legame con i percorsi artistici contemporanei e identificarsi come luogo di produzione, formazione, visione e incontro.

INTERVENTO DI RESTAURO DEL COMUNE a fronte di un progetto di utilizzo
L’Amministrazione Comunale, su proposta dell’Assessore alla Cultura del Comune di Firenze con delibera n.990/770 del 30.10.2001 ha espresso il suo orientamento di destinare il Saloncino Goldoni a: "CENTRO PER LA DANZA DI RILIEVO NAZIONALE E INTERNAZIONALE, APERTO AL CONFRONTO CON ALTRE ESPERIENZE ARTISTICHE CONTEMPORANEE".
Virgilio Sieni con un disciplinare datato 24/07/2002 ha avuto l’incarico da parte del Comune di Firenze di elaborare un progetto "CANTIERI GOLDONETTA FIRENZE TEATRI DELLA DANZA" finalizzato a creare nel Saloncino Goldoni un centro artistico e progettuale per lo sviluppo dei linguaggi artistici della danza contemporanea e il suo intrecciarsi alle arti visive, alla musica e al teatro.
Virgilio Sieni ha seguito i lavori di recupero del Saloncino attraverso uno studio analitico sullo spazio in diretto raccordo con il progetto artistico e con l’individuazione e segnalazione delle esigenze tecniche e funzionali alle attività programmate ivi compreso gli allestimenti della struttura.
Con delibera N.990/770 DEL 2.12.2003 è stato affidato a Virgilio Sieni l’incarico di direzione artistica degli eventi che si svolgono al Saloncino Goldoni a partire dal mese di dicembre 2003 fino a tutto il 2004.
Nel 2004 è’ stata stipulata una convenzione tra il Comune di Firenze e la Compagnia Virgilio Sieni Danza per la gestione dello spazio Cantieri Goldonetta della durata di un anno. La Compagnia Virgilio Sieni Danza, per il programma di iniziative per l’anno 2004 e per la realizzazione di tale programma, ha richiesto al Comune di Firenze la concessione in uso gratuito dello spazio nonché un contributo di euro 50.000,00.
Le successive variazioni al programma andranno concordate con L’Assessorato alla Cultura Comune di Firenze.
Nella Convenzione sono distinti gli oneri:
- sono a carico del Comune di Firenze:
- Pagamento delle utenze per il consumo di energia elettrica, acqua e gas
-sono a carico della Compagnia Virgilio Sieni Danza:
- pagamento per il consumo telefonico
- ordinaria manutenzione , sorveglianza, pulizia dei locali
- personale tecnico, organizzativo e artistico
- copertura assicurativa per la Responsabilità Civile verso terzi
- tassa sui rifiuti
La compagnia potrà ricercare per proprio conto forme di sponsorizzazione da parte dei privati quale contributo alla copertura dei costi complessivi del progetto.
L’Amministrazione Comunale si riserva la facoltà di realizzare all’interno dello spazio proprie iniziative gestite direttamente dall’Amministrazione stessa, in giorni concordati con l’assegnatario.

Nessun contributo aggiuntivo sarà dovuto alla Compagnia, che si impegna comunque ad assicurare il servizio di portineria e pulizia.
Le eventuali richieste di utilizzo dello spazio da parte di soggetti diversi dall’Amministrazione, per la realizzazione di iniziative non comprese nel programma presentato dalla Compagnia, saranno esaminate dall’Assessorato alla Cultura del Comune e dal Direttore Artistico Virgilio Sieni.

IDEA NUOVA DI GESTIONE DI UNO SPAZIO DEDICATO ALLA DANZA
Il progetto CANGO - Cantieri Goldonetta – I teatri della danza prevede un uso dello spazio con funzioni differenti:
FORMAZIONE
In stretto contatto coi linguaggi delle altre arti contemporanee, in particolare le arti visive e la musica sono previsti percorsi di studio e di approfondimento sulla danza e i linguaggi del corpo rivolti sia a giovanissimi che ad allievi e professionisti con una formazione già consolidata. Il lavoro degli artisti invitati sarà materiale di studio sui linguaggi della danza, della composizione coreografica, delle arti performative e di tutti gli ambiti artistici e filosofici legati al corpo.
PRODUZIONE - RESIDENZE - OSPITALITÀ
CANGO prevede residenze e ospitalità di artisti, produzione di opere, spettacoli e installazioni nei propri spazi e in altri luoghi dell’Oltrarno (mappatura dei luoghi dell’Oltrarno, Laboratori artigiani). Per periodi di diversa durata compagnie, coreografi e artisti avranno l’opportunità di sviluppare negli spazi i propri percorsi e di interagire con altre discipline, dando vita a una pratica di confronto.
CANGO propone gli artisti e i gruppi con i loro progetti riflettendo sul senso della residenza e dell’incontro favorendo un forum continuo con il pubblico e i frequentatori.
CANGO è la sede di residenza della Compagnia Virgilio Sieni Danza
EVENTI
Saranno presentati spettacoli, performance, esercizi, work in progress, prove e installazioni di artisti contemporanei, chiamati a realizzare anche interventi inediti, segnati dall’intersecarsi di diversi linguaggi e posti anche in stretto contatto con i luoghi dell’Oltrarno.
I materiali utilizzati per lo studio e la progettazione delle opere saranno custoditi in un archivio permanente aperto alla consultazione.
INFANZIA
Verrà dedicato ampio spazio all’infanzia, attraverso visioni ricercate e percorsi didattici articolati in modo da permettere ai giovanissimi di avere esperienza diretta delle potenzialità espressive del corpo. Gli artisti coinvolgeranno i bambini nel processo creativo ponendoli in relazione con i linguaggi contemporanei attraverso laboratori, visioni e installazioni.

CANGO NON È UN CONTENITORE
Alla base della nascita di un luogo come CANGO si trova una precisa volontà di svolgere la molteplicità dei linguaggi dell’arte contemporanea in un confronto continuo. Il senso della contemporaneità risiede in questo: nel rimuovere i rapporti gerarchici tra le discipline e nello sfruttare le differenze come focus per l’invenzione e la creatività.
Si è prospettato un articolato incrociarsi di pratiche artistiche partendo dal corpo, il senso della danza, il corpo disciplinato e aperto ad un’immersione con le altre arti. Quindi non si pensa ad un accumulo e una stratificazione contaminante di stili e tecniche quanto un riconoscimento olistico tra gli ambiti.
Già si vorrebbe annullare la parola "ambito" e "specifico" non per essere generici ma per identificare un percorso artistico nell’insieme di un’energia.
C’è volontà di incrociare le pratiche per dar vita a percorsi inediti.
L’articolazione degli spazi vuole favorire la concomitanza di esperienze da tenere isolate e allo stesso tempo comunicanti.

CANGO E IL QUARTIERE
I Cantieri Goldonetta hanno, tra l’altro, come scopo quello di tracciare una mappa composita e articolata dell’Oltrarno cioè il territorio ampio che accoglie CANGO.
Il forte senso di appartenenza che ancora emerge da questi quartieri della città dovrà indicare i percorsi di orientamento che uniranno tra loro i laboratori artigiani agli spazi pubblici, le ex chiese ai circoli, le piazze alle palestre creando una mappa impermanente di luoghi da curare uno ad uno per un coinvolgimento organico alla vita culturale e sociale.
CANGO vuole rappresentare uno slargo aperto in maniera continua.
- OLTRARNO ATELIER I frequentatori di CANGO, i cittadini escono dagli spazi dei Cantieri per riscoprire, rivedere e ripensare il tessuto urbano in cui vivono e operano. I laboratori artigiani ospiteranno artisti, danzatori, musicisti e altro. I laboratori presenti in Oltrarno si aprono per un incontro tra il mestiere dell’artigiano e le pratiche dell’artista. Un festival di riferimento a cadenza annuale che è soprattutto un crocevia tra artigiani e artisti, una condivisione di pratiche e la scoperta di luoghi unici per la loro energia e il loro formato: un intreccio di sguardi ai quali si aggiunge quello fondamentale del pubblico: una mappatura tra contemporaneità e tradizione.
- WALK Itinerari da compiere a piedi nei luoghi dell’Oltrarno seguendo la mappatura delineata secondo gli eventi programmati. Nuovi tracciati, recuperando il senso del frequentare, dello spostarsi, ridefinendo col movimento l’urbanistica, portando il corpo altrove, riconquistando il senso di presenza. CANGO e gli abitanti dell’Oltrarno impegnati a tracciare insieme una mappatura di luoghi da riscoprire e riutilizzare, ipotizzando nuove destinazioni d’uso. Luoghi riconosciuti e sconosciuti: spazi d’arte (chiese e palazzi), ma anche di lavoro (botteghe artigiane), di attraversamento (strade e piazze) o di frequentazione quotidiana (giardini, circoli, palestre). Lo scopo è quello di coinvolgere organicamente e animare i luoghi di Santo Spirito, San Frediano, Porta Romana e San Niccolò individuati grazie alla nuova mappatura.


 

BP210
74.55 Una casa comune per l'arte
L'Arboreto di Mondaino
di Fabio Biondi, Residenze

 

1998: nasce il progetto l’arboreto
2004: nasce il teatro dimora

Sette anni sono trascorsi da quando abbiamo deciso di creare il progetto dell’arboreto. All’inizio, quando l’abbiamo pensato, assomigliava di più a un desiderio: credere nella possibilità di realizzare (non in assoluto, non solo per noi) qualcosa di nuovo, una diversa forma d’espressione per intrecciare lavoro, libertà e divertimento. A partire da un’ipotesi di senso, un pensiero condiviso prima con gli amici e poi con le istituzioni: il paese di Mondaino e il parco dell’arboreto - abbandonato e sottratto alla sua idea originaria di arboreto sperimentale della flora mediterranea - potevano diventare un ambiente in cui riflettere e agire sui processi della conoscenza, della creatività, delle relazioni professionali e delle passioni umane.
Un paesaggio, naturale e artificiale allo stesso tempo, necessario per creare le condizioni per proteggere un sogno: una residenza dove perdersi nella lentezza e nella bellezza della ricerca. Non solo un’opportunità per trasmettere e raccogliere il sapere e produrre opere, bensì uno spazio aperto per disperdere qualcosa nell’attesa di incontrare altro, di nuovo e non conosciuto. Quasi un territorio franco, per sperimentare di continuo le incognite della vita e dell’arte, indagando le ansie e i piaceri che ci accompagnano nell’elaborazione di un pensiero e di un’identità. Nel tempo l’arboreto è cresciuto, e oggi può proporsi ancora di più come un alleato che offre le sue strutture (il teatro dimora, le due case foresteria) per permettere ad altri di difendere la libertà dei propri sogni.
Noi non sappiamo dire bene che cos’è un sogno, ma possiamo provare a sognare con altri.
Si cresce sognando, si sogna per crescere, ma ciascuno di noi cresce solo se sognato. Diamo il meglio di noi se siamo nei sogni di qualcuno.

Dal 1998 l’arboreto di Mondaino è una realtà progettuale nuova, nata in provincia (qui bisognerebbe intendersi che cosa vuol dire ‘di provincia’ ma il discorso sarebbe molto complesso) che propone PerCorsi fra arte comunicazione natura.
Dal 2001 l’arboreto di Mondaino è stato riconosciuto dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Provincia di Rimini anche come Centro di educazione ambientale sul rapporto arte gioco natura.
Unitamente ai laboratori di teatro, danza, musica, cinema, scrittura e comunicazione, l’arboreto di Mondaino realizza delle residenze creative per gli artisti che hanno la necessità, o il desiderio, di vivere, di lavorare e di produrre nelle nostre strutture.
Quali sono (in sintesi) gli spazi dell’arboreto
Un parco di nove ettari con circa seimila piante.
Due case foresteria che possono ospitare ventidue persone.
La Sala del Durantino, all’interno della Rocca Malatestiana, per laboratori, prove, dimostrazioni di lavoro.
Un nuovo teatro, il teatro dimora costruito in mezzo al parco e aperto il 29 maggio 2004.

Che cosa è stato (in sintesi) l’arboreto dal 1998 al 2004
Prima del teatro dimora, l’arboreto è stato soprattutto un luogo d’incontro per la ‘trasmissione del sapere’.
Non solo un’opportunità di formazione, bensì una possibilità di sosta per fermarsi a riflettere sul proprio lavoro: per maestri e allievi.
Il nostro principale obiettivo è stato principalmente quello di indagare sui processi di lavoro prima che questi arrivassero a produrre dei risultati, delle opere.
Mi piacerebbe dire che l’arboreto è - più di ogni altra cosa - ‘un’officina’, un ‘laboratorio a cielo aperto’, ma siamo arrivati in ritardo...

Che cosa sarà l’arboreto dal 2005 in avanti
Con il teatro dimora, l’arboreto proporrà meno laboratori e più residenze creative, per divenire (questo era l’impegno preso con noi stessi nel 1998) ancora di più una casa comune per l’arte.
Un ambiente (parco con seimila piante + due case + nuovo teatro + paese di Mondaino, nella valle del Conca sul confine tra Romagna e Marche + relazioni fra le persone) per unire ricerca e produzione, formazione e testimonianze.

Che cosa possiamo offrire ad altri
Un’identità progettuale definita e aperta allo stesso tempo, in ascolto e in divenire, un luogo ospitale bello e necessario (ora ne siamo convinti), non un generico centro servizi.
L’ambiente, sopra descritto, per accogliere nuove persone, per elaborare progetti e opere, per approfondire PerCorsi fra arte comunicazione natura.

Per maggiori informazioni sulla nostra "piccola" storia e sui programmi annuali fin qui realizzati, rimandiamo al sito www.arboreto.org


 

BP211
75.62 produzioni patafisiche – arrampicatori teatrali – ferrovie a teatro
Una pratica buona
di Alfredo Tradardi

 

l’arrampicatore teatrale è un personaggio dannunziano e patafisico al tempo stesso, in sintesi un babbuino cinocefalo che ricorda Bosse-de-Nage (vedi figura, Grand Dessin au fusain et pastel d'aprés Gestes et Opinions du Docteur Faustroll, Pataphysicien d'Alfred Jarry), ma che si fa strangolare il 20 di ottobre per risorgere il 22 dello stesso mese in modo da poter partecipare nelle vesti di St. Omnibus, satiro, il 6 novembre, secondo il calendario patafisico, alle Pratiche Buone.
come strangolare l’arrampicatore teatrale e come evitare che risorga con le sue produzioni patafisiche?
una volta i teatri erano beni collettivi, ora il mercato, con la sua santissima trinità, la liberalizzazione, la privatizzazione e la deregolamentazione, li ha aggrediti e gli enti locali li hanno ceduti in uso e disuso ai propri affezionati e affamati clientes affinché vi trionfi il teatro commerciale e mortale (peter brook docet).
ma l’anno rimane di 365 giorni e i clientes lo riempiono, il teatro, per non più di 30 o 40 dei giorni dell’anno medesimo.
come le ferrovie i teatri dovrebbero funzionare 24 ore su 24, sette giorni su sette e di qui in avanti.
come la rete ferroviaria ora affidata a un gestore della rete, i binari-teatri dovrebbero essere affidati ad un gestore, meglio se pubblico, che si impegni solo a "manutenere" gli stessi mentre trenitalie diverse potessero (?) provvedere a farci circolare, sui binari-teatri, treni (spettacoli) non mortali, gli incidenti essendo proibiti.
questa proposta non guarda o riguarda i piccoli di milano, gli stabili-teatri assai in-stabili ormai per noie mortali.
riguarda i teatri di provincia, non i regi, dove si sta accumulando monnezza artistico-culturale, con i sipari ridotti a grandi schermi tv, che si aprono sempre di più su queste facce di "merdra" che ci tormentano quotidianamente sui piccoli schermi.
insomma bisogna togliere ai faccendieri-arrampicatori teatrali un pò di acqua e di terra sotto i piedi.
se i tempi sono bui, se intorno è un deserto, morale, culturale e politico, una qualche funzione dovrebbe pur averla il teatro nel raccogliere frammenti di memoria, seminare frammenti di utopia e costruire frammenti di futuri.
i teatri sono spazi sempre più chiusi da riaprire alla creatività e alla dimensione della verità, questo è il problema, trasformandoli sì in una rete ferroviaria.

alfréèd jarry,
pronipote innaturale del grande alfred
al secolo alfredo tra-dardi,
presidente dell’associazione culturale itàca
presidente e socio unico del cl?b alfred jarry


 

BP301
75.50 Uno spazio curioso
Azionariato popolare per il Teatro Miela
di Rossella Pisciotta

 

uno spazio curioso
curioso perché imprevedibile
perché non programmabile
perché sorprendente
perché fuori e dentro gli schemi

Teatro Miela 13 anni di vita: chi ci avrebbe scommesso in quella lontana primavera del 1990, quando un gruppo di amici, appassionati, curiosi, politici infiltrati, entrarono per la prima volta nello spazio "spartanamente" ristrutturato dell'ex cinema del Mare, poi Aldebaran, poi palestra della Compagnia unica dei lavoratori portuali, ed infine Teatro Miela, per dare il via ad un'avventura che non è ancora finita e speriamo non finisca mai. In effetti nel progetto Bonawentura (di tofaniana memoria) un pizzico di follia c'era: l'idea era quella di trovare alcuni cittadini disponibili a versare, in contanti o a rate o comunque in qualche modo, un milione a testa, e con il gruzzolo raccolto adattare uno spazio teatrale che fosse poi destinato alla pari dignità delle culture e alle forme artistiche della contemporaneità, il Teatro Miela appunto. In breve, attorno alla ventina di propositori iniziali, si raccolsero più di 300 soci che alla fine resero possibile l'iniziativa. L’adesione di tanti appassionati derivava dal fatto che i proponenti provenivano da un’altra fortunata esperienza, quella de La Cappella Underground, che - nata nel 1968 (e tutt’ora in vita) nello spazio di una cappella sconsacrata come associazione rivolta soprattutto all’arte contemporanea e poi trasformatasi in un cineclub - fu chiusa per motivi di inagibilità negli anni ’80.
Sin dalle prime stagioni venne adottato uno schema che non doveva essere cattivo, se è durato per questi anni e funziona ancora adesso. La cooperativa Bonawentura produce una certa quantità di serate annuali; altre vengono garantite da affitti (spettacoli, convegni, festival, riunioni aziendali). E infine ci sono delle attività considerate interessanti, o particolarmente affini, o artisticamente valide, per le quali il meccanismo è quello della coproduzione. Tutto ciò ha permesso al teatro di essere parzialmente indipendente. Mai, neppure nei momenti di penuria più sentita (e ce ne sono stati molti), il Miela ha rinunciato a produrre eventi, creare eccentriche invenzioni, secondo una filosofia vaga ma pur sempre condivisa da quasi tutti: essere un punto d'approdo, il luogo nel quale possono riverberare esperienze diverse, ai margini dei grandi circuiti. In definitiva, un po’ per intuito e anche per necessità, il Miela si è dimostrato abile nel corso degli anni nel pescare quelli che stanno per "sfondare", magari tra un mese o tra un anno: questo ha permesso in un certo senso di anticipare mode, far conoscere artisti, cantanti, aprire nuove strade percorse poi da istituzioni più forti e protette, e nello stesso tempo mantenere una struttura elastica, con la quale può dialogare facilmente chiunque sia portatore di idee e di proposte.
Proprio per questa struttura così elastica il Miela non è in grado di proporre una programmazione annuale e quindi non può contare sulle entrate anticipate degli abbonamenti. La mancanza dell’abbonamento fa parte anche della politica del teatro: ricercare lo spettatore "motivato", curioso, non abitudinario, e presentare serate (teatrali, musicali…) che non indulgano alla moda ma che siano innovative e critiche. Per questo motivo il Teatro non si serve di un ufficio stampa ufficiale che abbellisce le proposte, convinti che se la proposta è valida, deve essere riconosciuta dalla critica seria e dagli spettatori. Sembra un’ utopia, ma siamo fermamente convinti che la vera cultura non può sottostare completamente alle leggi del mercato. Tutto ciò non è facile, soprattutto oggi quando i contributi sono scarsi, e quando i politici spesso mirano alla quantità degli spettatori che alla qualità dei programmi.
Il Miela ha ospitato e continua ad ospitare centinaia di giornate di spettacolo, giornate di tutti i tipi, dai festival internazionali alle recite scolastiche, dai dibattiti sulla poesia/letteratura (Maraini, Sanguineti, Ceronetti, Mutis, Djebar), al debutto professionale dei gruppetti rock, dalle mostre d'arte contemporanea di giovani che si affacciano alla ribalta a esposizioni di livello internazionale come quelle dedicate a Tina Modotti, a Gao Xingjian, a Monika Bulaj, a rassegne di maestri del cinema (Loach, Kusturica, Kubrick, Fellini, Kaurismaki, Jarman, Jarmush), dal teatro amatoriale alle nuove forme ed esperienze teatrali ("Teatralmente Intrecci"), a progetti rivolti all'arte tecnologica ("Ipermiela", "Mielanext") o alle culture "altre" (I colori della Mongolia, la cultura zingara, viaggio nella cultura yiddish; o ancora S/Paesati, eventi sul tema delle migrazioni, che ha ormai alle spalle 4 anni di attività culturale molto intensa, in cui si sono esplorati i diversi aspetti dei fenomeni migratori sia del passato come del presente, dando la parola ai protagonisti per sentire direttamente la loro esperienza; o ancora i tre anni di Pupkin Kabarett, che ogni lunedì sera ci fa divertire in modo insolito con cantanti da tabarin, illusionisti, stelline del cinema, grafologi, cantautori, poeti da strapazzo e varia umanità allo sbaraglio, coordinati (o meglio scoordinati) dal trio Dongetti / Mizzi / Sangermano. Per chi ancora non lo sapesse questo bizzarro Kabarett è dedicato all'indimenticabile personaggio del comedian "sfigato" Rupert Pupkin (interpretato da Robert De Niro nel film Re per una notte). E poi nel cartellone del Miela c’è la tradizionale festa per il compleanno di Erik Satie che ogni anno dal lontano 1992 raccoglie i suoi appassionati e fan per rendere omaggio a un grande innovatore della cultura del ‘900, o Palcoscenico Giovani alla sua settima edizione, grazie al quale i giovani della regione hanno la possibilità di usufruire gratuitamente delle strutture del Teatro Miela per mettere in scena i loro spettacoli. O ancora MielaNext, un laboratorio video-sonoro e un punto di incontro tra persone, progetti, idee: in uno spazio serale "altro" e "libero", vengono offerti una miscela di videomusicali, videoarte, web-art, musiche "mai sentite" selezionate con gusto e rigore, tra tutto ciò che si trova di nuovo e curioso, dolce o trasgressivo, retrò o di tendenza ma sempre cibo ghiotto per gli occhi e le orecchie. A questo proposito va anche segnalato che il Miela è stato tra i primi teatri ad entrare in internet e ad avere un cybercaffè.
Ma questi sono solo alcuni esempi del variegato cartellone di questi anni di attività, a cui si devono aggiungere eventi "eccentrici" come la manifestazione James Joyce, lavori in corso (1993) che ha visto al suo interno la lettura totale dell'Ulisse di Joyce (36 ore non stop), Chi è l'altro dedicata a Alexander Langer o ancora la lettura totale de La coscienza di Zeno di Svevo, o la partecipazione al Lysistrata Project insieme ad altri 60 paesi del mondo per un "teatro contro la guerra" (3/3/2003).
Grazie a tutto questo è cresciuta all'interno del Miela una capacità professionale nell'ideazione e nella gestione di eventi culturali e di spettacolo, unica proprio per la complessità con la quale il Miela costringe a misurarsi quotidianamente, una professionalità che negli ultimi anni è stata fruttuosamente messa a disposizione di altri enti e della comunità in generale. In questo senso l'attività è "straripata" dalla sede storica e varie manifestazioni sono state organizzate all'esterno, nei caffè triestini (Le vie dei caffè), nelle strade e nelle piazze (StradaSuona), nel Castello di San Giusto e nel parco del Castello di Miramare.

