(104) 16/12/06
Napoli, Stoccolma o Norimberga?

Napoli, Stoccolma o Norimberga, ovunque voi siate Buon Natale e Felice 2007 a tutti
L'editoriale di ateatro 104
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro104.htm#104and1
 
BPSUD consuntivo Che senso ha se solo tu ti salvi?
Che cosa è successo a BP3 La questione meridionale del teatro
di Redazione ateatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro104.htm#104and5
 
BPSUD Che senso ha se solo tu ti salvi
Il testo
di Antonio Neiwiller

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro104.htm#104and6
 
BPSUD Le stagioni di Palermo
Il Cartello dei 5 teatri
di Clara Gebbia

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro104.htm#104and7
 
BPSUD Un monumentale articolo sull'incontro di Napoli
E non ce lo siamo scritti da soli!
di Mario Nuzzo ("Eolo")

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro104.htm#104and8
 
BPSUD Qualche idea sulle regole
In margine alle Buone Pratiche
di Franco D'Ippolito

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro104.htm#104and9
 
Il segno e il sangue: Paesaggio con fratello rotto
Una nota sulla trilogia del Teatro della Valdoca
di Oliviero Ponte di Pino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro104.htm#104and10
 
Totopoltrone 2: il nuovo gioco a premi di ateatro
Partecipa anche tu!
di Perfida De Perfidis

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specialemilano che cosa (non) abbiamo detto il 22 novembre
Il verbale dell'incontro
di Giovanna Crisafulli

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William Kentridge: la magia dell’ombra
Omaggio al grande artista sudafricano nella collana d’arte Supercontemporanea di Electa
di Anna Maria Monteverdi

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Bernard-Marie Koltès, ritratto a più voci
In convegno a Palermo
di Maria Teresa de Sanctis

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BPSUD Le residenze: il convegno di Torino
Il report del convegno e la relazione
di Luciano Nattino

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro104.htm#104and45
 
BPSUD Materiali Il sipario s'alza a sud
Dal "Sole 24-Ore", 3 dicembre 2006
di Renato Palazzi

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro104.htm#104and48
 
BP2006 Bancone di Prova
Un progetto creativo di 4 giovani autori
di Bancone di prova

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BPSUD Il ritorno a Itaca
A Napoli, a Napoli
di Claudio Ascoli, Chille de la balanza

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BPSUD Alf Laila a Napoli
Con una mail a Oliviero Ponte di Pino
di Roberto Roberto

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BPSUD Opportunità e differenze nella diffusione delle esperienze di Teatro Sociale nel Sud e nelle Isole
L'abstract dell'intervento a BPSUD
di Vito Minoia*

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BPSUD Materiali La personalità giuridica per chi fa spettacolo: cala il sipario!
Su alcuni aspetti della legge regionale
di Comitato di Discussione del Disegno di Legge Regionale sullo Spettacolo in Campania

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BPSUD Materiali Sosteniamo la cultura e lo spettacolo nella Regione Campania
Un appello
di Coordinamento dei produttori e promotori delle attività di cultura e spettacolo della Regione Campania

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BP 2006 www.eolo-ragazzi.it
Una rivista per il teatroragazzi
di eolo

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BPSUD Teatro e università al Sud
Nota per la costituenda Fondazione CAMPUS TEATRI, Università della Calabria
di Valentina Valentini

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BPSUD Voglia di storie
Il nuovo tra innovazione e recupero di un sapere
di Danny Rose

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L'arte delle donne a Collegno
Dal 2 al 7 dicembre
di Ufficio stampa

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BP04: Teatri di vetro
(visibilità e accesso)
di Roberta Nicolai

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Teatro e carcere in convegno a Roma
Edge Meeting 2006, 12/13/14/15 Dicembre
di Ufficio stampa

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Due “open” del Corso Operatori della Paolo Grassi
Sotto la guida di Mimma Gallina e Marina Gualandi
di Scuola d'Arte Drammatica

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Superpoltrone: Rutelli nomina la commissione del Festival Nazionale del Teatro
Il superfestival nelle mani di Nastasi, Giammusso, Pischedda e Villoresi
di Redazione ateatro

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La nuova drammaturgia turca: un bando
Invito per la selezione di un progetto di produzione
di Centro Santa Chiara - Asti Teatro

http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro104.htm#104and80
 

 

Napoli, Stoccolma o Norimberga, ovunque voi siate Buon Natale e Felice 2007 a tutti
L'editoriale di ateatro 104
di Redazione ateatro

 

Ebbene sì, lo confessiamo.
Alcuni di noi, dopo le fatiche delle Buone Pratiche, se ne sono andati a vedere la sceneggiata, per poi scoprire che Giuliano Amato l’ha inserita nel suo Index Spectalorum Prohibitorum insieme ai neomelodici.
Ebbene sì, lo confessiamo.
Ci è pure piaciuta, la sceneggiata. Ci siamo divertiti: “’A curtellata sì, ’o schiaffo maie”, dicevano.
Però di schiaffi continuano ad arrivarcene, da destra e da sinistra.
Ma non tratteneggiamoci oltre (dicevano anche così, al Teatro Trianon, e noi giù a ridere), e proviamo a procedere con ordine.



Le Buone Pratiche alla Sala Francesco Compagna di Castel dell'Ovo.

Napoli, abbiamo scritto nel titolo. La terza edizione delle Buone Pratiche è andata bene assaie. In ateatro 104 avete diritto ad ampi resoconti e al solito mappazzo di materiali e relazioni. Se dobbiamo riassumerlo in due parole, BPSUD fa ben sperare. Anche Napoli fa ben sperare, malgrado i Neomelodici e TorqueAmado.



La relazione dell'Assessore alla Cultura del Comune di Napoli Nicola Oddati; in primo piano, Lello Serao.

Ma Stoccolma? Che c’entra Stoccolma?
Beh, poco tempo fa, parlando delle istituzioni teatrali italiane, Gianfranco Capitta sul “manifesto” parlava di “Sindrome di Stoccolma”:

“Va in scena a Roma (e anche nel resto d'Italia) una certa «sindrome di Stoccolma», che rende immobili gli equilibri ai vertici di cultura e spettacolo messi in vigore negli anni scorsi dalla ineffabile Casa delle libertà. Che non avendo grandi geni nelle sue fila artistiche, ha promosso parenti, basso funzionariato e residuati bellici: un esercito di arroganti e insipienti. Sono passati sei mesi dal ritorno del centrosinistra al governo, e anni dalla riconquista della maggior parte degli enti locali da parte dello stesso schieramento, ma come in un incubo si rimane sospesi con i vecchi assetti e le stesse impresentabili facce alla guida di teatri e istituzioni.”

Non è solo continuità. Se possibile è addirittura peggio. Anche le novità vengono gestite in assoluta continuità, secondo quella che appare una irrimediabile involuzione del sistema.

Pensate al Festival Nazionale del Teatro appena inventato da Francesco Rutelli. Il neo-ministro impone una commissione per decidere quali fortunati progetti di “istituzioni ed enti” verranno presi in considerazione dal RutelliFestival. La dicitura è inquietante, nella sua burocratica freddezza: s’immaginano l’Eni e le Asl, le Fondazioni Bancarie e le Associazioni Combattenti e Reduci, la Corte d’Appello di Bari e il Provveditorato agli Studi di Belluno inviare pacchi di moduli con golosi progetti festivalieri.
Non abbiamo ancora letto il bando di concorso, siamo molto curiosi perché con queste sono le premesse ci sarà da ridere... Siamo sicuri che saranno moltissimi a (con)correre, perché al MegaFestival - si suppone - girerà qualche euro: anzi, non vediamo l’ora di vedere anche il budget (per capire quello che NON avranno gli altri MicroFestival...).
Facile immaginare che nessun teatrante - salvo qualche ingenuo kamikaze - oserà criticare apertamente la commissione, perché non si sa mai, un’idea per il RutelliFestival può venire a chiunque - e con gli appoggi giusti magari passa...
La commissione è, se possibile, ancora meno presentabile del concorso per “istituzioni ed enti”. Presidente è Salvo Nastasi, entrato al vertice del Ministero dello Spettacolo in quota AN e abilmente riciclato in comproprietà tra DS e Margherita - insomma è già Ulivo (vedi il Totopoltrone di ateatro 103). Poi ci sarà Maurizio Giammusso, che ha lanciato e gestito i Premi Olimpici del Teatro, il carrozzone sottogovernativo voluto da Gianni Letta che ha come obiettivo quello di sancire gli attuali equilibri. Non può mancare Antonello Pischedda, creatore di eventi in provincia e abile nel trattare con i parenti e con gli agenti di star paratelevisive, quelle che “chiamano il pubblico”... Nessuno di loro ha mai diretto o gestito un festival di qualche respiro, nessuno di loro si è mai distinto nella scoperta e nella valorizzazione del nuovo.
Di tutti loro, in diversi momenti, si è occupato ateatro: andate a rovistare negli archivi e capirete che le nostre vittime devono solo ringraziarci, fanno sempre una brillante carriera... A far da foglia di fico a questo terzetto di moschettieri del teatro (nessuno di loro - ci risulta - ha mai ideato, diretto o gestito festival di qualche respiro), un’artista come Pamela Villoresi, che ha come principale merito quello di traboccare di buone intenzioni.
L’inevitabile risultato sarà un festival di regime, o meglio un Festival delle Margherite, con qualche giovane (le Primule...) per pararsi il culo di fronte ai soliti criticoni giovanilisti stile ateatro.

Vale poi la pena di tornare sul “caso Toscana” e sul “caso Prato”, dove le logiche di potere interne ai DS - o meglio, interne alle gerarchie e alle faide di partito - stanno affossando la vita culturale e teatrale. Con effetti al limite del ridicolo (andate nei forum...).
Poi c’è anche l’Arcus (appena commissariata da Rutelli), un vero buco nero di euro e di trasparenza: è praticamente impossibile sapere come questa società, gestita in comunione dei beni dai ministri Rutelli e Di Pietro, sta spendendo i nostri soldi. Questa volta a dirlo non siamo solo noi di ateatro, se n’è accorto anche “Panorama”...
Speriamo solo che il Fondo Stato-Regioni venga gestito in maniera un po' più trasparente...
Allora noi continuiamo a cercare di capire, proviamo a informare, vogliamo spiegarci (e di spiegare) quello che sta succedendo, e soprattutto quello che non sta succedendo. A fare facili profezie.
Appena possiamo ci divertiamo (o meglio, c’è Perfida (la nostra Vergine di Norimberga) che si diverte anche alle nostre spalle, nel suo feroce Totonomine).
Intanto continuiamo nella nostra strada, parlando delle cose che ci piacciono, come la Valdoca e William Kentridge.

Allora leggetevi questo ateatro 104, e poi diteci se sono meglio le Buone Pratiche di Napoli o le Vecchie Sindromi di Stoccolma... E se incontrate la Vergine di Norimberga, sapete cosa le piace!


 


 

BPSUD consuntivo Che senso ha se solo tu ti salvi?
Che cosa è successo a BP3 La questione meridionale del teatro
di Redazione ateatro

 



Il tavolo della presidenza: da sinistra, Franco D'Ippolito, Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino ascoltano la relazione di Antonio Taormina.

Uno scenario splendido come Castel dell’Ovo, circa 150 presenze, un dibattito ricco e articolato, un moderato uso del timer (per gli adepti: il mitico peperone è stato sostituito dal raffinato oggetto che Mimma Gallina ha portato dal Moma di New York). Questo è stata la terza edizione delle Buone Pratiche 2006. La questione meridionale del teatro. Alcune delle relazioni e delle Buone Pratiche sono già state pubblicate sul sito, altre lo saranno nelle prossime settimane e certamente anche il forum si arricchirà di interventi e repliche.



Ninni Cutaia del Teatro Mercadante e Rocco Laboragine del curcuito della Basilicata: al BPsud si è parlato molto della crisi del circuito lucano e delle possibili soluzioni.

Quelle che seguono sono solo alcune rapide impressioni generali, in attesa di ulteriori approfondimenti. Al di là dell’affluenza, un primo elemento significativo riguarda l’ampio spettro degli interventi: si sono incontrati amministratori, politici e gente di teatro, dal vicepresidente della Commissione Cultura della Camera onorevole Alba Sasso ai giovani artisti che lavorano al DAMM (il centro sociale napoletano), dai responsabili dei maggiori circuiti teatrali del Meridione a gruppi con il siciliano Mandara Ke.



Patrizia Ghedini tra Franco D'Ippolito e Oliviero Ponte di Pino.

Un secondo aspetto riguarda il clima costruttivo della discussione, ferma restando l’ovvia diversità delle posizioni e delle esigenze. E’ proprio questo l’obiettivo delle BP, di cui - visto che una edizione 2007 è pressoché inevitabile - ci sembra utile ribadire le linee guida (anzi, prendiamo in considerazione eventuali ospitalità per il prossimo anno). Quello che le Buone Pratiche possono e vogliono essere è - creare uno spazio di incontro indipendente e un’opportunità di libera discussione.

Perché questo avvenga in maniera costruttiva (e non dispersiva) è necessario creare le condizioni più adatte; in particolare, si tratti di: - facilitare la costruzione di una rete di rapporti e relazioni, anche al di là degli incontri;

- raccogliere e diffondere informazioni (oltre alle Buone Pratiche presentate e pubblicate sul sito, gli interventi di Giulio Stumpo dell’Osservatorio dello Spettacolo e di Patrizia Ghedini sull’iter della legge sullo spettacolo e sul rapporto Stato-Regioni in materia hanno offerto un punto di vista “in progress”, in continuità con BP2);
- fornire spunti di riflessione che possano innestare nuove progettualità (abbiamo lavorato su idee guida: nel 2004 la Banca delle Idee, nel 2005 La cultura come valore e nel 2006, appunto, La questione meridionale del teatro);
- costruire un’occasione pubblica di conoscenza, verifica e di incontro (ancora 1000 grazie agli organizzatori di questa tornata, in particolare Lello Serao e Luigi Marsano per l’impeccabile accoglienza, la disponibilità e la discrezione: capita di rado di trovare amici così);
- mettere (e tenere) a disposizione di tutti attraverso il sito www.ateatro.it il materiale raccolto, per stimolare ulteriori contributi, ma anche per sottoporre a verifica, nel corso del tempo, le Buone e le Cattive Pratiche che riusciamo a individuare (vedi per esempio il caso dei Teatri di Napoli, presentata come Buona Pratica due anni fa e al centro della riflessione di questa tornata, con un mix luci e ombre).



Giulio Stumpo dell'Osservatorio dello Spettacolo sorregge eroicamente le BPsud (o viceversa?).

Date queste “condizioni al contorno”, per quanto riguarda la discussione del 7 dicembre a Napoli possiamo provare a cogliere e rilanciare alcune indicazioni.

In primo luogo, la “questione meridionale” non è stata mai declinata - da nessuno - in termini di vittimismo e rivendicazionismo. Ci sono certamente delle differenze (anche clamorose) nella distribuzione dei consumi e delle risorse nel settore della cultura e dello spettacolo (vedi la clamorosa situazione del Molise denunciata da Stefano Sabelli); ma la questione è stata sempre affrontata nella sua complessità: perché c’è una distanza tra Nord e Sud (ma anche il Nord ha i suoi Sud, a cominciare dal Veneto); ma c’è anche quella tra Cemtro e Periferia (le metropoli e le periferie, le città e il territorio); e c’è infine - ed è un altro Sud - il nodo del giovani, il problema dell’accesso al sistema (e prima ancora della possibilità di sperimenarsi e di ottenere un minimo di visibilità).
In questo scenario, la transizione del sistema verso una base regionale è ovviamente un nodo centrale (e per questo l’impegno delle Regioni del Sud nella definizione della nuova legge è ovviamente determinante). Quella che è emersa con una forza inedita, questa volta, è la consapevolezza (da parte di tutti, dal vertice alla base) che l’attuale sistema di regole - a cominciare dal FUS - non è più adeguato: non solo crea barriere all’accesso pressoché insuperabili, ma non sembra neppure più in grado di garantire l’evoluzione e la stessa sopravvivenza del sistema così come si è sedimentato (e bloccato) in questi decenni.
Ancora più drammatica e urgente, in quest’ottica, appare la crisi dell’ETI: ridotta in pratica a costoso gestore di quattro sale, ha abdicato alle sua funzioni primarie e grava con un peso insostenibile sull’intera rete distributiva. La diffusa nostalgia del “Progetto aree disagiate” è solo un’ulteriore prova della necessità di una profonda riforma (o in alternativa della chiusura) dell’ETI. Più in generale, si tratta di inventare (o immaginare) un nuovo sistema di regole, di uscire dalla gabbia delle categorie. Un esempio tra tutti: nel documento dell'ANCRIT (Associazione Nazionale Compagnie e Residenze di Innovazione Teatrale) inviato da Luciano Nattino si chiede di inserire un apposito articolo per riconoscere una delle più proficue novità del sistema in questi anni, le residenze; questa è stata la strada seguita dal regolamento nel corso degli ultimi decenni per riflettere (o meglio inseguire) l’evoluzione del teatro italiano. L’intenzione è certo ottima, ma forse la maniera migliore di affrontare il problema non è la creazione di una nuova categoria ministerial-burocratica.
La sensazione diffusa è che gli attuali modelli siano inadeguati e che perciò sia necessaria una profonda riforma di sistema - e che questa riforma debba essere illuminata da dosi massicce di fantasia e di immaginazione creativa.



Beato tra le donne: nell'Antro di Virgilio, Luigi Marsano tra Costanza Boccardi e Mimma Gallina, felici dopo il raffinato buffet...

Perché oltretutto il teatro non può più restare chiuso nel suo specifico, quello dove lo rinserrano a doppia mandata le “categorie” e i “dati quantitativi”, ma deve confrontarsi con altri ambiti, per contaminarsi e arricchirsi: da un lato accettando il confronto con i nuovi media (come ha sottolineato Angelo Curti), e dall’altro misurandosi con la sfera del “sociale”, nelle sue varie declinazioni: solo per fare qualche esempio, i “teatri delle diversità”, le esperienze giovanili e dei centri sociali, il rapporto con il territorio e con la sua storia, la scuola e la formazione del pubblico. E’ una delle strade - certo non la sola - per arricchire di “valore” la cultura.

Un secondo aspetto riguarda l’evoluzione degli strumenti più adatti per individuare gli obiettivi del sostegno alla cultura e allo spettacolo (le linee strategiche di sviluppo); e in secondo luogo per valutare l’efficacia dell’investimento. E’ il nodo degli Osservatori della Cultura e dello Spettacolo, anch’esso evocato in numerosi interventi. Si tratta certamente di istituzioni utili e necessarie per una più efficace e trasparente gestione del denaro pubblico, ma anche in questo caso non mancano i rischi: da un lato quello di ridurre il problema ai suoi aspetti economico-statistici (con il rischio di mettere in secondo piano quali culturali e più specificamente artistici); dall’altro quello di subordinare l’attività a una forma ancora più sottile di controllo politico.

All’ordine del giorno, intimamente legato al problema dell’accesso, anche il nodo della formazione, che deve essere intimamente legato all’innovazione e alla ricerca. Anche in questo caso la crisi può essere una opportunità (anche di lavoro: per gli attori, ma soprattutto per tecnici e organizzatori...).



Da sinistra, Marina Rippa e Davide Iodice di liberamente, Saverio La Ruina di Scena Verticale e Sergio Longobardi di Babbaluck

Questo sono solo alcuni dei temi rilanciati dall’incontro di Napoli, ma possono già fornire una traccia per il futuro. Ma si possono - e si debbono - seguire anche altre tracce. Eccone un paio.

La notte prima dell’incontro del 7 dicembre è stato compiuto un furto a Piscinola, al Teatro Area Nord, quello di Lello Serao (il nostro ospite) e di Renato Carpintieri, lì c’è anche il set di uno dei nostri telefilm preferiti, La squadra. E’ stata divelta un’inferriata, sono stati portati via i computer e altre attrezzature. Il valore commerciale della merce rubata è pressoché nullo, il danno è grande (come sa chiunque abbia un pc con la memoria piena di doc, xls, jpg, mp3 eccetera), ma soprattutto quel furto tradisce la volontà di dare un segno (pochi giorni prima negli stessi locali era stato appiccato il fuoco alla biblioteca). Quel furto è una conferma - drammatica - del valore della cultura e del teatro.

E poi una frase di Antonio Neiwiller, grande artista napoletano scomparso, citata da Davide Iodice come snodo problematico di fronte alle difficoltà del presente, alle speranze e ai fallimenti: “Che senso ha se solo tu ti salvi?”. Una frase semplice, che esprime il senso profondo delle Buone Pratiche.



E alla fine, per riprendersi dalle fatiche della giornata, al Teatro Trianon a vedere la sceneggiata: 'O schiaffo con Pino Mauro, Oscar Di Maio, Antonio Buonuomo, regia di Carlo Cerciello.

PS Il dibattito napoletano può aiutare a capire anche quello che è successo all'incontro sullo specialemilano: per certi aspetti, Milano è più Meridione del Meridione...

PS2 le paparazzate sono di Mimma Gallina & Co.


 


 

BPSUD Che senso ha se solo tu ti salvi
Il testo
di Antonio Neiwiller

 

E' tempo di mettersi in ascolto.
E' tempo di fare silenzio dentro di sé.
E' tempo di essere mobili e leggeri,
di alleggerirsi per mettersi in cammino.
E' tempo di convivere con le macerie e
l'orrore, per trovare un senso.
Tra non molto, anche i mediocri lo diranno.
Ma io parlo di strade più impervie,
di impegni più rischiosi,
di atti meditati in solitudine.
L'unica morale possibile
è quella che puoi trovare,
giorno per giorno,
nel tuo luogo aperto-appartato.
Che senso ha se tu solo ti salvi.
Bisogna poter contemplare,
ma essere anche in viaggio.
Bisogna essere attenti,
mobili,
spregiudicati e ispirati.
Un nomadismo,
una condizione,
un'avventura,
un processo di liberazione,
una fatica,
un dolore,
per comunicare tra le macerie.
Bisogna usare tutti i mezzi disponibili,
per trovare la morale profonda
della propria arte.
Luoghi visibili
e luoghi invisibili,
luoghi reali
e luoghi immaginari
popoleranno il nostro cammino.
Ma la merce è merce,
e la sua legge sarà
sempre pronta a cancellare
il lavoro di
chi ha trovato radici e
guarda lontano.
Il passato e il futuro
non esistono nell'eterno presente,
del consumo.
Questo è uno degli orrori,
con il quale da tempo conviviamo
e al quale non abbiamo ancora
dato una risposta adeguata.
Bisogna liberarsi dall'oppressione
e riconciliarsi con il mistero.
Due sono le strade da percorrere,
due sono le forze da far coesistere.
La politica da sola è cieca.
Il mistero, che è muto,
da solo diventa sordo.
Un'arte clandestina
per mantenersi aperti,
essere in viaggio ma
lasciare tracce,
edificare luoghi,
unirsi a viaggiatori inquieti.
E se a qualcuno verrà in mente,
un giorno, di fare la mappa
di questo itinerario;
di ripercorrere i luoghi,
di esaminare le tracce,
mi auguro che sarà solo
per trovare un nuovo inizio.
E' tempo che l'arte
trovi altre forme
per comunicare in un universo
in cui tutto è comunicazione.
E' tempo che esca dal tempo astratto
del mercato,
per ricostruire
il tempo umano dell'espressione necessaria.
Bisogna inventare.
Una stalla può diventare
un tempio e
restare magnificamente una stalla.
Né un Dio,
né un'idea,
potranno salvarci
ma solo una relazione vitale.
Ci vuole
un altro sguardo
per dare senso a ciò
che barbaramente muore ogni giorno
omologandosi.
E come dice un maestro:
"tutto ricordare e tutto dimenticare."


L’altro sguardo: per un teatro clandestino. Dedicato a T. Kantor (1993)

Un ringraziamento a Marina Rippa che ci ha inviato il testo di Antonio.


 


 

BPSUD Le stagioni di Palermo
Il Cartello dei 5 teatri
di Clara Gebbia

 

Un breve passo indietro

Nel 1992, come tutti sanno, Palermo ha vissuto dei conflitti che si sono risolti in eventi tragici quali le stragi di mafia Falcone e Borsellino. Secondo Ugo Morelli, curatore del volume Il teatro e la città (Guerini e Associati), saggio sulla riapertura del Teatro Massimo di Palermo, la rinascita culturale della città affonda le sue radici proprio in quei tragici eventi che Palermo ha subito. La “rinascita” palermitana è infatti da considerarsi frutto dell'elaborazione di un lutto o più lutti.
Questi hanno dato vita ad un reazione spontanea fatta di volontariato, di iniziative libere che poco a poco si organizzano e che riescono a determinare le scelte politiche dei cittadini.
Anzi, lo stesso progetto politico degli anni a venire nasce da quella che viene definita un “esplosione emotiva” della città rispetto agli avvenimenti tragici di cui è stata teatro.
Sono gli anni (dal 1993 al 2000) in cui è sindaco Leoluca Orlando. Il lavoro che il Comune di Palermo fa in quegli anni ha le radici in questa storia. E', nelle intenzioni e nelle ambizioni, un progetto culturale complesso, che vuole essere un riscatto etico della città attraverso la cultura, il cui simbolo diviene la riapertura del Teatro Massimo.
Il Teatro Massimo, fino al '97 è una sorta di enorme cadavere al centro della città, continuamente esposto allo sguardo di tutti e al tempo stesso negato nella sua funzione. Citando nuovamente Morelli, che accentua la valenza simbolica della chiusura e della riapertura del teatro, “una città con un teatro chiuso è una città che non è in grado di concedersi l'ironia, l'elaborazione del dramma che essa rappresenta, la divergenza e l'illuminazione”, una chiusura del dibattito vitale della città e alla vita stessa, una incapacità alla relazione con il mondo.
In quegli anni Palermo è stata posta all'attenzione dell'Italia e dell'Europa con una molteplicità di iniziative: il Festival del '900, il Festino di Santa Rosalia, la creazione della Cittadella dell'Arte ai Cantieri Culturali alla Zisa, il Festival estivo Palermo di Scena, il progetto Shakespeare di Matteo Bavera e Carlo Cecchi al Teatro Garibaldi, per citare le più importanti. Spesso ci si è rammaricati che quelle iniziative non hanno avuto la forza di resistere al mutare dei contesti politici, anche se a mio parere il processo cominciato nel '92 ha portato dei cambiamenti irreversibili: alla richiesta sempre maggiore di cultura come diritto. Chi ha sperimentato e vissuto quegli anni, ha maturato una necessità e un bisogno di cultura con cui le amministrazioni devono necessariamente confrontarsi.