CURRICULUM BONAWENTURA

Bonawentura nasce nel 1988 da un gruppo di operatori culturali e di appassionati che decide di costruire e dar vita ad un centro che sia punto di riferimento per una serie di esperienze frutto di relazioni artistiche, professionalità, talenti esistenti che non trovano a Trieste uno spazio adeguato. Prende allora forma l'idea di una cooperativa di soci che si autotassino: dalla cifra, un milione a testa, nasce il nome, Bonawentura, in ricordo del Signor Bonaventura di infantile memoria.
Tra i soci non mancano nomi importanti come quello del regista Franco Giraldi, del critico Tullio Kezich, ma anche di Alberto Farassino, docente universitario. Questa prima fase culmina con una serie di attività promozionali realizzate in città nel maggio 1988: spettacoli, concerti, proiezioni.
Intanto vengono individuati alcuni spazi, il più promettente è l'ex cinema Aldebaran. Nella primavera del 1989 la Compagnia Portuale cede questo spazio in comodato alla cooperativa fino al 31 dicembre 2000. I lavori di riadattamento, cominciano immediatamente: malgrado ingenti quantità di lavoro volontario, le spese sostenute dalla cooperativa si rivelano più o meno il doppio di quelle preventivate. Con il contributo di oltre trecento soci e un intervento finanziario del Ministero dello Spettacolo, il 3 marzo 1990 viene inaugurato il Teatro Miela dedicato, in accordo con gli eredi, a Miela Reina, artista formidabile, ma anche animatrice culturale alle cui attività si sono formati tutti quelli che in questo angolo di Europa hanno cinquant’anni o più. Il marchio del teatro, fresco e vitale ancora dopo dodici anni, lo disegna Gianfranco Pagliaro.
In questo modo il recupero di uno spazio chiuso ormai da anni ha offerto alla città un centro alternativo per ospitare esperienze cinematografiche, teatrali, musicali, arti figurative e video che per loro stessa natura hanno bisogno di sedi "intermedie", agili ed economiche da gestire. Questo tipo di programmazione, del tutto innovativa all’inizio degli anni ’90 e fortemente criticata dal pubblico conservatore di allora, si è dimostrata vincente col passare del tempo, tanto che altre realtà - fortemente caratterizzate in un solo genere artistico - hanno ampliato i loro cartelloni arricchendoli con proposte differenziate. Le scelte della Coop. Bonawentura hanno sempre come finalità quella di anticipare le nuove tendenze dell’arte contemporanea. In questo modo sin dagli esordi il Teatro Miela diventa un "caso" nazionale per l'iniziativa ed i suoi contenuti culturali, tanto che viene riconosciuta come ente teatrale di interesse regionale.
Inoltre la cooperativa diviene il punto di riferimento, non solo per l'attività culturale d'innovazione, ma anche per decine di associazioni diverse che trovano il partner culturale e tecnico che permette loro di realizzare i loro progetti.
Ad oggi Bonawentura ha realizzato ed ospitato al Miela tantissimi spettacoli (tralasciamo i numeri che vengono spesso sbandierati come segno di importanza), divenendo un centro multimediale aperto alle diversità e complessità dell’espressione artistica contemporanea: teatralità, cinema, video, world music, workshops, progetti speciali, mostre, live arts, virtualità, conferenze, media art, festival, ricerca, performance, training, danza, giochi, digital media technology, incontri, sound, multidisciplinarietà, pubblicazioni, networking, ricerca, musica contemporanea, spazio bar interattivo, cult movie, poesia, fotografia.

Post Scriptum doloroso
Dopo la scadenza del comodato, la Compagnia dei Lavoratori Portuali, proprietaria dello stabile dove si trova il Teatro Miela, ha deciso di vendere lo stabile alla Provincia di Trieste. Dal 2001 a tutt'oggi la sorte del Teatro non è chiara: si parla di ristrutturazione di tutto lo stabile (con i tempi pubblici!) e di nuova destinazione d'uso che prevede quindi lo sfratto del teatro. In questi anni l'attività è continuata senza alcuna chiarezza nei confronti dei nostri attuali "padroni di casa" che non hanno stipulato nei nostri confronti un contratto d'affitto come ripetutamente richiesto da parte nostra, ma che esigono una forma di "penale" per restare nell'immobile di € 4308 mensili, che venendo da un Ente Locale e non più da un privato ci sembra ancor meno opportuno e fa pensare a un atteggiamento di noncuranza di fronte a uno spazio e a un'attività che sono un patrimonio di tutta la città e un patrimonio riconosciuto e aprezzato ben oltre i confini cittadini . Unica gratificazione: un'ondata di mail e lettere di appoggio e adesione da parte del "popolo del Miela".


 

BP302
75.51 La Cittadella Spettacolo
Il progetto del Teatro Franco Parenti
di Gianni Valle

 

E' un progetto che prende il via quasi dieci anni fa quando si verificò la necessità di risanare e mettere a norma la vecchia sala di via Pier Lombardo.

Erano gli anni in cui si stava creando una nuova nomenclatura del teatro italiano con l'identificazione degli organismi (o delle personalità) su cui investire e con lo scoraggiamento (attuato soprattutto manovrando i rubinetti delle sovvenzioni, ma anche in altre forme) degli altri.
Erano tempi in cui la prospettiva di ridurre il sostegno pubblico lasciava poco spazio alla valutazione dei contenuti e dei progetti, mirando a creare uno status il più possibile privo di voci dissenzienti.
In questo quadro la storia del Teatro Franco Parenti, il suo ruolo nella città e nel panorama nazionale, la salvaguardia e lo sviluppo della sua funzione artistica risultarono non interessare l'establishement politico-istituzionale e il progetto della sua ristrutturazione finì per diventare il problema privato di chi ci lavorava dentro. Un problema da risolvere personalmente, con il sostegno dei privati.

Questo è stato l'inizio di un cammino abbastanza avventuroso e che solo ora comincia a vedere il traguardo, che ad ogni passaggio ha spostato il progetto in avanti, rendendolo più complesso e più ambizioso.
La Milano ricca sensibile alla cultura, non era toccata dal problema della messa a norma di un teatro, ma si mostrò interessata a sostenere la creazione di qualcosa di nuovo, che offrisse alla città opportunità culturali diverse.
Con questo obiettivo, nel dicembre 1996 è nata la Fondazione Pier Lombardo (primo esempio italiano di fondazione di partecipazione sul modello anglosassone) che ha raccolto molti importanti nomi dell' imprenditoria, delle istituzioni commerciali, delle banche, ecc.
Sull'impegno dei privati è scattata la partecipazione degli Enti locali secondo un criterio di sussidiarietà che ha portato il Sindaco di Milano a promettere un intervento finanziario pari a quello che effettueranno i privati.

La trasformazione del Teatro Franco Parenti in una vera Cittadella spettacolo avviene mediante la riaggregazione di diversi spazi adiacenti, precedentemente adibiti ad usi commericali. I lavori di valorizzazione e ristrutturazione tra il dicembre 2005 e il gennaio 2006 consegneranno alla città (che ne è proprietaria, avendola data in concessione venticinquennale alla Fondazione) un complesso di 5.200 metri quadrati con tre sale teatrali, alcuni spazi multiuso, una caffetteria con postazioni internet e possibilità di ristorazione e con un accesso all'adiacente Piscina Caimi, per l'uso della quale è stata posta in essere un'altra, apposita convenzione.
Il progetto è curato dall'architetto Michele De Lucchi e dallo scenografo Gianmaurizio Fercioni.

L'aspetto architettonico e strutturale, per altro all'origine di tutto quanto, non è che il riflesso di un diverso problema, quello della gestione e funzionamento di un complesso di queste proporzioni, in una prospettiva di contributi pubblici già insufficenti ora e in futuro prevedibilmente sproporzionati alla mole di attività.

La fisionomia della Cittadella corrisponde a un progetto artistico mirato al confronto e alla contaminazione tra generi diversi, generazioni diverse, culture diverse e diversi tipi di pubblico.
In questi anni la cooperativa Teatro Franco Parenti ha lavorato per creare attorno all'attività teatrale una serie di altre attività, organizzate attraverso strutture dedicate.
Sono nate così la Pier Lombardo Danza, diretta da Susanna Beltrami, per lo sviluppo del lavoro di creazione e di formazione non solo tersicoreo; la Pier Lombardo Culture che promuove le manifestazioni culturali e che figura tra i protagonisti del nuovo trend di eventi filosofici e letterari che richiamano grandi affluenze; la Pier Lombardo Ragazzi e Bambini che cura, sempre in una formula che alterna le rappresentazioni con i laboratori, la formazione del pubblico futuro; la Pier Lombardo Eventi che utilizza i linguaggi e la forza comunicativa del teatro per realizzare manifestazioni al servizio delle aziende.
La multidisciplinarità, in questo senso, appare lo strumento capace di aggirare l'attenzione distratta delle istituzioni e una sfida alla possibilità di reinventare la funzione pubblica dei teatri di seconda generazione, quelli che hanno eroso il ruolo degli stabili pubblici aprendo il ventaglio delle opportunità.
Una sfida che si confronta professionalmente con i modelli "aziendali" cogliendone le tecniche di marketing, comunicazione e controllo di qualità ma non ponendosi come parodia delle regole e degli obiettivi delle aziende economiche.


 

BP303
74.56 Progetto Nave fantasma
Produrre con il contributo (del) pubblico
di Renato Sarti (Teatro della Cooperativa)

 

Il 25 dicembre del 1996 a largo di Portopalo in Sicilia affondò un battello carico di migranti provenienti dall’India, dal Pakistan e dallo Sri Lanka. Le vittime furono 283: la più grande tragedia navale avvenuta nel Mediterraneo dal dopoguerra ad oggi.
I mass media italiani, eccetto rare eccezioni («il Manifesto», «Narcomafie»), non se ne occuparono e le autorità si mostrarono da subito molto scettiche, tanto che la tragedia divenne il naufragio fantasma. Nel 2001 il quotidiano «La Repubblica», attraverso un’inchiesta del giornalista Giovanni Maria Bellu, riuscì a individuare il relitto in fondo al mare e a filmare i resti dei corpi che ancora oggi lo circondano. Le immagini del naufragio fantasma furono trasmesse in tutto il mondo. Nonostante l’appello di quattro premi Nobel (Renato Dulbecco, Dario Fo, Rita Levi Montalcini, Carlo Rubbia) e alcune interpellanze parlamentari, ancora nulla è stato fatto per recuperare il relitto e i corpi delle vittime.


Torniamo indietro allo scorso novembre.
Avevamo già da diversi mesi nel cassetto un testo teatrale dal titolo La nave fantasma, scritto dal giornalista Giovanni Maria Bellu e da Renato Sarti in collaborazione con Bebo Storti. Lo tiravamo fuori spesso, se ne parlava, ma la possibilità di portarlo in scena sembrava sempre lontana.
Proprio la mancanza di risorse economiche e l’improrogabilità di questa vicenda, il suo carattere umano, sociale e politico, ci facevano avvertire la crescente urgenza di dire e di fare qualcosa non solo per il teatro.
Il naufragio fantasma è infatti una sintesi drammatica della vasta problematica connessa al tema dell’immigrazione: la disperazione dei migranti, il silenzio di autorità e media, la ferocia dei trafficanti di esseri umani, la terribile indifferenza e paura della nostra società. E’ una vicenda che fa emergere la grande distanza che separa le dichiarazioni di principio sulla solidarietà e l’eguaglianza dei diritti, dalle azioni concrete di istituzioni e cittadini.
Decidemmo, quindi, di intraprendere un’avventura che rispondesse alla situazione sì in modo creativo ed efficace ma anche in modo estremamente provocatorio. Provocatorio. Consapevoli dei rischi.
Così, dopo aver organizzato l’aspetto formale e la comunicazione, annunciammo che la notte del 25 dicembre 2003 – presso ArtandGallery a Milano - avremmo lanciato una campagna di sottoscrizione popolare per raccogliere i fondi necessari alla produzione.
Il giorno scelto era carico di significato: era la notte di Natale, ma soprattutto ricorreva il settimo anniversario della tragedia.
La nottata prevedeva la lettura di alcuni frammenti del testo teatrale da parte di Renato e Bebo, la proiezione di documenti video e la condivisione di testimonianze di altre personalità impegnate in temi di solidarietà sociale. Il pubblicò trovò del materiale cartaceo sulla l’intera vicenda, in cui dichiaravamo che l’obiettivo della raccolta era quello di coprire le spese di produzione e promozione dello spettacolo teatrale La Nave Fantasma e quelle di realizzazione di materiale video, cartaceo e digitale di approfondimento da distribuire in modo capillare e gratuito ai parenti delle vittime, a istituti scolastici, associazioni, circoli e realtà che si occupano di immigrazione. In modo estremamente ottimistico, aggiungemmo che la quota in eccedenza sarebbe stata devoluta in beneficenza.
Indicammo con chiarezza i tempi della produzione e le modalità di sottoscrizione, tramite bonifico bancario, precisando che tutti i sottoscrittori sarebbero stati aggiornati sull’andamento della raccolta e menzionati nel materiale promozionale prodotto.
Queste informazioni furono contestualmente inserite sul sito del teatro e comunicate ai media attraverso un intenso lavoro di ufficio stampa.

E’ stato immediatamente evidente che il nostro desiderio era sollecitare e raggiungere la collettività e coinvolgere la società civile. Un obiettivo raggiunto, perché la raccolta non ha fruttato molto, ma è composta da tantissimi piccoli contributi di cittadini, che ci hanno dimostrato stima ed espresso il supporto per noi necessario. Questo ci ha fatto capire che la scelta era giusta, anche se non avremmo potuto tener fede a tutti gli obiettivi dichiarati all’inizio della sottoscrizione. C’è una parte della società civile sensibilissima ai temi più scomodi e delicati che ha appoggiato con convinzione e orgoglio il nostro progetto.
Contestualmente, attraverso la disponibilità di alcune strutture – Università di Venezia, Università Bicocca, Leoncavallo, Paolo Pini, Meeting Internazionale Antirazzista dell’Arci, Social Forum di Parma - abbiamo organizzato nei mesi successivi altre letture pubbliche in varie città italiane, che ci hanno permesso di arricchire il nostro budget.
Inoltre, dal punto di vista della comunicazione, i risultati sono stati buoni. Parte della stampa e non solo ha accolto il nostro progetto e ha seguito le sue evoluzioni. Certo, è sempre pericoloso affrontare azioni rivolte ai mass-media che esulino dalla presentazione di uno spettacolo, stagione o festival. Si rischia di essere mal compresi proprio dai colleghi.
Ma come possiamo travalicare i confini in cui il nostro teatro (non di numeri o nomi) è spesso relegato? Come far parlare di una tragedia su cui non si è ancora fatta giustizia e in cui nemmeno il sentimento della pietà umana sembra avere posto?


 

BP304
75.66 Un teatro chiude. Viva il teatro.
La buona pratica del "rewind & party" (Nave Argo Associazione Teatrale
– Caltagirone, CT)
di Nicoleugenia Prezzavento e Fabio Navarra

 

Ne abbiamo incontrate parecchie, nei nostri 12 anni di storia, compagnie e gruppi con cui abbiamo condiviso idee, poetiche, pratiche e ostinazioni: non ultima quella di rimanere caparbiamente fedeli all’idea di radicare il nostro lavoro in territori spesso problematici. E sempre più spesso, negli ultimi anni, è capitato che molte (troppe) di quelle compagnie abbiano dovuto abbandonare spazi e progetti dei quali tutti ben comprendiamo la significanza in termini di risorse, sogni e sudori investiti.
Eravamo ben consci, dunque, di non rappresentare in alcun modo un’eccezione quando, il 20 Luglio scorso, il nostro padrone di casa ci ha notificato il canonico anno di preavviso per lasciare lo spazio dove dal 1996 abbiamo lavorato e che in tutti questi anni è stato l’unico teatro attivo nella nostra città.
Così, "un po’ per celia e un po’ per non morir", abbiamo cominciato a fare un inventario sia fisico che ideale delle tracce che la nostra presenza ed il nostro fare avevano lasciato in quel luogo. Costumi, pezzi di scenografie, foto, e quintali su quintali di programmi di sala, di rassegne, di festival, di corsi e laboratori (per tacere dell’allarmante quantità di documenti che sono il residuato "bellico" dei nostri quantomai vasti e variegati rapporti epistolari con le istituzioni pubbliche locali e non…) che, oltre a produrre un prevedibile effetto amarcord, ci hanno indotto ad una serie di considerazioni.
Innanzitutto che sono state migliaia nel corso di questi anni le persone, adulti e bambini, che sono passate per il Teatro "Vitaliano Brancati" di Caltagirone ad assistere ad uno spettacolo o a partecipare ad un laboratorio. Che, all’interno delle nostre rassegne, abbiamo ospitato artisti e "cose mai viste" che spesso approdavano in Sicilia per la prima volta (tra cui Ascanio Celestini, il TTB, il Teatro delle Albe e molti altri) o che paradossalmente, pur essendo siciliani, proprio in Sicilia avevano trovato maggiori problemi di visibilità (due esempi emblematici: Scimone & Sframeli e Davide Enia). Che il nostro festival "Teatri in Città", che ha ormai accumulato 11 anni di storia, pur andando avanti quasi sempre al limite della sussistenza è rimasto uno dei pochissimi festival di teatro contemporaneo che si tengono in Sicilia e che fa una media di 350 spettatori (motivati e competenti, aggiungiamo con una punta d’orgoglio) per sera.
Tutto questo messo insieme ci ha riportato alla mente l’incipit di una frase di Pasolini che, all’inizio della nostra avventura, avevamo scelto come viatico: "Nel restare dentro l'inferno con marmorea volontà di capirlo è da cercare la salvezza". E abbiamo deciso che dentro e intorno al nostro teatro si è accumulato un patrimonio di socialità, di esperienze, di relazioni, di idee che sarebbe sciagurato disperdere e che, piuttosto, vogliamo ad ogni costo salvaguardare e rafforzare "rilanciando" e riaffermando l'idea dell’ apertura di un nuovo spazio ancora più bello di quello che lasciamo: una Casa del Teatro (la chiamiamo così nell’attesa che ci venga in mente un nome più figo…) aperta alle più diverse esperienze culturali e che possa diventare un punto di riferimento per il nostro territorio.
Un'idea tramite la quale sperimentare anche un nuovo modello di gestione di uno spazio destinato ad attività culturali, e che sappiamo essere stata realizzata con successo da diverse altre realtà italiane che per noi rappresentano un modello Possibile di condivisione di un progetto culturale tra iniziativa privata e istituzioni pubbliche.
A partire da tale consapevolezza abbiamo ritenuto imprescindibile misurare questo nostro desiderio con le reali aspettative e i desideri della comunità in cui viviamo. E la modalità che ci è sembrata più positiva e più aderente allo spirito con cui, finora, abbiamo vissuto la nostra "ossessione" di (ri)avvicinare al Teatro anche chi non avrebbe mai pensato di voler entrare in un teatro in vita sua è stata quella di organizzare, il 20 di ogni mese (una sorta di ideale conto alla rovescia del tempo che ci separa dalla fatidica data) fino al luglio 2005, una festa nel nostro teatro: quante più occasioni di apertura possibili per uno spazio destinato a chiudere.
Una Festa al Teatro (che chiude) – così abbiamo deciso di chiamare l’iniziativa, in un impeto di creatività… – per offrire di volta in volta, oltre alla nostra normale programmazione stagionale, qualcosa del nostro "fare" teatrale e, allo stesso tempo, accogliere idee, stimoli e spunti creativi dalle persone più disparate: c’è stata una festa con i giovani, un’altra con gli anziani, un’altra ancora con le comunità di stranieri che vivono a Caltagirone e altre sono in programma.
Nel corso di queste feste abbiamo chiesto agli intervenuti, se volevano, di sottoscrivere un documento in cui anche loro testimoniassero, alle istituzioni cittadine, la necessità di poter usufruire di uno spazio quale è stato il Teatro "Vitaliano Brancati" in questi anni e ancora migliore di esso, potendo. Le firme raccolte finora sono più di 1.500 (su 38.000 abitanti) e siamo a meno di metà del conto alla rovescia…
Adesso vorremmo consegnare la testimonianza di questa esperienza anche a tutti gli amici e colleghi le cui "vicende" umane, artistiche e professionali si sono incrociate (e/o si incroceranno) con la nostra. Nella speranza di ricevere anche da loro idee, spunti, stimoli e anche pacche sulle spalle che ci consentano di rafforzare ancora di più la nostra iniziativa e la nostra complessiva progettualità.


Se voleste saperne di più su chi siamo, cosa facciamo e (magari) per sostegni vari ed eventuali potete consultare il nostro sito: www.naveargo.org


 

BP305
75.78 Teatro di confine ovvero ai confini in libertà
L'esperienza di Olinda
di Rosita Volani

 

Da quando sono entrata nell’ex manicomio di Milano, non ne sono più uscita.
Nessuna conoscenza di psichiatria, né di impresa sociale, solo alcune sensazioni:
che fosse un luogo in cui poter costruire ( forse perché l’accezione di non luogo poteva offrire scenari inediti e imprevedibili che il teatro potesse essere lo strumento giusto per mettere in contatto il dentro e il fuori che avrei voluto condividere un progetto con il gruppo di persone che già lavorava alla riconversione del Pini Nel 1997 Da vicino nessuno è normale è stato la testa d’ariete che ha permesso al cancello del Pini di aprirsi definitivamente, a un bar di avere clienti, a un pubblico di entrare in un luogo tabù. Questa accadeva quando ancora al Pini abitavano cento persone.
La risposta dei teatranti all’invito ad investire professionalità e energia a fronte di ridotte possibilità economiche è stata ed è di grande disponibilità. La presenza del pubblico che ha scelto e sceglie di varcare il cancello per vedere gli spettacoli, è costantemente cresciuta.
Altri progetti sono nati nel tempo, un laboratorio di teatro per cittadini giovani, Manuale per fondare una città; un progetto collettivo per il 25 aprile, Appunti Partigiani; una rassegna di cultura e salute mentale dal titolo Ma sei fuori? primo progetto nato fuori dal Pini.
L’associazione Olinda e la cooperativa sociale La fabbrica di Olinda sono nate con l’obiettivo di promuovere impresa sociale (Bar e Ristorante, Ostello, Falegnameria) e inclusione sociale di persone con problemi di salute mentale, nell’ambito dei progetti di superamento dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini. Le iniziative culturali sono parte integrante dei progetti promossi da Olinda, come strumento per comunicare alla città il cambiamento avvenuto nell’ex manicomio e come riconversione di un’area considerata dismessa nella periferia nord di Milano
In questi anni migliaia di persone hanno varcato il cancello del Pini, contribuendo a trasformare un luogo di esclusione in un luogo di accoglienza e a ricostruire una cultura di vita pubblica e partecipata.


 

BP307
75.77 L’acquisizione del Teatro Carcano per la sua conservazione a spazio teatrale
Una storia milanese
di Nicoletta Rizzato

 

Quale teatrante non vorrebbe che lo spazio che occupa, la casa in cui dimora non fosse sua? Non tanto per smania di possesso quanto per poter dire "nessuno potrà mai obbligami a uscire, nessuno potrà mai espropriarmi dello spazio fisico nel quale si svolge il mio lavoro".

Purtroppo non a tutti è dato realizzare questo sogno. Noi ci annoveriamo fra quei pochi fortunati. Ma per poter dare un quadro completo bisogna fare qualche passo indietro.
Nella primavera del 1997 viene costituita quella che ancora oggi è la società di gestione del Teatro Carcano. Inizialmente lo scopo della società era esclusivamente produttivo.
Nell’estate di quell’anno viene messa in liquidazione la precedente società di gestione del Carcano e il liquidatore decide, per condurre al meglio quello che si sarebbe trasformato in un Fallimento, di procedere a un affitto di ramo d’azienda della gestione della sala che la nostra società si aggiudica per un importo vicino al miliardo delle vecchie lire a valere sino allo scadere del contratto di locazione nel settembre del 2000.
Un investimento così rilevante partiva dalla fondata speranza che, avendo ereditato attraverso tale operazione il contratto di locazione, fosse possibile arrivare a un equo accordo di rinnovo dello stesso per altri dodici anni.
Purtroppo alcune azioni di disturbo da parte di terzi e del mercato immobiliare in sconsiderata crescita, hanno indotto la proprietà ad alzare il tiro al termine della locazione. La trattativa è stata durissima e si è conclusa nel giugno del 2000 con un accordo molto oneroso se lo si fosse considerato nel suo mero aspetto locativo (un canone annuo di 600 milioni di vecchie lire). "Fortunatamente" quel contratto di affitto conteneva un’ipotesi che probabilmente la proprietà considerava assolutamente irrealizzabile: un’opzione all’acquisto (per ragioni di convenienza fiscale dei promittenti venditori) non dell’immobile, ma della S.P.A. che come unico cespite possedeva per l’appunto il Teatro Carcano.
Uno dei motivi di ostacolo alla realizzazione dell’operazione di acquisto nasceva da una marcata sottovalutazione della nostra impresa a livello ministeriale. Il decreto 490/99 (Forlenza), pur garantendo una notevole regolarità dei meccanismi di erogazione dei contributi, aveva "ingessato" il sistema negando ogni possibilità di miglioramento sino al termine dell’anno 2002.
Per dirla più semplicemente, stante il livello di contributi allora in vigore non sarebbe stata possibile una seria ipotesi economico/finanziaria a sostegno della gestione futura dello stabile.
Pertanto sin dal settembre del 2000 si iniziò a lavorare per la creazione di una Fondazione che acquisisse i fondi necessari all’acquisto. Fondazione alla quale avrebbe partecipato anche la nostra società che avrebbe ceduto il diritto a condizione di condurre l’impresa per almeno i successivi dodici anni.
Purtroppo quell’ipotesi si rivelò impraticabile in quanto non vi fu l’unanime accordo dei tre Enti Pubblici (Regione – Provincia – Comune) a partecipare alla Fondazione in sede di costituzione e dopo quasi due anni di incontri, valutazioni, pronunciamenti e assicurazioni a vario titolo questa strada venne abbandonata.
Confesso che lo scoramento fu notevole, ma ci rimboccammo le maniche e cominciammo a pensare all’ipotesi più remota e a osare l’inosabile: riuscire ad acquistare l’immobile in proprio.
Nel frattempo si era a metà del 2003 e la situazione economico/patrimoniale della società, anche se sempre al limite delle risorse disponibili, ci metteva in grado di tentare di portare a buon fine l’operazione. La finanziabilità della quota parte bancaria non eccede mai, in operazioni del genere, l’80% del totale importo. L’importo totale necessario eccedeva di poco i 3.700.000 euro.
Con quella cifra si sarebbero acquistate per intero le azioni della S.P.A. proprietaria dello spazio immobiliare.
L’obiettivo era quindi di reperire almeno il 20% delle risorse necessarie per un importo che si sarebbe aggirato intorno ai 750.000 euro. Di questa somma la nostra società, ai sensi del patto di futuro acquisto aveva già anticipato 232.000 euro si trattava di trovarne altri 520.000. Operazione non semplice, dal momento che, come è noto, i teatranti non hanno grandi patrimoni alle spalle e rivolgersi a operatori immobiliari sarebbe stato inutile se non nei termini di una cessione che avrebbe configurato una mera speculazione da parte nostra e da parte del contraente. Speculazione che ovviamente non avevamo alcuna intenzione di fare.
Mentre l’operazione di convincimento di alcuni colleghi (alcuni sono rimasti e altri si sono persi per strada) continuava (si sarebbe poi conclusa al limite del tempo concesso) operativamente provvedevamo a istruire una pratica di leaseback. In questa forma di leasing da poco ammessa dalla legge la figura del venditore e dell’acquirente dell’immobile coincidono. Si tratta praticamente di una forma che viene usata per ridare liquidità alle imprese e rimandare a medio termine la restituzione del denaro attraverso l’affitto di uno specifico bene (che non necessariamente è immobiliare). L’aspetto negativo di una simile procedura consiste nell’espropriazione del bene che viene "realmente" venduto alla società finanziaria. Nel caso di insolvenza non sono neanche necessarie pratiche espropriative tipiche dei beni vincolati da ipoteca di primo grado. In altre parole: se le cose vanno storte sei espropriato ancora prima di accorgertene. Ed è un pensiero poco piacevole.
Ma quello che ha reso impossibile proseguire su quella strada è stata la plusvalenza che si sarebbe generata dalla vendita dell’immobile. L’esborso necessario sarebbe stato di circa 660.000 euro che andavano ad aggiungersi ai 750.000 euro per i canoni anticipati. Nel frattempo avevamo sì raccolto questa somma, ma non era ipotizzabile che i 10 soci attingessero ad altre riserve personali avendo impegnato tutto quanto era nelle loro disponibilità..
L’ipotesi è stata quindi scartata alla fine del mese di ottobre del 2003. Il patto sarebbe scaduto, senza alcuna proroga il 31 dicembre successivo. Non ci siamo fermati neanche allora. Abbiamo cominciato, pur con enorme ritardo a bussare alla porta di molte banche sondando la possibilità di ottenere un mutuo ipotecario a lungo termine e sul filo di lana il presidente della Banca Popolare di Milano ha dimostrato un profondo interessamento a tutta la questione valutandola soprattutto dal punto di vista della sua convenienza culturale. E ha preso la migliore decisione possibile: lo spazio di fronte alla Crocetta doveva rimanere un Teatro.
Ma tecnicamente l’operazione non è stata semplice.
In sequenza:
- costituzione di una s.r.l. partecipata oltre che dalla società di gestione del teatro Carcano (che detiene la quota di maggioranza relativa) da altri dieci soci di cui sette già facenti capo al Teatro Carcano e altri tre esterni. Per dovere di riservatezza non dirò i loro nomi, ma sono tutti operatori dello spettacolo e posso quindi assicurare che è esclusa ogni brama speculativa nella loro adesione.
- apporto, proporzionalmente alle quote possedute da ognuno, di un capitale finanziario per 774.000 euro rappresentante il 20% del bene da acquistare;
- erogazione di un finanziamento ponte con tasso di scoperto di conto corrente (anche se inferiore ai tassi in uso, comunque di una certa onerosità) valido sino al 15 luglio dell’anno successivo per poter permettere le seguenti operazioni;
- acquisto da parte della New Company delle azioni in possesso dei soci della S.p.A. con facoltà di controllo del 100% del suo capitale (16 gennaio 2004)
- inizio della procedura di fusione fra la N.C. e la S.p.A. per incorporazione della seconda nella prima. Tutte le procedure di apporto immobiliare dello stabile "Teatro Carcano" alla nuova società compresa la correzione di alcune lacune catastali risalendo il primo atto di apporto all’anno 1928.
- subentro nel rapporto locatizio della N.C. nei confronti della società di gestione. Tale rapporto si concretizza, dal punto di vista dell’onerosità del canone da corrispondere in una somma che si aggira intorno ai 300.000 euro annui. Comunque di grandissimo peso per l’economia di un’azienda teatrale.
- l’ultimazione del processo di fusione (effetto 30 giugno 2004)

- sottoscrizione del mutuo con iscrizione di ipoteca a favore di B.P.M. e contestuale estinzione del finanziamento ponte e del pegno sulle quote della N.C.
- pagamenti per oltre 50.000 euro, a fronte di spese bancarie, somme dovute allo Stato in termini di imposte e registrazioni, onorari notarili e professionali

Descritta in maniera così lineare sembra di una facilità disarmante. Ma il processo è durato oltre un anno e non è mai stato lasciato nelle sole esclusive mani dei professionisti, ma seguito, ideato e concretizzato con grandissimo sforzo e sapienza dallo staff direttivo del Teatro Carcano.
E’stata una grande vittoria della ragione, una grande vittoria degli sforzi di alcuni operatori dello spettacolo, sforzi che durano da oltre otto anni e che dureranno per i prossimi venti (durata del mutuo).
Non abbiamo avuto dagli Enti Locali l’appoggio che ci aspettavamo. Ne sono dispiaciuta. Ma spero che in un futuro questo appoggio si concretizzi in altre forme.
Spero di essere stata sintetica e chiara e di aver illlustrato nei suoi passaggi fondamentali una "buona pratica teatrale".
Vorrei chiudere considerando che, come in qualsiasi impresa che l’uomo inizia, la perseveranza e l’impegno che in essa si trasfondono è fondamentale per la sua riuscita, ma che senza un pizzico di favore del Caso (Fato, Destino, Fortuna, chiamatelo come volete) nulla può andare a buon fine. Noi dobbiamo ringraziare anche questa astratta Entità che governa le nostre vite e che ci ha fatto incontrare le persone giuste.
Grazie per l’attenzione.

Nicoletta Rizzato
Amministratore unico della F.M.N. s.r.l.
Società di gestione del Teatro Carcano

Milano 2 novembre 2004

 

BP401
75.53 Appunti per l'intervento di FAQ - Coordinamento delle compagnie lombarde
Aia Taumastica, aida, Alma Rosè, Animanera, A.T.I.R., delleAli, Figure Capovolte, La Fionda Teatro, Teatro Aperto, Teatro Inverso
di Federica Fracassi

 

Nel 2002 si assiste a un rinnovato intensificarsi di confronti, convegni e dibattiti sullo stato del teatro e della ricerca teatrale, che confluiscono negli incontri denominati ‘Nuovo Teatro - Vecchie Istituzioni’, svoltisi a livello nazionale a Rovigo, Santarcangelo, Volterra e Castiglioncello.
Alcune compagnie di produzione con sede in Lombardia partecipano attivamente a questi incontri e sentono la necessità parallela di approfondire il confronto reciproco, di tornare a interrogarsi sul rapporto con la loro regione.
Sono compagnie professioniste, che si conoscono da tempo, che già da vari anni lavorano in Lombardia e sul territorio nazionale, ma che, nel confronto con le istituzioni, non hanno mai messo in rete prima di allora le loro esperienze.
A seguito di questi incontri, nel 2003, nasce un coordinamento indipendente, FAQ, che oggi è formato da Aia Taumastica, aida, Alma Rosè, Animanera, A.T.I.R., delleAli, Figure Capovolte, La Fionda Teatro, Teatro Aperto, Teatro Inverso.
Fin dall’inizio ci siamo interrogati sull’identità di un simile coordinamento, sapendo per esperienza passata che una cosa è parlare e confrontarsi e, altra cosa, è agire insieme di fronte a situazioni concrete.
Non si tratta di essere uguali (saremmo un unico grande gruppo, una multinazionale magari vuota), ma di collaborare nelle diversità.
Questo per noi significa cercare di tracciare dei confini etici, che possano in qualche modo rappresentarci tutti, salvaguardando le nostre differenze.
Il nostro è un coordinamento indipendente, nato spontaneamente da 13 compagnie, con l’intenzione comune di continuare a svolgere un lavoro autonomo, non etichettabile e non spendibile da altri.
Un gruppo la cui forza è nell’azione e che per scelta decide di rimanere informale, senza costituirsi dal punto di vista giuridico. Un coordinamento funzionale alla risoluzione di problemi e scopi ben precisi.
Abbiamo provato a definire la nostra identità anche dandoci delle piccole regole:

1) Essere compagnie di produzione e non compagnie di organizzatori (si intende in questo senso compagnie non legate stabilmente alla gestione o alla programmazione di teatri e altri luoghi di rappresentazione, bensì impegnate nella organizzazione di eventi e spettacoli basati sulla innovazione dei linguaggi e delle poetiche teatrali) Questo per avere uno scopo ben preciso in comune ed evitare spiacevoli conflitti d’interesse che sono purtroppo la norma del nostro settore.
2) Aver lavorato in ambito teatrale da almeno 3 anni, per garantire una professionalità collaudata dei soggetti referenti.
3) Stimare il nostro reciproco lavoro e, al di là delle poetiche, considerarlo serio
4) Essere gruppi composti da due o più individui
5) Tenerci aggiornati sul lavoro svolto e partecipare alle riunioni
6) Prendere insieme le decisioni che di volta in volta ci si presentano
7) Uscire pubblicamente compatti sulle decisioni comuni, parlare in nome di tutti ed evitare personalismi, insomma proteggere le informazioni e il gruppo per un vantaggio comune. Il senso di questo coordinamento è infatti quello di lavorare in prospettiva anche per cambiamenti che magari avverranno tra anni e agevoleranno altre compagnie.

Una volta stabilita la nostra identità ci siamo interrogati sui possibili nostri interlocutori.
E su quali fossero i nodi politico-burocratici-organizzativi che bloccavano il lavoro delle compagnie di produzione e che noi avremmo voluto superare e migliorare.
Il primo interlocutore naturale che abbiamo identificato è stata la regione Lombardia, che si è resa disponibile di fronte a questa nostra esigenza.
Nel dicembre 2002 ha invitato ATIR e TEATRO APERTO in prima rappresentanza delle compagnie di produzione a presenziare a un tavolo di discussione in cui sarebbero state elaborate proposte e suggerimenti in previsione di una nuova normativa regionale del settore Cultura e Spettacolo.
L’incontro al tavolo regionale con altre rappresentanze e il costante dialogo interno al coordinamento hanno prodotto come risultato un documento consegnato alla regione che delinea contenuti e linee guida relativi alle esigenze delle compagnie di ricerca e alle loro prospettive specifiche, questo nonostante la difficoltà di relazionarsi a soggetti, progetti e consuetudini storicamente inattaccabili.
Questi incontri di discussione in regione infatti sono stati sospesi dopo poco tempo, ma il coordinamento ha proseguito con le sue proposte e richieste.
Nel documento innanzitutto abbiamo proposto una demarcazione dei parametri legislativi di valutazione che differenziasse le compagnie di produzione da altri soggetti (Teatri Stabili di innovazione, Teatri Stabili privati, etc.)
Nel 2002 questi soggetti partecipavano, così come le compagnie, agli stessi articoli della legge regionale, sebbene avessero caratteristiche e gestioni economiche non equiparabili a quelle delle compagnie.
Inoltre erano rare, se non addirittura un’eccezione, le giovani compagnie di ricerca sostenute dalla Regione Lombardia, malgrado il territorio lombardo sia uno dei più ricchi d’Italia di fermento teatrale e malgrado molte compagnie abbiano pieno riconoscimento nel panorama nazionale.
Nonostante i lavori al tavolo regionale non abbiano portato alla stesura di una nuova e aggiornata normativa del settore spettacolo, siamo riusciti ad ottenere un sostanziale miglioramento della normativa vigente.
E’ stato elaborato un nuovo bando in riferimento alla legge 58/1977 in cui sono state accolte alcune delle nostre proposte:

1 - una differenziazione tra le Compagnie e i Teatri che sono diventati Soggetti differenti in relazione al finanziamento Pubblico;
2 - una serie di agevolazioni ai gruppi giovani che ora possono ottenere un finanziamento regionale tramite dei parametri più accessibili.

Faq, in questo momento, si sta attivando per creare un sito in cui promuovere l’attività delle compagnie lombarde (abbiamo iniziato dalle circa sessanta selezionate dal 1996 ad oggi per il progetto ‘Scena Prima’) e sta conducendo un’indagine sulla storia e sullo stato attuale delle compagnie, che hanno partecipato al suddetto progetto.
In passato i gruppi esordienti potevano in sostanza entrare in relazione con la regione solo attraverso ‘Scena prima’(finanziato dalla legge 9/93), istituito nel 1996, in collaborazione con vari teatri milanesi.
L’ultima fase della nostra indagine sarà la tappa di Lunedì 13 dicembre 2004 a Milano, in spazio da definire. Una giornata di incontro organizzato con il sostegno della Regione Lombardia, in cui i dati della nostra ricerca verranno resi pubblici e nella quale verrà aperto un confronto sul progetto ‘Scena Prima’ e sulla sua futura utilità.
Lo scopo di Faq è quello di continuare a lavorare insieme, confrontandoci con altre istituzioni del nostro territorio, con gli enti teatrali e con ulteriori compagnie di produzione e di tentare di connettere in maniera stabile e costruttiva le compagnie lombarde con coordinamenti analoghi operanti in altre regioni italiane.


 

BP402
74.50 develop.net: teatro, centri sociali e spazi autogestiti
prototipo per un sistema teatrale
di Gian Maria Tosatti per develop.net

 

A tutti i responsabili di centri sociali e spazi autogestiti che operano (anche) nel campo delle arti performative rivolgiamo l’invito a prender parte in un progetto sperimentale mirato alla creazione di un coordinamento di spazi sul territorio nazionale con la finalità di creare un centro di ricerca nazionale in rete, per il teatro e la danza, che sostenga lo sviluppo dei percorsi artistici di tutte quelle realtà che al presente operano “fuori dal sistema”.


Durante la prima parte del 2004, la principale questione sollevata dal mondo teatrale è stata l’impossibilità dell’attuale sistema istituzionale a sostenere le correnti di sviluppo della scena contemporanea. Non staremo qui a ricordare i molti eventi importanti, dai dibattiti aperti sulle riviste, alle diatribe sindacali dell’Eti, all’individuazione di nuove prospettive economiche per il futuro.
Tra queste iniziative va certamente segnalato l’incontro del 16 luglio 2004 dal titolo Le vie possibili del nuovo teatro che si è svolto a Napoli nell’ambito del festival “Teatri di Napoli” e che avrà un seguito in un secondo incontro che si terrà il prossimo 6 novembre a Milano presso la Scuola Civica d’Arte Drammatica “Paolo Grassi”. (Si può leggere un resoconto dell’incontro di Napoli, a firma di Franco D’Ippolito, su www.ateatro.it. Sullo stesso sito è pubblicato l’articolo Le Buone Pratiche il 6 novembre a Milano)
L’appuntamento milanese di novembre servirà a definire alcune linee concrete di azione per apportare i necessari cambiamenti all’attuale logica produttiva e di mercato attualmente dominante che determina la crisi della nostra scena.
Il progetto al quale Vi invitiamo a partecipare nasce da una delle relazioni del convegno di Napoli che ha cercato di spostare l’attenzione dall’ipotesi di riforma del “sistema istituzionale” a un intervento di organizzazione atta ad ottimizzare e sviluppare le risorse di tutta quell’ampia fetta di artisti, operatori e strutture che non hanno rapporti con gli organismi istituzionali del Teatro nazionale, lavorano quotidianamente “fuori dal sistema” e per le quali gli attuali regolamenti non prevedono prospettive di un dialogo realmente funzionale con i soggetti istituzionali esistenti. Tali soggetti, tra cui centri sociali e associazioni varie, tuttavia, raccolgono la maggior parte delle forze produttive autogestite che fanno riferimento alla nuova scena.
Gli spazi autogestiti sono al presente le “cattedrali ignoranti” di un nuovo campo di lavoro che potrebbe razionalizzare le proprie risorse umane ed economiche per diventare il prototipo di un nuovo sistema teatrale in grado di assistere con maggiore continuità e impegno, e dunque con risultati migliori, il fermento della nuova scena che vive senza sovvenzioni o organi di monitoraggio adeguati.
L’intervento, che ha posto l’accento su questo problema e sulle possibilità di attingere a un bacino di risorse alternativo a quello “centralizzato” del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) o dagli enti locali per il Teatro, è stato tenuto da Gian Maria Tosatti, direttore della rivista settimanale on-line “LifeGate Teatro” e del gruppo di ricerca “Hôtel de la Lune”.
Milano sarà per noi l’appuntamento per un’ulteriore definizione delle possibilità di realizzazione del progetto develop.net e l’occasione per presentarlo a coloro che parteciperanno al convegno.
A seguito dell’incontro milanese, a Gian Maria Tosatti verrà affidata la guida di un tavolo di lavoro il cui scopo sarà mettere concretamente in pratica le proposte.
A questo tavolo di lavoro, che indicativamente si terrà a metà novembre, prenderanno parte tutti i responsabili di centri sociali o spazi sparsi su tutto il territorio nazionale che accetteranno la sfida di dedicarsi alle arti performative impegnandosi nel progetto sperimentale develop.net.
Il progetto prevede la creazione di un coordinamento tra le strutture aderenti, che sosterranno un anno di collaborazione estesa mirata a creare un grande centro di ricerca teatrale indipendente e autogestito con spazi dislocati nel nostro Paese, e a costituire il prototipo di un circuito produttivo e organizzativo alternativo e attivamente complementare a quello attualmente finanziato istituzionalmente.
Questa lettera invita tutti i responsabili di spazi e centri sociali che vorranno contattarci nell’eventualità di aderire al progetto, a partecipare all’incontro di Milano e, in seguito, a prendere parte al tavolo di lavoro per discutere e disegnare una proposta di collaborazione per il 2005.

Per develop.net
Gian Maria Tosatti

Roma, 31 agosto 2004

Per info e contatti scrivere a: develop.net@libero.it

Noemi Quarantelli (collaborazione organizzativa al progetto)

Per consentirci di fornirVi in tempo utile tutte le informazioni necessarie, Vi preghiamo di contattarci entro e non oltre la metà di ottobre.
Inoltre, sarebbe per noi estremamente prezioso ricevere da chi fosse interessato al progetto un breve resoconto delle attività svolte dal centro sociale o dall’associazione, e una descrizione degli spazi a disposizione.


 

BP403
74.52 Una società di servizi per il nuovo teatro
Per le Buone Pratiche
di Danny Rose s.c.

 
Fin dal primo anno del corso per operatori dello spettacolo e delle attività culturali della Scuola d’Arte Drammatica "Paolo Grassi" di Milano ci siamo resi conto delle grandi potenzialità che avrebbe avuto continuare a lavorare e a progettare insieme. Negli ultimi mesi della scuola e dopo il diploma abbiamo strutturato e fatto nascere la società cooperativa Danny Rose come risposta concreta all'istanza di diventare una rete e di mettere in comune le esperienze.
Il nostro maggiore punto di forza è senza dubbio la provenienza da diverse zone d'Italia; seppure abbiamo scelto come sede principale Milano perché è la città che ci accomuna, intendiamo diffondere l'attività anche altrove e questo ci è possibile perché ognuno di noi ha conservato dei forti rapporti con il proprio territorio. Decentrando così il lavoro riteniamo di poter avviare collaborazioni proficue con enti locali, ma anche con realtà istituzionali a più ampio raggio, nell’organizzazione di rassegne, festival, manifestazioni e eventi culturali.
Il secondo punto a nostro vantaggio è la provenienza dalla Scuola "Paolo Grassi" verso le cui produzioni e attività mostriamo sempre un certo riguardo; pur essendo una struttura indipendente, l'attenzione che abbiamo nei confronti dei giovani e delle nuove realtà ci impone di confrontarci continuamente con ciò che proviene dagli allievi e dagli ex allievi.
L'attenzione per i giovani si esplicita poi in modo preponderante nell'attività di casting: intendiamo creare un portfolio di volti di giovani attori e danzatori e svolgere la funzione di tramite fra questi artisti e le società che si occupano di produzione cinematografica, radio-televisiva e pubblicitaria. La specificità del servizio che vogliamo offrire è quella di occuparci di volti giovani che abbiano, però, una sviluppata competenza nella recitazione.
Intendiamo infine attivare seminari e laboratori, sia per ragazzi che per adulti, tenuti da giovani attori e registi, in risposta a una crescente richiesta di teatro come attività formativa e ricreativa, nonché occasione di incontro e conoscenza.

Nell'incontro a Milano del 6 novembre 2004 i sette membri fondatori di Danny Rose faranno la prima presentazione pubblica dell'attività della cooperativa.


 

BP404
75.52 369° per non girare su se stessi e tornare al punto di partenza
Sbagliare sempre meglio
di Valeria Orani

 

369° è nata un anno fa dall'intuizione di organizzatori provenienti da diverse esperienze e discipline dello spettacolo.
Il momento storico e sociale che vive la cultura in Italia (ed in particolar modo l’arte rappresentata), è forse il peggiore che la nostra memoria possa ricordare. E’ partendo proprio dallo studio analitico di questa realtà che nasce il nostro progetto organizzativo. Il doppio desiderio è sostenere il ricambio generazionale del pubblico teatrale attraverso la diffusione della cultura contemporanea italiana da un lato, e dare alle formazioni artistiche che possano essere riconoscibili nel panorama professionista contemporaneo, strumenti organizzativi concreti al fine di smantellare la figura dell'artista fac-totum a volte fallimentare, e ristabilire la figura dell'organizzatore e amministratore della produzione (assolutamente fondamentale ma sempre più fuori budget per queste realtà).
Abbiamo iniziato questo percorso in sordina, dedicando il nostro primo anno di vita allo studio e all'investimento di ciò che abbiamo portato come capitale sociale: l'esperienza. Abbiamo lavorato in sinergia con le formazioni artistiche e le organizzazioni (tra cui citiamo Rialto S. Ambrogio di Roma e Armunia) che ci hanno dato fiducia sempre attenti a non metterle a rischio, cercando di "sbagliare sempre meglio".
Abbiamo sperimentato quanto il dialogo possa creare la situazione ideale alla trasformazione in meglio del momento corrente, ed abbiamo individuato quali nostri primi interlocutori:
- le strutture canoniche, i circuiti teatrali, i festival nazionali ed internazionali, perché principali confluenti della veicolazione dei fondi per la cultura, e quindi impegnati al rinnovamento dell’offerta e della fruizione;
- le strutture non convenzionali (quali locali, alberghi, gallerie d’arte, circoli e associazioni culturali), gestite da privati mossi dalla passione per l’arte e convinti sostenitori della cultura.
- le formazioni artistiche che aderiscono al progetto e che rendano possibile da parte nostra l’auto-produzione di eventi e vetrine che possano racchiudere nelle scelte artistiche e organizzative tutti i nostri intenti.
- il pubblico, affinché grazie ad una promozione accurata e meticolosa possa diventare, com’è giusto che sia, l’unica vera risorsa economica.
La sensazione accumulata era quella di avere delle fantastiche auto da corsa chiuse nei garage e delle mulattiere sconnesse a disposizione per farle circolare. La nostra azione si doveva rivolgere verso la possibilità di creare delle strade più praticabili. Prima di risolvere il problema legato alla distribuzione ci dovevamo dedicare alla promozione sia delle formazioni artistiche sia del pubblico
Il nostro "grande" obbiettivo è quello di aprire un dialogo concreto e continuativo tra il mercato tradizionale a quello innovativo.
Il primo passo è stato quello di offrire un aiuto concreto alle formazioni artistiche, dando precedenza a quelle finanziate dallo stato e quindi obbligate a produrre un certo volume di attività, concentrandoci non nella distribuzione diretta degli spettacoli, ma nel fornire strumenti validi di diffusione e promozione a basso costo oltre che, se necessario e richiesto, offrire un punto di riferimento atto alla crescita dell’ entità organizzativa interna alla compagnia (se esistente) o alla creazione di tale figura, il fine è incrementare e non decentrare.
La 369° è oggi per i nuclei artistici che vi hanno aderito, un centro di raccolta, diffusione ed eventuale produzione del materiale informativo, ma anche un punto di riferimento per la risoluzione di problematiche ad-hoc (dalla contrattazione per la chiusura delle date alla discussione contrattuale con gli scritturati passando per il disbrigo delle pratiche ministeriali, ai solleciti di pagamento ecc.).
Ogni formazione artistica aderendo all'associazione sottoscrive un progetto di diffusione e promozione corale:
- un CR-ROM + DVD stampato in 500 copie e inviato due volte l'anno (la prima uscita è in spedizione proprio nella prima settimana di novembre, la seconda edizione sarà inviata a fine aprile) a circa 300 indirizzi di organizzazioni e operatori. All'interno tutto il materiale informativo sulle produzioni (foto ad alta risoluzione, schede tecniche, schede informative, rassegne stampa e video promozionali),
- un sito internet associativo che provvede ad aggiornare oltre che le informazioni contenute sul cr-rom, le date degli spettacoli, e le altre news legate per esempio all'attività laboratoriale.
- una mailing list che attraverso una news letter viene tenuta al corrente delle notizie relative agli appuntamenti e alle iniziative delle singole formazioni artistiche
- un archivio video dove sono custoditi I video integrali dei promo presenti nel DVD e che vengono inviati su richiesta direttamente dall'associazione alle organizzazioni che li richiedano.