Il teatro ai giorni nostri. Premessa

E' impossibile dar conto di tutti gli accadimenti e le compagnie teatrali a Palermo, alcune delle quali sono già alla ribalta sui giornali nazionali ed altre cominciano ad essere riconosciute.
Ho scelto di dare un quadro parziale ma rappresentativo di uno spaccato della vita culturale di Palermo. Le strutture “storiche” della città, che operano da decenni in ambito teatrale, in seguito ad una drastica decurtazione dei finanziamenti, si sono riunite nel dicembre 2005 in un “Cartello dei 5 teatri d'arte” per porsi come interlocutori degli Enti Locali sulle questioni di politica culturale della città. Mi sembra importante tenere d'occhio l'operato di questi cinque teatri (ormai una certezza nell'ambito palermitano) come esempio di Buone Pratiche perché nonostante la riduzione del volume dei finanziamenti che hanno subito negli anni, sono riusciti a continuare se non a moltiplicare le attività. Inoltre il fatto di riuscire a trovare un'intesa per una causa comune in una città come Palermo, dove le risorse sono esigue, non è un'impresa da poco.

I cinque teatri in questione sono: il Teatro Garibaldi diretto da Matteo Bavera, La Compagnia Figli d'Arte Cuticchio di Mimmo Cuticchio, Il Teatro dei Quartieri di Franco Scaldati, il Teatès di Michele Perriera, il Teatro Libero diretto da Beno Mazzone. In seguito ad una serie di iniziative a cui ha dato vita il “Cartello” sono stati ottenuti i finanziamenti dal Comune di Palermo (alla cui guida c'è attualmente Diego Cammarata) che ha firmato un protocollo d'intesa con i cinque teatri.


La parola ai cinque teatri

Secondo Matteo Bavera è evidente che tutto lo sforzo sulla cultura si è completamente perso, non c'è più nessuna certezza e nessun dialogo. Cifre alla mano, dal miliardo degli anni passati il Teatro Garibaldi ha visto una drastica riduzione delle risorse.
Questa povertà ha fatto guadagnare un metodo di lavoro, cercando cose meno costose, ma moltiplicando le attività. Sono state fatte produzioni dirette e co-produzioni (gli esempi più eclatanti sono Querelle di A. Latella co-prodotto insieme al N.T.N., che ha rappresentato il lancio europeo di Latella, e La Simia di E. Dante, co-prodotta insieme al CRT e alla Biennale di Venezia).
La salvezza per il Teatro Garibaldi è venuta anche dall'Unione Teatri d'Europa, che ha permesso di fare tournée e spostamenti e di guadagnare dalle vendite di spettacoli sempre invitati al festival dell'UTE.
Il cartello dei cinque teatri d'arte è stato, secondo Bavera, un elemento politico e di dibattito che ha costituito un incontro tra personalità artistiche e la nascita di nuove collaborazioni: ha quindi avuto un carattere di lotta e di cultura. Il progetto culturale del Garibaldi è comunque quello di affiancare al lavoro con i grandi nomi del Teatro Europeo (Peter Brook, Patrice Chéreau ma anche Jean René Lemoine) sia le produzioni e le scommesse su giovani talentuosi di Palermo (Davide Enia, Emma Dante, Giuseppe Massa, Rosario Tedesco), sia il lavoro di maestri riconosciuti come Franco Scaldati (con cui è stata prodotta La gatta di pezza che ha debuttato a Düsserdolf).
Per quanto riguarda i progetti futuri a giugno e luglio il teatro sarà impegnato con il Filottete di Vincenzo Pirrotta che inaugurerà la stagione prossima.
E' prevista inoltre una “spettacolarizzazione” del restauro con un libro fotografico e un film di Raul Ruíz. Entro dicembre 2007 dovranno infatti essere conclusi i lavori di restauro realizzati con i fondi ottenuti attraverso il programma europeo Agenda 2000, che non modificheranno la struttura del teatro. Verranno realizzati un palco e gradinata smontabili e spostabili, in modo da garantire la massima flessibilità allo spazio. Il Teatro Garibaldi, fa notare Bavera, racchiuderà in sé per le caratteristiche architettoniche gli elementi del teatro greco, di quello elisabettiano e del teatro all'italiana. Un vero modello di teatro contemporaneo per dar seguito a quella che Bavera considera la terza vita del teatro Garibaldi.

Elisa Cuticchio, moglie di Mimmo Cuticchio che collabora a vari livelli alle attività della compagnia Figli d'Arte Cuticchio, ritiene un fatto simbolicamente importante il fatto che il Comune di Palermo abbia ufficializzato attraverso il protocollo d'intesa il contributo totale (per i cinque teatri) di 400.000 euro. Dal punto di vista strettamente economico il contributo è esiguo ma ratifica l'importanza e la necessità dell'attività dei “5 teatri”.
Questo finanziamento permetterà di proseguire le attività della compagnia fino a febbraio circa, attività che consistono in una trentina di spettacoli per le scuole, visite guidate del laboratorio dei pupi e del teatrino a scolaresche, turisti, ospiti della città, mentre a gennaio ci saranno una serie di spettacoli di “cunto” nelle scuole.
L'attività finanziata dal Comune finirà a febbraio ma la compagnia riuscirà a portarla avanti fino a maggio.
E' importante per Elisa sottolineare come il lavoro della Compagnia (e di tutti e cinque i teatri del “Cartello”) siano riusciti a continuare le loro attività anche in momenti in cui i finanziamenti degli Enti Locali sono stati sospesi, grazie anche ai finanziamenti del Ministero con il quale partirà una rassegna di Opera dei pupi accostata al Teatro di Figura e la “Scuola per pupari e cuntisti” per 20 allievi di tutta Italia (in collaborazione con Accademia D'Arte Drammatica Silvio d'Amico).

Lisa Ricca, legale rappresentante della compagnia Teatès e moglie di Michele Perriera, scrittore e regista siciliano (che quest'anno ha anche ricevuto il premio dell'Associazione Nazionale dei critici), ritiene che il finanziamento ottenuto attraverso il “Cartello” dei 5 teatri sia importante affinché possa continuare l'attività della scuola di teatro che dal '79 è a Palermo una realtà molto importante. La scuola di Perriera, che ha uno sguardo “etico” sul teatro, ha “sfornato” moltissimi attori e registi.
Il finanziamento ricevuto è stato di 80.000 euro, a malapena sufficiente per coprire i costi della scuola. Per Lisa Ricca sarebbe fondamentale, oltre all'attività della scuola, che Michele Perriera potesse produrre uno spettacolo all'anno, affinché le giovani generazioni possano conoscere quello che viene considerato un patrimonio culturale per la storia della città.

Franco Scaldati non ha voglia di parlare di politica culturale e finanziamenti. Mi parla invece del successo che ha avuto il suo spettacolo, Rosolino, storia di personaggi sgangherati che ricostruiscono una Palermo dimenticata (prodotto dalla sua compagnia in collaborazione con il Palermo Teatro Festival, e le Orestiadi di Gibellina), per di più con un pubblico inusuale per i suoi spettacoli.
Mi dice che sicuramente non sarà più alla guida del Festival Gibellina.
La cosa importante è che gli sembra che Palermo sia sufficientemente viva, e che il fermento non si fermi mai (n.d.a: per le attività e la poetica di Franco Scaldati vedi ateatro 98).

Secondo Beno Mazzone, direttore artistico del Teatro Libero, l'unico dato di novità rispetto al passato è il fatto che queste 5 realtà che da più di trent’anni operano a Palermo abbiano deciso un minimo comune denominatore, un principio di unione. Il “Cartello” esprimerà ad alta voce punti di vista sulle politiche culturali e continuerà a interpellare gli Enti Locali.
Nelle ultime settimane è emrsa l'idea di dare una struttura più forte a questo “Cartello” e di stabilire una serie di iniziative di riflessione pubblica nei vari teatri.
In precedenza c'erano stati dei tentativi di censimento di compagnie professionali e non (che in Sicilia sono moltissime). Si era creato una sorta di “sindacato” con il compito di stabilire una circuitazione in Sicilia. Il tentativo è fallito dopo qualche anno.
Secondo Beno Mazzone, la politica culturale a Palermo non è lungimirante da più dieci anni a questa parte. Anche in passato il Comune di Palermo non ha investito nelle strutture e non è riuscito a rendere stabili le iniziative che aveva lanciato. Questo è dimostrato per esempio dalla fine ingloriosa dei Cantieri Culturali alla Zisa, dovuta non solo alla gestione attuale ma anche a quella precedente. La politica culturale palermitana ha il respiro corto e i fatti teatrali sono sempre episodici, non si riesce mai a stabilizzarli. Il lavoro del “Cartello dei 5 teatri” è quello di cercare elementi che possano unire e non dividere coloro i quali fanno teatro da tempo a Palermo, per innalzare il livello professionale e la qualità dell'offerta culturale in città.


 


 

BPSUD Un monumentale articolo sull'incontro di Napoli
E non ce lo siamo scritti da soli!
di Mario Nuzzo ("Eolo")

 

Tutta dedicata al sud ed alla “questione meridionale” questa edizione delle buone pratiche, l’ormai classico appuntamento organizzato dalla rivista telematica Ateatro.
Nella meravigliosa ambientazione di Castel dell’Ovo, a Napoli, si sono succeduti diversi interventi suddivisi in tre aree tematiche distinte: il primo argomento è stato proprio l’analisi della situazione del sud attraverso i resoconti quantitativi ed alcune esperienze raccontate dai diretti interessati; una parte dedicata al racconto di buone (e cattive) pratiche istituzionali; un segmento conclusivo di interventi come al solito relativi ai racconti di buone pratiche appartenenti alla così detta Banca delle idee, ovvero esempi di interventi teatrali artistici o organizzativi che hanno dimostrato un buon riscontro.
Come ogni anno l’introduzione è stata affidata ai tre “padroni di casa”: Oliviero Ponte di Pino, che ha raccontato l’esperienza delle due passate edizioni e lo spirito che anima questi incontri, ovvero il desiderio di diffondere idee, suggestioni, proposte che possano essere ripetibili e che costituiscano lo stimolo per la fondazione di reti o sistemi. Sull’abbrivio di quanto detto Mimma Gallina ha perfezionato l’analisi mettendo in rilievo due aspetti: la necessità che la cultura possa essere intesa come motore di sviluppo e quindi il bisogno che la ricognizione dello stato dell’arte possa essere anche tradotto in termini di modelli da seguire; e d’altra parte un commento sul progressivo diradarsi delle Idee messe in circolo nei diversi anni in cui questa iniziativa si è dipanata. A Franco D’Ippolito è toccato invece introdurre l’argomento specifico dell’incontro, evidenziando con rigore alcuni dei punti fermi che sono poi ricomparsi nell’arco della giornata. Innanzi tutto il fatto che l’esistenza di una questione meridionale non escluda il contemporaneo sviluppo di una settentrionale e che quindi non vi sia in questo momento un modello, magari nordico, che applicato alla realtà del sud potrebbe garantire sic et simpliciter buoni risultati: l’attenzione di D’Ippolito si è concentrata sulla solitudine del sud, sulla mancanza completa di un sistema di sviluppo e di una progettualità, sull’assenza di un concorso agonista di enti regionali o locale (tranne pochissime eccezioni), sul bisogno che il fervore riconosciuto alla produzione artistica del sud non venga interpretato solo come una questione socio-antropologica (a questo proposito ha fatto esplicito riferimento ad un recente articolo di Renato Palazzi sul Domenicale) ma come risposta ad un totale abbandono. L’analisi poi si è fatta immediatamente tecnica grazie alle parole di Giulio Stampo (Osservatorio dello spettacolo), che citando alcune indagini statistiche ha rilevato la consistente sperequazione d’investimenti fra centro e periferie, a fronte di una distribuzione dei fondi che non tiene per nulla conto delle differenze territoriali, ma spesso si basa su criteri poco riconoscibili o traducibili. D’altra parte, rispetto alle assegnazioni del Fus ha ricordato che non essendoci alcun commento sui dati di riferimento, essi diventano assoggettabili a qualsiasi critica e quindi difficilmente interpretabili o verificabili; cosa quest’ultima che paradossalmente potrebbe rendere già raggiunto l’obiettivo dell’1% del Pil alla cultura, punto di discussione che venne valutato nella seconda edizione delle buone pratiche.
A questo punto è intervenuto l’assessore Oddati che, dopo i ringraziamenti di rito, ha voluto confermare l’appoggio completo del comune ai progetti che stanno cercando di recuperare una situazione sociale difficile grazie all’intervento artistico, con esplicito riferimento al progetto dei Teatri di Napoli e ad Errevuoto. In riferimento agli incidenti che sono successi durante i giorni precedenti la manifestazione in alcuni dei luoghi che stanno portando avanti tali progetti, ha giustamente osservato che il riconoscimento dello svolgimento di una funzione passa non solo dalla conferma e dal sostegno ma anche dall’avversazione, e quindi che non possono essere considerati tout court come fallimento di un’operazione culturale. Le altre osservazioni sono state in merito al ruolo del sistema pubblico e alla necessaria convergenza fra sistema pubblico e privato.
Sul sistema pubblico si è concentrata anche l’attenzione dell’intervento di Alba Sasso, che, a partire da un commento sulla finanziaria e sulle prospettive, ha descritto un desolante quadro di solitudine degli artisti, di mancanza di un osservatorio che sappia valutare l’assegnazione dei fondi, di sterilità del consolidato sistema di distribuzione dei fondi sulla base dei risultati di gestione conseguiti. Il fatto che l’intervento pubblico spesso vada a consolidare situazioni preesistenti tende a tagliare fuori le idee innovative e quindi a conservare chi ha già avviato un percorso creativo e artistico. Anche in questo intervento sono stati sollevate alcune perplessità sull’attività dell’Arcus e dell’Eti e si è confermato il bisogno di una sinergia fra stato e regioni.
Il testimone è poi passato a Nicola Viesti che ha valutato il discorso dal punto di vista artistico, ovvero di un fermento culturale spesso invisibile e sotto traccia, e di un ritorno degli artisti al sud generato da una situazione grave generalizzata, in cui quindi incontrare le difficoltà altrove oppure affrontarle in casa propria fa pendere la bilancia in quest’ultima direzione. Un altro problema è la distanza che si è generata fra le strutture preesistenti e gli artisti delle nuove generazioni, distanza che ha favorito la nascita di nuovi spazi e l’incremento dell’attività dei centri sociali, generando però parimenti un’ulteriore dispersione. L’intervento insomma ha voluto sottolineare che la situazione del sud può essere assimilata, con le dovute contestualizzazioni, ad un problema più diffuso e capillare. Rachele Furfaro ha posto l’attenzione sullo sviluppo culturale nella regione Campania e sui risultati ottenuti grazie anche ad una spinta sostenuta dalle istituzioni, propulsione che però rischia di diventare lettera morta se non accompagnata da una concertazione attenta con lo stato. Patrizia Ghedini, una delle persone che ha partecipato con contributi sempre molto interessanti e puntuali a tutte le edizioni delle buone pratiche, ha lamentato il fatto che purtroppo la proposta di legge è tutt’altro che in divenire dato che diversi anni di bozze e progetti non hanno portato da alcuna parte. In questo momento vi è una certa attenzione del governo, favorito dall’interesse dell’onorevole Montecchi che ha preso molto a cuore la situazione, ma le prospettive non misurano certo la distanza da una legge in mesi. E’ importante che si faccia una severa revisione dei criteri del Fus abbattendo la discriminazione derivante dalla non trasparenza di alcune assegnazioni e dirimendo il problema delle valutazioni quantitative e qualitative.
L’intervento di Angelo Curti è stato un invito ad alzare lo sguardo e cercare nuove forme di relazione con il pubblico, a stimolare una connessione diretta con il mondo dell’informazione e della formazione, in modo da evitare la costante vampirizzazione dei contenuti culturali da parte di alcuni media decerebranti. In opposizione con quanto espresso da altri ha affermato che il problema delle risorse non è la loro disponibilità in quanto non è vero che non vi siano, ma la loro gestione, che in questo momento è generica ed approssimativa.
A questo punto si sono succeduti alcuni brevi interventi su situazioni specifiche: Claudio Ascoli ha parlato della propria esperienza nomade e la necessità che il ritorno sia mettere a disposizione della città un’idea nuova, pura, e a tal proposito cita la bella Itaca di Kavafis; Roberto Roberto che, sulla scorta dell’osservazione che al sud manchi un vero e proprio centro didattico per l’arte, sta attuando un progetto di formazione che vedrà impegnati artisti di diverse nazionalità; Costanza Bocciardi, sempre sul tema della formazione, è intervenuta ribadendo l’assoluta necessità di creare centri che diano strumenti e possibilità alle nuove generazioni, creando però al contempo possibilità di visibilità per gli artisti formati; Bruno Leone con un pregevole intervento teatrale ha raccontato la “parabola del castel dell’ovo” e, aiutandosi con alcune marionette, ha portato i saluti di Virgilio e Partenope; Vincenzo Cipriani ha proposto la completa revisione del CCNL in termini di tutela reale del lavoratore, grazie anche ad una razionalizzazione delle regole sugli oneri fiscali e contributivi, che spesso costituiscono il 60% del costo di una produzione, e l’introduzione di un meccanismo di detrazione fiscale pari a quella delle spese sanitarie, per chi acquista un biglietto; in una parentesi Mimma Gallina ha esposto i rischi di una costruzione legislativa troppo lunga nel tempo che poi legiferi sulla base di situazioni relative a molti anni indietro e quindi non più attuale; Ninni Cutaia ha seguito le suggestioni dell’intervento precedente evidenziando che il sistema è ormai collassato e quindi va ridisegnato con competenza e con autorevolezza, sia da parte degli operatori, sia da parte dei responsabili istituzionali, i quali devono diventare anche dei mediatori culturali; Carmelo Grassi riprendendo il discorso sulle istituzioni ha evidenziato l’utilità di fare sistema e “rete”ed introdotto il discorso della “distribuzione creativa”, ovvero la capacità di destrutturate le regole e gli scambi proponendo soluzioni e situazioni alternative; Rocco Laboragine, con esplicito riferimento alla Basilicata, ha criticato fortemente un sistema che è dipeso dalle feste e sagre patronali non creando una formalizzazione professionale, ma autorizzando tutti a fare tutto, ed ha sottolineato come cattiva pratica la pretesa di costruire un equilibrio di distribuzione di risorse sulla base di un tessuto e di una richiesta culturale, permettendo quindi uno sbilancio irreparabile dei pesi e delle misure. L’unica buona pratica, estremizzando, è stato l’approccio con i personaggi politici, reso obbligatorio dalla situazione vigente. D’altra parte ha sottolineato che queste cattive pratiche hanno determinato la nascita di giovani compagnie e di nuovi teatri, anche se il teatro in Basilicata rischia ora di essere un’esperienza a breve termine. A questo proposito D’Ippolito ha affermato che è intenzione della Puglia mettersi in contatto con la Basilicata per discutere della situazione e trovare una soluzione comune. Alfredo Balsamo ha chiesto se vi sia la possibilità di elaborare un documento che, a partire dall’esperienza del convegno, getti le basi per una riflessione da estendere a tutto il territorio. Lello Serao è poi intervenuto riferendo di una comunicazione di Luciano Nattino sulla nascita dell’Ancrit e sulla necessità che si formalizzino nuovamente le categorie abbandonando quelle ormai desuete di Produzione, Promozione, Formazione e Distribuzione. A questo punto è stata la volta di Antonio Taormina che ha riferito sull’importanza dell’attività degli Osservatori Regionali, perché si possa arrivare ad una valutazione seria e specifica della situazione delle regioni in cui essi sono attivi; il lavoro degli osservatori si basa su una valutazione dei bisogni effettivi e della capacità di erogazione del servizio, ed è svolto in collaborazione con enti diversi; in questo momento stanno nascendo nuovi osservatori a Bolzano, in Veneto ed in Lazio. E’ intervenuto anche Respello dell’Agis il quale ha evidenziato ancora come sia fondamentale un lavoro preciso da parte degli osservatori perché si possa procedere verso la creazione di nuovi criteri di valutazione.
Vi sono stati poi una serie di altri interventi e testimonianze: Clara Gepia ha raccontato della situazione palermitana a partire dalla reazione vivace e attiva della popolazione all’indomani delle tristemente famose stragi, e della creazione di cantieri culturali molto presenti sul territorio, fino ad arrivare ad un’attualità penalizzata dalla mancata stabilizzazione e da un confronto minimo con le strutture amministrative; la situazione attuale vede però, come reazione a quanto successo, la collaborazione di cinque enti teatrali per la creazione di un cartello che si interfacci alle istituzioni; sempre da Palermo Giuseppe Cutino ha introdotto formule diverse per l’analisi del problema, ovvero l’urgenza del fare teatro e del vedere teatro, che contamina artisti e pubblico in un preciso tentativo di ritrovare una dimensione culturale e condivisa, l’importanza dell’insegnamento e della formazione sia rispetto ad un pubblico, sia dedicata agli insegnanti perché possano con cognizione di causa e con gli strumenti opportuni introdurre i propri allievi al teatro, la capacità di resistere alla mancanza di strutture creando isole di espressione artistica, citando a questo proposito la felice esperienza della rassegna Quintessenza; Roberto Ricco ha basato il suo intervento sul bisogno che il teatro si confronti con un territorio, non solo in quanto bacino di pubblico potenziale ma anche come espressione di una necessità da cogliere e trasformare; Marina Ripa e Davide Iodice hanno portato una testimonianza amara dell’esperienza napoletana, il fallimento di un’iniziativa culturalmente e socialmente importante a causa della mancata presenza di un referente politico determinato ed unico, dell’incapacità dei gruppi, gravati dalle necessità del sopravvivere, di creare un consorzio, una gestione collettiva, uno spettacolo comune. L’esperienza della legalizzazione delle occupazioni degli spazi occupati, in considerazione del fatto che questa è stata la prima tappa del progetto napoletano, non ha garantito la minima stabilità creativa. L’unico segnale positivo di Iodice è stato relativo al nuovo progetto di creazione di una casa di produzione indipendente grazie alla collaborazione di diverse strutture di ricerca nazionali. Anche il tono di Stefano Sabelli, a parte il racconto della positiva esperienza del Teatro di Ferrazzano, è stato molto critico e rassegnato, in quanto la realtà molisana non presenta alcuna prospettiva di sviluppo ed è costantemente assorbito dalla regione Abruzzo. Il ministero sembra completamente ignorare il Molise, ricusando sistematicamente ogni richiesta di finanziamento. Il riferimento all’Associazione Teatrale Abruzzo e Molise ha reso necessario un chiarimento da parte di Mimma Gallina che ha spiegato che è l’Ente pluriregionale più vecchio e doveva costituire un prototipo per i costituendi circuiti. Questa anzianità ha pesato moltissimo per quanto riguarda l’assegnazione dei contributi garantendo ingenti sovvenzioni a fronte di risultati quantitativi molto bassi. L’intervento di Maria Luigia Bove è stato incentrato sulla realtà calabrese e sulla nascita, grazie alla sinergia fra Province, Agis, Università, Regione e Comuni, di due strutture teatrali dal nome comune Campus Teatri: l’obiettivo è coinvolgere la popolazione studentesca, che in questo momento frequenta poco le sale, all’interno di un progetto di fruizione diffusa del teatro. Marcello Cappelli e Ivano di Modica hanno invece raccontato dell’esperienza siciliana di teatro sul territorio a partire dalla situazione drammatica della costa augustana distrutta dalla presenza di un polo petrolchimico fra i più grandi in Europa; l’industrializzazione ha in parte cancellato alcune tradizioni rendendo molto impegnativo il loro lavoro che ha determinato la creazione di una rete con zone omologhe, Marghera e Brindisi fra tutte, ed ha avuto una forte valenza in termini di formazione del pubblico. Ileana Sapone ha lanciato un appello significativo, ovvero la creazione di una rete fra tutti gli uffici stampa teatrali che possa superare due empasse attuali molto rischiosi: il forte dilettantismo e l’estrema provvisorietà delle attività di promozione, comunicazione e marketing. Nel novero delle buone pratiche è stata citata da Mario Nuzzo, autore del presente articolo, anche la rivista Eolo ed il suo lavoro sul Teatro Ragazzi e sulle politiche del Teatro, in quanto esempio di una critica militante e non condizionata, frutto di una rete di operatori trasversali che grazie al coordinamento di Mario Bianchi investigano il territorio alla ricerca di suggestioni più o meno interessanti, e soprattutto terreno di resistenza attiva e fervente. Un altro racconto è pervenuto da Sergio Longobardi ed altri due occupanti del Damm di Napoli, un centro sociale che ha offerto gratuitamente per dieci anni alle giovani compagnie gli spazi per provare. I risultati sono stati molto soddisfacenti sia in termini di aggregazione sia rispetto agli obiettivi creativi perseguiti: in alcuni casi gli spettacoli hanno conseguito anche diversi riconoscimenti a livello nazionale, cosa che ha dato fiducia sugli stimoli e sulle attività che possono nascere dalla struttura. In questo momento il Damm è gestito da dieci compagnie che collaborano per il suo sviluppo, costituendo già una comunità a partire dalla quale sviluppare ulteriori reti. Un elemento molto importante è l’attività sociale e l’attenzione al teatro come strumento di diffusione culturale e di aggregazione popolare, senza il quale esperienze come il Damm perderebbero parte del loro senso.
Giunti alla conclusione degli interventi i tre moderatori hanno cercato di tirare le conclusioni su quanto detto durante la giornata ovvero sulla comune disaffezione nei confronti del sistema delle regole, sulla necessità di valutare altri sistema teatrali come ad esempio le residenze, sull’opportunità di intervenire sull’Eti rifondandolo radicalmente, sull’importanza della formazione del pubblico e degli artisti, sul bisogno di un osservatorio preparato che sia frutto di una collaborazione responsabile fra operatori ed istituzioni, sulla specificità del sud rispetto ad alcune esperienze ma sulla generale espressione di problematiche che sono in realtà diffuse nel territorio nazionale, sulle reti e sulla loro sempre maggiore urgenza (ed in questo senso è stato citato Antonio Neiwiller ed il suo “Che senso ha se solo tu ti salvi”), ed infine sul legittimo sospetto che le istituzioni siano costretti ad una illegittima coerenza nel momento in cui scelgono determinate strutture rispetto ad altre, dal momento che forse non hanno alcuna alternativa che sostenere l’esistente.
Insomma molte, moltissime suggestioni anche se l’effetto maratona ha un po’ penalizzato la discussione e l’articolazione delle varie proposte. Concordo anche io sul fatto che sia necessario, a partire da questi incontri, produrre documenti che possano essere punti di partenza per riflessioni ed azioni congiunte e mirate. Ben vengano le buone pratiche o la banca delle idee in quanto proposte ma, come in ogni migliore impresa produttiva che non può fermarsi ad un istinto conservativo preminente, è necessario a questo punto un cambio di passo ed un impulso operativo secondo me maggiore. Anche dal punto di vista della partecipazione, al di là delle difficoltà per alcuni di raggiungere le località in cui si sono svolte le varie edizioni, questa di Napoli è stata sicuramente la meno ragguardevole; si sono cioè raggiunte punte di più di un centinaio di presenti, ma si ha spesso avuto la sensazione che fossero in sala solo quelli iscritti a parlare e quindi necessariamente partecipanti. La lodevole iniziativa di Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino e Franco D’Ippolito ha comunque e sempre il merito di offrire un panorama dettagliato e preciso rispetto alle testimonianze che vengono riportate.