Questo l’elenco delle formazioni artistiche che hanno aderito e che ringraziamo:

Teatro
Accademia degli Artefatti
Andrea Cosentino
Alessandro Benvenuti
Bobo Rondelli
Leonardo Capuano e Renata Palminiello
Caterina Venturini
Dioniso
Cosmesi
Fortebraccio Teatro
Patrizia Bettini e Alessandra Vanzi
I Barattieri con Anton Milenin
Libera Mente
Oscar de Summa
Tony Clifton Circus
Valentina Capone

Danza
Antonio Tagliarini
Atacama
Esse p.a.
Excursus
Fabio Ciccalè
Oretta Bizzarri
MAddAI
SAT Compagnia Caputo Senica
Sistemi Dinamici Altamente Instabili

Musica
Patrizio Fariselli
Mish Mash
Dj Soul Messanja (UK)
Cristiano Gullotta
Ecovanavoce

La 369° è nata in seno alla Benvenuti srl di Alessandro Benvenuti; senza la sua complicità, il suo sostegno, la sua ospitalità, sarebbe stato molto difficile anche solo costituirci.

Valeria Orani
369°ass.cult. - centro diffusione cultura contemporanea
Viale dei Quattro Venti, 247
00152 Roma
valeria@369gradi.it


 

BP405
73.88 Nasce IRIS, l'associazione sud-europea per la creazione contemporanea
Raccoglie 55 teatri e festival di Francia, Italia, Spagna e Portogallo
di IRIS

 

Lo scorso venerdì 23 luglio, ad Avignone, durante i giorni del Festival, è stata ufficialmente costituita IRIS, Associazione sud-europea per la creazione contemporanea. Membri fondatori dell’Associazione sono 55 organismi di quattro Paesi: Italia, Francia, Spagna e Portogallo. Sono teatri e festival che lavorano e producono nell’ambito della creazione contemporanea dello spettacolo dal vivo.
La costituzione dell’Associazione è il risultato di una serie di incontri che hanno avuto inizio a Modena nel dicembre 2003.
IRIS ha sede in Francia, a Parigi, e si pone come obiettivo principale quello di favorire e sostenere nuove dinamiche e nuovi progetti formativi e produttivi di artisti indipendenti. L’intenzione è migliorare le condizioni di produzione e distribuzione dell’arte scenica contemporanea nel circuito europeo, di garantirne una continuità, e contemporaneamente di rivendicare la necessità di un’attenzione specifica da parte delle istituzioni europee, nazionali e locali.
Si vuole altresì favorire un continuo scambio di idee, che rafforzi la conoscenza reciproca delle realtà artistiche e dei progetti dei Paesi rappresentati.
In occasione della costituzione ufficiale è stato nominato il primo Consiglio d’Amministrazione, di cui fanno parte tre membri di ciascun Paese, che si è riunito a Parigi il 10 settembre scorso. In questa occasione la prima assemblea dell’Associazione è stata convocata per il 26 e 27 novembre a Madrid. L’Assemblea dei soci ha nominato alla Presidenza Pietro Valenti, Direttore di Emilia Romagna Teatro Fondazione.

IRIS
Membri Fondatori


Francia

Didier Thibaut, La Rose des Vents, Villeneuve d’Ascq
Dominique Jambon, Espace Malraux, Chambery
Patrick Ranchain, La Caserne, Marsiglia
Marie-Odile Wald, Théâtre National de Bretagne, Rennes
Jean-Marie Horde, Théâtre de la Bastille, Parigi
Alain Fourneau, Les Bernardines, Marsiglia
Mireille Guerre, Les Informelles, Marsiglia
Cristiano Carpanini, L’Officina, Marsiglia
José-Manuel Gonçalves, La Ferme du Buisson, Marné-La-Vallée
Salvador Garcia, Scéne national Bonlieu, Annecy
Jean-Paul Angot, Le Cargo, Grenoble
Vincent Baudriller, Festival d’Avignon
Antoine Conjard, l’Hexagone Scéne national, Meylan
Angelina Berforini, Centre Dramatique National, Caen
Laurie Marsoni, Théâtre National de Toulouse, Tolosa
Richard Coconnier, Centre Dramatique National, Bordeaux
Jacky Ohayon, Théâtre Garonne, Tolosa
Gildas Le Boterf, La Halle aux Grains, Blois
Corine Gaillard, Le Lieu Unique, Nantes
Marie Collin, Festival d’Automne, Parigi
Monique Guillouet, Le Théâtre Scéne national, Auxerre
Dominique Chenet, Théâtre d’Arles
Marc Belit, Le Parvis, Ibos-Tarbes

Italia

Pietro Valenti, ERT Fondazione, Modena
Massimo Paganelli, Armunia, Castiglioncello
Luca Dini, Fondazione PontederaTeatro – Fabbrica Europa Firenze
Paolo Aniello, CSS, Udine
Isabella Lagattolla, Festival delle Colline Torinesi, Torino
Velia Papa, Inteatro, Polverigi
Gianfranco Capitta, Fondazione Orestiadi, Gibellina
Igina Di Napoli, NuovoTeatroNuovo, Napoli
Claudia Zeppi, La città del Teatro, Cascina
Marcella Nonni, Ravenna Teatro
Silvia Bottiroli, Santarcangelo dei Teatri
Roberto Ricco, Teatro Kismet, Bari
Franco Ungaro, Teatro Koreja, Lecce
Ninni Cutaia, Teatro Mercadante, Napoli
Alessandro Bertini, Teatro Metastasio, Prato,
Franco Ruggieri, Teatro Stabile dell’Umbria, Perugia
Gigi Cristoforetti, Festa del Circo, Brescia

Portogallo

Rui Sena, Quarta Parede, Covilha
Miguel Honrado, Teatro Viriato, Viseu
José. A Laginha, Devir, Faro
Luisa Taveira, CCB, Lisbona
Giacomo Scalisi, CCB, Lisbona
Gil Mendo, Culturgest, Lisbona
Fracisco Frazao, Culturgest, Lisbona
Vasco Neves, Festival Citemor, Montemor-O-Velho
Luis Firmo, Transforma, Torres Vedras
João Aidos, Teatro Aveirense, Aveiro
Vasco Macide, A Oficina, Guimarães
Renzo Barsotti, Festival Sete Sois Sete Luna, Lisbona
Isabel Barros , Balleteatro
Gabriela Cerqueiera, Istituto des Artes, Lisbona

Spagna

José A. Sanchez, Université de Cuenca
Andres Morte, Mercat de las Flors, Barcellona
Jordi Tort, Teatro Lliure, Barcellona
Laura Extébarria, La Fundicion, Bilbao
Manuel Llanes, Teatro Central, Siviglia
Maral Kekejian, Teatro Pradillo, Madrid
Matéo Feijoo, Festival Escena Contemporanea, Madrid
Oscar Deasi, La Porta, Barcellona
Paz Santa Cecila, Valencia Escena Oberta, Valencia
Simona Levi, Festival Inn Motion, Barcellona
Tena Busquet, Teatro Principal, Olot
Margarida Troguet, Teatro Municipal, Lleida


 

BP406
75.85 Un progetto di formazione continua in rete per le arti dello spettacolo
I Cantieri dello spettacolo della Regione Puglia
di Roberto Ricco

 

Introduzione
Il progetto Cantieri dello spettacolo nasce in un momento di grande consapevolezza delle necessità e dei limiti alla crescita organizzativa da parte delle strutture storiche del teatro pugliese e di forte sviluppo di nuove realtà di buon valore qualitativo. Realtà che abitano centri minori ma che dialogano intensamente con le organizzazioni storiche.
In secondo luogo l’endemica ridotta capacità di spesa delle amministrazioni locali e una conoslidata tradizione di lavoro nell’ambito socioeducativo hanno determinato una capacità delle strutture teatrali ad aggiungere al tradizionale ambito del teatro una serie di attività sostenute da altre fonti economiche (fondi U.E., fondi della scuola, dei servizi sociali, per la formazione professionale) e di un conseguente dialogo con le dirigenze dei relativi uffici amministrativi. Questo dialogo "trasversale", una sempre maggiore dimestichezza con i problemi della formazione, alcune precedenti esperienze sia di lavoro comune che di approccio imprenditoriale ai temi dell’organizzazione per la cultura, sono alla base della nascita del progetto.
La filosofia su cui si basa il progetto può essere riassunta in tre temi fondamentali:
- cercare fuori dalla Puglia quelle esperienze organizzative qualitativamente elevate e riprodurle in loco (benchmarking, per usare un termine d’impresa) con gli adeguati adattamenti (docenti come consulenti)
- rinnovare i contenuti e le pratiche di alcuni aspetti dell’organizzazione della cultura attraverso l’apporto di figure di esperti esterni al settore ma sensibili ai temi della cultura. Attraverso questo dialogo cercare di rinnovare schemi organizzativi che nel nostro settore risultano in forte ritardo rispetto al panorama generale
- attivare le capacità di autoapprendimento delle organizzazioni attraverso modelli di lavoro formativo autonomo e condiviso (i cantieri) e valorizzare le competenze acquisite dalle strutture negli anni precedenti.

Presentazione sintetica del progetto Cantieri dello Spettacolo Cantieri dello spettacolo è ad oggi la più importante esperienza italiana di formazione continua nel settore dello spettacolo. Il progetto si caratterizza per la sua dimensione, per l’articolazione della proposta formativa e per l’innovatività dei modelli di formazione.
Il progetto nasce in Puglia e vede coinvolte cinque realtà teatrali protagoniste del rinnovamento della scena regionale e nazionale negli ultimi venti anni, sostenute da una struttura di formazione, l’ associazione Polimnia, la compagnia teatrale Cerchio di Gesso – Foggia, la compagnia teatrale Crest – Taranto, la compagnia Granteatrino – Bari, i cantieri teatrali Koreja, teatro stabile di innovazione – Lecce e il Teatro Kismet OperA, teatro stabile di innovazione - Bari

Il progetto è finanziato dal programma di Interventi di promozione di Piani Formativi aziendali, settoriali e territoriali di formazione continua dell’Assessorato alla Formazione Professionale della Regione Puglia in attuazione della Legge dello stato 92/2000.

Le principali dimensioni dei Cantieri
- cinque imprese in rete per un totale di 90 occupati nei settori artistico, tecnico, gestionale e amministrativo
- 75 persone coinvolte nei percorsi di formazione
- 950 ore di formazione nel corso di sedici mesi
- 26 differenti moduli formativi
- 2 attività di bilancio di competenze per 75 persone
- 2 incontri informativi pubblici
- sviluppo di un sito web

Gli ambiti tematici dei moduli formativi:
- comunicazione e marketing
- sviluppo di software gestionali
- competenze creative a supporto del lavoro tecnico (luce, suono, scena)
- nuove tecnologie nel settore tecnico
-sviluppo di nuovi modelli di gestione amministrativa, del personale, dell’organizzazione
- sviluppo software di gestione e del botteghino
- progettazione, networking e fund raising in ambito europeo
- promozione culturale in relazione ai progetti di produzione teatrale
- formazione degli spettatori

Per la prima volta verrà sperimentato il modello dei Cantieri, un project work, che trasforma un percorso di ricerca e produzione teatrale in un grande laboratorio di apprendimento destinato alle diverse figure professionali: artistiche, organizzative e tecniche.

Cantieri dello spettacolo è stato avviato nel mese di dicembre 2002 per terminare nel marzo 2003.

I rapporti con le istituzioni
Se la crescita di consapevolezza e dialogo delle imprese teatrali raggiunge risultati positivi in termini di beneficio per la popolazione e il territorio, anche le Pubbliche Amministrazioni dovranno poter trovare forme di collaborazione più ampia per garantirsi migliori risultati nell’azione pubblica.
Oltre allo spettacolo e alla crescita dei livelli di cultura si tratta di benefici che toccano competenze sociali, educative e di sostegno allo sviluppo.
Questo ruolo a più ampio spettro costituisce una caratteristica comune a molte delle organizzazioni e imprese che agiscono sul territorio. Questa omogeneità pone un quesito sull’esistenza di un sistema di imprese culturali che va osservato e valorizzato nell’offerta di collaborazioni di maggiore peso e ampiezza.
Le forme di queste collaborazioni, gli obiettivi, i modi, pur beneficiando di alcuni esempi, non hanno ancora trovato forme adeguate.
Attorno alle opportunità, gli obiettivi e le forme vorremo concentrare l’ultima sezione del convegno, per riflettere su alcuni esempi, dialogare su un possibile sistema e offrire idee per un più efficace sviluppo futuro.


 

BP501
75.64 Fare teatro nei musei
I progetti di Outis
di Angela Lucrezia Calicchio

 

Mi piace l'espressione "buone pratiche". Ha il sapore delle cose antiche, fa pensare alle grandi cucine, all'artigianato... alle cose fatte con cura e con amore, in contro tendenza con gli inglesismi da new economy. Eppoi è "pensare positivo", un segnale di generosità che cerca di capitalizzare le esperienze contro una diffusa ansia da concorrenza che circola tra gli addetti ai lavori.
Outis è un organismo che promuove la drammaturgia contemporanea. Un'attività che comprende l'organizzazione di iniziative autonome e di quelle che rispondono a necessità tematiche.
Abbiamo ideato e organizzato alcune rassegne di teatro al di fuori dei luoghi per cosi dire canonici, ossia presso il Padiglione d'Arte Contemporanea, il
Museo Bagatti Valsecchi, Sabbioneta, eccetera.
Al PAC: TRAMEJAZZGALLERY (2002), per la mostra dell'artista iperrealista americano Duane Hanson - 30 sculture più vere del vero -;
TRAMENOTE (2003), per la mostra Utopie quotidiane: l'uomo e i suoi sogni nell'arte dal 1960 ad oggi;
MALDAFRICA per Double Dress, dell'artista nigeriano Yinka Shonibare.
Per il Bagatti Valsecchi, essendo una casa-museo, le quattro rappresentazioni teatrali, si sono ispirate al tema della casa e della famiglia.
Non è la prima volta, ma un elemento di novità è affiorato.
L'intento era quello di uscire dai consueti confini della geografia drammaturgica utilizzando spazi inconsueti e attirando un pubblico incuriosito non solo dai testi che si venivano rappresentando. Iniziative che hanno avuto un immediato ed entusiastico riscontro, tanto è vero che ci siamo trovati di fronte a persone che si sono mosse seguendo non un solo interesse culturale. In un caso la proposta teatrale è stata offerta in un ambiente dove il perno dell'avvenimento era squisitamente artistico - sculture, quadri eccetera - nell'altro caso le pièces, fatte scrivere appositamente, sono state inserite in un ambiente museale, col risultato di trovare dinanzi a noi non solo spettatori o solo visitatori, ma spettatori-visitatori.
Tutto questo ha avuto come premessa il nostro sforzo di scegliere temi e situazioni in sintonia con l'ambiente e lo sfondo, di documentarci, di compenetrarci con gli artisti in questione. Insomma abbiamo studiato e ci ha fatto bene. E' risultata un'operazione estremamente stimolante, convinti come siamo che oggi si debba uscire sempre più spesso dagli angusti spazi corporativi per viaggiare in terreni all'apparenza sconosciuti, o comunque tenuti in poca considerazione come luoghi deputati al "fare" teatro. Questa "trasferta" è stata quanto mai aderente all'imperativo, di fronte al quale non si può mostrare indifferenza o pregiudizi, di affiancare le diverse manifestazioni dell'arte, di intrecciare le spinte immaginative, di misurarsi con i molteplici prodotti della creatività.
La reazione del pubblico è stata per noi incoraggiante: i visitatori richiamati dalla mostra non hanno subìto l'intrusione del teatro e mai l'hanno considerato un "corpo estraneo", ma l'hanno vissuto in quanto naturale contorno e appendice del pensiero dell'artista. Al contempo gli spettatori richiamati dal teatro si sono felicemente sentiti immersi in uno scenario che rimandava ad altri stimoli, ad altre connessioni di pensiero. In entrambi i casi, visibilissimo è stato l'intento di proporre le varie manifestazioni artistiche dell'uomo non come "camere stagne", come terreni ostinatamente non comunicanti. In questo senso siamo più che convinti che oggi la comunicazione - una delle parole chiavi del mondo contemporaneo- si debba attuare non solo tra testo teatrale e pubblico, ma anche tra testo e ambiente, sulla scia di una contaminazione di contenuti e non certo di forme. Non un flusso di pensieri e di emozioni che va da nord a sud, ma una triangolazione che permette di inventare percorsi fantastici e del tutto nuovi. Da questa visione la drammaturgia contemporanea potrebbe uscirne rafforzata e, in qualche caso, emanciparsi dalle secche in cui il teatro la costringe a stare.


 

BP502
75.69 Parola di teatro
Sinergie di competenze per una maggiore e migliore visibilità del teatro
di Valeria Ottolenghi (A.N.C.T.)

 

"Ripensare alle forme della visibilità, coinvolgere istituzioni pubbliche e associazioni, ordine dei giornalisti e studiosi, ridisegnando anche la mappa deontologica relativa alla suddivisione dei campi di competenza, mantenendo vivo il dialogo con artisti e studiosi, organizzatori e critici. Antiche questioni? Certo, ma che si sono andate sempre più aggravando. Che fare?":

iniziava così la lettera di convocazione per Parola di Teatro a Castiglioncello/Armunia, l'incontro promosso dall'A.N.C.T., Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, che, affrontando diverse questioni legate all'informazione/ alla formazione della cultura teatrale aveva già in progetto un percorso di appuntamenti diversificati a partire dalle specifiche esigenze dei teatri, degli enti promotori, del territorio.

Davvero numerosi gli intervenuti, specie tenendo conto dell'invito in tempi brevi. E un nuovo, veloce gruppo di studio si è formato poco dopo a Volterra - e tantissime sono state le «adesioni a distanza», di chi, sapendo di questa iniziativa, e non potendo partecipare, dichiarava il proprio esplicito interesse. Le difficoltà dei giornali e il bisogno di magazine televisivi, la visibilità dei festival e delle rassegne concentrate nel tempo, la funzione della critica e la ricerca, lo spazio delle riviste on line e il dialogo con le istituzioni, l'Eti e l'Ordine dei Giornalisti, la formazione, l'aggiornamento dei tanti critici che lavorano nei giornali di provincia e il dialogo con l'università, le alleanze con chi scrive di letteratura, cinema, danza, etc per la rivalutazione del confronto critico con il pubblico/ i lettori dei giornali, e così via.

Moltissime le questioni emerse: pur riconoscendo situazioni estremamente positive nella direzione della crescita della cultura del teatro, specie per quel fenomeno della «provincia della provincia» che disegna «nuove geografie del teatro» (vedi i convegni di Urgnano e Fiorenzuola) con la moltiplicazione di spazi teatrali, nuovi pubblici, tanti spettacoli di pregio, anche della ricerca, flessibili alle origini, è risultato evidente lo stato di disagio diffuso a più livelli, pochissimi soldi, spesso scarsa comprensione e intelligenza da parte degli amministratori, difficoltà di varia natura (non sempre i direttori artistici per esempio possono girare come vorrebbero per vedere gli spettacoli, così da sceglierli, dare loro visibilità al più presto).

Copiosi, aggrovigliati i problemi emersi - e nessuno naturalmente aveva (e credo abbia ora) soluzioni ad effetto rapido. Tante volte è stato citato questo incontro di Milano che già si sapeva avrebbe promosso Oliviero/www.ateatro.it in autunno, immaginando diverse convergenze (in verità allora non era affatto chiaro il tema guida, s'immaginava un appuntamento più squisitamente politico). A Volterra decidendo infine di «utilizzare» – come in effetti si sta facendo ora – tale incontro come cassa di risonanza per Parola di teatro, anche per individuare altre alleanze, diverse direzioni di lavoro.

Ed eccoci qui. A Cartoceto c'è già stata una breve, ma importante tappa di riflessione, legata in particolare alle forme della visibilità degli spettacoli realizzati da persone «diversamente abili» (in molti casi difficile anche il linguaggio della recensione!)

E inevitabilmente si ritorna al Che fare? Intanto, proprio come buona pratica, è bene frantumare tutte le barriere tra uffici stampa, critici, direttori artistici, studiosi per promuovere una «sana» cultura teatrale, attraverso tutte le forme ritenute via via più idonee, incontri, dibattiti, concorsi aperti di recensioni teatrali per le superiori e gli studenti dell'università, esperienze di indagine critica all'interno delle scuole di teatro, e così via. Superando anche ogni rigidità deontologica: oggi chi conosce bene il teatro, ha visto e incontra tante produzioni, scrive, ha competenza e sensibilità, è bene che «spenda» tutto questo sul maggior numero di fronti. Al diavolo la purezza, spesso tanto ipocrita! Certo il regista di uno spettacolo non lo deve recensire, è più che ovvio, così come un critico che affianca in vario modo un teatro, magari curandogli la comunicazione on line, è bene che non scriva degli spettacoli che quello stesso teatro produce. Banalità. Al di là di questo tutto deve essere lecito, anzi incoraggiato! Una vera e propria buona pratica! Non solo perché oggi chi sa tanto di teatro non può vivere di sola critica (ci sono delle eccezioni? forse!) ma anche perché la vasta conoscenza permette, per esempio, di realizzare – o favorire attraverso varie forme di consulenza – delle stagioni, dei festival più direttamente legati alla contemporaneità.

Perché non bisogna dimenticare che al centro di tutto c'è la questione della visibilità, della fruizione degli spettacoli di qualità il più presto possibile e nelle condizioni migliori.

Quali altre buone pratiche a tal fine? Parola di Teatro riprenderà il suo percorso, riallaccerà i fili proprio durante e subito dopo questo convegno. Quale teatro, festival, rassegna vorrà affrontare questa o quella questione? Il problema della contemporaneità e della formazione del pubblico, dell'informazione e del linguaggio della critica, dei giornali locali e nazionali, degli interlocutori istituzionali a più livelli e delle possibili funzioni delle rassegne estive, e così via.

Poiché assai alto è il desiderio di dialogare, di fruire/produrre cultura (vedi anche gli esempi del festival della letteratura di Mantova o della filosofia di Modena, tra l'altro sempre più fitti, non casualmente, di teatro) si ritiene importante, in questi tempi davvero bui, colmi di tanta sofferenza nel mondo e di facile cattiveria anche tra vicini, cercare di cucire reti, definire alleanze, sperimentare, quando e come possibile, sinergie positive: Parola di Teatro è un'occasione per ragionare insieme su singole questioni legate concretamente a specifiche realtà cercando di risolverle. Non solo parole: piuttosto strategie, alleanze di lavoro. E il singolo tema s'inserisce in un quadro più vasto, di maggior respiro, più appuntamenti che avranno anche successivi momenti di confronto generale. Castiglioncello/Armunia, il Castello e l'ottimo Paganelli sono pronti ad accogliere questa riflessione più ampia, magari anche per vedere insieme – spero che Oliviero sia d'accordo – se i modelli di tante buone pratiche abbiano saputo contagiarsi, attecchire, dare buoni frutti. Questo davvero l'augurio!