 


 

BPSUD Qualche idea sulle regole
In margine alle Buone Pratiche
di Franco D'Ippolito

 

Un’ipotesi di ripartizione delle competenze (e delle risorse) fra Stato e Regioni, con conseguente definizione di nuovi parametri e criteri di assegnazione delle sovvenzioni ai soggetti teatrali potrebbe far perno sulla dimensione e sull’età dell’impresa.
Si tratta soltanto di un’ipotesi di studio contenuta nel mio libro Teoria e tecnica dell’organizzatore teatrale (Editoria & Spettacolo, Roma, 2006).


Nella vita delle imprese, come in quella delle persone, c’è un’età critica:l’età dello sviluppo, in cui si possono rompere delicati equilibri, come rovinare ciò che di buono si è fino ad allora fatto. Lo studioso statunitense L.E. Greiner sostiene che ci sono cinque fasi nella vita di un’impresa, ognuna delle quali destinata a favorire lo sviluppo ma a concludersi con una crisi, la quale impone una riorganizzazione per “fare il salto” alla fase successiva. Nella prima fase (di start up, impresa giovane e piccola) è fondamentale l’apporto di creatività a cui si accompagna una centralizzazione del comando ispirato a spontaneità ed informalità dell’organizzazione, che va in crisi però appena lo sviluppo dell’impresa entra nella seconda fase. Al comando si sostituisce l’autorità di un’abile direzione che farà crescere l’impresa sino alla successiva crisi di autonomia, che risulta indispensabile in un organismo non più tanto piccolo da potersi consentire l’esercizio di un’autorità completa su tutte le decisioni da prendere. La terza fase è segnata così dall’uso della delega, con affidamento di funzioni e di responsabilità ai singoli componenti dell’impresa. Questa fase porta con il successivo crescere dell’impresa ad una crisi del controllo sulle singole autonomie, risolto rinforzando nuovamente l’autorità gerarchica e sviluppando il coordinamento fra i singoli. La quarta fase di sviluppo incontra poi il punto di crisi nella burocratizzazione dei processi che trova soluzione nella collaborazione orizzontale fra i livelli di responsabilità ed in quella verticale all’interno di ogni unità funzionale. Il processo di crescita potrebbe provocare un’ulteriore crisi che Greiner non definisce. Ciò che interessa in questa visione della crescita dell’impresa è la tesi secondo la quale “le problematiche organizzative e gestionali risentono del rapporto fra dimensione ed età dell’impresa, variabili fra cui sussisterebbe un rapporto di proporzionalità diretta” .

La Regione potrebbe sostenere, attraverso le Province ed i Comuni, le nuove compagnie nel primo quinquennio di attività, finalizzando l’intervento finanziario allo start up e monitorando annualmente la crescita professionale artistica ed organizzativa attraverso l’Osservatorio Regionale dello Spettacolo.
I soggetti che avessero raggiungo gli obiettivi di start up (definiti chiaramente dall’ordinamento regionale e declinati di volta in volta nel provvedimento di assegnazione del finanziamento ad ogni singola realtà), potrebbero essere affidati, per i successivi cinque anni, al sostegno dello Stato per il consolidamento dell’impresa, dal punto di vista artistico, organizzativo ed economico-finanziario. L’obiettivo del secondo quinquennio sarebbe quello di favorire la stabilizzazione dei rapporti di lavoro ed una sempre maggiore capacità di autofinanziamento da parte delle imprese, attraverso la verifica di alcuni indicatori quali, per esempio, il rapporto fra entrate proprie e sussidi pubblici e la programmazione pluriennali degli spettacoli per la produzione, o l’incremento del pubblico e l’allargamento del bacino d’utenza per le attività di ospitalità e distribuzione.
Dopo i primi dieci anni, i soggetti potrebbe accedere ad un finanziamento misto Stato-Regioni, in cui lo Stato sostiene l’attività extraregionale e quella internazionale, mentre la Regione, direttamente, favorisce il ricambio (non solo generazionale) degli artisti, dei tecnici e degli organizzatori all’interno dell’impresa, consentendo così l’ingresso nel sistema di nuovi talenti e di nuove energie e, contemporaneamente, limitando il proliferare di realtà piccoli e deboli destinate, come accade oggi, a stazionare troppo a lungo ai margini.

Si tratta, evidentemente, di un approccio assolutamente nuovo che potrebbe costituire una base di confronto per riformulare le regole del sostegno pubblico con la necessaria fantasia che i tempi richiedono.


 


 

Il segno e il sangue: Paesaggio con fratello rotto
Una nota sulla trilogia del Teatro della Valdoca
di Oliviero Ponte di Pino

 

Il silenzio e il grido, il dolore e la grazia. O ancora il male del mondo e la sua bellezza, la ferita e la quiete, il corpo e la parola, il teatro e la poesia. Sono questi, da sempre, gli opposti tra cui il Teatro della Valdoca scarica le sue tensioni. Nella trilogia Paesaggio con fratello rotto questo intreccio di temi ha raggiunto una nuova maturità, e per certi aspetti anche una più chiara e quasi programmatica esplicitazione della loro poetica, senza compiacimenti o debolezze. Il “fratello rotto” del titolo è, nelle note di regia, la nostra “umanità contraddittoria che è ad un tempo vittima e carnefice, che dà la ferita e la guarigione, che sa la mano tesa e l’offesa”. Come nella trilogia Genesi della Socìetas Raffaello Sanzio, al centro di questa meditazione in forma di spettacolo c’è il Male, o meglio il rapporto dell’essere umano con il Male.

Il fulcro originario di Paesaggio con fratello rotto, o meglio della sua prima parte, Fango che diventa luce, sono tre figure - l’Oracolo, il Macellaio e i tre Animali - che Cesare Ronconi ha offerto come spunti a Mariangela Gualtieri perché trovasse loro le parole.



Foto di Chiara Sbrana.

A sospingere e sottolineare l’azione è anche una colonna sonora che s’appoggia all’organo suonato dal vivo, cominciando da Bach, sulla destra del proscenio, da Dario Giovannini (in kimono prima nero e poi bianco), con slancio ed enfasi (ma a tratti sono suoni laceranti, strappati alle corde di una chitarra elettrica).



Foto di Chiara Sbrana.

E con la musica, le luci - da sempre uno degli atout della Valdoca, firmate in questo caso come la regia da Cesare Ronconi, raffinate e insieme innovative nella diversità delle fonti, del calore, delle tonalità.
Sullo sfondo campeggia un gran tavolo d’acciaio e vetro da architettura industriale, bancone da macelleria e altare sacrificale. La scenografia (firmata da Stefano Cortesi), gli oggetti di scena (pali e tronchi, lastre di metallo sospese, un telo di plastica, le sculture in legno di Florent Vaudatin), e soprattutto gli sfregi bianchi e rossi tracciati sulla pelle degli attori rimandano a quel neo-tribalismo, insieme barbarico e post-moderno, esotico e quotidiano, che da qualche tempo caratterizza lo stile di Cesare Ronconi: un intreccio di segni primitivi e di allusioni sadomasochistiche che evidenziano un corpo sempre ferito, pulsante, sanguinante; e al tempo stesso rimandano a una ritualità oscura e gravida di morte, ma non per questo meno necessaria. La sessualità di chi abita questi paesaggi è insieme ottusa pulsione animale e raffinato codice, la violenza della carne dentro la carne e un rituale privato tanto raffinato e quanto brutale.
Gli Animali sono attrici con teste di bestia - una giraffa, forse un orso e un furetto, o due topi - che camminano e zoppicano su tacchi troppo alti. Sono mostri e bambini. Sono antichi e vivi. Sono fragili, feriti, ma non sono innocenti. Tremano, è un coro di cuccioli, terrorizzati da un assistente chiaramente sanguinario e crudele.
Dopo la loro danza leggera e dolente, il primo brano poetico è affidato all’Oracolo: le sue parole escono spezzate, sono il canto della creatura gettata nel creato: “aridi, vinti, gettati dentro / una ferita, nella dura pista terrestre (...) Che cosa abbiamo dimenticato?”. A punteggiare questo primo testo sono sostantivi come “grido”, “sangue”, “dolore”, che torneranno come un leit motiv.
Alla consapevolezza dell’Oracolo risponde la bestemmia del Macellaio. Di fronte al muto dolore delle creature, provoca il “creatore, // che mi venghi a scavare / che mi si inficchi dentro” e insieme lo rifiuta: “non ci voglio chiamare // non ci voglio non ci prego non ci invoco”. Per lui gli Animali sono solo oggetto da usare per i suoi fini: “Sei carnaccia animale? Sei cibo per me. // Cibo sei per me. Sei bello, animale (...) Non serve questo bello, non serve il tuo ben fatto. / Animale”.
L’Oracolo gli risponde con una riflessione sul dolore e sull’infelicità, dove non manca la citazione dantesca (“Di che pianger suoli?”): la sua indicazione è di sfuggire alla riflessività solitaria della sofferenza (“Di che ti lagni?”) per aprirsi alla bellezza del mondo: “Sorgi, amico mio. Abbi cura del mondo / come fosse tua casa / e godi quel suo giocondo / essere pieno di tremenda vita. / Sorgi. Guarisci la ferita.”



Foto di Chiara Sbrana.

Nella scena successiva, i ruoli paiono ribaltarsi: a morire è il Macellaio, con gli Animali che lo pungolano con canne e diventano quasi i suoi carnefici ma al tempo stesso sembrano nutrirlo della loro dolcezza. Ed è una sorta di confessione, sulle note di una fuga d’organo, quella di questa creatura imperfetta, goffa e violenta, ma ormai priva di forze: “Madre, sono il tuo figlio più brutto / più sporco, più rotto (...) Sono io la cappa che fa fumo, sono il fumo / del mondo, la caduta, la tossina, / la peste”. L’errore è l’Io, la sua finitezza nella morte, quello che non permette di cogliere l’unità tra bene e male, tra violenza e grazia: “Tu mi hai fatto imperfetto, separato dal vero / e dal cielo. Che cosa volevi da me?”
Quello che si alza dalla giraffa è un grido di disperazione e dolore. Il mondo è una guerra, anche se beffardamente accompagnata dalle note di Stille Nacht. Ma forse esiste uno spiraglio di grazia, quello che invocano gli Animali rubando le parole a La corsa dei mantelli di Milo De Angelis: “E’ la quantità d’amore / che determina la vittoria”. Ma, ancora una volta, a placare l’angoscia può essere solo la vionenza: mentre l’organo suona Tu scendi dalle stelle, il Macellaio finisce gli Animali uno a uno.
La parola conclusiva, al termine di questo primo paesaggio (che dura circa 50’), tocca all’Oracolo. Se il Macellaio non sente più l’anima, vuol dire che forse l’anima esiste, e dunque resta una possibilità di trascendenza. Viene dalla tenerezza (“Chi ci guarderà come si guarda / il bambino che dorme”) e dalla bellezza (“Salute a te, bellezza intuita e tradita (...) salute a te umanità ferita / bestia micidiale umana inaridita”). E’ di lì che si può ricostruire l’unità: “Che si colmi la distanza / fra ciò che senti e ciò che fai”. E alla fine, la porta può forse spalancarsi: “Che la morte sia la fiammata / che ti apre a tutti i poteri, // che la tensione che senti verso l’immenso e il meraviglioso / sia l’inizio del volo / dentro il cuore di Dio”.
E’ una speranza fragile, solo enunciata da questo finale, perché non c’è conciliazione possibile, almeno per ora. Nelle immagini, nei gesti, negli atteggiamenti delle figure, c’è in ogni istante tutto il dolore e l’insensata strage del mondo. La salvezza somiglia molto a un suicidio collettivo, la pace all’autodistruzione. Forse la parola poetica può essere grazia e salvezza, ma le nostre ferite continuano a pulsare, e noi continuiamo il nostro grido che è pura sofferenza senza forma.

Che non ci sia facile consolazione, lo ribadisce il secondo paesaggio, Canto di ferro. Questa volta Cesare ha chiesto a Mariangela di scrivere lettere “come da dentro una trincea”. E’ ancora una volta in questi anni esplicitamente “teatro di guerra”.
In proscenio appoggiano una scultura su legno, è come un feto in una placenta. Sullo sfondo campeggiano da un lato un gigantesco ed espressivo volto umano (sotto il quale agisce una sorta di muto servi di scena), dall’altro i segni dell’I Ching, piccoli segni neri su un sipario bianco. Ad agitare la scena una giostra di figure: sette figure eccessive, rubate a un dionisiaco bestiario e ricondotte a una mitologia personale.



Foto di Rolando Paolo Guerzoni.

La Ragazza-uccello, dalle splendide ali verdi sul piccolo corpo bruno, gioca lì davanti con i birilli.



Foto di Rolando Paolo Guerzoni.

Un uomo-donna, la Ricamatrice, ricuce incessantemente la tela; era entrata portando con sé, alla catena, un Ragazzo-cane, nudo, il corpo dipinto color della cenere e dell’asfalto, che gli si è accucciato accanto.



Foto di Rolando Paolo Guerzoni.

Un’altra donna, altissima e bianca, la Geisha, ha scarpe di vernice con tacco altissimo, rubate a un fumetto fetish, e due mutande, un paio oscenamente abbassate all’altezza delle ginocchia come dopo uno stupro. Si sdraia su una branda e cerca il suo centro: “Che cosa vuole l’inquieto grumo de la creazione? Valore vuole. Essere certo / d’esser qualcuno, d’esser qualcosa. // Da sé vuol farsi, sua propria mano / rimodellarsi”. Al Ragazzo-cane tocca un’effusione lirica - forse la prima da quando è iniziata questa sofferta funzione. La Ragazza-uccello declama invece un’autentica lettera d’amore, dolce e struggente in questo inferno sincopato. Le due Ballerine - che a un certo punto metteranno ne due teste di topo sul loro sesso - intonano un inno alla pietà e allo “splendore in ogni cosa”, per concludere gloriosamente “L’amore è il tuo destino. / Sempre. Nient’altro. / Nient’altro. Nient’altro”.
Questa parte centrale è più frammentaria. Non sembra seguire un filo logico o narrativo, come accadeva nella prima. Si procede piuttosto per visioni enigmatiche e strappi violenti, fino al rifiuto della morte che lancia la Geisha, chiusa in una teca illuminata che è come una bara: “Noi non siamo fatti per morire (...) Qualcosa dentro noi rimane intatto / qualcosa ride anche nella sventura / qualcosa è certo che la nostra misura / non è un referto d’anatomia”.
Anche la seconda parte dura poco meno di un’ora. L’ultima, A chi esita (il titolo è rubato a Brecht), è invece più breve: poco più di una decina di minuti in un unico pezzo, una sola immagine a sostenere il flusso delle parole. Le due Ballerine chiudono la scena con un sipario di garza. Preparano due microfoni, la Ragazza-uccello controlla che li separi una distanza esatta. Tra le due falde emerge una strana figura androgina, un lui-lei chiuso nell’abito bianco. E’ bianca anche la creatura, ma segnata da strisce rosse di sangue: l’innocenza è una riconquista che porta dentro le proprie ferite. Mentre ai due lati di questo essere strano e maestoso si accucciano le altre figure, si dipana una meditazione in forma poetica. Tutto quello che è accaduto sul quel palco, in quel teatro del mondo e della guerra (“schiantate ragazze rovinate, corpi / esplosi / pezzi di carne bruciata, / ginocchia nel fango che supplicano / per un figlio per un padre...”), è ora sedimentato nella memoria e come purificato. “C’è in me qualcosa / più vecchio di me” (sono i versi che hanno fatto scattare in Mariangela, che alle Madri ha dedicato alcuni dei suoi versi più ispirati, la stesura impetuosa di questo ultimo blocco).



Foto di Rolando Paolo Guerzoni.

Perché questo “qualcosa”, aggiunge l’Androgino, “somiglia / al fondo di ogni cosa” e ci permette di vedere “ora / l’identico fondale / lo stesso impasto, lo stesso pane / che ci affratella”. Insomma, è a questa nuova consapevolezza, innestata dentro la sofferente coscienza di noi stessi, che ci conduce Paesaggio con fratello rotto. Il suo protagonista è insieme bello e mostruoso, e dunque enigmatico e solenne: “Questo infelice corpo doppio / la mia disgrazia / è anche il mio ornamento”. Anche qui s’intravvede una possibile salvezza, ma il prezzo da pagare sarà alto. La ferità non si può rimarginare mai. L’origine e la fine, il Giardino dell’Eden e l’Apocalisse fanno parte dello stesso sopgno, o dello stesso incubo.
Senza rinunciare a mostrare l’orrore - e anzi esibendo in piena luce la sua terribile bellezza, il suo struggente teatro - Cesare e Mariangela non possono “fare a meno di questa nominazione del bene” attraverso la poesia.
Ma Paesaggio con fratello rotto non è mai la piatta illustrazione del testo poetico. Anzi, se ne distacca a volte con durezza. Allo stesso modo, per gli attori non si tratta di “dire” o “incarnare” un testo, quanto piuttosto di farlo implodere o esplodere (a seconda dei casi). Sia “il teatro” sia “la poesia” hanno fonti generative autonome, per quanto affini, che tendono più a contrappuntarsi e scontrarsi che ad armonizzarsi. Ogni tanto nella dimanica dello spettacolo prende il sopravvento un vitalismo feroce, straziato. In altre occasioni può prevalere la dichiarazione di principio, quasi l’enunciazione di un principio filosofico - che è però in genere l’approdo di un percorso poetico. Ma in genere è nell’impasto di queste due tensioni che si generano le dinamiche cha fanno procedere l’azione.
La trilogia assume così la struttura di un percorso coerente e ricco di implicazioni, dalla nervosa fragilità degli Animali alla potente deformità di quel Corpo doppio. Al teatro, alle figure in scena - con i giovani attori formati nei corsi di formazione del gruppo - tocca il compito di vivere e far vivere (ovvero di rappresentare) l’orrore e la sua danza, il sangue e il dolore. Alla poesia, quello di cercare la luce - o meglio, di indicarci la strada verso la luce. Da un lato il pathos, dall’altra il logos. Nel loro implicito confronto, il lavoro della Valdoca assume una tonalità tragica, perché resta sempre qualcosa di inconciliabile, di non risolto e non risolvibile.


 


 

Totopoltrone 2: il nuovo gioco a premi di ateatro
Partecipa anche tu!
di Perfida De Perfidis

 

Scegli anche tu chi andrà a occupare le poltrone più importanti del teatro italiano!!!
Non lasciare questo allegro e divertente compito solo ai politici e ai burocrati del Ministero!

Come giocare
1. Invia il tuo voto a info@ateatro.it, oppure nel forum di www.ateatro.it Fare un teatro di guerra, dove sono già stati caricati numerosi dossier;
2. I voti raccolti verrano inseriti in una pignatta di rame;
3. Dalla suddetta pignatta di rame Perfida de Perfidis estrarrà, per ogni poltrona e al suono di un languido valzer, il foglietto con il nome del vincitore della suddetta poltrona.
4. www.ateatro.it non dà alcuna garanzia sulla correttezza dell’estrazione.
5. Il nome che figura sul foglietto estratto da Perfida avrà diritto a occupare per qualche tempo la poltrona in oggetto; il lettore di ateatro che ha inviato la segnalazione vincente, avrà diritto a una foto con Perfida, stile "velinopoli".

I candidati di ateatro
Tenete presente che i candidati di ateatro sono i seguenti:

  • Mimma Gallina per qualunque poltrona (tranne là dove sia richiesto un elevato tasso di diplomazia e/o di incompetenza) con le seguenti eccezioni:
  • Anna Maria Monteverdi per qualunque poltrona nelle seguenti zone: riviera di Levante, riviera di Ponente, Lunigiana, Garfagnana, Versilia e affini;
  • Clara Gebbia per qualunque poltrona in Sicilia, comprese Eolie, Egadi, Pantelleria, Lampedusa e Malta;
  • Renato Palazzi, indimenticabile direttore della Civica di Milano, per la poltrona di direttore dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico (ma in questo caso siamo seri...).

    Dunque se votate per loro, ci fate solo piacere e rendete giustizia alle loro competenze.


    Le nomination del concorso di ateatro 104
    (così come li ha raccolti per voi Perfida De Perfidis)


    Direttore dell’ETI (Ente Teatrale Italiano)
    (in scadenza nel marzo 2007; ampi dossier sulla situazione dell'ETI nei vari numeri di ateatro)


  • Emanuele Banterle
  • Antonello Pischedda (ma nel frattempo è già diventato anche commissario ministeriale per il Festival Nazionale del Teatro)
  • Alfredo Balsamo
  • Ninni Cutaia
  • Giovanna Marinelli
  • Ornella Vannetti
  • Antonio Calbi
  • altro


    Direttore del Teatro Metastasio di Prato
    (dopo le dimissioni di José Sanchiz Sinisterra e Alessandro Bertini; i materiali nel forum Fare un teatro di guerra?)

  • Federico Tiezzi (candidato naturale e dunque improbabile vincitore)
  • Massimo Castri (un altro candidato naturale, e dunque...)
  • Edoardo Donatini
  • Armando Punzo
  • Giancarlo Cauteruccio
  • Massimo Luconi (a volte ritornano)
  • Simonetta Pacini
  • Antonio Calbi
  • altro


    Direttore dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”
    (se la protesta di docenti e studenti obbliga alla resa Luigi Maria Musati: il dossier con le richieste di dimissioni di docenti & studenti è nel solito forum Fare un teatro di guerra?)


  • Renato Palazzi (candidato ufficiale di ateatro, dunque non ha speranze)
  • Massimo Navone (dimissionario dalla Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano)
  • Ferruccio Marotti
  • Giorgio Albertazzi
  • Antonio Calbi
  • Glauco Mauri
  • Luca Ronconi
  • Luca De Filippo
  • Antonio Calenda
  • Gabriele Vacis
  • altro


    Direttore artistico del Teatro Eliseo di Roma
    (dopo il ritorno a Milano di Antonio Calbi)

  • Massimo Monaci
  • nessuno: meglio vendere tutto al Comune di Roma
  • nessuno: meglio farci un centro commerciale
  • Giorgio Albertazzi
  • Maurizio Scaparro
  • Piero Macarinelli
  • Antonio Calbi (a volte ritornano; oltretutto Milano è un mortorio, con una sola eccezione - l’Assessore Vittorio Sgarbi)
  • Franco D’Ippolito (vedi il quotidiano “Il Napoli” del 2 dicembre 2006, dove risulta già direttore dal 2002)
  • altro


    Assessore alla Cultura del Comune di Firenze
    (dopo le dimissioni forzate dell’assessore Simone Siliani: vedi il Totopoltrone di ateatro 103)


  • Zdanov
  • Zeffirelli
  • Zkaparrov
  • Zbatistuta
  • Zorro
  • altro


    Ma non è finita qui...

    ateatro raccoglie segnalazioni di altre poltrone in cerca di chiappe adeguate. Da Padova arriva la segnalazione che la proroga di Luca De Fusco alla guida dello Stable del Veneto è al centro di un’indagine della magistratura, mentre a Cascina c’è un cda latitante e girano voci di dimissioni e di appetiti...

    Nel prossimo concorso Totopoltrone 3, il Teatro di Roma, il Piccolo Teatro di Milano, la Scuola d'Arte Drammatica di Milano... Il forum è a disposizioni per le candidature, se possibile motivate.


     


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    specialemilano che cosa (non) abbiamo detto il 22 novembre
    Il verbale dell'incontro
    di Giovanna Crisafulli

     

    All’incontro sullo specialemilano del 22 novembre alla Scuola Paolo Grassi mancavano i rappresentanti dei teatri convenzionati, mentre piuttosto nutrita era la presenza di compagnie con o senza sede stabile o rappresentanti di diverse realtà cittadine. Nel corso dei diversi interventi non sono emersi progetti a lungo termine o strategie in atto nell’immediato, ma è rimasto aperto l’invito di ateatro a tutti i presenti, di promuovere nuove occasioni di incontro, magari su temi più specifici, per riuscire davvero ad avanzare ipotesi di cambiamento. Dopo l’introduzione di Oliviero Ponte di Pino e Mimma Gallina sui temi dello speciale e la lettura di una comunicazione di Sisto Della Palma sulla possibilità di rifondare il teatro partendo dalla città di Milano e dalla riorganizzazione delle categorie di settore, ci sono stati i seguenti interventi.

    Filippo Del Corno, di Sentieri Selvaggi, sottolinea la mancanza di spazi dedicati al contemporaneo, quando la domanda da parte del pubblico in questo senso è molto alta. Manca nella cultura italiana un incentivo al ricambio generazionale, necessario allo sviluppo dell’innovazione. Rilancia la proposta delle quote arancioni, quote di incarichi da affidare a chi ha meno di quarant’anni, con l’introduzione di agevolazioni per le realtà che hanno il coraggio di affidare la direzione artistica a persene al di sotto di quell’età. Il problema della cultura a Milano nasce anche da una concezione di cultura quasi decorativa, mentre tra i criteri che stabiliscono la qualità della vita di un luogo la cultura occupa uno spazio importante.

    Renato Sarti, del Teatro della Cooperativa, sostiene anche che la vera battaglia non solo del teatro ma della cultura in generale è la “Teledeportazione di massa”. La cultura in Italia potrebbe avere lo stesso valore che il petrolio ha per altre nazioni, ma la classe politica è ottusa e non anziché investire su questa risorsa, tende a ridurre i fondi. La dimostrazione dei vantaggi che ottiene una città quando investe in arte è Roma, che negli ultimi anni, grazie alla sua politica culturale, ha aumentato le presenze in città del 30 %. A Milano l’unico barlume di entusiasmo è stata la Festa del Teatro, organizzata dalla Provincia e non dal Comune, mentre qui anche le notti bianche sono piuttosto grigie. Bisognerebbe investire sulla grande presenza di stranieri sul territorio cittadino, riservare una quota di visibilità anche ad altre culture. In tutti i programmi politici la cultura è sinonimo di turismo, ma la cultura e il teatro il particolare, è molto di più. E’ una risposta al degrado politico e morale del paese, uno strumento democratico di critica e di protesta.

    Manuel Ferreira, della Compagnia Almarosé, parla della mancanza di dialogo con le istituzioni cittadine, che non ascoltano nuove proposte finchè non le stupisci. D’altra parte, anche i teatri della città, quelli convenzionati, non fanno niente per cambiare, si impegnano solo a scegliere i titoli delle stagioni, per il resto sempre uguali, sia come contenuti che come comunicazione. Ci sono poi delle realtà delle quali sembra impossibile parlare, come la Fabbrica del Vapore e il Teatro dell’Arte. Si dovrebbero organizzare degli incontri sulle cattive pratiche del teatro per imparare dagli errori degli altri e riuscire a trovare strade alternative.

    Patrizia Bortolini, responsabile culturale di Rifondazione Comunista, sostiene che la situazione attuale della città sia l’onda lunga dei cambiamenti sociali ed economici avvenuti a Milano negli ultimi anni, dei quali non si era del tutto consapevoli. Lo scarso interesse generale della politica nei confronti della politica è evidente dagli stessi programmi elettorali anche di sinistra, dove la cultura viene sempre giustificata con le sue potenzialità economiche. Bisognerebbe ritornare a considerare la cultura come un valore aggiunto della città, non solo per i suoi vantaggi economici. Milano oggi non è più la città del fare, ma è diventata la città dove la speculazione edilizia sacrifica qualunque iniziativa, come la Stecca degli Artigiani all’Isola. Ci sono molte riflessioni ancora da fare, rifondare l’accessibilità economica ai beni culturali, agire sui meccanismi del precariato.

    Federica Fracassi, di Teatro Aperto, lancia una riflessione sul pubblico, partendo dai risultati della Festa del Teatro. Due sono le ragioni principali di quel successo: la prima, il prezzo contenuto dei biglietti, la seconda la percezione del teatro come evento. Evidentemente l’evento attira di più delle singole stagioni e forse sarebbe il caso di riflettere sulla possibilità di conciliare i contenuti culturali con la tipologia dell’evento.

    Lory Dall’Ombra, del Comune di Milano (ma intervenendo a titolo personale), sostiene che ormai le risorse a disposizione del Comune si sono esaurite. La prima conseguenza di questa condizione è il fatto che non basta più proporre al Comune un progetto da sovvenzionare, perché in questo modo il Comune ha piena discrezionalità nello scegliere quali finanziare e quali no. Bisogna trovare nuove forme organizzative. Nella città, al di là delle realtà esistenti e finanziate, esistono altre realtà nate negli ultimi dieci anni che sono riuscite a vivere, nonostante l’assenza del Comune. Bisogna trovare il modo di mettere insieme le forze, non andare più da soli in una interlocuzione individuale. Il discorso sugli eventi è di altro tipo. La Festa del Teatro è stata possibile da realizzare per la Provincia, grazie al supporto dato ai teatri dal Comune. Quella degli eventi è una strada che viene sempre di più finanziata da parte del Comune, bisogna quindi lavorare per riempire di contenuti quegli eventi. Altri tipi di progetti verranno sempre meno finanziato. Un’Amministrazione eletta rispetta veramente quello che era stato presentato come programma elettorale. Il problema è a che punto del programma si trova la cultura e lo spettacolo, che nel nostro caso si trova solo in poche righe nelle ultime pagine. Su quel programma viene redatto il bilancio e ovviamente l’ammontare dei finanziamenti è proporzionale a quella posizione. Le convenzioni verranno ridiscusse nel 2007 quando si conoscerà il bilancio a disposizione. Saranno mantenute ma i contenuti saranno tutti rinegoziati. Per quanto riguarda il Teatro degli Arcimboldi, davvero nel pensiero di molti, a partire dell’ex sindaco Albertini, mantenere quel teatro sarebbe stato semplice ed economico. Era scontato che il Teatro sarebbe stato parte della Scala, ma poi, quando la Scala non ha avuto ricevuto ulteriori finanziamenti per la gestione degli Arcimboldi, si è tirata indietro. Albertini, che era anche presidente della Scala, se ne è assunto la gestione come Comune di Milano . Per far fronte alle spese si è deciso di affidare ad enti esistenti una parte di programmazione. I costi riconosciuti dal Comune al Teatro sono solo quelli di gestione, luce, riscaldamento etc, ma quelli artistici devono essere coperti con gli spettacolo. In ultimo, Sgarbi ha deciso di elevare a sei i direttori del teatro sotto la Sovrintendenza di Zecchi e solo il giorno prima dell’inaugurazione questi sono stati approvati.

    Marcella Formenti, dell’Arci Lombardia, illustra un progetto di promozione del teatro sul territorio regionale attraverso la rete delle sedi decentrate dell’associazione. L’Arci da qualche tempo sta organizzando con le compagnie regionali un cartellone da presentare nelle diverse località che hanno un’offerta culturale inferiore, cercando di garantire al pubblico biglietti a prezzi economici, senza sacrificare il compenso degli artisti. Tra le compagnie che hanno accettato di partecipare anche una prodotta dal Piccolo Teatro, vista dall’Arci come un segnale importante di riconoscimento da parte del Teatro Stabile. La Formenti parla poi di un altro progetto del quale fa parte, ovvero l’AOS Lavoratori Auto-organizzati dello spettacolo, che riunisce tecnici, artisti e organizzatori interessati a rifondare il sistema lavorativo e produttivo dello spettacolo.

    Fabio, studente del corso di recitazione della Paolo Grassi, esprime la propria perplessità rispetto alla possibilità di recitare senza aver seguito nessun iter scolastico, come invece accade per altre professioni e sulla necessità di avere fondi per continuare a fare teatro. Avanza l’ipotesi di un totale azzeramento dei contributi per una decina d’anni, in modo da stabilire chi sia in grado di dire comunque qualcosa al pubblico anche senza possibilità economiche. A sostegno di questa ipotesi cita la propria esperienza di attore che, trovando degli sponsor privati, è riuscito a realizzare il suo spettacolo.

    Francesco D’Agostino, della Compagnia Quelli di Grock sostiene che nel micromondo teatrale manchino le pari opportunità, non tutti hanno infatti le stesse possibilità di accesso alle risorse. Non crede sia giusto che realtà cittadine che negli ultimi quattro anni si sono svuotate di pubblico e di senso continuino a ricevere gli stessi contributi di una volta. Bisognerebbe riflettere sull’effettiva attività delle diverse realtà e rendere proporzionato il contributo. Tra le entrate di Quelli di Grock, il 20 % è dato da fondi pubblici, mentre il resto è dato dalla vendita degli spettacoli, dai corsi della sua scuola di teatro, dal pubblico pagante. Il Comune dovrebbe riprendere il controllo del Teatro dell’Arte e affidarlo a una gestione condivisa, con una direzione artistica non scelta dal Comune, ma coordinata tra delle strutture.

    Per Mara Rampelli, organizzatrice teatrale, si parla troppo del passato, siamo nel 2006 e la situazione è quella illustrata da Lory Dall’Ombra, gli Enti Pubblici non hanno più soldi e siamo costretti a inventarci altre strade. Per la mia esperienza le residenze potrebbero essere una buona soluzione e il Teatro dell’Arte potrebbe essere una giusta residenza di diverse compagnie, da dividere come un condominio, perché nessuna delle piccole compagnie potrebbe permettersi una stagione interna, ma una parte sì. L’importante per rifondare il teatro è voler cambiare qualcosa, senza disdegnare il mercato e senza chiudersi sotto il nome di cultura.


     



    a cura di a m m (anna maria monteverdi)
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    William Kentridge: la magia dell’ombra
    Omaggio al grande artista sudafricano nella collana d’arte Supercontemporanea di Electa
    di Anna Maria Monteverdi

     

    Cecilia Alemani cura per Electa-Supercontemporanea, collana di monografie d’arte contemporanea di piccolo formato diretta da Francesco Bonami, un agile e ben documentato volume dedicato a William Kentridge, considerato una delle personalità artistiche e intellettuali di maggior spicco del Sudafrica. Per un maggior approfondimento sulla poetica di Kentridge segnaliamo oltre al catalogo edito dalla Skira e pubblicato in occasione della mostra al castello di Rivoli del 2004, il volume di Rosalind Krauss Reinventare il medium (Bruno Mondadori ed).



    Nato a Johannesburg nel 1955, Kentridge svolge un’attività artistica multipla sin dalla fine degli anni Settanta: le sue opere vanno dalle incisioni con tecniche diverse (puntasecca, acquaforte, acquatinta) ai disegni a carboncino, a gesso e pastello, ai collage, alle pitture, alle installazioni con sculture in bronzo, con mobili, arredi e schermi (che vanno a formare veri e propri teatrini in miniatura), ai film animati in 16 e 35mm, ai disegni a silhouette realizzati espressamente per i fondali teatrali. L’esposizione a Documenta Kassel nel 1997 e la personale al Palais des Beaux-Arts a Bruxelles nel 1998 ne decretano il successo mondiale.



    La sua biografia è costellata di numerosi eventi legati al teatro: iscritto alla Ecole Jacques Lecoq a Parigi, scenografo attore e regista della Junction Avenue Theater Company e della Handspring Puppett Company di Johannesburg, allestisce opere dai testi di Tom Stoppard e Alfred Jarry; diventa in seguito regista di corti in animazione girati in 16mm, ma i suoi film così come i suoi disegni e le sue installazioni continueranno a trasudare il teatro, ad essere abitati da maschere del teatro di tutti i tempi: straordinari i primi monotipi di piccole dimensioni della serie PIT; un palco/gabbia come fossa o bolgia dantesca ospita corpi incatenati o nudi di donne e uomini deformi o schiacciati dalla prospettiva, illuminati da un accecante faro teatrale.



    Nella loro angosciante commedia nera sono l’oggetto dello sguardo crudele di spettatori posti all’estremità superiore di questa arena. Reminiscenze pittoriche di Goya, Bacon e degli artisti di Weimar convivono con le atmosfere del teatro del Gran Guignol.
    Nel volume sono riportate le riproduzioni delle incisioni che costituiscono la serie UBU TELLS THE TRUTH (1996-1997) con le fotografie dallo spettacolo andato in scena con la collaborazione di Handspring Puppett Company, i disegni per lo spettacolo Faustus in Africa (1995), per Confessions of Zeno (2002), per l’opera in musica Il ritorno di Ulisse in patria (1998) da Monteverdi; alcune fotografie inserite nel volume documentano l’installazione PREPARING THE FLUTE, un modellino teatrale con due film animati in 35mm con cui Kentridge reinventa il suo lavoro per le scenografie per l’opera Il Flauto magico da Mozart.



    Ampio spazio viene dato nel libro ai celebri Drawings for Projections, film animati muti realizzati d Kentridge a carboncino e inaugurati con la fine degli anni Ottanta. La precisa descrizione della Alemani del travagliato lavoro di Kentridge davanti alla Bolex 16mm per creare sequenze animate composte da innumerevoli e minime variazioni e cancellature del disegno monocromo davanti alla macchina da presa, ci riporta al cinema delle origini, ai primi studi fotografici del movimento di Marey:

    “A differenza dell’animazione classica in cui per creare un solo secondo di filmato si realizzano ventiquattro disegni diversi su altrettanti fogli, per i suoi film Kentridge usa solo pochi fogli di carta che vengono ossessivamente disegnati, cancellati e ridisegnati a carboncino. L’artista parte da un largo foglio bianco appeso al muro e vi disegna la prima scena. Poi passa alla telecamera con cui riprende il disegno per pochi istanti. Quindi ferma la cinepresa e torna al disegno: lo altera con cancellature, aggiunte e sovrapposizioni anche solo infinitesimali, facendo evolvere l’immagine secondo la narrazione. E di nuovo torna a filmare il disegno, nato da una metamorfosi di quello precedente, di cui conserva la memoria”.

    Ma le sue opere sono inscindibili dalla storia recente del Sudafrica, dal tema dell’apartheid a cui Kentridge dedica la lunga saga di Soho Eckstein, storia di un avido e ingordo capitalista industriale simbolo stesso della corruzione e della depravazione in una Johannesburg colpita dalle ingiustizie razziali e dallo sfruttamento del lavoro operaio nelle miniere. Il personaggio che gli si contrappone è il solitario e triste Felix Teitlebaum.
    La Alemani riconduce il lavoro di Kentridge alle suggestioni dei lavori della Nuova Oggettività, da Otto Dix e Grosz. Manca forse nel libro, pur ricco di apparati iconografici, uno sguardo a quel teatro che al di là dell’evidenza testimoniata dal titolo delle opere, si scorge in controluce e in modo sotterraneo: primo fra tutti l’opera di Samuel Beckett e del Brecht dei drammi didattici.


     


     

    Bernard-Marie Koltès, ritratto a più voci
    In convegno a Palermo
    di Maria Teresa de Sanctis

     

    A Palermo nelle sale della Biblioteca Comunale di Casa Professa si è svolto il 14 novembre un convegno sulla figura del drammaturgo francese Bernard-Marie Koltès dal titolo “Koltès e l’epica della periferia”. Jacques Pecheur (direttore del Centre Culturel Français di Palermo), Giancarlo Cauteruccio (regista dell’inedito La marcia, secondo testo di Koltès, rappresentato in prima assoluta a Palermo dal 14 novembre), Gianfranco Capitta, Muriel Mayette (prima donna direttrice della Comedie-Francaise, e per questo oltre che per la sua esperienza d’artista qui insignita del Premio Susan Strasberg del Progetto Amazzone), François Koltès (scenografo, fratello del drammaturgo), Lina Prosa e Anna Barbera (ideatrici del Progetto Amazzone), questi gli studiosi e artisti intervenuti all’incontro – studio sull’autore francese. Il convegno è uno dei momenti della manifestazione “Epica della cellula e dell’eroe – Cancer in blue / 1996–2006. Dieci anni”, Giornate Internazionali Biennali giunta alla quarta edizione, organizzata nel capoluogo siciliano dal Progetto Amazzone dal 12 al 18 novembre, e con la quale quest’anno il Progetto Amazzone festeggia i suoi dieci anni di attività. Essendo Koltès l’autore scelto per le risonanze fra la sua scrittura e il tema della manifestazione, un incontro che ne consentisse di approfondire la conoscenza, anche per una migliore fruizione dello spettacolo La marcia anch’esso previsto all’interno della manifestazione, era doveroso, come ha spiegato Lina Prosa presentando il convegno. Chi ha dato il via ai lavori e posto così domande agli intervenuti è stato Gianfranco Capitta. Questa, nei suoi aspetti preminenti, la sua introduzione.

    “La relazione fra arte e malattia si traduce o attraverso l’esperienza privata come nel caso di Harold Pinter che, reduce da un cancro all’esofago, nella sua interpretazione del Krapp beckettiano trasforma in fatto artistico la sua storia personale, ovvero come peculiarità stessa della scrittura. Questo è quanto si ritrova nell’opera di Koltès, una scrittura lucida, dolorosa e profetica. Profonde le ferite che procurano i suoi spettacoli, come La solitudine dei campi di cotone con la regia di Patrice Chéreau nell’87 o Roberto Zucco diretto da Peter Stein nel '90, un fuoco drammaturgico che è divampato senza tanti concorrenti nella scena europea. Nella sua scrittura si sente il bisogno di esprimere il tutto in un tempo molto breve. L’attore Luca Coppola pose Koltès nel novero di “coloro che muoiono giovani perché gli Dei li vogliono accanto a sé” e fatalità volle che dicesse questo proprio poco prima di essere assassinato (nel 1988 a soli 26 anni, n. d. r.) . C’è una frenesia vitale nei suoi lavori, un modo di scrivere proprio di chi toglie elementi descrittivi e lascia l’essenziale, la sua scrittura è molto circonstanziale; i suoi confronti/scontri danno luogo a qualcosa di definitivo ma senza alcun risvolto melodrammatico. Le leggi ci sono ma nascono e si fondono nelle persone. Koltès profeticamente ci aveva già parlato dell’Africa e delle banlieu, meglio di quanto se ne faccia oggi. La geografia per Koltès è già dentro le persone, le scenografie delle sue opere sono luoghi assai particolari (qualcuno li ha definiti “non luoghi”): hangar, aereoporti, bolle mediatiche (come nel caso di Roberto Zucco). Koltès è avanti nei tempi, vede nel futuro, ha una complessità di pensiero e di prassi espressa in maniera concreta; raccoglie una linea di rappresentazione teatrale che in Francia va da Artaud a Genet, facendola propria e andando oltre. Per Koltès la libertà culturale, sessuale e persino satirica è un’acquisizione già data. I suoi testi sono già lanciati verso il futuro, occorre solo incarnarli nello spazio fisico del palcoscenico”.

    «Un uomo normale, per nulla mondano, con persone comuni come amici, tranne naturalmente gli amici artisti con i quali lavorava, molto legato alla sua famiglia», queste le parole dello scenografo Francois Koltès, fratello del drammaturgo, in risposta alla domanda di Capitta su come fosse il fratello. Per Gianfranco Cauteruccio mettere in scena Koltès (questa la domanda rivoltagli da Capitta) ha un grande significato, soprattutto per un regista e attore come lui che ha tanto lavorato su Beckett e Pinter. Secondo Cauteruccio Koltès è l’erede dei due grandi autori «cogliendo l’insegnamento metafisico di Beckett e la realtà di Pinter». Dice ancora Cauteruccio «Koltès si deve leggere in solitudine, una profonda solitudine, perché la sua scrittura va messa in voce» e continua «di fronte ad una scrittura così aperta e chiusa allo stesso tempo, la messa in scena si fa problematica perché Koltès ci insegna che la contemporaneità deve frantumare il senso della narrazione, si tratta di incontrare non personaggi ma creature. Nella scrittura dell’attore non ci sono strumenti di facile possesso, allora si va in un territorio di profondità» . Il regista quindi si riferisce alla sua regia della Marcia, testo inedito, mai messo in scena in Italia, il secondo testo teatrale del drammaturgo, una sfida per Cauteruccio il quale di questa esperienza dice: «Un testo non storicizzato, in assenza di punti di riferimento, di fronte un sistema che poi diventerà la drammaturgia di Koltès» e ancora «un testo che viaggia su due livelli linguistici, un problema raro nella drammaturgia contemporanea, e in questa diversificazione del linguaggio realizza una sospensione del concetto d’amore» .



    Il regista, affrontando per la prima volta Koltès e peraltro essendo la prima rappresentazione de “La marcia”, si riferisce alla sua regia in termini di «primo studio» lungo quella che per lui sarà «la strada dell’illuminazione della scrittura». Per Jacques Pecheur, invece, spettatore dell’autore francese alla fine degli anni Settanta e inizio degli Ottanta, un significato particolare ha La notte poco prima della foresta, anche perché fu in occasione della prima di questo lavoro, nel settembre dell’88, che incontrò Koltès già molto sofferente. «Gli anni Ottanta furono gli anni di Koltès» afferma Pecheur «lui appartiene a tutto quel movimento artistico che rese in quegli anni Parigi una città internazionale» e continua «anche a Nanterre si creò un ricco ambiente culturale, da Stein a Ronconi». Pecheur traccia quindi per grandi linee il percorso artistico di Koltès , sin dalle attività del ‘77 a Lione di grande impatto e forza culturale, qui la messa in scena di Salinger, ispirato ai romanzi dello scrittore americano. Quindi la fondamentale collaborazione con Patrice Chéreau, regista dal 1983 in poi di molti lavori di Koltès, e riferisce poi di un altro importante incontro per Koltès, quello con l’attore Michel Piccoli a Nanterre. Per Pecheur, Koltès appartiene al cinema del primo Wenders, di Tarkovskij, ma anche di Coppola, Cimino e della Febbre del sabato sera. Nel suo intervento invece Muriel Mayette, che al momento sta lavorando su un un testo di Koltès, afferma l’importanza per i giovani di confrontarsi con la lingua del grande autore, un classico contemporaneo. Tra l’altro la Mayette riferendo delle ottime traduzioni di Shakespeare fatte dall’autore francese, ritiene che questi sia stato profondamente influenzato dal drammaturgo inglese. «La lingua di Koltès è una lingua molto scritta e per metterla in scena l’aiuto viene dal ritmo, dalla velocità» afferma la Mayette. Infine la parola va a Lina Prosa in qualità oltre che di organizzatrice del convegno, anche di traduttrice del testo La marcia. Per lei questo ha significato «entrare con timidezza nei segreti del testo, un testo particolarissimo» e continua «Koltès, affascinato da una traduzione del Cantico dei cantici tradotto come Cantico dei canti, crea nel suo testo con la scrittura un rapporto con questo poema antico» e aggiunge «molta punteggiatura e ritmo senza mai una lettera maiuscola, un testo dove attraverso parole sospese viaggiano quattro personaggi, una coppia di sposi e una di fidanzati». E a conclusione dell’incontro Cauteruccio, rifacendosi sempre alla Marcia, afferma come questo testo, ponendosi tantissime domande senza dare mai alcuna risposta «sia teatro d’arte, perché arte è interrogazione». E ancora circa un confronto della Marcia con le opere successive di Koltès, Cauteruccio aggiunge:
    «Un testo nel quale l’aspetto fondamentale è la dualità del linguaggio, con due diversi livelli storici ed estetici», e conclude «un testo irrappresentabile dove sono molto importanti la sonorità, il ritmo e il corpo e si afferma la necessità del dolore: l’ottimizzazione della sofferenza regala energia». Un momento di approfondimento e di studio, come era nelle intenzioni delle organizzatrici, che ha senz’altro arricchito di contenuti la conoscenza del profilo artistico di Bernard-Marie Koltès.


     


     

    BPSUD Le residenze: il convegno di Torino
    Il report del convegno e la relazione
    di Luciano Nattino

     

    VENERDÌ 1 DICEMBRE e VENERDÌ 2 DICEMBRE 2006,
    a Torino e al Castello di San Sebastiano Po, si sono tenuti rispettivamente:

    il Convegno Nazionale:
    LE RESIDENZE TEATRALI PER IL RINNOVAMENTO DEL TEATRO ITALIANO
    oltre lo sguardo originario

    e la Tavola Rotonda
    RESIDENZE TEATRALI COME RISPOSTA DI SISTEMA
    interfaccia tra operatori, istituzioni e comunità locali

    Sono stati due intensi giorni di dibattito e di confronto fra operatori di diverse regioni italiane, istituzioni pubbliche, rappresentanti di fondazioni bancarie, rappresentanti dell’Osservatorio Culturale del Piemonte.


    VENERDÌ 1° DICEMBRE

    Introduzione di Gimmi Basilotta per Associazione Piemonte delle Residenze (che riunisce 12 Residenze piemontesi)
    Intervento che ha proposto i temi del dibattito:
    - valorizzazione dell’esperienza delle Residenze a livello nazionale;
    - superamento del limite temporale dato alle stesse dalla normativa;
    - identità delle Residenze regionali e loro differenziazione dalle esperienze di Permanenza artistica in un teatro svolta da alcuni organismi;
    - ulteriore rafforzamento della Multidisciplinarietà anche in accordo con organismi di danza e musica;
    - collaborazione con i Circuiti per la definizione di una progettualità senza sovrapposizioni;
    - concertazione con la Regione per una programmazione delle ulteriori Residenze in Piemonte.