 

BP503
72.81 Il nuovo cinema che viene dal teatro: sei compagnie emiliano-romagnole e un inedito progetto per il cinema italiano
Fanny & Alexander, Motus, Societas Raffaello Sanzio, Teatro delle Albe, Teatrino Clandestino, Zapruder, Downtown Pictures e Regione Emilia-Romagna
di Associazione Luz

 

Costruire nuovi percorsi per il cinema italiano è l’obiettivo che unisce cinque compagnie teatrali (Fanny & Alexander, Motus, Societas Raffaello Sanzio, Teatro delle Albe, Teatrino Clandestino), i videoartisti Zapruder, la casa di produzione cinematografica Downtown Pictures ed Emilia Romagna Teatro Fondazione, il Teatro Stabile Pubblico della Regione Emilia-Romagna. Queste otto realtà, radicate sul territorio emiliano-romagnolo, hanno creato l’Associazione Luz, sostenuta fortemente dalla Regione Emilia-Romagna, le cui finalità sono articolate e ben definite: la stesura di sei sceneggiature, l’attività formativa, gettare le basi per la realizzazione di sei lungometraggi diretti dai registi delle compagnie.
La contaminazione tra teatro, cinema e videoarte sarà capace di dar vita a una creatività straordinariamente lontana dall’ovvio: i sei gruppi sfidano il cinema contagiandolo con il proprio immaginario e portano a una mutazione la propria ricerca grazie al cinema. Sulla potente originalità di questo reciproco scambio non ha avuto dubbi Marco Müller, che è stato ideatore e promotore dell’intera iniziativa, anche se ha potuto seguirla solo fino alla sua nomina a Direttore del Settore Cinema della Biennale. Müller ha trovato un sostanziale appoggio in Emilia Romagna Teatro Fondazione, che si è unita nella stimolante avventura dell’Associazione Luz. Ugualmente la Regione Emilia-Romagna, tramite l’Assessorato alla Cultura, ha intravisto nel progetto un importante strumento per consolidare le realtà artistiche presenti sul territorio e rilanciare il cinema emiliano-romagnolo. Sarà poi compito dei produttori cinematografici raccogliere il testimone dell’Associazione e procedere alla realizzazione dei film.
Una nuova proposta per la formazione cinematografica è l’altra importante finalità dell’Associazione Luz: questo obiettivo si concretizza in un progetto formativo indirizzato ai giovani che vogliono cimentarsi con la creazione e l’ideazione di progetti per il cinema. L’idea è creare corsi di regia e sceneggiatura dal taglio innovativo, in cui la riflessione sulla contaminazione tra cinema, teatro, musica e narrativa, indirizzi un nuovo modo di vedere la regia e la sceneggiatura cinematografica, nella convinzione che la sperimentazione del fare scaturisca da un processo di interscambio tra i differenti linguaggi artistici.
La creazione dell’Associazione Luz, un soggetto collettivo di indubbio valore culturale, lancia un segnale di rilievo nazionale: non si tratta qui di registi che tentano semplicemente di promuovere la propria individualità artistica, ma di un’Associazione che ha scelto di essere tale, consapevole del valore aggiunto che scaturisce da una finalità comune. I gruppi che si sono riuniti in questo progetto vantano percorsi solidi e di altissimo valore artistico, poetiche riconoscibili che hanno portato una ventata di innovazione nel teatro italiano, rapporti di coproduzione a livello internazionale, apprezzamenti e considerazione in tutta Europa. L’Associazione Luz è la piattaforma ideale per realizzare lavori autonomi e singolarmente caratterizzati, sempre preservando l’idea di un progetto unitario. Piattaforma che rende l’esperienza del nuovo teatro il terreno su cui tracciare percorsi cinematografici sorprendenti.

I sei progetti cinematografici sono (in ordine di date di realizzazione):

Teatrino Clandestino
Backstage
regia di Pietro Babina. "Un’organizzazione terroristica infiltra alcuni suoi uomini tra i partecipanti di una trasmissione televisiva, simile al Grande Fratello. La trasmissione ha inizio. Dopo alcuni giorni, i terroristi riveleranno la loro vera identità e le loro vere intenzioni, prendendo in ostaggio tutti gli altri partecipanti. I terroristi sfrutteranno il set televisivo in tutte le sue potenzialità comunicative, riassegnandogli simbolicamente un nuovo valore. Analizzare lo spettacolo come possibile forma di terrorismo, più che il terrorismo come una forma di spettacolo è l’idea da cui prende forma il soggetto di Backstage."
Primo progetto; luglio-dicembre 2004.

Teatro delle Albe
L’orma tagliata
(titolo provvisorio) regia di Marco Martinelli. "Poesia, magia e sogni di rivolta: un "western" mazziniano-eretico, la storia di una guaritrice di villaggio, da tutti considerata una "strega", ambientata in una sperduta, barbara Romagna tra Otto e Novecento, un mondo alla rovescia brulicante di ribelli, anarchici e briganti. Come sempre nella poetica delle Albe, la Romagna è ancora una volta se stessa e qualcosa di più, un microcosmo che nasconde mitologie, esseri "mutanti" e astratti furori di un’umanità alla perenne ricerca del cammino da seguire. E da smarrire incessantemente."
Secondo progetto; gennaio-giugno 2005.

Fanny & Alexander

Today regia di Luigi De Angelis. "Today è la giornata particolare in cui tre personaggi, due uomini e una donna, portano alle estreme conseguenze la loro comune ossessione: il rapporto che ognuno di loro intrattiene con l’arte e le conseguenze che questo rapporto ha nella vita reale. Tutti tentano di coincidere con un personaggio, fino a perdere i confini tra l’opera d’arte e la propria realtà psichica. Un gioco perverso in cui i personaggi da loro creati finiranno per assumere una forma ulteriore, una loro tremenda ed autonoma vita."
Terzo progetto; luglio-dicembre 2005.

Motus
Altofragile
(titolo provvisorio) regia di Enrico Casagrande. "Adolescenze e periferie, questo il nuovo progetto europeo di Motus per il prossimo triennio, che porterà alla realizzazione di una sceneggiatura filmica attorno alle vicende di due fratelli, lei di 17 anni e lui di 14, che, un po’ come i Ragazzi terribili, restano soli e si affacciano al mondo. Un film-documentario, nato anche da reali episodi di vita di adolescenti che Motus incontrerà in una serie di workshop, in varie zone periferiche italiane ed estere, dove, sulla scia del viaggio iniziato con Pasolini continuerà a scavare fra le derive urbane ed i gruppi di giovani che si raccolgono ai margini dei grandi centri commerciali."
Quarto progetto; gennaio-giugno 2006.

Societas Raffaello Sanzio
Film marrone
(titolo provvisorio) regia di Romeo Castellucci. "Il soggetto del film – che si sta disegnando in questo periodo- si riferisce alla storia di una persona. Una persona fisica e precisa ma, al contempo, nessuno in particolare. Le epoche e i luoghi cambiano come in un rotolo impresso e tuttavia il tempo trascorso sarà solo quello di una sera. Sarà un film che rientra nella categoria del terrore nonostante la distanza siderale rispetto al genere."
Quinto progetto; luglio-dicembre 2006.

A. Zapruder
Dominium
regia di David Zamagni. "Dominium è il nome di una lussuosa nave da crociera, la migliore che si possa desiderare. Una strana sindrome poco alla volta colpisce gli ospiti della nave: essi tacitamente decidono di non avere più contatti con l’esterno; vi resteranno reclusi, volontariamente. L’essere parte di quell’organismo autosufficiente risveglia in loro impulsi primitivi (di associazione, distruzione, conquista…). Convenzioni e buone maniere sono lasciate fuori, Dominium diventa teatro di lotte tra improvvisati clan rivali. Della nave attraccata a pochi km dalla costa emergerà sempre più l’aspetto monumentale e minaccioso. La situazione è destinata al collasso: telecamera in spalla, il documentarista Alan Back registra la sgangherata e spietata lotta tra gli abitanti di quella comunità verticale. La malattia del domicilio, la supremazia del luogo su chi lo abita, è un’ossessione morbosa che porta all’alienazione. In Dominium la "malattia" colpisce un’intera collettività. Genere: fantascienza".
Sesto progetto; gennaio-giugno 2007.

ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione
Per il Teatro Stabile della Regione, la partecipazione all’ Associazione Luz è in linea con il disegno culturale da tempo perseguito, disegno che si contraddistingue per la condivisione di progetti con personalità artistiche fortemente radicate sul territorio, nonché per il ruolo di interlocutore attivo sul piano della produzione culturale.

Downtown Pictures
La Downtown Pictures dalla sua nascita ha scelto di scommettere su nuovi talenti e di frequentare i territori cinematografici emergenti, alla ricerca di creatività sorprendenti, da rendere più visibili e manifeste. Le produzioni Downtown sono all’insegna del "cinema di confine", da intendersi non solo in senso estetico e geografico, ma soprattutto in termini di scambio e rapporto con altri linguaggi e forme d’arte. La zona di confine tra il cinema e il teatro apre scenari carichi di potenzialità, che sarà interessante e prezioso sviluppare.


 

BP504
75.89 Tecniche e valori di scambio reciproco fra cinema e teatro
La proposta di "Comedy"
di Claudio Braggio

 

Nella commedia mi piace trovare quell’armonia tra sentimento ed intelligenza che l’ironia sa ben dare, per questo motivo con altri ci stiamo impegnando a dar vita all’associazione culturale Commedia Community, di cui sono l’attuale vicepresidente, che ha quale scopo la promozione del cinema, dell’audiovisivo e del teatro in forma di commedia, nonché di tutte le forme d’espressione artistica che hanno come caratteristica principale l’umorismo.
Le argomentazioni proposte a questo convegno sulle "Buone Pratiche" sono da riferire al percorso delle iniziative denominate "Comedy" e delle future "Giornate sulla sceneggiatura umoristica di Commedia Community" a partire dall’anno 2005.
Stiamo ipotizzando una struttura stabile, che riproponga ogni anno un percorso fatto di progettualità e scambi di idee e sebbene ci stiamo radicando sul territorio della provincia di Alessandria, non vogliamo considerarlo un limite bensì una semplice collocazione geografica necessaria.
Infatti il primo evento vedrà un raccordo con strutture che si occupano principalmente di cinema non soltanto in Italia, ma anche in alcuni Paesi Europei.
Non consideriamo in modo esclusivo la commedia che nasce come cinematografica, ma sarà questo l’elemento di attenzione nelle giornate di studio, nei workshop teorico-pratico per filmakers e negli incontri con professionisti di settore, ovvero gli autori in primo luogo, che si ritroveranno anche con registi, produttori cinematografici e televisivi e dei new media, finanziatori, eccetera.
Luoghi ed occasioni d’incontro per scambiare idee ed esperienze, avendo come modello strutture similari già attive in altri specifici settori, in cui vengono attivati mercati per la ricerca e la proposta di progetti cinematografici (co-produzioni, cessione diritti, vendita sceneggiature, eccetera).
In queste occasioni vengono attuati in particolar modo due percorsi che sono ad un tempo di proposta e di formazione della proposta stessa secondo standard europei, ovvero di messa a punto del progetto (avverto che è necessario avere in mano almeno il trattamento ed aver sviluppato una buona parte della bibbia).
La prima buona pratica che intendo suggerire concerne due metodi di lavoro che vengano adottati in questo genere di mercati, diffusi in Europa, ma che in Italia al momento si limitano agli annuali "Documentary in Europe" che si svolge a Bardonecchia e "Book Film Bridge" che si sviluppa a latere del Salone del Libro di Torino con la particolarità di trattare dei diritti per la trasposizione in film di un romanzo e viceversa.
A questo proposito vorrei suggerire la creazione di un mercato dei diritti o meglio ancora delle idee teatrali, da porre in rapporto di reciproco scambio con editoria, cinematografia, new media, eccetera, quindi sarebbe opportuno avvalersi di strumenti collaudati strumenti quali sono il match-making ed il pitching.
Il "MATCH-MAKING" vuol essere una opportunità offerta ad autori per proporsi formalmente al mondo produttivo essendo formula di collegamento fra la fase creativa e quella della produzione.
Si tratta sostanzialmente di un laboratorio intensivo di preparazione, a cui si accede con progetti specifici, e solitamente dura almeno un paio di giorni sotto la conduzione di alcuni commissioning editors per le opportune revisioni tecniche e di presentazione per la fase finale.
I progetti vengono quindi presentati a registi e produttori in cerca di nuove idee, avviando una sessione plenaria dei partecipanti, finalizzata all’incontro tra autori che si rendendo disponibili per una sessione di domande e risposte, con l’obiettivo di stabilire un contatto con produttori per arrivare ad un primo contratto di opzione sui loro progetti.
"PITCHING" è un’espressione mutuata dal baseball e significa "lanciare la palla", che nel mondo della produzione televisiva e cinematografica si utilizza per definire il lancio un'idea nella speranza che venga raccolta per essere realizzata.
Nella sostanza si sviluppa nel corso di una giornata con la presentazione pubblica di progetti rivolta a società di produzione cinematografica e televisiva, ma è preceduto da un paio di giornate per un laboratorio di preparazione condotto da esperti produttori e solitamente riguarda progetti selezionati.
Presentazione e discussione per ciascun progetto durano mediamente 15 minuti e l’iscrizione considera ogni singolo progetto che s’intende proporre ed è possibile aggregare ad ogni progetto un secondo partecipante in aggiunta al titolare dell’idea.
Lo scopo è quello di presentare progetti strutturati a distributori e finanziatori, nell’intento di stabilire intese di co-produzione o pre-vendita.
La seconda buona pratica che intendo proporre riguarda aspetti che più attengono al gusto e quindi anche ai contenuti delle idee, giacché considero come utile il rapporto il reciproco scambio che talvolta cinema e teatro attuano.
Il miglior terreno di confronto è certamente quello della commedia e quindi della scrittura umoristica, tutt’altro che aliena dall’eventuale trattazione di argomenti di marcata connotazione sociale e/o politica.
Quel che occorre a tutti noi autori sono la buona pratica e la frequentazione, quindi ritengo necessaria l’organizzazione di seminari work-shop che abbiano quale elemento centrale i vari aspetti di questo rapporto fra teatro e cinema che spesso produce benefici effetti per entrambi i settori dell’espressione artistica (basti pensare ai molti titoli che cinema e teatro condividono felicemente in Francia).
Occorre organizzare incontri di lavoro fra sceneggiatori e commediografi, ma sarebbe bene far lavorare insieme autori di cinema e di teatro in progetti comuni.
La formula del workshop offre possibilità di sviluppo pratico, anche nel caso in cui non conduca ad un progetto professionale, ma v’è pur sempre la possibilità concreta di esercitarsi in tutte le fasi produttive che vanno dalla scrittura alla pre-produzione, dalla realizzazione dell’opera all’editing, in modo da comprendere la totalità del meccanismo che accompagna la nascita di un’idea.
Il lavoro di scrittura, revisione, adattamento secondo standard europei avrà la duplice finalità di renderli leggibili ad interlocutori di settore e conformi alle direttive dell’Unione Europea in materia di finanziamento dei progetti cinematografici.
In questi incontri ci si dovrebbe occupare anche del recupero della memoria (ponendo un accento particolare alla cosiddetta "commedia all’italiana") oltre a considerare quanto viene realizzato in Europa in materia di commedia cinematografica, proponendo attenzione ed analisi per mezzo di proiezioni, dibattiti, incontri con autori e produttori (sino all’individuazione di significativi "case histories", quindi progetti cinematografici che hanno ottenuto successo di pubblico e/o di critica, a cui si cercherà di carpire, con la loro collaborazione, i segreti di quel successo).
Il mercato, la circolazione delle idee viene favorita alla scopo di alimentare il mercato con proposte (soggetti, trattamenti, eccetera) aventi la finalità di creare le condizioni per la loro vendita (opzioni, cessione, sviluppo), che sarà pur sempre trattata in modo diretto dai diretti interessati.
Far agire insieme autori di teatro e di cinema sarebbe anche un moto per avviare un dialogo fra culture, da cui si possono attingere spunti per le storie, giacché una delle forme di crisi della cinema e del teatro è appunto quella legata alla creazione, ovvero all’aridità delle cosiddette "vene artistiche", come pure alla mancanza di confronto fra idee, ma soprattutto fra culture diverse.
Intendiamo quindi cercare risposte alla crisi di idee esplorando i territori di confine e di contaminazione non soltanto fra queste due arti, pur dedicando particolare cura all’ambito della scrittura.
Favorendo sempre la concretezza, poiché l’ambizione è quella di veder realizzati i progetti cinematografici e teatrali che saranno oggetto di studio, senza perder di vista quella connotazione culturale presente nella commedia quale strumento di analisi e rappresentazione della società.
Mi avvio alla conclusione del mio intervento col suggerimento della terza buona pratica, con cui esorto autori di cinema e di teatro a tenere in debita considerazione i moderni molteplici aspetti del fare televisione anche dal punto di vista narrativo.
La diffusione dei sistemi di registrazione (DVD) e delle nuove modalità di fruizione televisiva(digitale, satellitare, on-line), ci fanno considerare tutt’altro che balzano il pensiero della creazione di collane dedicate al teatro ovvero di programmi e addirittura di reti televisive tematiche, che magari sfruttano la principale particolarità della televisione ovvero la ripresa diretta.
Mi riferisco in modo generale al digitale terrestre ed alle cosiddette televisioni di strada o similari, ma con spirito pratico sono rivolto al canale digitale terrestre che presto verrà posto in essere a Torino dalla Rai in collaborazione con Università e molti importanti soggetti pubblici e privati.
Una televisione giovane fatta insieme ai giovani ed a loro essenzialmente rivolta, ma senza quelle intermediazioni e particolare cure che usualmente sfoderano quanti pensano che i giovani siano soprattutto una matura e succulenta quota di mercato e non già dei soggetti in fase di formazione culturale.
Nella ricerca di format da sottoporre anche a questa nuova struttura, naturalmente occorre considerare la commedia, teatrale e cinematografica, quale strumento ottimo per l’osservazione della realtà, libera nell’invenzione di soggetti e linguaggi.
Appare così adeguata l’organizzazione di momenti di riflessione, di confronto, di scambio che siano punto d’incontro tra professionalità del cinema e del teatro e della televisione, favorendo la formazione continua e gli scambi culturali soprattutto in previsione dello sviluppo di progetti
I contenuti dovranno essere focalizzati su:
· Drammaturgia, ovvero abilità narrative e struttura del testo;
· Forme di narrazione e la contaminazione fra generi;
· Crescita professionale e informazione per quanto concerne la scrittura;
· Flessibilità culturale e sensibilità ai temi della società;
· Conoscenza delle moderne tecnologie cinematografiche e televisive;
· Conoscenza del mercato europeo;
· Promozione dell’industria culturale europea e internazionale.
Un progetto che si rivolga all’Europa, individuando quei soggetti che operano in modo professionale o intendono farlo come autori, sceneggiatori, commediografi, registi, produttori e impresari, eccetera.
Una buona proposta?
Semplicemente delle buone pratiche?
O piuttosto desideri che il prossimo anno si avvieranno a divenire realtà grazie all’impegno ed alla determinazione nella ricerca del cambiamento, anzi di governo della crisi in atto.
Ecco perché in chiusura di intervento avanzo la proposta di aprire delle filiali riconosciute di questa nascente "Banca delle idee per il teatro italiano", ciascuna con una vocazione ben precisa e quindi che quella cinematografica venga stabilita nel Basso Piemonte ed eventualmente con sede nella Città di Alessandria.


 

BP505
75.73 Scritture al presente
L'esperienza milanese di "città in condominio"
di Roberto Traverso

 

Siamo un gruppo di autori e scrittori e da un paio di anni lavoriamo a un progetto che si propone di raccogliere e stimolare nuove scritture per raccontare la contemporaneità. Presso il Teatro Out Off abbiamo realizzato la scorsa primavera una prima sperimentale edizione di "Città in condominio": tre appuntamenti di "reading aperti" sul tema della città e delle diverse scritture per raccontarla. Abbiamo raccolto testi di diciotto scrittori, alcuni esordienti, altri che già lavorano e si sono affermati nel mondo del teatro, del cinema, della letteratura, coinvolgendo più di trenta attori. In seguito a questa esperienza largamente positiva, abbiamo rilanciato la proposta con un "presidio" di dieci appuntamenti che, a partire dal 15 dicembre '03, hanno coinvolto sino a ora alcune decine di autori. Se all'inizio è stata la guerra il tema portante, questa volta sono i limiti: la città al limite e i limiti della città. L'iniziativa vuole essere "uno spazio libero" dove accogliere testi e sguardi sul nostro presente sganciati dai tempi della produzione teatrale, per arrivare con un'immediatezza altrimenti inimmaginabile verso una pratica di normale condivisione, con il pubblico, della scrittura e del teatro. La forma è molto agile, senza regia: soltanto la cura dell'autore e la supervisione della nostra "redazione" affinché il testo arrivi con la sola forza della parola.


 

BP506
74.51 Un gestionale per compagnie teatrali
Un progetto di freeware da costruire insieme
di Michele Cremaschi

 

Vi racconto il progetto che sto realizzando, lasciando a voi il compito di valutare se si possa definire "buona pratica" nell'accezione che volete dare a tale iniziativa.
La mia esperienza di curioso osservatore di uffici teatrali, che da attore quale sono mi capita di frequentare, mi dice che le cosiddette "nuove tecnologie" comunemente presenti nel tipico ufficio della tipica compagnia teatrale vengono usate in modo - come dire? - "primitivo", un po' "naif". E' normale prassi avere un computer per fare dell'elaborazione testi, usare la posta elettronica; i più audaci lo utilizzano anche per il fax e per qualche progetto di grafica... e poi svariati fogli excel in cui tenere dati contabilità eccetera.
La mia idea - in corso d'opera - è quella di realizzare un software gestionale per la compagnia teatrale. Un software gestionale, o più semplicemente detto, un "gestionale", è un database pensato per fornire al suo utlilizzatore un'interfaccia chiara e unica all'inserimento, ricerca, modifica dei dati che deve trattare in funzione delle attività che nel suo specifico ambito egli si trova a realizzare.
Nello specifico, il teatrante potrebbe avere un unico programma in cui depositare:

- l'archivio dei contatti, con indirizzi numeri di telefono eccetera
- l'archivio dei dipendenti della compagnia, con dati anagrafici, enpals, contratti ecc.
- l'archivio delle produzioni della compagnia, con l'elenco degli attori e tecnici che ne prendono parte, i costi fissi per replica, ecc.
- l'archivio delle ospitalità
- l'archivio delle repliche in cartellone, con riferimenti al contatto che la organizza, riferimento alla produzione richiesta, le spese affrontate ecc.
- i movimenti di cassa, con il dettaglio dei conti che vanno a muovere all'interno di un "piano dei conti" appositamente scritto per l'attività di una compagnia teatrale;
- le fatture e i relativi movimenti di pagamento
- eccetera.

Il gestionale deve permettere anche di incrociare i dati e creare dei report quali:

- elenco degli email di tutti i contatti presenti in una determinata regione;
- elenco delle repliche di una determinata produzione replicata negli scorsi anni in una regione;
- bilancio economico totale e parziale riferito ad esempio alla singola produzione o al determinato periodo;
- numero di borderò;
- foglio compensi del singolo artista;
- elenco delle repliche in programma con upload automatico sul sito web della compagnia;
- eccetera.

Questo progetto è in realtà in fase avanzata di sviluppo. Nelle mie intenzioni, deve essere:

- multipiattaforma (gira sia su windows che su mac);
- gratuito;
- open source: il codice è a disposizione per chiunque voglia modificarlo per le sue necessità;
- sviluppato in linguaggio Filemaker

Quello che chiedo a chi possa essere interessato alla cosa è di aiutare lo sviluppo di un progetto che finora (da un anno e mezzo a questa parte) si sta basando solo sulle mie forze, ma che al punto in cui sono arrivato difficilmente può proseguire senza un aiuto esterno; le necessità pratiche in questo momento sono:
- programmatori (o meglio, teatranti-programmatori o programmatori-teatranti) che continuino lo sviluppo;
- esperti in contabilità teatrale che verifichino la bontà dell'impostazione che ho dato al progetto;
- beta-tester: ovvero uffici che con tutti i rischi che si corrono ad utilizzare un programma non ancora sperimentato ed esente da errori, si mettano ad usarlo per segnalare problemi intercorsi;
- una "task-force" di assistenza che possa supportare gli utilizzatori del programma - ad esempio tramite un forum, una mailinglist;
- una somma attorno ai 600 euro per acquistare le licenze del programma "Filemaker developer" che permette di sviluppare e distribuire il gestionale legalmente.

Il mio lavoro è l'attore (anche se la mia mamma tanto avrebbe voluto che facessi il programmatore, ma questa è un'altra storia), da fine ottobre comincerò a girare come una trottola in lungo e in largo e tempo da dedicare al progetto ne avrò poco, anche se viaggiando mi sarebbe facile incontrare chi ne fosse interessato per fare quattro chiacchiere. Per questo, sarebbe utile "unire le forze" per dare un nuovo impulso alla cosa ora.


 

BP508
75.70 La dieta della mail teatrale. Ovvero perché peso 800Kb, mentre il mio medico dice che dovrei pesarne 8?
Consigli dietetici
di Roberto Canziani

 

Nessuna persona dotata di buon senso si metterebbe mai alla guida di una vettura, né sfreccerebbe in autostrada, senza aver prima studiato le regole del Codice della Strada e aver fatto Pratica di Guida.
Chi prende in mano un computer per comunicare ad altri i propri progetti artistici, le proprie idee sul teatro, o magari il debutto di un nuovo spettacolo, ignora talvolta le più Elementari Precauzioni e il Galateo Minimo della Comunicazione via Internet. Con il senso dell'avventura e con l'incoscienza dei principianti, l'artista si proietta in Rete - l'autostrada delle conoscenze - inconsapevole dei rischi, dei disagi, degli incidenti che la sua e-mail, apparentemente innocua, potrà provocare.
In dieci minuti (anche meno) un Decalogo delle Buone Pratiche di Posta nel tempo di Internet. Ad uso di teatranti, organizzatori, uffici stampa e responsabili del marketing.



DECALOGO DELLE BUONE PRATICHE DI POSTA


1. Ricorda: non sei nel cortile di casa tua, ti muovi in rete
Collegare il proprio computer a Internet significa metterlo in rete e farlo interagire con altri computer. Se usi il tuo computer autonomamente, tutti i possibili errori, le perdite di dati, i danni, si limitano a lui soltanto. Se invece sei collegato a Internet, un tuo comportamento pericoloso o sbagliato rischia di danneggiare molti altri utenti. Ricordatene quando senti il clik trrrrrr trrrrrr del tuo computer che si collega.

2. Proteggi te stesso, proteggerai anche gli altri
Acquistare, installare, configurare correttamente e aggiornare con regolarità un programma antivirus è la prima responsabilità che hai nei confronti degli altri. Proteggendo il tuo lavoro e i tuoi dati da minacce e aggressioni sempre più frequenti su Internet, proteggerai anche il lavoro e i dati di coloro che contatti attraverso la posta elettronica, poiché sarai sicuro di inviare loro materiali controllati ed esenti da virus. Ricordati inoltre di fare spesso delle copie (backup) dei tuoi dati importanti e di salvarli da qualche parte. Spesso i computer si ammalano proprio quando ne hai più bisogno.

3. Prima di fare, prova a capire quello che stai facendo
Anche se le recenti tendenze puntano sull'utilizzo immediato degli strumenti informatici (apparecchiature e programmi), farai bene a studiare un po' il funzionamento di quelli che hai intenzione di usare (apparecchi e programmi sono sempre dotati di istruzioni o guide in linea) e ad apprendere quali sono regole di utilizzo per i singoli servizi, come la posta (tutte insieme, queste regole formano la netiquette). Eviterai di compiere errori grossolani e di attirarti le maledizioni di tutti coloro ai quali avrai procurato disagi, problemi, imbarazzi.

4. Rispetta gli altri, sarai rispettato dalle leggi
Preoccuparsi della privacy non è solo cortesia, è un obbligo di legge. Informati sulle disposizioni in materia di tutela dei dati personali (in Italia le più recente sono contenute nel decreto legislativo n.196/2003). Sei perseguibile, se non le rispetti. Quando invii una e-mail a più persone, non diffondere mai gli indirizzi di tutti esponendoli nel campo cc: (l'invio in copia carbone). Inserisci esclusivamente nel campo ccn: (in inglese bcc:, l'invio in copia carbone cieca). Se non sai che cos'è, torna alla regola 3. E studia le istruzioni del tuo programma di posta.

5. Comunica, ma con chi vuole comunicare
L'invio di posta indesiderata (spam) è uno dei flagelli di internet. Se vuoi comunicare con qualcuno, fallo, ma non intasare la sua casella di posta con fotografie non richieste, carta da lettera intestata con loghi e immagini, o altre appendici cosmetiche: animazioni o suoni. Perlomeno assicurati che il destinatario li voglia ricevere. Niente irrita di più che vedere la propria posta bloccata da materiali indesiderati. Per comunicare qualcosa, spesso basta digitare o copiare nella e-mail il messaggio. Evita, con ragionevolezza, gli allegati.

6. Se alleghi qualcosa, fai almeno sapere di che si tratta
Gli allegati sono i veicoli più comuni attraverso cui vengono diffusi i virus. E giustamente sono visti con sospetto. Se tuttavia hai deciso di allegare, assicurati che chi riceve il tuo allegato sappia che cos'è e con che programma lo può aprire e leggere. Dovreste conoscere entrambi il significato delle estensioni, cioè di quelle tre letterine che il sistema operativo Windows (quello più diffuso) appiccica, dopo un punto, alla fine del nome di un file (il sistema Mac, meno diffuso, non le appiccica nemmeno). Le tre lettere ( .doc, .rft, .txt, .jpg, .gif, .pdf, ecc.) indicano il formato in cui il file è stato salvato o il programma che lo ha creato. Non è detto che il destinatario possieda quel programma. Evita di farlo diventare matto.

7. Controlla quanto pesi, te ne saranno tutti grati
Prima di inviare una e-mail o di girarla a qualcun altro con il comando inoltra/forward, controlla il suo peso in kbyte. Pensa che dovrà essere scaricata e che ogni scaricamento ha un costo (di tempo, e anche economico, se il tuo destinatario paga la bolletta telefonica, e pure rilevante se è collegato da un internet point, o da un albergo). Adotta tutte le misure che possono alleggerire le tue e-mail. Per esempio:

- segui le indicazioni della regola 4. (niente carta intestata con loghi e immagini, niente animazioni);
- se i file contengono testo: non usare il formato .doc di Microsoft Word. E' un formato dispendioso, insicuro, possibile veicolo di virus o danni. Usa preferibilmente i formati .rtf e .txt;
- se i file contengono fotografie: verifica il peso delle immagini allegate, spesso possono bastare poche decine di Kbyte invece delle migliaia di una fotografia ad alta definizione. Usa preferibilmente formati noti e ben compressi come .jpg e .gif;
- se i file contengono suoni e immagini in movimento: procurati qualche nozione sui formati specifici. Sono molti e diversi: rischi di trasmettere documenti che non potranno essere ascoltati o visti;
- se i file contengono documenti complessi: ricorda che il formato .pdf (documenti grafici di Adobe Acrobat)è un formato pesante e di gestione piuttosto complicata. Valuta se è proprio indispensabile.

8. Metti in catene le catene, vivrai in un ambiente più pulito
E' poco probabile che tu cada nelle trappole di chi, con la posta elettronica, ti comunica vincite alla lotteria o improbabili guadagni. Ma guardati anche dalle catene di solidarietà (appelli civili e bambini malati) e dai messaggi allarmistici che fanno appello alla tua sensibilità. Nel 98% dei casi si tratta solo di ottenere, con mezzi subdoli, migliaia di indirizzi e-mail, da rivendere a società specializzate, che intaseranno altre caselle, oltre alla tua, con l'invio di spam (la posta indesiderata, spazzatura di rete). Non rispondere e non diffondere. Se sei sfiorato dal dubbio che il messaggio possa rientrare in quel 2% veritiero, controlla all'indirizzo www.attivissimo.net/antibufala.

9. Pensa due volte, anche tre, prima di spedire
Usando la posta elettronica è molto facile fare errori (non solo grammaticali, ma anche di discrezione, opportunità, riservatezza). Rispondere al volo a un messaggio e pentirsi della risposta, inoltrare corrispondenza altrui, dimenticare o sbagliare di allegare documenti, sono comportamenti che la velocità con cui si lavora su Internet rende frequenti. A volte sono peccati veniali. A volte possono costare un'amicizia, o il posto di lavoro. Per quanto è possibile, scrivi off-line (prima di collegarti, o dopo), lascia riposare i messaggi, rileggi, e solo allora premi il bottone dell'invio.

10. Usa la testa, più che la posta
Esiste un'ecologia della Rete. Prova a pensare a Internet come all'ambiente in cui vivi (perché di fatto, ci vivi) e contribuisci a mantenerla efficiente, libera da ostacoli (da fastidio anche a te, se il collegamento a volte soffre). Evita di sprecarne le risorse e i servizi, come la posta. Se per esempio i tuoi messaggi e i tuoi materiali sono tanti, se devono raggiungere molti destinatari e con una certa frequenza, pensa piuttosto a pubblicarli su un sito. E invia per posta solamente il link a quell'indirizzo. E' un comportamento più efficace e più responsabile. Imparalo, e fallo imparare agli altri. Comincia adesso.


 

BP509
75.74 Dalla Toscana. Una collaborazione fra Università (Pisa, Bologna, Torino, Genova) e Enti locali (il Comune di Livorno)
Al Teatro delle Commedie di Livorno
di Concetta D'Angeli

 

Da quattro anni si svolge a Livorno, presso un piccolo teatro da poco restaurato - Teatro delle Commedie - un’iniziativa che, avviata nel 2000 da Fernando Mastropasqua, docente di Storia del Teatro e dello Spettacolo presso l’Università di Pisa, nella bozza del progetto elaborato, nacque con "l’intenzione di costituire […] degli spazi destinati alla elaborazione di nuove forme dei linguaggi dello spettacolo, di assicurare a quanti lavorano nel settore una visibilità delle loro produzioni, di permettere l’incontro tra cittadini, studenti, insegnanti, operatori, artisti e studiosi per una promozione dell’evento spettacolare, di riportare il teatro, il cinema e la musica, ad essere anche occasione di incontro, di divertimento collettivo, di memoria e di riflessione sul presente. Insomma un teatro che sia Scuola e anche Servizio per la città".
L’iniziativa, che ha ricevuto l’appoggio di amministratori illuminati, è finanziata per intero dal Comune di Livorno. Funziona inoltre come seminario che dà diritto al riconoscimento di crediti per studenti universitari pisani che vi si siano iscritti.
Nel progetto sono coinvolte le Università di Pisa (Corso di Laurea in Cinema Musica Teatro), di Bologna e Torino (i rispettivi Dams) e, da quest’anno, di Genova.

In concreto, nel corso dell’anno, si svolgono quattro seminari, ognuno gestito da un professore che appartiene a una delle università partecipanti che cura la parte teorica servendosi non di lezioni cattedratiche ma d’incontri, che propone un interscambio attivo con i partecipanti. Il docente si sceglie, "per affinità", un artista di teatro (attore, regista, mimo, drammaturgo…), il quale, in diverse forme, spiegherà e dimostrerà la proposta avanzata dal professore.
I quattro seminari si svolgono in totale autonomia, rispettando un tema comune. Per il 2005 sarà "Il racconto comico a teatro: dalla Commedia dell’Arte al Teatro di Narrazione".
In qualche caso è successo che, alla fine dei singoli seminari, si siano tenute delle performances aperte a un pubblico più ampio, numeroso e fervido. Dal prossimo anno l’idea degli organizzatori è di istituzionalizzare quest’ultima prassi (a Fernando Mastropasqua, trasferitosi a Torino, è subentrata Concetta D’Angeli dell’Università di Pisa).
Ogni serie di lezioni dovrebbe perciò concludersi con almeno uno spettacolo teatrale che esplicita le caratteristiche e l’interesse portante della serie, sia sul piano tematico, sia su quello formale.
Attenzione: non si tratta del "saggio finale" realizzato dai partecipanti a scopo dimostrativo, lo spettacolo è affidato agli artisti che fiancheggiano l’intervento universitario, è una sorta di esemplificazione "magistrale" del valore e del contenuto che gli incontri hanno trasmesso (ad esempio: Laura Curino, l’artista attiva nel seminario che aveva per tema conduttore "Il teatro e la storia", concluse con il noto monologo Olivetti).
Il vantaggio della novità che si vuole introdurre nella formula sperimentata "lezioni teoriche-esemplificazione pratica", consiste nel fatto che il livornese e piccolo Teatro delle Commedie (80/90 posti), si garantirebbe una sorta di "stagione" basata su un progetto culturale coerente: gli spettacoli ospitati, senza richiedere grandi apparecchiature tecniche o il concorso di numerosi attori (non lo consentirebbe lo spazio ridotto del teatro), sono non costosi e di buona qualità se sarà stata sagace la scelta dei docenti nell’affiancarsi l’artista al quale, poi, competerà la performance. Un vantaggio rilevante per gli amministratori locali che con limitato impegno economico valorizzano uno spazio non facile da gestire senza rischiare eccessi di provincialismo, eleggendo così un teatro a sede d’iniziative "d’essais". Soprattutto, si rafforzerà la linea progettuale più importante, cioè quella che propone un’accezione morale e rinnovatrice dello spettacolo.
Occasioni teatrali meno casuali, meno affidate alle sole ragioni finanziarie, meno determinate dall’ovvietà pubblicitaria; qua saranno invece suggerite dallo studio e dalla riflessione culturale, pensate sulla base di un percorso di ricerca reale. Lo stesso che, in parallelo, avrà ispirato gli incontri dei seminari.


 

BP510
78.20 La scommessa di «Ubu Settete»
Cronaca di una pratica (buona?)
di Redazione di «Ubu Settete»

 

IL PROGETTO
«Ubu Settete»
è una fanzine teatrale, ma è anche una "rete", un circuito teatrale informale fondato da alcuni collettivi romani. Circuito fatto di eventi, relazioni e reciproche collaborazioni che da qualche anno si propone di portare alla luce e valorizzare quell’area marginale e "abusiva" del teatro romano, area fatta di professionismo a metà, di autoproduzioni coraggiose che sondano le dimensioni della "ricerca", della nuova drammaturgia, del teatro civile.

I FATTI
«Ubu Settete»
muove i primi passi a Roma all’inizio del 2003. In principio c’è la "semplice" reciproca conoscenza che, trattandosi di teatro, si concretizza nell’assistere ai rispettivi lavori e nel confrontare le rispettive idee, poetiche, estetiche, condizioni, ecc. Non c’è ancora la chiarezza sul da farsi, ma c’è subito la coscienza di condividere una peculiare condizione marginale costituita da: l’essere giovani e praticamente sconosciuti; il sentirsi "professionali", assolutamente non amatoriali ma, contemporaneamente, l’essere esclusi da qualunque circuito "ufficiale"; il sentire la propria vocazione teatrale in termini di progetto artistico personale da sviluppare, far crescere, portare avanti a prescindere dai riscontri di pubblico e di critica. Il nucleo originario di questo progetto è fatto da tre compagnie: Circo Bordeaux, amnesiA vivacE, OlivieriRavelli_Teatro.
A marzo del 2003 «Ubu Cheese» al Blue Cheese Factory (Roma Ostiense) è il primo atto ufficiale: alle tre compagnie originarie si affiancano Residui Teatro e Ygramul LeMilleMolte (più una ospite da Genova) dando vita a tre giorni di rassegna, 6 spettacoli, circa 250 spettatori.
Pochi mesi dopo nasce l’idea di produrre una fanzine, un "foglio" autogestito di critica e cultura teatrale da distribuire gratuitamente presso i teatri romani. A fine luglio 2003 la registrazione ufficiale al Tribunale di Roma e ad ottobre 2003 il primo numero: «Ubu Settete» – periodico autogestito di critica e cultura teatrale è nato.
Contemporaneamente all’uscita del primo numero arriva la rassegna n° 2 al teatro di Villa Lazzaroni (Roma Appio): Ubu Settete! Fiera Autogestita di Alterità Teatrali. Alle 5 compagnie della prima rassegna si affiancano LABit, Stradevarie, Mungodream: in totale 8 compagnie (tutte romane) per 16 spettacoli (più 2 concerti) in cinque giorni di rassegna; circa 400 spettatori.
A gennaio del 2004 esce il n° 2 della fanzine nel definitivo formato a 8 pagine. «Ubu Settete» diventa ospite fissa del portale www.dramma.it (con i vari numeri in versioni digitali scaricabili).
Il n° 3 esce a maggio 2004. Viene composta una redazione con i rappresentanti di 4 compagnie: LABit, OlivieriRavelli_Teatro, amnesiA vivacE, Circo Bordeaux.
Il n° 4 (anno 2 numero 1) esce a novembre 2004. Contemporaneamente, Ubu Settete produce la sua terza rassegna (al Rialto Sant’Ambrogio, Roma, Centro storico): Ubu Settete! Terza fiera di Alterità Teatrali Romane. Le compagnie partecipanti sono 9: le vecchie amnesiA vivacE, Circo Bordeaux, LABit, OlivieriRavelli_Teatro, Stradevarie, Residui Teatro, Ygramul LeMilleMolte, più le nuove ct Gramigna e Teatro riflesso… in movimento. 5 giorni di rassegna, 15 spettacoli, circa 450 spettatori.

I RISULTATI
Tanto lavoro, soldi anticipati che non sempre ritornano, abbondante stress, buona presenza di pubblico, due o tre critiche sui giornali, un invito ad "andare avanti sempre più cattivi", un regista che minaccia uno di noi perché il suo spettacolo era stato stroncato nel 3° numero della fanzine. Il resto è silenzio.

LE RIFLESSIONI
«Ubu Settete»
è una buona pratica? Difficile dirlo… dipende anche dagli obiettivi che uno si prefigge. Tra noi c’è un po’ di tutto, c’è chi "morde il freno" e vorrebbe urlare la propria esistenza a tutto il mondo, chi si contenta della piccola visibilità raggiunta, chi aspira al salto di livello, chi si compiace di essere un "ghettizzato". Certamente è un’esperienza che ci ha dato molto a livello umano e professionale ma, visti i risultati, non possiamo non chiederci se valga la pena continuare. Siamo nella fase di chi non si aspetta assolutamente nulla né dai politici (ETI) né dai critici: disillusi, che è il modo migliore per non restar delusi. Di una cosa, però, siamo certi: data la situazione nazionale (su cui è inutile sprecare ancora parole), o si va alla cerca di un buon referente politico (e si mettono in scena quei bei drammetti borghesi che piacciono a tutti), oppure non c’è alternativa all’unione, al farsi "rete", al costituirsi "scena"; isolarsi equivale al suicidio. Un po’ come nel pari pascaliano, «Ubu Settete» è una scommessa più conveniente.


 

BP5507
74.57 Realizzare un sito... con RStage è facile come fare una telefonata
Un originale software/builder
di Silvio Bastiancich

 

Mi chiamo Silvio Bastiancich e aderisco con gioia alla giornata delle Buone Pratiche. In questa occasione Vi chiederei gentilmente di poter presentare un originale software/builder che abbiamo chiamato RStage.
RStage è uno strumento indispensabile per la realizzazione della GUIDA AL TEATRO ITALIANO che sarà presto ospitata all'interno del NETWORK spettacolopubblico.net.
Si parla sempre più spesso della necessità, oramai impellente, di creare Reti di comunicazione, Reti di servizi, Reti fra i teatri, Reti informatiche.
... 'Il filosofo greco Eraclito divideva gli uomini in due categorie: coloro che dormono li chiamava "dormienti", in contrapposizione con coloro che son desti: quale è la differenza tra le due categorie? Quando siamo svegli siamo in grado di mettere in comune le esperienze: non siamo soli , ma c'è un comune terreno d'intesa. Quando invece dormiamo e sogniamo ciascuno di noi vive in un mondo interamente suo'....

Lavoro, da tempi non sospetti, alla creazione di una vera e propria Rete di condivisione di contenuti sul Teatro in Italia.
Prima, nel 1996, attraverso un sito dedicato agli Operatori, poi, nel 2000, con l'apertura di un Portale dedicato al Teatro.
Queste esperienze non hanno purtroppo dato risultati incoraggianti, anche se il Portale ha avuto, nell'arco dei 18 mesi di presenza in Rete, circa 2.200.000 contatti.
L'idea di fondo che ci ha portato alla costruzione di questi progetti era proprio quella di creare uno spazio di condivisione di contenuti e servizi per il Teatro.
Mettere in comune competenze, professionalità, idee, mezzi, opportunità, spazi, risorse, intrecciare esperienze in modo da rendere qualche cosa che è nostro anche di altri.
Attivare un atto sociale di partecipazione.

... «Nei distretti culturalmente più avanzati mettere insieme le conoscenze che ogni azienda possiede, e farne un patrimonio comune, è già la regola. Questo sistema non è incompatibile con l'autonomia imprenditoriale e con la concorrenza. In altri termini, ogni imprenditore continuerà ad andare per la sua strada come ha fatto finora. Ma disporrà di un prezioso know how. Si realizzerà un network del distretto, una vetrina per presentarne i prodotti, in modo che il cliente, da qualunque continente si colleghi, possa scegliere il particolare prodotto. Nel network, infatti, ogni azienda avrà il proprio spazio e vi creerà il proprio sito»....

Voglio pensare che i progetti sopra citati non abbiano avuto la fortuna che meritavano perché sono stati realizzati nel momento sbagliato. E anche vero che è pratica delle avanguardie propugnare audaci programmi in apparente contrasto con la tradizione e il gusto corrente.
Ora sembra che, dopo un lungo periodo di «solitudine nella Rete», le realtà teatrali abbiano capito che è arrivata l'ora di condividere con altri i contenuti da offrire in Rete.
Per questa ragione abbiamo pensato di regalare agli operatori teatrali uno strumento di lavoro utile alla libera gestione di contenuti testuali, visivi e sonori.

RStage è un originale «rivoluzionario» strumento informatico, un costruttore di singole pagine web o di interi siti, molto ... molto ... semplice da utilizzare.
RStage importa qualsiasi tipo di file .L'operatore, dopo aver scaricato il builder RStage sul proprio PC, farà un semplice doppio clik sulla icona del file che desidera pubblicare e lo strumento lo importerà automaticamente.
Infatti uno dei 'compiti' principali del builder è quello di generare file per la pubblicazione in Rete, evitando così all'operatore lunghi e complicati corsi di aggiornamento ed estenuanti sedute per la costruzione e l'aggiornamento dei siti.

Perchè Rstage?
Nella tragedia greca (in particolare di Euripide) si faceva ricorso a una macchina, denominata deus-ex- machina, sospesa a una gru che portava in scena un dio in grado di risolvere in brevissimo tempo tutte le questioni irrisolte.
Metaforicamente il software/builder RStage è la forza che interviene provvidenzialmente per sciogliere alcuni degli inestricabili problemi della Rete.

Quanti problemi in Rete
Le grandi multinazionali che si occupano di Internet investono sempre più tempo e risorse alla ricerca di nuove tecnologie capaci di velocizzare il collegamento alla Rete. La questione irrisolta però è la qualità della consultazione, cioè, della ricerca di contenuti in Rete. E' inutile avere una linea veloce se poi non si riesce a trovare quello che serve.
«Internet scoppia di informazioni, ma non sempre è facile trovarle. Gli utenti di Internet, siano sperimentati surfisti o occasionali avventurieri, devono misurarsi, e scontrarsi, con gli strumenti offerti dai cosiddetti browser di rete, spesso uscendone sconfitti. La ricerca attraverso l'immissione di parole chiave produce un elenco di documenti che dovrebbe soddisfare la richiesta. I risultati invece sono spesso scoraggianti: non si trova ciò che si desidera e ci si imbatte in una quantità enorme di informazione irrilevante, il cui esame nausea e costringe a cambiare strada o ad abbandonare gli scopi che si volevano perseguire. L'impressione è che il sistema si comporti spesso in modo troppo stupido e rigido; che non sia in grado di offrirsi all'utente con le caratteristiche di flessibilità e adattabilità tipiche della comunicazione umana, seppure realizzate a livello elementare».
Sono quasi dieci miliardi le pagine pubblicate su Internet. Quante di queste contengono informazioni obsolete? e perché sono ancora presenti in Rete?
All'inizio del terzo millennio Internet ha avuto il punto più alto del suo sviluppo. In quel periodo sono nati milioni di siti di aziende per ogni settore merceologico e di servizi. Chi non aveva un indirizzo web da esibire nel proprio biglietto da visita non era degno di considerazione.
Ma la strada da percorrere per soddisfare questa esigenza era lunga e piena di ostacoli (e lo è ancora adesso). Il primo era quello delle infrastrutture di comunicazione. Credo che chiunque si metta davanti ad un computer non abbia altre alternative: o dopo un po' le cose gli riescono, oppure (se può) chiama qualcuno che gliele faccia.
Insomma, la velocità delle risposte è condizione necessaria per l'utilità del sistema e per la sua diffusione. Lo stesso discorso vale per Internet: o si apprendono i vari linguaggi di pubblicazione oppure esistono i Web Master. Il problema è: sapere usare e gestire le infrastrutture.
Infatti la maggior parte dei siti presenti anche oggi in Rete sono stati creati e sono gestiti da Web Master pagati all'uopo per la consulenza. Consulenze che hanno fatto inevitabilmente lievitare i costi di mantenimento dei siti provocando da una parte un'eccedenza di contenuti obsoleti dovuta allo scarso aggiornamento degli stessi (+ si aggiorna + costa), e dall'altra una sempre più numerosa presenza di siti 'museali' o 'tombali', con contenuti oramai inservibili.
Un noto sociologo, nel 1997, facendo una previsione sullo sviluppo della Rete, poneva un quesito e una proposta di soluzione: ...«Chi per almeno una volta nella vita ha usato un telefono? Quante di queste persone sanno come funziona una linea telefonica? Probabilmente nessuno: si alza la cornetta, si compone il numero, e via... non mi interessa saperlo. Invece per pubblicare su Internet bisogna frequentare un corso di linguaggio HTML. Chi utilizza la Rete per lavoro non importa sapere come funziona questo o quell'altro linguaggio. Lo vuole fare nel modo semplice, efficace, immediato e meno costoso possibile. Internet deve diventare uno strumento utile, credibile, indispensabile per il mondo del lavoro, e non solo, per questo dovrà inevitabilmente dotarsi di nuovi software in grado di renderci indipendenti nella pubblicazione e nell'aggiornamento dei nostri siti, così come usiamo il telefono»...