    Sono seguiti:
    Saluto di Fiorenzo Alfieri, Assessore Comunale alla Cultura
    Intervento di Gianni Oliva, Assessore Regionale alla Cultura

    Altri interventi:
    - Lello Serao: I Teatri di Napoli (anche per conto dell’Assessore alla Cultura del Comune di Napoli) che ha illustrato il progetto napoletano di rete delle Residenze;
    - Fabio Biondi: L’arboreto di Mondaino - Rimini (con proiezione video);
    - Ferruccio Merisi di Pordenone
    - Nevio Alzetta, Consigliere regionale della Regione Friuli, che hanno sottolineato l’urgenza, anche per la loro Regione, di legiferare in materia;
    - Andrea Rebaglio della Fondazione bancaria Cariplo, che ha illustrato il bando in itinere per il sostegno ad esperienze di Residenza in Lombardia;
    - Cristina Favaro dell’Osservatorio Culturale del Piemonte, che ha illustrato il lavoro fin qui svolto di verifica dell’attività delle Residenze piemontesi;
    - Marco Chiriotti, dirigente settore spettacolo Regione Piemonte, che ha illustrato le tappe della formazione delle Residenze e i provvedimenti fin qui adottati a sostegno delle Residenze Piemontesi nonché la ratio alla base di tali provvedimenti.



    SABATO 2 DICEMBRE 2006

    Introduzione di Luciano Nattino – Presidente ANCRIT
    (vedi relazione)

    Rappresentanti di organismi teatrali nazionali intervenuti al dibattito:

    Labros Mangheras - Tib di Belluno
    Andrea Cresti - Teatro Povero di Monticchiello
    Massimo Munaro - Teatro del Lemming di Rovigo
    Davide D’Antoni - Coordinamento Residenze Lombardia
    Renzo Boldrini - Giallo Mare Minimal Teatro di Empoli
    Antonella Questa – LAQ-prod di Torino con Residenza in Francia
    Maria Cristina Ghelli - Teatro delle Donne di Firenze
    Gabriele Ciaccia - Teatro dei Colori di Avezzano
    Francesco D’Agostino - Quellidigrock di Milano
    Luigi Marsano - I Teatrini di Napoli
    Alessandra Rossi Ghiglione - Master Teatro Comunità dell’Università di Torino
    Franca Graziano - Moto Perpetuo di Pavia

    e altri organismi presenti:

    Florian di Pescara (teatro stabile di innovazione)
    Teatro degli Acerbi di Asti
    Teatro Blu di Varese

    più rappresentanti delle Residenze Multidisciplinari del Piemonte
    e gli ospiti del giorno precedente.

    Non è facile dare una sintesi degli interventi svolti, ciascuno dei quali ha evidenziato sia le proprie esperienze sia singoli aspetti del dibattito.
    In generale c’è stato:
    - apprezzamento per l’iniziativa;
    - vitale necessità di costruzione delle Rete Nazionale delle Residenze;
    - evidenziazione degli attuali limiti normativi a livello nazionale e di molte Regioni;
    - più sottolineature del carattere progettuale e artistico delle Residenze, non di mero servizio a un territorio (anche se il territorio è fondamentale per il progetto artistico);
    - affermazione della volontà di concorrere al rinnovamento della scena italiana e alla modifica delle attuali norme che regolano il sostegno pubblico al teatro;
    - necessità di una visione nazionale dell’attività delle Residenze con scambi, incontri e relazioni anche con altre esperienze europee.

    L’impegno con cui ci si è lasciati è plurimo:
    - rinnovare in altra Regione l’incontro tra sei mesi;
    - promuovere (anche attraverso l’ANCRIT e l’ASTRA) l’idea di formazione della Rete Nazionale delle Residenze;
    - promuovere in ogni Regione una normativa ad hoc;
    - ribadire in sede nazionale l’urgenza di profonde modifiche all’attuale sistema di sostegno.

    Contributo alla Tavola Rotonda di LUCIANO NATTINO – Presidente ANCRIT (Associazione Nazionale Compagnie e Residenze di Innovazione Teatrale)

    C’è un teatro che “gira” e un teatro che si insedia.
    Il primo mette in circuito le opere; il secondo punta sull’incontro, sul rapporto scena/platea. Il primo dà la priorità alla visibilità dei prodotti; il secondo favorisce i processi e i percorsi artistici.
    Il primo si concentra sullo spettacolo, il secondo si dà come atelier aperto per attori e spettatori.
    C’è bisogno di entrambi. E sono parecchi i teatranti che, nel corso della loro attività, percorrono entrambi gli ambiti.
    Lo svecchiamento del teatro e dei teatranti passa anche da qui.
    Da un superamento delle “categorie” e delle “funzioni”, da un riconoscimento reciproco tra i vari fronti teatrali, dalla capacità di esplorare nuove pratiche e di proporre nuove regole: etiche, deontologiche, normative del sostegno pubblico.

    Negli ultimi quindici/vent’anni si sono insediate nel nostro Paese delle nuove forme di stabilità teatrale per un lavoro complesso di produzione, di ospitalità e di promozione sui terreni dell’innovazione (nuovi linguaggi e contesti, giovani spettatori, nuova drammaturgia, teatro sociale o di comunità, ecc.).
    Ci riferiamo sia a quelle riconosciute dal MBAC (Ministero Beni e Attività Culturali), come “Teatri Stabili di Innovazione”, sia a quelle riconosciute da diverse Regioni ed Enti Locali come “Residenze Teatrali” (o altre denominazioni) che l’ANCRIT intende tutelare e valorizzare.
    Le Residenze sono nate allo scopo di favorire ulteriormente l’insediamento teatrale sul territorio nazionale per raggiungere nuovi pubblici, creando una forma “leggera” di stabilità utile al riequilibrio del sistema teatrale italiano (nei rapporti Nord/Sud e zone servite/zone disagiate), al rinnovamento della scena italiana (evidenziando le già operanti connessioni con le altre arti sceniche, con quelle visive, con la poesia, la letteratura, l’antropologia, la scienza, ecc.) per un teatro attento al ricambio generazionale e che trova non in sé ma nel rapporto con la società la necessità della propria esistenza.
    Una risposta dunque non solo “di servizio” ai territori ma che crea nuove polarità culturali e artistiche basata su modalità gestionali snelle ed originali e in quadri di sostenibilità delle risorse sia per la particolarità dell’insediamento in Comuni piccoli e medi sia, soprattutto, come atteggiamento etico.
    “Sostenibilità” (nelle arti sceniche come in economia) significa infatti equilibrio tra investimento e ricaduta sociale e, soprattutto, equità verso il futuro, assicurando opportunità alle nuove generazioni di artisti e di spettatori, vincendo le rendite di posizione e creando un sistema di sostegno pubblico fondato su meccanismi trasparenti, chiari e semplici.

    Da anni si avverte la necessità di una modifica profonda delle attuali modalità di intervento statale nei confronti del teatro e delle altre arti sceniche.
    Tale intervento va fondato su una rete complessa (condivisa tra Stato e Regioni) di monitoraggio dell’arte scenica nel suo vario manifestarsi e del suo rapporto con gli spettatori e la società (non solo il "pubblico" dunque), con il mondo degli studi e della ricerca, ecc.
    In questo senso non è più rinviabile la creazione di un Osservatorio Nazionale delle Arti Sceniche con personale qualificato a svolgere compiti di verifica, stimolo, dialogo con gli organismi teatrali (e di danza e musica) per dare un supporto indispensabile ai comitati di valutazione del sostegno pubblico e agli stessi organismi teatrali.
    Tale Osservatorio Nazionale potrebbe funzionare anche come ente di promozione dell’eccellenza artistica italiana in ambito europeo (e viceversa). L’Osservatorio potrebbe nascere dalle ceneri dell’ETI (la cui attuale e mera funzione di gestore di sale teatrali va superata al più presto) o da un’iniziativa ex novo anche pensando ad una riformulazione interna al Dipartimento Spettacolo del MBAC.
    Va altrettanto superata, e celermente, la vecchia divisione tra: produzione, distribuzione, promozione, formazione, di cui in passato si sono fatte interpreti le “categorie” (o le “associazioni teatrali di categoria”) il cui ruolo attuale è in forte declino.
    Sono oggi innumerevoli gli intrecci e i passaggi tra una funzione e l'altra riscontrabili nell'attività di molti soggetti teatrali e caratterizzanti la loro vitalità e “ricchezza”. Peraltro sono anche aumentate a dismisura le autodefinizioni funzionali e di tipologia teatrale.
    Per questo vanno creati nuovi meccanismi di sostegno dell’attività teatrale che valutino ogni soggetto teatrale in sé, nella complessità della sua azione e nella specificità del contesto territoriale in cui opera, e non come facente parte di un’area funzionale stabilita nel tempo (con budget “storico” di area) o di nuove “gabbie” definite in futuro.

    Fondamento del sistema di sostegno pubblico in campo scenico è la qualità del lavoro svolta da ogni soggetto come criterio di accesso al sistema stesso, con requisiti professionali di base (versamento oneri sociali con soglie minime).
    Tale qualità, a livello nazionale, va certificata non da una generica Commissione (che fino ad oggi ha operato sporadicamente e senza strumenti di supporto) ma da un Comitato permanente formato da personale dell’Osservatorio sopradetto, del Dipartimento Spettacolo del MBAC e da un numero limitato di esperti (al massimo tre) non coinvolti direttamente in attività teatrali e disponibili a un lavoro frequente e intenso.
    Vanno resi oggettivizzabili i criteri di qualità del lavoro artistico lasciando pochissimo spazio (se non nullo) alla discrezionalità. Solo così si può dare dignitosa soluzione al “buco nero” della valutazione, oggi per niente trasparente e troppo esposta a rischi di arbitrio.
    Nell’attuale normativa già esistono dei criteri di qualità abbastanza validi quali: impiego di artisti giovani, lavoro nelle zone “obiettivo uno”, drammaturgia italiana, ecc.
    Essi fanno parte però, impropriamente, della “quantità”, in quanto considerati incentivi volti ad aumentare gli oneri sociali versati.
    Tale “quantità” inoltre (composta da oneri e incentivi) può oggi, ai fini della sovvenzione, aumentare ulteriormente o diminuire fino a zero da un giudizio finale “di qualità”. E ciò è davvero un’assurdità. Che senso ha infatti aver creato dei criteri di qualità, oggettivi e verificabili, se poi un giudizio discrezionale (sempre sulla “qualità”) può annullarli?
    Ecco perché pensiamo che in futuro, il soggetto artistico ammesso al sistema di sostegno (attraverso la valutazione qualitativa di accesso), può solo vedere aumentare, ai fini della sovvenzione, la propria base quantitativa attraverso i criteri qualitativi predefiniti.

    Va infine ribadito che solo la triennalità degli investimenti (positivamente sperimentata dal precedente governo di centrosinistra) è garanzia di un reale e qualificato sviluppo dei settori artistici. Ovviamente parliamo qui di una triennalità fondata sulle nuove regole non sul perpetuarsi del confuso passato e delle “storiche” rendite.

    Queste (e altre) proposte debbono servire per un radicale ripensamento delle modalità di intervento dello Stato nel settore delle arti sceniche. Non sono più possibili piccoli aggiustamenti.
    E’ certo necessaria una legge nazionale che possa dare sviluppo al sistema (chiarendo anche il ruolo delle Regioni) ma è auspicabile che essa sia “leggera” e capace di autoriformarsi nel corso della sua vita, che non pretenda di imbragare un tessuto mobile e attento alle celeri modificazioni della società.
    In attesa di essa occorrerà nell’immediato un confronto serrato tra il Governo e gli operatori, investendo la politica e la cultura, per mettere mano fin dalle prossime scadenze alle nuove regole da adottare, capaci di portare a nuovi scenari di sviluppo dell’attività artistica.


     


     

    BPSUD Materiali Il sipario s'alza a sud
    Dal "Sole 24-Ore", 3 dicembre 2006
    di Renato Palazzi

     

    Non a caso, forse, tra i talenti più affermati del nuovo teatro italiano spiccano i messinesi Spiro Scimone e Francesco Sframeli e la palermitana Emma Dante, che proprio di recente ha debuttato col suo Cani di bancata, in cui il fenomeno mafioso viene analizzato attraverso ambigui riti di appartenenza. Non a caso tra le personalità prepotentemente emergenti vanno inseriti i siciliani Davide Enia e Vincenzo Pirrotta, i calabresi Dario De Luca e Saverio La Ruina, fondatori del gruppo Scena Verticale, il pugliese Mario Perrotta. E lasciamo da parte la Napoli di Enzo Moscato o di Arturo Cirillo, che rientra in una sfera a sé stante.
    Persino i vincitori del Premio Scenario della scorsa stagione, Gaetano Colella e il non-vedente Gianfranco Berardi, autori e interpreti del testo rivelazione Il deficiente, in cui si scambiavano i ruoli di finto e vero cieco, sono entrambi di Taranto. E già si stanno affacciando altri nomi, come quello di Tino Caspanello, autore, attore, regista che arriva da Pagliara, in provincia di Messina, e con la sua compagnia Pubblico Incanto ha presentato a Milano due interessanti testi, uno dei quali nel 2003 era tra i vincitori del premio Riccione.
    Si può dire che da qualche anno a questa parte il laboratorio, la fucina creativa della nostra scena sia inequivocabilmente il Sud, dal punto di vista geografico e non solo geografico. Certo, anche Carmelo Bene era profondamente, visceralmente figlio della sua Lecce, che gli dava stimoli espressivi e insopprimibili radici culturali: ma lui aspirava a una purezza, a una sorta di classicità sovra-nazionale. Gli artisti di cui si è detto sono invece i cantori dei pregi e dei difetti della propria terra, ne utilizzano le cadenze, ne svelano i guasti, attingono a piene mani alle sue memorie.
    Come si spiega questo fervore, questa vitalità espressiva in luoghi per altri aspetti segnati da piaghe sanguinose? A differenza di quanto avveniva fino a poco tempo fa nella cosiddetta “Romagna felix”, qui è difficile parlare di favorevoli circostanze ambientali, di investimenti in qualche modo mirati, di proficuo sostegno delle istituzioni. In alcune aree dell’Italia meridionale non mancano o non sono mancati i fondi per il teatro, basti pensare ai ricchissimi festival cui abbiamo assistito a Palermo: ma sarebbe difficile, probabilmente, parlare di una vera politica culturale.
    Scimone e Sframeli, tanto per fare un esempio, si sono formati alla Civica di Milano, la Dante è maturata tra Roma e Settimo Torinese. L’unico che non può fare a meno di Palermo e del suo stadio è Davide Enia, che però prova in casa perché non riesce ad avere neppure una sede provvisoria. Gli spettacoli di Vincenzo Pirrotta sono stati prodotti dal Centro Teatrale Bresciano o dallo Stabile di Roma, quelli del suo quasi omonimo Perrotta dal Teatro dell’Argine di Bologna. Scena Verticale è riuscita a creare un bel festival nella natia Castrovillari, ma ha rischiato di non poterne fare più nulla per un rovinoso taglio dei finanziamenti.
    E’ più utile, di sicuro, interrogarsi sull’influenza di certe innate componenti estetiche, partendo dalla fondamentale questione del linguaggio: in un Paese tradizionalmente privo di un’autonoma lingua teatrale come è il nostro, in un Paese che da sempre oscilla tra l’astratta perfezione del verso dell’Alfieri e la scrittura ingegnosamente esasperata e artificiale di Testori, ogni parlata dotata di una qualche sua implicita forza naturale è destinata a imporsi, a incidere profondamente sulle dinamiche della scena.
    Rispetto agli accenti veneziani e più ancora partenopei che da sempre hanno sorretto i comici italiani, il siciliano o il calabrese hanno qualcosa di ruvido e appartato, sono la voce di minoranze escluse dalla Storia, con una loro intatta carica di estraneità che spiazza e aggredisce le platee. Soprattutto rispetto al napoletano sostanzialmente piccolo-borghese di Eduardo, questi dialetti hanno echi arcaici e remoti che evocano di per sé un oscuro sentore di tragedia.
    Quest’eco di incolmabili distanze riesce spesso ad accendere l’immaginario dello spettatore anche là dove sfugge il senso delle singole parole, un po’ come avveniva per gli spettacoli in polacco di Kantor. Da Giancarlo Cauteruccio, che ha tradotto Beckett in un aspro calabrese, al giovane Pirrotta che ha raccontato l’Orestea nello stile incalzante con cui vengono di solito descritte le gesta dei Paladini, si è visto che quando alla comprensione razionale si sostituisce il puro ritmo l’autore certo non ne risente. Il che vale ancor più per narratori come Enia o Perrotta, cui serve una materia verbale malleabile dalla quale trarre ulteriori suggestioni sonore.
    Ma ovviamente il problema non è solo in una scelta di vocaboli: l’arretratezza economica, la posizione defilata rispetto ai processi della modernità fanno sì che in queste aree si conservino intatte delle antiche tecniche espressive che altrove, se anche mai si fossero sviluppate, non sarebbero in alcun modo sopravvissute. Soprattutto la cultura siciliana, come ha confermato l’ultima proposta ancora in fieri di Enia, Studio # 1, concentra una gamma di risorse alquanto varia e preziosissima per il lavoro dell’attore: si pensi solo ai canti rituali, alle nenie, ai lamenti funebri.
    Quando, negli spettacoli della Dante, entrano gli strepitosi fratelli Mancuso con le loro cantilene etniche si è irresistibilmente trasportati in altre epoche e ad altre latitudini, un effetto che, con tutto il rispetto, non verrebbe certo suscitato dall’orchestra Casadei. E poi c’è la tradizione del cunto - una particolarissima modalità di emissione vocale che altera vertiginosamente l’andamento della recitazione e lo stesso costrutto sintattico della frase – o la dizione sghemba dei pupari, che con le loro intonazioni artefatte, coi loro voluti strafalcioni praticano una forma di straniamento spontaneo che sarebbe piaciuto a Brecht.
    C’è poi una forte vena antropologica per cui gli spettacoli che arrivano dal Sud, se non attingono ad antichi miti, se affrontano la realtà contemporanea tendono in genere a riflettere una società degradata, squassata da miserie e distorsioni, che non appena approda al palcoscenico acquista il risalto di una livida denuncia: il microcosmo meridionale, così come viene analizzato dai suoi stessi figli, è sì oggetto di feroce sfruttamento, ma anche dominato dalla sottocultura televisiva, dalle mode, dai dettami di un ottuso consumismo. La sua condizione travalica dunque i confini locali, diventa metafora di un disagio più ampio che ci investe tutti.
    Soprattutto il tema del nucleo famigliare, coi suoi eccessi e le sue contraddizioni, risulta centrale negli spettacoli di Emma Dante, di Scena Verticale, di Enia, dello stesso Berardi, che utilizzava lo spunto della cecità per evidenziare i rapporti di sopraffazione reciproca che univano tre fratelli: per questi artisti il teatro diventa un formidabile osservatorio sui mali della famiglia patriarcale con le sue oppressioni millenarie, con le sue segrete violenze, coi suoi delitti d’onore, ma anche sul declino della famiglia odierna con le sue piccole soperchierie, coi suoi vizi inconfessabili, coi suoi ordinari impulsi di sottomissione dei più deboli.
    E infine la cultura del Sud con la sopravvivenza di tante usanze millenarie - anche a volersi guardare dal folklore – si dimostra uno straordinario arsenale di immagini, di suoni, di gesti carichi in sé di enigmatici archetipi: come si è potuto constatare anche in quest’ultima regia della Dante - ma non solo nel lavoro della Dante - basta portare alla ribalta un certo repertorio di ceri accesi, di lumini, di ex-voto, di statue di madonne, tracce di una religiosità barocca e pagana, permeata di elementi tribali, e l’effetto teatrale è immediato e irresistibile, un effetto teatrale che nessun’ altra tradizione nazionale potrebbe mai suggerire.


     


     

    BP2006 Bancone di Prova
    Un progetto creativo di 4 giovani autori
    di Bancone di prova

     

    Bancone di Prova è un progetto creativo che riunisce 4 giovani autori teatrali (Magdalena Barile, Elena Cattaneo, Sarah Chiarcos e Tommaso Urselli), coordinati dalla regista Maria Antonia Pingitore.

    La disponibilità dei gestori di un locale in Brera, il Take Away ci ha fornito il luogo, un luogo insolito, ma inserito nel contesto urbano e che ci ha imposto un rapporto diretto con il pubblico e l'impossibilità di pensare a grandi messe in scena, visto lo spazio esiguo.

    Al principio avevamo pensato di puntare sul luogo dandoci un tema, da cui il titolo “Bancone di Prova”. Ma il passo seguente, partendo proprio da questo primo titolo, ci ha portato a ragionare sugli obiettivi.
    Prendendo ispirazione dall’esperienza di “Città in condominio” (da cui alcuni degli autori di Bancone arrivano), volevamo però creare una situazione sostanzialmente differente; ci siamo chiesti cosa ci aspettavamo da quest’esperienza e soprattutto cosa ci riuniva intorno a questa proposta.
    La risposta è stata il teatro.
    Ecco allora l’obiettivo: scrivere per il teatro, scrivere pensando alla scena.

    La proposta si fa ambiziosa: abbiamo chiesto a ognuno di scrivere un testo completo, di pensare ad un testo per la scena che avesse la rappresentazione come fine.

    Il luogo si è trasformato allora in un vero “Bancone di prova”: spazio di verifica in cui, con appuntamenti settimanali, la dinamica del testo è presentata sotto gli occhi del pubblico, che partecipa e diviene strumento per un reale confronto. Il progetto si è espanso fino a richiedere un impegno costante di energie e di tempo che ha coperto l’arco dell’anno.

    Le serate sono stati momenti di lavoro e non di presentazione finale. Chi ha assistito alle serate era cosciente che ciò che vedeva non era uno spettacolo, ma un lavoro fragile ed incompleto, una prova affidata alla parola, all’attore e alla lettura.

    Abbiamo chiesto a chi ascoltava di rispondere con un’opinione, possibilmente costruttiva, di restituirci ciò che avevano sentito, perché gli autori potessero ancor più aderire al linguaggio della scena, per poi essere proposti a registi e strutture produttive.

    Il prossimo anno abbiamo intenzione di ripetere e perfezionare l’esperienza, convinti della necessità che si scrivano sempre più testi per il teatro, ma soprattutto convinti che solo attraverso la pratica della scena gli autori possano crescere e, perché no, invadere tutte le scene nazionali

    Bancone ha cominciato anche a proporsi come stimolo per eventuali azioni congiunte con altri autori, registi, attori, compagnie, associazioni e teatri al fine di aumentare la presenza di testi di autori italiani viventi nel teatro italiano.






    Le tappe

    Il primo incontro interno si è tenuto il 13 giugno 2005 al fine di presentare le linee del progetto agli autori partecipanti, riuniti attorno a questa prima esperienza fra gli ex-allievi della “Paolo Grassi” ed alcuni autori che avevano partecipato a “Città in Condominio”.

    Il primo appuntamento aperto si è svolto presso il Take Away il 17 ottobre 2005, dove di fronte a un pubblico di amici abbiamo presentato le linee narrative che gli autori avrebbero sviluppato nei testi.

    Nel secondo appuntamento gli autori, a volte coadiuvati dalla collaborazione di qualche amico attore, hanno letto in due serate, il 28 novembre e il 5 dicembre 2005, le prime scene dei loro testi.
    Il 6, 13 e 20 marzo i testi sono stati presentati in forma quasi completa, che ci ha portato a fissare una scadenza per la chiusura della scrittura al 27 aprile.

    Il 24 giugno 2006 in occasione de La Notte Bianca abbiamo presentato, presso la Cavallerizza del Teatro Litta (con replica il 26 giugno presso la Scuola d'Arte Drammatica “Paolo Grassi”) i seguenti testi in forma di mise en espace:


    “Manuel e Miranda”
    di Magdalena Barile

    “Fuori servizio”
    (in forma di video)
    di Anna Siccardi

    “Canto errante di un uomo flessibile”
    di Tommaso Urselli


    In occasione della Giornata del Teatro organizzata dalla Provincia di Milano il 29 ottobre 2006 Bancone di Prova ha organizzato presso la Scuola d'Arte Drammatica “Paolo Grassi” una Tavola Rotonda dal titolo “Cosa c'è di nuovo? L'autore è vivo?”. In serata, sono stati presentati in forma di lettura i testi: “Canto errante di un uomo flessibile” di Tommaso Urselli, e “Manuel e Miranda” di Magdalena Barile; in forma di mise en espace “Ospiti”di Sarah Chiarcos.

    Informazioni: banconediprova@gmail.com

     


     

    BPSUD Il ritorno a Itaca
    A Napoli, a Napoli
    di Claudio Ascoli, Chille de la balanza

     

    Ne “Le origini di un attore” PierGiorgio Giacchè si domanda «Che senso ha dire dov’è nato un attore? Di quell’attore che si dice e si vuole sempre nomade e abitante una terra di nessuno?» Ha ragione, eppure questo non è del tutto vero quando l’attore è nato a Napoli. E io sono nato a Napoli nel 1950 e a Napoli ho fatto teatro molti anni, prima di abbandonarla volontariamente nel 1985.
    Da allora sono in Toscana o meglio a Firenze, dove ha preso vita la mia buona pratica, di cui vi parlo oggi.