La nostra proposta
In un mondo di software personalizzati in continua evoluzione, di prodotti con un ciclo di vita sempre più breve, in un'economia la cui unica costante è il cambiamento, avere, possedere, accumulare ha sempre meno senso. Il godimento di questi programmi ora si può ottenere attraverso l'ACCESSO e la COOPERAZIONE.
Perchè farsi carico della proprietà di una tecnologia o di un prodotto che, probabilmente, sarà diventato obsoleto prima ancora di essere del tutto pagato? L'accesso temporaneo a beni e servizi - in forma di noleggio, affitto o simili – diventa un'alternativa sempre più allettante rispetto all'acquisto e al possesso a lungo termine.
La Rete impone, a chi vi partecipa, la rinuncia ad una parte della propria autonomia e della propria sovranità; d'altro canto, la spontaneità e la creatività che "germogliano" in un ambiente cooperativo offrono ai partecipanti un grande vantaggio collettivo.
La proposta è quella di utilizzare RStage come una testa di ponte, un modo per stabilire una presenza fisica nel luogo di lavoro: questa presenza permette di avviare una relazione di servizio a lungo termine. Per questa ragione il builder è omaggiato, nell'intento di fornire i servizi più redditizi per l'intero ciclo di vita del prodotto.
Regalare i programmi è una strategia particolarmente efficace per le imprese informatiche, per la semplice ragione che, quanti più utenti sono collegati tanto è più elevato il beneficio che ogni utente ne trae e tanto più è elevato diventa il valore dei servizi che, potenzialmente, la società può fornire.
Questo fenomeno è conosciuto come effetto network. Com'è possibile formulare un prezzo ad un bene il cui costo di produzione è irrilevante?
La risposta è: regalare il software e fornire al cliente servizi sempre più sofisticati che lo accompagnano.
I nostri potenziali clienti non hanno bisogno del programma che proponiamo, ma solo della funzione che esercita. Non vendiamo niente; mettiamo a disposizione il nostro know-how e la nostra esperienza per aiutarlo a gestire l'attività. Il cliente, così, diventa partner attivo nella costruzione di un Network - comunità di interesse.

L'accesso a Internet è a portata di mouse con RStage sarai l'unico regista del tuo sito

RStage è ... un software in uso gratuito
RStage è ... uno straordinario Sistema per la costruzione di pagine web da vedere - leggere - ascoltare
RStage è ... semplice da gestire, da aggiornare nei contenuti e da inserire in Rete
RStage è ... spazio illimitato e pubblicazione multilingue
RStage è ... stato progettato per essere supportato da motori di ricerca e data-base dedicati
RStage è ... indispensabile strumento per la costruzioni di Portali tematici e Network
RStage inoltre ... permette di realizzare pagine e servizi linkabili da siti già esistenti
RStage è ... indispensabile per: teatri, compagnie, festival, circuiti, enti locali, attori, danzatori, registi, coreografi, musicisti, scenografi, compositori, fotografi, tecnici, ...... etc...... RStage è ... un sito a sole 50 Euro l'anno, costo per la pubblicazione in Rete per un anno
RStage è ... più facile usarlo che spiegarlo

Note tecniche del software

IMMAGINI – importa da: jpg, gif, bmp, tga, pcx
genera: jpeg ottimizzato;

TESTI – importa da: i txt, rtf (e tutti gli altri formati con drag and drop)
genera: html ottimizzato;

AUDIO – importa da: mp3, wav, ogg, microfono, linea audio
genera: ogg, wma;

VIDEO - importa da: avi, mpg, mpeg, wmv, asf, mov
genera: il codice di supporto ottimizzato

ANIMAZIONI – importa da: gif, flash
genera: il codice di supporto ottimizzato

OGGETTI – importa da: qualsiasi file o programma
genera: i collegamenti per lo scaricamento in rete


 

BP700
77.10 Quel che sarei andato a dire al convegno delle Buone Pratiche se non mi fossi ammalato: una premessa teorica, 6 nodi concreti e 1 conclusione po-etica
Nuovi appunti per uno «stabile corsaro»
di Marco Martinelli

 

PREMESSA TEORICA
Senza teoria, meglio non partire neanche. La teoria è chiaroveggenza. La teoria nasce dall’impulso imperioso alla conoscenza, impulso che si fa parola, lo scalciare al buio che si fa disegno.
Nel ‘91 ci siamo trasformati da compagnia in Teatro Stabile, da Teatro delle Albe in Ravenna Teatro (senza perdere le Albe, cuore della trasformazione): da allora i nostri atti sono stati orientati da una accensione teorica, quella dello "stabile corsaro". Depositata nell’ossimoro, la "teoria" va intesa qui nel senso etimologico della parola, ovvero "sguardo", "visione". Non un sistema di concetti già ordinati e incasellati l’uno nell’altro, non un ricettario di idee preconfezionate, ma uno sguardo affamato gettato nel profondo, nel buio, in quello che "non è ancora". Un pensiero-sentimento riguardo alla compagnia come cellula aperta, generativa, una forma a spirale capace di crescere in se stessa allargandosi in nuove, infinite spire.

La visione dello "stabile corsaro" nasceva da una interrogazione chiara: può un'istituzione teatrale (piccola o grande che sia) comportarsi in modo alternativo, praticare logiche eretiche, battere bandiera "corsara"? Può concepire il proprio lavoro in termini radicali, innovativi, rivoluzionari, e non impiegatizi? (Intendo qui l’abusato termine di "rivoluzione" nel senso profondo di "trasformazione", un processo psichico che impegna fino in fondo la persona, non come sterile moda, inseguimento obbligatorio del nuovo, della "tendenza"). E quindi, giocando sull'ossimoro (la figura retorica che unisce due termini contraddittori), può uno "stabile" andare "di corsa", evitando il pericolo di restare fermo e impantanato nella palude dei mestieranti e della noia? Può il costruirsi di un stabile porsi come gesto d’arte, politico, politttttttico?
E’ evidente che la domanda non ci suonava oziosa, che non si trattava di inventarsi un espediente retorico, di nascondersi dietro un esorcismo verbale (cattiva pratica italica, dove è sufficiente rinominare cose vecchie con nomi nuovi per rilanciarle sul mercato della politica e della cultura come squillanti novità, quando in realtà puzzano di cadavere). La domanda era, e resta a tutt’oggi, seria e impegnativa, esige risposte quotidiane sul versante della riflessione come su quello delle pratiche. Può un’istituzione lavorare anche per il proprio disfacimento (intendendo per "disfacimento" non un processo autodistruttivo, ma il combattere in se stessi le croste rugginose dell’età che avanza e del potere che cresce)? Può quindi essere tale disfacimento, il disfare il mondo, il disfare se stessi giorno dopo giorno, una pratica che contribuisce all’edificazione? Secondo il patafisico paradosso di Padre Ubu: "Non avremo demolito tutto se non demoliremo anche le rovine! Ora, non vedo altro modo se non di equilibrarle una sull’altra e farne una bella fila di costruzioni in perfetto ordine."

13 anni di lavoro e di "corsa" ci hanno dimostrato che sì, si può. E che si potrà ancora meglio, in futuro, facendo tesoro del cammino percorso. E ci hanno insegnato come la prassi quotidiana sia una feroce maestra, capace, se si resta fedeli all’impulso iniziale, di illuminare, amplificare, sorprendere. Di come il sapere teatrale, la turbolenza dionisiaca, possano essere al tempo stesso veleno e farmaco per l’istituzione che li ospita.
E siccome, seguendo San Giacomo e la sua epistola eversiva, riteniamo che le "opere" (come lui le chiama: vogliamo dire le "buone pratiche"?) siano fondamentali per certificare la fede, per renderla "evidente", senza le quali la fede è solo un nulla ipocrita e altisonante, poniamo all’attenzione della riflessione collettiva sette punti, sei nodi concreti e una conclusione po-etica, attorno ai quali si è svolto il lavoro in questi tredici anni, nodi che hanno irrobustito la "visione", in alcuni casi l’hanno fatta vacillare, in altri invece l’hanno illuminata e trasfigurata.

6 NODI E 1 CONCLUSIONE



Salmagundi (foto di Enrico Fedrigoli).

PRIMO L'impegno diretto degli artisti nel pericolo.
Se gli artisti di uno Stabile pensano "solo" ai loro spettacoli, non si può neanche iniziare a ragionare in termini di "stabile corsaro". Qui c’è una vigliaccheria che andrebbe rifiutata fin dall’inizio. Intendo qualcosa di molto concreto, di ore e ore, di tempo, di patimento dedicato a tutto ciò che non è la costruzione dell’opera, ma la costruzione di un’opera più ampia, di cui la prima è come la punta dell’iceberg rispetto all’iceberg stesso. Aut-aut: o gli artisti, registi e attori etc., identificano scommessa artistica e scommessa politica, passione etica e passione estetica, o "sentono" che i volti, le vite che crescono attorno al proprio teatro sono una irrinunciabile gaia scienza (la gaiezza dell’essere "poli-s", ovvero "molti"), o trovano un sentimento d’arte in tutto ciò che altri definirebbero, con un metro di puzza sotto al naso, "sociale", o rifiutano come falsa e mistificante la separazione tra il regno dell’arte e delle "forme" e il regno del reale e delle persone, o richiedono di essere "tutti in tutto", e non delegano (fatta salva, è ovvio, una "naturale" distinzione, ma non separazione, di ruoli) ai propri organizzatori il Senso profondo dell’organizzazione, oppure tutto è vano: è evidente che solo a partire da questo sentimento di interezza si può cominciare a costruire uno stabile corsaro. Artisti, organizzatori, tecnici, tutti imbarcati in un’avventura collettiva che tiene insieme arte e vita, la costruzione di un mondo "possibile".



Salmagundi (foto di Enrico Fedrigoli).

SECONDO La non-scuola
Metto subito qui la non-scuola, perché è il caso più clamoroso, per quel che ci riguarda, la prova, la conseguenza più evidente della necessità del punto primo, e di come esso possa fruttare. La non-scuola ci ha insegnato che non si tratta di fare i laboratori nelle scuole come un "dovere" secondario, qualcosa che "s'ha da fare" per far felice l'Amministrazione comunale, o per riempire i periodi in cui non si gira. La non-scuola è stata, è un'esperienza "bruciante" prima di tutto per noi che ne siamo le guide. Il lavoro con gli adolescenti mantiene alta la temperatura dionisiaca dell’incontro, di quel Dioniso senza il quale (i Greci lo sapevano bene) può esistere tutto ma non il teatro. La non-scuola come azione d’arte, rigenerante in primo luogo per chi ha vent’anni di lavoro sulle spalle, prima che per chi vent’anni di vita non li ha ancora. E’ nell’ incontro di generazioni e di visioni che il teatro si rinnova. E anche qui, in maniera lampante, concretezza e visionarietà non sono separabili. Ed è un lavoro che poi "ritorna", è ritornato anche negli spettacoli, basti pensare che senza l'invenzione della non-scuola non ci sarebbero stati I Polacchi e l'onda palotina. E al di là dei palotini che sono poi cresciuti come attori nel gruppo, e guide della non-scuola, basti pensare alle migliaia di adolescenti che si sono avvicinati al teatro, di cui sono stati anno dopo anno la nuova platea, esigente e critica.



Salmagundi (foto di Enrico Fedrigoli).

TERZO Il lavoro su due teatri: due occhi vedono meglio di uno
Fin dall’inizio, 1991, in rapporto con l’Amministrazione comunale, si è deciso di lavorare sui due teatri della città. Il Rasi è diventato il luogo delle Albe, la fucina del nuovo, all’Alighieri abbiamo diretto la stagione cosiddetta "di prosa". Qui abbiamo ragionato, come nei "nodi" precedenti, seguendo una logica di unità, e non di separazione. Perché la "prosa", per respirare, abbisogna del pungolo della "poesia", perché come ricordava Bateson, "due occhi vedono meglio di uno". Certo nuovo teatro è morto, sta morendo, per asfissia, rinchiuso nel proprio ghetto. Meglio litigare! Meglio affrontarli gli abbonati che ritengono scandaloso immettere nella stagione dell’Alighieri il Teatrino Clandestino (ma quegli abbonati avevano già problemi, a metà degli anni ’90, con Carmelo Bene e Leo de Berardinis, ricordiamocelo!) accanto alla Mariangela Melato, sapendo che tali "scandali" sono necessari, sapendo che un teatro che crea inciampo è un teatro vivo. E’ evidente che tale alchimia va pensata con gradualità, e le presenze "corsare" (dal Clandestino ai Magazzini, da Celestini alle Albe stesse) vanno pensate anno dopo anno come pungoli a intermittenza, non come la logica portante della stagione, logica però che deve attestarsi su valori alti, voglio dire, un conto è portare Orsini e Herlitzka e Isa Danieli, un conto è cedere la stagione all’immondizia commercial-televisiva che c’è in giro. In questo modo, il raccordo tra la "prosa" e le mille attività del cantiere Rasi, può portare (nel tempo: l’impazienza sacrosanta dei corsari deve avere nella pazienza la sua arma quotidiana) i due teatri a lavorare per un unico disegno di cultura teatrale. Non sempre ci abbiamo preso, stiamo tuttora imparando, ma ci sembra che la direzione sia quella giusta.



Salmagundi (foto di Enrico Fedrigoli).

QUARTO La tentazione degli scambi
E’ la prima tentazione che attacca chi si trova a dirigere un teatro. Basta guardare i cartelloni di tanti stabili, pubblici, privati e d’innovazione. Tentazione da evitare, tentazione mortifera. Uno scambio fa bene, quando nasce dalla stima reciproca, due c'è da sospettare, tre significa che il tuo cartellone farà scappare gli spettatori. Si tratta di partire da un pensiero-desiderio molto preciso e attento: cosa voglio far vedere al mio spettatore "ideale"? Che poi ideale non è mai, è sempre una persona in carne e ossa, un volto conosciuto, un cittadino, è l’adolescente della non-scuola, l’appassionato di teatro, il giovane (o vecchio) teatrante, lo straniero di Lido Adriano, gli amici che amano il cinema ma a teatro dicono di annoiarsi, etc. La scelta degli spettacoli presuppone a sua volta una visione del teatro, una sorta di "regia" non autoritaria che nasca dalla passione per la polis e che formerà negli anni gli spettatori. Ma forse insieme allo slancio di prefigurarsi lo spettatore bisognerebbe mettere anche qualche paletto, diciamo autoregolamentarsi. MODESTA PROPOSTA: non più di uno scambio a cartellone, e che sia motivato!



Salmagundi (foto di Enrico Fedrigoli).

QUINTO Stipendi
E’ pensabile uno "stabile corsaro" senza un’economia dei cinque centesimi, un’economia "piratesca" e comunitaria? Senza un prendersi cura di se stessi, dei propri interessi, un tirarsi assieme? Questo ci siamo portati dietro, nel passaggio dalla compagnia al teatro stabile, una visione del bene comune che si rifà alla pratica delle prime comunità cristiane, di tante comunità eretiche e anarchiche nel corso della Storia, di tante sorprendenti TAZ (Zone Temporaneamente Autonome, come nella definizione cyberpunk), alla concezione quasi "biologica" del mutuo soccorso di Kropotkin: stipendi operai uguali per tutti. E anche tutto quello che i singoli guadagnano va in cassa per essere poi diviso in parti uguali. Questa "filosofia di cassa" ci ha permesso di allargare anno dopo anno il cerchio delle persone che lavorano nel nostro teatro, di moltiplicare i volti attorno a noi, nonostante la crisi del mercato teatrale, nonostante che in dieci anni il contributo ministeriale sia aumentato in maniera irrilevante . Abbiamo sempre pensato che gli ideali debbano andare misurati anche sul portafoglio, che l’utopia va certificata nello stile di vita.



Salmagundi (foto di Enrico Fedrigoli).

SESTO Alimentare la concorrenza
Per questo lavora uno "stabile corsaro", per alimentare la concorrenza. Spesso chi dirige un teatro lo fa con la mentalità del fortilizio, tutti asserragliati dentro a sparare su chi cresce all’esterno. Anche qui, la mentalità deve essere ben diversa: sapere che la crescita dei nuovi è la nostra vita, non la nostra morte. Che, come nel caso della non-scuola, ci rigenera, anche là dove cresce l’angoscia del perdere terreno, angoscia legata allo scorrere degli anni, angoscia su cui i padri costruiscono spesso la loro violenza contro i figli.Che non ci siano padri, allora, che non ci siano figli! Che lo "stabile corsaro" sia un luogo aperto ai nuovi corsari, che offra strumenti e contributi, economici e non, per la loro crescita, sapendo che ci sono tante forme per contribuire a tale "fioritura", mica ci vogliono le super produzioni! Prima di tutto attenzione e amore, prima di tutto stimolare l'autonomia a correre con le proprie gambe.

(Nota tra parentesi. E’ evidente che tutto questo non avviene nel Regno dei Cieli, in un Eden svincolato dalla situazione generale, intendo Ministero, mercato, circuiti etc., intendo la violenza della "civiltà", padrona di tutti i contratti, delle armi e delle banche. Ma siccome ci saranno altre sedi e altre occasioni per contestare e criticare tutto il contestabile e il criticabile (sono di questi giorni le notizie sulle decisioni di tagli dati a gruppi che conosciamo, gruppi seri che lavorano etc.), il soprascritto intervento va tutto, volutamente, in una direzione "fattiva" e operosa, che in un qualche paradossale modo prescinde dalle condizioni generali, che è come dire: quando salterà la luce elettrica nel paese, nel mondo, e il black out durerà anni, smetteremo di fare teatro? Ci suicideremo? No, lo faremo con le candele e con la luce del sole, quella che usarono Aristofane e Shakespeare. Ci inventeremo il possibile e l’impossibile nella condizione data. )


CONCLUSIONE PO-ETICA
Leggendo dietro e sotto lo strato di ghiaccio che da millenni ricopre il mondo, e parafrasando Hakim Bey, scopriamo tracce di una fiera dottrina, quella che si potrebbe definire "una Poetica dell’Altro". La relazione con l’Altro non può essere limitata da alcuna idea o istituzione. Eppure, chiaramente per quanto paradossalmente, l’Unico-che-io-sono dipende dall’Altro per la sua pienezza e tale pienezza non può, non sarà mai realizzata in alcun amaro isolamento. Gli esempi di "bambini lupi" o enfants sauvages suggeriscono che un infante deprivato della compagnia umana per troppo tempo non giungerà mai alla conscia umanità, non arriverà mai al linguaggio. Il Bambino Selvaggio ci offre una metafora preziosa per l’Unico, e allo stesso tempo segna il punto preciso in cui l’Unico e l’Altro si incontrano, crescono insieme, raggiungono tutto ciò di cui sono capaci, e che prima di tale incontro non sanno. L’Altro rispecchia il Sé, l’Altro è il nostro testimone, l’Altro completa il Sé. L’Altro ci dà la chiave per la percezione dell’unità-di-essere. Quando parliamo di essere e coscienza indichiamo il Sé, quando parliamo di gioia implichiamo l’Altro. L’acquisizione del linguaggio cade sotto il segno di Eros – tutta la comunicazione è essenzialmente erotica. Dante e Avicenna affermano che l’Amore muove anche le stelle e i pianeti nei loro tragitti, i Veda e la Teogonia di Esiodo proclamano l’Amore il primo dio nato dopo il Caos. Affetti, affinità, percezioni estetiche, creazioni meravigliose, convivialità – tutte le più preziose ricchezze dell’Unico sorgono dalla congiunzione del Sé e dell’Altro nella costellazione del Desiderio.


 

BP701
77.11 Centro e periferia
Dopo le Buone Pratiche
di Fabio Biondi

 

Chissà se è ancora una buona pratica fare un bilancio delle esperienze che si vivono. Per l’arboreto di Mondaino, Milano è stata senza dubbio un’ottima via di conoscenza e di comunicazione.
Nonostante ciò, persiste il pensiero che l’arboreto di Mondaino sia ancora, di fatto, distante dal centro del teatro nazionale.
L’arboreto è la testimonianza di un progetto di provincia, non provinciale, ostinato e volitivo, nato ai margini delle grandi città, dei centri teatrali, delle tradizionali (e potenti) vie di concentrazione del dire e del fare teatro.
L’arboreto, forse, è ancora isolato, ma non è solo.
Fino a oggi la nostra marginalità è stata un terreno fertile, un sentimento d’appartenenza, un valore aggiunto.
Diversamente, in altre condizioni, non crediamo si sarebbe potuto realizzare l’arboreto di Mondaino, ora definito da più parti un progetto importante e originale, necessario - anche - al sistema teatrale nazionale.
Si dice che la provincia italiana esprima da anni alcuni dei progetti artistici, culturali e organizzativi più innovativi e interessanti nel panorama nazionale
Se l’affermazione corrisponde al vero, forse bisognerebbe davvero capirne il perché e quali sono le specifiche condizioni, le singolarità (l’ambiente) che favoriscono la creazione di progetti produttivi, in tutti i sensi, e non (solo) di semplice consumo d’esperienze e modelli importati, di ritorno, dai centri maggiori che storicamente detenevano la centralità del Teatro.
Per quanto ci riguarda, possiamo solo dire che l’arboreto, oltre che dalla passione di determinate persone (questo vale per tutti!) è nato dall’ascolto di un paesaggio, di una cultura del paesaggio che ci ha suggerito che cosa fare e come farlo, come trasformare e contaminare quella storia naturale infinita.
Quasi una scelta obbligata alla quale abbiamo aggiunto il desiderio di costruire il progetto di un sogno: realizzare in quel luogo dei PerCorsi d’arte e di vita che avessero prima di tutto un senso per noi, con la speranza che poi potessero servire ad altri; pensieri e azioni da condividere, rivedere e modificare radicalmente con il trascorrere del tempo e l’ospitalità, le residenze e le opere degli artisti, degli artigiani, delle persone.
Adesso che siamo riusciti a definire i contorni dei nostri percorsi, che ci siamo dati delle strutture di base, che siamo cresciuti, che abbiamo costruito un nuovo teatro, il teatro dimora (con il sostegno determinante della Provincia di Rimini e della Regione Emilia-Romagna e del Comune di Mondaino), possiamo intraprendere delle nuove vie, gettare dei ponti di collegamento fra l’arboreto e le altre realtà/strutture periferiche, fra le esperienze simili alle nostre e i centri di produzione e di promozione del teatro italiano che forse per rinnovarsi (se ne sentono la necessità) hanno bisogno delle nostre marginalità, dei nostri progetti di confine e di unione.


 

BPSUD00
104.5 BPSUD consuntivo Che senso ha se solo tu ti salvi?
Che cosa è successo a BP3 La questione meridionale del teatro
di Redazione ateatro

 



Il tavolo della presidenza: da sinistra, Franco D'Ippolito, Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino ascoltano la relazione di Antonio Taormina.

Uno scenario splendido come Castel dell’Ovo, circa 150 presenze, un dibattito ricco e articolato, un moderato uso del timer (per gli adepti: il mitico peperone è stato sostituito dal raffinato oggetto che Mimma Gallina ha portato dal Moma di New York). Questo è stata la terza edizione delle Buone Pratiche 2006. La questione meridionale del teatro. Alcune delle relazioni e delle Buone Pratiche sono già state pubblicate sul sito, altre lo saranno nelle prossime settimane e certamente anche il forum si arricchirà di interventi e repliche.



Ninni Cutaia del Teatro Mercadante e Rocco Laboragine del curcuito della Basilicata: al BPsud si è parlato molto della crisi del circuito lucano e delle possibili soluzioni.

Quelle che seguono sono solo alcune rapide impressioni generali, in attesa di ulteriori approfondimenti. Al di là dell’affluenza, un primo elemento significativo riguarda l’ampio spettro degli interventi: si sono incontrati amministratori, politici e gente di teatro, dal vicepresidente della Commissione Cultura della Camera onorevole Alba Sasso ai giovani artisti che lavorano al DAMM (il centro sociale napoletano), dai responsabili dei maggiori circuiti teatrali del Meridione a gruppi con il siciliano Mandara Ke.



Patrizia Ghedini tra Franco D'Ippolito e Oliviero Ponte di Pino.

Un secondo aspetto riguarda il clima costruttivo della discussione, ferma restando l’ovvia diversità delle posizioni e delle esigenze. E’ proprio questo l’obiettivo delle BP, di cui - visto che una edizione 2007 è pressoché inevitabile - ci sembra utile ribadire le linee guida (anzi, prendiamo in considerazione eventuali ospitalità per il prossimo anno). Quello che le Buone Pratiche possono e vogliono essere è - creare uno spazio di incontro indipendente e un’opportunità di libera discussione.