    La buona pratica
    Con la mia compagnia, i Chille de la balanza, nata a Napoli nell’ormai lontano 1973, ho ri-dato vita negli ultimi dieci anni ad un pezzo di città, San Salvi: l’immenso ex- manicomio di Firenze. Il “luogo San Salvi” è un fenomeno unico nel panorama fiorentino (e non solo); nonostante le migliaia di spettatori che ogni anno lo frequentano con una forte appartenenza e assiduità, non è un teatro, non è un laboratorio, non è uno spazio espositivo, né un punto di incontro; forse è tutto questo insieme e ancora di più: una casa dove convivono produzione ed ospitalità nel segno del rigore e della contemporaneità. Un giornalista l’ha recentemente definito “repubblica indipendente delle Arti”, e la vita di San Salvi, pur se così correlata a quella dei Chille, è infatti percepita da tutti come una “cosa pubblica”, aperta al mondo esterno. Chi viene a San Salvi sa a cosa va incontro…e si fida di quanto gli si propone! Quando alcuni anni or sono si ipotizzò una nostra promozione e trasferimento altrove, in pochi giorni oltre tremila persone manifestarono pubblicamente la loro opposizione e imposero alle istituzioni la prosecuzione del progetto artistico.
    Non voglio qui quasi nulla dirvi delle cose fatte a San Salvi (dal Centro Antonin Artaud, alla Trilogia della vita - con gli eventi Kamikaze, Macerie e Paure in occasione dell’11 settembre, dal lavoro su Dino Campana - che proprio nel padiglione in cui lavoro fu rinchiuso prima del definitivo internamento a Castelpulci - a quello su Kafka, dagli special events come Calendimaggio, Giornata mondiale della Poesia, Ferragosto a San Salvi, 1° dicembre…per finire al recentissimo progetto su Cesare Pavese); in questo lavoro di Teatro del luogo, ha forse maggior rilievo – e qui ritorna Napoli, le mie radici, la mia cultura – spendere piuttosto qualche riga sul rapporto con il pubblico. Alla frequente domanda “il pubblico cos’è?”, io rispondo: «Indubbiamente è, intanto, l’altro. Proprio perché sono particolarmente chiuso ho necessità di un incontro con l’altro; non so se ne ho bisogno perché l’altro come si dice banalmente spiega me stesso; penso di averne necessità perché sono talmente legato alla mia terra, alla mia solitudine che ho un disperato bisogno dell’incontro. Il pubblico è anche la “piccola cosa” che dà senso ai grandi voli; forse è anche lo specchio, un modo di guardarsi dentro. E’ difficile per me capire cos’è, non lo so cos’è, in fondo non mi sono mai posto il problema di capire cos’era. So che c’è. E’ un po’ come un figlio, come un amore, come un genitore: io non so cos’è, non so cos’è mia madre, non lo so proprio, però c’è, è qualcosa che c’è.
    La mia vita è il teatro, semplicemente e soltanto un teatro degli affetti. Nel senso che l’unica cosa che renda possibile tutto questo insieme impossibile, questo dis-equilibrio permanente, esplosivo, ridondante che è il teatro è una vita di affetti. Come fai altrimenti a vivere tutto questo? Che possibilità hai di mettere rigorosamente insieme uno smembramento, uno svuotamento, un tornare dentro, uno star leggero, un danzare, un perdersi, un non accontentarsi, un non accumulare nulla, un continuo buttare via e rifondare? Come fai, se non hai la sicurezza, nel tuo corpo, di un affetto che ti invade? Ma l’affetto è faticoso, richiede attenzione costante e continua, tensione, dedizione, quotidiana costruzione di una traiettoria comune che parta dalle proprie radici. »

    Il ritorno a Itaca – La partenza. Perché sono andato via.
    Ora però è il momento di capire come io viva l’essere solo oggi qui a Napoli e cosa nei fatti impedisca il mio (ma non solo il mio!) ritorno a Itaca.
    Ero partito più di vent’anni fa da questa città splendida, contraddittoria, che amo profondamente nella sua contraddizione, e l’unico modo per me di andare via era trovare un opposto. Avevo forse bisogno di una maggiore solitudine: a Napoli è difficile essere soli!
    Nello stesso tempo a Napoli era (è?) anche difficile fare, agire al di là della continua emergenza, era quasi impossibile non impegnare il proprio tempo che nella continua ricerca dell’interlocutore giusto: bisognava capire che la regola dominante era l’assenza di regole e che ogni artista doveva cercare di ingrandire la propria fetta di torta, essendo immodificabile la torta stessa. Fortunatamente, però, questo fenomeno che in parte si è purtroppo diffuso sull’intero territorio nazionale (spesso mi trovo a dire che in tempi di crisi, l’intera Italia si è napoletanizzata) era accompagnato da tante esaltanti e positive energie.
    Ma torniamo al mio periodo napoletano.
    Scrive Costanza Lanzara (Il teatro dei Chille) «A Napoli, nel lontano 1973, in via Port’Alba al numero 30, nel quartiere universitario, una scritta su due neon sovrastava l’entrata di un teatro sotterraneo: “TEATRO, COMUNQUE”. Una virgola a segnare il limite, la soglia su cui sospendere un sostantivo che abbracciava un universo di creazione - il teatro -, verso un avverbio che avrebbe segnato la traiettoria del loro percorso: - comunque -. “Comunque” al di là di ristrettezze economiche, “Comunque” come impegno politico, quando portare “Majakovsky a New York” per le strade della città napoletana significava indurre le forze di polizia a credere che fosse necessaria la loro presenza per proteggere gli attori. “Comunque” come un destino o un’ossessione che ha profondamente segnato Claudio, unico dei tre figli e dei tanti cugini della famiglia a seguire le orme artistiche del padre Antonio e soprattutto dello zio Nello.
    Fu leggendo un vecchio testo, in copia anastatica, di Luigi Molinaro del Chiaro “Canti popolari raccolti in Napoli” che Ascoli trasse l’ispirazione per la nuova iniziazione. Chille de la balanza, in italiano ‘Quelli della bilancia’. Ovvero gli antichi venditori di frutta e ortaggi del Seicento che giravano tutti i giorni per i mercati del centro storico muniti delle loro stadere, le bilance appunto, catturando i racconti del popolo e gli aneddoti più stravaganti e li riproponevano la sera nelle osterie davanti a un bicchiere di vino.
    Era una stagione di lotta, di impegno politico, ma nonostante questo di leggerezza, di divertimento.(…)
    Intanto continuava il percorso rigoroso di ricerca: iniziò il lavoro di scrittura scenica su Pulcinella, figura emblematica del retroterra culturale partenopeo che Claudio coltivava in sé. Una lettura retrospettiva del lungo percorso ascoliano di creazione teatrale può cogliere, nei tratti che compongono il Cetrulo di Acerra, un sottile filo rosso che è sempre rimasto sotteso alla trama creativa ed esperienziale del regista napoletano. In Pulcinella, infatti, si può leggere, svincolandolo dalla funzione di presunta caratterizzazione dell’anima napoletana che in esso si specchia, l’immagine archetipica del trickster, strano personaggio emarginato e peregrinante, frequentatore di sporcizie e oscenità, ma allo stesso tempo eroe fondatore, donatore di beni e generoso demiurgo. Pulcinella, come il trickster, fa ridere di se stesso e della sua inadeguatezza, che è poi maschera della sua inquietante alterità, dicendo in tal modo l’impossibilità di un’alternativa radicale del disordine al sistema dei valori culturali. Il teatro come soglia liminale della percezione conflittuale dell’abolizione del limite ha sempre rappresentato per Ascoli, nel rapporto individuo-società, il campo di esplorazione del disordine mortifero e genesico, che la creazione lascia erompere da sé. Senza mai scegliere per uno solo dei due poli egli ha incessantemente proposto nei suoi spettacoli la contraddizione-in-vita dell’esistenza umana, fino a connotarla come condizione di felicità. Ecco, quindi, che Pulcinella-trickster si muove leggero tra Dio e il diavolo, la vita e la morte, candidamente osceno, sa essere furbo e sciocco allo stesso tempo, maestro nell’uso del nonsenso, del discorso alla rovescia, irriverente verso ogni forma di istituzione; tutti elementi che ricompariranno, a tratti, nel gioco profondo della vita artistica di Claudio Ascoli. (…)
    Se di Napoli portò via qualcosa con sé fu l’ammaestramento corporeo di dar voce alle sensazioni fisiche, di instaurare con esse un dialogo che fosse la modalità conoscitiva che condiziona l’approccio al mondo. Ciò che, in fondo, preconizza il corpo dell’attore artaudiano del quale Ascoli sentirà presto il fascino travolgente. Il corpo nella sua immediatezza sensibile così lungamente sollecitato dagli odori, i colori, i sapori, della sua Napoli era e sarà sensorialità della conoscenza, lo strumento di appaesamento nell’altrove topico e utopico. »

    Il ritorno a Itaca – L’impossibile ritorno: il tradimento e il senso di colpa.
    Perché allora - per di più partendo da simili premesse, e credo che questo destino non riguardi solo me, ma accomuni tanti artisti nati a Napoli e che altrove hanno trovato una loro compiutezza - l’impossibile ritorno? E tutto ciò mentre la città soffre, tra i tanti mali, proprio della mancanza di esperienze nuove e al tempo stesso antiche, capaci di relazionare e coniugare l’humus partenopeo con diverse visioni e modi d’essere?
    E’ difficile rispondere: io credo – tra le molte cause - che ogni partenza da Napoli sia sempre stata vista, percepita dalla città (dai napoletani) come una sorta di tradimento imperdonabile e che al tempo stesso che gli artisti “emigrati”, pur nella consapevolezza della giustezza della scelta fatta, continuino a vivere un inconfessato e immotivato senso di colpa.
    Lo stallo di questa surreale situazione oggi, nel perdurare e nell’aggravarsi della questione meridionale anche in campo teatrale, impone finalmente un comune, inedito sforzo di novità.

    Il ritorno a Itaca – Un invito alla città e…ai napoletani come me, definitivamente lontani da Napoli.
    Ritengo, e come me molti compagni teatranti e operatori culturali che lavorano con successo in tutt’Italia, che sia giunto il momento di un nostro ritorno ad Itaca, di un ritorno che porti umilmente con sé le esperienze vissute altrove, rendendole disponibili all’incontro e alla verifica con la Napoli di oggi: un incontro consapevole delle tante differenze-divergenze che potrebbero manifestarsi e che il nostro essere napoletani dovrebbe (forse) meglio capire ed interpretare.
    Solo allora, dopo aver contribuito o provato a contribuire ad una possibile, necessaria nuova nascita della città, ri-partire da Napoli per andare…altrove, poiché – come dice Giacché «…l’attore è sempre nomade e abitante una terra di nessuno»: e ciò finalmente potrebbe valere anche per un attore napoletano.


     


     

    BPSUD Alf Laila a Napoli
    Con una mail a Oliviero Ponte di Pino
    di Roberto Roberto

     

    Caro Oliviero,
    il teatro è la mia vita da quando ho 16 anni, ho molto viaggiato e lavorato, poi sono tornato nella mia città, Napoli, 10 anni fa.
    Bella, vitale, spesso feroce, insopportabile, ma con gemme di teatro e umanità rare eppure... strutture insufficienti e sciatte, una borghesia festaiola, autoreferenziale ed indifferente al muro che separa due città, che non si parlano, non si cercano.
    Istituzioni incapaci di innovarsi, di andare oltre i rinascimenti di facciata di lottare la corruzione diventata un dato di fatto “faut faire avec”.
    E tante persone di talento e buona volontà, senza mezzi, disperate, emarginate.
    Nel 2002 ho portato per la prima volta in questa città Peter Brook con Le Costume.
    Un successo enorme ma la politica non ha gradito la sua poca visibilità...
    Nasce il Mercadante e questa volta offro alla mia città la cooproduzione di Tierno Bokar: massima esposizione mediatica, grande pubblico, incontri, workshop.
    Ma i politici scottati e incapaci di rapportarsi come comuni mortali disertano, intervengono timorosi, non gradiscono. La direzione del teatro segue i suoi padroni.
    Si organizza il numero 0 di un festival internazionale delle arti sceniche... a scopo elettorale. Partecipo con una piccola sezione autonoma e di qualità: Oida, Houben, Karunakaran.
    E c’è molto da soffrire.
    Vinco un progetto di formazione con la Regione Campania: su 270 progetti sullo spettacolo arriviamo 1° del teatro e 3° in graduatoria.
    Ho messo insieme 8 partner prestigiosi con un patto: i soldi vanno tutti al corso ed è un esperimento di alta qualità. Arrivano 150 candidati, scuola dell’obbligo e passione: 4 giornate di selezione per 26 fortunati. Arrivano dai politici le raccomandazioni... Non se ne parla proprio... Il prezzo sarà alto.
    Corpo docente di massimo livello: attori di Brook, insegnanti di Lecoq e poi Renata Molinari, Egum Teatro, e maestri napoletani.
    Andiamo con tutti gli allievi a Parigi ospiti della vicepresidenza dell’Ile de France e di Brook e di Mnouchkine.
    A Napoli debuttiamo con tutti gli allievi al Teatro Nuovo con Napucalisse con la regia di Virginio Liberti e Annalisa Bianco.
    Successo di pubblico, pochissima visibilità mediatica. I politici disertano, i direttori dei teatri cittadini anche. Hanno paura di qualcosa che non possono controllare.
    Solo Teatri Uniti è al nostro fianco, alleato e non padrino.
    Se venite a Napoli, siete i benvenuti, abbiamo bisogno di aiuto, ma abbiate il coraggio di parlare con verità.
    Io sono disponibile ad intervenire, ma non sono un mediatore.
    Un abbraccio
    Roberto Roberto


    Laila srl si costituisce nel 2005 come strumento operativo dell’Associazione Culturale Alf Laila - laboratorio di ricerca e creazioni teatrali. Alf Laila nasce nel 1998 a Verona da un gruppo di artisti che si prefiggono di svolgere attività teatrali, con la creazione di reti internazionali. Nel 1999 concentra le sue attività in Campania dove trasferisce la sede sociale ed organizza stages per attori diretti da M. Dioume, R. Roberto e M. Pegoraro. Nel 2000 dà vita ad un progetto biennale di formazione, ricerca e produzione teatrale denominato LABORATORIO KOLTES, con la direzione artistica di Mamadou Dioume. Nascono due spettacoli teatrali da testi di B.M. Koltès prodotti dal NuovoTeatroNuovo di Napoli: Quai Ouest regia M. Dioume; La Notte Poco Prima Delle Foreste regia M. Pegoraro.
    Nel 2001 Roberto Roberto e Ludovica Tinghi si recano a Parigi dove stabiliscono un contatto da cui nasce una salda amicizia con il C.I.C.T. - Théâtre des Bouffes du Nord, la Compagnia Teatrale di Peter Brook. Elaborazione del progetto PETER BROOK A NAPOLI a Città della Scienza, con i contributi della Regione Campania, del Comune di Napoli e della Provincia di Napoli ed il patrocinio dell’Ambasciata di Francia in Italia. Per la prima volta arriva a Napoli, nel maggio del 2002, uno spettacolo del grande regista inglese: Le Costume dal testo di Can Themba, una testimonianza sull’apartheid in Sudafrica con quattro eccezionali interpreti di origine africana. Tutto esaurito tutte le sere. Ampio riscontro su stampa e TV.
    Nonostante il successo l’associazione, in un contesto che vede il fiorire di eventi e manifestazioni d’immagine al servizio di personalità politiche non sostenute dal suffragio popolare, è spinta a trasferirsi a Roma e qui continua la sua attività internazionale mentre prepara stages a Napoli per i suoi associati con artisti del calibro di Hassane Kassì Kouyaté, Bruce Myers, Yoshi Oida, Jos Houben, Lilo Baur, Michele Millner etc. Produce il video istituzionale “Progetto Telemaco” per il Dipartimento di Salute Mentale di Giugliano in Campania – ASL NA2.
    Con la nascita del Teatro Mercadante, Alf Laila elabora e cura il progetto PETER BROOK – MERCADANTE con lo spettacolo Tierno Bokar che, per il teatro pubblico di Napoli, rappresenta un battesimo internazionale di grande prestigio.
    Dal rapporto di stima e collaborazione con Teatri Uniti, il ritorno a Napoli dell’associazione e l’ideazione, la produzione e l’organizzazione della sezione Il Respiro del Teatro all’interno del Festival Napoli ScenaInternazionale.
    Nel 2004 Alf Laila elabora il Progetto FORMA AZIONE SCENA - corso di formazione per attori e registi nel campo teatrale - POR Campania 200-2006. Due anni dopo, su 270 progetti è 3° in graduatoria, 1° del teatro. Curato e coordinato dall’associazione prende il via come progetto pilota in ATS con: Gesco, Città della Scienza, Istituto Francese, Teatri Uniti, Premio Troisi, Le Nuvole, l’Ape.
    Nel 2006 Laila coproduce con Teatri Uniti lo spettacolo De Ira-Viaggio all’Averno di Francesco Saponaro, testi di Igor Esposito, con Licia Maglietta, Peppino Mazzotta, e Napucalisse con la regia di Egumteatro in collaborazione con Forma Azione Scena


     


     

    BPSUD Opportunità e differenze nella diffusione delle esperienze di Teatro Sociale nel Sud e nelle Isole
    L'abstract dell'intervento a BPSUD
    di Vito Minoia*

     

    Il primo censimento nazionale su “Teatro e Disagio” a cura della Associazione Culturale Nuove Catarsi editrice della Rivista “Teatri delle diversità” in collaborazione con Università di Urbino, Ente Teatrale Italiano, ENEA, Compagnia “Diverse Abilità” ha valorizzato un settore di intervento vitale ed in continua crescita.
    Il primo rilevamento, certamente non esaustivo ed in continuo aggiornamento, ha individuato circa 180 gruppi e compagnie che svolgono attività con soggetti svantaggiati/disagiati, provenienti in gran parte dall’Italia centro-settentrionale.
    Tenterò di tracciare un identikit dei gruppi che hanno accettato di rispondere all’indagine, sottolineando come al Sud e nelle isole siano inferiori le opportunità di diffusione delle esperienze, ma non il loro valore qualitativo (riporterò alcuni esempi).

    * Condirettore della Rivista “Teatri delle diversità” – Docente di Teatro di Animazione ed Economia dello Spettacolo all’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, dove dirige, dal 1987, l’esperienza del Teatro Aenigma.


     


     

    BPSUD Materiali La personalità giuridica per chi fa spettacolo: cala il sipario!
    Su alcuni aspetti della legge regionale
    di Comitato di Discussione del Disegno di Legge Regionale sullo Spettacolo in Campania

     

    promotori: ass. cult. Interno 5 - ass. cult. Officinae Efesti
    informazioni: tel. +39 3402633527 - +39 3382754788 e-mail: internocinque@libero.it - officinae_efesti@email.it


    In seguito ad una attenta analisi del disegno di legge regionale “Disciplina degli interventi regionali di promozione dello spettacolo”, ampiamente condivisibile nella vocazione espressa dai suoi principi generali, sentiamo di dover manifestare forte preoccupazione in merito alla disciplina dei requisiti e delle modalità di accesso ai finanziamenti regionali, in quanto essi appaiono escludenti e discriminanti di realtà e soggetti che riteniamo siano stati negli ultimi anni fucina di idee e di progetti culturalmente validi ed innovativi e che abbiano apportato un contributo determinante alla cultura e allo spettacolo nella Regione Campania.
    Tale realtà è rappresentata da associazioni culturali spesso costituite da giovani under 30, quei giovani cui troppo spesso si fa demagogicamente riferimento, salvo ignorarne poi le reali e concrete esigenze.
    Avvertiamo, pertanto, l’urgenza di stimolare una riflessione ed un confronto che dovranno tradursi in una necessaria modifica ed una più ampia interpretazione, in particolare, dei punti A e C dell’articolo 10 del suddetto disegno di legge. Il requisito della personalità giuridica, infatti, con le troppo onerose conseguenze in termini economici (costituzione di società di capitali, tasse di iscrizione in albi e registri), imporrebbe una brusca ed inevitabile battuta d’arresto alle iniziative di tutte le associazioni di giovani già operanti sul territorio regionale. Tale requisito è già presente nella legge regionale n. 7 del 14 marzo 2003 che disciplina l’intervento pubblico per le attività culturali. «Concedere la personalità giuridica è competenza della prefettura per le associazioni e gli istituti che vogliono agire sul piano nazionale; di un ufficio regionale (DPR 361/2000) per quelli che vogliono limitarsi ad agire in Campania. L’ufficio fornisce l’elenco della parecchio costosa documentazione necessaria (due copie, una in bollo, di atto costitutivo e statuto, la relazione sull’attività, i bilanci, elenco dei soci, autocertificazione penale). La sorpresa amara che arriva al punto tre ove si prescrive di esibire ”una relazione sulla situazione economico-finanziaria dell’ Ente corredata da una perizia giurata di parte qualora l’Ente sia in possesso di beni immobili nonché di una certificazione bancaria comprovante l’esistenza, in capo all’Ente stesso, di un patrimonio mobiliare”. Quanto bisogna possedere per fare cultura? Lo deciderà la Commissione Prefettizia cui spetta di esaminare la domanda. Ma quanti hanno presentato la domanda hanno già saputo per vie non tanto misteriose che devono depositare fino a 100.000 euro bigliettoni, quasi 220 milioni delle vecchie lire. La norma parla chiaro: ci vuole il possesso di beni immobili e pure una certificazione bancaria. In pratica, si escludono dai contributi regionali e si condannano a morte un notevolissimo numero di associazioni che svolgono attività culturali minimali, in molti casi d’eccellenza, costituenti un prezioso tessuto educativo e di civilizzazione, di ricerca artistica e di spettacolo» .
    L’attività di spettacolo costituisce il secondo requisito indicato come indispensabile per l’accesso ai suddetti finanziamenti, e dovrebbe essere triennale e documentata. Pur intravedendo a tal proposito un’apertura maggiore rispetto all’ abroganda legge regionale n. 48 del 6 maggio 1985, che enuncia criteri tassativi per la documentazione delle attività di spettacolo, intendiamo interpretare questo moto nuovo, con la possibilità di documentare le attività con articoli di giornale, documenti attestanti concessioni di contributi istituzionali, partenariati nazionali ed internazionali, pubblici e privati, e materiale video-fotografico, che spesso costituiscono la prova concreta della qualità, del successo e dell’impatto sociale delle diverse iniziative. Riteniamo, pertanto, che il legislatore regionale non possa e non debba, in questa fase di momentaneo stallo, vanificare l’opportunità di confrontarsi con le istanze di tutti coloro che svolgono, di fatto, attività culturale e di spettacolo.


     


     

    BPSUD Materiali Sosteniamo la cultura e lo spettacolo nella Regione Campania
    Un appello
    di Coordinamento dei produttori e promotori delle attività di cultura e spettacolo della Regione Campania

     

    www.appellospettacolocampania.org

    Premessa
    Lo spettacolo dal vivo è un fattore strategico per la crescita sociale ed economica del territorio, un motore della crescita collettiva che richiede un ruolo politico forte, presente, continuativo.

    Il suo sviluppo, la sua crescita, la sua stabilità dipendono dall’equilibrio degli interventi pubblici destinati alla promozione dell’offerta e della domanda di spettacolo dal vivo, attuati con visione strategica, regole certe, coordinamento.

    La Regione Campania finalmente si appresta ad approvare un disegno di legge regionale in materia di interventi regionali di promozione dello spettacolo dal vivo.

    Scopo dei nostri incontri è stato quello di commentare e discutere in un contesto di collaborazione con le Istituzioni esteso a tutti gli operatori del settore, il nuovo disegno di legge sullo spettacolo della Regione Campania, con particolare attenzione alla salvaguardia del mondo dell’associazionismo culturale che da sempre ha contribuito e contribuisce alla creazione ed alla diffusione di significativi progetti culturali e di spettacolo.

    Il nostro obiettivo è stato ed è quello di contribuire al dibattito tra il nostro settore, che non sempre si sente pienamente rappresentato ed ascoltato, e le Istituzioni competenti.


    RILIEVI COMUNI AL DISEGNO DI LEGGE

    Nel corso dei numerosi incontri succedutisi fino ad oggi e che hanno visto la partecipazione attiva di un numero rilevante di soggetti promotori e produttori di spettacolo presenti su tutto il territorio regionale, si sono evidenziati alcuni rilievi comuni al disegno di legge. Essi sono riassumibili in:

    - abolizione della richiesta della personalità giuridica
    - abolizione della richiesta del riconoscimento ministeriale e/o dello Stato come parametro di accesso
    - individuazione di parametri di accesso quantitativi (numero recite, giornate lavorative,ecc.) compatibili e specifici alla realtà territoriale ed al tessuto regionale e non estrapolati da leggi e regolamenti dello Stato o di altre regioni d’Italia
    - individuazione di parametri di accesso compatibili alla realtà regionale di ogni singolo settore, ovvero non possono valere identici parametri quantitativi per musica, danza, teatro, così come per festival, rassegne, circuiti, compagnie, o anche per musica classica o sperimentale o altro
    - individuazione di modalità di accesso che garantiscano stabilità e continuità allo sviluppo del settore, senza per questo soffocare le piccole e medie associazioni, i giovani, la sperimentazione, la tradizione, la conservazione, la ricerca


    PROPOSTE

    Le proposte al disegno di legge, che sono state messe all’evidenza della VI Commissione Cultura del Consiglio Regionale della Campania grazie ad un accurato lavoro di incontri ed audizioni promosso dalla Presidente Luisa Bossa sono:

    - abolizione della richiesta della personalità giuridica e del riconoscimento ministeriale
    - stabilire parametri quantitativi di accesso che NON siano equiparati per nessun settore e per nessun comparto a quelli individuati dai regolamenti del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali;non si comprenderebbe infatti il ruolo delle politiche culturali regionali in relazione a quelle nazionali.
    Inoltre si evidenzia al legislatore che le specificità territoriali dei settori musica,teatro,danza si differenziano al loro interno in comparti quali tradizione, innovazione, sperimentazione e che parametri quantitativi identici risultano essere incompatibili.
    - riconoscere e valorizzare le attività professionali nei settori del teatro, della musica, della danza senza distinzione di generi (così come da proposta di legge – principi fondamentali per lo spettacolo – art 117 comma 3 della Costituzione)
    - ricercare misure che favoriscano l’accesso al credito regionale
    - ricercare misure di sostegno che comprendano convenzioni regionali con ENPALS, SIAE, gli Uffici Comunali per le Affissioni ,l’ Ufficio Stampa Regionale
    - istituire griglie di accesso differenziate e compatibili per ogni singolo settore e comparto
    - istituire start-up per i giovani
    - stabilire tempi certi per l’approvazione dei progetti che garantiscano la stabilità e la continuità della programmazione
    - stabilire la concessione di un acconto del 50% del contributi assegnato
    - stabilire tempi certi per la liquidazione del contributo con possibilità di fruire di anticipi,così come previsto dai programmi quadro dell’Unione Europea
    - rendere la rendicontazione del contributo snella e congrua all’erogazione del contributo stesso
    - istituire l’Osservatorio Regionale con compiti di vigilanza, monitoraggio e controllo delle attività (così come per le Regioni Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Marche)
    - rendere disponibili spazi regionali, provinciali e comunali alle attività di spettacolo dal vivo
    - rivolgere particolare attenzione alla contemporaneità, alla ricerca, ai giovani, alle espressioni di spettacolo fino ad oggi meno tutelate come le espressioni artistiche giovanili, la musica italiana contemporanea, jazz e musica d’improvvisazione, la danza ed il balletto, le espressioni di ricerca ancora oggi trascurati dalle politiche pubbliche nazionali.

    Tali proposte che ad oggi risultano essere state acquisite con sensibilità ed attenzione dalla VI Commissione Cultura del Consiglio Regionale della Regione Campania,ci auguriamo siano sostenute e rispettate da tutto il Consiglio Regionale e ci auguriamo inoltre che grazie alla discussione della legge interna al Consiglio Regionale,si possa rispondere in maniera sempre più attenta alle proposte ed alle richieste del settore.

    Inoltre nei punti di competenza che riguardano i regolamenti attuativi della legge e durante la stesura degli stessi richiediamo un confronto fattivo e propositivo con le istituzioni competenti.


     


     

    BP 2006 www.eolo-ragazzi.it
    Una rivista per il teatroragazzi
    di eolo

     

    La rivista era nata all’inizio degli anni 2000 all’interno di un progetto dell’ETI come supporto informativo e di approfondimento del Teatro ragazzi. Dal 2005 è autonoma e finanziata solo da alcune realtà del teatro ragazzi (circa trenta) che si abbonano con 100 euro ciascuna ed è supportata a livello tecnico dal Teatro di Piazza e Occasione.
    L'intento di Eolo è quello di creare un osservatorio sulla qualità artistica in un segmento nel quale ci sono spinte contraddittorie, stretto tra eccellenze artistiche e scarsa visibilità. Abbiamo creato una rivista che fosse il punto di riferimento rispetto alle produzioni e gli eventi del teatro. Eolo funziona a tutti gli effetti come la rivista del Teatro Ragazzi. All'interno di questo contenitore ci sono 6 critici che, con Mario Bianchi che ne è il direttore, scrivono recensioni andando a vedere i progetti e segnalando festival ed eventi interessanti. Questo è un modo per chi ha una visione esterna all'ambiente di capire cosa succede nel mondo del Teatro Ragazzi e soprattutto di essere informati su alcuni eventi topici, come ad esempio i Festival. Nel suo piccolo Eolo ha questa funzione stimolante e interessante anche per l'immediatezza: il redattore scrive la recensione e l'intervento va direttamente on-line. Non è gestita con dei criteri come dire lenti, è uno strumento molto dinamico ed efficace.

    Su “news” si possono trovare informazioni su convegni, manifestazioni, incontri che hanno come tema il teatro-ragazzi. Su “recensioni” troverete recensioni non solo di spettacoli ma anche di festival e manifestazioni varie.
    Su “e-brezze” apriremo i forum con interventi sulle varie problematiche che interessano il settore.
    “Stelle lontane” invece segnala libri mostre, brani tratti da libri, film anche pensieri che hanno a che fare con l’infanzia.
    Su ” Festival” ci saranno i programmi dei festival e delle vetrine più importanti del panorama italiano “specificatamente” ma non solo di teatro ragazzi.
    Sono stati anche creati gli “Eolo Award” un premio che la rivista assegna ogni anno attraverso le segnalazioni di operatori e critici.
    Infine c’è una pagina di link con le compagnie, i centri e le persone che sostengono "eolo" e con altre riviste, siti e realtà di interesse nazionale.

    Nonostante il momento difficile
    Sì, bisogna nonostante tutto andare avanti. Andare avanti nonostante le difficoltà finanziarie divenute insormontabili, gli scambi che minano alla radice il sistema del mercato e dimostrano la grande fragilità del cosi detto settore, la ripetizione di stilemi, andare avanti nonostante la mancanza di visibilità, sì bisogna andare avanti.
    Eolo come in passato, più del passato vuole dare il suo piccolo contributo a questa resistenza non piagnucolosa che da anni molti appassionati operatori stanno portando avanti contro tutto e contro tutti. Per affermare che il teatro ragazzi esiste ed è fiero di esistere con le sue specificità ma anche con la consapevole forza di appartenere alla grande tradizione del teatro europeo.
    Per affermare che è capace ancora di produrre ricerca, eventi irripetibili, che è capace di svincolarsi in modo sempre più autonomo dalla didattica parlando in modo poeticamente consapevole anche ai bambini più piccoli, spesso dimenticati dalle ultime creazioni. E che soprattutto è ancora capace nonostante tutto di porre l’infanzia al centro del suo percorso non solo come condizione mentale in cui tutto dalla creatività è reso possibile ma soprattutto come luogo da salvaguardare contro ogni speculazione dei così detti adulti.
    Per questo Eolo vuole essere non solo una ragnatela di informazioni su quello che avviene in questo campo nel nostro paese sottolineandone le valenze più positive, ma vuole contribuire al dibattito sulle problematiche con degli appositi forum, vuole creare una critica militante che è esistita solo sporadicamente, raccogliendo tutte quelle intelligenze propositive che in modo più attento hanno seguito da vicino il teatroragazzi magari cercando di scoprirne delle altre.


     


     

    BPSUD Teatro e università al Sud
    Nota per la costituenda Fondazione CAMPUS TEATRI, Università della Calabria
    di Valentina Valentini

     

    “Campus Teatri” (teatro, danza, musica, cinema-nuovi media e arti visive) è un complesso multidisciplinare per gli spettacoli e le manifestazioni culturali, all’interno della cittadella dell’Università della Calabria.
    Assumerà la forma giuridica della fondazione, i cui soci fondatori saranno l’Università della Calabria, l’Università Mediterranea, l’Università Magna Grecia, la Regione Calabria, il Comune di Rende e l’AGIS Calabria, le Province, il comune di Cosenza, Una Fondazione Bancaria …)
    Consta di due teatri, due cinema,un anfiteatro, nonché di una serie di altri spazi, servizi e pertinenze;
    un primo teatro ( piazza Molicelli) è già pronto (siamo in attesa del permesso di agibilità) ha una capienza di 300 posti con due adiacenti porticati (per circa 395 mq di superficie coperta).
    - Il complesso multifunzionale denominato provvisoriamente Piazza Vermicelli, in via di completamento,. comprende :Due Cinema (due sale n°255 posti ciascuna)
    Un teatro (750 posti)
    Cavea (teatro all’aperto);
    .Il “Campus Teatri” è territorialmente ubicato in modo strategico. Esso, infatti, sorge non solo nell’area universitaria collegata dal punto di vista logistico al resto del territorio ma, soprattutto,in un’area che prevede la realizzazione di un centro commerciale, di un ristorante, di un bar, di un asilo nido, del polo tecnologico che ospiterà le aziende spin-off dell’Università della Calabria, e degli spazi per le associazioni studentesche. Tutto ciò consente realisticamente di ipotizzare che intorno ai luoghi di spettacolo si possa creare un bacino culturale in cui si integrino attività commerciali, come la ristorazione, e altre funzioni legate sia al tempo libero che al lavoro, fruibili sia dalla popolazione universitaria (docenti, personale tecnico-amministrativo e studenti), che potrà beneficiare di più luoghi e opportunità di vita sociale e condivisione di esperienze culturali, che per la popolazione del territorio circostante.
    Altrettanto rilevante è il fatto che le attività culturali e di spettacolo di “Campus teatri” trovano nell’offerta formativa del corso di laurea in DAMS e Comunicazione un contiguo e immediato riferimento in quanto terreno di esperienza e di conoscenza, nonché di studio per lo sviluppo di progetti musicali, attività concertistica e operistica, attività di teatro, danza, cinema, produzione radiotelevisiva.


    2 Consumo culturale e produzione in Calabria
    Il progetto intende avviare in Calabria un intervento culturale che sia nel contempo di ricerca, di formazione, di produzione e circolazione di spettacoli,ipotesi che si sperimenta per la prima volta in Calabria.
    Negli ultimi trenta anni si è potuto constatare il persistente divario fra nord e sud Italia rispetto ai finanziamenti pubblici destinati alla produzione e alla distribuzione, oltre che nel numero di spazi agibili per lo spettacolo.
    Per quanto concerne la domanda e l’offerta di spettacolo in Calabria, il sistema è caratterizzato da una offerta scarsa e poco diffusa sul territorio, concentrata per lo più in alcune città capoluogo, con una certa prevalenza territoriale in provincia di Cosenza, nonché da una bassa affluenza di pubblico, la più bassa in Italia (cfr. Bollettino Ufficiale della Regione Calabria dell’1 settembre 2005, Parti I e II, n.16).
    Gli ultimi dati ufficiali disponibili, relativi al 2003, sulle attività teatrali, musicali e di danza, indicano il perdurare di una situazione di grave arretratezza che conferma stabilmente la regione all’ultimo posto di ogni graduatoria, generalmente al di sotto della metà della media delle altre regioni meridionali, che pur ricoprono gli ultimi posti a livello nazionale. Un numero di rappresentazioni (concerti e spettacoli) pari a 2.060 nell’anno 2003, che rappresenta una frequenza di 102 spettacoli ogni centomila abitanti, contro una media nazionale di 319 e una media delle regioni meridionali di 181 ogni centomila abitanti. Il numero di biglietti venduti equivale a 16.330 per centomila abitanti, rispetto al Dato medio delle regioni meridionali che è di 26.574.
    In particolare su 16 stabili pubblici solo 2 si trovano nelle regioni del Sud; su 14 stabili privati che assorbono risorse totali di 12 milioni di euro, tre si trovano al sud assorbendo risorse per 2 milioni di euro (di cui 1 milione di euro alla Fondazione Teatro di Napoli).
    Il divario è ancora più evidente nella spesa per il teatro privato (compagnie) e nell’esercizio teatrale (teatri). Su 154 compagnie solo 40 hanno sede al Sud (di cui 23 in Campania) mentre su 47 prime istanze sono state accolte per il sud 17 domande (di cui 10 in Campania).
    Così l’esercizio con 42 teatri di cui solo 10 sale si trovano al Sud (di cui 7 a Napoli).
    Uno sguardo alla sperimentazione e ai centri di innovazione, fa emergere che sono 16 gli stabili di innovazione finanziati con un totale di circa 5 milioni di euro, di cui 5 sono al sud (2 in Campania, a Napoli) per una spesa di 1.361 mila euro.
    La stessa proporzione si ritrova nella stabilità ragazzi: su 20 soggetti 3 sono nel Sud (Napoli, Puglia e Sardegna).
    Anche per quanto riguarda le piccole associazioni di promozione su 45, 6 sono al Sud, come pure su 36 festival, 14 sono al sud di cui 7 sono soltanto in Sicilia. Per quanto riguarda la distribuzione, i circuiti che assorbono risorse per circa 6 milioni di euro, la situazione è più bilanciata visto che su 17 circuiti 8 sono al sud (di cui solo due a Napoli).
    Altre carenze documentate e tipiche del sud d’Italia sono la scarsità di operatori, la carenza complessiva di strutture, di centri, di stabilità pubblica e privata, di innovazione, nonché la presenza di zone scoperte dalla distribuzione e caratterizzate dalla scarsità di sale teatrali riconosciute.
    La popolazione studentesca proveniente da zone prive di strutture e attività culturali si trova, infatti, ad affrontare diversi ostacoli generati da fattori quali la distanza, la carenza di collegamenti, la carenza di informazione e la inesistente stimolazione da parte del territorio.




    3 Finalità culturali della Fondazione
    La struttura plurima dedicata al teatro, al cinema, alla musica, alla danza e ai nuovi media, che sorge per volontà dell’Università della Calabria, intende assolvere al compito di potente stimolatore culturale, in termini di ricerca, formazione, offerta di spettacoli nei confronti non soltanto della crescente popolazione studentesca universitaria, ma anche e soprattutto verso il territorio..
    Nello specifico il “Campus teatri”, intende:
    - offrire una possibilità di partecipazione diretta alla cultura dello spettacolo, nelle sue varie forme e mezzi espressivi, ad una considerevole popolazione giovanile ( sono più di 31.000 studenti iscritti alla sola Università della Calabria ) che ha scarse opportunità di fruizione diretta dello spettacolo sia dal vivo che riprodotto;
    - porsi come polo culturale dedicato alla musica, al teatro, alla danza e alle immagini in movimento (cinema e nuovi media), rispetto ai comuni limitrofi all’Università, alla Provincia e alla Regione.
    - coinvolgere istituzioni nazionali (es. il Ministero dei Beni Culturali) e internazionali in grado di garantire attraverso i contributi finanziari, la distribuzione di spettacoli (l’Eti), le attività formative (il Formez), i progetti speciali (la CEE) una reale possibilità di realizzare nel campus di Arcavacata un Polo delle Performing Arts .

    Uno dei risultati che la costituenda Fondazione “Campus teatri” mira a ottenere, attraverso il pieno funzionamento delle attività culturali programmate, è il superamento della marginalità dell’area in fatto di consumi culturali. In particolare:
    - formare nuove figure professionali, tenendo conto della professionalità da creare e da formare per la gestione delle attività culturali dei teatri del Campus e delle forze produttive del territorio (es. musicisti, cineasti, attori, registi, danzatori, etc.…);
    - incrementare la fruizione culturale;
    - potenziare i flussi di cassa in termini di spesa in attività di spettacolo per abitante;
    - riqualificare gli operatori dei settori oggetto di intervento.


     


     

    BPSUD Voglia di storie
    Il nuovo tra innovazione e recupero di un sapere
    di Danny Rose

     

    La Buona Pratica che Danny Rose intende proporre all’interno del dibattito sullo spettacolo al sud ha come scenario la campagna di Ceglie Messapica, una cittadina dell’entroterra brindisino, al confine tra il Salento e la Valle d’Itria.
    Danny Rose organizza da quattro anni la rassegna Voglia di Storie presso la Masseria Lo Jazzo, un antico complesso circondato da trulli, restaurato con attenzione filologica, attorno al quale si estende un vasto terreno incolto che presenta le caratteristiche tipiche della macchia mediterranea. Si tratta di un luogo fortemente suggestivo che, a differenza di realtà similari, è utilizzato esclusivamente per attività artistico-culturali, essendo particolarmente adatto ad accogliere e sperimentare nuove forme artistico-organizzative.
    Fin dalla prima edizione l’obiettivo principale di Voglia di Storie è stato quello di differenziarsi da molti festival estivi che spesso si presentano come semplici vetrine, per lo più indirizzate agli addetti ai lavori; l’alternativa che Voglia di Storie propone è quella di essere un luogo da abitare insieme, dove riunire la molteplicità delle arti e incontrarsi, sapendo fin dal principio che sarà necessario avere il coraggio di osare, sia nelle scelte sia nelle formule organizzative, per poter dare voce effettiva alla contemporaneità. Voglia di Storie ha creato negli anni un dialogo forte con il territorio e con il pubblico, cercando di offrire proposte nuove, a livello artistico e di fruizione, portando ciò che non c’era, ascoltando le istanze profonde e imparando ad accogliere. La filosofia dell’accoglienza e dell’incontro sono fondamentali in ogni azione di Danny Rose.
    La struttura di Voglia di storie si fonda sull’individuazione di una parola-chiave, ogni anno diversa (l’amore, la molteplicità, la responsabilità), a partire dalla quale vengono costruiti dei links; per declinare il tema, vengono utilizzati i diversi linguaggi: dal teatro alla musica, dal cinema alla scultura, dalla letteratura alla cucina. Il senso profondo dei links è quello di indagare la realtà, senza chiudersi nell’autoreferenzialità dello spettacolo, ma aprendosi a mondi che comunque ci appartengono come le scienze, le arti applicate, l’economia, la sociologia.
    L’utilizzo dei links e il rapporto con “saperi altri” sono tratti peculiari della poetica di Danny Rose per cui l’arte, in ogni sua forma, deve sempre essere uno strumento per capire e raccontare la contemporaneità.
    Fino alla scorsa estate, Voglia di storie occupava un arco temporale ristretto; dal 2007, invece, le varie iniziative verranno proposte lungo tutto l’anno, proprio per permettere alle persone che abitano quei luoghi di continuare ad avere questo punto di riferimento culturale. Ciò permetterà a Danny Rose, a livello organizzativo e di found raising, di avere un ventaglio di possibilità e di interlocutori maggiore, per numero e per identità, diversificando la proposta. La via che si intende perseguire è quella che porta e porterà sempre più a stringere delle collaborazioni multiple, accomunate da simili obiettivi comunicativi e territoriali, eleggibili non solo all’interno delle istituzioni pubbliche, ma anche e soprattutto nel privato.
    In conclusione, Voglia di Storie è un luogo da abitare, dove sarà sempre possibile confrontarsi con il nuovo, in ogni sua forma, dove la parola nuovo significa innovazione, ma anche recupero di un sapere.


     


     

    L'arte delle donne a Collegno
    Dal 2 al 7 dicembre
    di Ufficio stampa

     

    villa5
    residenza multidisciplinare per l’arte delle donne
    presenta il progetto

    APPRODI 2006
    CANTIERI DELL’ARTE DELLE DONNE

    2 – 7 dicembre 2006
    Parco della Certosa – Via Torino 9/6, 10093 (Collegno, Torino)


    Da sabato 2 a giovedì 7 dicembre, villa5, residenza multidisciplinare per l’arte delle donne, sita a Collegno (Torino) all’interno del Parco della Certosa, presenterà il progetto APPRODI 2006 cantieri dell’arte delle donne che per 6 giorni darà vita, attraverso differenti linguaggi artistici, a una serie di appuntamenti “tutti al femminile” aperti al pubblico. L’intero progetto si fonda su tre ambiti di lavoro ben distinti: FORMAZIONE E SCAMBI, PRODUZIONI e VISIBILITÀ. Il progetto si concluderà a gennaio 2007 con la presentazione dello spettacolo Lunestorte, un lavoro corale che coinvolge drammaturghe, attrici, videomakers, musiciste, registe, danzatrici.

    FORMAZIONE E SCAMBI
    Sabato 2 dicembre dalle ore 9.30 alle 18.00 e domenica 3 dicembre dalle ore 10.00 alle 13.00 si terrà Cantieri dell’arte delle donne…si ascolta si parla si vede si fa. Iniziato a ottobre come laboratorio tra artiste, studiose, operatrici culturali condotto da Liliana Ellena e Cristina Bracchi, si presenta oggi non come un convegno bensì come un momento pubblico di lavoro e confronto tra artiste, esperte dell’arte delle donne, studiose, critiche, ed esperienze di spazi e progetti. Un modo di lavorare attento a ciò che sottende la creazione artistica, ai processi, ad aprire relazioni di scambio tra diverse realtà, per favorire l’intreccio di progettualità e sviluppare la proposta di villa5 come casa dell’arte delle donne. Le artiste che interverranno lo faranno non solo attraverso le parole, ma anche “mostrando pillole” dei loro lavori (installazioni, video, performance…). Nella prima giornata verranno presentati gli esiti del laboratorio svoltosi tra ottobre e novembre.

    VISIBILITA’
    Sempre sabato 2 dicembre, alle ore 19.00, sotto il titolo di ATTIVISTE ATTIVISMI, si apre la sezione visibilità che affronta il tema dei diritti delle donne attraverso diversi linguaggi artistici, con produzioni contemporanee delle donne che vivono l’arte anche come impegno civile, attraversando frontiere geografiche, geopolitiche, identitarie e affrontando i temi della guerra e della ricostruzione, dell’inviolabilità del corpo, della democrazia, dell’autodeterminazione individuale e collettiva con l’inaugurazione della mostra di Pia Ranzato Un coraggioso faticare avanti. Donne per i diritti - realizzata in collaborazione con la Commissione Pari Opportunità della Regione Piemonte - un viaggio geopolitico nel mondo delle lotte delle donne per i propri diritti.
    Domenica 3 - ore 16,00 – e da lunedì 4 a giovedì 7 dicembre alle ore 21,30 prenderà il via Esercizi di responsabilità una serie di incontri tra scrittrici a cura di Maria Pia Simonetti.

    PRODUZIONI

    Dal 15 al 17 gennaio 2007, alle ore 20.30, il progetto si concluderà con la presentazione dello spettacolo Lunestorte, per la regia di Rosanna Rabezzana e Mirella Violato, un lavoro corale che coinvolge ricercatrici, operatrici dell’ex O.P., drammaturghe, attrici, videomakers, musiciste, registe, danzatrici.

    villa5, ex ospedale psichiatrico di Collegno, da luogo di costrizione a luogo dell’agio. Un progetto al femminile per la cultura e il bene-stare, ideato e gestito da coop. atypica, coop. La Talea, arci valle susa, associazione asylum. Una casa con spazi per l’arte, la cura (hammam e Consultorio Sociale delle Medicine Non Convenzionali), spazio bimbi (Microtane), spazi di accoglienza e informazione per donne in difficoltà (Centro Donna), un circolo culturale arci con ristorante (Asylum), un residence e.. un grande giardino.
    a villa5 nasce - villa5 associazione - casa dell’arte delle donne per promuovere una comunità artistica di donne attive e responsabili nella società, per sperimentare intrecci tra linguaggi , costruire reti, favorire trasmissione di saperi e dialogo intergenerazionale, per sperimentare forme di economia dell’arte, modelli organizzativi che rendano sostenibile alle donne la produzione-diffusione dei prodotti artistici.
    APPRODI è un’idea di associazione villa5, curata da Susi Monzali e Rosanna Rabezzana.
    APPRODI 2006 è un progetto realizzato con il contributo e il patrocinio di
    Regione Piemonte Assessorato Cultura- Provincia di Torino Assessorati Pari Opportunità, Cultura, Politiche Sociali, Consigliera di Parità – Comune di Collegno Assessorati Cultura e Pari Opportunità

    La mostra di Pia Ranzato “Un coraggioso faticare avanti—donne per i diritti” è realizzata in collaborazione con Commissione Pari Opportunità della Regione Piemonte, nell’ambito della manifestazione Passo dopo passo. 20 anni della Commissione Regionale Pari Opportunità.
    La mostra, organizzata in due sezioni, è visitabile a:
    Torino, in P.zza Castello alla Galleria Subalpina, la sezione “movimenti delle donne nel mondo” dal 1° al 20 dicembre
    Collegno, a villa5, la sezione “il quotidiano faticare avanti delle donne nel mondo” dal 2 al 20 dicembre.


     


     

    BP04: Teatri di vetro
    (visibilità e accesso)
    di Roberta Nicolai

     

    Un capannone industriale molto grande, uno spazio duro e freddo, un fabbricato degli anni in cui le industrie stavano ancora dentro la città e la città era molto più piccola. Una visione archeologica sconosciuta a molti. Così ci appariva Strike la notte dell’occupazione, il 17 ottobre 2002. Nella frammentarietà dell’incontro tra diversità, vi abbiamo stabilito la nostra casa e buttato dentro tutta la nostra progettualità.
    Lo spazio per una compagnia teatrale è tutto. È la possibilità di provare, studiare, elaborare. Lo spazio stabile produce e moltiplica il tempo: tempo per montare e smontare, per tornare indietro, per buttare via tempo, per far entrare gli altri.
    Uno spazio come Strike non era solo cemento e cubatura, era un polo di attraversamenti. Questo ha avuto un effetto immediato: ha dato una spinta ai nostri intenti progettuali, ha indirizzato e concretato le nostre energie e ci ha dato la forza di iniziare un nuovo capitolo della nostra esistenza.
    Subito dopo le prime rassegne auto-prodotte si è reso necessario coinvolgere le Istituzioni nella nostra progettualità. Resistenze – finanziata dall’ETI nel dicembre 2003 – ha ospitato compagnie riconosciute e realtà più giovani; nell’arco di dieci giorni ha fatto di Strike un luogo di teatro. In quell’occasione Marco Solari si è stabilito per due mesi nello spazio con tutta la sua compagnia e vi ha prodotto il suo spettacolo. Una sorta di residenza. L’ETI ha sostenuto solo in parte l’operazione ma il tst ha guadagnato visioni che venivano da un passato e si lanciavano verso il futuro.
    Lo spazio è diventato il nostro angolo visuale, il punto d’osservazione, alimentando il desiderio di contatto con le decine di realtà, artisti, compagnie, gruppi che agitavano la sotto-scena romana.
    Da lì è nata l’urgenza del monitoraggio. Non un monitoraggio fatto da tecnici ma da artisti, un cerca persone senza la pretesa di fare del territorio un oggetto di studio, ma con il chiaro intento di sapere chi fossero e quanti fossero i gruppi e quali i contenuti del loro teatro. Solo quando ci siamo trovati in mano il dossier di 260 pagine abbiamo capito che c’erano i presupposti per chiedere, di nuovo e ancora una volta, attenzione e abbiamo cercato un incontro con l’Assessorato alle Politiche Giovanili della Provincia di Roma. Di giovanile l’operazione aveva davvero poco ma l’Assessore Rosa Rinaldi ha subito appoggiato un percorso comprendendo che era in questione una vertenza ben più ampia del semplice Convegno teatrinvisibili, realizzato poi nel gennaio 2006 con il sostegno congiunto dell’Assessorato alle Politiche Giovanili e dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Roma. ZTL zone teatrali libere, la rete di spazi romani che avevamo contribuito a creare, ne ha condiviso il percorso, forte della consapevolezza di aver dato vita, nel tempo, ad una dinamica di riconoscimento tra spazi e artisti della scena contemporanea.
    Non credo che un convegno potesse ottenere di più. Ha esclusivamente riaperto un confronto, frammentato negli ultimi anni in infinite istanze individuali, evidenziando come l’attuale modello di città, disegnato dall’Amministrazione, dimentica, nella sua riformulazione urbanistica, nel sistema di distribuzione di risorse e nell’intento di accentramento di poteri, la scena di domani, la più fragile e preziosa per la cultura di un territorio. E ha rimesso in moto l’attenzione esprimendo, attraverso la formulazione di un documento finale, letto alla presenza delle Istituzioni, l’esigenza di un riorganizzazione della politica culturale rispetto alla produzione artistica contemporanea.