Perché questo avvenga in maniera costruttiva (e non dispersiva) è necessario creare le condizioni più adatte; in particolare, si tratti di: - facilitare la costruzione di una rete di rapporti e relazioni, anche al di là degli incontri;

- raccogliere e diffondere informazioni (oltre alle Buone Pratiche presentate e pubblicate sul sito, gli interventi di Giulio Stumpo dell’Osservatorio dello Spettacolo e di Patrizia Ghedini sull’iter della legge sullo spettacolo e sul rapporto Stato-Regioni in materia hanno offerto un punto di vista “in progress”, in continuità con BP2);
- fornire spunti di riflessione che possano innestare nuove progettualità (abbiamo lavorato su idee guida: nel 2004 la Banca delle Idee, nel 2005 La cultura come valore e nel 2006, appunto, La questione meridionale del teatro);
- costruire un’occasione pubblica di conoscenza, verifica e di incontro (ancora 1000 grazie agli organizzatori di questa tornata, in particolare Lello Serao e Luigi Marsano per l’impeccabile accoglienza, la disponibilità e la discrezione: capita di rado di trovare amici così);
- mettere (e tenere) a disposizione di tutti attraverso il sito www.ateatro.it il materiale raccolto, per stimolare ulteriori contributi, ma anche per sottoporre a verifica, nel corso del tempo, le Buone e le Cattive Pratiche che riusciamo a individuare (vedi per esempio il caso dei Teatri di Napoli, presentata come Buona Pratica due anni fa e al centro della riflessione di questa tornata, con un mix luci e ombre).



Giulio Stumpo dell'Osservatorio dello Spettacolo sorregge eroicamente le BPsud (o viceversa?).

Date queste “condizioni al contorno”, per quanto riguarda la discussione del 7 dicembre a Napoli possiamo provare a cogliere e rilanciare alcune indicazioni.

In primo luogo, la “questione meridionale” non è stata mai declinata - da nessuno - in termini di vittimismo e rivendicazionismo. Ci sono certamente delle differenze (anche clamorose) nella distribuzione dei consumi e delle risorse nel settore della cultura e dello spettacolo (vedi la clamorosa situazione del Molise denunciata da Stefano Sabelli); ma la questione è stata sempre affrontata nella sua complessità: perché c’è una distanza tra Nord e Sud (ma anche il Nord ha i suoi Sud, a cominciare dal Veneto); ma c’è anche quella tra Cemtro e Periferia (le metropoli e le periferie, le città e il territorio); e c’è infine - ed è un altro Sud - il nodo del giovani, il problema dell’accesso al sistema (e prima ancora della possibilità di sperimenarsi e di ottenere un minimo di visibilità).
In questo scenario, la transizione del sistema verso una base regionale è ovviamente un nodo centrale (e per questo l’impegno delle Regioni del Sud nella definizione della nuova legge è ovviamente determinante). Quella che è emersa con una forza inedita, questa volta, è la consapevolezza (da parte di tutti, dal vertice alla base) che l’attuale sistema di regole - a cominciare dal FUS - non è più adeguato: non solo crea barriere all’accesso pressoché insuperabili, ma non sembra neppure più in grado di garantire l’evoluzione e la stessa sopravvivenza del sistema così come si è sedimentato (e bloccato) in questi decenni.
Ancora più drammatica e urgente, in quest’ottica, appare la crisi dell’ETI: ridotta in pratica a costoso gestore di quattro sale, ha abdicato alle sua funzioni primarie e grava con un peso insostenibile sull’intera rete distributiva. La diffusa nostalgia del “Progetto aree disagiate” è solo un’ulteriore prova della necessità di una profonda riforma (o in alternativa della chiusura) dell’ETI. Più in generale, si tratta di inventare (o immaginare) un nuovo sistema di regole, di uscire dalla gabbia delle categorie. Un esempio tra tutti: nel documento dell'ANCRIT (Associazione Nazionale Compagnie e Residenze di Innovazione Teatrale) inviato da Luciano Nattino si chiede di inserire un apposito articolo per riconoscere una delle più proficue novità del sistema in questi anni, le residenze; questa è stata la strada seguita dal regolamento nel corso degli ultimi decenni per riflettere (o meglio inseguire) l’evoluzione del teatro italiano. L’intenzione è certo ottima, ma forse la maniera migliore di affrontare il problema non è la creazione di una nuova categoria ministerial-burocratica.
La sensazione diffusa è che gli attuali modelli siano inadeguati e che perciò sia necessaria una profonda riforma di sistema - e che questa riforma debba essere illuminata da dosi massicce di fantasia e di immaginazione creativa.



Beato tra le donne: nell'Antro di Virgilio, Luigi Marsano tra Costanza Boccardi e Mimma Gallina, felici dopo il raffinato buffet...

Perché oltretutto il teatro non può più restare chiuso nel suo specifico, quello dove lo rinserrano a doppia mandata le “categorie” e i “dati quantitativi”, ma deve confrontarsi con altri ambiti, per contaminarsi e arricchirsi: da un lato accettando il confronto con i nuovi media (come ha sottolineato Angelo Curti), e dall’altro misurandosi con la sfera del “sociale”, nelle sue varie declinazioni: solo per fare qualche esempio, i “teatri delle diversità”, le esperienze giovanili e dei centri sociali, il rapporto con il territorio e con la sua storia, la scuola e la formazione del pubblico. E’ una delle strade - certo non la sola - per arricchire di “valore” la cultura.

Un secondo aspetto riguarda l’evoluzione degli strumenti più adatti per individuare gli obiettivi del sostegno alla cultura e allo spettacolo (le linee strategiche di sviluppo); e in secondo luogo per valutare l’efficacia dell’investimento. E’ il nodo degli Osservatori della Cultura e dello Spettacolo, anch’esso evocato in numerosi interventi. Si tratta certamente di istituzioni utili e necessarie per una più efficace e trasparente gestione del denaro pubblico, ma anche in questo caso non mancano i rischi: da un lato quello di ridurre il problema ai suoi aspetti economico-statistici (con il rischio di mettere in secondo piano quali culturali e più specificamente artistici); dall’altro quello di subordinare l’attività a una forma ancora più sottile di controllo politico.

All’ordine del giorno, intimamente legato al problema dell’accesso, anche il nodo della formazione, che deve essere intimamente legato all’innovazione e alla ricerca. Anche in questo caso la crisi può essere una opportunità (anche di lavoro: per gli attori, ma soprattutto per tecnici e organizzatori...).



Da sinistra, Marina Rippa e Davide Iodice di liberamente, Saverio La Ruina di Scena Verticale e Sergio Longobardi di Babbaluck

Questo sono solo alcuni dei temi rilanciati dall’incontro di Napoli, ma possono già fornire una traccia per il futuro. Ma si possono - e si debbono - seguire anche altre tracce. Eccone un paio.

La notte prima dell’incontro del 7 dicembre è stato compiuto un furto a Piscinola, al Teatro Area Nord, quello di Lello Serao (il nostro ospite) e di Renato Carpintieri, lì c’è anche il set di uno dei nostri telefilm preferiti, La squadra. E’ stata divelta un’inferriata, sono stati portati via i computer e altre attrezzature. Il valore commerciale della merce rubata è pressoché nullo, il danno è grande (come sa chiunque abbia un pc con la memoria piena di doc, xls, jpg, mp3 eccetera), ma soprattutto quel furto tradisce la volontà di dare un segno (pochi giorni prima negli stessi locali era stato appiccato il fuoco alla biblioteca). Quel furto è una conferma - drammatica - del valore della cultura e del teatro.

E poi una frase di Antonio Neiwiller, grande artista napoletano scomparso, citata da Davide Iodice come snodo problematico di fronte alle difficoltà del presente, alle speranze e ai fallimenti: “Che senso ha se solo tu ti salvi?”. Una frase semplice, che esprime il senso profondo delle Buone Pratiche.



E alla fine, per riprendersi dalle fatiche della giornata, al Teatro Trianon a vedere la sceneggiata: 'O schiaffo con Pino Mauro, Oscar Di Maio, Antonio Buonuomo, regia di Carlo Cerciello.

PS Il dibattito napoletano può aiutare a capire anche quello che è successo all'incontro sullo specialemilano: per certi aspetti, Milano è più Meridione del Meridione...

PS2 le paparazzate sono di Mimma Gallina & Co.


 

BPSUD01
102.20 Le Buone Pratiche 3/2006: La questione meridionale del teatro
Tutti a Napoli il 7 dicembre!!!

a cura di ateatro
in collaborazione con i Teatri di Napoli, Comune di Napoli e Regione Campania
di Franco D’Ippolito, Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino

 

Napoli, Sala Campana, Castel dell’Ovo, 7 dicembre 2006



Le Buone Pratiche approdano finalmente al Sud, a Napoli. Non è stato facile, come sanno bene i fedeli lettori di ateatro, ma ce l’abbiamo fatta e ne siamo molto felici: era importante e necessario, e siamo certi che questa terza edizione (per gli amici BP3/2006) sarà utile.



A novembre 2004 a Milano avevamo provato a tracciare nell’incontro la mappa, al di fuori di pregiudizi e luoghi comuni, di alcune opportunità per uscire dalla crisi del teatro italiano. Nel novembre 2005 a Mira (Ve), abbiamo discusso con alcune personalità non direttamente impegnate nel settore sul tema “Il teatro come servizio pubblico e come valore: lo spettacolo dal vivo tra economia, politica e cultura” e abbiamo lanciato la parola d’ordine l’1% del Pil alla cultura, che è stato accolto nel programma elettorale dell’Ulivo e di altre forze politiche (di tutto questo trovate ampia traccia negli archivi di ateatro).
L’edizione 2006 è centrata su un terzo tema, anche se riprenderemo e rilanceremo anche le sollecitazioni delle prime due edizioni.

Ci incontreremo il prossimo 7 dicembre 2006 a Napoli, Castel dell’Ovo (dalle 10,00 alle 19,00) per il nostro terzo appuntamento sul tema “La questione meridionale nel teatro” .



Un solo dato. Nel Sud e nelle Isole vive circa il 35% degli italiani; nelle stesse Regioni tutti gli indicatori delle attività culturali e dello spettacolo sono attestati tra ul 15 e il 20% (dato 2004).

La questione meridionale del teatro sta nel divario nord-sud dei finanziamenti pubblici alla produzione ed alla distribuzione, delle sale agibili, del numero delle recite programmate, ma non solo. Sta anche nella difficoltà di sviluppare politiche attive di contrasto delle povertà materiali (attraverso l’occupazione diretta ed il vasto indotto che produce) e immateriali (che attengono alla qualità della vita delle comunità e al capitale civico dei territori), ma non solo. Sta nella specificità del “pensiero meridiano” e nelle punte d’eccellenza e nei modelli organizzativi e artistici che funzionano, ma non solo. Sta pure nella condizione di solitudine della passione dei talenti che nessuna legge o regolamento potrà misurare ma che senza quei riferimenti normativi certi continuerà a produrre l’individualismo delle azioni e dei pensieri. E forse sta in altro ancora, nella necessità di un’utopia, di cui il teatro e gli uomini non possono fare a meno.

Porremo a tutti noi alcune domande:

- “come può contribuire il teatro al superamento della questione meridionale intesa come palla al piede del sistema Italia?”;

- “quale grado di consapevolezza ha raggiunto l’imprenditoria privata nel considerare la crescita culturale parte irrinunciabile ed imprescindibile dello sviluppo economico del territorio?”;

- “cosa comporta e che significa per il sistema teatrale italiano il sotto la media delle produzioni, delle recite, delle sale teatrali, degli spettatori, delle risorse pubbliche e private del teatro meridionale?”;

- “come dare continuità alle pratiche teatrali meridionali e regolare le relazioni fra istituzioni, Enti Locali, organismi distributivi e teatri e compagnie?”;

- “quali politiche locali teatrali promuovere mentre si vanno definendo i nuovi assetti Stato/Regioni, magari avviando proprio dal Sud una ricomposizione degli obiettivi strategici (come ripartire il FUS, a chi e perché, qual è l’ambito nazionale e qule la rilevanza regionale);

- “è ancora realisticamente perseguibile, e come, l’obiettivo lanciato nell’incontro di BP2 a Mira, e raccolto da quasi tutte le forze politiche nella scorsa campagna elettorale, di portare all’1% del PIL la quota del bilancio statale per la cultura?”.

Ci piacerebbe che l’incontro meridionale fosse anche capace, con il contributo di tutti i partecipanti, di immaginare un’utopia per il Sud, un pensiero alto, non misurabile, che accompagnasse le cose concrete che si possono fare e che si debbono fare e che possa restituire alle donne ed agli uomini meridionali il “sogno del bello”.

Apriremo inoltre una sezione sulle “buone pratiche 2006”. Invitiamo dunque operatori e amministratori a presentare ciò che di positivo e di replicabile hanno fatto o stanno facendo (per questa sezione sarà necessario inviare la propria “buona pratica” per iscritto a info@ateatro.it almeno 15 giorni prima dell’incontro di Napoli).

Presto pubblicheremo il programma dell’incontro e le notizie utili per organizzare il vostro viaggio ed il vostro soggiorno a Napoli (alberghi, b&b e ristoranti convenzionati). Le caratteristiche degli incontri restano quelle della prime due tornate delle Buone pratiche: assoluta indipendenza e libertà, autogestione e trasparenza, partecipazione gratuita, diffusione delle relazioni (sempre gratuita) sul sito www.ateatro.it, discussione aperta sia nel corso dell’incontro sia nei forum di www.ateatro.it.


 

BPSUD02
103.5 BP3 La questione meridionale Le informazioni essenziali
Chi ci sarà, organizzazione e logistica
di Redazione ateatro

 


 
Napoli e Castel dell’Ovo ci aspettano, dalle 10 alle 19 del 7 dicembre.
Le Buone Pratiche 3 La questione meridionale stanno prendendo forma.
Nei prossimi giorni metteremo sul sito altre info, news e alcune delle Buone Pratiche che verranno presentate nel corso dell’incontro. E naturalmente stiamo mettendo a punto il programma della giornata.

Siamo sicuri: sarà un incontro interessante, appassionante e appassionato!
Ma anche affollato.
Perché ci sarà molta gente. Hanno già confermato la loro partecipazione, tra gli altri:

Alba SASSO, vicepresidente Commissione cultura della Camera
Nicola ODDATI, assessore alla cultura del Comune di Napoli
Rachele FURFARO, consulente per lo spettacolo della Regione Campania
Patrizia GHEDINI, dirigente settore spettacolo della Regione Emilia-Romagna
Michele TRIMARCHI, economista della cultura
Giulio STUMPO, Osservatorio dello Spettacolo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Antonio TAORMINA, Ater Formazione
Carmelo GRASSI, presidente Anart
Ninni CUTAIA, direttore del Teatro Mercadante-Stabile di Napoli
Raimondo ARCOLAI, direttore del Teatro Stabile delle Marche
Alfredo BALSAMO, presidente e direttore del Teatro Pubblico Campano
Rocco LABORAGINE, direttore dell’Associazione Basilicata Spettacolo

e poi, in ordine sparso, tra gli altri

Teatro Kismet OperA
Cerchio di Gesso, Crest
Cantieri Koreja
Teatro Minino
Armamaxa
Crasc
La Bottega degli Apocrifi
Enzo Toma
Teatro Pubblico Pugliese
Scenastudio
Scena Verticale
Teatro Sybaris di Castrovillari
Teatro Rendano di Cosenza
Circuito Teatrale Calabrese
Teatro Segreto
Valentina Valentini (Università della Calabria)
Claudia Cannella (“Hystrio” e “Corriere della Sera”)
Giuseppe Cutino (Tutte le strade portano ad Alcamo)
Vito Minoia (Teatri delle Diversità)
Francesco D'Agostino (Quellidgrock)
Fanny Bouquerel
Giovanni Spedicati (Editrice Mongolfiera)
Danny Rose
Mario Nuzzo
Simone Ricciardello
Lia Zinno (Pantakin)
Fulvio Iannelli
Maria Rita Parisi

Ma questo è solo un primo elenco parziale: stiamo ancora raccogliendo adesioni e presenze, abbiamo in serbo qualche bella sorpresa!
Intanto, se volete iscrivervi (ma che dico, “volete”: dovete!!!) alle Buone Pratiche, cliccate qui.

Per quanto riguarda gli aspetti logistici, qui di seguito le info essenziali.


Coordinamento organizzativo

I Teatrini 081.19567674
Libera Scena Ensemble 081.5851096
Luca Grossi, Luigi Marsano, Lello Serao
www.ateatro.it - teatridinapoli@fastwebnet.it


Dove dormire, se non avete parenti a Napoli

Alberghi che hanno disponibilità di stanze doppie per i giorni 6 e 7 dicembre: Hotel Cavour P.zza Garibaldi, 32 (tel 081.283122) stanza doppia 90 euro Hotel Nuovo Rebecchino C.so Garibaldi, 356 (tel 081/5535327) stanza doppia 100 euro Grand Hotel Oriente Via A. Diaz, 44 (tel 081.5512133) stanza doppia 140 euro (chiedere di Ciro) Hotel San Marco Calata San Marco (tel 081.5520338) stanza doppia 130 euro

Ci sono ottimi Bed and Breakfast un po’ più economici che si possono contattare direttamente sul sito www.rentabed.com .


Cosa fare la sera del 6 e del 7 dicembre?
C'è una certa disponibilità di posti riservati ai partecipanti di BP3 per la pomeridiana di mercoledì 6 dicembre alle ore 21.00 dello spettacolo Questo buio feroce di Pippo Delbono al Teatro Mercadante. Chi fosse interessato può segnalarlo iscrivendosi all'incontro.

Per la serata del 7 dicembre abbiamo chiesto a tutti i teatri napoletani di mettere a disposizione qualche biglietto per i partecipanti a BP3 in modo che ognuno possa scegliere in libertà quale spettacolo vedere e confermarlo in piena autonomia.
Presto pubblicheremo l'elenco dei teatri che hanno aderito alla nostra proposta e degli spettacoli in programmazione.


 

BPSUD03
104.6 BPSUD Che senso ha se solo tu ti salvi
Il testo
di Antonio Neiwiller

 

E' tempo di mettersi in ascolto.
E' tempo di fare silenzio dentro di sé.
E' tempo di essere mobili e leggeri,
di alleggerirsi per mettersi in cammino.
E' tempo di convivere con le macerie e
l'orrore, per trovare un senso.
Tra non molto, anche i mediocri lo diranno.
Ma io parlo di strade più impervie,
di impegni più rischiosi,
di atti meditati in solitudine.
L'unica morale possibile
è quella che puoi trovare,
giorno per giorno,
nel tuo luogo aperto-appartato.
Che senso ha se tu solo ti salvi.
Bisogna poter contemplare,
ma essere anche in viaggio.
Bisogna essere attenti,
mobili,
spregiudicati e ispirati.
Un nomadismo,
una condizione,
un'avventura,
un processo di liberazione,
una fatica,
un dolore,
per comunicare tra le macerie.
Bisogna usare tutti i mezzi disponibili,
per trovare la morale profonda
della propria arte.
Luoghi visibili
e luoghi invisibili,
luoghi reali
e luoghi immaginari
popoleranno il nostro cammino.
Ma la merce è merce,
e la sua legge sarà
sempre pronta a cancellare
il lavoro di
chi ha trovato radici e
guarda lontano.
Il passato e il futuro
non esistono nell'eterno presente,
del consumo.
Questo è uno degli orrori,
con il quale da tempo conviviamo
e al quale non abbiamo ancora
dato una risposta adeguata.
Bisogna liberarsi dall'oppressione
e riconciliarsi con il mistero.
Due sono le strade da percorrere,
due sono le forze da far coesistere.
La politica da sola è cieca.
Il mistero, che è muto,
da solo diventa sordo.
Un'arte clandestina
per mantenersi aperti,
essere in viaggio ma
lasciare tracce,
edificare luoghi,
unirsi a viaggiatori inquieti.
E se a qualcuno verrà in mente,
un giorno, di fare la mappa
di questo itinerario;
di ripercorrere i luoghi,
di esaminare le tracce,
mi auguro che sarà solo
per trovare un nuovo inizio.
E' tempo che l'arte
trovi altre forme
per comunicare in un universo
in cui tutto è comunicazione.
E' tempo che esca dal tempo astratto
del mercato,
per ricostruire
il tempo umano dell'espressione necessaria.
Bisogna inventare.
Una stalla può diventare
un tempio e
restare magnificamente una stalla.
Né un Dio,
né un'idea,
potranno salvarci
ma solo una relazione vitale.
Ci vuole
un altro sguardo
per dare senso a ciò
che barbaramente muore ogni giorno
omologandosi.
E come dice un maestro:
"tutto ricordare e tutto dimenticare."


L’altro sguardo: per un teatro clandestino. Dedicato a T. Kantor (1993)

Un ringraziamento a Marina Rippa che ci ha inviato il testo di Antonio.


 

BPSUD04
104.8 BPSUD Un monumentale articolo sull'incontro di Napoli
E non ce lo siamo scritti da soli!
di Mario Nuzzo ("Eolo")

 

Tutta dedicata al sud ed alla “questione meridionale” questa edizione delle buone pratiche, l’ormai classico appuntamento organizzato dalla rivista telematica Ateatro.
Nella meravigliosa ambientazione di Castel dell’Ovo, a Napoli, si sono succeduti diversi interventi suddivisi in tre aree tematiche distinte: il primo argomento è stato proprio l’analisi della situazione del sud attraverso i resoconti quantitativi ed alcune esperienze raccontate dai diretti interessati; una parte dedicata al racconto di buone (e cattive) pratiche istituzionali; un segmento conclusivo di interventi come al solito relativi ai racconti di buone pratiche appartenenti alla così detta Banca delle idee, ovvero esempi di interventi teatrali artistici o organizzativi che hanno dimostrato un buon riscontro.
Come ogni anno l’introduzione è stata affidata ai tre “padroni di casa”: Oliviero Ponte di Pino, che ha raccontato l’esperienza delle due passate edizioni e lo spirito che anima questi incontri, ovvero il desiderio di diffondere idee, suggestioni, proposte che possano essere ripetibili e che costituiscano lo stimolo per la fondazione di reti o sistemi. Sull’abbrivio di quanto detto Mimma Gallina ha perfezionato l’analisi mettendo in rilievo due aspetti: la necessità che la cultura possa essere intesa come motore di sviluppo e quindi il bisogno che la ricognizione dello stato dell’arte possa essere anche tradotto in termini di modelli da seguire; e d’altra parte un commento sul progressivo diradarsi delle Idee messe in circolo nei diversi anni in cui questa iniziativa si è dipanata. A Franco D’Ippolito è toccato invece introdurre l’argomento specifico dell’incontro, evidenziando con rigore alcuni dei punti fermi che sono poi ricomparsi nell’arco della giornata. Innanzi tutto il fatto che l’esistenza di una questione meridionale non escluda il contemporaneo sviluppo di una settentrionale e che quindi non vi sia in questo momento un modello, magari nordico, che applicato alla realtà del sud potrebbe garantire sic et simpliciter buoni risultati: l’attenzione di D’Ippolito si è concentrata sulla solitudine del sud, sulla mancanza completa di un sistema di sviluppo e di una progettualità, sull’assenza di un concorso agonista di enti regionali o locale (tranne pochissime eccezioni), sul bisogno che il fervore riconosciuto alla produzione artistica del sud non venga interpretato solo come una questione socio-antropologica (a questo proposito ha fatto esplicito riferimento ad un recente articolo di Renato Palazzi sul Domenicale) ma come risposta ad un totale abbandono. L’analisi poi si è fatta immediatamente tecnica grazie alle parole di Giulio Stampo (Osservatorio dello spettacolo), che citando alcune indagini statistiche ha rilevato la consistente sperequazione d’investimenti fra centro e periferie, a fronte di una distribuzione dei fondi che non tiene per nulla conto delle differenze territoriali, ma spesso si basa su criteri poco riconoscibili o traducibili. D’altra parte, rispetto alle assegnazioni del Fus ha ricordato che non essendoci alcun commento sui dati di riferimento, essi diventano assoggettabili a qualsiasi critica e quindi difficilmente interpretabili o verificabili; cosa quest’ultima che paradossalmente potrebbe rendere già raggiunto l’obiettivo dell’1% del Pil alla cultura, punto di discussione che venne valutato nella seconda edizione delle buone pratiche.
A questo punto è intervenuto l’assessore Oddati che, dopo i ringraziamenti di rito, ha voluto confermare l’appoggio completo del comune ai progetti che stanno cercando di recuperare una situazione sociale difficile grazie all’intervento artistico, con esplicito riferimento al progetto dei Teatri di Napoli e ad Errevuoto. In riferimento agli incidenti che sono successi durante i giorni precedenti la manifestazione in alcuni dei luoghi che stanno portando avanti tali progetti, ha giustamente osservato che il riconoscimento dello svolgimento di una funzione passa non solo dalla conferma e dal sostegno ma anche dall’avversazione, e quindi che non possono essere considerati tout court come fallimento di un’operazione culturale. Le altre osservazioni sono state in merito al ruolo del sistema pubblico e alla necessaria convergenza fra sistema pubblico e privato.
Sul sistema pubblico si è concentrata anche l’attenzione dell’intervento di Alba Sasso, che, a partire da un commento sulla finanziaria e sulle prospettive, ha descritto un desolante quadro di solitudine degli artisti, di mancanza di un osservatorio che sappia valutare l’assegnazione dei fondi, di sterilità del consolidato sistema di distribuzione dei fondi sulla base dei risultati di gestione conseguiti. Il fatto che l’intervento pubblico spesso vada a consolidare situazioni preesistenti tende a tagliare fuori le idee innovative e quindi a conser