    La composizione di Teatri di Vetro fiera/mercato del teatro indipendente, 17-27 maggio 2007, è l’indice più chiaro della sua natura artistica e politica: vetrina per una scena tenuta in stato di fragilità dalle disattenzioni della politica culturale della capitale; vetrina per 45 compagnie selezionate in base ad un avviso pubblico che ha mobilitato la scena indipendente del territorio, raccogliendo circa 200 progetti al di là delle generazioni e dei differenziati livelli di emersione. Teatri di vetro ha anche prodotto un catalogo e un portale web destinato a perpetrare il meccanismo di auto monitoraggio messo in campo nel 2005; e ha di nuovo formulato la richiesta di attenzione, di creazione di strumenti che possano riconoscere l’esistente e tutelarlo, di temi di discussione con le parti politiche e gli operatori diventando uno spazio, il Teatro Palladium, e diversi spazi, urbani e privati, che si sono aperti come spazi pubblici denunciando implicitamente l’inaccessibilità degli spazi ufficiali.
    Le circa 160 realtà teatrali, compagnie e artisti del tessuto cittadino e provinciale presenti nel catalogo, non esauriscono l’intera scena sommersa, ne esprimono una parzialità e ne testimoniano la ricchezza. È in quella zona oscura del territorio che il nuovo nasce, muta, produce linguaggi e pratiche. È lì che si dà vita non solo a centinaia di spettacoli, ma a rassegne, reti, riviste on-line e cartacee, eventi che intercettano un nuovo pubblico. La scena fragile, in uno scenario amministrativo e politico che si esprime solo a colpi di bando e che accentra poteri e risorse, rischia di essere messa a dura prova di sopravvivenza, materiale e artistica.
    Teatri di vetro, alla sua prima edizione, è stata la voce di questa scena. La fotografia di un territorio in fermento in cui si evidenzia la pluralità dei teatri esistenti, la cui complessità di scena metropolitana, di teatro che è molti teatri, richiede agli operatori, ai direttori, ai critici, a tutti coloro che hanno il potere di farlo emergere, l’elaborazione di criteri valutativi nuovi. Ed è sì una fiera/mercato, nel senso che si propone di mettere in contatto le compagnie del territorio con i direttori dei festival e dei teatri, con gli operatori, con la critica e con il pubblico e ridare dignità di lavoro ai mestieri dell’arte, ma è anche e soprattutto l’espressione di uno scenario profondamente mutato per il quale si chiede un intervento innovativo da parte di chi il territorio lo governa e lo amministra.
    Tutto questo è il nostro vissuto e il nostro percorso. La nostra identità. Questa soggettività ha incontrato la Fondazione Romaeuropa e gli Assessorati della Provincia di Roma lavorando insieme in una formula che potremmo definire sperimentale, dando vita, attraverso una concreta sinergia, ad un evento nuovo per il nostro territorio.
    L’idea della fiera, di teatri di vetro, è un’idea che precede tutto questo, è l’idea di Resistenze. Non è il frutto, ne è la premessa. L’esigenza è la stessa di quando a Strike controsoffittavamo, mettevamo barre per le luci e parlavamo del teatro che verrà. L’esigenza è quella di raccontare un teatro che è sempre un’azione di resistenza e di piacere, nel teatro, nella vita, che sono al fondo nodi indissolubili, perché la prima senza il secondo sarebbe sterile "militanza", il secondo senza la prima non sarebbe autentico, ma solo una brutta imitazione. (da una lettera di Marco Martinelli)
    Teatri di vetro, e tutto ciò che porta con sé, rimane il nostro progetto artistico. Noi siamo una compagnia, non siamo organizzatori, non siamo più neanche uno spazio, siamo gente che vive di visioni.
    Ed ora siamo a Teatri di Vetro 2
    La scena indipendente
    direzione artistica e organizzativa triangolo scaleno teatro

    Alla seconda edizione Teatri di Vetro propone una fotografia significativa della scena indipendente aprendo la partecipazione alle realtà di teatro, danza, arti performative della regione Lazio e, in una sezione speciale, ad artisti del territorio nazionale. L’estensione del monitoraggio e del catalogo on-line – che nella prima edizione ha censito 160 compagnie del territorio di Roma e Provincia - renderanno il festival punto di riferimento non soltanto di un territorio ma di un intero ambito del mondo teatrale. Spettacoli, performance e installazioni, selezionate anche per quest’anno attraverso avviso pubblico – con scadenza prevista a gennaio 2008 - saranno ospitate negli spazi del Teatro Palladium – palco e foyer - e all’interno dei luoghi urbani della Garbatella, nell’arco di dieci giorni e in successione serrata; affiancheranno la programmazione artistica spazi di incontro e di approfondimento, che contribuiranno a trasformare l’intero quartiere in una cittadella del teatro, favorendo lo scambio reale tra gli artisti, gli operatori teatrali, i direttori di teatri e di festival e la critica. Attraverso la continuativa connessione con gli spazi indipendenti e gli operatori del territorio romano e nazionale, Teatri di Vetro si propone anche luogo di debutto di nuove produzioni artistiche e polo di promozione della scena contemporanea.


     


     

    Teatro e carcere in convegno a Roma
    Edge Meeting 2006, 12/13/14/15 Dicembre
    di Ufficio stampa

     

    Università Roma Tre
    Teatro Palladium-Università Roma Tre

    Dopo gli Edge Festival di Cambridge e di Roma, dal 12 al 14 dicembre si svolgerà il primo Edge Meeting europeo presso il Teatro Palladium-Università Roma Tre e l’Aula Magna del Rettorato (Università Roma Tre, Via Ostiense 159). L’incontro si propone come una ricognizione delle diverse metodologie d’intervento di mediazione artistica nei luoghi del disagio in Italia e in Europa.

    Promossa dal Dipartimento Comunicazione e spettacolo di Roma Tre e dal Cetec – Centro Europeo Teatro e Carcere, con il supporto della Regione Lazio, Assessorato Cultura Spettacolo e Sport, in collaborazione con il Roma Edge Festival e il City Hide Project, l’iniziativa ha l’obiettivo di sviluppare una linea di ricerca applicata, pedagogica e formativa e portare al grande pubblico e agli operatori del settore le proposte artistiche e le attività più nascoste e invisibili che operano ai confini dell’arte.
    In tal senso, le giornate mirano anche a formare un nuovo pubblico: attraverso incontri e tavole rotonde specifiche che vedranno coinvolti alcuni dei massimi esperti di arte e disagio in ambito europeo e attraverso una programmazione spettacolare - costituita da messinscene teatrali, performance di musica e di danza e da una nutrita rassegna video -dedicata alla presentazione di esperienze artistiche Edge.

    La serata di apertura sarà il 12 dicembre al Teatro Palladium-Università Roma Tre, dove avverrà il passaggio di testimone con Switchover 2: il CETEC presenta

    Diario di Bordo. Memorie di Teatro e Carcere - racconto a più voci di vita e teatro in luoghi reclusi- mentre una straordinaria realtà artistica come la Candoco Dance Company, per la prima volta a Roma, presenterà al pubblico italiano una selezione di video.

    Nelle serate del 13 e 14 presso l’ Ex Mattatoio Padiglione B2, la programmazione sarà curata da City Hide Project - rassegna nata da una rete composta da Residui Teatro, Laboratorio 3 e DoppioSenso Unico per dare visibilità alle realtà nascoste- che, in collaborazione con il Roma Edge Festival, proporrà spettacoli, video, dimostrazioni di lavoro ed eventi multimediali che, nel segno dell’Edge, mescoleranno i diversi linguaggi artistici.

    Inoltre, l’Edge Meeting ospiterà ANDAR – sezione di video latinoamericani sulle migrazioni curata da Malena Sivak e Francesco Crispino. Le proiezioni si svolgeranno presso l’Ambasciata Argentina dal 13 al 15 dicembre e avranno il patrocinio dell’Ufficio Cultura dell’Ambasciata Argentina in Italia e dell’Unione Latina.

    L’iniziativa ha ricevuto il Patrocinio del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.

    Il progetto è a cura di Giorgio De Vincenti e Donatella Massimilla.
    Comitato Scientifico: Giorgio De Vincenti, Donatella Massimilla, Vito Zagarrio, Francesco Crispino.

    Per info: www.edgefestivalnetwork.org
    romaedgefestival@yahoo.it
    06.64.824.005
    349.28.34.395

    info@hideproject.com


     


     

    Due “open” del Corso Operatori della Paolo Grassi
    Sotto la guida di Mimma Gallina e Marina Gualandi
    di Scuola d'Arte Drammatica

     

    SCUOLA D’ARTE DRAMMATICA PAOLO GRASSI

    Due “open” del Corso Operatori della Paolo Grassi

    Sono aperti agli allievi esterni alla Scuola i due corsi, La Dimensione internazionale del teatro e Organizzare e gestire il non profit

    La Dimensione internazionale del teatro
    Progettare e produrre in un ottica internazionale:
    distribuzione, programmazione, networking
    2 febbraio /23 marzo 2007.

    Pensare e progettare a livello europeo e globale è sempre più importante e strategico per il teatro e per la danza.
    Il corso, guidato da Mimma Gallina, inquadra la dimensione internazionale dell’attività e del mercato del teatro e ne affronta le implicazioni progettuali, organizzative, promozionali, tecniche ed economiche. I diversi argomenti sono affrontati attraverso lezioni, testimonianze, analisi di casi, esercitazioni.

    Il corso, di 40 ore, è articolato in 4 moduli di 7 ore (il venerdì e il sabato dal 2 al 23 febbraio) e 4 lezioni di 3 ore ( il venerdì, dal 2 al 23 marzo).


    Modulo1) La dimensione internazionale del teatro– Mimma Gallina
    venerdì 2 febbraio, ore 18/21 - sabato 3 febbraio, ore 9,30/13,30


    Modulo 2) Le collaborazioni internazionali
    venerdì 9 febbraio, ore 18/21- sabato febbraio 10, ore 9.30/13.30

    Modulo 3) La distribuzione
    venerdì 16 febbraio, ore 18/21- sabato 17 febbraio, ore 9.30/13.30


    Modulo 4) Progettazione e programmazione di spettacoli internazionali in Italia -Problematiche comuni a diffusione e programmazione
    venerdì 23 febbraio,ore 18/21- sabato 24 febbraio, ore 9.30/13.30



    Lezioni/esercitazioni: 2 -23 marzo - ore 18/21

    1) Territori e casi
    : come rapportarsi a un diverso sistema Europeo (la Francia) e extraeuropea (la regione Mediterranea) - venerdì 2
    2) L’inglese per il teatro - venerdì 9
    3) Contratti e contrattazioni – venerdì 16
    4) Cultura 2007: esercitazioni - venerdì 23

    Costo: 150 euro; ex allievi: 100 euro
    Chiusura iscrizioni: 31 gennaio 2007



    Organizzare e gestire il non profit

    3 / 31 marzo 2007

    Gestire una struttura non profit, raccogliere fondi e amministrarli, i modelli organizzativi: sono i temi del seminario guidato da Marina Gualandi, direttore organizzativo del CAF – Centro aiuto al bambino maltrattato e alla famiglia in crisi, dopo essere stata responsabile per 25 anni di organizzazione in campo teatrale. Il corso affronta i temi non solo dell’organizzazione di un’associazione onlus ma anche le strategie di fund raising, legato a eventi mediatici e culturali, concerti, spettacoli, mostre.

    Marina Gualandi è affiancata per il direct marketing da Michela Ledi, Responsabile raccolta fondi diretta CBM – Missioni cristiane per i ciechi nel mondo e da Pinuccia Foti, Responsabile Amministrazione e Contabilità VIDAS per il bilancio.

    Durata del corso: 5 incontri di 6 ore ciascuno – ogni sabato, ore 10-13/14-17

    Costo: 150 euro; ex allievi: 100 euro
    Chiusura iscrizioni: 28 febbraio 2007


    Per informazioni: Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi
    Via Salasco 4 20136 Milano tel. 0258302813
    infoteatro@scuolecivichemilano.it
    www.scuolecivichemilano.it


     


     

    Superpoltrone: Rutelli nomina la commissione del Festival Nazionale del Teatro
    Il superfestival nelle mani di Nastasi, Giammusso, Pischedda e Villoresi
    di Redazione ateatro

     

    Avete una bella idea per il Festival Nazionale del Teatro?
    Il ministro della Cultura Rutelli ha nominato i commissari che dovranno esaminare i progetti. Presidente sarà il direttore generale dello Spettacolo Salvatore Nastasi, affiancato da Maurizio Giammusso, segretario dei Premi Olimpici del Teatro, Antonello Pischedda, membro della Commissione Prosa, e Pamela Villoresi.
    In ateatro trovate molte info sui commissari, così sapete come regolarvi (e capirete come la nostra webzine aiuti a far carriera!!!).
    E nel forum trovate un pezzo del "manifesto" su quella che Gianfranco Capitta ha definito "sindrome di Stoccolma" delle nostre istituzioni teatrali e culturali, ovvero la continuità tra centrodestra e centrosinistra nella gestione delle medesime...


     


     

    La nuova drammaturgia turca: un bando
    Invito per la selezione di un progetto di produzione
    di Centro Santa Chiara - Asti Teatro

     

    La recente attribuzione del premio Nobel per la letteratura a Orhan Pamuk ha portato clamorosamente alla ribalta internazionale la letteratura turca. Ma Pamuk non è un fenomeno isolato, la qualità della letteratura in Turchia è altissima e la scrittura per il teatro non è da meno. Anche grazie alla collaborazione con il festival di Istanbul, il Centro Santa Chiara in collaborazione con Festival Asti Teatro e Facoltà di Sociologia/Università di Trento, hanno scelto quattro autori inediti in Italia, diversi per temi e stile, accomunati da un singolare intreccio fra realismo e fantasia e da alcuni punti di contatto, come il conflitto fra tradizione e modernità, il tema dell'alienazione e della solitudine nella grande città. I quattro autori sono stati portati in scena il 4 dicembre a Trento, in forma di lettura da parte di attori e registi, come parte di un progetto per la conoscenza e la promozione del teatro turco.
    L'iniziativa è rivolta agli operatori teatrali a livello nazionale e si propone di promuovere la conoscenza del teatro contemporaneo turco e possibilmente il futuro allestimento, in edizione italiana, di un testo turco.
    Questa intenzione promozionale è condivisa dal festival AstiTeatro e dal Festival di Istanbul che, assieme al Centro Santa Chiara selezioneranno e sosterranno in forme diverse nel corso del 2007 e 2008 una eventuale produzione: Astiteatro sostenendo direttamente una produzione e ospitando una prima, Il Centro Santa Chiara garantendo una buona ospitalità e collaborando per un’ulteriore diffusione, Il Festival di Istanbul ospitando lo spettacolo nell’edizione 2008. Per la presenza all’estero ha garantito il suo interessamento l’Ente Teatrale Italiano e ricordiamo che il progetto “La Turchia fra Europa e Asia” gode del patrocinio del Ministero degli Affari Esteri.

    La scena turca contemporanea
    I cambiamenti della società turca a partire dagli anni ‘90 hanno creato un proprio teatro. Nuovi gruppi teatrali, nuovi autori e attori hanno preso le distanze dal modo tradizionale e convenzionale di fare teatro, rivolgendosi verso nuove, più originali e più autentiche produzioni. Questa nuova situazione generale riflette il fatto che la Turchia, come parte di un mondo in fase di globalizzazione, si è trovata a sperimentare gli stessi problemi comuni al mondo post moderno con la crescita dei consumi, con la solitudine e l’infelicità della gente che non riesce a comunicare malgrado gli innumerevoli mezzi di comunicazione e sotto il peso schiacciante di tecnologia e media.
    Nel teatro turco di oggi, le nuove tendenze danno importanza alla partecipazione alle piattaforme internazionali e alle relazioni interculturali, alla ricerca di una nuova estetica attraverso l’interpretazione dei miti turchi, delle leggende, delle favole, dal punto di vista di una comprensione contemporanea di questa “porzione” di geografia, di cultura e di storia.
    (Fakiye Ozsoysal)


    Intervista a Yeşim Özsoy Gülan

    La più giovane degli autori presentati a Trento è la trentacinquenne Yeşim Özsoy Gülan, fondatrice del VeDST Theatre Group, ensemble con sede a Istanbul, concentrato in nuovi testi, nuove tecnologie e interdisciplinarietà. Tra i suoi spettacoli: Play alla turca (2001), Anno 2084 (2002), Casa-Una commedia Cacofonica (2003), Playback (2006), e Ultimo mondo (2006), quest’ultimo presentato a Trento in un reading a cura della Dionisi Compagnia Teatrale.
    In Ultimo mondo fa molti riferimenti alla tradizione letteraria internazionale (Dante, Eliot, Shakespeare) e alla cultura turca. Qual è il suo rapporto con la sua tradizione e che ruolo ha la cultura europea nel suo lavoro?
    Nell’Ultimo mondo i due personaggi, l’Uomo e la Donna, hanno dei ruoli fortemente rappresentativi. L’Uomo, infatti, rappresenta l’ovest, mentre la Donna è il mio est. Anche i testi ai quali si riferiscono agiscono in questa linea. L’Uomo menziona Dante, Shakespeare, la Bibbia, etc., mentre la Donna nomina Sherazade, le paludi dell’Arabia, poeti turchi ed europei, Mevlana.. In questo spettacolo ho provato a far emergere la mia propria memoria e la conoscenza agisce sul modo in cui scrivo e sul modo in cui guardo cosa è est e cosa intendiamo con l’ovest.
    Gli eventi di questo dramma sono in parte collegati agli avvenimenti dell’11 settembre. Come è cambiata la sua visione del mondo e l’atteggiamento della Turchia dopo quella data?
    Dopo l’11 settembre tutto il mondo è cambiato. Definitivamente. Sento che l’idea introdotta da Huntington alla fine dello scorso secolo, con il libro “Lo scontro delle civiltà” è diventata ancora più forte e predominante nel mondo. Questo è cruciale per me, provenendo da un paese in cui il 90 % delle persone è musulmana. Credo che la differenza tra figure come Saddam Hussein e i Kamikaze e figure come Bush e Blair sia la differenza tra violenza “visibile” contro violenza “invisibile”. E mi sento come lacerata da queste due visioni.
    Esiste una sorta di tendenza generale nel giovane teatro turco e, se sì, cosa avete voi autori in comune?
    In questo periodo il Teatro Turco si sta sempre di più concentrando sulla nuova drammaturgia. Ci sono sempre più giovani compagnie che lavorano in piccoli spazi, invece di lamentarsi del fatto di non poter accedere ai grandi teatri nazionali. Anche la mia compagnia ha una piccola sala autogestita, che non riceve sovvenzioni né dallo Stato, né dalla città di Istanbul, dove presentiamo le nostre produzioni e ospitiamo lavori di nuovi autori, con molta attenzione verso l’interdisciplinarietà e le nuove tecnologie.

    Secondo lei, cosa può fare l’Europa per la Turchia e cosa potrebbe rappresentare la Turchia per l’Europa, se parte dell’UE?
    Ci sono soprattutto tre opzioni per noi. La prima, è voltarci verso l’Europa ed entrarci. La seconda, è rivolgerci ad oriente partecipando di più al mondo Islamico. La terza è avvicinarci agli Stati Uniti. Personalmente non amo pensare alle due ultime ipotesi, e sostengo fermamente la partecipazione della Turchia all’UE. Siamo europei con la nostra eredità bizantina e greca e gli aspetti multiculturali che ci vengono dall’eredità dell’Impero Ottomano che dominava i popoli balcanici, italiani, russi e arabi, ma allo stesso tempo non siamo fino in fondo europei. La Turchia è la sola nazione islamica in grado provare al mondo che è possibile essere allo stesso tempo uno Stato Laico. Islamico, civile e moderno. In questo senso la Turchia ha una grande missione nei termini di uno risoluzione di questo scontro tra le civiltà e rappresenta una buona risposta per il mondo. Secondo me, con l’aiuto dell’UE questo ruolo potrebbe essere rafforzato.

    Cosa si aspettava la Turchia dalla visita del Pontefice?
    Abbiamo trattenuto il fiato per quattro giorni. Tutti abbiamo pregato e desiderato che non succedesse niente. Non era un buon momento per una visita, proprio poco tempo dopo le esternazioni veramente offensive nei confronti dell’Islam. La gente era turbata e di nuovo sentiva che l’Occidente nelle parole del Papa non capiva l’Islam e voleva guardarlo solo in un certo modo aggressivo e selvaggio. Ma alla fine tutto è andato bene. Tutte e due le parti, e specialmente il Papa, hanno inviato un segnale molto positivo. L’Imam che ha accompagnato il Papa nella grande Moschea, Sultanahmet lo ha invitato a pregare con lui. Le foto del Papa e dell’Imam di Istanbul che pregavano insieme per la pace nel mondo erano meravigliose. Andando via, poi, il Papa non ha portato via la sua croce dalla moschea e questo gesto è stato molto apprezzato e guardato con rispetto. Così tutto è andato in modo pacifico ed è stata una visita molto positiva.


    La nuova drammaturgia turca:
    INVITO PER LA SELEZIONE DI
    UN PROGETTO DI PRODUZIONE


    Il Centro Culturale Santa Chiara e AstiTeatro 29
    in collaborazione con il Festival Internazionale di Istanbul
    nel quadro del progetto
    LA TURCHIA FRA EUROPA E ASIA - Al Limite al Confine
    a cura di Mimma Gallina
    hanno promosso, il 4 dicembre scorso, una giornata dedicata a
    LA NUOVA DRAMMATURGIA TURCA
    Autori e testi del teatro contemporaneo turco

    Sono stati selezionati e presentati al pubblico in forma di lettura i seguenti autori e testi:

    Tuncer Cucenoglu, “LA VALANGA” •
    a cura di Sabrina Morena per l'associazione “Spaesati”
    hanno letto: Fulvio Falzarano con Roberta Colacino e Antonio Veneziano, allievi dell'Accademia Teatrale Città di Trieste

    • Yesim Ozsoy Gulan, “ULTIMO MONDO” •
    a cura di Renata Ciaravino e Valeria Talenti per la Compagnia Teatrale Dionisi di Milano
    hanno letto: Renata Ciaravino, Marco Fubini, Carmen Pellegrinelli, Valeria Talenti

    • Ozen Yula, “AFFITTASI” •
    a cura di Mauro Avogadro e Elisa Galvagno,
    con gli attori diplomati della Scuola del Teatro Stabile di Torino: Andrea Bosca, Elisa Galvagno, Paolo Giangrasso, Diego Iannaccone, Fabio Marchisio, Angelo Tronca

    • Murathan Mungan, “LA MALEDIZIONE DEL CERVO” •
    a cura di Massimo Salvianti per Arca Azzura di Firenze
    hanno letto: Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci

    Le traduzioni di lavoro sono state effettuate dall’inglese e dal francese con l’autorizzazione degli autori, con riserva di realizzare traduzioni professionali dall’originale turco in caso di produzione.

    I testi sono disponibili nella versione inglese (in due casi anche francese) e nelle traduzioni di lavoro e possono essere richiesti a:
    Festival ASTITEATRO
    E-mail: asti_teatro@yahoo.it



    BANDO PER LA PRESENTAZIONE DI UN PROGETTO DI PRODUZIONE


    Il Centro Culturale Santa Chiara e AstiTeatro 29
    in collaborazione con il Festival Internazionale di Istanbul

    invitano

    le compagnie e gli operatori italiani interessati a produrre uno spettacolo da uno dei testi sopra indicati,
    a trasmettere entro il 30 gennaio 2007 un progetto di produzione
    corredato da indicazioni relative a

    l’impresa di produzione che intende farsi carico del progetto 
     indicazione di eventuali coproduttori 
     regista, scenografo e altri collaboratori artistici previsti 
     numero e nomi degli attori già individuati all’atto della domanda 
     altri elementi informativi che si considerano rilevanti 
     dichiarazione che confermi la disponibilità a debuttare entro il mese di giugno 2007 

    Il Centro Culturale Santa Chiara e AstiTeatro 29
    si riservano di convocare gli interessati per approfondimenti e decideranno in merito al progetto da sostenere
    entro e non oltre il 28 febbraio 2007.
    La decisione è insindacabile e inappellabile.

    Alla compagnia prescelta, gli enti promotori prospettano quanto segue:

    AstiTeatro 29 parteciperà ai costi di produzione con un contributo parziale (secondo i propri usi), proporzionato all’impegno del progetto e dell’allestimento e ospiterà la prima e gli ultimi giorni di prove indicativamente nell’ultima decade di giugno 2007 •

    • Il Centro Culturale Santa Chiara
    ospiterà lo spettacolo corrispondendo un cachet adeguato nel proprio cartellone (stagione 2007/2008) •

    Il Festival Internazionale di Istanbul ospiterà lo spettacolo – previa verifica della qualità del medesimo – nell’edizione 2008 •
    (si segnala che per un sostegno relativo alla presenza in Turchia è stato interpellata anche l’Ente Teatrale Italiano e che il progetto “La Turchia fra Europa e Asia” gode del patrocinio del Ministero degli Affari Esteri)

    I tre organismi si riservano infine di collaborare con la compagnia per il reperimento di eventuali ulteriori coproduttori o sbocchi distributivi.


    Info e invio dei progetti:
    asti_teatro@yahoo.it


     



    Appuntamento al prossimo numero.
    Se vuoi scrivere, commentare, rispondere, suggerire eccetera: info@ateatro.it

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